IL MANIFESTO DI VENTOTENE - Unical

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I Quaderni di Ventotene Altiero Spinelli - Ernesto Rossi IL MANIFESTO DI VENTOTENE ISTITUTO DI STUDI FEDERALISTI ALTIERO SPINELLI 1 A. Spinelli - E. Rossi - IL MANIFESTO DI VENTOTENE

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I Quaderni di Ventotene

Altiero Spinelli - Ernesto Rossi

IL MANIFESTODI VENTOTENE

ISTITUTO DI STUDI FEDERALISTIALTIERO SPINELLI

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ISTITUTO DI STUDI FEDERALISTIALTIERO SPINELLI

Altiero Spinelli - Ernesto Rossi

IL MANIFESTODI VENTOTENE

I Quaderni di Ventotene

1941-1991Edizione del Cinquantenario

Sotto gli auspici del Consiglio Regionale del Lazio

Copyright © by Istituto di Studi Federalisti «Altiero Spinelli»Ventotene (Italy), 1991.Ristampa 1994

ISBN 0394 4204

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Il Manifesto di VentoteneLa sola via da seguire

Per parlare del Manifesto di Ventotene bisogna in primo luo-go parlare del suo autore, Altiero Spinelli. Persino nello stile divita, ispirato ad una semplicità esemplare, e ad un realismo chenon temeva alcuna verità per amara che fosse, Spinelli ha in-carnato, in modo che si può dire perfetto, la figura dell’eroepolitico così come l’ha delineata Max Weber. Ricordo che We-ber conclude il suo saggio su La politica come professione conqueste parole: «La politica consiste in un lento e tenace supera-mento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discerni-mento al tempo stesso. È perfettamente esatto, e confermato datutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiun-to se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile. Ma co-lui il quale può accingersi a quest’impresa deve essere un capo,non solo, ma anche, in un senso molto sobrio della parola, uneroe. E anche chi non sia l’uno né l’altro deve foggiarsi quellatempra d’animo tale da poter reggere anche al crollo di tutte lesperanze, e fin da ora, altrimenti non sarà nemmeno in grado diportare a compimento quel poco che è oggi possibile. Solo chiè sicuro di non venir meno anche se il mondo, considerato dalsuo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che eglivuole offrirgli, e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò: “nonimporta, continuiamo!”, solo un uomo siffatto ha la vocazioneper la politica».

Non si può dire meglio, e non si può dire altrimenti, per ca-ratterizzare la figura di Altiero Spinelli. Si deve solo aggiungereche egli è stato un eroe della politica perché è stato, in un sensoancor più sobrio del termine, un eroe della ragione. La sua sta-tura di grande europeista non era più discussa. Negli ultimi annidella sua vita egli veniva sempre più spesso citato tra i «padri

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fondatori» dell’Europa unita. Ma per giudicare la sua opera bi-sogna dire qualcosa di più, e di più preciso. Io credo che coltempo — che seleziona i valori e fa apparire il senso dei fatti —egli sarà giudicato per ciò che è effettivamente stato: una dellemaggiori personalità politiche del nostro tempo, un vero inno-vatore. Certo è che nessuno come lui ha mai fondato solo sullaragione il suo progetto politico. È un fatto che, pur essendo ita-liano, Spinelli non considerò affatto l’Italia come una realtà daaccettare ancor prima di averla sottoposta all’esame della ragio-ne; ed è un fatto che, pur essendosi convertito alla democraziadopo l’esperienza leninista della primissima giovinezza, eglinon considerò affatto le grandi ideologie della nostra tradizionepolitica (liberalismo, democrazia e socialismo) come schemiesclusivi, né come confini mentali entro i quali limitare l’idea-zione politica.

Egli si elevò così sino al punto di vista che gli permise diconstatare che c’è nell’azione politica, così come era general-mente condotta e come lo è ancora, una contraddizione di fondoche la distacca sempre di più dalla realtà. Espressa in breve, lacontraddizione è questa: nonostante il carattere sempre più uni-tario del processo storico, che rende il mondo sempre più uno,l’intero processo politico, mal guidato dalla classe politica e da-gli stessi uomini di scienza e di cultura, resta ancora quasiesclusivamente finalizzato ai soli cambiamenti da introdurrenella propria nazione, come se ciò bastasse anche per risolvere igrandi e drammatici problemi di dimensione continentale emondiale. Persino la pace — in questa prospettiva — è concepi-ta come un obiettivo perseguibile con una pura e semplice som-matoria di politiche nazionali.

Spinelli si è collocato invece sul versante opposto. Quando,alla fine della seconda guerra mondiale, si trattò di sceglierel’orientamento con il quale preparare il futuro, i partiti indica-rono la via nazionale e scelsero come obiettivo prioritario laricostruzione delle nazioni. Spinelli, praticamente solo, indicòla via europea e scelse come obiettivo prioritario la costruzio-ne dell’Europa, da perseguire non con i procedimenti della po-litica estera, ma con una lotta democratica di carattere sopran-nazionale e costituzionale. Era per natura capace del superiorerealismo di chi sa innovare perché non delega ad altri, né aqualche soggetto mitico, il compito dell’azione; vedeva la

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realtà senza veli perché si era liberato delle automistificazioniche si celano ancora nelle ideologie tradizionali e nel pensieronazionale; aveva combattuto il fascismo e per questo era statoin prigione; non era venuto a patti con nessuno, era pronto abattersi da solo, e lanciò la sua sfida. Ora, con la prova dei fat-ti, possiamo constatare: primo, che non c’è stato il risanamen-to nazionale ma il tentativo dei governi di costruire l’Europa,secondo, che questo tentativo, goffo e incerto perché condottosul terreno della politica estera con il metodo intergovernativo,ha lasciato l’Europa occidentale a metà strada tra l’unità e ladivisione, terzo, che Spinelli, proprio con il metodo costituzio-nale, da tutti giudicato utopistico, è riuscito due volte a portarel’Europa sulla soglia della vera unità: una prima forma di go-verno federale (nel 1951, insieme a De Gasperi, con il tentati-vo di sottoporre l’esercito europeo allora in costruzione ad unpotere politico democratico europeo; nel 1984, come parla-mentare europeo, con il progetto di Trattato per l’Unione). Ec’è altro. Dando vita ad una lotta politica che non si basa piùsui poteri costituiti (i poteri nazionali) e non ha più come sco-po quello della loro gestione e della loro conquista, ma si basainvece sulla sola ragione, ed ha come scopo la fondazione dipoteri soprannazionali, Spinelli ha messo in cantiere un esperi-mento politico decisivo.

Quella concepita allora da Spinelli è in effetti la sola via perestendere il controllo democratico dalla sfera nazionale a quellainternazionale, che è ancora dominata dalla ragion di stato, cioèdalla ragione delle armi che, finché esistono, sono una perennealternativa alla democrazia. È, pertanto, la sola via per affidarealla ragione anche il compito politico, ed elevare così la capa-cità politica, come la situazione del mondo esige, sino al livellogià raggiunto dalla capacità scientifico-tecnica. È dunque, in so-stanza, la sola via per risolvere i drammatici problemi del nostrotempo, e incamminare il genere umano verso la vera civiltà: lapace organizzata con un governo mondiale e l’eguaglianza ditutti i popoli, secondo l’imperituro insegnamento di Kant. Ciòche conta, dunque, è sapere che questa via non può essere per-corsa senza oltrepassare, come Spinelli ha fatto col Manifesto diVentotene, i confini nazionali come confini della lotta politica,al di là dei quali non c’è ancora né pensiero politico attivo, néformazione della volontà politica.

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I fatti hanno permesso di constatare che il superamento deiconfini nazionali è una scelta possibile. Molti federalisti, dopoSpinelli, hanno fatto questa scelta. Io vorrei ora mostrare, conun ricordo personale, che si tratta effettivamente di una sceltaalla portata di tutti, a patto che siano disposti, quando agisconopoliticamente, a non dimenticare la ragione che c’è in ogni uo-mo. Ecco il mio ricordo. Ho conosciuto Spinelli nel 1953. Erostato iscritto al MFE sin da quando avevo saputo che esisteva(nel 1945), ma lo consideravo una organizzazione più culturaleche politica. In prima istanza fare politica è partecipare alla lot-ta per il potere nella propria nazione e così, pur avendo odiatol’Italia, avevo fatto io come liberale di sinistra. Ma ero statocostretto ad abbandonare ad una ad una tutte le posizioni sullequali mi ero attestato perché ogni volta avevo dovuto constata-re che erano completamente inefficaci. In questo modo mi sonotrovato prima fuori dal partito liberale, che non aveva saputoscegliere la repubblica nel referendum istituzionale, e poi fuorida ogni schema precostituito di partito per partecipare al tenta-tivo di ottenere l’unificazione della sinistra democratica e lacompleta democratizzazione del PCI, cioè un’Italia nella qualeci fosse l’alternativa di governo nel senso pieno del termine; enella quale la gente non votasse più — allora lo facevano quasitutti — per la Russia o per l’America. Questa era l’Italia con laquale io pensavo che si potesse costruire l’Europa, nella qualemi riconoscevo pienamente.

Ma questa prospettiva non avanzava. Cominciai così ad ac-corgermi che c’era in questo disegno — allora comune in Italiaa tanti antifascisti, e poi via via riproposto — un vizio struttura-le. Non si poteva, per democratizzare compiutamente l’Italia,puntare su un fatto organizzativo (la trasformazione e l’unifica-zione dei partiti di sinistra), ma bisognava puntare su un grandefatto politico, cioè tale da provocare un profondo mutamento diidee e di posizioni, e che fosse inoltre tale da provocare, comeconseguenza, proprio quella del rinnovamento dei partiti. Mi re-si conto allora che il grande fatto di cui aveva bisogno l’Italiaera l’unificazione dell’Europa. L’Europa come punto di parten-za, e non, secondo il modo comune di vedere, come punto di ar-rivo del rinnovamento.

Ma con questo rovesciamento del fronte si presentava unproblema estremamente difficile: quello di una lotta politica che

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non puntasse sulla conquista del potere nazionale, ma sullacreazione del potere europeo. In apparenza, non ci aveva pensa-to nessuno. In verità uno ci aveva pensato: Spinelli. E aveva da-to un seguito al suo pensiero, il Movimento Federalista Euro-peo, che di colpo mi apparve come la sola organizzazione poli-tica con valore strategico. Gli ho scritto, sono andato da lui, hocominciato la mia azione nel MFE, e ancora oggi mi chiedo checosa avrei potuto fare se egli non avesse introdotto nella realtàstorica questo nuovo modo di agire.

È questo il fatto che va sottolineato quando si vuole stabilireil significato della sua opera. Egli ha saputo dar vita ad un nuo-vo comportamento politico e ne ha dimostrato la possibilità: perquesto può essere seguito. Bisogna, a questo proposito, tenereinnanzitutto presente che egli è riuscito a giungere sino a questopunto perché il suo pensiero era adeguato al compito. Qualefosse questo pensiero è egli stesso a dirlo, in un brano autobio-grafico che riguarda gli anni del confino di Ventotene: «Solleci-tato da Rossi che come professore di economia aveva da tempol’autorizzazione a corrispondere con lui, Einaudi gli mandò dueo tre libretti della letteratura federalista inglese fiorita sul finiredegli anni ’30 per impulso di Lord Lothian. Salvo il libretto diLionel Robbins The Economic Causes of War, che poi tradussi efu pubblicato dalla casa editrice Einaudi, non ricordo né i titoliné gli autori degli altri. Ma la loro analisi del pervertimento po-litico ed economico cui porta il nazionalismo, e la loro presenta-zione ragionata dell’alternativa federale, mi sono rimaste finoad oggi nella memoria come una rivelazione. Poiché andavocercando chiarezza e precisione di pensiero, la mia attenzionenon fu attratta dal fumoso e contorto federalismo ideologico ditipo proudhoniano o mazziniano, ma dal pensiero pulito e preci-so di questi federalisti inglesi, nei cui scritti trovai un metodoassai buono per analizzare la situazione nella quale l’Europastava precipitando, e per elaborare prospettive alternative».

È questo ciò che si tratta di fare; e che tutti possono fare do-po che Spinelli ha aperto la via. Tutti possono venire a cono-scenza di questo pensiero, e adottarlo come il proprio criterio diconoscenza storica e di azione politica. E con la guida di questopensiero tutti possono prendere la posizione che è descritta nelManifesto di Ventotene con queste parole: «La linea di divisionetra partiti progressisti e partiti reazionari cade ormai non lungo

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la linea formale della maggiore o minore democrazia, del mag-giore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanzialenuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fineessenziale della lotta politica quello antico, cioè la conquista delpotere politico nazionale e quelli che vedranno come compitocentrale la creazione di un solido stato internazionale». È questala via dell’Europa. È questa la via della pace.

