Il lavoro interculturale con i minori stranieri devianti Messa alla Prova - tesina Vivian Mello

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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO VIVIAN MELLO MATRICOLA:3810280 Tutor: Michele Aglieri. IL LAVORO INTERCULTURALE CON I MINORI STRANIERI DEVIANTI “MESSA ALLA PROVA”: ASPETTI CONTESTUALI E PROPOSTA DI INTERVENTO MASTER FORMAZIONE INTERCULTURALE a.a.2009/2010 Novembre 2010

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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO

VIVIAN MELLO MATRICOLA:3810280 Tutor: Michele Aglieri.

IL LAVORO INTERCULTURALE CON I MINORI STRANIERI DEVIANTI “MESSA ALLA PROVA”:

ASPETTI CONTESTUALI E PROPOSTA DI INTERVENTO

MASTER FORMAZIONE INTERCULTURALE a.a.2009/2010

Novembre 2010

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INDICE

ABSTRACT ........................................................................................................ 3

INTRODUZIONE...................................................................................................4

PARTE I: CONTESTUALIZZAZIONE DELL’INTERVENTO....................................................6

1.1. La “Messa alla prova”: informazionI generalI ...................................................61.2. La devianza minorile straniera in Italia e la questione identitaria................. 7

1.2.1. Dati sulla devianza minorile straniera in Italia................................... 81.2.2. Le problematiche della devianza minorile straniera in Italia.............9

1.3. La costruzione dell’identità e lo straniero..........................................................111.3.1. La questione identitaria in contesti multiculturale e i minori stranieri..............................................................................................................121.3.2. La crise identitaria culturale................................................................ 13

PARTE II: SULL’INTERVENTO EDUCATIVO....................................................................15

2.1. Aspetti interculturale degli interventi con i minori stranieri Messa alla prova............................................................................................................................162.2. Proposta dell’intervento................................................................................ 202.3. Metodi e strumenti possibili di lavoro............................................................21

2.3.1. Metodi....................................................................................................222.3.2. Strumenti operativi e attività possibilmente utile...............................28

2.3.2.1. Accogliere...............................................................................282.3.2.2. Orientare..................................................................................292.3.2.3. Rafforzare.................................................................................31

2.4. L’educatore ........................................................................................................322.4.1. Aspetti soggettivi e oggettivo dell’atteggiamento

dell’educatore........................................................................................................... 322.4.2. Ruolo dell’educatore........................................................................... 35

2.5 Il mediatore linguistico-culturale.........................................................................37

CONCLUSIONE............................................................................................................ 38

BIBLIOGRAFIA.............................................................................................................. 40

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ABSTRACT

Questo elaborato parte di un’esperienza di tirocinio in un centro interculturale giovanile in cui il contato con dei minori stranieri devianti inseriti nel programma Messa alla Prova della Giustizia Minorile ha indotto al desiderio di approfondire le conoscenze sul lavoro interculturale sviluppato con questo pubblico oltre che trovare delle direttive che potessero servire per guidare gli interventi a loro applicabili.

In questo contesto, si ha cercato di capire la dimensione del fattore culturale dentro del fenomeno della devianza minorile straniera per comprendere i nodi culurali che dovrebbero essere sviluppati con i minori sopracitati.

Perciò, oltre la consulta bibliografica pertinente all’argomento sono stati intervistati tre professionisti dell’educazione che quotidianamente lavorano insieme ai minori stranieri Messa alla prova, e così sono stati individuati aspetti, metodi e attività concernenti a questo lavoro.

Il prodotto finale ha permesso di comprendere che il fattore culturale è un elemento rafforzativo ma non determinante nel fenomeno della devianza minorile straniera, e che in verità essa è basicamente una maniera per cui i minori esteriorizzano le proprie debolezze, poichè quello che hanno bisogno è di sentirsi riconosciuti, rispettati e valorizzati, in tutte le dimensioni della sua identità: personale, sociale e culturale.

Si è concluso che per evitare che questi minori assumano comportamenti devianti è necessario applicare un intervento che deculturalizzi l’azione, dando il valore giusto al fattore culturale e cercando di dare al minore un’opportunità di sentirsi riconosciuto e valorizzato dentro la sua diversità. In questo modo si favorirà la ricostruzione e il rafforzamento dell’autostima del giovane, contribuendo, pertanto, alla ricostruzione della sua propria identità.

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INTRODUZIONE

Questo elaborato parte di un desiderio nato dopo un tirocinio formativo per il Master di Formazione interculturale, dove il contato con i minori stranieri e italiani devianti ha indotto alla voglia di approfondire e apprimorare conoscenze teoriche e pratiche sul lavoro con questo pubblico.La particolarità del presente lavora avviene perchè questi minori stranieri fanno parte di un programma rieducativo della Giustizia Minorile, denominato “La Messa Alla prova”.

Tale programma si tratta, infatti, di un’innovazione introdotta dalla reforma processuale di 1998 (22 settembre, 1998, d.p.r 448) stabilita a favore dei minorenne, e comprende una modalità giuridica dove il giudice offre al minore l’opportunità di uscira del circuito penale rapidamente dopo che questi si sottopone a una serie di prescrizioni il cui adempimento permetterà l’estinzione del reato.

Per avviare il presente studio, oltre la consultazione alla bibliografia pertinente, sono stati ascoltati 3 professionista che esecutano un lavoro con questo stesso pubblico: il primo è Bruno Costa, educatore per molti anni del Carcere Minorile di Torino “Ferrante Aporti” e oggi Responsabile dell’area del Servizio Tecnico del Centro Di Giustizia Minorile di Piemonte e Valle D’Aosta; il secondo è Riccardo Agostino educatore nell’associazione ASAI – Associazione degli Animatori Interculturale di Torino, che oltre anni di lavoro con l’educazione informale del minore stranieri, diversi casi di lavoro con i minori Messa alla prova, coordena un progetto chiamato Giovani al Centro nel Centro Interculturale di Torino e per ultimo, Mimma Bodda, educatrice anche lei che per molti hanno ha organizzato le attività che si sviluppavano dentro del Carcere Minorile di Torino “Ferranti Aporti” e che oggi è l’unica responsabile nella comune di Torino e insieme alle assistente sociale dell’Uffico Minore di Torino, a fare l’inserimento dei minori negli enti e nelle associazione con cui essi devono collaborare come parte parte del loro nuovo progetto di vita e reinserimento social. Oltre questo è sono stata anche utilizzata l’esperienza del tirocinio che ha permesso il contatto con 10 minori stranieri “Messa alla prova”.

Il presente documento, pertanto, ha l’obiettivo di fornire una proposta di intervento applicabile al lavoro con i minori stranieri “Messa alla prova” dagli enti e dalle associazioni in cui essi sono inseriti nell’intenzione di fargli collaborare e sviluppare un’attività di utilità sociale, seguendo gli obiettivi proposti per questa misura giuridica e descritti nella prossima sezione. In questo ambito, per facilitare la comprensione del testo si ha scelto di utilizzare il termine “organizzazione” per indicata siano gli enti che le associazioni.

Tenendo conto di questa proposta, il presente lavoro si struttura in due parte. Nella Parte I, denominata “Contestualizzazione dell’intervento” si fornisce un quadro di informazione e riflessionale sulla Messa alla prova, sulla devianza minorile straniera in Italia e sulla questione identitaria, principalmente in quello che riguarda lo straniero, per dare al lettore la possibilità di contestualizzare l’ intervento oltre che munire il professionista interessato di informazione che saranno utile per adattare l’intervento proposto nella seconda parte di questo

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documento. Essa, denominata “ Sull’intervento educativo” si dedica a proporre, spiegare e orientare il professionista nell’applicazione dell’intervento proposto, perciò presenta aspetti importante che devono essere considerati durante il lavoro con i minori stranieri oltre che metodi, strumenti e attività adeguati alla proposta della Messa alla prova. In questa seconda parte, si ha dedicato due sezione ad una riflessione sul ruolo dell’educatore e del mediatore linguistico-culturale dentro dell’intervento proposto.

Pertanto, questo documento cerca di dare informazioni e fornire una proposta di lavoro con i giovani immigrati “Messa alla prova” considerando la dimensione interculturale di questa attività che tocca la questione identittaria del minore straniero e porta una serie di aspetti particolare al lavoro dei professionisti di educazione, tenendo conto che l’educatore nel presente contesto multiculturale ha un importante compito di collaborare con i propri educandi affinchè essi riescono a portare avanti un progetto positivo di vita, sottolineato di un’identità strutturata e rafforzata di una grande autostima.

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PARTE I: CONTESTUALIZZAZIONE DELL’INTERVENTO

1.1. La “Messa alla prova”: informazionI generalI

La Messa alla prova, come già detto nell’introduzione, si tratta di una misura giuridica a favore del minore che gli offre l’opportunità di avere cancellato della giustizio penale il suo processo in cambio di una vera trasformazione di vita e di comportamento.

Questa misura ha due finalità specifiche: una rieducativa e una salvarguadista. Rieducativa perchè permette al minore aderire ad un programma di crescita, cambiamento e reinserimento sociale. Salvaguardista perchè offre al minore l’assistenza e gli strumenti rieducativi necessari per evitare traumi irreparabili avvenuti nella attività processuali.

Queste due finalità riguardano il proprio sguardo che la legge ha sul minore, cioè di un essere umano in fase evolutiva la quale identità sta in processo di costruzione. Basata sul questo sguardo, la “Messa alla prova” propone al giovane di assoggetarsi ad un percoso rieducativo che regolarizze i suoi comportamenti e gli fornisca una nuova prospettiva di vita.

La scelta del giudice per l’applicazione di questa misura è guidata dalla valutazione della gravità penale del reato, dell’età del giovane ( che nel momento del reato deve essere minorenne) e delle caratteristiche personale che questo minore presenta e che faciliterebbero il suo reinserimento sociale.

Per i giovani stranieri, avere l’opportunità di partecipare di una “Messa alla prova” è veramente un grande vantaggio, poichè essa è una delle poche misure giuridiche a loro accessibile. Questo perchè spesso i minori stranieri hanno un quadro familiare, sociale e personale che non consenti l’accesso a tale misura e gli costringe ad assoggettarsi alle pene detentive e altre misure cautelari.

Il nuovo percorso di vita che il minore inserito nella “Messa alla prova’ deve percorrere se constitui in un vero progetto rieducativo con una serie di passaggi obbligatori che mirano soddisfare i bisogni educativi del giovane, portarlo ad un cambiamento di vita e garantire che egli:

1) Scopra realisticamente sé stesso, la società, gli ideali ed i valori per i quali valga la pena vivere;

2) Accette la propria persona e il proprio corpo;3) Construisca un rapporto corretto e significativo con gli adulti;4) Impare a responsabilizzarsi nelle relazioni con i coetanei;5) Sia inserito e collabore in gruppi di attività;6) Sia educato all’educazione alla progettualità, al ritmo e alla verifica del

lavoro;7) Mire le sue azioni alla costruzione dell’autonomia e dell’independenza in

ogni attività ed in ogni impegno.

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La responsabilità sulla modalità di inserimento di questi elementi nel progetto di vita del minore “Messa alla prova” sta a carico degli operatori dei servizi minorili che cercano di inserire questi giovani nelle attività più adeguate alle esigenze di ogni singoli caso, garantendo il recupero e il reinserimento sociale del minore.

Oltre questi passaggi il percorso della Messa alla prova prevede il coinvolgimento di diverse figure della rete sociale del minore, poichè si ritiene che la reabilitazione di un giovani avvenga più facilmente in un ambiente di vita quotidiano invece che dentro di un spazio istituzionale, che oltre isolarlo, lo impoverisce e può stimolarlo negativamente.

