Il mantello piegato

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Elena Quondamcarlo, fantasy. «La vera empatia ribalta i ruoli: sentendo gli altri possiamo arrivare a intuire la verità su noi stessi, come se ci guardassimo in uno specchio, e questa conoscenza può cambiare le nostre vite…» La civiltà di Elgar è sopravvissuta a una terribile guerra civile grazie all'uso di un nuovo potere mentale: un'energia dinamica che, se usata su una persona, è in grado di potenziarne la comune empatia. Con la fine della guerra, quello che viene ribattezzato Nuovo Potere diventa quasi un culto: si stabilisce che tutti i bambini devono sottoporsi a esso. Ma cos'è davvero l'empatia? Sarà Ghibli a trovare la risposta, una giovane donna di modeste origini che va incontro a una vita nuova, armata solo della sua tenacia e di un'insolita e luminosa bellezza. Sarà un viaggio pieno di sofferenza, nella consapevolezza di sé, alla riscoperta delle origini di Elgar e del vero significato dell'empatia, che le porterà in dono il vero amore.

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In uscita il 30/1/2015 (15,70 euro)

Versione ebook in uscita tra fine gennaio 2015 e inizio febbraio

2015 (6,99 euro)

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ELENA QUONDAMCARLO

IL MANTELLO PIEGATO

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IL MANTELLO PIEGATO Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-849-7 Copertina: illustrazione di copertina e mappa interna di Giada Beltrame

Prima edizione Gennaio 2015 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

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A coloro che sono in cammino, che la strada li conduca a scoprire

il senso del loro viaggio dentro la vita.

A mamma e papà, che con amore hanno piantato i semi.

A tutte le donne della mia famiglia, in particolare a quelle i cui volti sono stati cancellati dal tempo, ai loro talenti perduti, quelli

che la vita non ha permesso di far sbocciare.

Al principe Azalle.

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«Io mi dissolvo nelle relazioni, in empatia e simpatia, proiezioni e

identificazioni con gli altri, ma non perdo me stessa.» Anais Nin, Diario II (1934-1939)

«La civiltà dell’empatia è alle porte. Stiamo rapidamente esten-

dendo il nostro abbraccio empatico all’intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta. Ma la nostra corsa verso una connessione empatica universale è anche una corsa contro un rul-lo compressore entropico in progressiva accelerazione, sotto for-

ma di cambiamento climatico e proliferazione delle armi di distru-zione di massa. Riusciremo ad acquisire una coscienza biosferica

e un’empatia globale in tempo utile per evitare il collasso planetario?»

Jeremy Rifkin. La civiltà dell’empatia

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I. IL RACCONTO DI AZALLE Era quasi il tramonto a Sentinella del Deserto. Vi arrivai dopo un viaggio di quattro giorni attraverso i monti Kyllian, fino ai primi lembi di sabbia del Korr. Dalla cima delle mura di diaspro contemplavo l’orizzonte in fiamme e attendevo. Il motivo di quel viaggio nell’ovest era una donna che possedeva il Nuovo Potere, una donna adulta senza addestramento, la prima in cinquant’anni di storia. Ancora non sapevamo se sarebbe stato possibile farla diventare un Operatore per via dell’età e se ciò avrebbe comportato dei rischi, ma la scar-sità di bambini con il Dono era tale da giustificare il tentativo d’incontrare la donna. Perso in queste riflessioni, mi voltai verso il sentiero che costeggiava le mu-ra e fu lì che la vidi per la prima volta. Camminava in compagnia di una dama dai capelli neri e quando si voltò verso di me, il blu profondo dei suoi occhi mi ferì, mentre l’amaranto dei lunghi capelli si confondeva con la luce del tramonto che il sole aveva incendiato. Non riuscivo a distinguere le linee del suo volto, ricordo solo quelle due schegge di cielo immerse in un mare di luce vermiglia. Quando mi raggiunse, s’inchinò di fronte a me, come si conveniva in presenza di un membro della Casa Reale degli Alcammar di Nuova Lun. Ma in quel momento mi sembrò quasi un oltraggio che quella creatura di luce dovesse prostrarsi in mia presenza e d’istinto mi chinai per prenderle la mano. Intuii che quel gesto la sorprese perché la ritrasse, ma fu solo un istante, poi la strinse e si rialzò e io potei perdermi nelle linee perfet-te del suo volto. «Il mio nome è Ghibli» disse, senza esitare. Il suo sguardo era fermo, privo d’imbarazzo. «Vi hanno informato sul motivo della mia visita?» chiesi. Annuì mentre co-minciammo a passeggiare lungo le mura, seguiti a poca distanza dalle guar-die del mio seguito e dalla dama che l’aveva accompagnata. Ero ospite del Sovrintendente di Sentinella del Deserto, il quale mi aveva messo a disposi-zione il suo palazzo, ma io avevo preferito incontrare la donna nel parco a ridosso delle mura, perché non volevo che il colloquio assumesse un caratte-re eccessivamente formale. «Non ho mai visto Nuova Lun» disse. «Ne sareste incantata, ve l’assicuro. È stata ricostruita più elegante e splen-dente di prima.» «Ne ho sentito parlare… soprattutto della Torre.»

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«Sono qui per questo. Cosa ne sapete esattamente?» «Che era l’edificio più alto dell’antico palazzo del Consiglio della Repubbli-ca, il solo a essersi salvato dall’inondazione.» «Per questo è diventata il simbolo della rinascita di Elgar dopo il Secolo dei due Abissi» proseguii. «Non potevamo scegliere un altro luogo come sede del Nuovo Potere.» A quelle parole si fermò di colpo. «Vorrei chiarire con voi l’episodio che vi ha portato sin qui» disse. «Mi è stato riferito che nessun membro della vostra famiglia ha mai manife-stato una forma di Potere, mentre voi, senza aver ricevuto alcun tipo di ad-destramento, all’improvviso avete esercitato il Potere su vostro fratello mi-nore, liberandogli i canali dell’empatia.» «Come ho già detto ai vostri funzionari, non so spiegare esattamente cosa sia successo quel giorno. Era una mattina di luglio e prima dell’alba erava-mo andati a passeggiare lungo le mura accanto alla Torre Nord, come fac-ciamo spesso in estate a causa del caldo. Ero con mia madre, chiacchiera-vamo tranquillamente mentre mio fratello di sei anni ci correva intorno, sa-liva e scendeva dalle mura che in quel tratto sono basse. All’improvviso sen-timmo un rumore di pietre che cadevano e le grida di mio fratello. Il muro aveva ceduto e lui stava precipitando. Senza neanche il tempo di pensare corsi ad afferrarlo. Quando gli presi la mano con cui tentava di aggrapparsi, istantaneamente sentii un calore attraversarmi e dal contatto fra noi si generò un’energia, come una corrente calda che passava da me a lui. In quegli istan-ti ebbi l’impressione di sentire il suo corpo come se fosse stato il mio. Era-vamo una cosa sola e la mia paura si confondeva con la sua. Durò pochi se-condi, poi quell’energia svanì e mi accorsi che era svenuto. La mamma mi aiutò a tirarlo su e lo riportammo a casa in braccio.» «Chi ha dichiarato che vostro fratello aveva i canali dell’empatia liberi?» «Rimase svenuto per gran parte della strada. Una volta a casa, mandammo a chiamare il nostro medico, ma nel frattempo si era ripreso e, a parte i tagli e le escoriazioni, sembrava che stesse bene. Anche il dottore non trovò traccia di traumi, ma ebbe come un’intuizione, perché ci suggerì di fare richiesta al Sovrintendente affinché convocasse un Operatore per sottoporlo a un moni-toraggio. «Mia madre si agitò e protestò, spiegandogli che mio fratello sarebbe andato alla Torre solo la primavera successiva, ma il dottore la tranquillizzò e la convinse che si trattava solo di una precauzione. Ricordo ancora lo sguardo inquisitore che posò su di me mentre discuteva con mia madre. Mi trasmise un senso di allarme e fu proprio quella sensazione che, nelle settimane suc-cessive, mi fece fermare spesso a osservare mio fratello, in cerca di anoma-lie, ma lui sembrava il bambino di sempre, era solo meno capriccioso, ma lì per lì la cosa ci fece solo piacere e non l’associammo al mutamento dei ca-nali dell’empatia, come poi ci disse l’Operatrice della Torre. «Io e mia madre restammo senza parole a quel responso, ma la donna dove-va aver intuito subito l’accaduto perché mi chiese un colloquio privato. Vol-

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le conoscere tutti i dettagli dell’episodio che le avevo descritto solo somma-riamente e mi fece molte domande sulle sensazioni che avevo provato. Piano piano la verità si fece strada in me e la intuii prima ancora che fosse lei a spiegarmi che ero stata io a liberare i canali di mio fratello, che la paura del-la sua morte aveva canalizzato le energie del Nuovo Potere che io possedevo.» «E quella è stata l’unica volta che il Potere si è manifestato in voi?» «Sì, mio Signore» disse, guardandomi negli occhi. «E ora che cosa succederà?» «Non è possibile lasciare un Portatore del Potere senza addestramento, po-trebbe essere pericoloso, come voi stessa avete sperimentato. Non essendo capace di controllare le energie, avreste anche potuto uccidere vostro fratello.» «Le stesse parole dell’Operatrice…» «Lady Hyreen è una persona equilibrata e con molti anni di esperienza, po-tete fidarvi del suo giudizio… e anche del mio.» «Non intendevo dubitarne mio Signore, sono consapevole della necessità di sottopormi a un qualche tipo di addestramento.» «Non solo per chi vi sta accanto» la interruppi. «Ma anche per voi stessa: le energie, se mal controllate, nel tempo potrebbero avere conseguenze spiace-voli sulla vostra salute.» «Lo capisco, ma quello che mi chiedo è: cosa succederà dopo?» La sua voce era calma, ma qualcosa in lei tradiva un senso di preoccupazione. «Forse già sapete che l’addestramento tradizionale è diviso in due parti: nel-la prima s’insegna a controllare le energie e solo dopo a diventare un vero e proprio Operatore.» «Ma questo si è sempre fatto solo sui bambini, io ho ventitré anni, sono troppo vecchia. Dovrò imparare a controllare le energie? E poi? Sarò libera di tornare a casa?» «Il motivo della mia visita personale è proprio questo: non ho nessuna cer-tezza da offrirvi, non so neppure se sarà possibile sottoporvi a un vero e proprio addestramento, ma vorrei chiedervi comunque di provarci fino in fondo, perché abbiamo un bisogno disperato di nuovi Operatori.» Mi guardò smarrita. «Ma questo non è mai successo. Gli Operatori sono sempre stati addestrati fin da bambini.» «Lo so, non c’è mai stata un’eccezione a quella che in mezzo secolo è dive-nuta una regola implicita. Ma ormai sono dieci anni che, come membro della Casa Reale, lavoro per il Nuovo Potere e gli studi e l’esperienza mi hanno convinto che non c’è un motivo concreto per cui continuare a seguire questa regola, solo la tradizione. Nel tempo, inoltre, il numero di bambini con il Dono è costantemente diminuito, a differenza del Nuovo Potere che si è consolidato ed è divenuto una pratica obbligatoria. Siamo ormai sulla soglia di una vera e propria emergenza: fra due o tre anni, quattro dei nostri Opera-

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tori compiranno ottant’anni, età oltre la quale è pericoloso utilizzare le ener-gie, perché divengono instabili ed è difficile riuscire a controllarle. Il pro-blema è che finora abbiamo trovato solo un bambino che inizierà l’addestramento il prossimo autunno, troppo poco anche solo per sperare nella sopravvivenza del Nuovo Potere. Ecco perché, quando mi hanno riferi-to la vostra storia, ho deciso di venirvi a cercare personalmente, per chieder-vi se siete disposta a questo tentativo, in nome di tutti i sacrifici spesi per lasciarci alle spalle il Secolo dei due Abissi.» «Mi state chiedendo molto… Cosa pensate di fare?» «Ancora non lo so di preciso, ma vi seguirò personalmente e cercheremo di studiare tutte le modifiche necessarie a un addestramento tradizionale. Non posso certo nascondervi che ci saranno dei rischi, ma non sarete mai sola e vi prometto che verrete rispettata e onorata.» «Dovrei vivere alla Torre?» «Dimorerete nella Torre, ma avrete il privilegio di soggiornare anche nel Pa-lazzo Reale e quando diventerete Operatrice, viaggerete ovunque il vostro incarico lo renda necessario e in qualsiasi città andrete, sarete accolta con onore nei Palazzi dei Sovrintendenti.» La guardai negli occhi, in cerca di un segno di approvazione, ma lei non la-sciò trapelare in nessun modo i suoi pensieri. «Non posso chiedervi di decidere immediatamente, mi rendo conto che si tratta di una scelta che cambierà completamente la vostra vita» aggiunsi. «Ripartirò fra due giorni. Domani sera il Sovrintendente ha organizzato una festa a Palazzo in mio onore. Sarei felice di avervi come ospite e in quell’occasione avremo modo di parlare ancora.» Ci congedammo e io rimasi a osservarla mentre si allontanava lungo il viale delle Mura, finché la luce vermiglia del sole, che lentamente sfumava nella notte, la inghiottì e io riattraversai i giardini per tornare a Palazzo. Il giorno seguente passò velocemente fra udienze e colloqui privati. Le que-stioni del Regno erano numerose e non riguardavano solo il Nuovo Potere. Anche se l’erede al trono era mio fratello maggiore, come membro della Ca-sa Reale era mio dovere occuparmi del governo. Fin da quando avevo co-minciato a svolgere incarichi ufficiali, non li avevo mai considerati un dove-re, ma una ragione di vita, perché in segreto veneravo il Nuovo Potere, l’unica forza che era stata capace di restituire a Elgar una nuova civiltà dopo cinquant’anni di guerre e massacri. Avrei fatto qualsiasi cosa per preservarlo e farlo prosperare nel tempo e anche durante la discussione di questioni eco-nomiche e territoriali, in realtà la mente era già proiettata a quella sera, alla risposta di quella donna che, ne ero ormai certo, avrebbe aperto un nuovo capitolo nella storia del Nuovo Potere. Gli ospiti della festa cominciarono ad arrivare dopo il tramonto e io dovevo accoglierli e accettarne gli omaggi. Quello era il mio primo viaggio a Senti-nella del Deserto, per cui, secondo il Sovrintendente, la nobiltà cittadina era impaziente d’incontrarmi, nonostante fossi solo il secondogenito della Fa-