Mario Albertini

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Nota dell’editore

Il Manifesto di Ventotene — il cui titolo completo è Perun’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto — è stato re-datto da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi (che ha scritto laprima parte del terzo capitolo) nel 1941 mentre si trovavano en-trambi al confino nell’isola di Ventotene. Circolato dapprima informa ciclostilata, il Manifesto è stato pubblicato clandestina-mente a Roma nel gennaio del 1944 insieme ai due saggi di Al-tiero Spinelli Gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politi-che, scritto nella seconda metà del 1942, e Politica marxista epolitica federalista, scritto tra il 1942 e il 1943 (questi due sag-gi, a causa della loro lunghezza, non vengono pubblicati nellapresente edizione). Il volume, intitolato Problemi della federa-zione europea, reca le iniziali degli autori, A.S. ed E.R., ed èstato curato da Eugenio Colorni che ha scritto anche una prefa-zione molto acuta (il suo nome non compare insieme a quelli diSpinelli e Rossi poiché non aveva partecipato alla sua stesura).Il volume, stampato dalla Società Anonima Poligrafica Italiana,è presentato dalle Edizioni del Movimento Italiano per la Fede-razione Europea. La presente edizione riprende quella del 1944che, secondo Spinelli, costituisce «il testo autentico e preciso».

Pubblichiamo, inoltre, due Appendici. Nella prima sono ri-portate le Tesi politiche di fondazione del Movimento Federali-sta Europeo, al fine di mostrare la stretta continuità tra le pro-spettive contenute nel Manifesto e la nascita della prima orga-nizzazione federalista della Resistenza. Il MFE fu in effetti fon-dato a Milano il 27-28 agosto 1943 nel corso di una riunioneclandestina alla quale presero parte una ventina di persone. Le

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risoluzioni approvate in quella occasione furono pubblicate suln. 3 de L’Unità Europea, comparso agli inizi di settembre del1943. Esse furono tradotte e diffuse in tedesco nell’autunno delmedesimo anno e pubblicate in francese nel n. 1 dei Cahiers dela Fédération Européenne, editi dal Comitato francese per laFederazione Europea nel febbraio del 1945 a Parigi.

Infine, nella seconda Appendice pubblichiamo una intervi-sta, rilasciata nel 1981 da Altiero Spinelli a Sonia Schmidt,che risulta particolarmente illuminante per la genesi del Mani-festo e per conoscere l’azione dei fondatori del Movimento fi-no al 1947.

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Prefazione

I presenti scritti sono stati concepiti e redatti nell’isola diVentotene, negli anni 1941 e 1942. In quell’ambiente d’ecce-zione, fra le maglie di una rigidissima disciplina, attraversoun’informazione che con mille accorgimenti si cercava di ren-dere il più possibile completa, nella tristezza dell’inerzia forza-ta e nell’ansia della prossima liberazione, andava maturando inalcune menti un processo di ripensamento di tutti i problemiche avevano costituito il motivo stesso dell’azione compiuta edell’atteggiamento preso nella lotta.

La lontananza dalla vita politica concreta permetteva unosguardo più distaccato, e consigliava di rivedere le posizioni tra-dizionali, ricercando i motivi degli insuccessi passati non tantoin errori tecnici di tattica parlamentare o rivoluzionaria, od inuna generica «immaturità» della situazione, quanto in insuffi-cienze dell’impostazione generale, e nell’aver impegnato la lot-ta lungo le consuete linee di frattura, con troppo scarsa attenzio-ne al nuovo che veniva modificando la realtà.

Preparandosi a combattere con efficienza la grande battagliache si profilava per il prossimo avvenire, si sentiva il bisognonon semplicemente di correggere gli errori del passato, ma dirienunciare i termini dei problemi politici con mente sgombrada preconcetti dottrinari o da miti di partito.

Fu così che si fece strada, nella mente di alcuni, l’idea centra-le che la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delleguerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la no-stra società, è l’esistenza di stati sovrani, geograficamente, eco-nomicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri staticome concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto aglialtri in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes.

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I motivi per cui questa idea, di per sé non nuova, assumevaun aspetto di novità nelle condizioni e nell’occasione in cui ve-niva pensata, sono vari.

1) Anzitutto, la soluzione internazionalista, che figura nelprogramma di tutti i partiti politici progressisti, viene da essiconsiderata, in un certo senso, come una conseguenza necessa-ria e quasi automatica del raggiungimento dei fini che ciascunodi essi si propone. I democratici ritengono che l’instaurazione,nell’ambito di ciascun paese, del regime da essi propugnato,condurrebbe sicuramente alla formazione di quella coscienzaunitaria che, superando le frontiere nel campo culturale e mora-le, costituirebbe la premessa che essi ritengono indispensabilead una libera unione di popoli anche nel campo politico ed eco-nomico. E i socialisti, dal canto loro, pensano che l’instaurazio-ne di regimi di dittatura del proletariato nei vari stati, condur-rebbe di per sé ad uno stato internazionale collettivista.

Ora, una analisi del concetto moderno di stato e dell’insiemedi interessi e di sentimenti che ad esso sono legati, mostra chia-ramente che, benché le analogie di regime interno possano faci-litare i rapporti di amicizia e di collaborazione fra stato e stato,non è affatto detto che portino automaticamente e neppure pro-gressivamente alla unificazione, finché esistano interessi e sen-timenti collettivi legati al mantenimento di una unità chiusa al-l’interno delle frontiere. Sappiamo per esperienza che sentimen-ti sciovinistici ed interessi protezionistici possono facilmentecondurre all’urto e alla concorrenza anche tra due democrazie; enon è detto che uno stato socialista ricco debba necessariamenteaccettare di mettere in comune le proprie risorse con un altrostato socialista molto più povero, per il solo fatto che in esso vi-ge un regime interno analogo al proprio.

L’abolizione delle frontiere politiche ed economiche fra statoe stato non discende dunque necessariamente dall’instaurazionecontemporanea di un dato regime interno in ciascuno stato; maè un problema a sé stante, che va aggredito con mezzi propri ead esso attagliantisi. Non si può essere socialisti, è vero, senzaessere insieme internazionalisti; ma ciò per un legame ideologi-co, più che per una necessità politica ed economica; e dalla vit-toria socialista nei singoli stati non discende necessariamente lostato internazionale.

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2) Ciò che spingeva inoltre ad accentuare in modo autono-mo la tesi federalista, era il fatto che i partiti politici esistenti,legati ad un passato di lotte combattute nell’ambito di ciascunanazione, sono avvezzi, per consuetudine e per tradizione, a porsitutti i problemi partendo dal tacito presupposto dell’esistenzadello stato nazionale, ed a considerare i problemi dell’ordina-mento internazionale come questioni di «politica estera», da ri-solversi mediante azioni diplomatiche e accordi fra i vari gover-ni. Questo atteggiamento è in parte causa, in parte conseguenzadi quello prima accennato, secondo cui, una volta afferrate le re-dini di comando nel proprio paese, l’accordo e l’unione con re-gimi affini in altri paesi è cosa che viene da sé, senza bisogno didar luogo ad una lotta politica a ciò espressamente dedicata.

Negli autori dei presenti scritti si era invece radicata la con-vinzione che chi voglia proporsi il problema dell’ordinamentointernazionale come quello centrale dell’attuale epoca storica, econsideri la soluzione di esso come la premessa necessaria perla soluzione di tutti i problemi istituzionali, economici, socialiche si impongono alla nostra società, debba di necessità consi-derare da questo punto di vista tutte le questioni riguardanti icontrasti politici interni e l’atteggiamento di ciascun partito, an-che riguardo alla tattica e alla strategia nella lotta quotidiana.

Tutti i problemi, da quello delle libertà costituzionali a quel-lo della lotta di classe, da quello della pianificazione a quellodella presa del potere e dell’uso di esso, ricevono una nuova lu-ce se vengono posti partendo dalla premessa che la prima metada raggiungere è quella di un ordinamento unitario nel campointernazionale. La stessa manovra politica, l’appoggiarsi all’unaod all’altra delle forze in giuoco, l’accentuare l’una o l’altra pa-rola d’ordine, assume aspetti ben diversi, a seconda che si con-sideri come scopo essenziale la presa del potere e l’attuazione dideterminate riforme nell’ambito di ciascun singolo stato, oppurela creazione delle premesse economiche, politiche, morali per lainstaurazione di un ordinamento federale che abbracci tutto ilcontinente.

3) Un altro motivo ancora — e forse il più importante — eracostituito dal fatto che l’ideale di una federazione europea, pre-ludio di una federazione mondiale, mentre poteva apparire lon-tana utopia ancora qualche anno fa, si presenta oggi, alla fine di

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questa guerra, come una meta raggiungibile e quasi a portata dimano. Nel totale rimescolamento di popoli che questo conflittoha provocato in tutti i paesi soggetti all’occupazione tedesca, nel-la necessità di ricostruire su basi nuove una economia quasi total-mente distrutta, e di rimettere sul tappeto tutti i problemi riguar-danti i confini politici, le barriere doganali, le minoranze etnicheecc.; nel carattere stesso di questa guerra, in cui l’elemento nazio-nale è stato così spesso sopravanzato dall’elemento ideologico, incui si sono visti piccoli e medi stati rinunziare a gran parte dellaloro sovranità a favore degli stati più forti, e in cui da parte deglistessi fascisti il concetto di «spazio vitale» si è sostituito a quellodi «indipendenza nazionale»; in tutti questi elementi sono da rav-visare dei dati che rendono attuale come non mai, in questo dopo-guerra, il problema dell’ordinamento federale dell’Europa.

Forze provenienti da tutte le classi sociali, per motivi siaeconomici sia ideali, possono essere interessate ad esso. Ad essoci si potrà avvicinare per via di trattative diplomatiche e per viadi agitazione popolare; promuovendo fra le classi colte lo studiodei problemi ad esso attinenti, e provocando stati di fatto rivolu-zionari, avvenuti i quali non sia più possibile tornare indietro;influendo sulle sfere dirigenti degli stati vincitori, ed agitandonegli stati vinti la parola che solo in una Europa libera e unitaessi possono trovare la loro salvezza ed evitare le disastroseconseguenze della sconfitta.

Appunto per questo è sorto il nostro Movimento. È la premi-nenza, l’anteriorità di questo problema rispetto a tutti quelli chesi impongono nell’epoca in cui ci stiamo inoltrando; è la sicu-rezza che, se lasceremo risolidificare la situazione nei vecchistampi nazionalistici, l’occasione sarà persa per sempre, e nes-suna pace e benessere duraturo ne potrà avere il nostro conti-nente; è tutto questo che ci ha spinto a creare un’organizzazioneautonoma, allo scopo di propugnare l’idea della FederazioneEuropea come meta realizzabile nel prossimo dopoguerra.

Non ci nascondiamo le difficoltà della cosa, e la potenza del-le forze che opereranno nel senso contrario; ma è la prima volta,crediamo, che questo problema si pone sul tappeto della lottapolitica, non come un lontano ideale, ma come una impellente,tragica necessità.

Il nostro Movimento, che vive ormai da circa due anni nelladifficile vita clandestina sotto l’oppressione fascista e nazista; i

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cui aderenti provengono dalle file dei militanti dell’antifascismoe sono tutti in linea nella lotta armata per la libertà; che ha giàpagato il suo duro contributo di carcere per la causa comune; ilnostro Movimento non è e non vuol essere un partito politico.Così come si è venuto sempre più nettamente caratterizzando,esso vuole operare sui vari partiti politici e nell’interno di essi,non solo affinché l’istanza internazionalista venga accentuata,ma anche e principalmente affinché tutti i problemi della sua vi-ta politica vengano impostati partendo da questo nuovo angolovisuale, a cui finora sono stati così poco avvezzi.

Non siamo un partito politico perché, pur promuovendo atti-vamente ogni studio riguardante l’assetto istituzionale, econo-mico, sociale della Federazione Europea, e pur prendendo parteattiva alla lotta per la sua realizzazione e preoccupandoci di sco-prire quali forze potranno agire in favore di essa nella futuracongiuntura politica, non vogliamo pronunciarci ufficialmentesui particolari istituzionali, sul grado maggiore o minore di col-lettivizzazione economica, sul maggiore o minor decentramentoamministrativo ecc. ecc., che dovranno caratterizzare il futuroorganismo federale. Lasciamo che nel seno del nostro Movi-mento questi problemi vengano ampiamente e liberamente di-scussi, e che tutte le tendenze politiche, da quella comunista aquella liberale, siano presso di noi rappresentate. Di fatto, i no-stri aderenti militano quasi tutti in qualcuno dei partiti politiciprogressivi: tutti si accordano nel propugnare quelli che sono iprincipi basilari di una libera Federazione Europea, non basatasu egemonie di sorta, né su ordinamenti totalitari, e dotata diquella solidità strutturale che non la riduca ad una semplice So-cietà delle Nazioni.

