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IL LEGIONARIO COMMENTARIVS DEL SOLDATO ROMANO NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE ANNO IV N.38 DICEMBRE 2017 - Testo e struttura a cura di TETRVS I NUOVI GUERRIERI

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IL LEGIONARIO COMMENTARIVS DEL SOLDATO ROMANO

NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE

ANNO IV N.38 – DICEMBRE 2017 -

Testo e struttura a cura di TETRVS

I NUOVI GUERRIERI

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I NUOVI GUERRIERI

PREMESSA

Quale “esercito” romano d’occidente si avvia verso la conclusione della storia di questa

porzione dell’Impero? Quali sono le sue caratteristiche e qual è la sua dimensione numerica? Infine,

è davvero l’ultimo atto di ciò che è stata la più formidabile macchina da guerra dell’antichità oppure

anche in questo caso dalle sue ceneri risorge – come araba fenice – una nuova entità militare o

almeno ne lascia i suoi cromosomi negli eserciti dell’Alto Medioevo?

Come suggerisce Ian Hughes [v. I. Hughes “Ezio – La nemesi di Attila” – LEG 2017, pag. 129] «…

esistono poche … altre risorse per chiunque tenti ci ricostruire come fosse l’esercito del V secolo»

e una di queste “risorse” è rappresentata dalla “Notitia Dignitatum”. Anche se questo documento

presenta aspetti in certi casi “ideali” che potrebbero non corrispondere all’effettiva realtà del

periodo, è comunque una fonte da cui poter attingere qualche informazione abbastanza plausibile.

Un Magister Militum del V secolo (Legio II Britannica – ROMARS)

LA DIMENSIONE QUANTITATIVA

Non è facile stabilire con precisione il numero dei soldati nel V secolo, sia a livello

geografico si a livello temporale.

Intanto le legioni tradizionali non erano più composte da 5/6.000 uomini ma composte da

500/1.000 soldati (a fronte di un maggior frazionamento delle unità stesse ormai suddivise in

comitatensi, limitanee, pseudocomitatensi, palatine, ecc.)-

In ogni caso, vi è un dato legato al turnover annuo di soldati; tra fine servizio, morti,

disertori, inabili per feriti era necessario un ricambio stimato in circa 25/30.000 uomini l’anno.

Sembra che nel momento di maggior espansione, l’esercito tardo imperiale possa aver

sfiorato le 600.00 unità e il dato che sembra più puntuale e attendibile appare quello di Giovanni

Lido (storico del VI secolo) che fornisce un numero di 435.266, così accurato che sembra essere

basato sulla consultazione dei registri militari. Occorre comunque tener presente che talvolta i

registri militari non erano sempre aggiornati in merito all’effettiva presenza di soldati nei

contingenti. Difatti, ufficiali cui difettava onore ed onestà omettevano di dichiarare i morti, i

disertori ecc. al fine di incassare gli stipendi dei militari che risultavano ancora in servizio ma di

fatto non vi erano più.

Comunque, anche il numero di 400.000 unità medie di soldati andava diminuendo man

mano che l’impero perdeva i pezzi e questo significava rinunciare a uomini delle province perdute e

all’assenza di gettito fiscale per pagare i soldati.

Contenuto nella Notitia Dignitatum, vi è un documento chiamato “Distributio Numerorum”

che rappresenta un tentativo di descrivere la distribuzione delle unità militari nella parte

Occidentale dell’Impero Romano.

Dall’analisi di questo documento si evince che tra il 395 e il 420 – a causa di guerre

fratricide, battaglie contro i barbari e altro – era andato perduto quasi il 50% dell’esercito di terra e

quindi gli eserciti distribuiti territorialmente soffrivano di un notevole sottodimensionamento

rispetto alle effettive esigenze di difesa.

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Si passò quindi da una situazione in cui non si riusciva a pagare l’esercito ad una in cui poi

non ci fu più un esercito da pagare.

Intorno agli inizi del V secolo l’esercito Romano doveva avere [cfr. Ian Hughes, op. cit. pag.95]

la seguente consistenza:

OCCIDENTE

Illirico Occidentale 13.500

Gallia 34.000

Presentale 28.500

ORIENTE

Tracia 24.500

Illirico 17.500

Oriente 20.000

Presentale 42.000

In sostanza, tirando le somme sarebbero risultati 76.000 uomini in Occidente e 104.000 in

Oriente per complessivi 180.000 soldati.

Occorre però sottolineare che già nel primo quarto del V secolo, la N. D. stava diventando

obsoleta e pertanto qurei numeri potevano essere solo valori sulla carta, valori che sovrastimavano

eserciti con consistenze più ridotte.

