Il manifesto del passaggio di frontiera

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ARCHIVI DELLA FOTOGRAFIA IL MANIFESTO DEL PASSAGGIO DI FRONTIERA QUADERNI DEL MUSINF ARCHIVI DELLA FOTOGRAFIA DIRETTI DA CARLO EMANUELE BUGATTI BERENGO GARDIN - BRUNETTI - CARLI - CUTINI - GIACOMELLI MELCHIORRI - MENGUCCI - RENZI - VALENTI Foto di Gianni Berengo Gardin Loriano Brunetti Giorgio Cutini Marco Melchiorri Paolo Mengucci Gianni Berengo Gardin Massimo Renzi Sofio Valenti Mario Giacomelli Enzo Carli IL MANIFESTO DEL PASSAGGIO DI FRONTIERA Museo Comunale d’Arte Moderna Comune di Senigallia I FOTOGRAFI DEL MANIFESTO DEL PASSAGGIO DI FRONTIERA NELLA RACCOLTA DEL MUSEO COMUNALE D’ARTE MODERNA DI SENIGALLIA QUADERNI DEL MUSINF

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I fotografi del Manifesto del Passaggio di Frontiera nella raccolta del Museo Comunale d'Arte moderna, dell'Informazione e della Fotografia di Senigallia. Il catalogo è stato curato da Carlo Emanuele Bugatti, con la collaborazione di Italo Pelinga, Enzo Carli, Davide Patregnani ed Alice Sanviti

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DIRETTI DA CARLO EMANUELE BUGATTI

BERENGO GARDIN - BRUNETTI - CARLI - CUTINI - GIACOMELLI MELCHIORRI - MENGUCCI - RENZI - VALENTI

Foto di Gianni Berengo Gardin

Loriano Brunetti

Giorgio Cutini Marco Melchiorri

Paolo Mengucci

Gianni Berengo Gardin

Massimo Renzi Sofio Valenti

Mario Giacomelli

Enzo Carli

IL MANIFESTO DEL PASSAGGIO DI FRONTIERA

Museo Comunale d’Arte Moderna Comune di Senigallia

I FOTOGRAFI DEL MANIFESTO DEL PASSAGGIO DI FRONTIERA NELLA RACCOLTA DEL MUSEO COMUNALE D’ARTE MODERNA DI SENIGALLIA

QUADERNI DEL MUSINF

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IL MANIFESTO DEL PASSAGGIO DI FRONTIERA

QUADERNI DEL MUSINF

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Carlo Emanuele Bugatti

LA FOTOGRAFIA NEL PROGETTO DEL MUSINF

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Nella fase di avvio delle raccolte del Museo comunale d’arte mo-derna, prevalentemente i temi di discussione erano stati quelli della pittura, dell’incisione e della scultura. Aveva suscitato una certa impressione, facilitando e velocizzando i processi di aggregazione e pubblicizzazione, il fatto che Victor Vasarely avesse aderito al progetto con l’invio, da Parigi, di alcune sue opere di optical art, il massimo dell’avanguardia internazionale del periodo. Vasarely me le aveva inviate, come stampe, in un rullo di cartone aperto. Ho sempre considerato un miracolo che mi fossero giunte e intatte. Fazzini, Mastroianni e Bianchi, che, al tempo, dirigeva l’Accademia di Macerata, pensando a Senigallia, pensavano immediatamente a Castelli, ma anche a Ceccarelli, che, partendo da Senigallia, erano giunti ad avere, in epoche successive, un prestigio nazionale. So-prattutto ancora era forte il prestigio accademico di Castelli, consi-derato un protagonista della scultura di avanguardia, che trovava i Mastroianni un interprete riconosciuto unanimemente. Era stato Virgilio Guidi, a introdurre il tema della fotografia nella discussione del gruppo dei maestri, che collaboravano con me per la costituzione delle raccolte del Musinf . Senigallia ricordava a Guidi l’esperienza di Cavalli e del gruppo Misa, cui aveva dato appoggio nella prima uscita espositiva, a Ro-ma, del sodalizio, destinato ad assumere rilievo storico. A Senigal-lia Guidi era venuto frequentemente, anche perché stavo curando, per i quaderni della rivista “Dossier arte”, che dirigevo, una pubbli-cazione delle sue poesie, poi edite sotto il titolo “Nella stessa luce”, con l’ illustrazione di disegni di Orfeo Tamburi. Tamburi non considerava molto la fotografia, se non per documen-tazione delle sue monografie. Però si interessava alle fotografie di Giacomelli, che riteneva propriamente delle opere d’arte, costruite, con impaginazioni magistrali e, in tema di paesaggio, con la sensi-bilità propria della scuola calcografica e xilografica urbinate. Così mentre la collezione di opere grafiche e pittoriche viaggiava speditamente, a livello nazionale ed internazionale, con l’arrivo del-le donazioni di tanti grandi artisti, da Brindisi a Dova, da Treccani ad Annigoni, da Purificato a Breddo, per la scultura e per la fotogra-

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fia aveva preso l’avvio dei contatti per l’acquisizione delle raccolte di autori locali, storicamente più significativi. Per la scultura si era partiti dalle sculture liberty di Mazzolani, dona-te al Musinf dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi. Si era poi giunti, dopo fasi diverse, che hanno richiesto molto tempo, anche all’acquisizione delle opere di Ceccarelli, per donazione da parte del figlio, un architetto di valore, attivo a livello internazionale, ma anche all’acquisizione, per donazione della famiglia, di importanti sculture di Alfio Castelli, parte delle quali sono messe a disposizio-ne dal Musinf per l’esposizione a Mosca, nella rassegna dell’arte marchigiana del secolo scorso. Si tratta evidentemente di un nucleo di opere importanti. che richiedono spazi di esposizione permanen-te perché documentano un’eccezionale presenza degli autori seni-galliesi nel farsi della storia della scultura italiana. L’operazione culturale importante, che attiene al ruolo e alla missione del museo, è che non siano state disperse. Gli spazi espositivi necessari ver-ranno, in conseguenza della presa di coscienza lenta, ma ormai in atto, da parte della comunità cittadina del valore di questo patrimo-nio, anche ai fini dell’offerta turistica. Per la fotografia la prima adesione determinante al mio invito per la costituzione, presso il Museo di Senigallia di una raccolta civica, documentativa dell’esperienza del “Gruppo Misa”, è venuta da Fer-roni, che l’anno scorso è stato giustamente riconosciuto dalla Fiaf, come artista dell’anno. Ferroni è un maestro della fotografia, consi-derato unanimemente come l’erede più fedele ed attento dell’alta lezione estetica di Cavalli. L’adesione di Ferroni si è manifestata attraverso la donazione di un consistente numero delle sue fotogra-fie più significative. Dopo la notizia della dispersione delle opere di Bice de’ Nobili, Mario Giacomelli donò al Museo l’importante suite di vintage, che costituiscono la vasta collezione civica a lui dedicata e che ha costituito la base per le mostre allestite dalla Biblioteca Nazionale di Parigi, inaugurata dal ministro francese alla cultura nonché al festival internazionale della fotografia di Bielsko Biala, inaugurato dal Presidente della Repubblica polacca ed alla mostra che si apre in questi giorni all’Istituto italiano di cultura di Los Ange-