Alla base di quella serie di passaggi obbligatori stanno gli obiettivi di insegnare ai minori la disponibilità al dialogo, alle discussioni di gruppo, a convivere e a confrontarsi con gli altri, oltre che orientargli all’educazione al lavoro e allo studio. Questo ultimo elemento, infatti, è molto incentivato nella “Messa alla prova” e a tal fine gli operatori cercano di inserire il minore in laboratori, percorsi lavorativi di vari generi, corsi professionali, oltre che offrirgli la possibilità di collaborare con artigiani, imprenditore, enti e associazioni.

Spesso alcune di questi inserimenti sono predeterminati genericamente dal giudice, che specifica agli operatori dei servizi minorile e al minore i tipi di attività che dovranno essere sviluppate dentro del progetto rieducativo, un esempio, sarebbe la richiesta del giudice di inserire il minore in contesti in cui questo si metta in contatto con la sofferenza. In questi casi, gli operatori cercano di inserire il minore negli enti e nelle associazioni che lavorano con un pubblico disagiato, sia per malattia, disabilità fisica o mentale, o ancora svantaggio sociale.

L’idea generale della “Messa alla prova” è, pertanto, segnalare i confini tra la legalità e l’illegalità al minore oltre che dargli l’opportunità di conoscere un altro stilo di vita e una nuova opportunità di riparare il danno che ha causato e conscientizzarsi della sua scorrettezza.

Secondo la raccolta bibliografica usata in questo elaborato, anche se molti giovani non capiscono e non comprendono il senso di questa misura giuridica e la sua finalità rieducativa, l’utilizzo della “ Messa alla prova” ha permesso a molti minori stranieri l’uscita dal circuito penale, favorendo l’avvio di un percorso di integrazione.

1.2. La devianza minorile straniera in Italia e la questione identitaria.

Molto spesso le persone quando sentono parlare di devianza minorile straniera affermano che la ragione per cui un minore straniero commette un reato nasce da una crise identitaria, però gli studi dimostrano che il fattore culturale nella devianza minorile è soltanto un aggravante, ma non un determinante.

Per spiegare questo punto, si propone la presente sezione che precisarà alcuni punti sulla relazione tra devianza minorile ed identità culturale Saranno, perciò,

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presentate sinteticamente informazione sul fenomeno della devianza minorile tra i minori stranieri in Italia e sulle problematiche sociale e culturale che gli influenziano, oltre che chiarire il concetto di identità culturale e conflitto identitaria in quanto quello che riguarda essi pubblico.

In questo modo si augura che il professionista di educazione sia capace di conferire al fatore culturale la meritevole importanza senza però dimenticarsi di altri importante aspetti personali e contestuale che devono essere considerati nel confronto con i minori stranieri devianti .

1.2.1. Dati sulla devianza minorile straniera in Italia.

Secondo il “Primo Rapporto sulla Devianza Minorile in Italia”(dicembre di 2008), nell’anno di 2006 i minori che più hanno commesso dei reati, sia italiani che stranieri, erano quelle nelle fascie di età tra i 16 e 18 anni, in maggioranza maschi.

Questo rapporto afferma che nel 2006 i minore denunciati in Italia erano 72% dall’Europa, 20 % dall’Africa, 3% dall’Asia, 5% dall’America e 0% dell’Oceania, e che dal periodo dal 2001 al 2006 i principali paesi di provenienza di questi minori erano Servia, Marocco, Albania, Romania, Croazia, Algeria, Bosnia e Germania.La predominanza dei minori proveniente dell’Europa dell’Est, principalmente Romania, è constante e si dà in raggione del grande flusso immigratorio della popolazione rumena verso l’Italia negli ultimi anni.

Secondo ancora questo rapporto, nell’anno di 2006, 50% dei reati dei minorenni erano contro il patrimonio, e 29% contro la persona.

Le informazioni dell’anno di 2006 dimostrano che tra gli stranieri i reati più frequenti sono quelli legati al patrimonio ( 64% dei casi), invece i reati contra la persona comprendono solo 16%, situazione inversa alla degli italiani, che presentano 45% di reati contro il patrimonio e 34% contro la persona. I crimini contro il patrimonio più frequenti sono le rapine e i furti, che causano forte allarme sociale. Già i crimini contro la persona più frequenti sono le lesioni volontarie e la violenza privata ( minaccia).

Le regioni italiane che presentano un gran numero di reati di minorenni sono il Nord Ovest con 26% e il Sud con 23%. Nel Nord Ovest nell’anno di 2006, 57% dei reati denunciati erano stati causati dagli italiani e 43% dagli stranieri, già al Sud il numero degli italiani denunciati cresce, raggiungendo 92% di Italiani contro 8% di stranieri.

La concentrazione della deliquenza minorile straniera al Nord dell’Italia se relaziona con il gran numero di stranieri ospitati nei grandi centri urbani trovati in questa parte del paese, per esempio, Milano e Torino.

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1.2.2. Le problematiche della devianza minorile straniera in Italia

La devianza minorile straniera in Italia presenta le sue origine in una probematica appartenente a due dimensioni diverse: una sociale e una culturale.

La dimensione sociale comprende un quadro di grande svantaggio socio-economico presente anche nel fenomeno della devianza minorile italiana e caratterizzato dai seguenti aspetti:1. frequente situazione di povertà o di insufficienza di risorse economiche

vissuta dalle famiglie di immigrati;2. difficoltà di accesso al lavoro e allo studio;3. presenza di problemi di uso di stupefacenti e alcoolismo tra i membri

della famiglia;4. domicilio in aree urbane periferiche e disagiate;5. presenza di contesto intrafamiliare violento;6. assenza di una figura adulta di riferimento.

La dimensione culturale comprende i diversi elementi esistente nel confronto tra soggetti di culture diverse che difficoltano l’adattamento dei minori stranieri alla realtà e alla cultura del paese che abitano, il cui contesto culturale è diverso da quello di appartenenza e da quello coltivato dentro dell’ambiente familiare. Questo tipo di disaggio comprende, pertanto, una difficoltà ad elaborare gli influssi che vengono dalla famiglia e dalla comunità di appartenenza, da un lato, e quelli che invece vengono dalla scuola, dai coetanei italiani e dalle istituzioni italiane, dall’altro.

Infatti questa dimensione ha un peso molto grande per i minori stranieri, tanto quelli nati in Italia da genitori immigrati quanto quelli ricongiunti. Essi devono crescere tra due culture di riferimento, revedere le proprie relazione con i genitore, con i pari e con la società, oltre che sapere gestire i diversi flussi culturale, spesso contraditori, che ricevo dalla famiglia e della società. Questo gli può portare un disagio psicologico, principalmente a partire dalla prima adolescenza, quando cominciano a confrontarsi con la sfida della costruzione della propria identità.

Questo disagio psicologico sopracitato può manisfestarsi in diversi modi:1. tramite la chiusura, che può creare l’isolamento del minore;2. tramite un conflitto aperto con i genitori e la comunità di origine;3. tramite disturbi di cartattere psichico,4. tramite lo scivolamento nella devianza.

Oltre queste due dimensioni, la devianza accoglie la problematica adolescenziale caratterizzata da un rapporto non sempre positivo con i genitori che si manifesta di diverse maniere che vanno dagli atteggiamenti rigidi e basati sulla paura e la disciplina, passando per una complicità assoluta e pericolora al senso di responsabilità del minore, fin arrivano alla situazione di totale assenza di una figura adulta di riferimento, con rapporti affettivi distanti e senza nessuna influenza negli atteggiamenti dei minori.

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Infatti, l’assenza di una figura di riferimento adulta e positiva che afferme positivamente l’identità del minore, lo porterà a cercare altre maniere di farlo, e le alternative sono:

1. Avere l’intelligenza;2. avere un alto rendimento scolastico;3. avere la bellezza;4. stare in possesso di denaro o di oggetti status symbol;5. essere disponibile ad assumere rischi.

Come si può notare, le due ultime alternative sono quelle che portarebbero più facilmente ai atti devianti, come furti, rapine, violenza tra gruppi.

In questo senso, in termine generale, si può affermare che il scivolamento nella devianza, anche chiamato microcriminalità, appare genericamente tra gli adolescenti come un modo di far fronte ad un’immagine negativa di sé oltre che ad una necessità di autoaffermarsi e sentirsi riconosciuti per gli altri.

A questo si aggiungono ancora il desiderio di essere uguale ai coetanei, principalmente a livello materiali, e spesso al desiderio di attirare l’attenzione dei genitori nei loro confronti, visto che essi lavorano molto e non riescono a seguirli come dovrebbero.

La devianza minorile nelle modalità sopracitate in alcuni casi viene seguita dagli episodi di violenza, che in questi casi viene usata come:

1. una chiave per un’affermazione di forza e per stabilire i ruoli in gruppo;

2. un strumento che garantisca attenzione ed interesse dai coetani;3. un strumento di compenso delle proprie debolezze;4. un rafforzativo dei vincoli di appartenenza e di solidarietà tra i gruppi

di coetane;5. un strumento che garantisca riconoscibilità e potere.

Tutte questi elementi influenziano l’esistenza di comportamenti devianti tra minori stranieri, ma come si può valutare, la questione culturale non è determinante in questo fenomeno. Il fatto è che per un minore stranieri appartenere ad un altra cultura o essere riconosciuti negativamente come diverso aumenta lo stato di conflittuali e ansia per approvazione, e diventandolo suscetibile ad assumere quello tipo di comportamento.

In questo senso, contribuire per la costruzione dell’identità e per il suo rafforzamento positiva tra i minore stranieri “Messa alla prova” riduce il rischio di un nuovo scivolamento verso la devianza.

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1.3. La costruzione dell’identità e lo straniero.

In questa parte si usa il concetto di identità come l’insieme di caratteristiche comportamentale, psicologiche, culturale e religiose interiorizzate da ogni soggetto e che lo distinguono delle altre persone. L’identità nasce di un processo di negoziazione interno fatto da ogni soggetto e definisce i modi con cui questo si relaziona con sé stesso e col mondo che lo cerca.

Nella formazione dell’identità concorrono sia fattori soggettivi ( fattore psicologiche per esempio) che fattori oggettivi ( contesto sociale e culturale, per esempio), perciò il suo studio nelle diverse scienze ha individuato tre tipi di identità distinte: identità sociale, identità personale e identità culurale.

L’identità personale include le competenze individuali, i talenti e altre capacità che l’individuo riconosce in se stesso.

Già l’identità sociale è definita come la parte dell’immagine di sé che deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo, unita agli aspetti motivazionali e valoriali legati a questa appartenenza. Include, pertanto, quella parte del concetto di Sé, che deriva dalla conoscenza di essere membro di un gruppo sociale, e si riferisce a come l’individuo vede questo gruppo e quale le influenze che esso ha su i suoi comportamenti. Il processo d’identità sociale comporta però anche un effetto negativo perchè spesso porta l’individuo a considerare negativamente quelli che sono fuori del suo gruppo.

L’identità culturale, invece, si riferisce all’insieme di caratteristiche culturale ed etniche cha hanno rilevanza personale per gli individui e attraverso le quale essi si riconoscono come appartenente a determinato gruppo etnico e culturale. L’identità culturale esiste solo quando l’individuo riconosce e esplora la propria etnicità e la sua cultura.

In questo senso, il contatto con le problematiche legate alla propria cultura attraverso le letture, le richieste di informazioni, la partecipazione ad eventi e tra altre modalità di partecipazione culturale, permettono ad ogni soggetto una comprensione di ciò che può significare essere membro di un gruppo culurale e quale l’importanza che esso occupa dentro della propria identità.