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miglia Reale. Il tempo passava, decine di volti scorrevano sotto i miei occhi e io cominciai a sentirmi sempre più impaziente. Molto dipendeva da quell’incontro, ma all’improvviso mi resi conto di non avere strumenti per obbligare la donna a seguire i miei piani, solo la mia capacità di persuasione. Era la prima volta che scoprivamo l’esistenza di un possessore del Potere già adulto e non avevamo ancora leggi che la obbligassero a sottoporsi all’addestramento, per cui, se si fosse rifiutata, sarei stato impotente. Erano questi i pensieri che si agitavano nella mente quando finalmente la vidi, in cima alla scalinata di marmo che portava al grande salone delle fe-ste. La musica invadeva l’aria e molte coppie avevano già aperto le danze. Nel turbinio di luci e sete colorate, i nostri sguardi s’incrociarono. Un lieve sorriso illuminò le linee delicate e perfette del suo volto, poi la vidi scendere l’imponente scalinata. Quasi non sembrava camminare, ma piuttosto sfiorare il marmo dei gradini come fosse sospesa nell’aria. Le linee essenziali dell’abito l’avvolgevano con morbide pieghe che scivolavano fino a terra, in una lieve danza che aggiungeva eleganza alla sua figura. Le andai incontro per accoglierla. «È un onore per me rivedervi.» All’apparenza sembrava una vuota frase di circostanza, ma in quel momento ero davvero felice di vederla e per un istante il tempo rimase sospeso. Di-menticai il passato e le ansie del futuro, rimasero solo le note leggere del flauto nell’aria e lo scintillio delle centinaia di candele, catturato dai riflessi di rame dei suoi lunghi capelli ondulati. «Per me è un privilegio essere qui stasera» rispose. Avrei voluto aggiungere altro, ma fui quasi subito travolto dai doveri sociali. Presentai Ghibli al So-vrintendente, alla sua famiglia e a molti degli ospiti. Il protocollo imponeva che danzassi con le dame di rango più elevato, per cui fui costretto a lasciare Ghibli sotto la protezione del Sovrintendente per lungo tempo prima di riu-scire a parlarle e a danzare con lei. Nel frattempo, mi resi conto che averla presentata come ospite personale, dato che proveniva da una famiglia mode-sta e non aveva titoli nobiliari, aveva destato notevole curiosità fra i presenti. Notai molti occhi posarsi su di lei, ma, almeno apparentemente, non sembrò accorgersene, forse perché era concentrata sulle domande del Sovrintenden-te. Mi chiesi se la curiosità nei suoi confronti dipendesse dal piccolo mistero che la riguardava o dalla nobiltà del portamento e dalla sua bellezza. Ma non ebbi tempo di analizzare quel pensiero, perché fui catturato dalla conversa-zione con la moglie del Sovrintendente. Solo dopo aver dedicato alle dame di alto rango un tempo più che adeguato, decisi di cercare Ghibli fra gli ospiti. La trovai al tavolo dei rinfreschi che conversava con il nipote del Sovrintendente. Quando si accorsero della mia presenza s’interruppero e accennarono un inchino formale, ma io feci loro segno di rialzarsi, perché quei gesti di protocollo non facevano altro che cre-are maggiore distanza fra noi.

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«Spero che la festa sia di vostro gradimento.» Ecco un’altra frase di circo-stanza, quando in realtà quello che volevo era solo una conversazione since-ra. Lei mi osservò per un attimo prima di rispondere. «È meravigliosa… anche se non posso certo nascondere che questo è il mio primo ricevimento a Palazzo.» Scambiai qualche battuta anche con il nipote del Sovrintendente, un ragazzo robusto dai capelli nerissimi che avevo conosciuto il giorno precedente, poi invitai Ghibli a danzare. Finalmente potevo concentrarmi su di lei e sulla missione che ero venuto a compiere. Il suono dei violini e dei flauti invadeva l’aria, mentre un contrabbasso ag-giungeva alla melodia una nota di calore e intimità. Ghibli si muoveva leg-gera fra le mie braccia, con gli stessi movimenti armoniosi con cui l’avevo vista scendere la grande scalinata. Ora che le ero così vicino percepivo an-che gli aromi che l’avvolgevano, un sentore caldo di spezie e muschio. Mi lasciai invadere dalla musica e da quei profumi, liberando la mente da ogni preoccupazione e godendomi quella danza come poche volte mi era capitato di fare. Quando la melodia terminò, l’invitai a passeggiare sulla veranda, dove avremmo potuto conversare più tranquillamente. «Sappiamo tutti e due la ragione di questa serata e non vi nascondo di essere impaziente di conoscere la vostra decisione.» Rimase in silenzio alcuni se-condi che in quel momento parvero interminabili. «Ho riflettuto a lungo. Dopo il colloquio con voi ero molto confusa, forse perché prima di parlarvi credevo di sapere già cosa sareste venuto a dirmi. Non ero affatto preparata alla vostra proposta.» «Avevate dei progetti?» chiesi, con un po’ di timore. «Studiavo per diventare erborista, le piante sono sempre state la mia passio-ne» confessò. Forse era in imbarazzo, ma non ci badai, in quel momento mi sembrava che mi stesse sfuggendo. «Se diventerete Operatrice non dovrete affatto rinunciare alle vostre passio-ni, avrete tempo di coltivarle» dissi, sperando che le mie parole potessero rassicurarla. «Vedete, la vostra storia è unica e molto importante perché in poche settimane ha messo in discussione tutte le certezze che in cin-quant’anni avevamo costruito intorno al Nuovo Potere. Abbiamo scoperto che esistono persone che possiedono il Dono e che per qualche ragione an-cora sconosciuta non lo manifestano alla nascita o nell’infanzia. Ormai sono settimane che mi pongo le stesse domande: quanti Operatori mancati ci sono in tutta Elgar? È possibile addestrare un Operatore adulto con la stessa effi-cacia di un bambino? Forse non ve ne rendete conto, ma siete preziosissima: rappresentate la chiave per trovare la risposta a queste domande. Siete il punto di partenza per una nuova storia di Elgar e del Nuovo Potere.» «Ieri io e mia madre siamo rimaste a parlare fino a tarda notte e sentendo ora il vostro discorso mi rendo conto che anche lei la pensa come voi, nonostan-te abbia usato parole diverse.»

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«Anche lei ha capito la vostra importanza, forse siete solo voi a non esserne ancora consapevole… Cosa mi rispondete allora? Qual è la vostra decisio-ne?» Il suo sguardo era molto serio, ma sorrise lievemente. «D’accordo, accetto. È mio dovere contribuire alla pace e alla prosperità di Elgar, non posso tirarmi indietro.» Avrei voluto sospirare di sollievo, ma tutto quello che mi riuscì di fare fu prenderle la mano e inchinarmi in segno di rispetto. «Vi prometto che non ve ne pentirete e da parte mia farò sempre tutto il pos-sibile per il vostro benessere. Avete il mio appoggio e la mia dedizione.» Continuammo a parlare a lungo, del Nuovo Potere e dei dettagli pratici della partenza per Nuova Lun, poi tornammo nel salone delle feste, che mi sem-brò ancora più luminoso di come lo avevamo lasciato.

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II. IL RACCONTO DI GHIBLI Fu quella notte che inconsapevolmente smisi di vivere una vita reale per en-trare nel sogno. Quando tornai a casa, la mia piccola stanza mi sembrò un luogo grigio e opaco dopo lo scintillio del salone delle feste. Andai alla scrivania e sfiorai con le dita la rilegatura in pelle dell’erbario che da anni stavo realizzando. In silenzio presi una sacca e cominciai a radunare le mie cose: le matite, le piccole presse di legno e tutti gli schizzi di piante e fiori che avevo realizzato. Mi sentivo sospesa, come sul confine fra due mondi che esitavo ad attraversare. Fu una notte inquieta e quando spuntò l’alba l’accolsi come una liberatrice. Cominciammo subito i preparativi fre-netici per la partenza di quello stesso pomeriggio. Avrei viaggiato con il principe sulla carrozza reale, scortata dalle sue guardie personali. Quando arrivò l’ora di tornare al Palazzo del Sovrintendente, dove il princi-pe mi attendeva, strinsi forte mia madre e mio fratello, come se non volessi lasciarli andare. «Tornerò il più presto possibile» fu l’unica cosa che riuscii a dire. «Non preoccuparti per noi» disse mia madre. «Ma tu sii prudente e ricordati quello che hai imparato, ti aiuterà.» Nei suoi occhi pieni di lacrime quasi vi si rispecchiavano i miei, anch’essi sull’orlo del pianto. L’abbracciai ancora più forte. Forse fu quello il momen-to in cui con più lucidità fui consapevole della forza di mia madre, della sua guida preziosa e di quanto ci fosse di lei in me. Mi voltai, perché non volevo che mi vedesse piangere e salii sulla carrozza che il Sovrintendente aveva mandato per accompagnarmi a Palazzo. Li salutai con la mano finché scom-parvero alla vista. Ormai ero sola, qualcosa si era chiuso dietro di me: ora potevo solo andare avanti. Trovai la carrozza reale già pronta e nel giro di un’ora partimmo. Viaggiammo in compagnia di una dama di corte, una donna di mezz’età, perché il principe Azalle ritenne sconveniente che fossi sola. Il viaggio fu lungo e soltanto in seguito mi resi conto che, soprattutto il primo giorno, fui molto taciturna. I pensieri m’inondavano e m’impedivano di concentrarmi su qualcosa di preciso, ma il principe fu una compagnia piacevole e discreta, che sembrava quasi intuire i miei stati d’animo. Non disturbò il mio silenzio, ma al momento opportuno seppe farmi sentire la sua comprensione e mi aiu-tò a distrarmi con piccoli aneddoti legati ai luoghi che attraversavamo. Fu così che piano piano l’ansia e la malinconia fecero posto alla curiosità e già dal primo giorno di viaggio sentii di potermi fidare di quell’uomo.

