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© Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. IL GRECO NELL’ESTREMO OCCIDENTE D’EUROPA : GLI ASPETTI IDENTITARI Pierluigi Cuzzolin Università di Bergamo* 1. S ul greco come lingua diusa nell’estremo occidente d’Europa si è scritto me- no di quanto non si sia scritto sul greco come la più importante lingua di cultu- ra nei territori orientali dell’Europa e del Vicino Oriente, almeno no all’occupa- zione delle tribù arabe. E probabilmente sarebbe tempo che si provvedesse anche a tracciare un bilancio dei risultati ottenuti nelle varie singole ricerche condotte no a oggi sul contatto e la mescolanza delle lingue parlate in quei territori. Certo, il greco non è stata l’unica lingua di cultura a essersi diusa in Oriente : basterebbe pensare alla rilevanza che hanno avuto, in epoche dierenti e in ter- ritori diversi, più delimitati, ma sempre comunque nell’area del Vicino Oriente, lingue come l’accadico o l’aramaico. Si tratta però dell’unica lingua nata in occi- dente ad avere avuto una tale diusione : è innegabile che una penetrazione così profonda e una fortuna così duratura sia arrisa solo al greco (e prescindo ancora una volta dall’arabo, per il quale si deve tener conto di un fattore decisivo come quello religioso, che rende il suo caso molto particolare). Il campo come quello del quale si sta qui trattando, cioè la diusione del greco in occidente, è piuttosto ampio, nonostante la parte del territorio su cui il greco si è diuso non sia confrontabile con quella dei territori orientali né per estensione né per profondità di penetrazione. Ma proprio per questo a volte le spie che la do- cumentazione ci ore sono piuttosto preziose per avere chiaro quale doveva esse- re la situazione. Ci sono, come sempre, alcune osservazioni preliminari necessarie per delimitare il quadro del nostro lavoro, e che serviranno per alcune riessioni che intendono chiarire alcuni aspetti nora relativamente trascurati, soprattutto se si pensa che un’analisi della documentazione come traccia volontaria e segnale estrinseco della propria identità culturale e sociale, oltre che politica, non è mai stata esplicitamente tentata. E dunque, se si tiene anche conto del fatto che questo lavoro intende porre l’ac- cento sugli aspetti identitari che possono aiutare a illustrare meglio le dinamiche di diusione e di distribuzione della lingua greca, in una sorta di ecologia lingui- * Il presente contributo è un prodotto realizzato nell’ambito del Progetto prin “Rappresentazioni linguistiche dell’identità. Modelli sociolinguistici e linguistica storica” coordinato da Piera Molinelli (prin 2010/2011, prot. 2010hxpff2, nanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca). Impaginato16_bz3.indd 67 18/05/16 09:13

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IL GRECO NELL’ESTREMO OCCIDENTE D’EUROPA :

GLI ASPETTI IDENTITARI

Pierluigi CuzzolinUniversità di Bergamo*

1.

Sul greco come lingua diffusa nell’estremo occidente d’Europa si è scritto me-no di quanto non si sia scritto sul greco come la più importante lingua di cultu-

ra nei territori orientali dell’Europa e del Vicino Oriente, almeno fino all’occupa-zione delle tribù arabe. E probabilmente sarebbe tempo che si provvedesse anche a tracciare un bilancio dei risultati ottenuti nelle varie singole ricerche condotte fino a oggi sul contatto e la mescolanza delle lingue parlate in quei territori.

Certo, il greco non è stata l’unica lingua di cultura a essersi diffusa in Oriente : basterebbe pensare alla rilevanza che hanno avuto, in epoche differenti e in ter-ritori diversi, più delimitati, ma sempre comunque nell’area del Vicino Oriente, lingue come l’accadico o l’aramaico. Si tratta però dell’unica lingua nata in occi-dente ad avere avuto una tale diffusione : è innegabile che una penetrazione così profonda e una fortuna così duratura sia arrisa solo al greco (e prescindo ancora una volta dall’arabo, per il quale si deve tener conto di un fattore decisivo come quello religioso, che rende il suo caso molto particolare).

Il campo come quello del quale si sta qui trattando, cioè la diffusione del greco in occidente, è piuttosto ampio, nonostante la parte del territorio su cui il greco si è diffuso non sia confrontabile con quella dei territori orientali né per estensione né per profondità di penetrazione. Ma proprio per questo a volte le spie che la do-cumentazione ci offre sono piuttosto preziose per avere chiaro quale doveva esse-re la situazione. Ci sono, come sempre, alcune osservazioni preliminari necessarie per delimitare il quadro del nostro lavoro, e che serviranno per alcune riflessioni che intendono chiarire alcuni aspetti finora relativamente trascurati, soprattutto se si pensa che un’analisi della documentazione come traccia volontaria e segnale estrinseco della propria identità culturale e sociale, oltre che politica, non è mai stata esplicitamente tentata.

E dunque, se si tiene anche conto del fatto che questo lavoro intende porre l’ac-cento sugli aspetti identitari che possono aiutare a illustrare meglio le dinamiche di diffusione e di distribuzione della lingua greca, in una sorta di ecologia lingui-

* Il presente contributo è un prodotto realizzato nell’ambito del Progetto prin “Rappresentazioni linguistiche dell’identità. Modelli sociolinguistici e linguistica storica” coordinato da Piera Molinelli (prin 2010/2011, prot. 2010hxpff2, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca).