L’identità culturale, allo stesso modo che quella sociale, sta in constante mutazione ed evoluzione, principalmente negli ambiente multiculturale, dove riceve stimoli dall’esterno che influenziano la sua costruzione che avviene all’interno di ogni soggetto. Questo dimonstra che la formazione dell’identità di un soggetto dipendente in gran parte del contatto sociale che questo stabilisce nella società a cui appartienete como cittadino.

In questo senso, in qualunque dimensione dell’identità, si deve sempre considerare l’esistenza di uno spazio di relazione dove esista il confronto quotidiano con gli altri. L’identità è pertanto, la separazione dall’altro, ma è anche indifferenziazione, perchè l’altro è indispensabile per alla sua esistenza.

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1.3.1. La questione identitaria in contesti multiculturale e i minori stranieri.

In un contesto multiculturale l’individuo in ragione della pluralità d’identificazione fornita dell’ambiente diventa difficile gestire la costruzione della propria identità.

Per far esso, lo straniero mette in atto strategie di negoziazione delle proprie e altrui differenze, cercando di trovare una forma di autocollocazione della sua identità culturale tra i modelli culturale presentati nella realtà in cui vive.

Nei casi dei bambini e adolescenti, questo processo di gestione è ancora più complesso, perchè normalmente essi non hanno ancora degli strumenti psicologici e personale che gli aiutino ad equilibrare e organizzare tutti gli stimoli dell’ambiente, oltre che stare in una fase evolutiva già abbastanza confusa in ragione di cambiamente fisiologici.

L’identificazione con un gruppo di culturale avviene comumente intorno ai nove anni di età quando i bambini hanno la percezione di possedere le stesse caratteristiche psicologiche, fisiche e sociale possedute da altre membri di un determinato gruppo.

Per questo, è molto comune che bambini arrivati molti piccoli in Italia o nati in territorio Italiano da genitori immigrati si identifichino di più con i coetanei italiani e presentino meno conflittualità culturale, principalmente se i propri genitore hanno un rapporto positivo già stabilito con questo paese di accoglienza.

Già nel caso dei minori raggiunti nella fase adolescenziale, il processo di identificazione è più complesso e può succedere in tre maniere:1. rifiuto della cultura di origine, che avviene di una valutazione negativa

fatta attraverso gli criteri culturali dalla cultura dominante;2. processo di distinzione, dove l’immigrato cerca di rimanere con l’identità

culturale che possiedeva ma ancora cerca l’approvazione sociale dalla cultura dominante, ossia, cerca di essere diverso ma accetto socialmente;

3. e l’identità per difesa che si riferisce al processo dove lo straniero si rifugia nel gruppo di appartenenza per sfuggire alla discriminazione, seguendo un processo che consiste nel riaffermare e accentuare i propri modelli culturali.

In questo senso, la seconda generazione di immigrati, vive in un contesto di formazione identitaria diverso e più complesso da quello degli adolescenti italian.

In generale, questi giovani stranieri hanno un sistema di aspettativa diverso dai genitori e tendono ad non accetare l’integrazione subalterna riservata ad essi; molti, infatti, cercano nello studio un modo di raggiungere un lavoro dignitoso. Oltre questo, i minori stranieri seconda generazione normalmente presentano problemi in ambito familiare, dove gli scontri generazionali, tipici

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dell’adolescenza, sono aggravati dallo scontro culturale tra genitori e figli e da una condizione socio-economica spesso difficile. In questo modo, si valuta che i minori stranieri bisognano di un’atenzione speciale in ragione della loro complessa problematica identitaria. Essi devono avere l’accompagnamento di un adulto che gli dia una direzione positiva nel processo di costruzione dell’identità, non rischiando l’emersione di comportamenti devianti, come già spiegato anteriormente in questo testo.

1.3.2. La crise identitaria culturale

Come visto sopra, le seconde generazioni di immigrati, hanno un quadro di formazione della propria identità molto complesso, che deve essere correttamente gestito per non rischiare un scivolamento nella devianza.

Gli immigrati adulti, in termini generali, non si percepiscono come possedori di un’identità mista, invece si guardano semplicemente come immigrati senza considerare lo scambio tra la loro cultura e la cultura del paese di accoglienza che avviene quotidianamente nel contatto sociale.

Già nel caso dei bambini e adolescenti la percezione su sé stesso è meno chiara. Questo perchè l’esperienza migratoria può portare una serie di esperienze traumatiche, legate ai vissuti di abbandono, di separazione e di incertezza che delineano una situazione interna caotica che espone l’individuo a momenti di crisi identitarie, tanto sociale come culturale.

Queste crisi identitarie possono essere categorizzate come sociale quando avvengono in situazione concrette del quotidiano dove l’identità sociale conferita agli immigrati è negativa e non fa riferimento al ruolo sociale che essi desideravano occupare nella nuova società. Dell’altra parte, si categorizza come una crise identitaria culturale le situazione in cui l’immigrato non riesce a gestire internamente tutti i nuovi stimoli culturale, entra in conflitto interno con sé stesso e inizia ad avere difficoltà di integrazione nella nuova realtà. Infatti, principalmente nei giovani, la esperienza migratoria provoca molta l’insicurezza, poichè i suoi comportamenti, credenze, e abitudine tra altri aspetti sono spesso sottovalutati e la loro identità viene comumente affermata negativamenti oppure negata.

In questa situazione d’insicurezza, inizia ad imperare l’angoscia, il disorientamento e la rottura dell’identità che se sta costruendo, espondo il soggetto all’alternanza di diversi stati d’ansia: ansia legata alla separazione, alla paura dell’ignoto, alla mancanza dell’oggetto abbandonato, ai sentimenti di confusione per l’inserimento in una societa che porta un conflitto tra il bisogno di cambiare la propria identità e la tendenza a preservala. Questo ambiente di insicurezza è ancora rafforzato per la situazione delle famiglie di immigrati che normalmente non hanno tempo di dedicarsi ai figli oppure di orientargli perchè dedicano troppo tempo al lavoro. In questo

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modo, i giovani si avvicinano dai coetanei e diventano più suscettibile ad assumere comportamenti devianti.

In questo processo di avvicinamento dai coetanei è comune trovare tra i giovani una preferenza per la cultura maggiormente accetta ( normalmente quella dominante), tendenza che tra gli adolescenti è ancora più accentuata perchè essi stanno in una fase evolutiva dove i pari e la loro accetazione è essenziale per l’autostima e pertanto per la propria identità.

L’avvicinamento ai gruppi di coetanei è anche un strumento di difesa e un’alternativa opposta agli atteggiamenti di chiusura. In questa ultima i giovani si chiudono nei ricordi del passato, nei pensieri, nelle fantasie, nei sogni, come una maniera di permettere integrità e continuità nel processo di costruzione della propria identità.

Pertanto, la crise identitaria culturale avviene all’interno del contesto migratorio quando i cambiamenti e gli stimoli dell’ambiente rendono instabili l’autostima su cui l’identità dell’immigrato si struttura, perchè essi non riesce a gestirli. Il minore, quando è inserito in un contesto socio-economico svantaggiato, senza una figura adulta di riferimento, ha sua situazione conflittuale aggravata e diventa più suscettibile ad assumere comportamenti devianti.

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PARTE II: SULL’INTERVENTO EDUCATIVO

La proposta di intervento educativo sviluppata in questa parte non tiene conto degli aspetti legali e giuridici, delle complicazioni e delle contraddizioni trovate dentro del percorso dei minori stranieri “Messa alla Prova” perchè questo elaborato possiede un carattere puramente educativo.

In questa parte sono fornite delle informazioni che possono servire all’educatore per decidere la strategia di lavoro adeguata ad ogni singoli caso, poichè definire un percorso padronizzato applicabile a tutti le situazioni aumentarebbe la probabilità di fallimento dell’intervento.

La divisione dei contenuti in questa parte nell’idea di logica progettuale proposta per Reggio (2007), perciò ognuna delle sezioni che seguono nel testo si referiscono, sinteticamente, ad ognuna delle fasi progettuali, a sapere:

• definizione della situazione-problema: compreende la sezione 2.1, dove si ha cercato di fornire informazioni sulle specificità del lavoro con i minori stranieri “Messa alla prova” e sulle possibili problematiche che possono presentarsene;

• prefigurazione: compreende la sezione 2.2 che partendo degli scenari idealizzati per il percorso di ogni minori “Messa alla prova” propone possibili obiettivi che devono guidare l’intervento. In questa parte sono anche definite le direttive generali delle possibili tipologie di attività applicabili all’intervento;

• programmazione: compreende la sezione 2.3 in cui sono elencati metodi e strumenti di lavori utilizzati o suggeriti per gli operatori intervistati e per la bibliografia consultata e chi possono essere applicati all’intervento per raggiungere gli obiettivi educativi definiti nella prefigurazione.

Nelle altre due sezione presente (2.4 e 2.5) si trovano una breve riflessione sulla figura dell’educatore e del mediatore linguistico-culturale. Nella sezione dedicata all’educatore sono fornite direttive generali per quanto riguardo il comportamento e i ruoli di questo professionale dentro dell’intervento proposto. Già nella sezione del mediatore linguistico-culturale si ha sviluppato una breve riflessione sull’importanza della partecipazione di questa figura negli interventi educativi con i minori stranieri “Messa alla prova”, la quale presenza, secondo la bibliografia consultata e le interviste raccolte, porta una maggiore probabilità di successo agli interventi .

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2.1. Aspetti interculturale degli interventi con i minori stranieri Messa alla prova.

In questa sezione sono fornite informazione sui principali aspetti del lavoro interculturali con i minori stranieri “Messa alla prova”.

Il primo aspetto è importante da sottolineare che essi minori sono adolescenti al di là della loro cultura e pertanto hanno bisogni educativi legati all’adolescenza, che possono essere brevemente sintetizzati in:- necessità di un interlocutore, genitore o figura adulta sustitutiva;- necessità di accettazione per il gruppo di pari;- necessità di inserimento in gruppo di pari.

Pertanto, è necessario che il professionista stia attento per non confundere una semplice crisi identitaria adolescenziale con una crise identitaria culturale,( già spiegata nell’ultima sezione della Parte I). È necessario deculturalizzare l’intervento, togliere le maschere culturali, perchè molti minori stranieri condividono gli stessi problemi e la stessa realtà che i minori italiani e perciò non vivono la dimensione “ culturale” del loro problema.

Durante l’adolescenza il minore straniero elabora l’appartenenza ad un gruppo sociale più ampio della propria famiglia e forma la propria identità etnica, che molte volte è più vicina ai dei coetani autoctoni che quella della famiglia, come già detto anteriormente.

Per questa delicata situazione è importante che il sostegno educativo progettato per i minori stranieri tenga conta la superazione delle seguenti difficoltà:

- Sentimento d’inferiorità culturale: il confronto con i valori della cultura del paese di accoglienza porta il minori a relativizzare i valori della cultura d’origine e a viverli, molte volte negativamente.

- Solitudine: la mancanza di una cultura di riferimento e molte volte anche un imperfetto bilinguismo portano i minori stranieri a isolarsi, perchè vivona tra due mondi senza appartenere a nessuno.

- Senso di colpa: la perdita di contatto con la cultura d’origine e la perda di prescrizioni religiose e culturali importante nel gruppo di appartenenza possono generare senso di colpa nel minori;

- Crollo dell’autostima a causa dell’insuccesso del processo migratorio: i minori straniero spesso portano con sé molte aspettative e speranze che normalmente, in ragione delle poche condizione social favorevole all’immigrato, non sono concretizzate. Loro non riescono ad avere lo stile di vita che aspettavano e che gli coetani autoctoni sfruttano e questo influenza il crollo della loro autostima.Questa, quando scarsa, è tavolta compensata da atteggiamenti arroganti, spesso accompagnati

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da sentimenti depressivi, di eccessiva timidezza, chiusura verso l’esterno, e tendenza all’isolamento.