Tali principi si possono riassumere nei seguenti punti: eserci-to unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere do-ganali e delle limitazioni all’emigrazione tra gli stati apparte-nenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini aiconsessi federali, politica estera unica.

In questi due anni di vita, il nostro Movimento si è larga-mente diffuso fra i gruppi ed i partiti politici antifascisti. Alcu-ni di essi ci hanno espresso pubblicamente la loro adesione e laloro simpatia. Altri ci hanno chiamato a collaborare alle loroformulazioni programmatiche. Non è forse presuntuoso direche è in parte merito nostro, se i problemi della Federazione

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Europea vengono così spesso trattati nella stampa clandestinaitaliana. Il nostro giornale, L’Unità Europea, segue con atten-zione gli avvenimenti della politica interna ed internazionale,prendendo posizione di fronte ad essi con assoluta indipenden-za di giudizio.

I presenti scritti, frutto dell’elaborazione di idee che ha datoluogo alla nascita del nostro Movimento, non rappresentanoperò che l’opinione dei loro autori, e non costituiscono affattouna presa di posizione del Movimento stesso. Vogliono solo es-sere una proposizione di temi di discussione a coloro che vo-gliono ripensare tutti i problemi della vita politica internaziona-le tenendo conto delle più recenti esperienze ideologiche e poli-tiche, dei risultati più aggiornati della scienza economica, dellepiù sensate e ragionevoli prospettive per l’avvenire. Sarannopresto seguiti da altri studi. Il nostro augurio è che possano su-scitare fermento di idee; e che, nella presente atmosfera arro-ventata dall’impellente necessità dell’azione, portino un contri-buto di chiarificazione che renda l’azione sempre più decisa, co-sciente e responsabile.

IL MOVIMENTO ITALIANOPER LA FEDERAZIONE EUROPEA

Roma, 22 Gennaio 1944

Per un’Europalibera e unita

Progetto d’un manifesto

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La crisidella civiltà moderna

La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento ilprincipio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essereun mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Conquesto codice alla mano si è venuto imbastendo un grandiosoprocesso storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo ri-spettassero.

1) Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di orga-nizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato dalle suecaratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, do-veva trovare nell’organismo statale creato per proprio conto, se-condo la sua particolare concezione della vita politica, lo stru-mento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipen-dentemente da ogni intervento estraneo. L’ideologia dell’indi-pendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; hafatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vastasolidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; haeliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazionedegli uomini e delle merci; ha fatto estendere entro il territoriodi ciascun nuovo stato alle popolazioni più arretrate le istituzio-ni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portavaperò in sé i germi dell’imperialismo capitalista, che la nostra ge-nerazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli statitotalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.

La nazione non è ora più considerata come lo storico prodot-to della convivenza di uomini che, pervenuti grazie ad un lungoprocesso ad una maggiore unità di costumi e di aspirazioni, tro-vano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vitacollettiva entro il quadro di tutta la società umana; è invece di-

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venuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo al-la propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modocurarsi del danno che gli altri possano risentirne. La sovranitàassoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominiodi ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dallapotenza degli altri e considera suo «spazio vitale» territori sem-pre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e diassicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno.Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nellaegemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti.

In conseguenza di ciò, lo stato, da tutelatore della libertà deicittadini, si è trasformato in padrone di sudditi tenuti a servizio,con tutte le facoltà per renderne massima l’efficienza bellica.Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la prepara-zione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti milita-ri predomina ormai in molti paesi su quella dei ceti civili, ren-dendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti poli-tici liberi: la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo am-ministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il poten-ziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di sol-dati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i qualialle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengonoeducati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e all’odioverso gli stranieri, le libertà individuali si riducono a nulla, dalmomento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati aprestare servizio militare; le guerre a ripetizione costringono adabbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi, ed a sacrificare lavita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valo-re; in poche giornate vengono distrutti i risultati di decenni disforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo.

Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modopiù coerente l’unificazione di tutte le forze, attuando il massimodi accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gliorganismi più adatti all’odierno ambiente internazionale. Bastache una nazione faccia un passo in avanti verso un più accen-tuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre trascinate nellostesso solco dalla volontà di sopravvivere.

2) Si è affermato l’eguale diritto di tutti i cittadini alla for-mazione della volontà dello stato. Questa doveva così risultare

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la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche ditutte le categorie sociali liberamente espresse. Tale organizza-zione politica ha permesso di correggere o almeno di attenuaremolte delle più stridenti ingiustizie ereditarie dei regimi passati.Ma la libertà di stampa e di associazione, e la progressiva esten-sione del suffragio, rendevano sempre più difficile la difesa deivecchi privilegi, mantenendo il sistema rappresentativo.

I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questistrumenti per dare l’assalto ai diritti acquisiti dalle classi ab-bienti; le imposte sociali sui redditi non guadagnati e sulle suc-cessioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune, la esen-zione dei redditi minimi e dei beni di prima necessità, la gratuitàdella scuola pubblica, l’aumento delle spese di assistenza e diprevidenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbri-che, minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cit-tadelle.

Anche i ceti privilegiati che avevano consentito all’egua-glianza dei diritti politici, non potevano ammettere che le classidiseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell’ugua-glianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto con-creto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima guer-ra mondiale, la minaccia divenne troppo grave, fu naturale chetali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero l’instau-razione delle dittature, che toglievano le armi legali di mano ailoro avversari.

D’altra parte la formazione di giganteschi complessi indu-striali e bancari e di sindacati riunenti sotto un’unica direzioneinteri eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevanosul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro parti-colari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tantebaronie economiche in acerba lotta fra loro. Gli ordinamenti de-mocratico-liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppisi servivano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevanosempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzioneche solamente lo stato totalitario, abolendo le libertà popolari,potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che leistituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.

Di fatto, poi, i regimi totalitari hanno consolidato in com-plesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta avolta raggiunti, ed hanno precluso col controllo poliziesco di

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tutta la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione di tutti idissenzienti, ogni possibilità legale di ulteriore correzione dellostato di cose vigente. Si è così assicurata l’esistenza del ceto as-solutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti e deiredditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo nel ta-gliare le cedole dei loro titoli; dei ceti monopolistici e delle so-cietà a catena che sfruttano i consumatori, e fanno volatilizzare idenari dei piccoli risparmiatori; dei plutocrati che, nascosti die-tro le quinte, tirano i fili degli uomini politici per dirigere tuttala macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sottol’apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali.Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria dellegrandi masse, escluse da ogni possibilità di godere i frutti dellamoderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regi-me economico in cui le riserve materiali e le forze di lavoro,che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamen-tali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono inveceindirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro chesono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economicoin cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpe-tua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcu-na corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamenteprestati, e il campo delle possibilità proletarie resta così ridotto,che per vivere i lavoratori sono spesso costretti a lasciarsi sfrut-tare da chi offra loro una qualsiasi possibilità di impiego.

Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, isindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di lotta, di-retti da individui che godevano la fiducia degli associati, in or-gani di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegatiscelti dal gruppo governante e verso esso solo responsabili. Sequalche correzione viene fatta a un tale regime economico, èsempre solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hannoconfluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nelfar sorgere e consolidare gli stati totalitari.

3) Contro il dogmatismo autoritario, si è affermato il valorepermanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva asseri-to, doveva dare ragione di sé o scomparire. Alla metodicità diquesto spregiudicato atteggiamento, sono dovute le maggioriconquiste della nostra società in ogni campo. Ma questa libertà

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spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli statitotalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede, o da accettare ipo-critamente, si stanno accampando da padroni in tutte le scienze.

Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza, e le piùelementari nozioni storiche ne facciano risultare l’assurdità, siesige dai fisiologi di credere, dimostrare e convincere che si ap-partiene ad una razza eletta, solo perché l’imperialismo ha biso-gno di questo mito per esaltare nelle masse l’odio e l’orgoglio. Ipiù evidenti concetti della scienza economica debbono essereconsiderati anatemi per presentare la politica autarchica, gliscambi bilanciati e gli altri ferri vecchi del mercantilismo, comestraordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipen-denza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale perogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispon-dente alla civiltà moderna è tutto il globo; ma si è creata lapseudo scienza della geopolitica, che vuol dimostrare la consi-stenza della teoria degli spazi vitali, per dar veste teorica allavolontà di sopraffazione dell’imperialismo.

La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell’inte-resse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengo-no purificate di tutte le opere non considerate ortodosse. Le te-nebre dell’oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lospirito umano. La stessa etica sociale della libertà e dell’egua-glianza è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadiniliberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i lorofini collettivi. Sono servitori dello stato, che stabilisce qualidebbano essere i loro fini, e come volontà dello stato vienesenz’altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere.Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma, gerarchicamentedisposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle autorità su-periori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il re-gime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.

Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato inuna serie di paesi, ha infine trovato nella Germania nazista lapotenza che si è ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze.Dopo una meticolosa preparazione, approfittando con audacia esenza scrupoli delle rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui,trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei — primofra i quali l’Italia — alleandosi col Giappone, che persegue finiidentici in Asia, essa si è lanciata nell’opera di sopraffazione.

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La sua vittoria significherebbe il definitivo consolidamento deltotalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebberoesasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero condan-nate per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa.

La tradizionale arroganza ed intransigenza dei ceti militaritedeschi può già darci un’idea di quel che sarebbe il caratteredel loro dominio, dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi, vitto-riosi, potrebbero anche permettersi una lustra di generosità ver-so gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territorie le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendolo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali diconfine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presenta-no alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenutoeffettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, larealtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell’u-manità in Spartiati ed Iloti.

Anche una soluzione di compromesso tra le parti in lotta, si-gnificherebbe un ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poi-ché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della Germania,sarebbero costretti ad adottare le sue stesse forme di organizza-zione politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa dellaguerra.

Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno aduno gli stati minori, con la sua azione ha costretto forze semprepiù potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattività dellaGran Bretagna, anche nel momento più critico in cui era rimastasola a tener testa al nemico, ha fatto sì che i tedeschi, siano an-dati a cozzare contro la strenua resistenza dell’esercito sovieticoe ha dato tempo all’America di avviare la mobilitazione dellesue sterminate risorse produttive. E questa lotta contro l’impe-rialismo tedesco si è strettamente connessa con quella che il po-polo cinese va conducendo contro l’imperialismo giapponese.

Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schieratecontro le potenze totalitarie; le forze di queste potenze hannoraggiunto il loro culmine, e non possono ormai che consumarsiprogressivamente. Quelle avverse hanno invece già superato ilmomento della massima depressione, e sono in ascesa.

La guerra degli alleati risveglia ogni giorno di più la volontàdi liberazione, anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla vio-lenza ed erano stati smarriti per il colpo ricevuto: e persino ri-

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sveglia tale volontà negli stessi popoli delle potenze dell’Asse, iquali si accorgono di essere trascinati in una situazione dispera-ta, solo per soddisfare la brama di dominio dei loro padroni.

Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini silasciavano modellare passivamente dal nuovo regime, vi si ade-guavano e contribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è in-vece iniziato il processo contrario. In questa immensa ondatache lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze progressive,le parti più illuminate delle classi lavoratrici che non si sono la-sciate distogliere dal terrore e dalle lusinghe nella loro aspira-zione ad una superiore forma di vita; gli elementi più consape-voli dei ceti intellettuali, offesi dalla degradazione cui è sottopo-sta l’intelligenza; imprenditori che, sentendosi capaci di nuoveiniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche edalle autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento;tutti coloro infine che, per un senso innato di dignità, non sannopiegar la spina dorsale nell’umiliazione della servitù.

A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostraciviltà.

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Compiti del dopo guerraL’unità europea

La sconfitta della Germania non porterebbe però automatica-mente al riordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale diciviltà.

Nel breve intenso periodo di crisi generale (in cui gli statigiaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attende-ranno ansiose le parole nuove e saranno materia fusa, ardente,suscettibile di essere colata in forme nuove, capaci di accoglierela guida di uomini seriamente internazionalisti), i ceti che piùerano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali, cercheranno sub-dolamente o con la violenza di smorzare l’ondata dei sentimentie delle passioni internazionaliste, e si daranno ostentatamente aricostituire i vecchi organismi statali. Ed è probabile che i diri-genti inglesi, magari d’accordo con quelli americani, tentino dispingere le cose in questo senso, per riprendere la politica del-l’equilibrio dei poteri, nell’apparente immediato interesse deiloro imperi.