Difatti, già nel 406, Stilicone dovette affrontare i Visigoti a Fiesole con un esercito di circa

20.000 legionari mentre nel 429 il Comes Tingitaniae, per la difesa del Marocco contro l’arrivo dei

vandali, disponeva forse di 7.000 uomini così distribuiti: 5.000 in due legioni, due auxilia palatina e

tre vexillationes a cui si aggiungevano circa 2.000 ad un’ala di cavalleria e sei coorti di fanteria.

«Secondo Peter Heather, … la perdita dell’Africa , nel 439 costrinse l’impero a rinunciare a

40.000 fanti e 20.0000 cavalieri» [Frediani, 2010].

Interessante l’analisi di Ian Hughes [I. Hughes , op. cit. pag 129] in merito all’esercito della

Gallia sotto i comandi del Generale Ezio.

Secondo l’Autore, sulla base della N.D. si ricaverebbe un esercito composto teoricamente- al

massimo dell’organico- di 45.600 con una soglia inferiore intorno a 30.400 fanti (per un organico

ridotto a 2/3) mentre per la cavalleria si ha un massimo di 7.200 uomini a cavallo e un soglia

ridotta a 2/3 pari a 4.200. A questi numeri “romani” si potevano aggiungere unità e di bucellarii

unni (la scorta personale di Ezio) e, pertanto «… le forze totali di cui Ezio poteva disporre

assommavano, forse, ad un numero oscillante tra 35.200 e 52.800» [I. Hughes , op.cit. pag 130].

Occorre poi aggiungere che nel 442 si diffuse una pestilenza (non si sa se di colera, vaiolo o

altro) che colpì molte aree dell’impero (e non solo) decimando la popolazione civile e l’esercito di

Ezio (già a corto di soldati). E’ plausibile ritenere che in un’armata che poteva risultare di 50.000

uomini si possa sottrarre una ragionevole quota di ¼ tra morti, malati e debilitati permanenti , il che

conduce ad un complesso di forze intorno a 37/38.000 soldati (Fortunatamente per l’impero,

l’epidemia aveva colpito anche i suoi nemici).

Nel 451, l’anno della battaglia ai Campi Catalaunici (dove Ezio vinse Attila), l’esercito

romano aveva ben poco di romano, composto da una confederazione di alleati goti, proprio per

sopperire alla penuria di legionari autoctoni”

Nel 468 l’armata allestita da Maggioriano con l’ausilio del potere di Costantinopoli per la

campagna contro i Vandali di Genserico arrivò forse a 50/60.000 uomini.

Tra il 475/476 alla fine dell’impero d’Occidente si possono stimare le unità romane (tra

quelle germaniche di Odoacre e quelle d’Italia e palatine di Oreste) intorno alle 30/40.000 unità,

distribuite tra gli ultimi eserciti delle residue aree imperiali.

LA DIMENSIONE QUALITATIVA (cenni)

Abbiamo visto (vedi nn. 36 e 37) come il V secolo segni un momento epocale e drammatico

nella storia di Roma e delle sue forze armate.

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Secondo lo storico Bryan Ward-Perkins è in questo periodo che « … i cittadini romani dovettero

imparare nuovamente le arti della guerra, e gradualmente vi riuscirono» [Bryan Ward-Perkins: La

caduta di Roma e la fine della civiltà – Editori Laterza 2010]

In sostanza, l’esercito romano viene parzialmente rifondato attraverso iniziative anche

private come quella di due latifondisti spagnoli che nel 407/408 costituirono una milizia militare

formata da schiavi (sicuramente ex combattenti) da inviare in aiuto di Onorio, loro lontano parente. [Bryan Ward-Perkins: op.cit.]

Qualcosa di analogo successe in Britannia, dopo il 410, quando i romano-britanni –

soprattutto della zona oggi compresa nel Galles - si industriarono per difendersi contro le invasioni

sassoni e di altre etnie (e da qui inizia a prendere corpo la leggenda arturiana).

Queste soluzioni di affiancamento di milizie “popolari” al fianco dell’esercito regolare non

furono destinate ad avere molto successo anche perché occorreva un certo lasso di tempo per

trasformare un volenteroso civile in un buon soldato.

In ogni caso, furono iniziative isolate, intraprese comunque troppo tardi, in una fase in cui il

logorio interno delle lotte civili, il peso delle pressioni esterne delle popolazioni cd. “barbare”

minava e sgretolava le ultime difese.