È anche importante considerare che molte minori sono originati di culture dove all’infanzia è stata seguita dall’entrata nel mondo adulto e perciò questi non hanno fatto il passaggio dell’adolescenza, fattore questo che può influenzare molto nel loro rapporto con gli adulti.

L’altro aspetto che si deve considerare è il fatto che, conforme mostrato nella Parte I nel presente lavoro, la devianza minorile sta diretamente legata all’esclusione sociale e ad una situazione economica svantaggiata. Il fattore culturale, come già visto, appare solo come un rafforzattivo nel contesto della devianza minorile. Pertanto, per progettare un intervento con i minori stranieri “Messa alla prova” è importante valutare il rilievo che il fattore culturale occupa nella problematica del minore.

Per valutare questo è interessante conoscere come è stato l’adattamento del minore al sistema educativo, al mondo del lavoro, come sono le sue relazioni di amicizia e come si costitui la sua rete di inserimento nel paese di accoglienza, per esempio, gruppi e posti che egli frequente.

Dopo che l’influenza del fattore culturale è stata valutata è importante considerare anche le seguenti domande:a) Quali aspetti culturale possono farlo non accetare le proposte

dell’intervento?b) Quale la situazone di confronto tra la cultura di accoglienza e quella di

appartenenza?c) Quale il sentimento del ragazzo nel paese di accoglienza?d) Come è stata la sua traiettoria migratorio?e) Come è stato il suo processo d’acculturazione e scambi culturali?f) Lui/Lei Ha un progetto di ritorno per il paese d’origine?

L’item “c” di questo elenco merita attenzione perchè secondo la ricerca bibliografica esso trasmette la visione che il minore ha del mondo che lo circonda e influenza il modo come ci interagi. Il fatto che il Paese di Accoglienza non gli piacia più il desiderio naturale degli adolescenti di rischiarsi e confrontare il mondo che gli circonda, sono rafforzativi per comportamenti trasgressivi, e può trovare nella devianza una maniera di differenziarsi e affermarsi socialmente.

Questo item “c” e l’item “b” ancora aiutano il professionista a comprendere i possibili comportamenti di chiusura e difesa del minore straniero, che non essendo sempre predisposto ad aderire agli schemi della società di accoglienza, può assumere diversi comportamenti, come già spiegato più dettagliatamente nella Parte I, che posso comprendere atteggiamenti difensivo fino arrivare a quelli violenti.

All’interno della questione culturale dei minori stranieri è interessante anche osservare i loro codici culturali, la distanza relazionale che stabiliscono nei

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rapporti con le persone, la gestualità, la concezione nella cura di sé, la differenza nel manifestare i sentimenti, e i modelli educativi a cui hanno riferimento.

Queste informazione, oltre che permettere una conoscenza più approfondita del minore, permette al professionista di confrontare tale dati con quelli degli italiani, e in questo modo cercare somiglianze che possono aiutare nella conduzione dell’intervento. Questo confronto permette al professionista di creare una proposta educativa che riduca il livello di conflittualità ed esplore le potenzialità condivisi tra il minore e i suoi coetani attraverso la ricerca delle somiglianze, dell’ibridazione e della vicinanza.

Molte volte questi minori presentano un conflitto caratterizzato dalla questione identità/cittadinanza, perchè molti si sentono italiani, ma non hanno diritto alla cittadinanza; loro si sentono abracciati dalla cultura italiana e hanno perso tanto il contatto con la cultura dei genitori o quella di origine che per loro non essere considerati italiani diventa quase un’offensa. Questa situazione è ancora più frequente nei figli di immigrati nati in Italia.

Il minore straniero, uguale a tutti adolescenti, ha bisogno di un atto di affermazione che lo definisca positivamente; bisogna in speciale di una valorizzazione e rispetto del suo mondo e dei suoi modelli, che non sempre sono uguale a quelli degli italiani.

L’educatore deve ancora considerare che un intervento con un minori straniero “ Messa alla prova” occupa due dimensioni dell’integrazione:

a) l’integrazione come assimilazione/assorbimento: i minori “Messa alla prova” devono per forza adattarsi alla Legge Italiana, non permette modificazioni nella sua struttura legislativa e perciò obbliga tutti a rispettarla e assimilarla. Oltre questo all’interno delle organizzazione dove i minori svolgono l’attività di utilità sociale loro sono indirettamente sottomessi a altri tipi di legge che normalmente vengono come un regolamento interno aministrattivo. Per forza, loro si devono adattare a questo, caso contrario il loro progetto di “Messa alla prova” corre rischio di fallimento.

b) L’integrazione come mescolamento: cioè, i minori in contatto con una cultura da loro diversa devono cercare di elaborare il mescolamente culturale e scoprire come contribuire con le loro conoscenze e le loro capacità allo sviluppo dello spazio dove convivono, creando un legami di appartenenza con la nuova cultura senza dimenticarsi delle proprie radici culturale.

Queste dimensione dell’integrazione influenzano il modo con cui il minore vive l’esperienza della Messa alla prova. Per esempio, i minori che sente nella Messa alla prova più la dimensione assimilazionista vive l’esperienza come una punizione e può presentare un atteggiamento molto sottomesso e poco proattivo. Già coloro che vivono l’esperienza come un mescolamento si mostrano più attivi e partecipativi. Molte volte questi minori iniziano l’attività molto passivi e poco partecipativi e durante il percorso vanno prendendo

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confidenza in sé stessi e nell’educatore e portano avanti di maniera molto autonoma i loro percorsi dentro dell’organizzazione.

Tenendo conto di queste dimensioni e di tutto quello che già si conosce del minore è importante definire la specifica interculturale più presenti nella situazione. Le domande sul fattore culture del caso, già descritte all’inizio di questa sezione, possono aiutare il professionista in questa definizione. Nel caso, per esempio, di un minori seconda generazione che presente un conflitto con i genitori perchè molte volte lui non attende alle prescrizioni religiose da essi emesse forse merite un lavoro sull’identità e sui codici comunicativi. Già un’altro che sembra non avere crisi identitarie culturale ma che ha un problema di comportamento inadeguato merita un lavoro di contestualizzazione/comprensione e empatia, per imparare ad comportarsi d’accordo con gli ambiente che frequenta considerando che i suoi atteggiamenti possono disturbare le altre persone ( in questo punto entra l’elemento empatia).

L’educatore deve anche essere conscio di qualle specifica interculturale deve lavorare su sé stesso per portare avanti l’intervento e forse domande come quelle che seguono posso aiutare in questa valutazione: È necessario capire meglio il quadro del minore? Aprirsi al riconoscimento delle culture altrui? Mettersi nei pani del minore? Aprimorare la sua comunicazione interculturale?

La sensibilità dell’educatore nella scelta della specifica interculturale che sarà svilluppata nell’intervento sta direttamente collegata a sua capacità di percepire le differenti aspetti culturali e religiosi significativi nel caso. Questa percezione è soltanto raggiunto con un previo contatto con informazioni generale sulla cultura del minore, sulle sue tradizione e rituali. Questi dati saranno aggiornata durante il contatto con il giovane, ma senza essi si corre un grande rischio di sbagliare all’inizio dell’intervento, chiudendo le porte che permitirebbero di portare avanti il rapporto educativo.

Stare previamente informato e aprirsi a conoscere il minore, come proposto anteriormente, permette all’educatore di riflettere sul carattere interculturale delle culture, cioè valutarle come elementi in constante mutazione, che ridotte ad ogni soggetti diventano più particolare e meno omogenee, poichè ogni soggetto processa la culture al suo modo e la vive in un maniera particolare.

Questa visione delle culture è molto importante perchè porta l’educatore a un riconoscimento del proprio quadro di riferimento e lo allontana dell’etnocentrismo. Questi due aspetto sono molto importanti nel lavoro interculturale perchè il primo permette che il professionista prossiga nella conduzione dell’intervento senza scoraggiarsi davanti gli shock culturali che possono avvenire e il secondo azzera la possibilità dell’educatore assumere atteggiameti generalista e discriminatori, elementi che ovviamente rischierebbero il successo dell’intervento.

Come ultimi aspetti da considerare per partire alla progettazione dell’intervento l’educatore deve tenere conto delle risorse e punti di forza dell’organizzazione, oltre che coinvolgere tutti quelli che hanno potere e dovere di influenzare nella vita del minore, anche che indirettamente. Quanto

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più persone della rete personale del minore sono coinvolte nell’attività questo esegue nell’organizzazione maggiore saranno le sue possibilità di successo e di riprendere un nuovo percorso di vita. Questo perchè la sua nuova identità socio-cultura sarà conosciuta e affermata positivamente per la sua rete personale, in ragione dei risultalti raggiunti nell’attività sociale, rispondendo al bisogno di riconoscimento che questi minori presentano.

Per ultimo è importante ricordare che tutti gli interventi educativi hanno dei rischi. Lavorare con la devianza minorile significa affrontare il pericolo della regressione e della possibilità di provocare una grande illusione per il minore, in ragione dalla mancanza di condizione nel contesto sociale e dalle limitazioni giuridiche che lo impediscono di portare avanti il suo progetto di vita.

Questo rischio di regressione è molto comune e si constitui come principale questione ad essere risposta e risoluta attraverso l’intervento con i minori stranieri “Messa alla prova”.

2.2. Proposta dell’intervento

Tenendo conto che il rischio di regressione, conforme spiegato nel fine della sezione anteriore, è molto comune e frequente, si ritiene che il suo superamento deva essere il primo e più generale obiettivo della proposta di intervento che un professionista venga a progettare per i minori stranieri “Messa alla prova”, pertanto, la tipologia dell’intervento assume un carattere socio-educativo e riguarda più strettamente la prevenzione di atti devianti ( anche chiamato microcriminalità).

Conforme già descritto anteriormente, il fattore culturale è un rafforzattivo per il comportamento deviante dei minori stranieri e influenza una serie di situazioni che generano le difficoltà descritte anteriormente (pag. 16) che richiedono aree di intervento specifiche per evitare il rischio di regressione, a sapere:

1. investire nella autonomia dell’minore, 2. investire nell’uso dei suoi punti di forza,3. investire nella ricostruzione dell’autostima, 4. investire nella concessione della fiducia, 5. investire nella frequente partecipazione dalla figura adulta di riferimento

in ogni decisione, successo e fallimento.

In questo modo, in termine generale, l’intervento deve accogliere, orientare e rafforzare il minore straniero.

Il compito dell’intervento è contribuire alla nascità di soggetti nuovi, padroni di sé, che si risconoscono e si sentono riconosciuti nella propria identità culturale e che oltre tutto abbiano imparato ad utilizzare positivamente le proprie capacità e potenzialità per il proprio sviluppo personale senza essere egoisti ed egocentrichi.

L’intervento in questo modo cerca di risolvere un problema concretto presente nella problematica dei minori stranieri “Messa alla prova”.

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Oltre quegli elementi specifici l’intervento deve cercare di fornire ai minori un spazio di accoglienza che trasmetta affetivitá e che gli coinvolga all’interno della vita associativa, dandogli una dimensione di appartenenza, che inizia nell’ambito associativo e si amplia alla appartenenza al quartiere, alla città e poi al paese dove essi residono.

Pertanto, l’intervento deve possibilitare un spazio di socializzazione, meno formale e costruttivo, pur sempre controllato e “sicuro”. Un spazio che promuova una filosofia di apertura e accoglienza del diverso e che lavore per una convivenza pacifica.