Le forze conservatrici, cioè: i dirigenti delle istituzioni fon-damentali degli stati nazionali; i quadri superiori delle forze ar-mate, culminanti, là dove ora esistono, nelle monarchie; queigruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti deiloro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e lealte gerarchie ecclesiastiche che solo da una stabile società con-servatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie;ed al loro seguito tutto l’innumerevole stuolo di coloro che daessi dipendono o che anche sono solo abbagliati dalla loro tradi-zionale potenza; tutte queste forze reazionarie già fin da oggisentono che l’edificio scricchiola, e cercano di salvarsi. Il crollole priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto fino-ra, e le esporrebbe all’assalto delle forze progressiste.

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La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti.

La caduta dei regimi totalitari significherà sentimentalmenteper interi popoli l’avvento della «libertà»; sarà scomparso ognifreno, ed automaticamente regneranno amplissime libertà di pa-rola e di associazione. Sarà il trionfo delle tendenze democrati-che. Esse hanno innumerevoli sfumature, che vanno da un libe-ralismo molto conservatore fino al socialismo e all’anarchia.Credono nella «generazione spontanea» degli avvenimenti edelle istituzioni, nella bontà assoluta degli impulsi che vengonodal basso. Non vogliono forzare la mano alla «storia», al «popo-lo», al «proletariato» e come altro chiamano il loro Dio. Auspi-cano la fine delle dittature, immaginandola come la restituzioneal popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Ilcoronamento dei loro sogni è un’assemblea costituente, elettacol più esteso suffragio e col più scrupoloso rispetto del dirittodegli elettori, la quale decida che costituzione debba darsi. Se ilpopolo è immaturo, se ne darà una cattiva; ma correggerla si po-trà solo mediante una costante opera di convinzione.

I democratici non rifuggono per principio dalla violenza; mala vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convintadella sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è piùaltro che un pressoché superfluo puntino da mettere sull’ «i»,sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria ammi-nistrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto dellabontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere solo ri-toccate in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivolu-zionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere ammini-strate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente.La pietosa impotenza dei democratici nella rivoluzione russa,tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi. In tali situa-zioni, caduto il vecchio apparato statale, colle sue leggi e la suaamministrazione, pullulano immediatamente, con sembianze divecchia legalità, o sprezzandola, una quantità di assemblee erappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte leforze sociali progressiste. ll popolo ha sì alcuni fondamentali bi-sogni da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e co-sa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie. Con i suoimilioni di teste non riesce ad orientarsi, e si disgrega in unaquantità di tendenze in lotta fra loro.

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Nel momento in cui occorre la massima decisione e audaciai democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé unospontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare dipassioni. Pensano che loro dovere sia di formare quel consenso,e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorronocapi che guidino sapendo dove arrivare. Perdono le occasionifavorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di farfunzionare subito organi che presuppongono una lunga prepara-zione, e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità, danno ailoro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli;rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già lavolontà di rinnovamento, ma le confuse velleità regnanti in tuttele menti, che, paralizzandosi a vicenda preparano il terreno pro-pizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica de-mocratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria.

Man mano che i democratici logorassero nelle loro logoma-chie la loro prima popolarità di assertori della libertà, mancandoogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero imman-cabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pre-totalitarie ela lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi dellacontrapposizione delle classi.

Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cuivan ridotti tutti i problemi politici, ha costituito la direttiva fon-damentale specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha gio-vato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano inquestione le istituzioni fondamentali; ma si converte in unostrumento di isolamento del proletariato, quando si imponga lanecessità di trasformare l’intera organizzazione della società.Gli operai, educati classisticamente, non sanno allora vedereche le loro particolari rivendicazioni di classe, o addirittura dicategoria, senza curarsi del come connetterle con gli interessidegli altri ceti; oppure aspirano alla unilaterale dittatura dellaloro classe, per realizzare l’utopistica collettivizzazione di tuttigli strumenti materiali di produzione, indicata da una propagan-da secolare come il rimedio sovrano di tutti i loro mali. Questapolitica non riesce a far presa su nessun altro strato, fuorché su-gli operai, i quali così privano le altre forze progressive del lorosostegno, o le lasciano cadere in balìa della reazione che abil-mente le organizza per spezzare le reni allo stesso movimentoproletario.

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Fra le varie tendenze proletarie, seguaci della politica classi-sta e dell’ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuta ladifficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere,e per ciò si sono — a differenza degli altri partiti popolari —trasformati in un movimento rigidamente disciplinato che sfrut-ta il mito russo per organizzare gli operai, ma non prende leggeda essi e li utilizza nelle più disparate manovre.

Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivolu-zionarie, più efficienti dei democratici; ma, tenendo essi distintequanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzio-narie — col predicare che la loro «vera» rivoluzione è ancora davenire — costituiscono, nei momenti decisivi, un elemento set-tario che indebolisce il tutto. Inoltre, la loro assoluta dipendenzadallo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati per il perse-guimento della sua politica nazionale, impedisce loro di svolge-re alcuna politica con un minimo di continuità. Hanno semprebisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin,per andare poi facilmente in rovina insieme con i fantocci de-mocratici adoperati; poiché il potere si consegue e mantiene nonsemplicemente con la furberia, ma con la capacità di risponderein modo organico e vitale alle necessità della società moderna.

Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale camponazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Glistati nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato lerispettive economie, che la questione centrale diverrebbe ben pre-sto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè qua-le classe dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fron-te delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella ris-sa fra classi e categorie economiche. Con la maggiore probabilitài reazionari sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto.

Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloroche han saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovràsaper collaborare con le forze democratiche, con quelle comuni-ste, e in genere con quanti cooperino alla disgregazione del tota-litarismo; ma senza lasciarsi irretire dalla prassi politica di nes-suna di esse.

Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educatial comando, che si batteranno accanitamente per conservare laloro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi bencamuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del

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benessere generale, delle classi più povere. Già nel passato ab-biamo visto come si siano insinuate dietro i movimenti popola-ri, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contra-rio. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si do-vranno fare i conti.

Il punto sul quale esse cercheranno di far leva sarà la restau-razione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul senti-mento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti,più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento pa-triottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmenteconfondere le idee degli avversari, dato che per le masse popo-lari l’unica esperienza politica finora acquisita è quella svolgen-tesi entro l’ambito nazionale, ed è perciò abbastanza facile con-vogliare sia esse che i loro capi più miopi sul terreno della rico-struzione degli stati abbattuti dalla bufera.

Se questo scopo venisse raggiunto, la reazione avrebbe vin-to. Potrebbero pure questi stati essere in apparenza largamentedemocratici e socialisti; il ritorno del potere nelle mani dei rea-zionari sarebbe solo questione di tempo. Risorgerebbero le ge-losie nazionali, e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfa-zione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Compi-to precipuo tornerebbe ad essere a più o meno breve scadenzaquello di convertire i popoli in eserciti. I generali tornerebbero acomandare, i monopolisti a profittare delle autarchie, i corpi bu-rocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le con-quiste del primo momento si raggrinzerebbero in un nulla, difronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.

Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il qualequalsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitivaabolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani.Il crollo della maggior parte degli stati del continente sotto ilrullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popolieuropei, che, o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleria-no, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo, in unacrisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti insolide strutture statali. Gli spiriti sono già ora molto meglio di-sposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell’Eu-ropa. La dura esperienza degli ultimi decenni ha aperto gli occhianche a chi non voleva vedere, ed ha fatto maturare molte circo-stanze favorevoli al nostro ideale.

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Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non sipuò mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti, con laconvivenza della Germania militarista a parità di condizioni de-gli altri paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il pie-de sul collo una volta che sia vinta. Alla prova, è apparso evi-dente che nessun paese in Europa può restarsene da parte men-tre gli altri si battono, a niente valendo le dichiarazioni di neu-tralità e di patti di non aggressione. È ormai dimostrata l’inuti-lità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Società delleNazioni, che pretendeva di garantire un diritto internazionalesenza una forza militare capace di imporre le sue decisioni, e ri-spettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdoè risultato il principio del non intervento, secondo il quale ognipopolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispo-tico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ognisingolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altripaesi europei. Insolubili sono diventati i molteplici problemiche avvelenano la vita internazionale del continente — tracciatodei confini nelle zone di popolazione mista, difesa delle mino-ranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell’interno,questione balcanica, questione irlandese, ecc. — che troverebbenella Federazione Europea la più semplice soluzione — comel’hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli state-relli entrati a far parte della più vasta unità nazionale avendoperso la loro acredine, col trasformarsi in problemi di rapportifra le diverse province.

D’altra parte, la fine del senso di sicurezza dato dalla inattac-cabilità della Gran Bretagna, che consigliava agli inglesi lasplendid isolation, la dissoluzione dell’esercito e della stessa re-pubblica francese al primo serio urto delle forze tedesche (risul-tato che è da sperare abbia di molto smorzata la convinzionesciovinista dell’assoluta superiorità gallica) e specialmente lacoscienza della gravità del pericolo corso di generale asservi-mento, sono tutte circostanze che favoriranno la costituzione diun regime federale, che ponga fine all’attuale anarchia. E il fattoche l’Inghilterra abbia ormai accettato il principio dell’indipen-denza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto col ri-conoscimento della sconfitta tutto il suo impero, rendono piùagevole trovare anche una base di accordo per una sistemazioneeuropea nei possedimenti coloniali.

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A tutto ciò va aggiunta infine la scomparsa di alcune delleprincipali dinastie, e la fragilità delle basi che sostengono quellesuperstiti. Va tenuto conto infatti che le dinastie, considerando idiversi paesi come proprio tradizionale appannaggio, rappresen-tavano, con i poderosi interessi di cui eran l’appoggio, un serioostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d’Euro-pa, i quali non possono poggiare che sulla costituzione repub-blicana di tutti i paesi federati. E quando, superando l’orizzontedel vecchio continente, si abbraccino in una visione di insiemetutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur ricono-scere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanziache i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svol-gere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un piùlontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’in-tero globo.

La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reaziona-ri cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggioreo minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da isti-tuire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelliche concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico,cioè la conquista del potere politico nazionale — e che faranno,sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie la-sciando solidificare la lava incandescente delle passioni popola-ri nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità — e quel-li che vedranno come compito centrale la creazione di un solidostato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo leforze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo ado-preranno in primissima linea come strumento per realizzare l’u-nità internazionale.

Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire intutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei varipaesi si vanno certamente formando, occorre sin d’ora gettare lefondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le for-ze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione piùgrandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costi-tuire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza ar-mata europea al posto degli eserciti nazionali; e spezzi decisa-mente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totali-tari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire neisingoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un

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ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia checonsenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita po-litica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.

Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficientedi uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nel-le loro mani, poiché la situazione e gli animi saranno favorevolialla loro opera. Essi avranno di fronte partiti e tendenze già tuttisqualificati dalla disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio.Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomininuovi: del MOVIMENTO PER L’EUROPA LIBERA ED UNITA.

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Compiti del dopo guerraLa riforma della società

Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenzia-mento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresentaun arresto. La fine di questa era farà riprendere immediatamentein pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privile-gi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impe-divano l’attuazione saranno crollate o crollanti; e questa lorocrisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione.

La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze,dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi la emancipazionedelle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizionipiù umane di vita. La bussola di orientamento per i provvedi-menti da prendere in tale direzione non può essere però il prin-cipio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà priva-ta dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea diprincipio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quandonon se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generaledell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classioperaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capi-talista; ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scoposognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la po-polazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestoridell’economia.

Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cuiquello della collettivizzazione generale non è stato che una af-frettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forzeeconomiche non debbono dominare gli uomini, ma — comeavviene per forze naturali — essere da loro sottomesse, guida-te, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi massenon ne sieno vittime. Le gigantesche forze di progresso scaturi-

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scono dall’interesse individuale, non vanno spente nella mortagora della pratica routinière per trovarsi poi di fronte all’inso-lubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le dif-ferenziazioni nei salari, e con gli altri provvedimenti del gene-re; quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo lorouna maggiore opportunità di sviluppo e di impiego, e contem-poraneamente vanno consolidati e perfezionati gli argini che leconvogliano verso gli obiettivi di maggiore vantaggio per tuttala collettività.