La revoca del divieto per i cittadini romani di portare armi da parte di Valentiniano III (440)

di fronte alla minaccia dell’invasione Vandala dal mare fu un altro estremo tentativo di militarizzare

la popolazione così come quello di un nobile gallico che si mise a capo della resistenza locale

contro i Goti che – nel 470 - cingevano d’assedio Clermont. Questi tentativi, spesso anche con esito

positivo, dimostrano che vi era una concreta speranza di contrastare gli invasori una volta che i

civili si fossero “militarizzati” ed abituati a combattere. Ma ciò avvenne quando ormai era troppo

tardi e le sorti dell’Occidente erano già segnate [ Bryan Ward-Perkins: op.cit.]

. Altresì, l’esercito perdeva man mano la sua “romanità” e sempre più integrava tra le sue fila

contingenti stranieri (i cd. “barbari”).

Poiché la maggior parte delle legioni erano dislocate nei pressi del confine Reno-Danubiano

e di quello orientale furono soprattutto i Germani e i Sasanidi ad influenzare maggiormente le

ultime evoluzioni dell’armamento romano (e viceversa): quando due eserciti vengono in contatto,è

inevitabile un influsso e scambio reciproco.

Lo “scambio” romano-barbarico (o germanico) sul piano sociale (usanze) e militare

(condottieri) si riflette anche su quello operativo o inteso come equipaggiamento, abbigliamento,

armi, tattiche, ecc. Questo riflesso non è nato nel V secolo ma ha le sue prime avvisaglie in epoche

pregresse, in particolar modo nel secolo precedente in quanto «… sin dal IV secolo, gli eserciti

romani e quelli delle popolazioni germaniche tendevano ad assomigliarsi, sia per quanto riguarda

l’equipaggiamento sia per quanto riguarda le armi.

I Romani avevano adottati molti degli elementi dell’abbigliamento germanico a cominciare

dai calzoni lunghi . la spada aveva rimpiazzato i l tradizionale gladio e gli elmi era [quasi ] per

tutti variazioni del modello Spangenhelm. Da parte loro i guerrieri germanici subivano

l’ascendente dei loro colleghi romani …» [A. Magnani, La Guerra Gotica ed. Chillemi. pag .13]

Sul fatto che eserciti romani e barbarici non presentassero più sostanziali differenze vi è un

resoconto di Claudiano (guerre Gotiche] relativo all’assedio di Milano da parte dei Visigoti. Infatti

«Claudiano è abile nel descrivere l’apprensione dei milanesi che nel vedere avvicinarsi un grosso

esercito - le truppe romane non differivano ormai molto da quelle che combattevano – stettero col

fiato sospeso fino a quando non individuarono l’elmo del generalissimo [Stilicone] e, sotto di esso,

la sua famosa canizie, prorompendo infine in urla e acclamazioni di gioia. …» [A. Frediani – Gli

Ultimi condottieri di Roma -Ed. Il Giornale pagg.92-93.]

Cerchiamo dunque di capire o di immaginare come poteva essere lo standard di un guerriero

romano intorno alla metà del V secolo, ossia verso la fase terminale, quella più caotica e con

caratteri più mescolati in termini di combinazione di equipaggiamenti e armi.

In termini di elmi, sono oramai diffusi quelli classificati oggi Ridge (di derivazione

orientale) e Spangenhelm( di derivazione iranica), talvolta affiancati da quelli definiti “pseudo

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attici” (probabilmente più in uso tra gli ufficiali). Gli elmi potevano presentare anche creste di

penne o crini.

Per quanto concerne le armature, esse potevano essere del timo a cotta di maglia, lamellare e

anche muscolata (diffuse anche tra i ranghi inferiori cfr. Y. LeBohec)

Lo scudo era ormai tondo od ovale, piatto o lenticolare, senza dubbio meno protettivo ma

permetteva di maneggiare meglio un’arma più ingombrante come la spatha che oramai aveva

soppiantato il gladio. Pertanto se all’inizio del V secolo era già arduo distinguere un soldato romano

da uno germanico, alla fine del secolo e all’inizio del VI (primo Alto Medioevo) uno romano e uno

sasanide (che si combattevano da secoli) dovevano apparire davvero molto simili.

(Soldati romani dai mosaici della basilica di S. Maria Maggiore in Roma – V secolo)

DOPO LA CADUTA DELL’IMPERO D’OCCIDENTE

Durante il caos dell’ormai agonizzante impero, nella seconda metà del V secolo, Afranio

Siagrio, (figlio di Egidio, anch’egli magister militum ad Gallias durante il regno di Maggioriano)

ultimo magister militum ad Gallias creò uno stato - o secondo alcuni rimase chiuso in un’enclave

romana – nel nord-ovest della Gallia, in un territorio compreso tra la Loira e la Senna che includeva

la regione d’Orleans, circondato dai Visigoti a sud e dai Franchi a nord-est.