L’intervento deve anche permettere che i minorini partecipino non solo in azione ma anche in opinione nella definizione della loro attività dentro dell’organizzazione e in altre situazione in cui è possibile la loro partecipazione.

Pertanto, I metodi e le metodologia adottate nell’intervento devono orientare e accogliere il minore, preoccupandosi in trovare un equilibrio tra rigidità assoluta e passività davanti i loro comportamenti per non perdere la credibilità e l’influenza nel loro confronto.

Alla fine, importante che l’intervento possieda sempre una figura adulta di riferimento molto chiara e legittimata dentro dell’organizzazione. Questo professionista, normalmente un educatore, sarà come un tutor e deve rispondere per il giovane, aiutandolo davanti le situazioni difficile che possono avvenire.

2.3. Metodi e strumenti possibili di lavoro.

Come detto nella sezione anteriore, la scelta del tipo di intervento per i minori “Messa alla prova” deve dipendere di una valutazione delle risorse e dei punti di forza dell’organizzazione e, principalmente, di una valutazione dei bisogni e delle rirsose del minore.

Deve anche essere accompagnata di un’osservazione dei diversi aspetti descritti della sezione 2.1 e di una analisi dei bisogni del minore, per poi, capire quale altri micro-obiettivi possono essere estratti del macro-obiettivi che comprende evitare il rischio di regressione.

É dentro dei micro-obiettivi che il fattore culturale appare più chiaro, perciò è focalizzando l’attenzione in questi elementi che si deve partire alla scelta dei metodi, degli strumenti e della tipologia delle attività che saranno utilizzate nell’intervento.

Tenendo conto di queste particolarità, in questa sezione si ha cercato di elencare i metodi di lavoro, gli strumenti operativi e le attività che sembrano più adeguati al lavoro con i minori stranieri “Messa alla prova” in quantio riguarda la situazione particolare in cui essi si trovano.

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In questo processo di scelta sono state definite le possibili ipotesi per i micro-obiettivi concernenti al fattore culturale presente nella problematica della devianza minorile straniera.

Per ultimo importante informare che il materiale presente in questa sezione è stato pensato considerando che l’intervento sia applicato nellle organizzazioni delle aree socio-educativo e culturale dove i minori stranieri “Messa alla prova” vengono a collaborare; questo perchè si ritiene, con base nella raccolta bibliografica e nelle testimonianze, che questi spazi organizzativi forniscono molti stimoli positivi ai giovani stranieri nel confronto con gli altri e perciò possono influenziare i loro atteggiamento e la propria visione che hanno di sé stessi.

2.3.1.Metodi

I metodi sottodescritti sono stati scelti perchè oltre la loro adeguatezza alla proposta dell’intervento e alle sue particolarità ( il pubblico target e il contesto), sono adattabile all’uso della Pedagogia Interculturale, intesa come un metodo di lavoro educativo che obiettiva la creazione di canale di conferma dell’identità culturale di ognuno senza riduzionismi, affermando e valorizzando le differenze culturali.

L’uso della Pedagogia Interculturale viene anche applicato nella visione delle culture e nel modo con cui il professionista deve gestire in contatto con i lminore straniero. Questa pedagogia richiede una prospettiva fluida e interattiva del fattore culturale in cui le culture sono intese come qualcosa in continua trasformazione, riformulate negli scambi tra le persone. In questo caso, il professionista deve considerare che ogni contesto trova dati culturali e sociale mescolati e riletti da ogni persona d’accordo con le sue scelte personali, dinamiche familiari e sociali. Avere questo sguardo interculturale sul fattore culturale impedisce di ridurre le persone a stereotipi culturali e induce ad una curiosità sull’altro, che sarà sempre un’incognita nel repertorio delle certeza di un professionista.

Oltre questo, si ritiene che un contesto basato attivamente sulla Pedagogia Interculturale favorisce il consolidamento di immagini positive di sè oltre che ridurre il senso di minaccia dato dalla condizione multiculturale. In questo contesto si fa necessario capire come sono vissute le differenze culturali, e cercare di avvicinare le culture attraverso il confronto e il dialogo interculturale, per poi farle interagire, senza però usare di assimilazionismi riduttivi.

La conferma identitatia proposta dalla Pedagogia Interculturale è quello che bisognano i minori stranieri “Messa alla prova” per ricostruire la loro autostima e aiutargli ad integrarsi nei ambiente che frequentano. Secondo Santerini (2007) i canali attraverso i quali avviene questa conferma sono creati per il contatto diretto che permette il confronto tra le differenze e attraverso la descostruzione dei pregiudizi, oltre che l’ampliamento del campo cognitivo e l’esercizio dell’empatia.

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Santerini (2007) elenca tre livelli di comprensione del percorso dello straniero che, leggermente adattati, servono al professionista come direttive per l’uso dei metodi e strumenti dentro del percorso con i minori stranieri a favore della ricostruzione della loro autostima. Tale livelli già adattati a questa proposta sarebbero:

1. Livello fenomenico: lo straniero entra in contatto con altra cultura e ha la sensazione di straneità. Si trova in um momento di confusione interna, che lo può portare a sentirsi troppo diverso e senza direzione. In questa fase, si deve mettere accanto i pregiudizi ( sia quelli che partono dal professionista, sia quelli che partono dallo straniero), lasciare che l’immigrato sia sé stesso e cercare di dialogare molto affinchè questo possa capire i nuovi codici culturali attivi nel nuovo spazio che occupa. É un livello dove si può trovare molti comportamenti di difesa e chiusura.

2. Livello segnico: è quello in cui lo straniero percepisce l’altro come differente di sé e inizia a trovare delle somiglianze. É la fase in cui inizia il processo di empatia e deve essere seguito di dialogo aperto e piacevole ad entrambe parte, oltre che un grande incentivo alla partecipazione e i momenti di gruppo e di scambio. É la fase che permette l’ampliamento cognitivo;

3. Livello della rilevanza dell’altro: si ritiene che in questo ultimo livello, oltre che attribuire l’importanza all’altro, lo straniero sarà capace di attribuire importanza a sé stesso, cioè, sarà capace di valorizzarsi, riconoscendo le differenze dell’altro senza appropiarsi, mantendendo, in questo modo, la propria identità culturale ma imparando ad interagire positivamente col mondo che lo cerca. É in questo livello che egli riuscirá a ricostruire la propria autostima.

Alcuni metodi che si ritiene adeguati alla proposta dell’intervento con i minori “Messa alla prova” e all’utilizzo con l’educazione interculturale sono elencati in seguito. Sono metodi che si ritiene siano complementare e che devono essere usati d’accordo con i micro-obiettivi dell’intervento, a sapere:

1. Metodo partecipativo: In questo metodo educandi ed educatore dialogano per decidere le direttive dell’intervento; scambiando informazione, punti di vista, si rafforza Il diritto del minore in partecipare alle decisioni che lo riguardana, e perciò dá al percorso un maggiora senso di responsabilità. Oltre questo é un metodo che rafforza l’importanza dell’ascolto e la necessità di comprendere l’altro per potere decidere, ossia, esercita la comprensione reciproca e il senso di cooperazione. É un metodo che aiuta nella valorizzazione delle conoscenze e delle potenzialità del minore, oltre che creare un spazio di confronto, sempre importante per la percezione delle differenze e delle somiglianze tra le persone. É un’opportunità di svolgere col minore la fiducia sul se stesso e stabilire un rapporto fiducioso tra egli e l’educatore.

2. Metodo “delle somiglianze”: Non esiste veramente nella letteratura scientifica un metodo delle somiglianze, però si ritiene che l’educatore possa mantenere presente nella conduzione del lavoro una constante riflessione sulle somiglianze tra i minori italiani e i minori stranieri. Questa

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riflessione oltre che permettere all’educatore prendere le decisioni più corrette per il percorso, principalmente in momenti critici, perchè aiuta ad avvicinare i modelli educativi applicati con italiani e stranieri, deculturalizzando l’intervento e rafforzando agli immigrati il senso di appartenenza e ugualianza insieme al rispetto della diversità.

3. Metodo dell’autonomia: Questo è un altro metodo che non esiste nella letteratura scientifica, ma è stato creato come un’idea in questo lavoro basata sulla Pedagogia dell’Autonomia (Freire, 2004). Questo richiede che l’educatore abbia il rispetto dell’indipendenza di giudizio e della libertà d’azione del minore “ Messa alla prova”, senza però dimenticarsi di proporre dei limiti che sono adeguati al contesto organizzativo. Esso significa, che l’educatore deve farsi presente come figura di riferimento anche riconoscere la capacità di questi minori di gestire e portare avanti le proprie attività con moderata libertà e senza che qualcuno ci stia seguendo a tutto momento. Richiede anche che l’educatore si riconosca come essere incompiuto e non onisciente e perciò rispetta la curiosità del minore, la sua inquietudine, il suo linguagio e il suo modo di espressarsi.

È un metodo che rafforza l’identità del minore oltre che il suo senso di responsabilità, perchè gli chiede di gestirsi da solo in modo a portare dei risultati positivo tanto per sé stesso come per l’attività sociale che realizza.

Usare di questo metodo di lavoro richiede all’educatore un’attenzione speciale ai comportamento dei minori, perchè si deve valutare i tipi di attività in cui essi riescono ad essere autonomi d’accordo con la propria maturità e capacità pratica. Importante rafforzare che molti di questi minori hanno un comportamento falsamente adulto che ispira grande capacita di autonomia, ma in verità sono imaturi e ancora hanno bisogno di una persona che li segua vicinamente durante le loro attività.

4. Il metodo del Problem-solving: Questo metodo applicato all’intervento

con i minori stranieri “Messa alla prova” cerca di definire insieme a essi un problema che loro devono risolvere quanto alla propria problematica e la cui soluzione avrà attivazione dentro spazio di tempo dedicato all’attività dell’organizzazione; in questo modo è possibile coinvolgere il minore nell’attività oltre che dare l’opportunità che sviluppe un aspetto che ritenga sia importante per il suo proprio percorso.

Attraverso di questo metodo si deve cercare una risposta ad una specifica richiesta del minore, che può essere l’inserimento in una attività, l’acquisizione di una nuova conoscenza tra altre. L’idea del problem solving in questo intervento è convertere i problemi stabiliti per i minori in piccoli obiettivi, personalizzando la loro azione dentro dell’organizzazione in maniera a tranquilizzare ed abbassare i

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livelli di tensioni frequentemente presente in questi contesti. Questa tensione non favorisce ne la convivenza ne il coinvolgimento del minore nell’attività sociale e contribuisce per un scivolamento nell’indifferenza quanto al processo della Messa alla prova.

Applicare questo metodo è anche un’opportunità di aiutare il minore a dare i primi passi per la progettazione della propria vita.

5. Metodo conciliante e pacifico: questo metodo si trata dell’uso della comunicazione non violenta, e deve essere usato principalmente davanti gli atteggiamenti di chiusura e difesa che sono spesso presentati dai minori stranieri “Messa alla prova”.

Tali atteggiamentI quando avvengono insieme agli episodi di agressività e indisciplina alle regole dell’organizzazione rappresentano molto spesso una autoaffermazione del minore quando si sente agreditto oppure offeso. Può anche avvenire come un atteggiamento menefreghista.

L’importante è che l’educatore sappia gestire la situazione faccendo uso della comunicazione non violenta, cercando di assumere un atteggiamento conciliante, esplicativo e amichevole, ma determinato e sicuro di sé. L’educatore deve cercare di chiarire il perchè dell’atteggiamento agressivo insieme al minore ed i punti stano alle radici del comportamento.

