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VENERDÌ | 101 100 | VENERDÌ storie IL COLORE DEI SOGNI Che cosa spinse il re dei graffiti a realizzare un murale nella città della Torre? E perché poco prima di morire ricordò nei suoi «Diari» proprio quell’esperienza? Mentre il suo happening rivive in un video, ecco la vera storia del miracolo di piazza dei Miracoli Città d’arte Keith Haring a Pisa dipinge il murale «Tuttomondo». Sopra, il nuovo libro che ricorda l’evento Il giorno in cui Keith Haring vide a Pisa il Paradiso Il giorno in cui Keith Haring vide a Pisa il Paradiso di Antonella Barina fotografie di Antonio Bardelli e Cippi Pitschen

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VENERDÌ | 101100 | VENERDÌ

storieIL COLORE DEI SOGNI

Che cosa spinse il re dei graffitia realizzareun murale nella città della Torre? E perché pocoprima di morirericordò nei suoi«Diari» proprioquell’esperienza?Mentre il suohappeningrivive in un video,ecco la vera storia del miracolo di piazza dei Miracoli

Città d’arteKeith Haring a Pisadipinge il murale«Tuttomondo».Sopra, il nuovo libroche ricorda l’evento

Il giorno in cui Keith Haring vide a Pisa il ParadisoIl giorno in cui Keith Haring vide a Pisa il Paradiso

di Antonella Barinafotografie di Antonio Bardelli e Cippi Pitschen

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Sabato 17 giugno 1989: a Pisa fuuna giornata irripetibile. La follacresceva intorno al convento di

Sant’Antonio: autorità cittadine, pisa-ni d’ogni età, tanti ragazzi venuti dafuori, dall’estero perfino. Tutti col na-so per aria a fissare un uomo gracileche, in cima a un’impalcatura, dipin-geva l’immensa parete del conventodei frati: 180 metri quadrati che luiriempiva di figurine stilizzate e vario-pinte, muovendosi veloce al ritmodella musica a tutto volume, mentrela gente ai suoi piedi cantava e balla-

va. Lui era lì da quattro giorni in un’e-scalation di suoni e colori. E ogni tan-to si fermava, scendeva giù e, pazien-te, firmava mille autografi su jeans eT-shirt, interrompendo solo per pren-dere una medicina. Sapeva di esseremalato e scriveva nel diario: «Penso diessere felice solo circondato da tuttaquesta follia». Quando infine, quel sa-bato, firmò il gigantesco murale, dalpubblico salì un’ovazione.

Otto mesi dopo, Keith Haring, ge-niale protagonista del graffitismonewyorkese Anni ’80, pupillo di Andy

Warhol, quotato e copiato, morì a 31anni di Aids. Quel murale sulla paretedella Chiesa di Sant’Antonio fu l’ulti-ma opera pubblica della sua vita, unasorta di testamento artistico: si chia-ma Tuttomondo, ha per tema la pace,l’armonia. Tutte le guide turistiche diPisa lo segnalano, accanto amma Tor-re e a piazza dei Miracoli. E oggi lacittà ricorda i giorni in cui fu dipintocon una mostra fotografica alla Stazio-ne Leopolda (apre domani). Ma anchecon un video (prodotto da Interferen-ze) e un libro: Keith Haring a Pisa, cro-

naca di un murales, introdotto daOmar Calabrese (Edizioni Ets, 18 euro,www.edizioniets.com/haring).

Tre modi diversi per ricordare un pic-colo miracolo di provincia. Un miracoloper come è avvenuto. In modo del tuttocasuale, con protagonisti imprevedi-bili: uno studente audace, un parrocoottimista, un rivenditore di vernici... Eun artista che era nato con la pitturafuorilegge nei corridoi del metrò, cheera svettato sempre più su fino a en-trare nello starsystem di New York, eche prima di morire è tornato a fi-