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stica (a questo proposito mi permetto di rinviare a Cuzzolin 2003), si comprende come il discorso sia complesso e richieda necessaria cautela.

2.

Innanzitutto, e preliminarmente, mette conto di rendere esplicita qualche preci-sazione sulla definizione stessa di “occidente” e “occidentale” per i Greci, che non coincide completamente con quella che oggi accettiamo come valida dal punto di vista geografico. È noto che per i Greci le definizioni e le delimitazioni dello spazio geografico non coincidevano con le nostre. È forse meno noto che anche i Greci adottarono, probabilmente per accorta accettazione culturale, punti di vista e definizioni che venivano dall’ambiente semitico e più generalmente orientale, e le adattarono alla loro cultura secondo procedimenti paretimologici. Così accad-de per quelle denominazioni geografiche che si rifacevano all’antico procedimen-to di orientarsi in base ai colori : non si tratta soltanto del caso assai noto del Mar Rosso, così definito già dalle fonti semitiche, con il colore che indicava il sud, ma anche del mare chiamato Povnto~ Eu[xeino~, corrispondente al Mar Nero odierno, per il quale l’aggettivo eu[xeino~ ‘ospitale, accogliente’ sarebbe in realtà da porre in relazione, attraverso un’etimologia popolare che lo rianalizzava in termini po-sitivi, all’aggettivo documentato nell’avestico axšaena-, dal significato appunto di ‘oscuro’ e ‘nero’, con ogni probabilità nel senso geografico di cui si diceva sopra, cioè di mare settentrionale. 1

Peraltro è ben noto che in greco antico il termine per indicare l’occidente sia eJspevra cwvra, o anche solo semplicemente eJspevra, e “occidentale” si esprima con l’aggettivo eJspevrio~. Entrambi i termini, eJspevra e eJspevrio~, sono collegati al latino vesper, il che però ci aiuta poco perché la loro etimologia non è chiarissima. Si può solo constatare che formazioni più o meno simili compaiono nel lituano vãkaras ‘sera’, nell’antico slavo ecclesiastico ɜɟɱɟɪɴ ‘sera’, nell’armeno gišer e nel gallese ucher, anche questi ultimi col medesimo significato. Questo modo di con-cepire lo spazio geografico è chiaramente presente in un famoso passo delle Storie di Erodoto, nel quale l’occidente viene collocato là dove le nostre conoscenze at-tuali collocherebbero piuttosto il sud. Ma il dato più interessante è probabilmente legato alla scelta della parola con la quale si indica l’occidente, ovvero dusmaiv ‘tramonti’, ovvero, letteralmente, ‘immersioni’ : Her. 2, 31 : (oJ Nei`lo~) Ôrevei de; ajpo; eJspevrh~ te kai; hJlivou dusmevwn “(Il fiume Nilo) scorre a partire da occidente e dalla parte del tramonto” (tr. Fraschetti).

Che cosa sia da intendere per estremo occidente d’Europa, dunque, è chiaro : sarà da intendere la parte dell’odierna Europa che comprende la porzione che, estendendosi al di là delle Alpi, comprende da una parte, a partire dalla penisola iberica come limite naturale, la Francia, i Paesi Bassi e la Germania, per giunge-re, dall’altra parte, fino alla latitudine delle isole britanniche. Sulla facilità con cui un modello collaudato e condiviso possa essere automaticamente accettato basterebbe pensare al fatto che il punto di riferimento per le misurazioni odierne

1 I colori verde e bianco indicavano invece occidente e oriente.

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della longitudine è il risultato di una prospettiva anglocentrica impostasi nell’Ot-tocento, in base alla quale come meridiano fondamentale si è imposto quello che passa da Greenwich ; e questo rende conto anche del fatto che sia invalso l’uso di mantenere l’etichetta di Medio Oriente, almeno per gran parte dell’informazione sia stampata sia audiovisiva per riferirsi a un’area geografica che, dal punto di vista italiano, coincide con quello che per noi Italiani viene più correttamente definito (per esempio negli studi di antichistica) il Vicino Oriente. Nulla di strano, dunque, se anche nel mondo antico le più avanzate cognizioni geografiche dei popoli a oriente dei Greci fossero accettate e fatte proprie da questi ultimi.

Sarà tuttavia inevitabile accettare il nostro punto di vista – uno dei pochi casi in cui questo sintagma recupera il suo significato originario – almeno per due buone ragioni. Se accettassimo l’idea che l’occidente potesse comprendere anche i territori dove scorre il fiume Nilo sconvolgeremmo di nuovo il quadro che stia-mo cercando di ricomporre, essendo semmai l’antico Egitto terra di pertinenza orientale, soprattutto dal punto di vista culturale ; punto su cui non vi sono dubbi. E dunque l’analisi di che cosa venga qualificato come occidentale nei testi greci ne richiederà una disamina preventiva.