Questo atteggiamento pacifico ma determinato normalmente induce il minore ad tornare indietro nel proprio comportamento e cercare di convivere armoniosamente.

Logicamente, non sempre il minore reagisce positivamente ad un contatto amichevole, ma l’importante è che l’educatore sappia equilibrare tra un discorso non violento ( scegliere le parole usate, il tono, l’assenza di pregiudizi e di minaccie) e la disciplina necessaria affinché il minore possa continuare a cooperare nell’organizzazione e impare un nuovo modo di comunicarsi.

6. Il Metodo narrativo: Questo metodo, si basa sulla creazione di spazi e momenti di informalità e chiaccheri, dove si possono raccontare i propri percorsi, la propria storia e sentire le storie e i racconti di altri del gruppo. Si basato sulla disponibilizzazione di momenti di scambi di racconti tra i minori “Messa alla prova” e gli altri membri dell’organizzazione, compreso l’educatore.

Attraverso questo metodo si raccoglie la diversità e si apre una possibilità di esercitare l’empatia, perchè il racconto e la narrativa, sono sempre cariche di emozione che possono coinvolgere l’interlocutore e farlo mettersi nei pani di chi racconta. É un’opportunità di dare voce e senso ai comportamenti che fino a quello momento non sono stati mai intesi completamente, principalmente nella relazione fra quelle che sono di origine diversa.

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7. Metodo decostruttivo: Questo metodo inteso come la promozione della della capacità di mettersi in questione, di ri-visitare e ri-vedere le proprie idee, può essere utilizzato insieme al metodo narrativo, basta l’educatore intervenga nei momenti dello scambio diracconti e porte a un processo di riflessione più direzionata dei contenuti che emergono nel dialogo.

È un metodo che applicato al dialogo interculturale permette che esso sia veramente una relazione di reciprocità.

L’educatore può anche usare questo metodo attraverso dell’attività ricreattive e dinamiche di gruppo che lavorino con la decostruzione dei pregiudizi, degli stereotipi, dei luoghi comuni, delle immagini deformanti, delle categorie linguistiche etnocentriche e inserire i minori “Messa alla prova”. É un’opportunità di aiutarlo a ricostruire la propria identità culturale e valutare più realisticamente le idee che ha sulle culture altrui, inclusa quella italiana. É ancora una maniera di lavorare sui sentimenti che questi minori hanno in quanto riguarda la miscelanea culturale in cui si trovano interiormente.

Il metodo decostruttivo, pertanto, può aiutare nella decostruzione delle idee deformate che i minori stranieri hanno su sé stessi e sulle culture altrui, favorendo positivamente la ricostruzione della propria immagine e la costruzione della propria identità culturale.

8. Metodo del decentramento o del rovesciamento del punto di vista: Questo metodo cerca di aiutare i minori a sviluppare la propria capacità di decentrarsi. Per loro il decentramento è importante perchè gli aiuta ad accettare i prori limiti, essere disponibile all’ascolto e alla collaborazione, caratteristiche molto importanti per fargli collaborare nell’attività sociale. Il decentramento anche gli obbligarà a togliere la maschera di vittima sociale che spesso portano con sé come parte della propria identità e che ostacola la ricostruzione della propria autostima.

Come già in sezione anteriore, i minori stranieri spesso si chiudono dentro della loro cultura come un modo di difendersi e affermarsi davanti il mondo che li cerca. Questa chiusura gli rende troppo centratti sui propri punti di vista e sulle proprie idee, e molte volte portano allo isolamento.

Attraverso, pertanto, il decentramento è possibile anche fargli capire che non devono per forza assumere un punto di vista rigido dentro di una determinata cultura solo per affermarsi socialmente, ma che diventano soggetti con un’identità propria e particolari esattamente perchè elaborano la loro cultura e gli altri stimoli culturali dell’ambiente di maniera personale e meravigliosamente unica.

9. Metodo dell’azione: L’educazione interculturale lavora molto con il cambiamento degli atteggiamenti, che sono lo spechio del mondo

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interno di ogni persona, perciò si può affermare che sta basata sulle azioni dei soggetti. Questo metodo dell’azione parte di questa stessa preoccupazione e cerca di incentivare e valorizzare le azioni e i comportamenti che promuovono il dialogo interculturale.

Dentro dell’attività sociale i minori “Messa alla prova” devono portare risultati positivi per riuscire ad avere i loro processi penale cancellati della giustizia, perciò la base motivazionale dell’attività già è sull’azione positiva; oltre questo, incentivarli ad utilizzare le loro competenze e le loro capacità a servizio dell’organizzazione gli permette di acquisire nuove competenze che gli serviranno nella loro vita.

La dimensione interculturale di questo metodo viene esattamente nel scambio di competenze e conoscenze tra i minori, l’organizzazione e il proprio educatore. Riconoscere i risultati positivi e valorizzare le azione fatte dai minori “Messa alla prova” è anche un’opportunità di fargli sentirsi utile e riconosciute nelle loro competenze e particolarità culturale, contribuendo, pertanto, ad una ricostruzione dell’autostima e ad una ricostruzione dei modi con cui loro interagiscono col mondo che li cerchia. L’attività sociale contribuisce per fargli vedere che le loro identità e capacità possono essere valorizzate e utile, basta che loro sappiano usarle per il bene comune, cioè per il benessere proprio e degli altri con cui convivono. Alla fine è anche un’opportunità di lavorare il senso della responsabilità e l’importanza dei propri atti, che va d’incontro con l’idea della giustizia riparativa.

Oltre questi metodi si ritiene che sia importante utilizzare l’educazione tra pari, cioè, integrare il minore con altre giovani che frequentino l’organizzazione. Questo metodo deve essere applicato con molta cura, perchè l’educatore deve essere un strumento di avvicinamento tra i minori “messa alla prova” e il nuovo gruppi di pari. Importante è anche scegliere quelli gruppi che possono portare prospettive positive e arrichire il minore di nuova conoscenze e punti di vista.

L’educazione tra i pari è anche importante perchè l’educatore è sempre visto come un adulto per i minori che alla fine non sempre sono sinceri nei suoi racconti e nel suo comportamento. Oltre questo con un coetaneo è più facile che il minore si apra e stia più attento ad ascoltarlo, aumentando le possibilità che impare nuovi e positivi modi di relazionarsi col mondo.

In questo metodo, un attento lavoro di mediazione fatto dall’educatore è necessario per guarantire che le differenze e divergenze che vengono a apparire in questo rapporto non siano motivi per differenziazione e ghettizzazione, perchè l’idea prima dell’educazione tra i pari è la socializazione e la condivisione.

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2.3.2. Strumenti operativi e attività possibilmente utile

Gli strumenti e attività proposti in questa sezione sono stati divisi nei tre compiti principali dell’intervento con i minori stranieri “Messa alla prova già descritti anteriormente, ossia, accogliere, orientare e rafforzare.

Ogni sub-sezione presenta alcune proposte di attività e di strumenti che possono aiutare l’educatore in questo percorso educativo interculturale. La ripetizione di proposte avviene quando esse hanno diverse applicazioni dentro dell’intervento proposto.

2.3.2.1. Accogliere.

Il momento di accoglienza dell’intervento è importante perchè è la porta di entrata del minore dell’organizzazione e perciò un momento molto delicato dal punto di vista emozionale.

Cercare di accoglierlo significa non solo riceverlo dentro dello spazio fisico dell’organizzazione ma provare di coinvolgerlo nella mission nell’organizzazione e nel progetto dove possibilmente sarà inserito.

Questa accoglienza, pertanto, consiste in farlo comprendere di cosa si tratta l’organizzazione, il suo funzionamento, le sue attività e le possibile aspettative quanto alla collaborazione che dovrà svolgere.

È anche il momento per cercare di conoscere meglio il minore, perciò si propone l’applicazione di un questionario di domande di riconoscimento che può essere usato per conoscere le concezioni che il minore ha sugli argomenti che normalmente sono le origini dei conflitti identitari e che possono creare destabilizzazioni identitarie. Questi argomenti sono:

1. la concezione di famiglia;2. la concezione egualitaria o inegualitaria del rapporto uomo/donna;3. la concezione dell’educazione, dei diritti dell’infanzia o della proprietà

( autoritarismo/permissivismo);4. la libertà religiosa e la laicità ( il religioso e il magico soo al centro della

vita);5. la concezione del corpo, della malattia e della salute;6. la sessualità;7. la concezione del tempo;8. la concezione del sacro e del profano.

L’applicazione di questo strumento deve avvenire all’inizio dell’intervento, per potere fornire all’educatore informazione che serviranno di supporto per le altre attività del percorso del minore.

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Un altro strumento che può facilitare il lavoro di accoglienza è l’elaborazione di un accordo, scritto e firmato, tra le parti denominato “ Contratto di pace” dove l’organizzazione individua le regole di convivenza che il minore deve rispettare durante la sua attività nell’spazio organizzativo e il giovane delimita alcune delle sue regole personale affinchè possa sentirsi rispettato. Questo contratto è per guarantire l’intendimento tra le parte coinvolta nell’intervento, e dare un senso di rispetto alle richieste del minore. In questo senso il “contratto di pace” è un modo simbolico e informale di definire regole comuni, per facilitare la comprensione reciproca e disponibilizzare l’altro all’ascolto.

Un altro strumento possibile di uso in questo primo momento del contatto coi minori è il coinvolgimento di altre persone della sua rete sociale nel momento dell’accoglienza. Questo perchè molte volte questi minori non sono abituati ad avere la parola, ad essere ascoltati e non riescono ad esprimere bene i suoi bisogni. La presenza di un’altra persona, di preferenza un adulto, che partecipe di questo primo momento è importante per mediare l’inizio di questo rapporto fra il minore, l’organizzazione e l’educatore.

2.3.2.2. Orientare

La fase di orientamento dei minori stranieri “ Messa alla prova” comprendi diversi momenti di scambio di idee e punti di vista, pertanto è un momento basato nel dialogo.

Questo dialogo deve nascere di un rapporto informale ma rispettoso tra l’educatore e il minore, e deve cercare di rispondere a tutte le domande da essi che sembrino portare interesse e curiosità per la cultura altra e forse per la propria cultura. È attraverso il dialogo che sarà possibile creare la fiducia tra la figura di riferimento e il minore, inoltre promuovere momenti di riflessione in gruppo in quanto riguarda le problematiche portate dal minore.

La partecipazione del minore nelle attività che richiedono una dimostrazione della sua cultura di appartenenza, attraverso eventi, laboratori, aiuto nell’arredamento, nell’insegnamento di nuovi modi di fare le cose, e nei momenti di condivisione della lingua é anche un’opportunità di scambio molto valida in questa fase.

Si ritiene che la creazione di spazi dove i minori stranieri riescano a vivere la loro cultura positivamente permetterebbe il superamento del sentimento di inferiorità e di minaccia che spesso nutriscono e gli dia la possibilità di riconoscere la propria cultura e rispettarla, contribuendo per una ricostruzione della autostima e dell’identità culturale. Questo tipo di attività permette anche che il minore riduca il senso di colpa quanto alla pratica delle sue convenzioni culturale e religiosa, perchè dentro di un contesto di rispetto e curiosità lo permette di mettere in pratica tale prescrizione, anche se per poco tempo.

Le atttività di condivisioni, di conoscenze reciproca delle culture e delle tradizioni dei minori, sia italiani sia stranieri, con la conduzione di laboratori

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interculturale e con lo stimolo al constante confronto, è anche un’opportuntà di esercitare il decentramento e incentivare la curiosità per il diverso.

Nei casi di minori che presentano un conflitto identitario molto accentuato quanto all’ appartenenza e alla cittadinanza, principalmente la seconda generazione, il confronto tra culture potrà portare a una consapevolezza che la loro identità non è definita di un documento che gli confere una cittadinanza o altra, ma sí del modo come si sentono in relazione a queste culture.