L’esercito di Siagrio doveva oscillare tra i 6-7.000 uomini, per la maggior parte Franchi che

combattevano sotto antiche insegne Romane.

Il regno di Siagrio durò poco più di venti anni ma ne sopravvisse dieci oltre la caduta

dell’Impero Romano d’Occidente. Nel 486, infatti, le sue armate tardo imperiali di ciò che poteva

considerarsi un residuo dell’esercito romano furono sconfitte dai Franchi di re Clodoveo I nella

battaglia di Soissons. Siagrio, scampato alla disfatta, si rifugiò presso i Visigoti ma venne catturato

e consegnato a Clodoveo. Siagrio morì nel 487, pugnalato, ma il suo fu, comunque, uno strenuo

tentativo di mantenere l’autorità romana (per lo meno gallo-romana) in Gallia.

Nel tramonto di una metà del più grande impero dell’antichità, nel sorgere dell’era di mezzo,

sta per terminare ormai la storia dell’ esercito romano occidentale, le cui residue forze sono soltanto

addensate in truppe oramai prezzolate e al servigio dei nuovi sovrani.

Tuttavia l'assetto generale dell'esercito romano tardo-imperiale, ed alcune sue unità,

sopravvissero almeno fino al VI secolo all’interno e al servizio dell’Impero d’Oriente, come

testimoniato dalla presenza dei Regii, un’auxilia palatina attiva sin dalla pubblicazione della Notitia

Dignitatum, impiegate nella difesa delle mura Aureliane minacciate dagli Ostrogoti durante la

guerra Greco - gotica avviata da Giustiniano per la restaurazione dell’Impero.

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SCHERMA CON LA DAGA (4a parte) Le funzioni di combattimento del pugio o della daga (che racchiude le altre tipologie di

arma corta) si evidenziano attraverso le caratteristiche strutturali delle singole parti che lo compongono (M.Saliola – F.Casprini – Pugio gladiusbrevis est –ArborSapientiae Roma 2012 pag. 41) In sostanza un pugio si compone di:

manico; guardia; lama

MANICO. Il manico di metallo nel pugio (talvolta anche osso, legno o altro materiale per altre

tipologie) comporta – se con irregolarità – un forte attrito con la pelle della mano soprattutto

in presenza di sudore che determina piaghe o lesioni (questa patologia si attenua con

materiali porosi quale osso o legno). Ne deriva che il pugio è stato concepito per un utilizzo

breve in quanto una pratica prolungata comporterebbe danni alla mano.

GUARDIA. La guardia è praticamente assente in quasi tutte le tipologie di pugio o daghe o

comunque molto ridotta. Da ciò ne consegue che questo tipo di arma – pur se a doppio filo -

non è stato concepito come un ferro da scherma (come in alcune daghe medievali) in quanto

non in grado di fermare o parare alcuni colpi. Il pugio (e le armi analoghe) è quindi un’arma

d’attacco (e come tale da utilizzarsi nella schermaglia individuale), adatta a colpire

soprattutto di punta.

LAMA. A giudicare dal tipo di ferite e lesioni prodotte, il pugio era un’arma letale. Difatti, pur

se a doppio filo, il pugio era utilizzato per colpire di punta e la lama a forma di foglia di salice

fa sì che quando la punta entra in profondità, la ferita si allarghi (criterio valido anche per la

semispatha). Inoltre sia che il pugio venga impugnato a rompighiaccio (inversa) che in modo a

spada (normale), quando viene estratto, mediante la torsione del polso che imprime una

rotazione alla lama e grazie al suo doppio filo, si produce un’ulteriore lacerazione dei tessuti e

dei vasi sanguigni con conseguente il dissanguamento della vittima. -continua-

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BIBLIOTECA

Ian Hughes

EZIO LA NEMESI DI ATTILA

LEG

Nell'anno 451 d.C. Attila, con una forza enorme composta da unni, alleati e vassalli del suo già vasto

impero, era penetrato a ovest attraverso la Gallia, ancora nominalmente parte dell'Impero Romano

d'Occidente. Dopo avere preso d'assedio Orleans, solo un paio di giorni di marcia lo separavano

dall'estendere il suo dominio dalla steppa eurasiatica fino all'Atlantico. Ma prima che ciò potesse avvenire,

il 20 giugno 451 si svolse la battaglia dei campi Catalaunici, in una pianura della Gallia nei pressi dell'odierna