La seconda ragione, intimamente legata alla prima, è che del nostro occidente, cioè di quello che noi definiamo come tale, i Greci avevano, per quello che riu-sciamo a ricavare dalle fonti a nostre disposizione, dalla documentazione scritta a quella archeologica, un’idea un poco differente. L’unico Greco del quale è certa una attività come esploratore delle terre occidentali e che ci ha lasciato il resocon-to di suoi viaggi è Pitea di Marsiglia. Purtroppo della sua opera non restano che scarsi frammenti e quel poco che altri autori, a volte posteriori cronologicamente di secoli (Strabone, Plinio il Vecchio), ebbero ad attingere dai suoi scritti è comun-que pochissima, ancorché preziosissima, informazione.

3.

Che il greco sia stato lingua conosciuta e almeno parzialmente diffusa anche nella parte occidentale d’Europa, è fatto ben documentato e starebbero a dimostrar-lo le numerose iscrizioni rinvenute nell’intera Europa occidentale, almeno fino a certe latitudini settentrionali. Non sono state trovate iscrizioni antiche, fino a oggi almeno, nella regione scandinava d’Europa ed è verisimile supporre, in base alle nostre conoscenze storiche, che non ve ne siano. Tutte le aree geografiche interessate dalla presenza di iscrizioni in greco, o almeno parzialmente in greco, sono comunque documentate nel Corpus Inscriptionum Graecarum (cig), nelle In-scriptiones Graecae (ig) e nel Supplementum Epigraphicum Graecum (seg).

Ma sulla reale consistenza della diffusione del greco in occidente ci sono, come si diceva, alcune puntualizzazioni da fare, soprattutto se la sua diffusione può essere usata come la cartina di tornasole per esaminare la situazione linguistica dell’Europa occidentale secondo la prospettiva identitaria. La domanda fonda-mentale a cui cercare di dare una risposta è dunque quale valore identitario fosse attribuito al greco nell’occidente europeo nel quale il greco ci è stato documenta-to. La breve rassegna di alcune iscrizioni che vengono qui presentate andrà dun-

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que interpretata non come una disamina delle attestazioni epigrafiche con scopo classificatorio, ma come una rassegna essenziale di quelle spie che consentono di trarre qualche conclusione sull’uso macro-sociolinguistico del greco in quelle aree nelle quali il greco non era lingua autoctona. I limiti temporali all’interno dei quali si svolge la presente rassegna vanno dall’epoca della cosiddetta “prima colonizzazione greca” d’occidente, ovvero dal secolo vii a.C., all’incirca fino ai primi secoli dopo Cristo.

4.

La prima e più rilevante puntualizzazione, come già messo implicitamente in ri-lievo da Bats (2011), è legata alla distinzione tra lingua greca e alfabeto greco. È perfino banale ricordare che l’impiego del sistema di scrittura di una lingua non significa che chi usava quell’alfabeto usasse anche quella lingua. Basti pensare all’alfabeto latino, utilizzato, pur con gli adattamenti richiesti ora dalla fonologia ora dalla fonetica delle varie lingue, per dare una forma scritta a centinaia di idio-mi, in moltissimi casi neppure di origine indeuropea. Distinzione dunque più che opportuna anche nel caso del greco documentato in occidente.

È certo che l’alfabeto greco, o meglio : qualche sua varietà, si sia diffuso e sia stato usato per la scrittura anche in aree dove la lingua greca non era parlata se non in contesti molto particolari di bilinguismo. E anche in questi casi molto par-ticolari, per una corretta valutazione della presenza del greco, se fosse effettiva o se fosse solo il riflesso che poteva avere ed esercitare in quanto riconosciuto come lingua di prestigio, occorre fare delle necessarie precisazioni cronologiche. Innan-zitutto l’alfabeto. Sull’alfabeto greco, o, come si è detto, sui vari alfabeti greci, la loro diffusione e la loro adozione da parte di altre culture, si vedano ora i sintetici lavori di Swift e Ferrara (2014) e il volume ormai classico di Jeffery (1990). Il cri-terio migliore per un approccio all’analisi delle iscrizioni è quale funzione abbia l’alfabeto greco, cioè per quali usi fosse riservato, usi che si rivelano vari e non univoci. Sull’argomento, per quel che riguarda la Gallia meridionale, ha scritto pagine illuminanti il già citato Bats (2011).

Innanzitutto, è un dato quasi ovvio che tutte le iscrizioni in lingua greca sono redatte in alfabeto greco ; ma si vedrà che l’ovvietà è solo parziale, essendo docu-mentate iscrizioni in lingue redatte con alfabeto diverso da quello loro proprio (anche questo un fatto generale che nella storia si è ripetuto più volte). Sarà solo da notare che nelle iscrizioni più antiche, per esempio quelle attestate in Gallia in seguito alla fondazione di colonie da parte di Greci che avevano lasciato la madrepatria (valgano per tutti gli esempi di Massalia, l’attuale Marsiglia, fondata nel settimo secolo a.C da coloni Focesi o di Emporion, l’attuale Ampurias, in Spagna), la varietà d’alfabeto impiegata nella redazione dell’iscrizione è quella in uso nella polis di provenienza e in alcune delle iscrizioni più arcaiche manca la di-stinzione grafica tra epsilon ed eta e tra omicron ed omega (si veda sotto l’iscrizione seg 4 : 165). Che non sarà necessariamente una varietà locale, ma eventualmente la varietà grafica adottata per il prestigio culturale o di natura sociale e politica di cui godeva. Del resto non mancano neppure un paio di casi, in cui l’iscrizione