Oltre questo la formazione di spazi di dibattito e gruppi di discussione di temi vari, sia formalmente o non, ma sempre orientato dall’educatore, sono altri tipi di attività interessanti per la questione dell’isolamento e dell’integrazione tra i pari. Queste attività, oltre che favorire lo scambio di idee e possibilitare l’esercizio dell’educazione tra pari, permette l’allargamento della rete sociale del minore, togliendolo dello stato di isolamento dove spesso si trova.

I gruppi di discussione generali e tematici hanno ancora la possibilità di offrire al minore straniero un’opportunità di comprendere l’esistenza di differenti atteggiamenti nei suoi riguardi, smarcherando l’immagine negativa che forse ha nutritto dell’italiani e di persone di altre nazionalità in ragioni delle proprie esperienze di vita.

Faccendo uso ancora della dimensione del gruppo, promuovere momenti o attività specificamente per il racconto e la narattiva di maniera orientata dall’educatore, favorisce la conoscenza e la scoperta delle somiglianze, piuttosto che le differenze.

Nel lavoro educativo con minori stranieri “Messa alla prova” è fondamentale la ricostruzione del percorso di vita, i significati delle esperienze vissute, il racconto degli incontri importanti, l’individuazione degli episodi autobiografici critici, perchè questi sono elementi che contribuiscono per la formazione di una personalità e di un’identità.

I momenti di racconti, come già detto nella sezione anteriore, sono anche un’opportunità di esercitare l’empatia.

Il lavoro sulla dimensione del gruppo, nel caso degli adolescenti è molto importante, perchè loro si specchiano uno negli altri e una delle prime misure necessari per cambiare il comportamento devianti di un minore è coinvolgerlo in altri gruppi di pari dove il fattore di devianza non sia presenti, perchè in questo modo, egli cercherà di adeguarsi alla nuova situazione, prendendo di riferimento il nuovo gruppo di coetanei.

Tutte le altre attività che vengono a favorire la creazione di legami, la socializzazione e il confronto tra i gruppo di pari sono importante e valide in questa fase dell’orientamento, principalmente perchè insegnano al minori straniero a gestire i diversi flussi culturale, mantenendo i legami con le radici culturali delle famiglia d’origine ma prosseguendo nel suo inserimento nella società italiana, senza cadere nell’assimilazionismo o nell’esclusione.

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2.3.2.3. Rafforzare

L’ultimo compito dell’intervento è essenziale per il successo del percorso educativo con i minori stranieri “Messa alla prova”, perchè è attraverso il rafforzamento dell’identità e dell’autostima del giovane che si potrà ridurre le possibilità di nuovi comportamenti devianti.

Il rafforzamento avvenire in ogni momento del percorso del minore attraverso il riconoscimento dei risultati, l’avvicinamento dei legami, la trasmissione di responsabilità e il rapporto di fiducia con il nuovo gruppo di riferimento e con l’educatore.

Infatti, un rapporto di fiducia con l’educatore è molto importante come rafforzzativo perchè questo professionista, nel suo ruolo di figura di riferimento, ha potere di influenzare positivamente l’identità del minore.

Altri modi di rafforzare l’identità e la multipla appartenenza di questi minori sarebbero la valorizzazione delle loro conoscenza linguistica attraverso delle attività specifiche che permettano l’uso di queste competenze.

Caso l’educatore parle, almeno discrettamente, la lingua di origine o di riferimento del minore è interessante provare di usarla dentro del dialogo, tanto per chiarire punti che con l’italiano hanno lasciato dei dubbi come per rafforzare al minore l’importanza della sua lingua. L’uso del linguagio del minore dimostra a questo che la sua lingua è ugualmente importante quanto l’italiano e merita essere imparata e praticata.

Oltre questo, per l’educatore, usare la lingua di appartenenza del minore è una maniera di esercitare l’empatia e il decentramento, sfuggendo dal etnocentrismo e dall’assimilazionismo.

Un altro punto che deve essere constantemente rafforzzato insieme al minore è il senso di responsabilità.

Per rafforzalo l’educatore deveinvestire nell’autonomia del minore affidandogli delle attività di relativa importanza dentro dell’organizzazione o dentro del progeto dove è stato inserito. Oltre questo si deve chiarire col minore che i risultati che portarà all’organizzazione durante l’attività svolta faranno parte della sua valutazione finale, che influenza significativamente nel successo della sua “ Messa alla prova”. Con questo si aumentano la responsabilità che il minore assuma il compito con responsabilità, eseguendo correttamente le attività proposte.

Questa è un’opportunità di lavorare la responsabiltà di questi minori oltre il proprio mondo, offrendo l’opportunità di avere un nuovo sguardo su sé stessi e sulla dimensione dell’apparteneza.

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Alla fine del percoso si ritiene che il rafforzamento possa venire come un riconoscimento delle competenze e delle capacità del minore che può essere fatto tramite l’applicazione del bilancio di competenze.

Il bilancio di competenza può servire come un prodotto finale del percorso del minore, aiutandolo non solo a conoscere le competenze e le capacità che possiede al fine del percorso, ma anche fornendo delle informazioni che gli permetteranno di dare prosseguimento al suo progetto di vita. Attraverso questo strumento il minore potrà conoscere anche quale sono le sue debolezze e i punti che deve continuare a rafforzare, come per esempio, imparare meglio la lingua, lavorare le competenze interpersonale e così via.

2.4 L’educatore

2.4.1. Aspetti soggettivi e oggettivo dell’atteggiamento dell’educatore

In questa sub-sezione si usa come concetto di atteggiamento la definizione di Rodrigues(2005), che considera esso l’insieme degli aspetti comportamentale, cognitivi e affettivi che ogni persona porta con sé.

Gli aspetti comportamentale sono le azioni concrette attraverso le quali le persone stabiliscono rapporti con gli altri e con l’ambiente, perciò si tratta di un aspetto oggettivo.

Gli aspetti cognitivi e affettivi si trattano delle idee che le persona hanno del mondo, il quadro di riferimento di ognuno, e il sentimento che nutriscono quanto a questo quadro.

Tenendo conto che i risultati ottenuti nel lavoro di un educatore dipendono molto dell’atteggiamento che esso ha assunto durante i suoi interventi educativi, si ha ritenuto importante riflettere sugli aspetti sopracitate dentro della pratica educativa di questo professionista.

Gli aspetti soggettivi e oggettivi a che si fa riferimento comprendono un quadro di competenze interculturali, indispensabili per chi attua nell’ambito interculturale e negli interventi proposti nel presente lavoro. Questo perchè tale competenze permettono al professionista di interagire con le persone, comprendere i loro bisogni e le loro aspettative, intervenendo poi di maniera più efficace nelle situazioni-problema identificate.

Per definire gli aspetti soggettivi, cioè che riguardano il mondo interno dell’educatore, si parte dalla premessa che la pratica educativa richiede al professionista un lavoro su sé stesso. In ambito interculturale questa richiesta ha importanza rafforzata, perchè in questi contesti l’autoconoscenza è il primo elemento che permette il riconoscimento del proprio quadro di riferimento sulle culture altrui, perciò un è elemento essenziale per impedire la creazione di ostacolli alla comprensione dello straniero con cui si interagi.

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Conforme proposto per Cohen(2007), l’educatore deve prima di tutto conoscere la propria cultura, i modi e gradi secondo i quali essa è stata assorbita e interiorizzata, capendo gli adattamenti di essa che sono stati fatti in funzione della sua traiettoria di vita, poichè la comprensione dell’altro e della sua identità richiede ad ogni persona la scoperta della sua propria identità sociale, culturale e professionale.

Questa autoconoscenza deve allargasi alla consapevolezza delle idee radicate sulle ragioni della devianza minorile, poichè anche esso porta il professionista ad un atteggiamento di onniscienza in quanto riguarda la problematica di ogni singoli minori con cui deve lavorare. Questo crearebbe un ostacolo all’ascolto attivo e toglierebbe dall’educatore la possibilità di conoscere i veri bisogni dei minori.

In questo senso, conoscere il proprio quadro di riferimento significa anche che l’educatore deve rintracciare i possibili pregiudizi e stereotipi che porta con sé; questo significa anche disvelare ogni atto che nasconda il razzismo e che possono generare diffidenza nel rapporto col minore.

Oltre che autoconoscersi l’educatore deve stare attento all’etnocentrismo, assumere una posizione attenta per evitare di usare la propria cultura e i propri valori come base critica nel rapporto col minore straniero. Per l’educatore essere conscio del rischio dell’etnocentrismo gli permette di aprirsi all’ascolto della cultura altrui e così cercare di capire gli atteggiamenti degli altri a partire della loro realtà culturale.

Questi due elementi (autoconoscenza e attenzione al rischio dell’etnocentrismo) aiutano esattamente nella apertura all’ascolto dell’altro e nella consapevolezza di che nessuno è portatore di una verità definitiva, neanche l’educatore, perciò questa situazione comprende la superazione della propria individualità in favore di una comprensione più fedele del minore.

Questa apertura sopracitata porta l’educatore al decentramento, ossia, portalo a guardare oltre il proprio quadro di riferimento e perciò essere capace di ridurre l’influenza che la propria cultura esercita sul suo modo di vedere gli altri e sul suo modo di operare.

Tutti questi aspetti soggettivi della pratica educativa interculturale permettono all’educatore di creare empatia col minore e riuscire a stabilire una comunicazione più efficace e che aiute della conduzione dell’intervento.

Quanto agli aspetti oggettivi, legati al comportamento, si ritiene importante sottolineare quelli che riguardano la comunicazione interculturale e la gestione dei rapporti coi minori e con le altre persone della sua rete sociale e familiare.

Nella consulta bibliografica e nelle testimonianze raccolte per questo elaborato si ha trovato spesso il bisogno dei minori stranieri di stabilire legami fiduciosi con figure adulte, e esso può soltanto avvenire quando c’è una comunicazione dialogica basata su un rispetto e una comprensione reciproca fra le parte coinvolte.

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Gli educatori non ricevono dagli operatori dell’Ufficio Minore molte informazioni sulle particolarità dei casi nel momento dell’inserimento dei minori “Messa alla prova” nelle organizzazioni, perciò una comunicazione efficace, diventa l’unico strumento di conoscenza sul minore, principalmente nei primi contatti.

L’educatore per avere questo atteggiamento fino qui descritto deve primariamente lavorare sugli aspetti soggettivi della sub-sezione anteriore, perchè sono essi che lo permetteranno di mettere in moto due azioni importante : l’ascolto attivo e l’esercizio della toleranza.

L’ascolto attivo sarebbe ascoltare i bisogni dell’altro e discuttirli di modo ad aiutare l’interlocutore. Questo è essenziale per creare il legami con i minori e con suo circolo sociale, ma è principalmente l’unico modo di conoscere i veri bisogni dell’altra parte, potendo dopo intervenire correttamente nella sua situazione-problema.

L’ascolto attivo è anche un esercizio di decentramento perchè per praticarlo l’educatore deve imparare a rispettare la diversità culturale e gli interesse del minore, oltre tutto deve essere disposta a rispettare le scelte del giovane, anche se non condividendole.

Questo tipo di ascolto, oltre tutto, porta l’educatore a richiamara la tolleranza, cioè, a essere disponibile a comprendere e a rispettare idee e comportamenti diversi dai propri, senza smettere di dialogare. Esso è possibile solo se l’educatore ha fatto primariamente l’autoconoscenza del suo quadro di riferimento, perchè caso contrario potrà entrare in shock culturale davanti il discorso del minore e non riuscire a ragionare insieme a questo, oppure attacarsi alle parti del discorso dell’adolescente che non trasmettono il senso generale del messagio ma rappresentano solo fragmenti di quello che è stato detto.