Sinfonia d’autoreQuattro giornidi pitturaveloce, a suondi musica, per 180 metriquadrati di murale. Con l’aiuto dei pisani, chegli preparanoi colori

storie I Il colore dei sogni

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E anche il cielo sta a guardareIn senso orario: Haringcon alcune fan in abitotalare; davanti allaparete della chiesa con il suo murale; e mentre balla con PiergiorgioCastellani, il giovaneche organizzò la sua venuta a Pisa

sei mai stato”: non bisogna temere lenovità». Questi frati illuminati offriro-no una parete della loro chiesa a unartista dichiaratamente ateo, omoses-suale, propenso a ogni eccesso. Si fi-darono. Quando in seguito arrivò aPisa, Haring cenò con loro: «Sussurròche Dio era per lui un lontano ricordod’infanzia», continua frate Luciano.«Ma poi chiese di esser lasciato solo inchiesa: vi rimase a lungo, nella semio-scurità...». Di fatto, tutti si entusia-smavano al «progetto Haring», ideatoda Piergiorgio e papà: anche il riven-ditore locale della Caparol (ditta tede-sca di vernici), Massimo Guerrucci.«Proprio quando sembrava che tuttoandasse a monte, perché l’intonacodel convento era divorato dall’umi-dità, Guerrucci si offrì di risanare laparete», ricorda Piergiorgio. «E dimettere a disposizione dell’artistavernici e impalcature. Senza chiedereun soldo. Evviva. Inviai a Haring l’en-nesimo fax e lui, felice, disegnò il logodel progetto: un omino che regge laTorre di Pisa».

Infine Haring arrivò. Quel logo eradappertutto: intorno al convento, sulleT-shirt e le auto dei fan... Lui passò ilprimo giorno a scoprire Pisa, osser-varne le forme, i colori, su una car-rozzella a cavallo, armato di Polaroid.Poi iniziò a dipingere di getto, senzaun bozzetto, dall’alba al tramonto,divorando pizza sui ponteggi. E Pisafu travolta da quell’happening.

Dipinse i simboli della lotta del be-ne contro il male, lui che stava permorire. In colori pastello, lui cheamava i toni accecanti. Per un ultimogesto d’umiltà. Per rispettare il cro-matismo di Pisa. «A leggere i suoi Dia-ri, poi pubblicati da Mondadori, siscopre che stava realizzando un so-gno», dice Piergiorgio. «Tornare a di-pingere per la gente, dopo essere sta-to assorbito dal mercato. Nel centrostorico di una città d’arte, dopo che lamalattia lo aveva spinto a privilegiareciò che è essenziale nella vita».

Nei Diari si legge: «Sto seduto suun balcone a guardare la cima dellaTorre Pendente. È davvero molto bel-lo qui. Se c’è un paradiso, spero cheassomigli a questo».

darsi dell’uomo della strada.Questa storia inizia nell’88, quando

Piergiorgio Castellani, ventenne di Pi-sa, accompagna il padre in un viaggiodi lavoro a New York. È una domenicamattina, per strada suonano gli HareKrishna e ad ascoltare c’è un giovanedalla faccia buffa, inconfondibile:Piergiorgio ha appena letto un librosu di lui. «Ma tu sei Keith Haring?».«Sì». «Perché non vieni a dipingere inItalia? «Parliamone. Domani però, nelmio studio: qui fa freddo».

«Eravamo dei signor nessuno, del tut-to estranei al mondo dell’arte: in fami-glia produciamo vino», racconta oggiPiergiorgio. «Eppure l’indomani io emio padre andammo da lui a propor-ci come intermediari per un grandemurale a Pisa. Le pareti del suo lofterano ricoperte di tele dove stava di-pingendo la storia di uno scheletro edi un fiore. Accettò: “Se i pisani ap-provano, vengo: amo l’Italia”. Non cidomandò chi eravamo. Non chiese

soldi. Lui che aveva sempre teorizza-to un’arte deperibile come le mercidella società industriale, voleva soloche quel murale rimanesse per sem-pre. Forse perché sapeva di esseremalato. Così, tornati a Pisa, ne par-lammo con l’assessore alla Cultura,Lorenzo Bani: anche lui, sorprenden-temente, disse subito di sì. E convin-se Comune e Provincia. Ora si tratta-va di trovare una parete adatta: lacercammo in periferia, nella culla delgraffitismo. La trovammo in pienocentro, tra la stazione dei treni equella dei bus».

Apparteneva al convento diSant’Antonio. «Non avevo idea di chifosse Haring», racconta oggi frate Lu-ciano Masetti, il parroco. «Ma quandovennero a propormi un suo dipintosulla chiesa, mi incuriosii: da missio-nario in Brasile, avevo amato i mura-les dei ragazzi di strada. E mi fidai:“Quel che non hai mai visto”, dice unproverbio africano, “lo trovi dove non ANTONELLA BARINA�

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