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è una semplice riproduzione della sequenza delle lettere dell’alfabeto greco (per esempio, seg 48 : 1308, proveniente dall’area dell’odierna Pech-Maho, in Francia). Altrettanto interessante è il caso in cui all’iscrizione si affida la tradizione culturale della quale ci si sente portatori. Così alcune iscrizioni in metrica, di età relativa-mente arcaica, contengono forme dialettali estranee alla varietà della metropoli della quale intendono essere espressione, solo perché alcune forme si rifanno a varietà di prestigio (non esclusa qualche reminiscenza omerica, come può essere il caso di ig 2461, una iscrizione di provenienza massaliota e di datazione incerta, ma certamente non arcaica poiché alla fine del testo in greco compaiono le lettere in alfabeto latino lps, da sciogliersi in libens pecunia sua 1).

In altri casi ancora, come nell’iscrizione seg 4 : 165, proveniente da Tartesso, nell’odierna Spagna, e databile forse al sesto secolo avanti Cristo, ci sono preziosi residui arcaici, a cominciare dalla conservazione di un esempio con digamma e con la caratteristica comune a più dialetti dell’unicità del segno per omicron e ome-ga. Questo il testo, invero non del tutto perspicuo, ma per il quale si può tentare la traduzione ‘O tu che possiedi forza, stai bene’ :

#56 o\ Fi;n e[con #56 e[ce eu\.e[con, e[con, e[con.

5.

Un genere molto particolare in cui compaiono parole o sequenze di parole scritte in lettere d’alfabeto greco – un genere fino a oggi non adeguatamente indagato (per il quale però si veda ora il prezioso volume di Urbanová 2014) – è quello delle tabellae defixionum, nelle quali il greco gioca un ruolo che merita attenzione. Si tratta spesso di parole a noi incomprensibili, quasi sempre nomi di demoni scritti in alfabeto greco o di sequenze di parole che suonano come probabili formule rituali, come sono le seguenti, presenti in un’iscrizione rinvenuta in una tomba a Cartagine e datata al secondo/terzo secolo e che qui cito per la sua paradigmati-cità (la citazione è dovuta alla tipicità dell’esempio ; ricordo solo che, secondo la prospettiva di Erodoto, il sito di ritrovamento dell’iscrizione sarebbe stato classifi-cato come di area occidentale) : karouraccqa braccqaq hqaeiouma nesfomi me-la heihueh estaba hi (n. 127 nel volume di Urbanová). Il fatto che questa pratica di scrivere nomi di demoni o di divinità, o di invocazioni di lingue ignote oppure da lingue note ma incomprensibili perché irrimediabilmente storpiate, si ritrovi nella documentazione rinvenuta sia in Africa sia in Britannia e nell’attuale Ger-mania fa supporre che questo uso testimoni l’idea che il mutamento di alfabeto comportasse un’aura intorno al nome evocato ancora più forte ; in definitiva, uno dei fattori che concorreva alla correttezza dell’invocazione e alla sua efficacia. In qualche misura, si riconosceva nell’adozione degli ∆Efevsia gravmmata il segno della scrittura tecnica che certifica la professionalità di chi incideva la defixio, che,

1 Sempre che non si voglia pensare a una iscrizione replica (sul concetto vedi Cuzzolin, Haverling 2009, 23-25) tarda rispetto all’originale arcaico.

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come è noto, doveva essere perfettamente eseguita nella forma, per evitare che l’invocazione della defixio potesse rivolgersi contro il suo autore.

Tuttavia, l’iscrizione ig 2481, ritrovata ad Avennio, l’odierna Avignone, e pri-va di datazione, mostra come le formule apotropaiche incomprensibili potessero fungere da cornice a testi molto semplici, riferentisi alla realtà quotidiana. Ne riporto il testo :

# ?QWSOUDERKUW# ?ALWHNOUMIXWNQEICNOS trevyon ejktouvtou tou cwrivoupa`san cavlazan kai;pa`san nifavdan k-ai; o{sa blavptei cwr<iv>a.keleuvei qeo;~ wamou-qa, kai; su; sunevrgei, ∆Ab-rasavx. ∆Iahv, ∆Iawv.

‘ ?QWSOUDERKUW ? ALWHNOUMIXWNQEICNOS allontana da questo campo ogni grandine e ogni nevicata e tutto ciò che può danneggiare i campi. Lo ordina il dio wa-mouqa e tu coopera, ∆Abrasavx. ∆Iahv, ∆Iawv’.

È chiaro che in questo caso l’alfabeto greco serve solo come “cornice di genere”, per così dire, che serve solo a collocare il testo all’interno della tradizione delle defixiones ; si tratta di un elemento paratestuale molto connotato.

Già Cesare, nel suo resoconto della guerra di Gallia, in 1, 29 ci fornisce una informazione preziosa : In castris Helvetiorum tabulae repertae sunt litteris Graecis confectae et ad Caesarem relatae, quibus in tabulis nominatim ratio confecta erat, qui numerus domo exisset eorum, qui arma ferre possent, et item separatim pueri, senes mu-lieresque. Quorum omnium rerum summa erat ....