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les. In una selezione di fotografie, che verrà presentata anche alla Biennale di New York, nel febbraio 2008. La donazione dell’intero corpus delle opere di Cavalli, avvenuta nel 2006 da parte del figlio dell’artista, costituisce un altro pilastro im-portante del dipartimento dedicato al gruppo Misa presso il Musinf, che comprende oggi anche importanti suite di fotografie di Bocci, Branzi, Camisa, Cavalli, Ferroni, Giacomelli, Malfagia, Pellegrini, Simoncelli, tutti appartenenti al gruppo. Inoltre collaborano al Muse-o ed alle iniziative di didattica della fotografia fotografi come Gam-belli, Tortelli, Mengucci, Angelini, Pegoli, Bonvini, Discepoli, che sono stati legati alle esperienze del gruppo e di Mario Giacomelli. Questa donazione ha consentito anche una catalogazione com-plessiva delle opere di Cavalli, che sono state recentemente valo-rizzate dalla bella mostra allestita al Museo di Roma,cui è seguita immediatamente quella dedicata a Cartier Bresson. Oggi la donazione formalizzata, nel corso della notte dei Musei 2007, da parte dei fotografi del manifesto del “Passaggio di frontie-ra”, coordinata da Enzo Carli, che dell’intera vicenda estetica del manifesto è stato uno dei promotori, aggiunge all’excursus storico della fotografia una documentazione, la cui importanza è stata colta da molti, ma la cui dimensione ritengo anche meglio si comprende-rà con il tempo, sulle esperienze degli artisti legati al manifesto, alla cui stesura, avvenuta a Senigallia, avevano partecipato anche Gia-comelli, Berengo Gardin, Brunetti, Carli, Cutini, Melchiorri, Menguc-ci, Renzi, Valenti. Per chi, come me, ritiene l’espressione “Senigallia città della fotografia” non solo un felice slogan turistico, ma un’immagine sostenuta dalla sostanza della vicenda storica e delle documentazioni, l’itinerario dei fotografi del manifesto costitui-sce un modo per legare nel modo migliore le vicende storicizzate, con gli entusiasmi e la creatività del presente, della cui documenta-zione e pubblicizzazione il Musinf cerca di essere protagonista, con l’abituale e opportuno anticipo.

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DOCUMENTI SUL MANIFESTO

DEL PASSAGGIO DI FRONTIERA

Dalla cartella edita dal Consiglio Regionale delle Marche

“I fotografi del manifesto Passaggio di Frontiera” curata da Carlo Emanuele Bugatti ed Enzo Carli.

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IL MANIFESTO: PASSAGGIO DI FRONTIERA La fotografia è il nostro mezzo privilegiato, con il quale esprimiamo la visione del mondo, i rimandi della memoria, i sogni e le ansie della nostra generazione. La vita psichica e relazionale, lo spazio esistenziale e le sue motivazioni interiori, sono al centro del nostro interesse. Le nostre proposte sul linguaggio fotografico, espressione di libertà, sono legate ad una serie di esperienze, trasformate dall'autoanalisi collettiva, in proprie motivazioni. Siamo impegnati in un progetto di fotografia globale, tra realtà, astrazione e concetto, dentro la rete complessa delle informazioni che le immagini instaurano e che co-stituiscono l'elemento dinamico del nostro percorso. Operiamo con la fotografia le scelte funzionali all'uso ed al linguag-gio, con le quali manifestiamo, nello spirito del tempo, i modi e le forme del comunicare per immagini. Siamo per la fotografia che nasce dalle emozioni e dall'intelletto, come un grido di risoluzione alla vita, espressione latente di un'idea che nella forma e nel conte-nuto è svincolata dagli obblighi del percorso della rappresentazione figurativa. Crediamo nella fotografia come espressione autonoma, come ogni cosa può esserlo nel rispetto delle reciprocità, slegata da ogni do-minio strumentale dell'arte e dal suo progetto di utilizzo. Rinnoviamo la sua storia che è spesso snaturata nelle sue ragioni interne, della libertà dell'immaginazione. Recuperiamo identità alla critica fotografica, spesso lasciata nell'indifferenza del pubblico. Il critico è un nostro simile, per pratica ed estrazione culturale, che si fa promotore ed interprete delle motivazioni e delle decisioni del fotografo. Cerchiamo le immagini che si fanno conoscenza e poesia, che dia-logano con la parola per il reciproco accrescimento. Perseguiamo la conoscenza attraverso l'educazione all'originalità, alla comunicazione, alla comprensione. Favoriamo le occasioni per far conoscere ed esporre, fuori dagli

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stereotipi della comunicazione di massa, le immagini del nostro racconto. Provochiamo situazioni in cui si possa discutere di fotografia, della sua natura e delle sue scoperte, per soddisfare il nostro bisogno di essere.

Senigallia, 14/1/1995 Enzo Carli, Mario Giacomelli, Gianni Berengo Gardin,

Ferruccio Ferroni, Luigi Erba, Giorgio Cutini, Aristide Salvalai, Stefano Mariani, Sartini Stefano,

Sofio Valenti, Paolo Mengucci, Marco Melchiorri, Massimo Renzi, Loriano Brunetti.