La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta,estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di forma-zione di una vita economica europea liberata dagli incubi delmilitarismo o del burocratismo nazionale. La soluzione raziona-le deve prendere il posto di quella irrazionale, anche nella co-scienza dei lavoratori. Volendo indicare in modo più particola-reggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che laconvenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovran-no essere sempre giudicate in rapporto al presupposto ormai in-dispensabile dell’unità europea, mettiamo in rilievo i seguentipunti.

a) Non si possono più lasciare ai privati le imprese che,svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono incondizioni di sfruttare la massa dei consumatori; ad esempio leindustrie elettriche, le imprese che si vogliono mantenere in vitaper ragioni di interesse collettivo ma che, per reggersi, hannobisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc.(l’esempio più notevole di questo tipo di industria sono finorain Italia le siderurgiche); e le imprese che per la grandezza deicapitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’im-portanza del settore che dominano, possono ricattare gli organidello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es.:industrie minerarie, grandi istituti bancari, grandi armamenti). Èquesto il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a naziona-lizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i dirittiacquisiti.

b) Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto diproprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumu-

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lare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà di-stribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario,per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli stru-menti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le con-dizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indi-pendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che,passando la terra a chi la coltiva, aumenti enormemente il nu-mero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda laproprietà dei lavoratori nei settori non statizzati, con le gestionicooperative, l’azionariato operaio ecc.

c) I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarieper ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenzanella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà da-re le possibilità effettive di proseguire gli studi fino ai gradi su-periori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà prepararein ogni branca di studi, per l’avviamento ai diversi mestieri e al-le diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individuicorrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimu-nerazioni medie risultino poi press’a poco eguali per tutte le ca-tegorie professionali, qualunque possano essere le divergenzefra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a secon-da delle diverse capacità individuali.

d) La potenzialità quasi senza limiti della produzione inmassa dei generi di prima necessità, con la tecnica moderna,permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relati-vamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario, col minimo diconforto necessario per conservare il senso della dignità umana.La solidarietà umana verso coloro che riescono soccombentinella lotta economica, non dovrà, per ciò, manifestarsi con leforme caritative sempre avvilenti e produttrici degli stessi malialle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie diprovvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, pos-sano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ri-durre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà piùcostretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori.

e) La liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solorealizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non la-

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sciandole ricadere in balìa della politica economica dei sindacatimonopolistici, che trasportano semplicemente nel campo ope-raio i metodi sopraffattori caratteristici anzitutto del grande ca-pitale. I lavoratori debbono tornare ad essere liberi di scegliere ifiduciari per trattare collettivamente le condizioni cui intendonoprestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici pergarantire l’osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenzemonopolistiche potranno essere efficacemente combattute, unavolta che sieno realizzate quelle trasformazioni sociali.

Questi sono i cambiamenti necessari per creare intorno alnuovo ordine un larghissimo strato di cittadini interessati al suomantenimento, e per dare alla vita politica una consolidata im-pronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà so-ciale. Su queste basi, le libertà politiche potranno veramenteavere un contenuto concreto, e non solo formale, per tutti, inquanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una co-noscenza sufficiente per esercitare un continuo ed efficace con-trollo sulla classe governante.

Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarsi, poi-ché, non potendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sor-gere ed operare, non faremmo che ripetere quel che tutti già san-no sulla necessità di organi rappresentativi, sulla formazione del-le leggi, sull’indipendenza della magistratura che prenderà il po-sto dell’attuale per l’applicazione imparziale delle leggi emanate,sulla libertà di stampa e di associazione per illuminare l’opinionepubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare ef-fettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni è neces-sario precisare meglio le idee, per la loro particolare importanzain questo momento nel nostro paese: sui rapporti dello stato conla chiesa e sul carattere della rappresentazione politica.

a) Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha conclusol’alleanza col fascismo andrà senz’altro abolito per affermare ilcarattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo ine-quivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte lecredenze religiose dovranno essere egualmente rispettate, ma lostato non dovrà più avere un bilancio dei culti.

b) La baracca di cartapesta che il fascismo ha costituito conl’ordinamento corporativo cadrà in frantumi insieme alle altre

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parti dello stato totalitario. C’è chi ritiene che da questi rottamisi potrà domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzio-nale. Noi non lo crediamo. Negli stati totalitari, le camere cor-porative sono la beffa che corona il controllo poliziesco sui la-voratori. Se anche però le camere corporative fossero la sinceraespressione delle diverse categorie dei produttori, gli organi dirappresentanza delle diverse categorie professionali non potreb-bero mai essere qualificati per trattare questioni di politica ge-nerale, e nelle questioni più propriamente economiche diverreb-bero organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente piùpotenti. Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazio-ne con gli organi statali incaricati di risolvere i problemi che piùdirettamente li riguardano, ma è senz’altro da escludere che adessi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché risultereb-be un’anarchia feudale nella vita economica, concludentesi inun rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciatiprendere ingenuamente dal mito del corporativismo, potranno edovranno essere attratti all’opera di rinnovamento; ma occorreràche si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da loroconfusamente sognata. Il corporativismo non può avere vitaconcreta che nella forma assunta dagli stati totalitari, per irreg-gimentare i lavoratori sotto funzionari che ne controllino ognimossa nell’interesse della classe governante.

Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamenteimprovvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora comin-ciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale,nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d’azione. Essonon deve rappresentare una massa eterogenea di tendenze, riu-nite solo negativamente e transitoriamente, cioè per il loro pas-sato antifascista e nella semplice attesa della caduta del regimetotalitario, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada, unavolta raggiunta quella meta. Il partito rivoluzionario sa inveceche solo allora comincerà veramente la sua opera; e deve perciòessere costituito da uomini che si trovino d’accordo sui princi-pali problemi del futuro.

Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque visieno degli oppressi dell’attuale regime, e, prendendo comepunto di partenza il problema volta a volta sentito come più do-loroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si con-

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nette con altri problemi, e quale possa esserne la vera soluzione.Ma dalla sfera via via crescente dei suoi simpatizzanti deve at-tingere e reclutare nell’organizzazione del movimento solo co-loro che hanno fatto della rivoluzione europea lo scopo princi-pale della loro vita; che disciplinatamente realizzino giorno pergiorno il necessario lavoro, provvedano oculatamente alla sicu-rezza continua ed efficace di esso, anche nelle situazioni di piùdura illegalità, e costituiscano così la solida rete che dà consi-stenza alla più labile sfera dei simpatizzanti.

Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo perseminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità inprimissimo luogo a quegli ambienti che sono più importanti co-me centro di diffusione di idee e come centro di reclutamento diuomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più sen-sibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani;vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima èquella che meno si è sottomessa alla ferula totalitaria, e che saràla più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, par-ticolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono spiritual-mente più soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Manmano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimentogenerale.

Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza diqueste forze, è condannato alla sterilità; poiché, se movimentodi soli intellettuali, sarà privo della forza di massa necessariaper travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffida-to rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimentidemocratici, proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sulterreno della mobilitazione di tutte le altre classi, contro gli ope-rai, cioè verso una restaurazione fascista. Se poggerà solo sulproletariato, sarà privo di quella chiarezza di pensiero che nonpuò venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben di-stinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero delvecchio classismo, vedrà nemici da per tutto, e sdrucciolerà sul-la dottrinaria soluzione comunista.

Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimentoorganizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tuttiquegli organi popolari che si formano spontaneamente comecrogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le masse rivoluziona-rie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate.

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Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non dauna preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistentevolontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigen-ze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime di-rettive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale delle infor-mi masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionariosi forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera demo-crazia.

Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba ne-cessariamente sboccare in un rinnovato dispotismo. Vi sboccase è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il parti-to rivoluzionario andrà creando con polso fermo, fin dai primis-simi passi, le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadi-ni possano partecipare veramente alla vita dello stato, la suaevoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisipolitiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accetta-zione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso diuna crescente possibilità di funzionamento, di istituzioni politi-che libere.

Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchifardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che so-praggiunge, così diverso da tutto quello che si era immaginato,scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie fra i gio-vani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere latrama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attualecrisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità ditutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per in-comprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come rag-giungerlo.

La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve esserepercorsa, e lo sarà!

Appendici

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La fondazione del MFE*Tesi politiche

I. Il crollo del regime fascista italiano non significa ancorala fine del fascismo. In Italia esso resta ancora celato dietro lamonarchia e la dittatura militare; e, soprattutto è ancora in piediil più minaccioso imperialismo fascista: quello di Hitler. Perciòprimo dovere di tutti gli italiani, nella attuale situazione, è quel-lo di esigere:

a) l’abolizione totale di tutti i residui fascisti comunque ma-scherati;

b) la formazione di un governo costituito da uomini e movi-menti che diano una sicura garanzia di voler combattere il fasci-smo ovunque e comunque si presenti;

c) la conclusione immediata della pace con le Nazioni Unite;d) l’attiva cooperazione, con tutti i mezzi di cui il popolo

italiano può disporre, alla guerra contro il nazismo fino alla suatotale distruzione;

e) la partecipazione volonterosa alla creazione di una pacesana e vitale.

II. Tutte le condizioni necessarie e sufficienti per il maturaredi una terza guerra mondiale continuerebbero a sussistere anchedopo aver frustrato il tentativo nazista di instaurare un imperorazzista tedesco in Europa, se si ristabilisse un ordine di cose ta-le che ogni stato conservasse la propria assoluta sovranità. Il di-ritto di fare la pace e la guerra, il diritto di disporre di esercitinazionali, il diritto di suddividere il mondo in compartimentieconomici chiusi e tendenti sempre a strappare mercati e mate-

(*) Il Movimento Federalista Europeo (MFE) venne fondato a Milano il27-28 agosto 1943.

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rie prime dai paesi rivali onde monopolizzarli a proprio esclusi-vo profitto, il diritto di impedire la libertà di movimento agliuomini proibendo loro di recarsi ove la loro operosità riesca piùfruttuosa a loro stessi e alla comunità, il diritto dei singoli paesidi trasformarsi, senza essere disturbati da interventi dal di fuori,in stati dispotici che educhino i loro sudditi all’odio e alla vio-lenza e si preparino a tutte le sopraffazioni; tutti questi poteri dicui dispongono i moderni stati nazionali si convertono in stru-menti di rovina, di imbarbarimento, di oppressione.

III. Anche una soluzione sul tipo della Società delle Nazionio della Confederazione Tedesca del secolo scorso risulterebbenefasta. Una tale confederazione fra stati, che lasciasse intatta aciascuno di loro la sua sovranità, che non disponesse, nell’ambi-to della sua competenza, di forze proprie, ma dipendesse daquelle dei singoli stati, sarebbe uno strumento politico assoluta-mente incapace di amministrare gli interessi comuni del conti-nente. Una tale organizzazione potrebbe essere solo lo strumen-to mediante il quale gli stati più potenti farebbero valere la loroegemonia, e sarebbe fomite di nuovi contrasti imperialistici.

IV. Militarismo, dispotismo, guerra possono essere eliminatisolamente creando una Federazione Europea alla quale sianotrasferiti quei poteri sovrani che concernono gli interessi comu-ni di tutti gli Europei e che in mano agli stati nazionali sono og-gi solo strumenti di rovina. Armamenti, libertà dei traffici inter-nazionali, moneta, delimitazione delle frontiere nazionali, am-ministrazione dei territori coloniali ancora incapaci di governar-si da sé, intervento contro eventuali tentativi di rinascita di regi-mi totalitari — in poche parole: l’amministrazione della pace edella libertà su tutto il territorio europeo, deve essere riservataai poteri esecutivi, legislativi e giudiziari della Federazione Eu-ropea. Nell’ambito in cui vige la sovranità federale gli abitantidei vari stati debbono possedere, oltre che la loro cittadinanzanazionale, anche la cittadinanza europea, cioè debbono avere ildiritto di scegliere e controllare i governanti federali ed esseresottoposti direttamente alle leggi federali.