In queste poche righe abbiamo la testimonianza che l’alfabeto greco era quel-lo in cui venivano redatti i documenti presso alcune popolazioni celtiche. Quello a cui sembra alludere il testo, però, o che comunque il testo sottolinea, è che se le lettere appartenevano a una qualche forma di alfabeto greco, la lingua però doveva essere non greca : greca era solo la veste grafica. Insomma, Cesare, qui come altrove, documenta l’uso dell’alfabeto greco per redigere per iscritto lingue diverse dal greco. Come si è già visto, tutto ciò era possibile anche nella redazione delle defixiones in area africana (occidente, dal punto di vista greco) e britannica.

Insomma c’è una diffusione e un uso dell’alfabeto greco che deve essere tenuto accuratamente distinto dalla diffusione e dal conseguente uso della lingua greca. Come si è già detto, che in questo caso si tratti di lettere con valore e funzione magici, e siano eredi della tradizione degli ∆Efevsia gravmmata sembra abbastan-za ovvio, tanto quanto nell’esempio cui si riferisce Cesare, in cui si ha a che fare con l’impiego di un alfabeto come strumento di registrazione di informazioni. In entrambi i casi, nulla lascia intendere che l’alfabeto greco presupponga uso della lingua greca nel repertorio dei parlanti dei territori interessati.

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Se dunque una prima conclusione si può trarre dai dati fin qui riportati, si può ben affermare, prima di ogni altra cosa, che la presenza di alfabeto greco non si-gnifica necessariamente presenza della lingua greca come lingua d’uso. In secon-do luogo, che di presenza di lingua greca come lingua del repertorio di una regio-ne si può parlare solo là dove è registrata l’usanza di redigere iscrizioni in greco da parte di insediamenti di Greci. A ciò si aggiunga che tali iscrizioni erano redatte nell’alfabeto greco in uso nella città di provenienza, nella varietà linguistica della propria città con lo scopo implicito di riaffermare, anche attraverso la lingua, la propria identità culturale rispetto ai Greci provenienti da altre città greche ; era insomma una affermazione identitaria intragreca fuori dei confini della Grecia, di fatto identica, o comunque molto simile, a quella dalla quale i coloni proveni-vano. La riaffermazione identitaria dei Greci valeva non tanto nei confronti delle popolazioni celtiche con cui i Greci potevano essere venuti in contatto, quanto soprattutto nei confronti degli altri Greci.

6.

Considerazioni più articolate e in parte diverse vanno fatte quando si prenda in esame la diffusione dell’alfabeto come veicolo della lingua greca, cioè di iscri-zioni redatte in greco da parte di comunità grecofone. Le più antiche o, meglio, alcune delle più antiche iscrizioni sono documenti che testimoniano della vasta colonizzazione greca dell’area in seguito alla esplorazione e all’insediamento dei Greci nell’area del Mediterraneo occidentale, fenomeno troppo noto perché se ne debbano ricordare qui, seppure per sommi capi, le vicende : si prenda per esempio la seguente iscrizione, trovata nell’area di Antipolis, l’odierna Antibes e databile al quinto secolo prima di Cristo (cig xiv 2424) :

Tevrpwn eijmi; qea`~ qeravpwnsemnh`~ ∆Afrodivth~ |toi`~ de; katasthvsasi Kuvpri~cavrin ajntapodoivh

‘Io sono Terpone, servo della dea, la venerabile Afrodite ; a coloro che hanno istituito, la Cipride possa rendere la grazia’.

L’iscrizione appena riportata, dedicata ad Afrodite Cipria, sarebbe potuta essere benissimo un’iscrizione proveniente proprio da Cipro : si noti, fra l’altro, che il participio aoristo attivo toi`~ katasthvsasi, nell’uso di riferirsi a coloro che hanno eretto la pietra o il supporto che recava incisa l’iscrizione in onore di Afrodite, trova un parallelo proprio in un’iscrizione proveniente da Cipro (seg 6 : 810, in cui l’oggetto eretto è una statua, to;n ajndriavnta).

Invece, come è abbastanza ovvio immaginare, un ruolo importante per com-prendere gli aspetti identitari dell’uso della lingua greca giocano le iscrizioni bi-lingui. Molto spesso si tratta di iscrizioni bilingui in cui accanto al testo in greco si trova una traduzione, o meglio : una resa relativamente libera in latino. In molti casi non è facile datare l’iscrizione, della quale spesso mancano alcuni dati essen-ziali, di carattere interno o esterno, che ne consentano una valutazione affidabile.