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Sentinella del Deserto scomparve in fretta alle nostre spalle. Il principe mi disse che quel febbraio era insolitamente mite e che lui si era deciso a intra-prendere il viaggio perché la poca neve caduta non aveva bloccato le strade. Quello stesso pomeriggio attraversammo alcuni dei villaggi sparsi nei pressi del fiume Sherwin e raggiungemmo il ponte di Kinpur prima del tramonto. Ci fermammo in una locanda lungo la strada, il cui proprietario era già stato avvertito dell’arrivo del principe Azalle e del suo seguito. Solo allora, osser-vando come in poco tempo cavalli, carrozze e bagagli furono sistemati, mi resi conto di quanto fosse grande la capacità organizzativa di quelle persone e intuii che stavo per entrare in un mondo infinitamente più vasto di quello che avevo conosciuto fino ad allora. Anche quella che seguì fu una notte molto inquieta: nella solitudine di un letto troppo grande, l’idea che stavo per perdere tutti i miei punti di riferimento mi tormentò finché la stanchezza riuscì a prevalere, facendomi scivolare in un sonno leggero. Il secondo giorno di viaggio attraversammo le Grandi Pianure, tagliandole verso nord in direzione delle montagne. Il paesaggio era monotono: una suc-cessione infinita di campi coltivati e praterie, intervallate solo da grandi fat-torie e piccoli villaggi. Oltre a Sentinella del Deserto, non c’erano città nel sud-ovest di Elgar. La giornata trascorse tranquilla, con una serie di soste per il pranzo e per i cavalli. Al tramonto ci fermammo a dormire in una sta-zione di posta lungo la strada, ai piedi dei Monti Kyllian, i cui primi contraf-forti si stagliavano scuri e severi contro il cielo della sera. Il giorno successivo fu il più faticoso. Partimmo poco dopo l’alba verso nord e attraversammo le montagne. Il lungo sentiero che conduceva al passo di Selway era molto accidentato e ripido. Lentamente la piacevole conversa-zione con il principe, molto più spontanea di quella del giorno precedente, lasciò il posto al silenzio di chi è concentrato a respingere gli scossoni della carrozza e a mantenere l’equilibrio. Raggiungemmo il passo nel pomeriggio e ci concedemmo un’altra sosta. Ero completamente stregata dal paesaggio. Prima della guerra, le montagne costituivano il confine naturale fra i regni di Elgar e Korr: da lassù potevo contemplare la linea sinuosa del fiume Sher-win all’orizzonte, oltre la quale c’era Sentinella del Deserto e la mia casa ormai lontana. Sull’altro versante, invece, le montagne scendevano verso gole e valli serpentine che nascondevano la città di Beresford, prima Sovrin-tendenza del sud-est di Elgar. Risalimmo in carrozza e cominciammo la lun-ga discesa verso oriente. Quando fece buio eravamo quasi a metà strada e ci fermammo in un rifugio dove trascorremmo la notte. Ripartimmo molto pre-sto, come il giorno precedente. Prima di mezzogiorno arrivammo finalmente ai piedi delle montagne e i cavalli poterono riprendere un’andatura più so-stenuta. Nel pomeriggio sfiorammo la periferia di Beresford e puntammo verso nord. Ora sapevo che Nuova Lun, la capitale reale, era davanti a noi, celata ai miei occhi oltre l’orizzonte. «Beresford è una città molto elegante, l’antico tempio di Ilswyn è pregevole, ma a mio avviso non è paragonabile a quello di Nuova Lun, che ormai da

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decenni ospita tutti gli eventi ufficiali del Nuovo Potere» disse. «La città è stata ricostruita per celebrare la nuova Era e non ha paragoni con nes-sun’altra città del Regno.» «Ne siete molto fiero…» commentai. «Lo sono perché ho trascorso anni a studiare la storia del Secolo dei due A-bissi. Ho letto centinaia di resoconti degli orrori della guerra e sono orgo-glioso che la mia famiglia sia riuscita a porvi fine. Ho giurato a me stesso che avrei sempre fatto tutto quello che fosse stato in mio potere per preser-vare la pace riconquistata.» Parlò con molta fermezza. Nella voce percepii una grande passione e per la prima volta mi chiesi chi fosse veramente quell’uomo, quale fosse la sua storia e la sua vita. La prima cosa che avevo notato in lui era stata la forte capacità di auto-controllo che all’inizio mi aveva dato l’idea di una persona fredda, forse abituata a rigidi protocolli di corte. Invece piano piano stavo scoprendo un uomo con le sue passioni, con un piacevole senso dell’umorismo e che sapeva trasmettermi fiducia. Forse dovevo ripartire da lui per ricostruirmi dei nuovi punti di riferimento, pensai, mentre fuori dal finestrino la strada correva sotto i miei occhi. Arrivammo in vista di Nuova Lun la mattina del giorno successivo. Dall’alto dei colli lungo i quali stavamo scendendo, ne avevo una vista magnifica. Si apriva sotto di noi, adagiata lungo le sponde dell’enorme lago al cui centro si ergeva l’imponente profilo della Torre. Il cuore cominciò a battermi forte perché quello sarebbe stato il luogo dove avrei trascorso molti anni della mia vita. «Cosa sapete della distruzione di Lun?» mi chiese all’improvviso. «Che è avvenuta a causa della grande inondazione, quando l’esercito di Korr, guidato da Helessar, ha distrutto la diga a nord del fiume Lisan e le acque si sono abbattute sulla città e hanno sommerso la pianura dove sorge-va. Tutto quello che si è salvato è la Torre, l’edificio più alto dell’antico pa-lazzo del Consiglio della Repubblica.» «È proprio per questo che è stata scelta come simbolo del Nuovo Potere» disse. «Perché nessuno dimentichi mai che abbiamo avuto la forza di tra-sformare gli unici resti del passato nel cuore del nostro futuro.» Entrammo in città dalla Porta Occidentale. I soldati di guardia eseguirono il saluto ufficiale al passaggio della carrozza reale. Le strade erano ampie e luminose, i palazzi eleganti ma dalle linee essenziali. Non riuscivo a stac-carmi dai vetri della carrozza: volevo cogliere ogni dettaglio degli edifici, delle vie, delle persone che si avvicinavano per salutare il principe, finché, dopo una curva, oltre i tetti, scorsi l’imponente padiglione centrale del Pa-lazzo Reale, ricostruito nel punto più alto della città nuova. I marmi candidi, dalle sfumature rosate, risplendevano nel sole di mezzogiorno. «Vi porterò presto a Palazzo» mi disse, forse perché aveva seguito la dire-zione del mio sguardo. «Sono sicuro che i giardini incontreranno il vostro

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favore. Purtroppo da qui non si possono vedere perché sorgono dietro il Pa-lazzo, verso est.» «È incredibile l’entusiasmo dei cittadini al vostro passaggio» commentai. «È frutto di un duro lavoro quotidiano e non va dato mai per scontato. È una cosa che ci ripetiamo spesso nella mia famiglia…» rispose. Come nei giorni precedenti, anche in quel momento ebbi la sensazione di essere entrata in un mondo molto vasto e quasi del tutto sconosciuto. Quan-do arrivammo in riva al lago, dopo aver attraversato la parte sud della città, avvertii un brivido che si acuì e mi scosse dalla testa ai piedi. La Torre si stagliava davanti a me, possente, un segno di sfida verso il freddo e l’acqua che la circondava. Eravamo giunti a un porticciolo, con una fila di barche all’ancora e una schiera di bassi edifici dal tetto a terrazza su entrambi i lati. «Abbiamo fatto costruire queste casette per ospitare i bambini e le famiglie che attendono di andare alla Torre» spiegò il principe mentre mi guidava verso una piccola barca coperta, con le insegne reali blu e bianche dipinte su entrambi i lati dello scafo. «Generalmente trascorrono a Nuova Lun almeno due notti. Abbiamo ideato un sistema organizzativo molto complesso, che viene gestito direttamente dalla Torre. Vi lavorano persone che hanno tutta la mia fiducia e che spero di presentarvi oggi stesso, ma non preoccupatevi, la gestione dei flussi non sarà mai un lavoro di vostra competenza.» «Parlate come se foste già sicuro della riuscita del mio addestramento.» «Ma io sono sicuro che voi diventerete Operatrice, dobbiamo solo trovare una strada nuova per farlo.» I suoi occhi erano pieni di fiducia e determinazione. Rimase in silenzio qualche istante prima di proseguire. Nel frattempo gli attendenti avevano sistemato il mio bagaglio sulla barca e noi salimmo a bordo. «Devo però mettervi in guardia: alla Torre, alcuni Operatori sono contrari a questo esperimento perché credono che le energie possono essere addestrate solo nei bambini, per avere la certezza di un controllo totale. Abbiamo avuto degli scontri piuttosto duri prima di decidere di venirvi a cercare. Sono co-stretto a dirvelo perché temo che non riceverete da tutti un’accoglienza calo-rosa, ma ricordate sempre che l’asprezza di qualcuno non è rivolta alla vo-stra persona ma piuttosto a quello che rappresentate.» «Capisco» risposi. «In fondo non è mai successo che le novità fossero accet-tate immediatamente da tutti» commentai, osservando la gigantesca ombra della Torre avvicinarsi. Inaspettatamente mi prese la mano. «Ghibli, vi prego di non dimenticare mai che siete sotto la mia protezione, che potete rivolgervi a me per qualsiasi difficoltà. Desidero che affrontiate l’addestramento con la massima serenità e che conserviate per tutta la vita un ricordo piacevole del vostro tempo alla Torre e vi giuro che farò tutto quello che è in mio potere per garantirvelo.»

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Mi strinse la mano e la sfiorò con le labbra prima di lasciarla andare. Istinti-vamente gli accarezzai la spalla per rassicurarlo, per fargli sentire che avevo capito e che apprezzavo la sua premura. «Non preoccupatevi» sussurrai. Avrei voluto aggiungere altre cose, ma i pensieri si confondevano nella mente. Non ne ebbi neanche il tempo, perché la barca aveva già raggiunto il piccolo molo ai piedi della Torre. Scendem-mo su una piattaforma poco sopra il pelo dell’acqua che circondava l’intera base della Torre. «Serve ad accogliere grandi gruppi di persone» spiegò, mentre raggiunge-vamo il grande portone di ferro, su cui era inciso con fili di rame il simbolo del Nuovo Potere: due mani intrecciate a formare i rami di un albero. «In origine la Torre costituiva il bastione nord del palazzo del Gran Consi-glio ed era l’edificio più alto di Lun. Dopo la grande inondazione, quando le acque del Lisan si ritirarono, la parte superiore del bastione fu l’unico edifi-cio che riaffiorò. Alla fine della guerra, la mia famiglia decise di farlo rivi-vere, con lavori di consolidamento sott’acqua e l’edificazione di altri tre piani per renderlo abitabile.» All’ingresso ci attendeva una donna avvolta nel mantello blu cobalto degli Operatori. Riconobbi immediatamente l’Operatrice che aveva controllato mio fratello. Mi venne incontro e mi abbracciò, per poi inchinarsi dinanzi al principe. «Ho chiesto a Lady Hyreen di accogliervi, dato che avete già avuto modo di conoscerla» spiegò. «È un piacere averti fra noi» disse con un sorriso, guidandomi all’interno. «Spero che il viaggio sia stato confortevole.» Annuii e mi ritrovai in un piccolo ingresso da cui partiva una stretta scala a spirale. «Vi abbiamo preparato uno spuntino nella Sala delle Riunioni, Vostra Al-tezza. Ci attendono quattro Operatori, tre sono in missione e gli altri sei sono di turno.» «Anche Lady Vivian?» «No, lei vi sta aspettando.» «Perfetto! Si ricomincia!» esclamò. «Speravo almeno in una notte di riposo prima di affrontarla.» Lady Hyreen ci faceva strada su per le scale e la sentii reprimere una risata, ma non dovettero spiegarmi niente: capii la situazione pochi minuti dopo essere entrata nella Sala delle Riunioni. La stanza non era molto grande: no-tai che era arredata in modo essenziale, con un tavolo rettangolare al centro e ampie vetrate da cui si godeva una vista di Nuova Lun da togliere il fiato. Ci attendevano due uomini e due donne. Una delle due era un’anziana si-gnora magra e raggrinzita che sedeva su una poltrona dall’altro lato della stanza, con una coperta sulle ginocchia. La seconda era una donna dall’aspetto solenne, alta e robusta, con i capelli grigi e profonde rughe in-torno agli occhi e alla bocca. Gli uomini, invece, sembravano visibilmente

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più giovani. Quando il principe entrò, tutti s’inchinarono e gli diedero il benvenuto. «Ho l’onore di presentarvi Ghibli di Sentinella del Deserto» disse. A quelle parole tutti gli occhi si posarono su di me, mentre Lady Hyreen si avvicina-va e mi presentava gli Operatori. «Loro sono Sir Andrew e Sir Valerian» disse. Sir Andrew mi strinse la mano con un sorriso e mi chiese cortesemente se avessi fatto buon viaggio, ma quando incrociai lo sguardo di Sir Valerian, mi fissò con freddezza e si limi-tò a un breve cenno di saluto. La sua ostilità mi colse di sorpresa, ma poi rammentai le parole del principe e cominciai a comprendere cosa intendesse. Feci del mio meglio per non mostrare il turbamento che provavo, ma Lady Hyreen venne in mio aiuto prendendomi sotto braccio e guidandomi verso l’anziana signora seduta in poltrona. «Cécile, è arrivata la ragazza per l’addestramento, si chiama Ghibli.» Ina-spettatamente mi prese la mano e la guidò verso quella dell’Operatrice, in modo che potesse stringerla. Da quel gesto capii che la donna non ci vedeva. «E così sono riusciti a farti venire alla fine…» disse con voce incerta. «Piacere di conoscervi» risposi con cortesia. «Davvero? Ormai sono vecchia… ma lo siete anche voi» disse inaspettata-mente. Nel frattempo si era avvicinata anche la seconda Operatrice. «Permettimi di presentarti Lady Vivian, Guida del Consiglio degli Operatori da ormai diciott’anni.» «È un onore Milady» dissi, accennando un inchino. «A nome di tutta la comunità della Torre vi do il benvenuto, sperando di po-ter contare sulla vostra collaborazione e lealtà.» Lo disse in tono solenne e da quelle poche parole capii che era una donna abituata a comandare. «Vi ringrazio profondamente e vi do la mia parola che farò tutto quello che mi sarà possibile per contribuire alla causa del Nuovo Potere.» Non avrei saputo spiegare quale fu la reazione di Lady Vivian alle mie parole, perché il suo sguardo non fece trapelare alcuna emozione. «Molto bene, spero che sarete all’altezza dei vostri propositi» commentò. «Immagino che siate affaticati dal viaggio, per cui mi sono permessa di or-ganizzare un piccolo rinfresco, Vostra Altezza. Prego, accomodiamoci.» «Vi sono molto grato per la premura» rispose il principe con cortesia, se-dendosi a capotavola. «Sapete scegliere le parole molto bene: premura e non comprensione. Mi preme ribadire il mio totale dissenso verso la vostra… “impresa”.» Pronunciò quell’ultima parola quasi con disprezzo, ma il principe non diede l’impressione di esserne turbato, anzi, continuò tranquillamente a imburrare la sua fetta di pane. «Non intendo tornare a discutere dell’argomento con voi. Lo abbiamo già fatto a sufficienza» disse con voce ferma. «E invece dei risvolti pratici della questione non abbiamo parlato affatto: sono cinque giorni che gli operai stanno lavorando nella stanza accanto alla