V. Il Movimento Federalista Europeo (MFE) non si presentacome una alternativa alle correnti politiche che desiderano l’in-

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dipendenza nazionale, la libertà politica, la giustizia economica.Ai dirigenti e ai seguaci di questi movimenti, che abbraccianoquasi tutto quel che vi è di vivo e di progressivo nella nostra ci-viltà, esso non dice: l’indipendenza nazionale, la libertà, il so-cialismo sono ideali che occorre metter da parte per occuparsisolo dell’unità europea. Il MFE è anzi composto esclusivamentedi uomini seguaci di queste correnti; ed intende vederne realiz-zati i fini che sono consoni coi valori supremi della nostra ci-viltà. Ma mentre patrioti, democratici, socialisti pensano di soli-to che occorre anzitutto provvedere in ogni singolo paese allarealizzazione di quei fini, e che solo come conseguenza ultimasorgerebbe, quasi spontaneamente, una situazione internaziona-le in cui i popoli si affratellerebbero, il MFE mette in guardiacontro questa illusione. L’ordine di importanza degli obiettivi èprecisamente l’opposto. Indipendenza nazionale, libertà, sociali-smo saranno cose vitali e benefiche solo se avranno come pre-messa — e non semplicemente come conseguenza — la federa-zione, vale a dire un ordinamento politico che garantisca la pacee la giustizia internazionali. Se si riusciranno a creare le struttu-re fondamentali della Federazione Europea la via sarà spianataper la realizzazione di tutti gli altri fini progressivi della nostraciviltà. Se ci si occuperà solo dei problemi interni — nazionali,politici, sociali — dei singoli paesi, resteranno in piedi le causedi rivalità, di conflitti, di imperialismi, di militarismi, di dispoti-smi, di guerre. L’indipendenza nazionale tornerebbe a convertir-si in boria nazionalistica bramosa di opprimere le nazioni piùdeboli, la libertà politica svanirebbe soffocata dal militarismo,le strutture socialiste si tramuterebbero in strumenti atti a tenermeglio inquadrato il popolo in vista della guerra totale. L’in-staurazione della Federazione Europea è perciò il compito asso-lutamente preliminare verso cui debbono far convergere tutte leloro energie le correnti progressiste europee. Il MFE si proponedi convincerle di tale necessità, e, appoggiando tutti i movimen-ti di emancipazione nazionale, politica, sociale, mira ad indiriz-zarli verso questo fine.

VI. Le atrocità di ogni genere prodotte da questa guerra, ilpericolo corso di asservimento generale, la dimostrata incapa-cità di ogni singolo stato di difendere la propria neutralità e in-dipendenza dalle aggressioni, mostrano a tutti con evidenza pal-

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mare che il sistema delle sovranità assolute nazionali va sop-presso. Ma poderose forze reazionarie politiche ed economichesono interessate a conservarlo ancora in vigore per trarne van-taggi loro particolari. Alla fine della guerra, nel breve periodo diacuta crisi nazionale ed internazionale in cui le strutture dei varistati nazionali giaceranno a pezzi e si reggeranno a malapena inpiedi, ed in cui occorrerà provvedere alla instaurazione della pa-ce, questa non dovrà essere lasciata, come accadde nel 1919, inbalìa agli intrighi e alle ambizioni delle cancellerie e delle di-plomazie, quasi che ai popoli non interessi il modo in cui la pa-ce viene organizzata. Occorrerà invece appoggiare decisamentequel paese o quei paesi che saranno favorevoli alla creazione diorganismi federali, e si dovranno mobilitare in ogni paese leforze popolari, perché portino tutto il loro peso nell’imporre lasoluzione federalista. La Federazione Europea non potrà supera-re le grettezze, le tradizioni, gli interessi nazionalistici e realiz-zarsi che in un tale periodo rivoluzionario e finché sia vivo an-cora nella memoria di tutti l’orrore della guerra. Se si lasciassesfuggire questo momento decisivo, se si lasciassero consolidaredi nuovo tradizioni ed interessi nazionali particolaristici, le for-ze progressiste, quali che possano essere le conquiste ottenute inaltri campi, avrebbero tuttavia combattuto inutilmente e perso laloro battaglia. Ben presto, sotto una forma o l’altra, rivedrebbe-ro giganteggiare nuovi fascismi e nazionalsocialismi.

Per questo motivo la mobilitazione di forze politiche che ilMFE intende suscitare non è diretta verso uno scopo da realiz-zare in un lontano tempo a venire, ma mira ad imporre negli im-minentissimi momenti critici l’unico rimedio ragionevole con-tro il bestiale flagello della guerra totale fra nazioni civili, l’uni-ca struttura politica che permetta il libero svolgimento delle sin-gole civiltà nazionali, il fiorire delle libertà politiche, lo svilup-po delle istituzioni socialiste e prepari il terreno alla più lontanainstaurazione di una Federazione mondiale di popoli liberi.

Mozione sulle direttive generali.

«Il Movimento federalista, pur lasciando ogni suo membrolibero di studiare in modo particolare e preciso i vari problemipolitici e sociali che si pongono sul piano europeo, ed anzi, pro-

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muovendo tali studi, non deve ancora impegnarsi in formulazio-ni programmatiche troppo precise riguardo alla futura Federa-zione Europea e ai singoli problemi ad essa connessi, poichétroppi dati sono ancora fluidi ed incerti sia nel campo nazionaleche in quello internazionale. Rimane tuttavia fermo che un at-teggiamento federalista esclude qualsiasi forma di totalitarismoed esclude pure le forme di unità sia egemoniche sia apparente-mente federaliste, ma in realtà poste sotto il ferreo controllo diorganismi comunque totalitari. Con questa premessa il Movi-mento federalista si trova d’accordo con tutte le forze e tenden-ze progressiste che si rivelino favorevoli alla creazione della Fe-derazione Europea, da quelle comuniste a quelle strettamente li-berali, e non si pronuncia astrattamente per una federazione incui sia stabilita a priori la dose di collettivismo e di capitalismo,di democrazia e di autorità in essa ammissibili. Noi siamo infat-ti convinti che la struttura federalistica costituisce la condizionenecessaria per lo sviluppo di una vita politica libera. Solo infunzione di una tale rivoluzione i particolari problemi che sipresentano nell’ambito di ciascun paese possono essere risolti inmodo da trarre profitto di tutte le forze che concorrono all’affer-mazione dei valori essenziali della nostra civiltà. Non temiamoquesto o quel difetto od eccesso che possano verificarsi in unprimo momento. Le differenti valutazioni di questa o di quellaforza, di questo o di quello stato essendo oggi del tutto persona-li, non possono costituire un elemento di differenziazione».

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Intervista con Altiero Spinelli

I. Dal Manifesto di Ventotene alla fondazione del MFE, 1941-1943.

1. Domanda: Lei fu arrestato nel 1927; mi può dire quandofu trasferito al confino di Ventotene? Quando ha fatto conoscen-za di Ernesto Rossi e di Eugenio Colorni?

Risposta: Sono stato arrestato a Milano il 3 giugno 1927.Sono stato condannato a 16 anni e 8 mesi dal Tribunale specia-le, ma ne ho scontati in carcere solo 10, per sopraggiunte amni-stie parziali. Nella primavera del 1937, invece di essere liberato,ero stato inviato al confino di Ponza e, nel giugno del 1939, daPonza sono stato trasferito nella colonia di Ventotene, ove hofatto conoscenza con Eugenio Colorni, che era già lì confinatoassieme alla moglie (che è ora mia moglie), e con Ernesto Ros-si, che è giunto nell’isola un paio di mesi dopo di me, anche luiavendo finito allora il carcere vero e proprio.

2. Domanda: Nel suo resoconto biografico Pourquoi je suiseuropéen lei scrive che nel 1937 ha rotto definitivamente colpartito comunista. Quando si è diretto verso il federalismo euro-peo? All’inizio della guerra o già prima? Quali eventi oppureosservazioni erano determinanti per lo sviluppo di idee federali-ste? L’idea di un’Europa federata fu sviluppata da Spinelli, Ros-si e Colorni indipendentemente tra di loro oppure fu il frutto didiscussioni comuni a Ventotene?

Risposta: Come racconto nel Pourquoi je suis européen, do-po l’uscita dal PCI nell’estate 1937, ho meditato a lungo intorno

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ai problemi della democrazia senza giungere a conclusioni sod-disfacenti per circa un paio d’anni. Nella prima metà del 1939,la lettura degli articoli che Einaudi aveva pubblicato sul Corrie-re della Sera alla fine del 1918, contro la Società delle Nazioniper una federazione europea, la lettura di alcuni saggi di autorifederalisti inglesi, la lettura del libro Nationalstaat und Staat-sraison di Meinecke con la sua analisi della problematica creatadal contrasto fra le esigenze dello stato prussiano (esistente) edello stato tedesco (desiderato, ma ancora inesistente), nonchéla meditazione sulla evidente marcia dell’Europa verso una nuo-va guerra mondiale, mi hanno fatto balenare nella testa che pro-babilmente l’avvenire dell’Europa, dopo caduti fascismo e nazi-smo, avrebbe dovuto essere cercato non nella semplice restaura-zione delle democrazie nazionali, ma nella instaurazione di unafederazione europea. La convinzione fu rafforzata dall’iniziodella guerra, e dal crollo successivo di tutti gli stati dell’Europacontinentale sotto i colpi di Hitler.

Questa idea è nata inizialmente da discussioni fra me e Rossisulle letture e sugli eventi sopra ricordati. Quando cominciam-mo a parlarne con altri, Eugenio Colorni e la moglie Ursula fu-rono fra i primi ad accoglierla. La decisione finale di redigere ilmanifesto e tentare di diffonderlo nel continente è stata presa daRossi e da me verso la metà del 1941.

3. Domanda: Nella letteratura (Delzell, Lipgens) si leggeche i confinati di Ventotene appena arrivati alla conclusione del-la necessità della federazione europea si rivolsero ai FederalistPapers ed alle opere dei federalisti inglesi del Federal Union peraver maggior chiarezza, e che dallo studio di questi testi e dalleloro discussioni comuni scaturì poi il Manifesto di Ventotene. Aparte il fatto che certamente era abbastanza difficile introdurre li-bri del genere nel confino, mi sembra assai improbabile che iconfinati potessero leggere libri, che — con eccezione dei Fede-ralist Papers — erano apparsi tutti soltanto nel 1938 e dopo(Union now di Streit, Lionel Robbins ecc...). In altre parole, vor-rei sapere quali libri federalisti Ernesto Rossi, Altiero Spinelli eEugenio Colorni avevano a disposizione a Ventotene prima discrivere il Manifesto. Avevano letto i Federalist Papers di Ha-milton, Jay e Madison? Conoscevano i testi federalisti di LionelRobbins, Walter Layton, William Beveridge, Barbara Wootton?

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Risposta: Alla lettura dei saggi federalisti inglesi, di cui par-lo alla risposta 2, siamo giunti così: Luigi Einaudi, allora pro-fessore di economia all’Università di Torino, che, insieme a Be-nedetto Croce, era fra i pochissimi grandi intellettuali liberali,cui il fascismo riconosceva una certa libertà di espressione(pensi, per farsi un’idea, a Sacharov oggi), era da anni autoriz-zato a corrispondere in materie economiche con Ernesto Rossi,anch’egli professore di economia, benché questi fosse in carce-re, ed a mandargli anche qualche libro di economia in italiano oin altra lingua. Ad un certo momento, agli inizi del 1939, ci ca-pitò fra le mani Lettere politiche di Junius, pubblicate da Later-za nel 1920. Junius era lo pseudonimo con cui Einaudi durantee dopo la prima guerra mondiale scriveva sul Corriere della Se-ra. Lì trovammo, fra gli articoli suoi del 1918, alcuni dedicatialla critica dell’idea della Società delle Nazioni e in difesa del-l’idea di un federalismo europeo.

Ernesto Rossi chiese allora a Einaudi se poteva mandargliqualche studio su questo soggetto, ed Einaudi gli mandò saggivari di federalisti inglesi, dei quali ricordo l’argomentazione,ma non i nomi salvo uno. Non ricordo i nomi perché dopo la li-berazione ho avuto occasione di leggere non poca della lettera-tura federalista inglese degli anni ’30 nella biblioteca della So-cietà delle Nazioni a Ginevra, e non sono oggi più capace di di-re fra Layton, Beveridge, Wootton ed altri, chi avevo letto aVentotene, e chi a Ginevra. Sono invece sicuro che non cono-scemmo allora Union now di Clarence Streit. L’unico libro pre-ciso che ricordo è The economic causes of war di L. Robbins,che ho tradotto a Ventotene, e che l’editore Einaudi ha poi pub-blicato senza il mio nome.

Non si meravigli se Einaudi poteva ricevere dall’Inghilterra pri-ma dell’entrata in guerra dell’Italia qualsiasi cosa, e mandarcela.Come le ho detto c’era un minimo di rispetto della polizia per lui.

I Federalist Papers di Hamilton, Jay e Madison ci erano notiattraverso i testi sopraindicati che si ispiravano praticamente tuttiad essi, ma li abbiamo potuti leggere solo nel 1944 a Ginevra.

4. Domanda: Carlo Rosselli aveva pubblicato dal 1933 al1935 nei suoi Quaderni di Giustizia e Libertà di Parigi una seriedi articoli sulla necessità di una federazione europea. I confinatidi Ventotene sapevano di questi articoli?