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UN PERCORSO DELLA FOTOGRAFIA II filone del realismo espressionista (nel secolo scorso forse quello che più ha riscattato il ruolo creativo della fotografia) si è proposto di trascendere la realtà fotografica percettivamente l'analogia della real-tà caricandola attraverso il filtro dell'interiorità emotivamente, di un differenziale semantico, un surplus di senso, oltre la sua stessa raffi-gurazione. Quindi sulla spinta di forti motivazioni interiori, il fotografo partecipa attivamente alla costruzione dell'immagine, passando da fotografie tendenzialmente denotative a quelle sempre più connotative e decisamente legate al contesto espressivo. Per Giuseppe Cavalli l'oggetto fotografato non è che il pretesto per trasfigurare la realtà fino al lirismo dei grigi aerei, mentre per Mario Giacomelli il reale è l'immaginario (sottraendo o aggiungendo realtà) e i suoi territori sono quelli dell'anima. Nel secolo scorso uno dei precursori della fotografia creativa o d'arte, Alfred Stieglitz, stupiva gli intellettuali con la serie fotografica: "Equivalente" (nota anche come "gli occhi del cielo") in cui nuvole e porzioni visibili del cielo, nelle intenzioni dell'Autore erano un indefinibile paesaggio dove l'interiorità si riflette, si specchia e restituisce una parte visibile, ordinata con una resa formale da cui traspare una rara e sconvolgente bellezza che sostiene il trasferi-mento di identità e la metafora. Più che mai si era sentita la necessità con la fotografia (il problema riguarda tutte le espressioni culturali) di passare da una visione esteriore ad una interiore. Se per i fotografi pittorialisti e realisti la realtà rimaneva qualcosa da guardare (o di vedere le cose) dall'esterno, per questi nuovi interpreti la realtà era qualcosa in cui calarsi, in cui vivere dall'interno (qui iniziano tutta una serie di sperimentazioni che porteranno la ricerca dentro la stessa natura della fotografia). "La riproduzione del mondo attorno a noi, attraverso il mondo che è in noi". L'immagine è espressione delle inquietudini dell'operatore (ai vari livelli delle sue manifestazioni e motivazioni, psichiche, razionali, istintive o liberatorie) e ne consegue che nella fotografia la rappre-sentazione del reale è mediata dal tipo di pulsioni che animano l'Autore (un'immagine deformata o accentuata dai contrasti), dal

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tipo di "mediazioni "che intende operare con particolari elementi del linguaggio (mosso, sgranato, rallentato, sfocato o, per dirla alla Giacomelli, bianchi bruciati e neri mangiati) unite a nuove e potenti caratteristiche del mezzo fotografico. Il fotografo rappresenta con la fotografia non solo esteriorità, ma interiorità, stati d'animo, senti-menti tragici o lirici. Al grido di rabbia espresso nella tonalità "sanguigna" di una cupe e veloce società, (la fotografia a toni bas-si, low-key), si contrappone l'impianto lirico e calligrafico della scansione tonale, del dissolvimento dei grigi della fotografia chiari-sta o a toni alti, higt-key. Due importanti direzioni di ricerca, una nella continuità dell'altra. L'immagine fotografica è costruita tenendo conto del modo di vede-re dal di fuori (quindi il reale o meglio la sua analogia) e dal modo di vedere dentro (quindi la propria interiorità); quindi è manifesta degli stati d'animo, del grido di disperazione o dei fantasmi precoscienti o del sogno dell'operatore. Quanto sopra apre nuovi spazi alla creatività e non stupiscono fotografie deformate, violente, trasgres-sive che abbattono la gerarchia della forma e del contenuto tradizio-nali. Si indaga nei pretesti del quotidiano banale o dell'esistenziali-smo sociale o sulla rivoluzione culturale della nuova civilizzazione, fino a ribaltare il messaggio visivo tout-court, come nel caso di alcu-ni movimenti di fine secolo, che indagano sulle nuove prospettive spazio-temporali o sui passaggi di frontiera per legittimare la nuova fotografia. La foto concettuale (come i movimenti interdisciplinari della video-art con le complesse installazioni) utilizzano un mix di linguaggi che, oltre ad indagare il percorso e la stessa natura della fotografia, si rivolgono con strette e tacite alleanze di idee con altre forme espressive. L'accademia e la stessa critica militante che han-no emarginato per troppo tempo la fotografia dai fatti dell'arte, o usato per la fotografia, nonostante la sostanziale differenza, lo stesso cli-ché valutativo della pittura, stanno prendendo coscienza del ruolo fondamentale della fotografia nelle arti figurative.

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PER UNA SOCIOLOGIA DELL'IMMAGINE FOTOGRAFICA La comunicazione di massa, attraverso le potenti Organizzazioni d'e-missione, tende ad uniformare il modo di vedere per immagini pro-ponendo, per sua configurazione, strategie del consenso che provoca-no reazioni ed atteggiamenti volti a favorire l'acquisizione di una cul-tura dispersiva e frammentata. La mentalità di massa ci induce a credere di conoscere o sapere più cose perché se ne possiede un'informazione che risulta quasi sempre generica, quindi non sufficiente per decodificare ed interpretare tanto più le arti figurative moderne. In quest'epoca c'è stata probabilmente la più ampia diffusione dello scritto, del parlato e delle immagini a discapito troppo spesso dei no-stri processi di apprendimento. Parliamo con convinzione di più ar-gomenti magari sentiti in televisione o letti in periodici "tuttologi", senza approfondimenti, solo per non sentirci esclusi da quel conte-sto. La televisione, questo elettrodomestico ormai entrato in quasi tutte le case, una specie di babysitter mediologica, è un esempio evidente dell'effetto "alone" e cioè di come si tende a dare ragione a ciò che piace, che si presenta simpatico, ed a considerare che non vale quello che non ci piace. La forte partecipazione emotiva che la televisione ci induce di fronte, per esempio, a trasmissioni di forte impatto sociale, ci scarica, il più delle volte, dal far qualcosa nei confronti di quanto sta accadendo. Insomma gli stereotipi visuali della comunicazione tendono a far prevalere ogni sorta di emotività sul razionale, sul concreto "fenomenologico", fino a sviluppare atteg-giamenti di consenso, (a volte ingiustificato) di accentuata esibizio-ne, (fino al presenzialismo esasperato) alimentando la "cultura del mito mediatico" che influenza larghe fasce di giovani ed adulti. Tentia-mo con la fotografia di ripristinare le condizioni della comunicazione spontanea, interpersonale (tra emittente e ricevente), per provocare immediati messaggi di ritorno, feed-back interattivi anche sullo stato delle arti figurative. Soprattutto, considerato che è un eccellente por-tatile, un "self-media" veloce e tecnologico, lo utilizziamo come stru-mento espressivo autonomo, quindi come pratica di libertà di lin-