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mia e hanno costretto Sir John a dormire insieme a Sir Andrew, senza tenere in minima considerazione la sua età e tutti gli anni di onorato servizio. Per non parlare del fatto che non mi avete neanche chiesto il permesso.» «Forse avete ragione, ma converrete con me che purtroppo la Torre non è grande e le soluzioni possibili sono limitate. L’addestramento sarà lungo e io avrò bisogno di risiedere qui per molto tempo. Mi sembra del tutto fuori luogo fare la spola da Palazzo Reale tutti i giorni. Sir John aveva già con-cordato con me di cedermi la sua stanza.» «Anche Lady Hyreen sarà costretta a dividere la stanza con la nuova venuta e a mio parere un tale affollamento è disdicevole.» «Con tutto il rispetto Lady Vivian, state sollevando delle argomentazioni pretestuose: in passato la Torre ha ospitato un numero ben più elevato di persone.» «Sì, ma ognuno aveva dei compiti e dei tempi precisi, oggi sembra di cam-minare nel buio: non potete negare di non sapere cosa state facendo.» «Sto lavorando per dare un futuro al Nuovo Potere e sono convinto che Ghi-bli sia la chiave della svolta e lavoreremo a un protocollo per tutto il tempo che sarà necessario. Se riterrete la mia presenza indesiderata vi rammento che a Palazzo le vostre stanze sono sempre a disposizione.» La voce gli si era fatta aspra, ma non abbastanza da alterare la severa imper-turbabilità di Lady Vivian. «Non è affatto questo il problema e voi lo sapete benissimo» intervenne Sir Valerian. «L’esperienza quotidiana ha insegnato a tutti noi che le energie diventano parte del nostro essere e che a vent’anni è inconcepibile pensare di entrarne in piena sintonia e acquisire un controllo totale.» Da quelle parole mi resi conto che Sir Valerian appoggiava completamente le opinioni di Lady Vivian e in quel momento mi sembrò strano che un Ope-ratore relativamente giovane come lui non fosse preoccupato per il futuro del Nuovo Potere. In fondo, Lady Vivian aveva una certa età e ciò giustifi-cava le sue posizioni conservatrici. «Ma noi abbiamo appena scoperto che esistono individui che possiedono il Potere ma non lo manifestano» replicò il principe. «Dobbiamo ancora stu-diare tutto e in particolare se e come opera l’energia latente nel loro corpo.» «Comincerete dalla barriera mentale Vostra Altezza?» chiese Sir Andrew, riportando un po’ di calma nella discussione. «Naturalmente. La priorità è la salute e la sicurezza di Ghibli, per cui co-minceremo dal controllo delle energie come da protocollo standard, ma con le modifiche che abbiamo stabilito la settimana scorsa. Vedremo se si rivele-rà efficace anche su una persona adulta. Nel caso non lo fosse, cercheremo di studiarne le cause e trovare delle alternative. Sono convinto che questa prima parte del lavoro sarà fondamentale per farci capire come affrontare il vero e proprio addestramento da Operatore.» «Sono d’accordo» commentò Lady Hyreen. «Domani per prima cosa ti por-terò in biblioteca» disse, rivolgendosi a me. «Ti consiglierò dei libri sul

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Nuovo Potere. Ritengo che la piena consapevolezza di ciò che è stato sia fondamentale per tutto l’addestramento.» «Avete ragione» replicò il principe. «E so già che il vostro aiuto sarà molto prezioso.» «Quest’esperienza ci coinvolge tutti Vostra Altezza, le conseguenze potreb-bero essere di portata storica.» «Questo è tutto da dimostrare» commentò Sir Valerian. «Ma senza un tentativo non ci sarà niente da poter dimostrare» replicò con fermezza Sir Andrew. «Vi ringrazio» disse il principe. «E conto sulla collaborazione di tutti, anche la vostra Lady Vivian.» «Non vi ostacolerò, se è questo che temete» rispose gelida. «Molto bene, direi che possiamo cominciare dopodomani, così sia Ghibli che io avremo modo di riprenderci dal viaggio e nel frattempo potrete co-minciare a leggere dei documenti mentre io andrò a Palazzo per una relazio-ne sulla missione.» Dopo quelle decisioni la conversazione divenne più rilassata, fino a quando il principe si congedò per tornare a Palazzo e Lady Hyreen mi guidò fino alla stanza al piano di sotto che avremmo diviso insieme. Era piccola, con due letti da un lato, una scrivania dall’altro e un armadio accanto alla porta. Il mio bagaglio era stato ordinatamente sistemato sotto la finestra. Presi la sacca che conteneva l’erbario, ma un’improvvisa stanchez-za mi costrinse a sedere sul bordo del letto. Sentivo la testa pulsare e cercai un po’ di sollievo massaggiandomi le tempie. «Come stai?» chiese Lady Hyreen sedendosi accanto a me. Mi sembrarono le prime parole autentiche che sentivo da giorni, ma poi pensai al principe Azalle, a quello che mi aveva detto sulla barca. In quel momento capii che dietro il velo di formalità che lo avvolgeva, si celava una sincera preoccupa-zione nei miei confronti, la stessa che ora sentivo nelle parole di Lady Hyreen. «La mia vita è cambiata completamente nello spazio di tre giorni» risposi. «Lo so e sono preoccupata per te. Ci vorrà molto tempo per rimarginare la ferita.» «Non è stato lo stesso anche per te?» «No, per me fu tutto diverso. Arrivai alla Torre a sei anni, neanche ricordo più la mia vita precedente. Mia madre venne con me e visse qui finché non compii dodici anni. Il distacco fu molto meno traumatico.» «Dove vivevi?» «A Sud, in un villaggio vicino ai Boschi Illuminati.» «Ci torni mai?» «Ma certo» sorrise. Era sicuramente più grande di me di molti anni, ma dall’aspetto ancora giovane, se non fosse stato per le rughe già marcate agli angoli degli occhi. Mi chiesi se dipendesse dallo sforzo di con-trollare le energie.

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«Ho un fratello e una sorella laggiù. Sono più giovani di me e si vantano moltissimo di avere una sorella Operatrice della Torre.» Ridemmo insieme. «Anch’io ho un fratello più piccolo.» «Com’era la tua vita a Sentinella del Deserto?» «Qualcuno forse direbbe ordinaria. Lavoravo nella bottega di un erborista e aiutavo mia madre in casa.» «Molto interessante… quindi conosci bene le piante…» «Soprattutto quelle per unguenti e tisane e da qualche anno avevo comincia-to anche a studiare la flora a ridosso dei primi lembi del deserto e a realizza-re un erbario» dissi, sfilandolo dalla sacca. Lady Hyreen cominciò a sfo-gliarlo con interesse. «Si tratta prevalentemente di arbusti bassi e sempreverdi, alcuni con fiori in primavera. Non si conoscono molto bene le possibili proprietà terapeutiche, per questo quando l’erborista scoprì la mia passione per lo studio delle pian-te mi consigliò di dedicarmici. Ora però non ho idea se lo terminerò mai…» La mia voce rimase sospesa nel silenzio che seguì. «Ne sono più che sicura» mi confortò. «Anzi, qui alla Torre le tue cono-scenze saranno preziose per trovare un rimedio al mal di testa e a tutti i pic-coli effetti collaterali dovuti all’uso prolungato delle energie. Sono certa che insieme porteremo molti cambiamenti positivi.» Il suo entusia-smo era contagioso. «E fintanto che sarai qui, se vorrai, potrai studiare la flora locale, quella del-le rive del lago o dei Giardini Reali… sono davvero magnifici, ne resterai incantata…» Rimasi per un istante in silenzio, riflettendo sulle sue parole. «Se un giorno diventassi Operatrice, dovrei vivere tutta la vita alla Torre?» chiesi infine. «Nei periodi di lavoro sì, ma avresti molto più tempo per viaggiare, per tor-nare a casa e per svolgere missioni, come quando sono venuta a esaminare tuo fratello, mentre ora non potrai allontanarti da Nuova Lun fino alla fine dell’addestramento.» «Tu credi veramente che diventerò un’Operatrice come dice il principe?» «Nessuno può averne la certezza in questo momento. Dobbiamo considerar-ci tutti degli esploratori in una terra sconosciuta. In linea di principio, però, se possiedi il Potere dovresti in qualche modo essere capace di usarlo, come me che lo manifestai a cinque anni. Il problema che dobbiamo affrontare è come permetterti di farlo. Forse sarà più semplice di quello che pensiamo e basterà sottoporti all’addestramento tradizionale o forse dovremo trovare una strada nuova, chi può dirlo?» «Mi sembra che tu e il principe la pensiate allo stesso modo, questo significa che non condividi le idee di Lady Vivian?» «Le sue posizioni sono eccessivamente conservatrici, forse per via dell’età o chissà… e non nego che le preoccupazioni che esprime siano fondate, ma non possono giustificare una rinuncia a priori. In questo sono totalmente

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d’accordo col principe Azalle e anche gran parte dei miei colleghi lo sono, vedrai. Puoi fidarti del principe, per lui preservare il Nuovo Potere viene prima di tutto. Inoltre è una persona molto umana e mi sembra che abbia preso a cuore il tuo benessere.» «Me l’ha fatto capire in diverse occasioni e forse ho accettato per questo, perché m’ispirava fiducia.» «È ben riposta, credimi. Ora sistema le tue cose e riposati. Avremo moltis-simo tempo per parlare domani.» La mattina seguente fu il rumore delle onde sotto la finestra a svegliarmi. Per me si trattava di un cambiamento radicale, dato che a Sentinella del De-serto l’acqua era un bene prezioso e non se ne poteva sprecare nemmeno una goccia. La luce che entrava era chiara, ma non abbacinante come quella di casa e non avevo idea di che ora potesse essere. Lady Hyreen non c’era e io non l’avevo neanche sentita uscire. Decisi di alzarmi e andai alla finestra: vidi il sole spuntare oltre le guglie del Palazzo Reale che svettavano dall’alto della collina. Silenziosamente scivolai nella piccola stanza da bagno, rabbri-videndo per il freddo che non avevo mai provato e quando ne uscii trovai Lady Hyreen seduta sulla sponda del letto ad attendermi. «Hai dormito bene?» «La stanchezza fa miracoli in questo senso…» commentai. Lady Hyreen sorrise. «Bene… Vieni, ti porto a visitare la Torre.» La scala a chiocciola collegava fra loro i quattro piani della Torre. Scen-demmo fino al portone d’ingresso. «Qui c’è la cucina, le stanze della servitù e altri ambienti di lavoro. Per qual-siasi necessità puoi rivolgerti alle cameriere.» Lady Hyreen non diede nessuna importanza alla cosa, forse perché essere servita era scontato per lei, mentre per me costituiva un cambiamento abis-sale, dato che non avevo mai avuto una cameriera in vita mia. Evitai, però, di esprimerle quei pensieri e mi limitai ad annuire. Dopo un breve giro risalimmo al secondo piano, dove c’era la nostra stanza, quella di tutti gli altri Operatori e dei gestori dei flussi. Senza fermarci, rag-giungemmo direttamente il terzo piano, incrociando gruppi di bambini che venivano accompagnati all’ultimo piano, dove si trovava la Sala in cui gli Operatori utilizzavano il Nuovo Potere per liberare i canali dell’empatia. En-trammo in quella che lei definì la Sala delle Riunioni, dove eravamo stati accolti il giorno precedente. «Questa stanza serve un po’ per tutto, dato che lo spazio è limitato. Man-giamo qui, ci riuniamo per discutere dell’ordinaria amministrazione e di e-ventuali problemi o semplicemente riposiamo nelle ore libere» disse, indi-cando i divani. Sulla grande tavola rettangolare al centro era apparecchiato per la colazione. «Vieni, siediti… mangia qualcosa.»