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Risposta: Io non conoscevo gli articoli di Rosselli, e proba-bilmente nemmeno Rossi li conosceva, poiché non ricordo cheme ne abbia mai parlato a Ventotene.

5. Domanda: Il Manifesto di Ventotene fu scritto da AltieroSpinelli ed Ernesto Rossi. Ci furono ancora altri confinati chepresero parte alle discussioni del gruppo? Quale parte Colorniebbe nell’elaborazione del Manifesto? La terza parte del Mani-festo (“Riforma della Società”) assomiglia molto alle idee diRosselli espresse nel suo libro Socialismo liberale. Questa partefu scritta da Rossi che era stato uno dei rappresentanti di Giusti-zia e Libertà in Italia?

Risposta: Il Manifesto di Ventotene fu scritto da me quasiper intero. Come lei ha giustamente intuito Rossi ha scritto laprima parte del capitolo III — «Compiti del dopoguerra. Lariforma dello stato» — fino alla fine del paragrafo sul corporati-vismo. Dal capoverso «Il partito rivoluzionario non può esseredilettantescamente... ecc.» fino alla fine del Manifesto, è di nuo-vo scritto da me. Ma lo abbiamo discusso insieme tutto, e rico-nosco ancora giri di pensiero caratteristici dell’uno di noi duenelle parti scritte dall’altro.

Colorni non ha avuto parte alla redazione. Perciò nel pubbli-carlo poi in Problemi della Federazione europea, egli ha postosolo le iniziali A.S. e E.R. e non le sue.

6. Domanda: In quale maniera e da chi il testo del Manife-sto fu portato dal confino al continente nel luglio 1941?

Risposta: Il Manifesto, e poi successivamente i miei duesaggi, nonché il primo scambio di lettere clandestine con i primilettori del Manifesto sul continente, furono portati nel 1941 daUrsula Hirschmann Colorni, che non era confinata, ma che ave-va ottenuto il diritto di vivere con il marito e con le figlie a Ven-totene. Lei poteva andare e venire fra l’isola, Roma, Milano edera la nostra messaggera.

Le mie due sorelle, Fiorella e Gigliola, e Ada Rossi, mogliedi Ernesto — che venivano a trovarci al confino — sono stateanch’esse nostre messaggere, specie dopo che i Colorni furonotrasferiti da Ventotene a Melfi nel Sud-Italia.

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7. Domanda: Mi può dire in quale misura il Manifesto fudiffuso in Italia dal 1941 fino alla prima stampa nell’agosto1943? Chi si occupò della diffusione del testo? È possibile cheIgnazio Silone a Zurigo ne sapesse già qualcosa nel 1942 quan-do nel suo giornale L’Avvenire dei lavoratori sostenne la neces-sità di fare la federazione europea dopo la fine della guerra? ESilvio Trentin in Francia?

Risposta: Il Manifesto e gli altri miei scritti furono fatti co-noscere a Roma e a Milano da Ursula Hirschmann, agli antifa-scisti con i quali lei era in contatto. Fra i primi ad accettare l’i-dea di costituire un Movimento federalista furono: Mario A.Rollier, Guglielmo Usellini, i tre fratelli e sorelle Spinelli (Ceri-lo, Gigliola, Fiorella). Con il loro aiuto Ursula Colorni pubblicòanche e fece distribuire nel maggio 1943 il primo numero (ille-gale) di L’Unità Europea.

Non sono in grado di conoscere la penetrazione degli scrittifederalisti. Bisogna tener conto che un solo foglio illegale eraletto da molti e spesso era copiato a macchina e ciclostilato quae là prima di essere distrutto. Certo è che l’ambiente antifascistadel 1943 romano, milanese e torinese conosceva direttamente eindirettamente il Manifesto.

Non so se Silone lo conoscesse nel ’42 in Svizzera. Non cre-do che Trentin lo potesse conoscere in Francia.

8. Domanda: Nell’autunno del 1941 Colorni fu portato daVentotene in un carcere del continente da dove riuscì a fuggirepiù tardi (quando?). Al suo arrivo a Roma trovò già un piccologruppo federalista. Si ricorda ancora delle persone che militava-no in questo gruppo?

Risposta: Colorni è fuggito da Melfi (luogo di confino enon prigione) un paio di mesi prima della caduta di Mussoli-ni. A Melfi intorno a lui ed a Ursula si era costituito fra i con-finati politici in quel paese un piccolo gruppo che simpatiz-zava per il federalismo: Ada Rossi, Franco Venturi, ManlioRossi Doria.

A Roma e a Milano Ursula aveva ottenuto, come ho già det-to, alcune prime adesioni, che Eugenio Colorni trovò quandofuggì da Melfi e venne nella clandestinità a Roma.

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9. Domanda: Il 27-28 agosto 1943 una ventina di personefondò a Milano in casa di Mario Alberto Rollier il MFE. Finorapurtroppo non sono riuscita ad individuare tutte le persone chepresero parte alla riunione di fondazione del MFE. Dalle mie ri-cerche risulta con certezza soltanto che c’erano Rollier, AltieroSpinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, Ada Rossi, GigliolaSpinelli, Leone Ginzburg, Guglielmo Jervis, Ursula Hirsch-mann e Vindice Cavallera. Chi erano le altre persone? C’eranopure Vittorio Foa, Franco Venturi, Enrico Giussani, Dino Rober-to, Giorgio Braccialarghe, Buleghin e Arialdo Banfi?

Risposta: Dopo tanti anni è possibile che abbia dimenticatouno o due nomi, ma non credo. Ecco la lista di coloro che sicu-ramente ricordo come presenti alla fondazione del MFE in casaRollier: 1) A. Spinelli, 2) Eugenio Colorni, 3) Ernesto Rossi, 4)Ursula Hirschmann, 5) Ada Rossi, 6) Mario Alberto Rollier 7)Rita Rollier, 8) Gigliola Spinelli, 9) Franco Venturi, 10) FiorellaSpinelli, 11) Guglielmo Jervis, 12) Vindice Cavallera 13) Man-lio Rossi Doria, 14) Vittorio Foa, 15) Enrico Giussani, 16) DinoRoberto, 17) Giorgio Braccialarghe, 18) Arturo Buleghin, 19)l’architetto Belgioioso, 20) Arialdo Banfi, 21) Giorgio Banfi,22) Luisa Usellini. All’appuntamento mancavano GuglielmoUsellini e Cerilo Spinelli perché erano stati arrestati i primi diagosto dai carabinieri mentre distribuivano manifestini che invi-tavano a prepararsi alla guerra contro i nazisti.

10. Domanda: Il programma del PSIUP dopo il 25 luglio1943 contiene un piccolo passo in cui il partito richiede la crea-zione di una «libera federazione di stati» per distruggere in Eu-ropa l’assetto capitalistico della società ecc. Mi può dire se que-sto passo è di Colorni?

Risposta: Il passo federalista nel programma del PSIUP delluglio 1943 è di Eugenio Colorni. È stato la condizione allaquale egli è entrato nella direzione del PSIUP.

11. Domanda: Oltre il Partito d’Azione, il Movimento neo-guelfo di Piero Malvestiti, Edoardo Clerici e altri era il sologruppo politico ad avere una chiara visione federalista della po-litica estera nell’estate 1943. Lei sa se il Programma di Milano

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che comincia col richiedere la federazione europea era influen-zato dai federalisti?

Risposta: Non sono in grado di dire come Malvestiti e Cle-rici siano giunti ad avere una chiara visione federalista. Ho co-nosciuto entrambi, ma non mi è mai venuto in mente di doman-dar loro se erano stati influenzati da noi o no.

12. Domanda: Quale era la reazione dei partiti politici al-l’appello del MFE di impegnarsi primariamente per la creazionedella federazione europea nell’agosto 1943?

Risposta: Prima della caduta del fascismo i confinati di Ven-totene, comunisti, socialisti, giellisti — salvo poche eccezioniindividuali (diciamo: Colorni, Giussani, Roberto Buleghin, ilgiovane sloveno Lokar, un vecchio repubblicano di cui ho di-menticato il nome) — hanno reagito all’appello di Rossi e mioin modo aspramente negativo.

A Melfi e sul continente, grazie all’azione di Ursula, si sonoaggiunti pochi altri nomi.

Durante i mesi di Badoglio, quando i partiti si sono ricosti-tuiti, i comunisti sono rimasti estranei e ostili, tutti gli altri han-no colto la novità dell’idea e in modo chi più chiaro chi più con-fuso, ma tutti distrattamente, l’hanno inscritta nei loro program-mi. Dopo la guerra, tutti se ne sono dimenticati, ed hanno co-minciato a ripensarci solo quando c’è stata la svolta del pianoMarshall.

I membri del MFE in quegli anni difficili erano in buonaparte azionisti, in parte minore socialisti, in parte minima demo-cristiani.

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II. Il federalismo negli anni della resistenza, 1943-1945.

1. Domanda: Quando precisamente lei è fuggito in Svizze-ra insieme ad Ernesto Rossi?

Risposta: Non sono «fuggito». Il 28 agosto a conclusionedel congresso di fondazione del MFE, abbiamo deciso che eranecessario prender contatto con i federalisti che «certamente»dovevano esistere anche negli altri paesi. Io e Rossi abbiamoavuto l’incarico di andarli a «scoprire», poiché era difficile pen-sare a preparare un’azione federalista solo in Italia. Perciò io,Ursula Hirschmann e Ernesto Rossi siamo andati in Svizzeraverso la metà di settembre 1943, nel flusso dei rifugiati, ma inrealtà come «missionari» del MFE.

2. Domanda: Luigi Einaudi aveva già aderito al MFE in Italiaprima dell’8 settembre 1943, oppure soltanto più tardi in Svizzera?

Risposta: Ernesto Rossi ha ritrovato nell’autunno del 1943il suo maestro Luigi Einaudi a Ginevra, gli ha raccontato che ilMFE era uscito fuori dalle sue Lettere politiche del 1913, e loha invitato ad unirsi con noi. Einaudi è restato da allora nelMFE fino alla sua morte.

3. Domanda: Luigi Einaudi oltre a I problemi economicidella Federazione europea scrisse ancora altri articoli federalistiin Svizzera tra il 1943 e il 1945?

Risposta: È probabile, ma non ricordo.

4. Domanda: Il gruppo di fondazione del MFE aveva incarica-to Spinelli e Rossi di mettersi in contatto con gli altri gruppi federa-listi nei movimenti di resistenza degli altri paesi europei. Come sisvolsero i suoi tentativi di prendere contatto con questi gruppi?

Risposta: In Svizzera io mi sono stabilito con Ursula Hirsch-mann a Bellinzona; Ernesto Rossi con la moglie a Ginevra. Ab-biamo cominciato a ciclostilare e far circolare (illegalmente, per-ché ai rifugiati era interdetta ogni attività politica), materiale fe-deralista, non solo fra i rifugiati italiani, ma anche fra i numerosidemocratici svizzeri che simpatizzavano con gli antifascisti ita-

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liani e li aiutavano. Abbiamo così preso contatto con Silone, conFrançois Bondy, e Hanna Bertholet (lui svizzero, lei tedesca),con Hilda Monte (tedesca), con l’Europa Union svizzera, alloradiretta dal tedesco socialdemocratico Ritzel, con Soutou e Laloi,rappresentanti la France Libre a Ginevra, con Visser t’Hoft. Ab-biamo cioè scoperto che la nostra previsione era stata esatta. Ef-fettivamente il federalismo europeo era una pianta che era spun-tata ovunque nell’Europa occupata. Ernesto Rossi ha raccolto inquel periodo una prima documentazione della stampa clandesti-na europea che parlava di federazione e l’ha pubblicata presso laBaconnière a Neuchâtel nel libro L’Europe de demain.

5. Domanda: Quale parte Spinelli e Rossi avevano nell’ela-borazione degli incontri dei rappresentanti dei movimenti di re-sistenza di 8 paesi a Ginevra nella primavera del 1944? La Di-chiarazione federalista, che questi Resistenti votarono il 20maggio 1944 in casa di Willem Visser t’Hoft in molti punti as-somiglia alle idee dei federalisti di Ventotene. Risale ad un pro-getto di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli?

Risposta: L’idea di organizzare incontri dei movimenti diresistenza a Ginevra nella primavera del ’44 è mia e di Rossi. Iltesto della dichiarazione è stato preparato da me e poi discussoe messo a punto con tutti gli altri. Gli incontri sono raccontati inmodo vivace nelle memorie di Visser t’Hoft.

6. Domanda: Ho trovato due date diverse per l’arresto diEugenio Colorni avvenuto nel mese di maggio 1944 a Roma: il27 ed il 30 maggio 1944. Quale è quella corretta?