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guaggio per recuperare la propria centralità e propositività espressi-va. Alla luce degli sviluppi degli strumenti e della tecnologia, la comu-nicazione spontanea (fuori dagli schemi delle grandi organizzazioni di emissione e di persuasione) per immagini e nella fattispecie in fotografia, non è così semplice. Il massiccio avvento delle immagini elettroniche e la loro diffusione via computer, hanno apparentemente relegato la fotografia come antenata della tecnologia visiva, ormai nella storia dell'archeologia figurativa. In realtà gli ambiti di applicazione, i suoi spazi, il suo grado di competizione e concorso con le altre tec-nologie dell'immagine, i suoi spazi creativi ed espositivi, compresa la musealizzazione, il suo utilizzo, soprattutto nel sistema dell'organiz-zazione editoriale, sono fondamentali. Se la fotografia è tendenzial-mente estromessa, emarginata dai fatti della comunicazione istantanea e dai relativi processi di velocizzazione dell'informazione tout-court, è innegabile che, di rimando, la fotografia abbia aumentato le sue pos-sibilità di utilizzo nel versante della creatività e della qualità dell'infor-mazione visiva. Si sta sempre più sviluppando un'editoria specializzata in fotolibri; i giornali e le riviste periodiche superutilizzano la fotogra-fia, anche se la collegano il più delle volte agli aspetti strumentali o commerciali e, occasionalmente, alla qualità dell'informazione visiva o ai fatti specifici della sua natura espressiva. La pubblicità la lusinga e la trasforma in medium privilegiato per favorire i consumi, per provocare consenso, comunque reazioni, per affascinare. Infine la fotografia (resa nella pratica del b/n, del colore, della diaproiezione o diapora-ma, della polaroid, del magnetico ecc.) alimenta la vita di tutto un popolo di "cavalieri dell'immaginario", migliaia e migliaia di fotoamatori sparsi in tutt'Italia. Le vecchie storie fotografiche continuano, di proposito e fino all'e-saurimento, a mantenere la differenza tra fotografo e fotoamatore, alimentando per certi versi la legittimità di un ruolo subalterno all'altro, privilegiando spesso un'organizzazione gerarchica e mentocratica, sostenuta da competizioni fotografiche "romantiche". Poco spazio viene riservato in effetti all'educazione e formazione (troppo tecnica a discapito di quella critico-storica), al rigore dei fatti e al percorso della fotografia con il rischio che la costruzione visuale

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della vita quotidiana è troppo spesso stereotipata, troppo specifica e frammentata nel rapporto con le altre forme espressive. Per assurdo le associazioni nate per tutelare in qualche modo la fotografia e gli appassionati praticanti, oggi ne sono completamente distanti. In real-tà nell'epoca della "civiltà dell'immagine" chi fabbrica e produce immagini è un potente stimolatore della nostra fantasia spesso soffo-cata dagli stereotipi visivi, quando un massaggiatore del nostro "sensorio" atrofizzato dal continuo bombardamento masmediologico e attraversato dalla corrente continua delle immagini. Date per scontate le antiche contraddizioni tra "hobby e cultura" (oggi più che mai le occasioni del tempo libero coinvolgono tutti i processi culturali), il fine di ogni produttore d'immagine (sia esso fotoamatore, fotografo o quant'altro) è aumentare la qualità della propria immagine che non è solo un fatto tecnico, soprattutto un fatto di conoscenza. E' fondamentale l'educazione alla conoscenza delle funzioni culturali, critico-storiche e dei linguaggi della fotografia e quindi nel porsi con un atteggiamento diverso nell'uso e nella pratica fotografica. Abi-tuarsi a conoscere e valutare le arti e le opere umane; svolgere una funzione critica utilizzando metodologie appropriate che permettono di esprimere le capacità critiche ed estetiche, adattandole e ripro-ponendole nell'immagine. Educare significa altresì riconoscere l'o-pera nel contesto storico culturale di cui è espressione; essere in grado di orientarsi tra i vari indirizzi elaborati dalle tendenze e dal gusto contemporaneo; riconoscere tutto quello che simula creatività (il kitsch, sfruttando forme o motivi di moda, di successo, di prestigio, di mercato) da quello che è originale, inedito creativo, trascendente. Formare e promuovere la conoscenza sulla molteplicità dei generi espressivi, sulle metodologie di lettura e valutazione, sulle caratteri-stiche delle immagini in rapporto ai tempi, sui diversi linguaggi e sul tipo di comunicazione che le immagini instaurano non è un dovero-so compito istituzionale ma una necessità per chi, producendo im-magini, intende essere avanti nel tempo, quindi esprimere il proprio atteggiamento nei confronti di tutto ciò che è artificioso, "manierato", convenzionale o plagiato, anziché inventato e costruito mediante scelte personali. Le arti figurative tradizionali nella società occidenta-

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le, proponevano modelli di lettura (sacro, profano, epico) tali da consentire la più ampia comprensione, mentre le arti figurative mo-derne, di cui la fotografia e un'espressione comunicante, adottano codici di lettura e di comprensione specialistici la cui conoscenza non può sfuggire a chi intende addentrarsi nel mondo dei segni, dei linguaggi, delle immagini e dei relativi sistemi espressivi. La cultura tecnologica globale, l'onnipresenza dei massmedia, il loro feticismo, il continuo edonismo degli apparati di emissione, diventano sempre più oppressivi ed alienanti e fagocitano questa "folla solitaria" obnubila-ta ed abbagliata dagli stereotipi del successo e dalle lusinghe della civiltà dell'industria culturale. La pratica della fotografia, una eccellen-te self-media portatile come cultura del fare e del sapere, costituisce occasioni di confronto e rafforza la comunicazione interpersonale. E' un mezzo congeniale per captare la "realtà ideale", per sostene-re l'autonomia espressiva, favorendo le piccole identità personali. La fotografia ricerca l'emozione, la verità, l'ambiente dell'uomo, le sue segrete passioni, il proprio vissuto nella memoria e nel ricordo. Di-viene competitiva nella misura in cui si carica di nuove certezze e garanzie nelle forme del proporre e comunicare.