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Sembrava tutto molto invitante: c’era del pane che aveva l’aria di essere sta-to sfornato da poco, vari tipi di marmellata e di frutta fresca. «Il primo turno di lavoro comincia alle sei» mi spiegò. Diedi un’occhiata alla pendola sopra il caminetto e vidi che erano quasi le nove. Non potevo credere di aver dormito così tanto e in un letto sconosciuto per giunta. Lady Hyreen non fece colazione con me, probabilmente era in piedi già da qual-che ora. «L’ultimo turno, invece, finisce a mezzanotte» proseguì. «Ogni Operatore può lavorare al massimo sei ore al giorno; col tempo abbiamo capito che manipolare le energie oltre tale soglia può diventare pericoloso per la salute e ovviamente dopo il turno di lavoro c’è bisogno di un giorno di riposo.» «A quanti bambini puoi liberare i canali in un giorno?» «Non più di cinque o sei; infatti quando siamo a pieno regime, con tutti gli Operatori alla Torre, possiamo liberare i canali dell’empatia a circa sessanta, settanta bambini al giorno, tenendo conto che a ogni turno un Operatore de-ve svolgere il ruolo di Controllore e quindi non lavora direttamente coi bambini, ma monitora l’attività di tutti gli altri e interviene in caso di neces-sità. Dopo il trattamento, i bambini rimangono per ventiquattr’ore nelle ca-sette sulla riva del lago, che penso tu abbia visto quando sei venuta. Se non si verificano effetti collaterali, tipo vomito o eccessivo mal di testa, il giorno dopo sono liberi di tornare a casa.» «E basta per far fronte a tutte le richieste?» «La popolazione è vasta e in continuo aumento: quello che riusciamo a fare non è poco, per i numeri limitati che abbiamo. Resta il fatto, comunque, che se non troveremo presto altri Operatori, il sistema non sarà so-stenibile a lungo.» «Il principe Azalle mi sembra molto preoccupato per questo.» «Quasi ossessionato, direi, ma da quando ha scoperto la tua storia sembra un altro. Forse era la speranza che stava cercando per andare avanti.» Rimasi per un po’ in silenzio, gustando il sapore della marmellata di more e riflettendo sulle sue ultime parole. Più volte il principe mi aveva fatto capire l’importanza della mia storia, ma mi sembrò di esserne veramente consape-vole solo in quell’istante. Forse Lady Hyreen colse il mio turbamento e si affrettò a rassicurarmi. «Non preoccupiamoci di questo adesso, mia cara, piuttosto vieni: c’è una persona che vorrebbe conoscerti.» Uscimmo ed entrammo in una stanza vicina, ingombra di scrivanie e fogli ovunque. Vi sedevano tre uomini e due donne, intenti a scrivere e consultare documenti. «Jeremy, vorrei presentarti una persona» disse Lady Hyreen avvicinandosi a uno di loro. «Questa è Ghibli.» L’uomo, lievemente pingue, ma dal sorriso gioviale, spalancò gli occhi e scattò in piedi all’udire il mio nome. Lady Hyreen rise.

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«Ghibli, questo è Jeremy, l’amministratore dei flussi che ha ricevuto e letto per primo la lettera dell’ufficio del Sovrintendente di Sentinella del Deserto che ci sottoponeva il tuo caso. Gli altri sono testimoni che è letteralmente caduto dalla sedia per la meraviglia!» esclamò. «È un onore per me incontrarvi» mi salutò, inchinandosi profondamente. Nel frattempo anche le altre persone presenti si erano alzate e ci avevano circondato per la curiosità di vedermi. Chiacchierammo per qualche minuto e io feci domande sul loro lavoro. Mi spiegarono che quella era la sala ope-rativa e che qualsiasi notizia sul Nuovo Potere arrivava direttamente lì. Ogni giorno gestivano centinaia di messaggi provenienti dalle Sovrintendenze di tutta Elgar ed erano loro a stabilire il numero giornaliero di bambini che ar-rivava alla Torre e a organizzare il viaggio. «È un lavoro immane» commentai, vedendoli solo in cinque. «Dobbiamo lavorare giorno e notte per mantenerlo efficiente. In questo momento i colleghi degli altri turni stanno riposando» spiegò il signor Jeremy. Scambiammo qualche altra battuta, finché Lady Hyreen disse che dovevamo lasciarli lavorare. «Non è possibile per loro fare una pausa?» chiesi quando fummo sole nell’atrio del terzo piano. Lady Hyreen scosse la testa. «Ci potremmo paragonare agli ingranaggi di un orologio. Tutti devono sape-re cosa fanno gli altri e lavorare allo stesso ritmo, altrimenti il meccanismo s’inceppa. Per programmare i flussi di bambini in arrivo bisogna sapere quanti Operatori disponibili ci sono ogni giorno alla Torre e questo ci obbli-ga a pianificare tutto: missioni, licenze, nuovi addestramenti…» «E se qualcuno si ammala?» «Non lavora solo se la malattia è incompatibile con l’uso delle energie em-patiche» rispose, aprendo una porta e guidandomi dentro. Le sue parole mi lasciarono addosso un’impalpabile sensazione di disagio, su cui non potei soffermarmi, perché la mia attenzione era già stata catturata da quella nuova stanza. Quando entrai, fui accolta da una fitta penombra che si dissolse non appena Lady Hyreen scostò le pesanti tende nere alle finestre. Quando la luce inon-dò la stanza, mi resi conto di essere in una biblioteca. Non era molto grande, come nessuna delle stanze che avevo visto fino a quel momento. Le pareti erano interamente ricoperte di scaffali di libri fino al soffitto e anche sopra il camino erano stati ricavati degli spazi per i libri. Al centro c’era solo un ta-volo circolare per la lettura. Sbirciai fra gli scaffali, ma la gran parte dei titoli che mi capitò sotto gli oc-chi erano saggi di storia o manuali. Nel frattempo, sembrava che Lady Hyreen stesse cercando un libro in particolare. «Fin da quando ho saputo che saresti venuta alla Torre per l’addestramento, ho pensato che ti sarebbe stato utile leggere il saggio di Cyril Run sul Secolo

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dei due Abissi e l’avvento del Nuovo Potere» disse, porgendomi un volume dalla rilegatura verde scuro. «A me è servito molto per capire cause e conseguenze della guerra» disse. La ringraziai, prendendo il libro fra le mani. Mi spiegò dove avrei potuto trovare altri testi utili e poi mi lasciò sola. Respirai profondamente, dall’esterno arrivava il rumore ovattato delle onde, un suono onnipresente in quel luogo, a cui avrei dovuto abituarmi. Indugiai ancora un po’ alla ricerca di qualcosa sulle piante, ma, non trovandone, mi sedetti al tavolo e comin-ciai la lettura. Le ore scivolarono via silenziose e solo il ritorno di Lady Hyreen con degli spuntini per il pranzo mi fece tornare cosciente del tempo che era trascorso. Mi trovò alla finestra, intenta a fissare l’acqua e mi chiese se stessi bene. «Sapevo che questo lago è in realtà un enorme cimitero» risposi, senza vol-tarmi. «Ma mi sembra di averlo capito davvero solo adesso… non so se rie-sco a spiegarmi.» «Le cronache raccontano che quando Helessar di Korr fece concentrare le energie mentali degli uomini e delle donne che aveva soggiogato contro la grande diga di Odycea, a nord di Lun, le acque del Lisan, non più trattenute, si abbatterono sulla città senza lasciare scampo. Si stima che neanche un ter-zo della popolazione si salvò e le acque continuarono a restituire cadaveri per mesi e mesi» spiegò. «Helessar di Korr…» bisbigliai. Quel nome infranse l’effetto ipnotico che il movimento delle onde contro la base della Torre aveva su di me. Mi voltai verso di lei e mi avvicinai al tavolo di lettura. «Oggi quel nome lo usano le mamme per spaventare i bambini.» Lady Hyreen sorrise alla mia osservazione. «Non a caso è lui il primo responsabile dei quarant’anni di guerra e attentati che per poco non hanno distrutto la nostra civiltà» commentò. «Cyril Run ne fa una descrizione molto dettagliata» aggiunsi. «La sua ambi-zione era di riunire le tribù di Korr e conquistare Elgar e finché poté portò avanti il suo piano senza mai un’esitazione o un turbamento per le migliaia di morti o per la distruzione che, come una scia, si portava dietro…» «Chissà… forse senza di lui il nucleo originario del Nuovo Potere non si sa-rebbe concepito» disse Lady Hyreen con gravità. «In che senso?» «Se al posto di un condottiero carismatico e spietato come Helessar ci fosse-ro stati dei singoli capi tribù o il Gran Seggio a portare avanti il tentativo di riunificare tutte le tribù di Korr per invadere Elgar, il nonno del principe A-zalle, il barone Joslyn, non avrebbe concepito l’idea di usare la mutazione delle sue energie empatiche per cercare di fermare le atrocità di quell’uomo.» «Cos’è successo esattamente dopo la distruzione di Lun? Come ha fatto il barone a fermare Helessar?»

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«Dovresti fartelo raccontare dal principe in persona. Per lui il nonno era un eroe e da quando è morto, qualche anno fa, qualcosa è cambiato in lui. Or-mai lo conosco da molto tempo e sono convinta che la battaglia personale che sta combattendo per non far estinguere il Nuovo Potere è nata con quel lutto.» «Mi spiegheresti l’origine della mutazione delle energie empatiche?» «Tutti quelli che hanno studiato la questione sono abbastanza concordi nel collocarne l’origine durante la I Guerra di Korr, combattuta più di trecento anni fa. Quella fu la prima volta che Korr tentò di conquistare Elgar senza riuscirci. Il mondo era molto diverso allora e la guerra scoppiò per altri mo-tivi.» «Per il controllo delle tecniche di guarigione.» «Esatto. L’antica Korr, a differenza di Elgar, ha subito fortemente il potere delle tribù, che si erano riunite in una Federazione guidata dal Gran Seggio, ma il cui potere era sempre stato poco più che formale. I capi tribù erano i veri padroni di Korr e non c’era quasi nulla che potesse fermare i loro piani.» «Chi fece scoppiare la I Guerra di Korr?» «Furono le tribù del Kamshir e di Lycit a tentare di conquistare Elgar.» «E quali erano i loro poteri?» «Tra quelle genti prevaleva il dono della proiezione e della prigione menta-le. Si trattava di poteri molto aggressivi per l’organismo delle persone che li manifestavano e quindi alla fine fu chiaro che queste tribù desideravano im-possessarsi delle tecniche di guarigione e monitoraggio con gli schermi e i tracciati mentali che ancora oggi sono gelosamente custoditi dall’Ordine dei Monaci Guaritori. Dover dipendere da Elgar per far curare la loro gente venne considerato un elemento di debolezza da superare, per questo i capi tribù decisero una marcia dei loro eserciti per la conquista dei monasteri di Elgar che, ovviamente, il Gran Seggio non riuscì a fermare e alla fine fece finta di appoggiare per non spaccare la Federazione. «Il tentativo fallì perché Elgar era una repubblica solida con un esercito for-te, ma le tribù di Korr fecero un uso spaventoso dei loro poteri mentali e fu proprio questo a determinare le mutazioni delle energie empatiche che si ve-rificarono nei secoli successivi.» «In che modo?» «I maggiori studiosi di quegli eventi come Reyd Isbor e Liam Ferdy affer-mano che l’uso prolungato della prigione mentale sui soldati di Elgar ha sca-tenato una reazione imprevedibile con le comuni energie empatiche, che si è manifestata nelle generazioni successive, nei figli e nei nipoti di questi sol-dati, per intenderci. È come se lo stress della prigione mentale avesse lascia-to una traccia latente nei soldati di Elgar, che poi si è scatenata nei loro figli.» «E così anche il nonno del principe ha ereditato questa mutazione?» chiesi.

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«Quando è stato possibile ricostruire un quadro completo sulle origini del Nuovo Potere si è scoperto che un lontano parente del barone Joslyn, il fra-tello della bisnonna, era comandante di una compagnia di cavalieri che ave-va combattuto nella I Guerra di Korr nei dintorni del passo di Selway. Ecco quindi che tutte le tessere del mosaico combaciano…» disse. «Ho letto che quando comparvero i primi sintomi di queste mutazioni si pensò a un’epidemia sconosciuta.» «È vero… ma l’ipotesi fu presto scartata perché quella che consideravano una malattia non aveva le caratteristiche di un’epidemia, non vi era contagio e i casi che si verificavano erano distribuiti in modo irregolare sul territorio di Elgar.» «In cosa consisteva esattamente la mutazione?» «La comune empatia e cioè la capacità di immedesimarsi e sentire le emo-zioni di un’altra persona, comparve sotto forma di energia dinamica, capace di concentrarsi in un flusso, che poi non è altro che il nucleo dell’attuale po-tere. Ma ci vollero secoli per arrivare a capirlo: all’inizio i gravi sintomi co-me le nausee e le crisi epilettiche portarono completamente fuori strada. Fu-rono costruiti degli ospizi dove i bambini venivano tenuti in isolamento, perché all’inizio molte delle persone che li curavano vennero colpite da cor-renti di energia incontrollabili, riportando gravi ustioni che in alcuni casi fu-rono fatali.» «Come si capì la verità su questi sintomi?» «Si mobilitarono tutti i più grandi medici e studiosi della repubblica e i Mo-naci Guaritori diedero un grande contributo. Paradossalmente la scoperta più importante venne dallo studio delle persone che erano sopravvissute al con-tatto con quelle nuove energie. Quando ci si rese conto che tutte manifesta-vano livelli di empatia fuori dalla norma fu chiaro che non poteva trattarsi di un caso, ma dell’esposizione a quei flussi di energia. Quello fu il punto di partenza per risolvere il mistero: s’intuì l’esistenza dei canali dell’empatia, la loro morfologia e il funzionamento. Vennero sperimentate tecniche di au-tocontrollo per evitare gli accumuli di energia e alleviare le nausee e le crisi epilettiche. Si studiarono tecniche per rendere sicuro il passaggio delle ener-gie. A essere sinceri, gran parte delle conoscenze e delle procedure che uti-lizziamo oggi nell’addestramento di un Operatore vengono da quei due se-coli di studi ed esperimenti che però s’interruppero bruscamente quando scoppiò la II Guerra di Korr, circa un secolo fa. Helessar, capo della tribù di Ilith, cominciò a conquistare una a una tutte le altre tribù e a riunificarle sot-to il suo vessillo. Elgar si mobilitò perché fu presto chiaro che Helessar a-spettava solo il momento propizio per invaderci, il che avvenne con la con-quista del promontorio di Horn, battaglia che finì nella strage dei soldati di Elgar presso Keris.» «Già, ho letto del faro e della catalizzazione-trappola» commentai.

