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Il miracolo del soldato evaso da una prigione abissina

Eseguita a Le Prata (Nocera Umbra) da Argelia Mingarelli

Io vi voglio narrare un bel fattodi un giovane, Sporto Giovanni,che avea solo venticinqu' anniera padre di due fanciullin.Ecco un giorno lui vien richiamatoper recarsi ben presto a Messina,per andar nella terra Abissina,a compire 'l suo grande dover.

E là giunto combatte da eroecome fanno i soldati italianipiù non pensa ai parenti lontanisolo pensa alla patria servir.Cinque mesi or sono finiti,che combatte là in terra orientale,quando apprende che il padre sta malee rimedio per lui più non c’è.

Dopo arriva così un telegrammadove annuncian la morte del padre,raccomandasi allora alla madreche in licenza lo possan mandar.Ottenuta così la licenzalui parte con la mente invasafinalmente arriva a sua casadove tutti in lutto e dolor.

Fa coraggio alla madre e alla mogliebacia e abbraccia i suoi cari bambini,più non pensa a quei negri abissinie combattere ancora dovrà.Terminata ormai è la licenzae lui deve perciò ripartirema la madre lo vuol benediree gli dice baciandolo ancor:

«Figlio caro, riparti tranquillo,io ti do la fortuna e la fededi Pompei la Madonna ci vedee l’immagin di lei ti darò».Già riparte il bravo Giovannipieno ancora però di speranzano non sente col cuore abbastanzache giammai perire dovrà.

Ma Giovanni riman prigionierofra le mano dei negri brutalisi capisce che ormai tutti i malisono pronti per farlo morir.Vien rinchiuso là in una cavernaben guardato da due sentinelleche là dentro nemmeno le stelleal meschino la luce gli dan.

Nella orrida notte lui baciala Madonna che al collo lui tienee pensando alle orribili penelui si mette in ginocchio a pregar.«O Madonna più santa dei cielidammi aiuto in questo momento,dal mio petto non sfugge un lamento,per la patria son pronto a morir.

Ma vorrei riabbracciare i miei figlila mia madre e la moglie adoratache piangendo un giorno ho lasciatae ch'a voi s’appreghiera ogni dì».S’assopisce così il prigionieroed in sogno lui vede una donnacosì bella che par la Madonnae ch' a lui l’incoraggia così:

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«O Giovanni tu alzati in piediora dormon le tue sentinellefuggi fuggi al chiaror delle stelle,pancia a terra per non far rumor».Ed infatti il giovan si svegliatrascinato lì come un serpente,tira e fugge rapidamenteper poter la sua vita salvar.

Così vede un orrido fuocodove sta una caldaia a bollire,ch'è già pronta per farlo morirenello strazio e l’acuto dolor.Ma lui sempre per terra strisciandocosì avanza più sempre tenace,vuol fuggir e l’iniqua fornaceè già pronta per farlo morir.

E le palle già sente fischiareche i nemici su lui van sparandoma felice si vede allorquandogli Italiani li vede venir.Che l’aiuta' e gli danno ristoroperché stanco e già molto sfinito,ma Giovanni mai niente avvilitoil racconto a tutti gli fa.

E l’immagine ch' al collo lui tieneviene tosto da tutti baciatauna prece allor viene alzatade la sacra immagin divin.

raccolto daDino Renato Nardelli e Gianfranco SquartaGiugno 2013

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di Tranquillo Pontini, Valtopina 1975 (?)

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Il fattaccio di un padreche uccide il figlio di ritorno dalla guerra

informatore Settimio Riboloni

Gentile rato fammi compagniaciò che meglio potessi camminare col tuo consiglio e la mia fantasiamigliori versi potrò improvvisare.Facili piani pieni di armonia al pubblico gentil voglio narrare una tragedia fosca e dolorosa che al manto dell’oblio tiene nascosa.

Ai piedi del Cimino fresca ed ombrosa vi è una borgata agricola e ridenteche all’ombra del gran monte lì riposanell’estiva stagion dei raggi ardente.Vi è una famiglia onesta e laboriosa ricca di beni no, ma possidented’un piccolo podere che distava due miglia dal paese dimorava.

Il padre Federico si chiamavala moglie Assunta e la figlia Angelinail figlio che con essi lavorava, Giuseppe ha nome, da sera a mattina.Ognun contento la vita passava,vita sana, gentile e contadinaquando ch’a dichiarar venne la guerraL’Italia, alla Francia e all’Inghilterra.

Parte Giuseppe, fra le braccia serranel partire la sua dolce madree nel lasciare la nativa terral’addio dà alla sorella e al caro padre.Dolente tanto parte per la guerrasenza entusiasmo raggiunge le squadre.Con la pena profonda nel suo cuorePensa ai suoi cari pieni di dolore.

A casa resta il vecchio genitorecon la moglie e la figlia sempre in pianto.Passano i giorni nel cupo timoreper l’assenza del figlio amato tanto,pregando la Madonna col Signoree del suo Figlio il protettore santoche l’assistesse la notte col giornoe sano e salvo facesse ritorno.

La guerra infuria, nel teatro adornodi sangue umano la sorte declinadell’armata italiana infausto giornosbandare inerme se ne va in ruina.Giuseppe pure è nell’ardente fornodell’immane tragedia lo destinaunito agli altri nel malvagio sentierosarì schiavo in Germania prigioniero.

Il tempo passa a casa col pensierorivolti al figlio della dubbia sorte,senza notizie più da un anno interopassato invano, credono la morte. Per caro figlio suo a tutti un misteropiange la madre unita al suo consorte,piangono afflitti e si dispera invano per la sorte del figlio suo lontano.