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L’IMPIANTO TEORICO a cura di Enzo Carli

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I PROGETTI E LE VERIFICHE Nel manifesto Passaggio di Frontiera (galleria KN - Ancona, 1995; Senigallia, 1995) delineammo i tratti caratterizzanti il nostro appar-tenere al mondo della fotografia. Affermammo che essa, la fotografia, rappresentava la nostra supre-ma espressione dì libertà, ed era per noi lo strumento privilegiato col quale soddisfare il nostro inesauribile bisogno di conoscenza. Individuammo nella nostra interiorità il versante di ricerca che acco-munava il nostro operare, pur libero di spaziare tra realtà, astrazio-ne e concetto. Reclamammo l'adozione di criteri di lettura specialistici, svincolati da quelli plasmati da secoli di egemonia figurativa. Lanciammo un grido, con le parole e con le immagini, con l'intento di scuotere, provocare, innescare un contraddittorio che potesse contribuire ad un ulteriore salto di qualità della fotografia nell'ambito dell'arte contemporanea. Avvertimmo la necessità di "testare" le nostre affermazioni, affinché il manifesto non rimanesse agli annali come una lodevole quanto fine a se stessa dichiarazione d'intenti, fino a mettere in atto un modus operandi che potremmo definire “metodologia delle verifi-che”, metodologia che ci ha portati, nel corso degli anni successivi, a raffrontarci su parametri elementari e concetti profondi, da altri accettati in maniera passiva e dogmatica, quali lo spazio e il tempo, l'arte e la morte, il territorio e l'immaginario. La rivisitazione in chiave fotografica dell'opera di Luigi Bartolini ("Fotografia - Luigi Bartolini rivisitato" - Cupramontana, 1995), evi-denziò l'esigenza di definire nuovi confini estetico-creativi, e le im-magini segnarono un punto di rottura con quel perbenismo formale che avvertivamo sempre più come la prigione del potenziale e-spressivo della fotografia. Emerse allora per la prima volta e con chiarezza una sorprendente affinità intellettuale ed artistica tra gli appartenenti al gruppo, nono-stante l'eterogeneità delle tematiche affrontate dall'opera bartolinia-na e le differenti soluzioni tecniche, linguistiche ed espressive adot-

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tate per la loro reinterpretazione. Iniziava a maturare in noi la consapevolezza di poter operare, in una stessa operazione, su un duplice livello, personale e collettivo, con assoluta coerenza e libertà individuale, conferendo al concetto di gruppo significati nuovi e nuove prerogative. L'idea di metterci alla prova, di verificare le nostre affermazioni, ci stimolava e ci faceva vedere con occhi diversi cose che prima sem-brava non potessero interessarci: un'operazione sul paesaggio ur-bano ("Le forme della città", Schio, 1996) ci portò a circoscrivere l'azione fotografica entro un territorio volutamente ristretto e delimi-tato per quantificare il nostro livello di dipendenza dall'elemento spazio. Ne scaturì di fatto l'abbattimento di quei limiti spaziali propri di una diffusa concezione garantista e conservatrice della fotogra-fia. Le immagini rivelarono un insieme di piccole storie appartenenti non più al luogo-pretesto, ma al nostro universo psichico-emozionale, vero oggetto della nostra indagine. Un mosaico di ide-e, ognuna sufficiente a se stessa e funzionale alle altre, che nella sua configurazione globale vedeva amplificata la forza creativa e comunicativa. In "Così come la Morte" (Torino, 1997; Camerino, 1997; Senigallia, 1998; Rivisondoli, 1999) la verifica riguardò l'aspetto più certo e inesplorato dell'esistenza, rapportato all'arte e al nostro individuale concetto di tempo, di termine, di realtà o di rinnovamento. Ancora una volta ci servimmo del visibile per dar spazio all'invisibile, del reale per raccontare l'immaginario. E ancora una volta si potè av-vertire una connettività latente nelle singole immagini, tra le singole storie, tra le varie verifiche, con le linee guida del manifesto. Tornammo poi a parlare di territorio ("Tra visibile e invisibile - nella città di Acqualagna", Acqualagna, 2001), in un'operazione apparen-temente simile a "Le forme della città", ma con alcune differenze che ne fecero non una replica, quanto un proseguimento ideale e un completamento della precedente. Vi era di nuovo un limite territoriale: nel primo caso costituito da una piazza, in quest'ultimo da un'intera cittadina con la sua gente e i

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suoi scorci paesaggistici. Nel primo caso si trattava di raffrontarci con un sito noto e vissuto, pertanto già potenzialmente carico di rimandi emotivi. In quest'ulti-mo il luogo ci era pressoché sconosciuto e da esso non potevamo che cogliere la sensazione immediata - irrazionale, forse, ma certa-mente libera da preconcetti, dunque più vera - e attenderci che potesse indurre un effetto d'innesco al nostro turbine emozionale. In un'operazione che comunque non poteva prescindere da una funzione di promozione territoriale, liberi da canoni predefiniti e da vincoli estetico-narcisisti, ci siamo fatti promotori di un diverso con-cetto di bellezza, maturato dal manifesto a tutto ciò che ne è segui-to, dove il bello è ciò che parla al cuore, che scuote le menti, che suscita inquietudini, concepito e realizzato per un più intimo livello di percezione, non più per il solo appagamento dello sguardo. Quella sul colore ("II colore della fotografia", Arcevia, anteprima 2002) conclude questa prima serie di verifiche. Perché il colore? Non certo per descrivere limiti e virtù rispetto al bianco e nero, tantomeno per esaltarne il potenziale estetico in mirabolanti performances visive, e neppure per intervenire nella disputa - che ci lascia nella più totale indifferenza - se la vera foto-grafia risieda nel colore o nel bianco e nero. Le motivazioni che ci spingono ad affrontare la tematica del colore risiedono in noi, in quella parte di noi che ci spinge a guardare attraverso e oltre le cose alla ricerca di risposte e di nuovi quesiti, e nel rigore della veri-fica sul linguaggio della fotografia. Non ci siamo chiesti perché di fatto ci siamo serviti, lungo il percor-so delle verifiche, del bianco e nero, semmai in che modo a livello emozionale lo percepiamo e in che misura interviene nei nostri pro-cessi mentali ed espressivi fuori o dentro il colore, fino a mettere in discussione il nostro stesso appartenere al mondo della fotografia. Ogni verifica, sofferta, intervallata da lunghi periodi di riflessione, co-stituisce al tempo stesso punto d'arrivo e di ripartenza. Ogni que-stione affrontata ne ha innescate di nuove, attorno alle idee del manifesto, tra di noi, dentro di noi, con consapevolezza sempre crescente di disporre, col nostro sistema-fotografia, di una straordi-