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«All’epoca il barone Joslyn aveva circa tredici anni e a causa della mutazio-ne aveva vissuto quasi tutta la sua vita nel Monastero dei Monaci Guaritori di Lun, dove lo avevano curato con tutte le tecniche a disposizione. Dopo circa due anni dalla strage di Keris, Helessar riorganizzò l’esercito e marciò su Lun, che fu quasi del tutto spazzata via dal crollo della diga di Odycea. Neanche un terzo della popolazione si salvò e i pochi membri su-perstiti del Gran Consiglio della Repubblica, fra cui il barone Joslyn e suo padre, chiesero d’incontrare Helessar per trattare la resa. Il senso di sconfitta incombeva come un macigno, ma in mezzo a quelle macerie si sprigionò la scintilla che ci avrebbe salvato.» «Intendi dire l’idea di usare il potere del Barone Joslyn su Helessar?» «Proprio così: fu quella la primissima volta in cui si pensò di usare volonta-riamente la mutazione delle energie empatiche su qualcuno. Il bisnonno del principe insistette con il Gran Consiglio affinché suo figlio usasse il Nuovo Potere su Helessar e la richiesta fu accolta quasi con disinteresse, forse per-ché si pensava che tutto fosse già perduto e invece fu ciò che salvò Elgar dall’invasione di Korr.» «C’è molto mistero sulla fine di Helessar» commentai. «Non sulla sua morte» precisò Lady Hyreen. «È documentata: venne giusti-ziato il ventuno del X mese del 1248, poco più di un anno dopo la distruzio-ne di Lun. Il vero mistero è cosa sia accaduto a Helessar in quel periodo. Le sue tracce si perdono completamente dal giorno dell’incontro con il barone Joslyn, finché non venne ritrovato nel monastero dei Monaci Guaritori a Herlihy e arrestato. L’unica cosa certa è che abbandonò il comando delle truppe, le quali si ritrovarono allo sbando e questo permise a Elgar di riorga-nizzare le difese e respingere l’esercito di Helessar entro i confini di Korr.» «C’è una leggenda su di lui che mi hanno raccontato molte volte» aggiunsi. «Si dice che qualcuno continuò a portare fiori sulla sua tomba per molti an-ni.» Lady Hyreen sorrise. «La conosco anch’io e sono convinta che dietro la storia dei popoli ci sia sempre prima di tutto la storia delle persone…» «Il comportamento di Helessar si può spiegare solo con il cambiamento del-la sua empatia, non è vero?» «È evidente» rispose. «Probabilmente in lui si è aperta una porta che per la prima volta gli ha fatto sentire il dolore e la disperazione intorno a sé e la prima reazione è stata quella di fuggire e nascondersi dall’orrore che aveva causato.» «Purtroppo però la fine di Helessar fu per Elgar solo l’inizio di una nuova tragedia.» «Non a caso è chiamato il Secolo dei due Abissi» sospirò. «Come ben sai, fu possibile ricacciare Korr dentro i suoi confini solo con l’aiuto delle città-stato del sud, con cui si era concluso un frettoloso accordo. Le tre città si riunirono in una Lega e marciarono in nostro aiuto, ma non appena Korr fu sconfitta quell’aiuto si trasformò in una nuova guerra.»

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«La Lega cercò di conquistare Elgar.» «Esattamente. Lun era distrutta e il Gran Consiglio della Repubblica pro-fondamente indebolito dai numerosi morti. Le uniche energie vitali erano costituite dal 26° barone di Alcammar e da suo figlio Joslyn, poco più che quindicenne. Il successo contro Helessar, anche se ancora negato da molti, li spinse a insistere su quella strada.» «Che cosa fecero?» «Riunirono tutti gli Elgari che possedevano il Nuovo Potere e crearono una rete. S’introdussero in mezzo agli eserciti e nei palazzi della Lega, raggiun-sero uno a uno ogni singolo comandante e utilizzarono il Potere su di loro. Fu un’impresa eroica perché dopo alcune battaglie in campo aperto, iniziò una vera e propria guerra civile, fatta di attentati e imboscate da nord a sud. La gente sapeva che la Repubblica non aveva più un vero esercito, così or-ganizzò spontaneamente una resistenza armata. Furono anni drammatici. Il popolo era in ginocchio, la guerra paralizzò gran parte delle attività umane e spostarsi attraverso il territorio di Elgar divenne molto pericoloso. Ci vollero trentacinque anni per minare dall’interno il potere della Lega e costringerli alla resa. Non c’è da meravigliarsi se il principe venera suo nonno.» «Come si è arrivati alla pace finale?» «Con un’ultima grande battaglia a sud di Beresford, grazie all’esercito che il barone Joslyn riuscì faticosamente a mettere insieme. Migliaia di uomini morirono quel giorno, ma credo che alla fine fu l’orgoglio a prevalere sulla disperazione: il popolo di una terra martoriata trovò la forza di sconfiggere un nemico che minacciava di travolgerlo e ci riuscì grazie alla guida del ba-rone, un uomo che aveva lottato e sofferto con loro.» «Chi decise di proclamare i baroni di Alcammar reali di Elgar?» chiesi. «Nessuno, se non il popolo a gran voce. Voglio dire, fu un fatto scontato. Del Gran Consiglio della Repubblica non restava quasi più niente. Solo gli Alcammar avevano guidato la resistenza e combattuto per la libertà. Non ci fu alcun dubbio su chi affidare le redini della ricostruzione, sia materiale che amministrativa. Korr accettò spontaneamente di unirsi al nuovo regno di El-gar e le tribù furono definitivamente sciolte. Anche le città-stato del sud en-trarono a far parte del regno e Nuova Lun venne ricostruita come città reale. Furono costituite le Sovrintendenze per garantire un’efficiente amministra-zione locale. Il resto, credo, è realtà dei nostri giorni.» Dopo questo racconto restammo per un po’ in silenzio. «Mi sembra di aver fatto un lungo viaggio» dissi infine. «E solo per sommi capi, mia cara» ribatté Lady Hyreen sfiorandomi un braccio. «Il racconto di Cyril Run è molto più interessante, ma adesso fac-ciamo una pausa, potrai ricominciare più tardi le tue letture. La cuoca ci ha preparato del succo d’arancia e dei panini allo zenzero.» Detto questo ci sedemmo a tavola.

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«Avevi ragione» dissi dopo un po’. «Su cosa?» «Avevo bisogno di queste letture. La consapevolezza di quello che è stato mi sarà di grande aiuto nell’addestramento.» Lady Hyreen sorrise e insieme continuammo a mangiare.

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III. IL RACCONTO DI AZALLE Il giorno seguente arrivai alla Torre dopo aver presieduto alle udienze del mattino con mio padre e mio fratello e trovai Ghibli ad attendermi sul picco-lo molo. Indossava una semplice tunica dalle sfumature avorio e aveva rac-colto in una treccia quegli splendidi capelli rossi che, dopo il nostro primo incontro, mi ricordavano sempre il tramonto di fuoco a Sentinel-la del Deserto. Quando scesi dalla barca e mi avvicinai, s’inchinò davanti a me come aveva fatto il giorno del nostro primo incontro, un gesto che dagli altri accettavo come un tributo scontato ma che da lei rifiutavo incomprensibilmente. «Vi prego Ghibli, oggi cominciamo un cammino difficile e queste formalità non fanno altro che creare distanza fra noi» le dissi, prendendole la mano per farla rialzare e condurla all’interno. «Se anche voi siete d’accordo, vor-rei chiedervi di darci del tu, almeno per il tempo dell’addestramento.» Ral-lentò il passo e mi fissò con uno sguardo sorpreso. «Forse avete ragione, ma non sarà facile. Ci proverò.» Per le scale incontrammo Lady Emily, una delle Operatrici, che accompa-gnava un gruppo di bambini appena arrivati con i loro genitori nella sala d’attesa al terzo piano. «Buongiorno Vostra Altezza» mi salutò con un inchino. «È un piacere rivedervi Lady Emily. Avete già conosciuto Ghibli?» Entrambe annuirono. «Ci siamo presentate ieri pomeriggio. Buon lavoro Vostra Altezza.» «Anche a voi» risposi, congedandola. In quel momento incrociammo Lady Hyreen che scendeva le scale. «Siete in ritardo Vostra Altezza.» «Avete ragione, le udienze si sono prolungate più del dovuto, ma da oggi sono a vostra completa disposizione!» «Non accadeva da mesi» replicò con un sorriso. «Di sopra è tutto pronto.» «Molto bene, a più tardi.» «Siate prudente.» «Lo sarò» risposi, cogliendo molti sottintesi in quelle poche parole. Guidai Ghibli fino all’ultimo piano, dove sapevo che Lady Hyreen non l’aveva condotta perché era permesso solo agli Operatori e ai bambini che venivano sottoposti all’addestramento o al Nuovo Potere. Anche alla servitù era vietato salire. La feci entrare nella Sala dell’Addestramento, adiacente a quella in cui stavano lavorando gli Operatori.

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«È quasi buio» disse, esitando sulla soglia. La presi per mano e la guidai fi-no al tavolo al centro della sala. «Ci abitueremo presto alla penombra. Purtroppo è inevitabile e presto capi-rai il perché: quando inizieremo a manipolare le energie latenti dentro di te, nella mente esse ti appariranno come una luce abbacinante e se nella stanza ci fosse anche il sole, gli occhi non riuscirebbero a sopportarlo.» «Ho avvertito una strana sensazione entrando… non saprei spiegare… come d’isolamento: il mondo esterno mi sembra quasi scomparso.» «La tua empatia è forte. Di solito ci si accorge di questa cosa dopo un po’. Non è una sensazione piacevole, ma è stato necessario schermare le pareti per evitare pericolose fuoriuscite di energia causate dall’inesperienza.» Dopo qualche minuto mi abituai alla flebile luce che penetrava attraverso le pesanti tende scure alla finestra. «Che cos’è quest’oggetto contro la parete?» chiese. Probabilmente anche i suoi occhi si stavano abituando all’oscurità. «È un proiettore d’immagini mentali. Lo useremo subito» spiegai. Poi spo-stai il piccolo tavolo di lato e ci sedemmo uno di fronte all’altra. «Dobbiamo cominciare dalla respirazione. Facciamola insieme: prolunga il respiro finché non senti i polmoni riempirsi completamente e poi fai uscire lentamente aria dalla bocca. Dobbiamo rallentare i battiti del cuore e il ritmo della respirazione, renderla più profonda e cercare di rilassare il corpo.» Le tenevo il polso per controllare che i battiti rallentassero. Era piacevole sentire solo il suono dei nostri respiri, assomigliavano alle onde del mare. All’improvviso mi resi conto che quello era il suono più primordiale della vita e che io ne avevo una fra le mani, incantevole e sconosciuta, ma anche coraggiosa, perché aveva lasciato tutto per affidarsi a me. Rabbrividii a quel pensiero e capii di essermi già addentrato in un sentiero inesplorato, perché lei non era una bambina, come tante che erano passate per quella stanza, ma una donna, una vita con radici già profonde, che sarebbe stato difficile mo-dellare secondo le necessità del Nuovo Potere. Dove ci avrebbe portato tutto ciò? «Credo che funzioni» disse dopo un po’. La sua voce mi riscosse da quei pensieri e tornai a concentrarmi sul momento presente. Mi alzai per massag-giarle le spalle e il collo e sentii che non c’era tensione. «Temo di aver ripetuto fin troppe volte che in queste prime settimane a-vremmo lavorato sul controllo delle energie, ma non credo di averti spiegato in concreto in cosa consiste.» «Effettivamente no… ma immagino si tratti di tecniche per evitare quello che è successo a mio fratello.» «Proprio così. Ti aiuterò a costruire una barriera mentale entro cui concen-trare l’energia, in modo che nessuno stimolo esterno la faccia disperdere. Dovrai arrivare a capire prima di tutto in quale punto del corpo visualizzarla e sotto quale forma.» «Che intendi per forma?»