Chàlons-en-Champagne. Nello scontro, le truppe del generale romano Ezio, reclutate soprattutto tra i

barbari e affiancate dagli alleati visigoti di Teodorico I, prevalsero sugli unni di Attila. Ma chi era Ezio? Chi

era l'uomo che salvò l'Europa occidentale dal giogo degli unni? Mentre Attila è familiare a tutti, la vicenda

del generale romano è rimasta relativamente oscura. Ezio è una delle figure più importanti della storia del

tardo Impero Romano e le sue azioni hanno contribuito a mantenere l'integrità dell'Occidente negli anni del

declino. Prima della sua carriera ai vertici dell'esercito romano, fu un semplice ostaggio tra i goti di Alarico e

poi con Rua, re degli unni. La sua permanenza presso questi due popoli contribuì a dargli una visione senza

precedenti delle tecniche e delle strategie militari di questi 'barbari'. Pagine di storia in uno stile preciso e

accattivante pongono Flavio Ezio in relazione con gli altri grandi protagonisti di un'epoca che trasfigura

nella leggenda: insieme a Ezio e Attila, Alarico, Valentiniano III, Galla Placidia, Genserico e papa Leone I. In

un vasto scenario che guarda da Aquileia alla Gallia, dalla Spagna a Cartagine, da Ravenna a Costantinopoli,

i decenni fondamentali del passaggio tra tarda antichità e medioevo trovano in questo libro una narrazione

in grado di misurarsi con eventi complessi, intrighi oscuri e lacune storiografiche, riuscendo a trasmettere il

fascino di un'epoca travagliata e del suo grande protagonista: Flavio Ezio, terrore dei barbari e baluardo di

Roma.

Collana: Le Guerre n. 83

Pagine 415

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A partire dal 2018, la LEGIO II BRITANNICA, la COHORS X VRBANA e la sezione

femminile DOMINAE dell’associazione ROMARS confluiranno nel Gruppo Storico Romano, Il

GSR è il gruppo più longevo nell’ambito della ricostruzione storica sia a Roma sia in Italia. La

scelta di fondo, maturata dopo ampia riflessione, è stata presa dai CD di entrambe le

associazioni in modo unanime e con reciproca soddisfazione in prospettiva degli sviluppi

futuri. Le unità apportate da ROMARS andranno a coprire una ben preciso arco cronologico

che è sempre stato curato in modo preciso e puntuale. La nuova sezione sarà - pertanto –

denominata”ROMARS – TARDA ANTICHITÀ”– andando a trattare il periodo che intercorre

tra il III ed il VI secolo. La sede sarà nella prestigiosa regina di tutte le vie, ossia in Via Appia

Antica 18

NUMERI DISPONIBILI 5) LE COORTI URBANE 7) BURGH CASTLE 8) IL PERIODO ROMULEO 10) ZENOBIA, REGINA DI PALMIRA 11) 284-395, IL PRIMO TARDO IMPERO 12) IL PRETORIANO DI CRISTO 13) MAGNVS MAXIMVS 14) IL GIORNO DELL’ALLIA 15) I MISTERIOSI ARCANI 16) LA VIA DEL TRIONFO 17) L’ASSEDIO DI MASADA 18) DE REDITV SVO 19) I DUE VOLTI DELL’IMPERO ROMANO 20) L’ETRUSCO UCCIDE ANCORA 21) TERRA DESOLATA 22) SEGNALI DI FUOCO

23) CORNELIO IL CENTURIONE 24) LA BATTAGLIA DELL’ALLELUJA 25)395-476, IL SECONDO TARDO IMPERO 26) LE CARCERI DELL’ORRORE 27) TARRACINAE, OBSEDIT! 28)MEDIO IMPERO ROMANO 29)INDAGINE SU UN SOLDATO ROMANO DEL TERZO SECOLO

30)SOTTO PONZIO PILATO 31)UTUS 32) RIVOLTA NELL’URBE 33)TORTURA! 34)IL TRAMONTO DEGLI DEI 35)ULTIMI GIORNI AD OCCIDENTE 36)ESERCITI DI ROMA NEL QUINTO SECOLO 37)LONTANO OVEST ROMANO 38)I NUOVI GUERRIERI

CONTATTI:

3332765818---3883683997

ROMARS legiosecunda britannica

legioiibritannica.altervista.org/ [email protected]

BUON NATALE

2017

E BUONE

FESTE