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naria appendice della nostra sensibilità umana ed artistica. Abbia-mo sempre operato con la massima libertà individuale e collettiva, in coerenza con le nostre più intime convinzioni, lasciando che le idee dei singoli si sviluppassero autonomamente dal dibattito in seno al gruppo, verificandone poi, di volta in volta, la validità a livel-lo collettivo. Ciò che ci fa sentire un gruppo, oltre che un insieme di fotografi, è l'aver ogni volta riscontrato non tanto la compatibilità tra loro delle singole idee quanto un'assoluta complementarità delle stesse, av-valendosi ognuna anche della forza delle altre e dell'insieme pro-getto. L'insieme delle verifiche, a sua volta, si integra alle linee guida del manifesto, esplorandone i territori, senza precludersi la possibilità di dilatarne o di restringerne i confini qualora si rendesse necessario agli spazi della nostra mutevole identità.

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OLTRE IL MANIFESTO: "PASSAGGIO DI FRONTIERA". Sulla scia della grande tradizione di ricerca un Gruppo elitario di grandi fotografi, intellettuali, critici, operatori estetici e culturali, sem-plici appassionati confluisce aderendo al Manifesto: "Passaggio di frontiera" (1995), come necessità, nella direzione del Manifesto della Bussola (1947). Un gruppo che, per la necessità di liberare idee, individua nella fotografia lo strumento congeniale, più raffinato per una scelta di vita, per una selezione sull'uso e la pratica delle immagini, come chiave d'accesso alla propria interiorità per tessere le trame della propria esistenza, tra poesia e fantasia, concetto e concreto. In questo scarto che separa il vedere comune anoni-mo,dal vedere e sentire le immagini fotografiche come forza inarre-stabile della nostra civiltà interiore, si determinano i contenuti e le scelte del Gruppo. Una fotografia affrancata dalla schiavitù della storia dei sistemi figu-rativi, in primis dalla sua stessa storia e tradizione, per una ricostru-zione e "renaissance" con la fotografia della storia delle idee degli uomini. Un "polo drammatico" della rappresentazione figurativa con immagini che rivendicano differenziali semantici ed estetici. Fotografi che, con rigore e rispetto, con il pretesto della realtà per-corrono viaggi immaginari per riportare il riflesso dei loro territori interiori. Immagini che rivendicano nuove identità e che hanno se-gnato il passaggio della fotografia dall'originaria visione garantista verso altre intime convinzioni, dove la realtà è qualcosa in cui calar-si e vivere soprattutto dall'interno, quindi motivo di profonde trasfor-mazioni. La rappresentazione è determinata dalle pulsioni che at-traversano l'Autore e dalle mediazioni formali che ha inteso operare con i sistemi espressivi e figurativi. Il fatto di utilizzare la fotografia quale pretesto per rappresentare le dinamiche interiori (il concetto, la sensazione, il riporto, il comportamento) stimola la ricerca forma-le della propria identità. Una fotografia che esprime nuove propo-ste, portate, nei casi esasperati, all'abbattimento continuo della tradizione gerarchica della forma e del contenuto, perché viene intesa come grido di risoluzione dell'autore alla vita, quindi è mani-

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festa degli stati d'animo, istintivi, consci o inconsci. Questa continua "provocazione" può avere irrigidito l'atteggiamento di coloro che erano abituati a considerare la fotografia ed il mezzo fotografico come una specie di "rifugio estetico" contro le brutture della vita. In realtà la ricerca continua con linguaggi che, oltre ad essere un ne-cessario percorso di verifica dentro la natura stessa della fotografia e della sua filosofia, si rivolgono con strette e tacite alleanze, alla conoscenza di nuovi spazi creativi. Tra le avanguardie fotografiche sono in atto interessanti proposte che vedono gli Operatori fotogra-fici corrispondere alle immagini nuovi significati spazio-temporali o che recuperano alla fotografia una decisa progettualità. Sono se-gnali legati alla dinamica culturale delle profonde mutazioni, soste-nute da un nuovo sapere critico e da impegni di conoscenza, che devono far riflettere sul destino dei sistemi figurativi. Questa corrente inarrestabile di immagini della civiltà interiore, già parte integrante della nuova visione, ha segnato il passaggio di frontiera della fotografia.

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CATALOGO DELLE OPERE

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GIANNI BERENGO GARDIN

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Gianni Berengo Gardin è nato a S. Margherita Ligure, Ge, 1930. Dopo varie peregrinazioni in diverse città italiane e in Svizzera, nel 1965 si stabilisce a Milano. S’interessa di fotografia fin dal 1954, quando si associa al Circolo fotografico veneziano La Gondola, e quindi al Gruppo Friulano per la Nuova Fotografia, mentre il contat-to con Italo Zannier lo porta a costituire il Gruppo Fotografico Il Ponte. Fortemente orientato al realismo e al reportage, dal 1955 comincia una lunga collaborazione col giornale Il Mondo, a cui ap-proda grazie all’amicizia con Mario Pannunzio. L’esperienza lo rese tanto noto ed apprezzato da aprirgli numerose nuove collaborazioni su riviste quali Vogue, Domus, Stern, Le Figaro, L’Espresso, Epo-ca, oltre che col Touring Club Italiano. Berengo Gardin ha lavorato con successo anche nel campo della comunicazione pubblicitaria per grandi aziende quali Olivetti e Procter&Gamble. Autore di oltre 150 libri fotografici (tra cui In treno attraverso l’Italia, in collaborazio-ne con Ferdinando Scianna, e Un paese vent’anni dopo, con Cesa-re Zavattini), Berengo Gardin è celebrato in tutto il mondo come uno dei più autorevoli fotoreporter, con mostre personali nei mag-giori musei di New York, Parigi, Rochester, Arles, Losanna. Nel 1999 pubblica Italiani, un’antologia delle migliori foto scattate in Italia nell’arco di cinquantanni di attività.