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Ma per molte di queste iscrizioni si è alla presenza di documenti relativamente recenti, di età imperiale, nei quali il greco gioca il ruolo della lingua di prestigio utilizzata per celebrare qualche aspetto della vita del dedicatario legata alla Gre-cia, ovvero casi in cui il greco rappresenta il tributo, come si è detto, alla lingua di prestigio che riflette prestigio su chi la usa. Un esempio fra i tanti può essere il seguente, un’iscrizione bilingue proveniente dalla Gallia Narbonense, dalla loca-lità di Lero, l’odierna Ile Sainte-Marguerite, e datata al primo periodo imperiale (cig xiv 2427) :

uJpe;r th`~ swthr(iva~)M(avrkou) ∆Ioulivou Livguo~,ejpitrovpw/ Kaivs(aro~),∆Agaqoklh`~dou`lo~eujc(h;n) . ajpev(dwke). Paniv.pro saluteM(arci) . Iulii Ligurisproc(uratoris) Aug(usti)Agathocles[— — — —]

Ciò che però è una caratteristica costante è che il testo greco e quello dell’altra lingua, quasi sempre latino, non sono mai traduzione l’uno dell’altro, ma l’uno è una rielaborazione più o meno libera dell’altro, anche quando le iscrizioni sono brevi, a volte a tal punto che i due testi sembrano concepiti come testi autonomi l’uno rispetto all’altro. Si prenda per esempio la seguente, ig xiv 2480, proveniente da Avennio, l’odierna Avignone, e datata ad epoca anteriore al primo secolo d.C :

Ouja`lo~ ▶ Ga[b]ivnio~cai`reVaalus Ga in[ius]heic ▶ situs ▶ est

La versione latina del lato A, il cui testo è davvero molto semplice e che potrebbe essere stato reso con un altrettanto semplice *Vaalus Gabinius uale/salue, dice invece al passante che il corpo di Vaalo Gabinio è stato deposto in quel luogo e ivi giace.

Altrettanto interessante è anche la seguente, ig xiv 2482, sempre di provenienza dalla Gallia Narbonense (dall’antica Vasio, cioè l’odierna Vaison-la-Romain), ma non datata :

eijqunth`ri tuvch~Bhvlw/Xevxsto~ qevto bwmovn,tw`n ejn ∆Apameiva/mnhsavmeno~logivwnBeliusfortunae rector

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mentisque magisterara gaudebitquam deditet uoluit

In un caso come questo è difficile pensare che la redazione in una delle due lingue sia servita da modello all’altra. Il contenuto è solo in parte simile : spicca soprat-tutto la differenza nella rappresentazione attiva della figura di Belio del testo la-tino rispetto alla figura di persona a cui è dedicato l’altare (bwmovn corrisponde ad ara, ovviamente, e al sintagma greco eijqunth`ri tuvch~ corrisponde quello latino fortunae rector) da parte di Sesto (Xevxsto~), un’informazione che compare solo nella redazione greca, insieme con la menzione dei lovgia, ovvero gli oracoli, ri-cevuti in Apamea. E dunque tw`n ejn ∆Apameiva/ mnhsavmeno~ logivwn e ara gaudebit quam dedit et voluit si rivelano piuttosto lontane nella forma e in parte anche nel contenuto. Si noti ancora che la grafia Xevxsto~ mostra un tratto tipico della scrit-tura latina nell’impiego della sequenza -xs-, spia che il lapicida era abituato alla scrittura latina e che forse la redazione latina è quella originale, posto che in casi come questo abbia senso di parlare di una redazione originale. Si tratterà piutto-sto di due redazioni diverse per destinatari diversi e con finalità diverse.

Ancora interesse riveste l’iscrizione ig xiv 2472, proveniente dall’antica Arelate, l’odierna Arles, non datata, nella quale il testo, tutto in latino, contiene solo l’ul-tima parola in greco : eujplovi, che peraltro dovrebbe essere eujplovei : “fa’ un buon viaggio” (con evidente monottongazione tarda di <ei> in <i> [i :]). Sarà solo da notare che l’imperativo appartiene a un verbo, eujploevw, documentato solo in autori di epoca post-classica e che l’onomastica dell’iscrizione rimanda a forme di chiara origine greca come Quinto Aristio Cresimo, Ateria Chreste e Aristia Hel-pis, segno di uno stretto rapporto se non di mescolanza col mondo greco.

7.

Come si è accennato sopra, alle iscrizioni bilingui, va dedicata un’attenzione par-ticolare : bilingui saranno da considerarsi esclusivamente quelle che recano testi in due lingue, una delle quali il greco. Non saranno da considerare bilingui, ov-viamente, quelle iscrizioni che utilizzano il greco solo come lingua che fornisce l’alfabeto ma sono redatte in lingue diverse da esso. Iscrizioni simili possono aiu-tarci a comprendere quanto il greco fosse stato lingua di prestigio e avesse avuto probabile varietà utilizzata nel repertorio dei parlanti di una certa area, ma non garantisce della presenza effettiva di comunità grecofone, soprattutto per le epo-che più distanti dal momento della fondazione delle colonie. Da questo punto di vista, una sicura mappatura della distribuzione del greco in occidente richiede ancora parecchie ricerche di dettaglio. Diversa valutazione invece spetterà a quel-le iscrizioni, come ig xiv 2472, menzionato qualche riga sopra, in cui non basta la presenza di una sola parola (eujplovi) a far classificare l’iscrizione come bilingue a pieno titolo. In casi simili, tuttavia, dato il contesto e dato il verbo utilizzato si può pensare che chi faceva redigere l’iscrizione avesse una buona competenza di greco, e fosse eventualmente grecofono L2.

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Fra le iscrizioni bilingui una posizione speciale occupano quelle in cui accanto al greco compare il gallico. Nell’iscrizione seg 16 :626a, trovata a Calissane (Saint-Chamas, Bouche-du-Rhône) e databile al secondo-primo secolo avanti Cristo, il testo è sicuramente in gallico ma redatto in alfabeto greco, come prevedibile (si vedano Ferrara 2014 e Lambert 2007) :

bratou | [—]poreix Iougilliako~ dede Beleino.‘Con animo grato [—]porix Iugilliaco diede a Velino’.