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«Per esempio io, fin dall’inizio, ho immaginato la mia barriera come un giardino circondato da un muro altissimo. Se non ricordo male, Lady Hyre-en vede la sua barriera come un baule di legno massiccio e cose del genere…» «Cosa dovrei fare?» «Dobbiamo trovare il modo di stimolare in te la costruzione di una barriera che protegga la tua mente.» «Protegga da cosa?» «All’inizio da immagini spiacevoli, per questo ci occorre un proiettore. Quando la barriera si sarà fortificata, la useremo per concentrarvi le energie empatiche disperse nel tuo corpo. Non so se su di te funzionerà, stiamo an-dando per tentativi. Di solito nei bambini proiettiamo immagini sgradevoli che hanno colori abbaglianti, rumori acuti e trasmettono prevalentemente sensazioni di caos o di abbandono. Nel tempo si sono rivelate le più efficaci per costringere i bambini a generare spontaneamente una barriera che li pro-teggesse. Ma temo che su di te non abbiano nessun effetto, per cui abbiamo pensato di programmare la macchina con un altro tipo d’immagini. Vieni.» La feci sedere davanti al proiettore e lo sintonizzai sulle sue onde cerebrali, ma prima di accenderlo esitai qualche istante. «Questa sarà una delle fasi più impegnative» dissi infine. La sentii sospirare. «Va bene, sono pronta.» «Per ora osserva e basta, lasciale scorrere nella tua mente. Quando sarai stanca le interromperò.» Accesi il proiettore e mi sedetti accanto. Non potevo vedere le immagini perché erano sintonizzate su di lei, ma le ricordavo bene, le avevo seleziona-te personalmente prima di partire per Sentinella del Deserto. La gran parte veniva dagli archivi mentali di Stella del Mattino e di Beresford e documen-tavano gli orrori della guerra con la Lega del Sud. Abbandonai quei pensieri e mi concentrai sulle reazioni di Ghibli, su ogni suo ansito e sussulto. Mi scoprii a temere che la sua mente non le avrebbe sopportate. Un pensiero che non mi aveva minimamente sfiorato quando le avevo selezionate, ma ora, sentendola irrigidirsi e coprirsi gli occhi con le mani, mi fu chiaro il perché: prima non la conoscevo ed ero concentrato e-sclusivamente nel tentativo di prevedere tutte le modifiche necessarie all’addestramento. Ora invece avevo accanto una persona vera e mi preoc-cupavo per la sua salute. Improvvisamente mi chiesi se in questo modo non rischiavo d’indebolire lo slancio verso l’obiettivo di salvare il Nuovo Potere. «Spegnilo, ti prego spegnilo…» La voce le si spezzò e si aggrappò al mio braccio. Spensi il proiettore e le versai un bicchiere d’acqua. «Sono spaventose» ansimò. «Proiettate direttamente nella mente, sembrano miei ricordi… è stato terribile.» «Lo so» replicai, cercando di mantenere un tono fermo. «Quando le riproiet-terò devi cominciare a cercare il modo di difenderti. Per prima cosa usa la respirazione per controllare il panico e poi concentrati nella ricerca di un

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luogo mentale dove rifugiarti per non sentire il dolore che ti trasmettono. Riesci a capire cosa voglio dire?» «Sono vere?» «Sì, sono i ricordi della guerra contro la Lega degli abitanti di Beresford e Stella del Mattino.» «Le fermerai quando te lo chiederò?» «Stavolta no. Lo programmerò per cinque minuti e non potrò in-terromperlo.» «Perché?» «Perché dovrai trovare tu un modo per interromperle.» «Non credo che ci riuscirò.» «Ci vorrà tempo e molta forza di volontà» dissi. Programmai e riavviai il proiettore. Avvicinai ancora di più la mia sedia alla sua, perché l’unico modo con cui potevo aiutarla era farle sentire la mia pre-senza fisica. Dopo poco cominciò a gemere, poi a piangere e infine a gridare e a supplicarmi di spegnerla. La strinsi a me, ma non dissi una parola: dove-va trovare da sola il modo di reagire. I minuti mi sembrarono interminabili e quando finalmente il proiettore si spense, Ghibli premette ancora più forte la fronte contro la mia spalla. «Mi scoppia la testa» mormorò. Non risposi, ma continuai a stringerla a me. Sapevo per esperienza personale che il contatto umano era di grande sollie-vo in quei momenti e mi faceva piacere che Ghibli non si fosse trattenuta per rispetto nei confronti del mio rango. Forse significava che si fidava di me. «Com’è andata?» «Non sono riuscita a concentrarmi, ero completamente in balia delle immagini.» «È normale, ma dobbiamo continuare.» «Ti prego… lasciami riposare un po’. Non possiamo riprendere più tardi?» «No, se la tua mente ha tempo di riprendersi non sarà spinta a cercare il mo-do di costruirsi una barriera. Dobbiamo insistere adesso.» Sordo alle sue suppliche, riprogrammai il proiettore allungando il tempo di un minuto e lo avviai. Sarebbe stata una mattinata molto lunga, così bevvi anch’io dell’acqua e cercai di trasmetterle sicurezza e determinazione, ma non era facile resistere a quelle grida. Con i bambini era tutto diverso, si fa-ceva leva sul gioco e sulle loro naturali paure, ma non c’era la sofferenza che sentivo in lei. Quando arrivammo a dieci minuti di seguito, Ghibli vomitò. «Devi reagire» la spronai. «Cerca un luogo dove le immagini non possono entrare.» «Non so come fare» mormorò fra le lacrime. «Concentrati su qualcosa di bello, un ricordo, un luogo. Tieni lontane le immagini e intorno a quel luogo costruisci una barriera, un muro, una porta, una cassaforte… qualcosa che lo protegga.» Riaccesi immediatamente il

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proiettore, non potevo permetterle di riposare troppo a lungo, altrimenti a-vremmo dovuto ricominciare da capo. In quella penombra non riuscivo a distinguere le lancette dell’orologio sul muro e mi sembrò che fosse passata un’eternità prima di percepire un cam-biamento in lei: smise di gridare e sentii che era molto tesa. Riconobbi i primi segnali di una reazione e sospirai di sollievo. «Ho pensato a quel pomeriggio nel deserto…» disse fra le lacrime quando il proiettore si spense per l’ennesima volta. «Quando ho cominciato a cercare le prime piante per il mio erbario. Sono riuscita a escluderne la maggior parte.» «Molto bene!» esclamai, sospirando di sollievo. Le strinsi la mano e mi ac-corsi che era madida di sudore. «Ora devi pensare solo a proteggere quel ri-cordo. Devi costruirgli intorno qualcosa di solido… una barriera.» Quando riaccesi il proiettore sentii la sua mano tremare e la strinsi più forte. Riprovammo molte volte. Come già sapevo, quel ricordo era solo un punto di partenza; infatti in alcuni momenti ricominciò a gridare e solo dopo venti-cinque minuti di seguito di proiezione fui ragionevolmente sicuro che era-vamo ormai prossimi all’obiettivo. «Se mi concentro nel punto fra gli occhi mi è più facile esclude-re le immagini.» «Devi insistere su questo allora.» «Sai, quando il proiettore è ripartito quest’ultima volta, ho ripensato inspie-gabilmente alla scatola di latta dove mia madre tiene i fili e gli aghi da cuci-to. È una scatola dalle borchie dorate, con dei piccoli motivi floreali. Allora ho pensato d’infilarci dentro il ricordo di quel primo giorno nel deserto e mi sono sforzata di aggiungere più particolari possibili, per cercare di escludere le immagini del proiettore. Sono riuscita a non vederle quasi per niente…» Parlava con un filo di voce, ma la sua soddisfazione era evidente. Ripro-vammo di nuovo, ma eravamo entrambi esausti, così ci fermammo. Quando uscimmo dalla sala, la luce delle scale mi ferì gli occhi. Mi accorsi che il sole stava per tramontare, doveva essere pomeriggio inoltrato e noi non mangiavamo dall’ora di colazione. Ghibli si appoggiava alla porta e si copriva gli occhi con le mani. Mandai a chiamare Lady Hyreen e la tenni stretta mentre lentamente scendevamo le scale, perché avevo paura che svenisse. Lady Hyreen ci venne incontro, seguita da due cameriere. Prese Ghibli fra le braccia e l’aiutò a camminare. «Vieni cara, devi mangiare e riposarti.» «Mi fa male la testa» mormorò. «Lo so, è normale purtroppo. Ti darò un rimedio molto efficace, non preoc-cuparti. Vieni ora, devi recuperare le forze.» Lady Hyreen non disse niente, ma il lungo sguardo che ci scambiammo fu più eloquente di un discorso intero: nello spazio di sei ore ci eravamo già addentrati in un territorio sconosciuto e ne eravamo entrambi consapevoli.

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Vedendo lo sfinimento di Ghibli, cominciai per la prima volta a chiedermi se l’addestramento potesse danneggiare una mente adulta che non aveva la capacità di adattamento di quella di un bambino. La risposta fu quasi auto-matica: sarebbe stata Ghibli a rivelarcelo, a rischio della sua vita. Quel pen-siero mi fece rabbrividire. Mi ritirai nella mia stanza, dove i bagagli erano già stati sistemati negli scaf-fali e negli armadi. Chiesi che mi portassero la cena in camera: quella sera non avevo le forze per sostenere una conversazione con gli altri Operatori e specialmente con Lady Vivian, anche se sapevo che avremmo dovuto tenere un Consiglio molto presto. Mangiai svogliatamente e andai subito a letto ma non riuscii a riposare. Caddi in un sonno agitato da cui mi destò un bussare ripetuto alla porta. All’inizio lo scambiai per un sogno, ma quando riconobbi la voce di Lady Hyreen che mi chiamava sommessamente, mi svegliai di colpo al pensiero che fosse successo qualcosa a Ghibli. Doveva essere quasi l’alba, perché una pallida luce già filtrava tra le tende. Mi alzai di corsa, afferrai una vestaglia e aprii la porta. «Cos’è successo?» «Ha delirato tutta la notte e ora le è salita anche la febbre. Ho aspettato che almeno facesse giorno per chiamarvi. L’ho controllata e ho visto che i ricor-di del proiettore le hanno causato un sovraccarico dei centri nervosi. Le ab-biamo dato subito cinque gocce di kyshal per aiutarla a smaltire le immagini.» «Forse sarebbe prudente prepararle anche un decotto per la febbre. Che ore sono?» «Le sei.» «Fra un’ora terremo un Consiglio, potete avvertire tutti gli Operatori non di turno? Intanto vorrei vederla.» A quelle parole Lady Hyreen spalancò gli occhi. «Mio Signore, lo ritengo sconveniente.» «Non è il momento di pensare all’etichetta. Ce ne preoccuperemo dopo l’addestramento» replicai, dirigendomi verso la stanza di Ghibli. Quando entrai, una cameriera, che le stava applicando degli impacchi sulla fronte, s’inchinò quando mi riconobbe e uscì. Nel letto, Ghibli si rigirava, mormo-rando parole incomprensibili. Aveva le guance arrossate e la mano che le strinsi era calda e sudata. Lady Hyreen mi raggiunse quasi subito. «Credo che un decotto calmante sia necessario e anche un’altra dose di kyshal» le dissi sottovoce. «Gliel’abbiamo data solo due ore fa. Dobbiamo aspettare ancora.» «Chiederò consiglio a Lady Vivian, lei ha più esperienza di me.» «Preparatevi a un’altra discussione allora» commentò, uscendo dalla stanza. «Vado in cucina per il decotto.» Quando rimasi solo, mi sedetti sulla sedia accanto al letto e cominciai ad ac-carezzarle la fronte bruciante.