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Milano – stazione centrale

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Milano

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Zurigo

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Milano

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Parigi

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LORIANO BRUNETTI

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Loriano Brunetti è nato ad Ostra Vetere, An, nel 1965. Avvicinatosi alla fotografia nel 1976, dal 1985 partecipa a mostre fotografiche e concorsi, inserendosi nel contesto fotoamatoriale e conoscendo esponenti di spicco della fotografia, quali Giacomelli e Carli. Ottiene riconoscimenti dall’ ANAF e dal FIAF, oltre che da una critica sem-pre più attenta. Nel 1990 partecipa alla fondazione del Fotoclub La Rotonda,e quindi, dal 1995, entra a far parte del Centro Studi Mar-che. Caratteristiche della fotografia di Brunetti sono una sottile iro-nia che pervade le immagini e la persistenza del passato e della memoria, elementi che permeano sia i suoi lavori a colori che in bianco e nero, i reportage sul territorio come le sperimentazioni astratte e cromatiche. Sue opere sono apparse su numerose riviste specializzate (Il Foto-amatore, Notiziari e Annuari ANAF e FIAF, Fotografare, Reflex, ecc.) e tra i volumi, Passaggio di Frontiera (1995), Tra visibile e invisibile (2001) e Così come la morte (1999), Human Work (2002).

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Forme vive (gatto)

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Forme vive (gallina)

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Forme vive (asino)

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Forme vive (colombo)

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Forme vive (coniglio)

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Forme vive (cane)

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Forme vive (lumaca)

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Forme vive (merlo)

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Forme vive (mucca)

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Forme vive (oca)

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Il gatto di Mario Giacomelli

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ENZO CARLI

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Enzo Carli è nato a Senigallia, An, nel 1949. Sociologo, giornalista, per vocazione fotografo, ha partecipato a innumerevoli mostre, di-battiti e convegni a livello nazionale e all’estero, tenendo seminari e corsi di fotografia in Atenei ed Istituti Superiori. Ha pubblicato saggi e scritti sulla fotografia e sulla comunicazione per immagini. Autore di fotolibri ed innumerevoli testi di critica e storia fotografica, tra i testimoni privilegiati della storia della fotografia italiana dal 1980 per lunghi anni vicino a Mario Giacomelli, di cui è stato allievo affettuo-so e biografo, nel 1995 ha redatto a Senigallia il Manifesto Passag-gio di Frontiera. Nello stesso anno ha curato la più ampia antologi-ca su Mario Giacomelli curando anche il catalogo: “Mario Giacomel-li. La forma dentro”, Ed. Charta, Milano. È stato consulente cultura-le per Enti pubblici e privati, tra cui Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi (provincia di Ancona, Repubblica di S. Marino, ANAF, FIAF, FIAP, ecc.) e relatore a numerosi convegni nazionali sulla fotografia amatoriale; direttore artistico del primo progetto europeo di fotogra-fia: “Human Work”. Nel 1996 è stato inserito come uno dei più auto-revoli studiosi di fotografia e di Mario Giacomelli sugli aggiornamen-ti culturali Utet.

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Parigi - Diario breve (2006)

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Parigi - Diario breve (2006)

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Parigi - Diario breve (2006)

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Diario breve - viaggio con Giorgio (2006)

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Parigi - Diario breve (2006)

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Parigi - Diario breve (2006)

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Parigi - Diario breve (2006)

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Musinf

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Sicilia

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Marche

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Per Parigi

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Marche

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Liguria

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Acquatica

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GIORGIO CUTINI

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Giorgio Cutini è nato a Perugia nel 1947. Chirurgo e fotografo per passione, si avvicina all’arte fotografica grazie all’incontro con Ugo Mulas, collaborando a testi critici e pubblicazioni di artisti contem-poranei. S’interessa anche alla fotografia scientifica applicata alla pratica chirurgia. Le immagini di Cutini sono una trasposizione dei moti d’animo e delle inquietudini del fotografo trasposte sui soggetti rappresentati, così che la realtà, bloccata, si trasfigura acquisendo un significato superiore e imprevisto, invisibile a una semplice os-servazione (nella serie degli Autoritratti, pure poco frequenti nell’ar-te contemporanea, così come nel fissaggio del movimento tramite lo scatto fotografico). Riprese le esperienze di ricerca nel Centro Studi Marche, nel 1995 Cutini è stato un leader del Manifesto Pas-saggio di Frontiera, ed è tra i fondatori della Galleria Kn di Ancona. Tra le recensioni alla sua opera spiccano quelle di Umberto Pier-santi, Armando Ginesi, Enzo Carli, Gualtiero De Santi, Francesco Scarabicci, Enrico Carli, Gabriele Perretta, Mariano Apa.

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I guerrieri (1997)

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S. t. (2005)

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S. t. (1991)

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Una sera fredda con molto vento (2005)

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S. t. (1991)

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S. t. (1991)

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Fruscìo (2005)

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S. t. (1994)

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Autoritratto con Giacomelli e Carli (1997)

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MARIO GIACOMELLI

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Mario Giacomelli, nato a Senigallia, An, nel 1925. Dopo aver perso il padre ancora bambino, a tredici anni è garzone in una tipografia di cui diviene comproprietario. L’ospizio di Senigallia, dove la madre lavora come lavandaia, è per Giacomelli una frequentazione quoti-diana, tanto che diventerà uno degli sfondi più significativi e cele-brati della sua produzione. Allievo di Cavalli, Giacomelli dopo una breve esperienza nel Misa (da cui si staccherà quasi subito) a se-guito di alcune sperimentazioni in pittura e poesia, procedendo alla raccolta delle proprie opere, come racconto fotografico e successio-ne di immagini, in serie poetiche a partire dal 1954, caratterizzate da una stampa spesso sgranata, fortemente contrastata, frutto di una cifra linguistica personalissima e immediatamente riconoscibile. Le opere di Giacomelli, universalmente apprezzate, sono ospitate presso i più prestigiosi musei del mondo. Muore a Senigallia nel 2000.