L’iscrizione si presta a qualche osservazione interessante. Innanzitutto, secondo l’ormai celeberrima intuizione di Szemerényi, bratou e dede sono traducibili con “diede con animo grato” (congruenti con l’equivalente latino grato [animo] dedit), quasi universalmente accettata (ha ribadito con forza il rifiuto per questa spiega-zione Pierres-Yves Lambert 2007, 832, mentre riesamina il dossier Mullen 2011, 232-237, che non cita però i lavori di Lambert), troviamo che il soggetto è un tale [—]poreix Iougilliako~, in cui si noterà la parte finale del probabile composto con -reix, equivalente al latino -rı ¯x “re”, simile all’iscrizione seg 33 : 822(1), trova-ta presso Cabellio, l’odierna Cavaillon e non datata, in cui compare la sequenza [— —] porei, e per la quale si sono proposte le integrazioni Oueporeix oppure Ateporeix.

Iscrizioni come quella appena citata sollevano numerosi problemi inquadrabili nella prospettiva della ecologia linguistica cui si è fatto cenno sopra.

Sono in particolare due le lingue con le quali il greco si trova a confrontarsi nell’ecologia linguistica dell’Europa antica ad occidente : il latino e il celtico, in particolare nella varietà del gallico (sull’argomento si vedano le recenti sintesi in Lambert 2007 e Roma 2014). Ovviamente il rapporto tra greco e queste due lingue è molto diverso : se nel caso del latino il greco, a parte situazioni più tipica-mente inquadrabili nella problematica delle lingue in contatto, esercita il ruolo di lingua di superstrato, nel caso del celtico, e del gallico in particolare, il rapporto, nonostante le apparenze, sembra configurarsi diversamente (come sottolineato efficacemente da Mullen 2011).

Tutto ciò, ovviamente, è il riflesso della questione, assai complessa e più gene-rale, a mio parere ancora parecchio problematica, del rapporto fra i Greci e le po-polazioni celtiche che si trovavano nei territori della prima colonizzazione greca. Un rapporto che in anni recenti è stato studiato soprattutto per l’area gallica, per la quale dunque disponiamo di dati migliori per valutare adeguatamente la situa-zione (solo qualche cenno in Dröge 1989). Alcuni documenti trovati nell’attuale Francia, e precisamente a Saint-Germain-Source-Seine 1 (rig 271 Saint-Germain Source Seine) si rivelano interessanti perché documentano quel plurilinguismo

1 Credo sia necessario precisare che il comune di Saint-Germain-Source-Seine, situato nel cantone di Venarey-les-Laumes, nel dipartimento della Côte-d’Or, in Borgogna, e così chiamato perché vi si trovano le sorgenti della Senna, è stato ufficialmente cancellato come comune autonomo a partire dal primo gennaio 2009 (al momento della sua cancellazione contava 26 abitanti) ed è stato accorpato al comune di Blessey. Insieme i due comuni formano ora il nuovo comune di Source-Seine.

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che dovette interessare la Gallia, in particolare nel momento in cui il latino comin-ciò a imporsi sul reco, fino a sostituirlo. Da questo punto di vista una iscrizione come la citata RIG 271 (si veda Dröge 1989) è paradigmatica per la sua caratteri-stica di avere parte del testo in latino in alfabeto latino, parte in gallico in alfabeto greco con la chiusa corrispondente a Dagolitus fecit.

ARESE

QUANIARIOSIOVRVS

LUCIONERTECOMADAGOLITOUS AUOWUT

Ma non mancano casi analoghi, in cui greco e latino compaiono in iscrizioni bilin-gui come quella riportata qui di seguito, ampiamente mutila ma sufficientemente stereotipata da risultare relativamente chiara.irc (Inscriptions romaines de Catalogne) iii 15, lamina 13 (i sec. a.C. ?)

[Isi ? Sera]pi aedem [simulacr]a porticus[Numas N]umeni f(ilius)[Alexandri]nus[deuot]us faciu[ndum cur(auit)]

[Ei[sidi S]aravpi: [nao;n cov]aºna: [sto]a≥;n≥ Nou`ma~: [Noume]nivou ∆A≥le:[xan]dreu;~:[eujs]e≥be;~ ejpovei

8.