Risposta: Alla fine di maggio 1944 Eugenio Colorni è statonon arrestato ma abbattuto per istrada dai fascisti in via Livorno aRoma. Portato in ospedale è morto un paio di giorni dopo. Non so-no in grado di stabilire le date precise in cui è caduto e poi morto.

7. Domanda: Di Eugenio Colorni non ho trovato molti scrittifederalisti: la prefazione a Problemi della federazione europea;l’introduzione al primo numero dell’Unità Europea del maggio1943; l’articolo «Il carattere della federazione europea» (L’UnitàEuropea n. 2, agosto 1943) ed il suo progetto di risoluzione chevoleva sottoporre alla prima riunione del Consiglio Nazionale delPSIUP (febbraio 1944). Ci sono ancora altri suoi scritti federalisti?

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Risposta: Non mi risulta che ci siano altri scritti federalistidi Eugenio Colorni, ma poiché era redattore dell’Avanti clande-stino a Roma, suppongo che se si trovano lì articoli sull’Europadebbano essere suoi.

8. Domanda: Quando lei ha aderito al Partito d’Azione?

Risposta: Ho aderito al Partito d’Azione verso la metà del1944, quando avendo concluso con il convegno di Ginevra ladichiarazione federalista della resistenza, ho voluto tornare inItalia per partecipare anch’io alla resistenza.

Nel luglio del 1944 sono effettivamente rientrato, sono anda-to a Milano, sono stato cooptato nella segreteria del Partito d’A-zione - Alta Italia, ove ero con Parri e Valiani, ed ho diretto perqualche mese L’Italia Libera di Milano e L’Unità Europea chefino ad allora era stata diretta da M.A. Rollier.

9. Domanda: Durante la resistenza il tema della federazio-ne europea era praticamente svanito dall’ordine del giorno deipartiti politici italiani — con la sola eccezione del Partito d’A-zione e del piccolo Partito Repubblicano. Si può dire che la se-zione settentrionale del Partito d’Azione era più federalista diquella dell’Italia liberata? Quale parte il tema della federazioneeuropea aveva ancora nei dibattiti del partito in questi anni?

Risposta: La presenza mia nella segreteria del Partito d’A-zione - Alta Italia e al suo giornale, la presenza di Jervis, Galim-berti, Rollier nel P. d’A. piemontese, nonché l’atmosfera più so-gnatrice di un movimento clandestino hanno mantenuto più vi-va la voce federalista nel Nord.

In realtà, come ho già detto, l’idea federalista si è nell’ultimoanno della guerra e nei primi due del dopoguerra eclissata quasicompletamente, perché l’Europa non è entrata in una situazionenella quale fosse costretta a porsi il problema del proprio nuovoordine internazionale. L’Europa è stata conquistata tutta dalletruppe sovietiche e americano-inglesi, che hanno ristabilito, comecosa che andasse da sé, gli antichi stati nazionali, formalmentesovrani, di fatto controllati dai conquistatori. Il problema di un or-dine europeo è ridiventato attuale solo con il piano Marshall.

10. Domanda: Il P. d’A. era nettamente diviso in un’ala so-cialista ed una democratico-repubblicana. Si può dire che la cor-

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rente socialista (Lussu, Lombardi) era meno favorevole alla fe-derazione europea e che vedeva la soluzione dei problemi euro-pei piuttosto in un vago sistema di sicurezza collettiva europea?

Risposta: L’idea di un sistema di sicurezza collettiva euro-pea, all’ombra cioè delle due superpotenze, non era solo di Lus-su e Lombardi. Era anche di Salvatorelli. No, il grosso dei poli-tici italiani contava sull’ipotesi del permanente condominio rus-so-americano entro il quale ci sarebbero state zone di influenzapredominante dell’una o dell’altra potenza.

11. Domanda: Mi può dire se la casa editrice Nuove edizio-ni Capolago di Lugano che pubblicò tutti gli scritti dei federali-sti italiani redatti in Svizzera nel 1944 apparteneva ai fratelli re-pubblicani Egidio e Oronzo Reale?

Risposta: Non so a chi appartenesse la casa editrice Nuoveedizioni Capolago di Lugano. Forse lo sa la Signora AntoniettaGuazzaroni, figlia di Egidio Reale.

12. Domanda: Nel mese di marzo 1945 aveva luogo a Pari-gi la prima conferenza federalista europea. Chi, oltre a lei e suamoglie, rappresentava il MFE italiano? Quale era il tema princi-pale di questa conferenza? Mi può brevemente riassumere lasua linea politica svolta a Parigi?

Risposta: La prima conferenza federalista europea di Parigifu una conseguenza della dichiarazione di Ginevra. Questa haavuto luogo quando la Francia era ancora occupata, e la dichiara-zione giunse a Lione ove era stato costituito un Comité françaispour la Fédération européenne. Poco dopo avvenuta la libera-zione, il Comité (di cui facevano parte Camus, Baumel e altri delMLN) lanciò un invito per tenere una conferenza federalista aParigi. Io lo ricevetti a Milano, rientrai in Svizzera nel dicembredel 1944, e di lì mi recai clandestinamente con Ursula a Parigi.L’organizzatrice della conferenza è stata Ursula. L’animatore po-litico sono stato io. Fra i presenti ricordo Camus, Orwell, Mou-nier, Philip, Ferrat. Fu l’ultima fiammata del federalismo dellaresistenza. In quella occasione pubblicammo a Parigi due opu-scoli. «Altier» e «Antonelli» sono io. La Résolution è stata redat-ta da me. Non c’erano altri rappresentanti del MFE italiano.

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III. Il federalismo tra il 1945 ed il 1947.

1. Domanda: Dopo la fine della guerra lei si ritirò dal Mo-vimento federalista perché riteneva che la situazione internazio-nale determinata dalla conferenza di Yalta non permettesse piùnessuna politica di unione europea. Lei allora era convinto chel’occasione per fare l’Europa fosse passata per sempre, oppurepensava che si trattasse di una stasi transitoria?

Risposta: Seguivo con attenzione il corso delle cose; noncredevo alla vitalità del condominio russo-americano; atten-devo.

2. Domanda: Quando lei ha assunto la segreteria del P. d’A.?

Risposta: Nel maggio ’45 la segreteria Alta Italia e quellaromana si sono fuse in un’ unica segreteria collettiva di cui fa-cevo parte.

3. Domanda: Il tema dell’unità europea aveva ancora qual-che significato nel P. d’A. tra il 1945 ed il 1947 oppure anchequesto partito era come tutti gli altri, esclusivamente impegnatonel dibattito sui problemi nazionali, cioè Costituente, battagliaper la repubblica, ricostruzione economica?

Risposta: No. Il tema dell’unità europea non era più attualenemmeno nel P. d’A. Io ci sono restato, finché mi è stato possi-bile, solo nel tentativo di mantenere una posizione politica diforza in attesa che l’ora dell’Europa forse tornasse.

4. Domanda: Quando il prof. Umberto Campagnolo ha as-sunto la direzione del MFE, nella riunione di Milano nel settem-bre 1945 o già prima?

Risposta: Non ricordo la data in cui Campagnolo assunse ladirezione del MFE. Lo avevo conosciuto al mio ritorno dallaFrancia, a Milano nel maggio del ’45 poco prima di partire perRoma. Quando sono partito ho lasciato il MFE nelle mani diUsellini e Gorini. Qualche tempo dopo Campagnolo ne assunsela direzione.

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5. Domanda: Nel gennaio 1946 lei ha inviato una lettera adun gruppo di federalisti riuniti a Firenze invitandoli ad astenersida qualsiasi propaganda federalista e ad impegnarsi piuttostonella politica nazionale. Mi può far sapere il preciso contenutodella sua lettera? Dove è stata pubblicata per la prima volta?

Risposta: Non so dove sia stata pubblicata. Ma nel conve-gno di Firenze è stata letta.

6. Domanda: Sotto la guida di Campagnolo gli obiettividel MFE diventarono piuttosto vaghi e confusi. Il dibattitosvoltosi all’interno del Movimento (e soprattutto quello delprimo Congresso nell’ottobre 1946 a Venezia) sembrava gra-vitare più attorno a fini socialisti che a quelli federalisti. Ègiusto che nel 1946 il MFE era dominato da forze socialisteprovenienti dalla sinistra del PSIUP (cioè da quelle chiamate«socialcomuniste»)?

Risposta: Il suo giudizio sulla guida di Campagnolo è esat-to. Non credo che il PSIUP o la sua frazione di sinistra si siamai interessato del MFE. Ma uomini che si consideravano di si-nistra socialista, tentarono di portare il MFE sulle loro posizio-ni. Devo però confessarle che non mi sono né allora né poi maiinteressato del MFE in quel periodo, e perciò le mie informazio-ni su di esso non le consideri molto reliable.

7. Domanda: Quando ha lasciato il P. d’A.?

Risposta: Ho lasciato il P. d’A. dopo il suo Congresso diRoma nel febbraio 1946 con La Malfa e Parri. Ed ho rapida-mente abbandonato anche questi due, disinteressandomi per uncerto tempo di politica. Ich lag brach.

8. Domanda: Nel dicembre del 1946 si costituì a Parigil’Union européenne des fédéralistes. Lei aveva partecipato allapreparazione di questa riunione?

Risposta: Non ho partecipato a questa riunione. Con l’UEFho preso contatto solo al Congresso di Montreux, quando avevoripreso l’azione federalista.

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9. Domanda: All’Assemblea Costituente si era già costitui-to un gruppo federalista che riuscì a introdurre il famoso artico-lo 11 nella costituzione italiana. Quanti parlamentari avevanoaderito a questo gruppo e chi ne era il presidente?

Risposta: Non ho seguito i lavori della Costituente e non sodarle le notizie che lei mi richiede.

10. Domanda: Il 5 giugno 1947, a Harvard, il Segretario diStato americano George Marshall annunciò l’offerta di vastiaiuti americani a condizione che gli stati europei si mettesserod’accordo per formulare un programma comune di ricostruzioneeuropea. Però nessuno dei governi europei aveva compreso lavera portata dell’iniziativa americana. Questo vale anche per ilPresidente del Consiglio italiano, De Gasperi, ed il Ministro de-gli Affari Esteri, Sforza, che ci vedevano soltanto generosi aiutieconomici ed al massimo una generica ripresa del tema dell’u-nità europea. Ma come era con Einaudi, allora Ministro del Bi-lancio? Le è nota una qualsiasi presa di posizione di Einaudinell’estate 1947 in quanto alle conseguenze necessarie del pianoMarshall? (Io ho trovato soltanto il suo discorso pronunciato al-la manifestazione del MFE nel Teatro Sistina a Roma nell’otto-bre 1947, in cui sosteneva tra l’altro che non si poteva avere fi-ducia in trattati tra stati sovrani).

Risposta: Non mi risulta che Einaudi abbia di sua iniziativasentito le conseguenze europee del discorso di Marshall. Maquando Rossi, che come me le aveva sentite, pensò che bisogna-va rilanciare il MFE ed organizzò la manifestazione nell’ottobre1947, Einaudi aderì.

11. Domanda: Quale è stata la sua reazione immediata aldiscorso di Harvard?

Risposta: La mia reazione immediata è stata che con il di-scorso di Marshall si riapriva in termini di azione politica effet-tiva il tema dell’unificazione europea. Ho cominciato a scriverea Venezia articoli vari su quest’argomento, specialmente sulquotidiano diretto da Garosci Italia socialista ed infine ho conRossi deciso che avremmo ripreso in mano il MFE, e che ci sa-remmo di nuovo impegnati nella battaglia per l’Europa.

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12. Domanda: C’erano, tra il 1945 ed il 1947, contatti tra ilMFE e gli uomini politici italiani, governo e Assemblea Costi-tuente?

Risposta: Non credo. Comunque se ci sono stati non sonostati rilevanti. La prima ripresa di contatto importante con ilmondo politico è stata per l’appunto la Conferenza al Sistina or-ganizzata da Ernesto Rossi.

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Indice

Il Manifesto di Ventotene. La sola via da seguiredi Mario Albertini p. 3

Nota dell’editore » 9

Prefazione » 11

Per un’Europa libera e unitaProgetto d’un manifesto » 17

I. La crisi della civiltà moderna » 19

II. Compiti del dopo guerra. L’unità europea » 26

III. Compiti del dopo guerra.La riforma della società » 34

APPENDICI

La fondazione del MFE. Tesi politiche » 43

Intervista con Altiero Spinelli » 48

Ristampa Settembre 2000Ristampa Luglio 2004Tipografia Pi-Me Editrice - Pavia