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Bando

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Lourdes - 1957

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Io non ho mani che mi accarezzino il viso - 1961

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Scanno - 1959

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Spoon River - 1971

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La notte lava la mente - 1994/95

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La notte lava la mente - 1994/95

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Campagna marchigiana - 1987

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MARCO MELCHIORRI

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Marco Melchiorri è nato a Lussemburgo nel 1965. Tra i “giovani” del Manifesto, testimone del Passaggio di Frontiera, si caratterizza per l’attività di ricerca e sperimentazione, trasferendosi a pieno titolo dal Fotoclub La Rotonda al gruppo dei fotografi del Centro Studi Mar-che per poi partecipare alle verifiche sul Manifesto che lo vedono impegnato nelle esposizioni Forme della Città, Così come la morte, Una città Acqualagna, Tra visibile e invisibile. La sua fotografia pen-sata e riflessiva, venata di un lirismo di ispirazione surrealista, riflet-te le ansie ed angosce dell’esistenza.

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Percezioni (1999)

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Percezioni (1999)

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La grande strada (1994)

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Archivio celeste (2002)

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Archivio celeste (2002)

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Archivio celeste (2002)

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Archivio celeste (2002)

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La casa dell’angelo (2002)

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Le forme della città (1996)

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La grande strada (1994)

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Stati di coscienza (1996)

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Le forme della città (1996)

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Stati di coscienza (1996)

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PAOLO MENGUCCI

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Paolo Mengucci è nato a Senigallia, An, nel 1946. Da sempre foto-grafo reportagista con una particolare attenzione alla saga del quo-tidiano stradale, Mengucci è uno dei personaggi di spicco dell’ulti-mo periodo del Centro Studi Marche dove partecipa già nel 1989 alle famose mostre di progetto per poi passare come firmatario al Manifesto Passaggio di Frontiera ed a tutte le successive verifiche. Le sue fotografie sono pubblicate sul catalogo: Così come la morte (Bartolini rivisitato), Una città Acqualagna, Tra visibile e invisibile. La sua fotografia, fortemente intuitiva e di grande respiro compositi-vo, filtra e trasforma in poesia, attimi della vita quotidiana. Le sue ultime immagini riflettono i suoi interessi spirituali e meditativi.

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MASSIMO RENZI

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Massimo Renzi è nato a Senigallia, An, nel 1966. Avvicinatosi gio-vanissimo alla fotografia per acquisirne le capacità tecniche, nel 1990 entra a far parte del Fotoclub La Rotonda, partecipando alle mostre e ricevendo i primi riconoscimenti, e nel 1995 si associa al Centro Studi Marche (Fotografi del Manifesto), dove entra in contat-to con Giacomelli e Carli, tra i suoi maggiori punti di riferimento for-mativi nell’elaborazione di una propria poetica fotografica, che è divenuta parte fondamentale della sua ricerca artistica, importante al pari dello stesso “fare fotografia”. Il lavoro di Renzi si circostanzia anche per l’attenzione critica al linguaggio visivo. Le foto di Renzi sono pubblicate sulle riviste quali Il Fotoamatore, Notiziario ANAF e Fotografare e nei volumi Passaggio di Frontiera, Tra visibile e invi-sibile e Così come la morte.

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Alberi (2005)

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Tra visibile e invisibile (2001)

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Tra visibile e invisibile (2001)

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Dannazione (1995)

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Dannazione (1995)

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Così come la morte (1999)

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Le forme della città (1996)

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Senigallia (2007)

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SOFIO VALENTI

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Sfio Valenti è nato a Sortino, Sr, nel 1948. Autore sensibile e raffi-nato, completa la sua formazione nel Centro Studi Marche dove è uno degli autori più attenti dell’ultimo periodo del gruppo, parteci-pando a mostre ed esposizioni di progetto. Entra come uno dei soci propositori e firmatari del Manifesto, realizzando tutte le verifiche. La sua fotografia è intrisa da venature di lirismo che riflettono la sua capacità contemplativa. Le sue opere sono pubblicate, tra gli altri, sui cataloghi Marchigiani (1993), Fermo Immagine (1994), Passag-gio di Frontiera (1995), Luigi Bartolini rivisitato (1995), Così come la morte (1999), Tra visibile e invisibile (2001). Tra i volumi ricordia-mo: Fotografia (1990), L’Eremo dei Frati Bianchi (1995).

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ESPOSIZIONI PROVE D’ARTE: (LUIGI BARTOLINI RIVISITATO) CUPRAMONTANA 1995. ANTEPRIMA DEL MANIFESTO, GALLERIA KN - ANCONA 1996 IL MANIFESTO - SENIGALLIA 1996 (presentazione Jean Claude Lemagny) Prima verifica: “LE FORME DELLA CITTA’” - SCHIO 1996 Seconda verifica: “COSI’ COME LA MORTE” - TORINO 1997, CAMERINO 1997, SENIGAL-LIA 1998, RIVISONDOLI 1999. Terza verifica: “IL COLORE DELLA FOTOGRAFIA” - ARCEVIA 2002 Quarta verifica: “ FORMATTAZIONE” - ANCONA 2004 CATALOGHI LUIGI BARTOLINI RIVISITATO, REGIONE MARCHE CUPRAMONTANA 1995 IL MANIFESTO PASSAGGIO DI FRONTIERA, KN ANCONA COSI’ COME LA MORTE, COMUNE DI RIVISONDOLI 1999 TRA VISIBILE ED INVISIBILE, COMUNE DI ACQUALAGNA 1999 (ERIBERTO GUIDI) RACCONTI E VIAGGI FOTOGRAFICI NELLE MARCHE, GRIBAUDO 2004 I FOTOGRAFI DEL MANIFESTO PASSAGGIO DI FRONTIERA (MEDIATECA DELLE MAR-CHE) 2005 I FOTOGRAFI DEL MANIFESTO PASSAGGIO DI FRONTIERA (QUADERNI DEL MUSINF) 2007

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Questo volume è stato composto e stampato presso il laboratorio calcografico e digitale

del Museo d’Arte Moderna, dell’Informazione e della Fotografia di Senigallia,

nell’ aprile 2007.

È stato curato dal direttore Carlo Emanuele Bugatti con la collaborazione di

Italo Pelinga, Enzo Carli,

Alice Sanviti, Davide Patregnani.