Come si è detto, sul rapporto tra greco e lingue celtiche ci sono ancora parecchi punti da approfondire ; un discorso che merita un approfondimento che mi ripro-metto di fare in altra sede. Un punto però mi pare sia interessante e meriti almeno un cenno rapido. In tutte le lingue celtiche (nelle due lingue più significative dei due rami del celtico insulare irl. duine, gall. dyn) alla base della parola per ‘uomo, essere umano’ c’è una forma sovrapponibile alla forma greca cqovnio~ ‘terreno, appartenente alla terra’, da una forma proto-celtica *gdonyo- (Matasovic 2009, 156, da un proto-indeuropeo *dhg ˆhomyo- ; è curioso che Matasovic citi come termine imparentato il latino humus ma non il greco né cqwvn né cqovnio~). Ciò che carat-terizza il greco e il celtico, e costituirebbe una curiosa isoglossa (delle isoglosse greco-celtiche ho già auspicato altrove un riesame), è il fatto che l’originario tema in nasale bilabiale passi a nasale alveolo-dentale. Tale sviluppo, regolare in greco in Auslaut, sarebbe poi passato nella flessione dell’aggettivo (una spiegazione tra-dizionalmente accettata nei dizionari etimologici e nelle grammatiche storiche). È certo interessante osservare che un simile sviluppo, molto peculiare, sarebbe avvenuto indipendentemente anche in celtico. Tuttavia, se è un fatto frequente che una nasale bilabiale in Auslaut si delabializzi, è singolare che anche in celtico la nasale alvelo-dentale passi nel paradigma flessivo dell’aggettivo, un caso di cui non sono riuscito a trovare paralleli. A mio parere, la eventuale relazione tra i

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derivati del tema *gdonyo- 1 e il greco cqovnio~ meriterebbe di essere approfondita : che il greco vi abbia esercitato un’influenza maggiore di quanto supposto è ipote-si tutt’altro che improbabile.

L’esito della forma *gdonyo- è documentato, per la fase continentale, già in gallico, nel composto traslitterato come TeuocTonio che compare nell’iscrizione di Vercelli nel sintagma aTom≥ TeuocTonio ‘il confine degli dei e degli uomini’ (la lettura aTom≥ , come si vede, non è peraltro sicura). Come è noto, l’iscrizione di Vercelli, una bilingue latino-gallica trovata nella Gallia cisalpina (su cui si veda l’essenziale scheda di Motta 2006), contiene il composto teuoxtonion, per il quale il leia al lemma duine propone la seguente trascrizione fonologica /deuoxdonion/ e aggiunge : “associant l’adj. *deiwo ‘divin’ et l’adj. gdonio- ou xdonio- ‘humain’ ; et signifiant ‘commun aux dieux et aux hommes’” (leia : D-218). Non c’è dubbio che il composto in questione sia piuttosto trasparente, se si guarda agli elementi che lo compongono. Tuttavia, a un’analisi più attenta non sono pochi i problemi che esso solleva. Innanzitutto, la traduzione “commun aux dieux at aux hommes” traduce letteralmente il testo latino communem deis et hominibus, che rappresenta la redazione di base (Motta 2006, 1731), suona più come una parafrasi che come una reale traduzione. Infatti la struttura della parola, che pare quella tipica di un composto copulativo, di tipo dvandva, induce a qualche riflessione, sulla quale intendo tornare in altra sede : per esempio, nel composto copulativo tipico, i due termini quasi sempre si riferiscono a una entità terza che costituisce un elemento nuovo rispetto alla somma dei due formanti del composto. Nel caso di TeuocTonio il rapporto tra i due mi pare differente e problematico.

Se dunque fosse corretto quanto si è fin qui osservato, allora se ne potrebbe dedurre che il greco avesse esercitato, in qualche caso particolare e fin da epoca arcaica, un’influenza profonda in qualche settore del lessico.

9.

Come si è già detto, una equilibrata disamina della diffusione del greco nell’Eu-ropa occidentale, che comprenda non solo una mappatura della sua diffusione ma anche una valutazione in termini squisitamente sociolinguistici resta in buo-na parte da fare. Se a ciò si aggiunge una analisi che tenga conto anche delle va-lenze identitarie che l’uso del greco intrinsecamente denotava, il lavoro da fare è ancora più complesso. La distinzione tra presenza di alfabeto greco e presenza di lingua greca torna senz’altro utile, come si è cercato di mostrare, per capire che è necessaria qualche correzione all’idea che si è imposta nei decenni passati, e cioè che il greco sia sempre stato solo una lingua di superstrato, e che non sia mai davvero penetrata fino a raggiungere gli strati socialmente più bassi delle popolazioni già presenti sul territorio fin dal momento della prima colonizza-zione greca. Nulla insomma che possa essere paragonabile a quanto è avvenuto per la diffusione del latino. Lingua e alfabeto greci hanno avuto destini diffenti anche se non disgiunti. Se si cercasse una sintesi che dia conto dei risultati della

1 A mio parere alla tradizionale notazione *gdonyo- è preferibile *gdonjo-.

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disamina qui tentata, si potrebbe dire che mentre il greco è stato ed è rimasto per lungo tempo lingua di superstrato, la diffusione dell’alfabeto greco, nelle sue differenti varietà, documenta che esso deve essere stato anche strumento veicolare della lingua a un più ampio spettro sociale, soprattutto in epoca meno recente, anche se, per l’appunto, il latino ne ha poi di fatto completamente sop-piantato la presenza.

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Abstract

The Greek language in Western Europe started spreading after Greeks founded their colo-nies in Gallia and Spain in the viith c. BC. Documents that witness such a spread are almost exclusively inscriptions, dating back from vii BC untill V c. AD and in some case even

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later, by means of which Greeks tried to re-adfirm their identity. Parallel to the history of the Greek language is the fate of the Greek alphabet, which was adopted by the Celts and employed to write inscriptions in Gaulish. Examining the oldest inscriptions it can be assumed that some peculiarities of Gaulish could be due to Greek.

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