E la sorella piange il suo germano,quand’ecco ormai la fine della guerrache l’esercito franco-americano coadiuvato da quello d’Inghilterramettono in rotta il soldato allemanocostretti a forza nella propria terraa firmare la resa che firmatafu senza onore ed incondizionata

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E così furo dall’invitta armatai prigionieri nostri liberati dalla dura prigione che fiaccataavea la volontà ai nostri soldati.La speranza ritorna inaspettataai genitori dei figli ignorati che di nuova speranza tutti presiil ritorno dei figli tanto attesi.

Incominciano arrivare nei paesimolti soldati dalla lunga via,stanchi, affamati, sì male in arresiche moribondo ognun sembra che sia.Molti dal male e dalla febbre presi,sul ciglio della strada in agoniarestano inerti alla morte lasciatid'ogni mano soccorsi abbandonati

Ritorno ai genitori desolatiche notte e giorno vanno a domandarea tutti i militari ritornati se del suo figlio notizie sa dare.Nel mondo tante genti disgraziatiche del dolore altrui san profittaredi nottetempo ignoti malandrinigli rubano un vitello e più gallini.

Sdegnato il vecchio avvisa i contadiniche di notte nessuno al suo poderesenza preavviso varcare i confini e senza del suo consenso e 'l suo volere.Così sicuro che tutti i vicinisono avvisati com'è di doveretutte le notti se ne sta in agguatoper sorprendere il ladro scellerato.

Di potente fucile il braccio armatol’umana preda attende il contadino,da lo spirto maligno tormentatoche lo rendeva barbaro assassinodel proprio figlio da lui tanto amato;ma quanto cieco ti rende il destino,fuggire non si può la propria sorte,predestinata è la vita e la morte.

Una notte fatale oscura e fortenel firmamento non brillano stelledi nero manto la suprema cortecoperta è tutta e priva di fiammelle.Regna dovunque un silenzio di morte,tormentato dall’angelo ribellesta in guardia il fero vecchio senza cuorecome la fiera attende il cacciatore

Quand’ecco sente insolito rumore,un’ ombra d’ uomo gli apparir vicino,co la man ferma piena di rancorespara due colpi il folle contadino.Entrambi i colpi raggiunsero il cuoredel triste e sconosciuto pellegrinoche senza lamentarsi il disgraziatocadde in terra trafitto e fulminato

Ahi padre, ahi non più padre, assassinatoha il proprio figlio, la tua stesso mano nel contatto del corpo insanguinatonon ti tremò, l’ira ti rese insano.Di caldo sangue ancor tutto bagnatotrascina il corpo il vecchio disumanoai piedi di una pianta ivi scavavaprofonda buca e poi lo sotterrava

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Soddisfatto il crudele ritornavanel proprio letto ove la mesta madredel tutto ignara il sommo Dio pregavache ridasse il suo figlio al caro padre.Povera donna, certo non pensavache le membra del figlio sue leggiadrenel freddo grembo la morte li serra lorde di sangue ne la cruda terra.

Se fosse stato almeno ucciso in guerrao in prigionia era morte onorata,morir innocente nella propria terrada lui più volte pianta e sospirata.Ecco il rimorso e la coscienza afferradell’assassino che tiene celata la barbera tragedia disumanasotto il passaggio d’una settimana

L’ottavo giorno una zia lontanavenne il nipote in casa a visitaretutta festante, nell’aspetto stranaun’altra voce incominciò a parlaredicendo: «La speranza non è vana,che i fiduciosi in Dio sanno aspettare,così il vostro Giuseppe è ritornato,prima so' stata io che l’ho baciato.

Ricordo il momento che arrivato,fu in casa mia, sembrava un pellegrinotanto era stanco, debole e affamatoche piangere mi fece, poverino.Dopo che ebbe bevuto e ben mangiatotrattener non si volle, ma in camminosi mise, forte il desiderio avevadi rivedervi prima che poteva».

Nel sentir quel parlar il vecchio parevache volesse morire disgraziato,pallido in volto, lo sguardo volgevadov’era il suo figliolo sotterrato.E subito di corsa si mettevaverso il sepolcro da lui edificatoe si mise a scavare co’ le manila smossa terra come fanno i cani.

Quando che gli apparirono i membri umanie riconobbe che era il proprio figlioda lui assassinato per i manisenza parola e senza batter ciglio.Poi tormentato da pensieri insanicorre in casa e quell’arma da di piglioe con calma glaciale si puntava le canne al cuore e un colpo si sparava

Il colpo giunse al cuore e lo freddava,così morì l’assassino incosciente.L’addolorata madre che gridavadel tutto ignara, del tutto innocente,novella cupa all’aspetto sembravatanto rimase misera e dolentepien di atroce dolore e di sconfortonel rimirare l’uno e l’altro morto.

Poi forsennata e senza alcun confortoil caro figlio per nome chiamavadicendo: «Figlio mio, come s’è morto!Chi fu la belva che te sotterrava!Chi fu il crudele che mi ha fatto torto».Poi quel freddo cadavere abbracciavae stringendolo forte al proprio cuorel’addolorata madre anch’ella more.

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Questa triste tragedia pien d’orrore distrutta ha tutta quanta una famiglia che a testimoni folli dal dolorerimanda ai morti la sorella e figlia.Colpa del fato o del rio genitore,del perfido destino che consigliale umane menti a divenir brutalie commettere fatti empi e mortali.

Gentil lettore, i versi miei se l'ali non hanno per librarsi all’aer puragiudici lascio voi sebbene a malifatti son giusti nella lor misura.E tu signor di mille acuti straliun’altra volta alleggerir procurail grave carco al mio fragile legno,del tuo grato aiuto io son degno.

raccolto da Dino Renato Nardelli e Gianfranco Squartamaggio 2014

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