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«Andrà tutto bene» sussurrai. «Sei stata coraggiosa. Io sono qui, non ti la-scerò per nessun motivo, affronteremo qualsiasi cosa insieme.» Sentii che stringeva con più forza la mia mano, ma continuava ad agitarsi nel letto. At-tesi il ritorno di Lady Hyreen e l’aiutai a farle bere il decotto. Dopo un po’ sembrò che Ghibli si fosse tranquillizzata. Il respiro era più profondo e ave-va smesso di rigirarsi. Allora la lasciai alle cure di Lady Hyreen e andai a vestirmi per presiedere il Consiglio. «Allora siamo qui per discutere dei primi feriti?» esordì Lady Vivian con tono tagliente quando ci fummo seduti attorno al tavolo della Sala delle Riu-nioni. «Se non vi conoscessi bene, direi quasi che state godendo delle difficoltà al-trui.» Fui subito molto diretto, quello non era affatto il momento di farsi tra-scinare in una guerra di logoramento con Lady Vivian. Eravamo in otto, quattro Operatori erano di turno e uno in missione. Su mia richiesta, anche Lady Hyreen era stata dispensata dai turni, per essere di supporto all’addestramento di Ghibli e in quel momento ringraziai il cielo per quell’intuizione: mi sedeva accanto e la sua presenza ferma e rassicuran-te costituiva per me un punto di riferimento. «Vi ho convocato per un primo rapporto e per decidere insieme il da farsi.» Descrissi gli eventi del giorno precedente e le condizioni di Ghibli. «Lady Hyreen l’ha controllata e ha trovato un sovraccarico mentale dovuto alle immagini» spiegai. «Un ottimo risultato dopo solo sei ore di addestramento» non mancò di commentare Lady Vivian con crudele sarcasmo. «Il punto non è questo» la interruppe Lady Hyreen con tono gelido. «Nelle precedenti riunioni abbiamo vagliato attentamente le modifiche da apportare a questa fase di costruzione della barriera mentale. Nonostante sia stata una dura prova per Ghibli, continuo a ribadire che in un adulto solo le immagini di devastazione sono sufficientemente destabilizzanti da far scattare il mec-canismo compensativo della barriera mentale.» «Io avevo proposto immagini di squilibrio» intervenne Sir Albert pensiero-so, grattandosi la corta barba bionda. «Non è forse questo il momento di ri-prenderle in considerazione?» «Temo che gli effetti collaterali come vomito, capogiri o svenimenti sareb-bero stati anche peggiori, di questo sono abbastanza sicuro» replicai. «Ma la domanda è un’altra: Lady Hyreen ha ragione, alla fine la scelta di due setti-mane fa si è rivelata efficace, perché Ghibli è riuscita a creare una barriera e a respingere le immagini. Il mio timore, però, è di aggravarle il sovraccarico e causarle danni cerebrali se continuiamo su questa strada e anche se lo sa-pete meglio di me, vorrei sottolineare che è necessario andare avanti, dato che non siamo neanche entrati nella fase di consolidamento della barriera per renderla un riflesso automatico.»

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«A questo punto non vedo altra alternativa se non quella di diminuire la fre-quenza e allungare i tempi» propose Sir Antoine, uno degli Operatori più anziani. «Forse hai ragione» annuì Lady Vittoria. «Probabilmente non avremmo po-tuto risparmiarle questa prima fase, ma d’ora in poi proporrei sequenze brevi di massimo un’ora al giorno.» «E facendo attenzione che abbia un giusto apporto di liquidi energetici» ag-giunse Lady Margaret. «Averla lasciata per sei ore senza bere né Daol né Serix è stato deleterio a mio parere.» «In questo avete ragione, purtroppo nessuno immaginava una tale capacità di resistenza» tentai di giustificarmi. Anche Lady Margaret era una delle Operatrici più anziane e le sue conoscenze erano smisurate. «Che ne pensate delle proposte di Sir Antoine e Lady Vittoria?» «In questo modo diventerà una faccenda lunga e deprimente» commentò Sir Valerian senza giri di parole. «Vi viene in mente un’alternativa?» gli domandai. «Sì, se non avete scrupoli a rischiare la salute mentale della ragazza» rispose con il cinismo che gli era solito. «Mi sembra del tutto fuori luogo» tagliai corto. «Allora è deciso. In fondo, non ne abbiamo mai fatto una questione di tempo… E per quanto riguarda i rimedi per farla riprendere?» chiesi, posando deliberatamente lo sguardo su Lady Vivian. «È ovvio che dovete continuare le somministrazioni di kyshal, se qualcuno ha ancora del sale in zucca, ma non dimenticatevi le dosi: massimo cinque somministrazioni a distanza di quattro ore una dall’altra. Cercate anche di tenere a bada la febbre, i decotti di assergi sono un buon calmante.» «Molto bene» dissi, cercando di esprimere con il tono della voce tutta la mia gratitudine per la collaborazione, specialmente quella di Lady Vivian. «Vi terremo aggiornati. Buon lavoro a tutti» li congedai, sciogliendo la seduta. I consigli di Lady Vivian si rivelarono efficaci. Grazie alle gocce di kyshal il sovraccarico si riassorbì in tre giorni e lentamente anche la febbre scompar-ve. La mattina del quinto giorno la trovai in piedi, forse un po’ pallida, ma incantevole come sempre. «Ti senti abbastanza in forze da continuare l’addestramento?» Mi accorsi di essere teso solo quando annuì: forse temevo che si rifiutasse di proseguire dopo quello che era successo. Quando fummo soli nella quasi totale oscurità della Sala dell’Addestramento, lasciai andare le formalità del mio ruolo per delle parole più sincere. «Volevo dirti che sei stata molto coraggiosa e che non avrei mai voluto che fossi in pericolo. Credo che in fondo tutti sperassimo che il tuo addestra-mento non sarebbe stato molto diverso da quello di un bambino. È come se l’altro giorno ci fossimo risvegliati da un sogno a occhi aperti.»

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Rimase per un po’ in silenzio e la fitta penombra della stanza m’impediva di cogliere l’espressione del suo viso. «Mi avete già detto queste cose e ve ne ringrazio…» «Quando?» «Quando ero a letto con il sovraccarico.» «Sei riuscita a sentirmi?» «Capivo tutto quello che accadeva intorno a me, ma le immagini erano come una cascata nella mia mente che m’impediva di parlare e quasi persino di pensare.» «Non dovrà accadere mai più.» «Vi prego non ditelo. Lo so che siete preoccupato per me e anche Lady Hyreen lo è e questo basta per farmi sentire al sicuro, perché so che non fa-reste mai nulla per mettermi in pericolo. Ma mi rendo conto che umanamen-te non potrete controllare tutto e che questa è la prima volta per ognuno di voi.» Mi prese la mano e il calore che sentii in lei mi confortò anche dal pensiero che aveva ricominciato a darmi del voi. Per un istante avevo temuto che, dopo quello che era successo, volesse creare distanza fra noi, ma le sue pa-role di fiducia mi fecero capire che probabilmente lo aveva fatto per abitudi-ne, senza rendersene conto. Le spiegai la decisione del Consiglio e soprattutto ciò a cui avremmo dovuto lavorare in quella seconda fase: dovevamo rafforzare la barriera mentale e farla diventare un riflesso involontario ogni qualvolta uno stimolo esterno, come la rabbia o il panico, avesse alterato il suo equilibrio interiore. «Una volta che la tua scatola sarà abbastanza forte, dovremo concentrarvi tutte le energie mentali che ora sono sparse nel tuo corpo ed essere sicuri che niente possa farle uscire senza la tua volontà.» «E quindi controllare le energie significa questo…» «Sì, ma non solo. Concentrarle in un punto schermato significa anche evi-tarne la dispersione nel tuo corpo e impedire che interagiscano negativamen-te con le altre funzioni vitali, come la respirazione o la circolazione.» «Bene… credo che possiamo cominciare.» Percepii in lei un po’ di nervosismo mentre ricaricavo il proiettore d’immagini mentali, ma questa volta mi assicurai che bevesse Daol a suffi-cienza e dopo un’ora di proiezioni ci fermammo per evitare il rischio di altri sovraccarichi. Furono giorni interminabili, quasi mi sembrò che la vita si fosse fermata. Dopo due settimane senza nessun progresso significativo, a stento riuscivo a reprimere il nervosismo e la preoccupazione, anche di fronte a Ghibli. Il dubbio che quella non fosse la strada da seguire divenne quasi un’ossessione. Andavo a letto con quel pensiero e facevo molta fatica ad ad-dormentarmi. A volte mi dicevo di tenere duro, altre invece mi lasciavo so-praffare dallo sconforto e mi ripetevo che ero stato uno stupido a riporre tut-

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ta quella fiducia nella storia di Ghibli. Forse si trattava solo di un vicolo cie-co che mi aveva riportato di nuovo al punto di partenza, con il problema del futuro del Nuovo Potere ancora insoluto. Passarono altre settimane, ma finché percepii in Ghibli incertezza nel re-spingere le immagini con la barriera mentale, cercai di tirare avanti con tutta la determinazione possibile. «Dovremmo lasciar perdere» mi disse un giorno, dopo l’ennesima seduta al proiettore. «Proprio non ci riesco.» Stavo per dirle che ormai ero quasi sicuro che non saremmo andati da nes-suna parte continuando in quel modo, ma lo sconforto che sentii nella sua voce mi bloccò. In quell’istante mi resi conto che involontariamente avevo cominciato a considerarla solo uno strumento per i miei piani e quasi me ne vergognai. «Proseguiamo per un’altra settimana» dissi invece. «Se non ci saranno mi-glioramenti decideremo il da farsi.» Ero convinto che non sarebbe accaduto nulla e invece, inaspettatamente, do-po due giorni cominciò a migliorare a vista d’occhio finché, allo scadere della settimana, non aveva più difficoltà a innalzare la barriera all’avvio del proiettore, come se fosse un riflesso automatico. «Credo che ce l’abbiamo fatta» dissi, anche se avevo quasi paura a pronun-ciare quelle parole. «Vuoi dire che non dovrò più guardare le immagini del proiettore?» «Penso di sì. Ne parlerò al Consiglio, ma sono quasi sicuro che ora possia-mo andare avanti. Ancora non riesco a credere che ci siamo riusciti, mi sembra un miracolo.» Quel pomeriggio ci riunimmo di nuovo, feci un resoconto dettagliato dell’ultima settimana di lavoro e tutti furono d’accordo nel ritenere che or-mai anche la seconda fase era terminata e ottenni il permesso di proseguire. Il traguardo successivo sarebbe stato quello di riuscire a concentrare le sue energie latenti all’interno della nuova barriera. Forte del consenso degli altri Operatori, l’indomani mattina bussai alla sua porta alla stessa ora, ma, a differenza di tutte le altre volte, non rispose nes-suno. La cercai al piano di sopra finché una cameriera mi disse di averla vi-sta scendere le scale. Scesi anch’io e vidi che il portone d’ingresso era soc-chiuso. Uscii sul molo e la trovai seduta su una piccola panca addossata al muro esterno della Torre, intenta a guardare verso la città. «Cos’è successo?» La mia domanda la fece trasalire. La rassicurai e mi se-detti vicino a lei. C’era vento quella mattina e mi accorsi che aveva l’orlo della veste bagnato e piccoli schizzi sul viso e sui capelli. «Stavo per rientrare. Soltanto che… è più di un mese che non esco da qui… e non c’è neanche un giardino. Ero abituata a lunghe passeggiate quasi ogni giorno, in cerca delle piante per il mio erbario.» Rimasi a osservarla in si-lenzio mentre parlava. Era dimagrita visibilmente e le guance avevano perso quell’incantevole sfumatura rosata. Forse per la prima volta da quando ave-

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vamo cominciato a lavorare alla barriera, sentii le sue parole risuonare den-tro di me, la tensione e la tristezza della sua voce divennero le mie. «Non posso farti promesse, lo sai. Ogni giorno siamo in balia degli eventi» le dissi con imbarazzo. «Ma ti assicuro che non appena avremo completato il controllo delle energie ti porterò a Palazzo. Potrai passeggiare per i Giar-dini quanto vorrai e, se lo desideri, potremo vagabondare per i boschi a est: ci sono dei sentieri e degli scorci sulle valli sottostanti molto belli.» A quelle parole vidi un sorriso illuminarle debolmente gli occhi. Indugiam-mo per un po’ su queste fantasie, facendo piccoli progetti, ma, mentre parla-vo, capii che avevo da offrirle solo sogni per lenire la stanchezza e lo smar-rimento. Quell’idea così lucida mi spaventò: era la prima volta nella mia vita che sentivo di non avere il controllo degli eventi. Dopo un po’, Lady Hyreen comparve sul molo e ci sorprese nel bel mezzo delle nostre fantasie. «Che cosa state facendo?» chiese, avvicinandosi. Mi resi conto che proba-bilmente offrivamo uno spettacolo bizzarro, seduti lì fuori al vento a lasciar-ci bagnare dagli schizzi delle onde contro il piccolo molo. «Sono salita a controllare dall’atrio se andava tutto bene e mi sono accorta che non c’era nessuno.» «Grazie Lady Hyreen» dissi, alzandomi e tornando alla realtà del momento presente. «È stata solo una pausa fuori programma» spiegai. «In fondo non siamo macchine.» Lady Hyreen mi guardò negli occhi per qualche secondo, poi sorrise. «Capisco, anche se qui dentro il tempo è sempre tiranno» commentò. «Vieni cara, rientriamo. Fareste meglio a cambiarvi prima di cominciare, siete tutti bagnati.» Ancora una volta provai gratitudine per l’aiuto di Lady Hyreen, senza di lei quelle settimane sarebbero state molto più dure. Mi cambiai in fretta, attesi Ghibli e insieme salimmo nella Sala dell’Addestramento. All’improvviso mi chiesi se avesse cominciato a considerarla come una prigione, ma il momen-to delle confidenze di poco prima era svanito e tornai a concentrarmi solo sull’addestramento. «Da oggi cominciamo un lavoro diverso» spiegai. «Se più facile o più diffi-cile credo che lo scopriremo presto…» Fine anteprima.Continua...