L’ascolto attivo e l’esercizio della tolleranza permettono all’educatore di concrettamente riconoscere e rispettare le differenze culturale, oltre che prendere contatto col quadro di riferimento del minore per poi veramente stabilire una relazione educativa.

Dopo che questi elementi del processo comunicativo hanno messo i radici di un rapporto fiducioso è necessario che l’educatore inizi a gestire le relazioni col minore.

Secondo le testimonianze raccolte per il presente lavoro, l’informalità è una grande chiave nella consolidazione di un rapporto positivo coi minori perchè permette un avvicinamento più sincero senza gli ostacoli presenti in un contesto formale. L’informalità sta nel linguaguio utilizzato, nella battuta fatta, nel racconto dell’educatore di parte della propria vita che lo avvicine del minore.

Questa informalità è anche un modo di aggancio e accoglienza però deve essere stabilita con confini abbastanza delimitati, che proteggano la credibilità

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dell’educatore come figura adulta di riferimento ( ruolo che sarà meglio spiegato nella sezione seguinte).

Da questa informalità l’educatore dà i primi passi per l’inserimento e l’integrazione del minore dentro dell’organizzazione e dei gruppi da essa frequentanti; riesce anche a promuovere insieme ai minori una riflessione sulle possibilità di partecipazione dentro dello spazio organizzativo e sulle regole interne che devono essere rispettate.

L’attività quotidiana con i minori stranieri deve essere portata avanti con il constante rivedere di questo atteggiamento da parte dell’educatore che deve facilitare l’esperienza ai ragazzi, ma anche renderla costruttiva e promozionale, accrescendogli di fiducia in sé e nel mondo che gli circonda, contribuindo per rendergli attivi rispetto ai propri progetti e più consapevole dei loro diritti e dei loro doveri come cittadini socialmente inseriti.

2.4.2. Ruolo dell’educatore

L’educatore di riferimento dentro dell’organizzazione dove i minori “Messa alla prova” sono inseriti, è uno dei pochi professionali di questo generi con cui questi giovani hanno contatto dentro di questa misura giuridica, e nella relazione che si stabilisce questo professionista può assumere tre tipi di ruoli distinti:

1) quello di figura adulta di riferimento;2) quello di facilitatore della comunicazione e dell’inserimento sociale;3) e quello di mediatore di conflitti.

Il ruolo di figura di riferimento è più svolto quando i minori non hanno in altre circoli sociale altre figure adulte in cui possano rispecchiarsi e confrontarsi, come genitori o altri parenti, in questo ambito diventano figure adulte di riferimento gli affidatari, gli educatori e gli assistente sociali.

In questo ruolo, l’educatore deve trasmettere una immagine adulta positiva nel confronto delle situazione che condivide coi minori e dove essi si possono ispirarsi.

Oltre questo davanti i bisogni educativi legati alla adolescenza descritti nella sezione 2.1 è importante che l’educatore supporte questi giovane nel loro processo di costruzione dell’identità e nelle sue spinte progettuali restituindo ai minori un’immagine fedele della nuova identità in costruzione, ossia il professionsita deve stabilire una relazione sincera e aperta dove valute insieme ai minori i suoi comportamenti e gli aiuti ad identificare l’identità che stanno costruendo. Questo comprende, pertanto, mobilizare le loro risorse per rispondere ai suoi propri bisogni. Fargli conoscere le proprie capacità e potenzialità attraverso l’attività che svolgeranno.

In questo ruolo, l’educatore deve anche assicurare che le decisioni quanto al percorso del minori dentro dell’organizzazione siano prese nel suo miglior

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interesse e sempre con la sua consulta. Essere una figura di riferimento è anche consultare e consigliare il minore, stando attenti però affinchè non trasmetta la responsabilità per tutte le sue scelte al professionista.

Nel ruolo di facilitatore della comunicazione e dell’inserimento sociale l’educatore sviluppa una funzione di ponte tra i minori e l’ambiente organizzativo in cui questi sono inseriti, perciò questo ruolo si svolge a livello soggettivo e collettivo. Esso significa facilitare le relazione tra i minori e le altre persone che frequentano lo spazio organizzativo, come gli utenti e altri collaboratori. In questo senso, l’educatore deve attentare alle dinamiche di rifiuto, di separazione e d’ostilità cercando di trasformarle in un desiderio di conoscenza reciproca, inducendo i minori e gli altri membri del gruppo e dell’ambiente organizzativo ad una curiosità reciproca sulla diversità. Il confronto aperto delle diverse letture del mondo che ognuno ha, aiuta in questo processo di riconoscimento reciproco, perchè apre le porte a questa curiosità poichè accende la scintilla di interesse sul perchè l’altro ha determinata opinione sul determinato argomento.

Come facilitatore della comunicazione e comprensione fra le persone è essenziale dissipare i malintesi che avvengono nell’interazione interculturale e perciò si deve fare uso di una comunicazione chiara, usando spesso il linguagio non verbale e qualsiasi altro strumento per farsi capire. L’educatore deve chiarire anche espressione, punti di vista e idee che non sono stati chiari e che possono essere l’inizio di un conflitto tra i membri del gruppo.

Questo ruolo di facilitatore è molto collegatto al terzo ruolo svolto per l’educatore: il mediatore dei conflitti.

La parola “conflitti” in questo contesto circonda l’ambiti sociale, culturale e valoriali, e si svolge a livello soggettivo e collettivo.

La mediazione di conflitto svolta dall’educatore con i minori “ Messa alla prova” cerca di aiutarli a risolvere i propri conflitti identitari e anche a promuovere dentro del gruppo in cui essi sono inseriti il rispetto alla diversità culturale, pertanto, oltre che essere un facilitatore della comunicazione, questo professionale deve mediare i rapporti all’interno del gruppo in cui i minori stranieri sono inseriti.

In alcune situazioni l’educatore media anche un conflito tra il minore e la sua famiglia. In questo caso, l’educatore è la figura adulta che aiuta la famiglia ad interpretare il mondo in cui il minore è inserito, allo stesso tempo in cui aiuta il giovani acomunicarsi con i propri genitore.

L’educatore deve essere per natura un mediatore già che fa il legami tra i minori e gli ambienti e gruppi che li circondono. In questo tipo di mediazione l’educatore aiuta nel riconoscimento della fluidità delle culture e delle relazioni, e permette al minore una ridefinizione di sé, favorendo gli aggiustamenti identitari. Oltre questo, l’educatore svolge un ruolo di interprete dei codici di appartenenza e esercita un tipo di mediazione identificato per in cui l’atto di mediare diventa un processo di trasformazione e di creazione di norme che

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guidino le relazione fra le parti sulla base dall’interdependenza e dalla collaborazione(Cohen, 2007).

2.5 Il mediatore linguistico-culturale

Secondo la bibliografia consultata, negli interventi educativi con i minori stranieri la figura del mediatore culturale-linguistico, insieme alla figura dell’educatore di riferimento riduce alcuni degli ostacoli allo stabilimento di un rapporto di fiducia e di intesa che deve discorrere durante tutto il percoso di questi minori.

Allo stesso modo, la presenza di una equipe educativa mista, composta di autoctoni e stranieri, porta più tranquilità al lavoro coi minori stranieri.

La mediazione linguistica-culturale offre all’educatore una preziosa opportunità di conoscere più approfonditamente i minori ed evitare che la differenza culturale divente un rischio di inferiorizzazione che sarebbe un ostacolo alla sua costruzione identitaria del minore.

Il lavoro dell’educatore, insieme al mediatore lingistico-culturale, diventa allora un intervento che promuove la tolleranza e l’intercultura, cioè, la convivenza della diversità cultura senza la sovraposizione di una sull’altra.

La mediazione lingustica-culturale rappresenta uno strumento molto utili perchè oltre che tradurre i codici culturali e linguistici fornisce all’educatore le chiavi di lettura che le permiteranno di interpretare con correttezza gli atteggiamenti e le storie di vite presentate dai giovane; giè per essi minori, il mediatore darà possibilità di conoscere meglio il contesto e di avere l’affiancamento di un adulto durante il processo di creazione di una relazione di fiducia con gli altri adulti di riferimento, nel caso l’educatore.

La figura del mediatore è molto più significativa in contesti di lavori in cui la diversità culturale tra l’educatore, il minore e la sua famiglia creino degli ostacoli alla proposta dell’intervento.

In questi casi, il mediatore attuarà nella risoluzione di conflitti valoriali, che si verificano fra le famiglie migranti e la società d’accoglienza, o all’interno delle famiglie che attraversano il processo d’acculturazione e in cui contesto è avvenuta la problematica di devianza dei minori.

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CONCLUSIONE

Lavorare con gli adolescenti, siano italiani che stranieri, non è un compito facile, poichè questa è un’età evolutiva piena di trasformazione fisiche, psicologiche e sociale. Il corpo cambia, la mente cambia, le relazionI cambiano.

La devianza minorile appare in questo contesto come il risultato di tutti i conflitti interni degli adolescenti e come un loro modo di farsi affermare nel confronto con la realtà.

Il minore straniero attraverso i comportamenti devianti ha lo stesso desiderio di farsi riconoscere e rispettare nella società di accoglienza. Però, molto diverso da chi dice il senso comune, non sempre questo desiderio di riconoscimento e di rispetto avviene per una questione culturale, infatti, molto spesso, le ragioni hanno una dimensione socio-economica. Il fattore culturale viene come un aggravante ma mai come un determinante della conflittualità presente nel minore devianti.

Tenendo conto delle riflessioni sopracitate e della proposta rieducativa della “Messa alla prova” è importante che l’intervento applicato ai minori “Messa alla prova” non faccia uso di metodi riduzionisti, assimilazionistai, etnocentristi e autoritari, perchè questi farebbero persistere i comportamenti devianti, poichè non valorizzano e neanche riconoscono l’importanza dell’altro.

L’intervento adeguato ai minori stranieri “Messa alla prova” e applicato in contesti di informalità, come per esempio, nelle organizzazione dove essi vanno a collaborare in un’attività sociale, devono:1. potenziare la partecipazione attiva di questi giovani;2. incentivare l’uso delle loro capacità e competenze;3. creare spazi di confronto culturale e di scambio di esperienze;4. favorire l’assunzione di responsabilità e di autonomia;5. fornire una figura adulta di riferimento che possa affermare e supportare

le loro identità che stanno in processo di trasformazione.

Oltre questo, la figura dell’educatore nel tipo di intervento sopracitato è molto importante. Questo professionista deve avere consapevolezza di sé stesso, della sua cultura, delle sue credenze e dei possibili pregiudizi che possieda sulle culture altrui. Deve anche lavorare molto su sé stesso, sulla sua capacità di decentrarsi, di creare empatia e sulla sua capacità di stabilire una comunicazione efficace e che apra le porte per un rapporto di fiducia con il minore.

Questo rapporto di fiducia è importantissimo tanto per portare avanti l’intervento quanto per aumentare le sue possibilità di raggiungere i risultati desiderati.

In questo senso, lavorare con i minori stranieri devianti “Messa alla prova” è un compito complesso, perchè coinvolge tanto i fattori presente nel fenomeno

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della devianza minorile in generale, come i fattori culturali, ma in verità si semplifica quando si capisce, che al di là della cultura, questi giovani cercano soltanto di trovare un modo di essere riconosciuto e valorizzato nel mondo. Un modo che gli piacia e che gli permetta di sentirsi soddisfatti con sé stessi e con la propria identità.

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