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Nel numero della rivista di marzo si è voluto affrontare un tema un po’ particolare come la salute di genere, un tema che rientra nelle priorità dell’OMS. Il concetto di genere nasce dalla sociologia e, solo più recentemente, è entrato nel linguaggio dei biologi. Per questo, il giornale apre con un articolo della Prof. Biancheri dell’U- niversità di Pisa che, dopo una parte generale, si dedica a precisare la definizione di “genere” ed illustrar- ne le sue complesse valenze sulla salute. L’equità di genere, di cui tanto si discute, ci ha spinto ad inda- gare sulla nostra Società sia in ter- mini d’iscritti che in termini di rap- presentanza nel Consiglio Direttivo. Inoltre, tali dati sono stati confron- tati con quelli della Società italiana di Tossicologia (SITOX) e della Società Italiana di Chemioterapia (SIC). Infine, per quanto riguarda gli iscritti, ci siamo confrontati anche con altre società internazio- nali e, per qualche aspetto, i risulta- ti sono stati sorprendenti. È stato affrontato poi un tema un po’ inu- suale, ma certamente di grande rile- vanza, come il complesso rapporto delle donne con il cibo sia come dispensatrici che in termini di mal- nutrizione (Prof. S. Hrelia). Il gior- nale poi prosegue con due argomen- ti più congeniali a noi farmacologi: l’esposizione agli xenobiotici in gra- vidanza, dettagliatamente affrontato dal Prof. Cuomo e dalla Dott. Traba- ce, ed alcune delle tematiche di genere relative alle tossicodipenden- ze (Prof. Masini e Dott. Occupati). Non mi rimane che ringraziare i let- tori per l’attenzione che sempre ci hanno dimostrato ed augurare una buona lettura. Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO III n. 13 – marzo 2008 Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2° Il giornale Flavia Franconi Quaderni della SIF (2008) vol. 13 - 1 Il giornale 1 F. Franconi Il genere e la salute R. Biancheri 1 Xenobiotici in utero e sviluppo L. Trabace, V. Cuomo 13 Genere e tossicodipendenze: non solo alcol E. Masini, B. Occupati 15 L’altra metà del cielo ed il cibo S. Hrelia 18 SIF e Genere F. Franconi, I. Ceserani, M.E. Scamoni 20 Un’iniziativa del Prof. Cantelli “Donna, Società e Università” G. Cantelli Forti 23 Il genere e la salute Rita Biancheri 1. Dall’approccio biomedico alla sociologia della salute Come è noto, la salute era stata concepita dal paradigma bio- medico come assenza di malattia ed è rimasta confinata a lungo all’interno della medicina, in quanto il riferimento interpreta- tivo principale era la sfera orga- nica. Questa egemonia ha esclu- so la valutazione di elementi “esterni”, come fattori concor- renti alla creazione di uno stato patologico, facendo prevalere una tesi esclusivamente biologi- stica e, quindi, un approccio riduzionista e medico-centrico. Infatti, nelle società occidentali il termine salute, negli ultimi due secoli, ha riguardato prevalente-

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Nel numero della rivista di marzo siè voluto affrontare un tema un po’particolare come la salute di genere,un tema che rientra nelle prioritàdell’OMS. Il concetto di genere nasce dallasociologia e, solo più recentemente,è entrato nel linguaggio dei biologi.Per questo, il giornale apre con unarticolo della Prof. Biancheri dell’U-niversità di Pisa che, dopo una partegenerale, si dedica a precisare ladefinizione di “genere” ed illustrar-ne le sue complesse valenze sullasalute. L’equità di genere, di cuitanto si discute, ci ha spinto ad inda-gare sulla nostra Società sia in ter-mini d’iscritti che in termini di rap-presentanza nel Consiglio Direttivo.Inoltre, tali dati sono stati confron-tati con quelli della Società italianadi Tossicologia (SITOX) e dellaSocietà Italiana di Chemioterapia

(SIC). Infine, per quanto riguardagli iscritti, ci siamo confrontatianche con altre società internazio-nali e, per qualche aspetto, i risulta-ti sono stati sorprendenti. È statoaffrontato poi un tema un po’ inu-suale, ma certamente di grande rile-vanza, come il complesso rapportodelle donne con il cibo sia comedispensatrici che in termini di mal-nutrizione (Prof. S. Hrelia). Il gior-nale poi prosegue con due argomen-ti più congeniali a noi farmacologi:l’esposizione agli xenobiotici in gra-vidanza, dettagliatamente affrontatodal Prof. Cuomo e dalla Dott. Traba-ce, ed alcune delle tematiche digenere relative alle tossicodipenden-ze (Prof. Masini e Dott. Occupati).Non mi rimane che ringraziare i let-tori per l’attenzione che sempre cihanno dimostrato ed augurare unabuona lettura.

Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO III n. 13 – marzo 2008

Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2°

Il giornaleFlavia Franconi

Quaderni della SIF (2008) vol. 13 - 1

Il giornale 1F. Franconi

Il genere e la saluteR. Biancheri 1

Xenobiotici in utero e sviluppo L. Trabace, V. Cuomo 13

Genere e tossicodipendenze:non solo alcolE. Masini, B. Occupati 15

L’altra metà del cielo ed il ciboS. Hrelia 18

SIF e GenereF. Franconi, I. Ceserani,M.E. Scamoni 20

Un’iniziativa del Prof. Cantelli “Donna, Società e Università”G. Cantelli Forti 23

Il genere e la saluteRita Biancheri

1. Dall’approccio biomedicoalla sociologia della salute

Come è noto, la salute era stataconcepita dal paradigma bio-medico come assenza di malattiaed è rimasta confinata a lungo

all’interno della medicina, inquanto il riferimento interpreta-tivo principale era la sfera orga-nica. Questa egemonia ha esclu-so la valutazione di elementi“esterni”, come fattori concor-renti alla creazione di uno stato

patologico, facendo prevalereuna tesi esclusivamente biologi-stica e, quindi, un approccioriduzionista e medico-centrico.Infatti, nelle società occidentali iltermine salute, negli ultimi duesecoli, ha riguardato prevalente-

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mente lo stato fisico del corpo,riflettendo il dualismo dell’epocamoderna tra mente/corpo, ideali-smo/materialismo, natura/cultu-ra. Soltanto con i primi studi dimedicina sociale - riguardanti ladiffusione di malattie infettive,favorite dalle precarie condizioniabitative, lavorative e igienichein cui viveva la popolazionedurante la rivoluzione industria-le - si inizia a prendere in consi-derazione la malattia come ilrisultato dell’interazione tra fat-tori interni ed ambientali. Infatti,come documenta anche Engels,le prime fasi dell’industrializza-zione e urbanizzazione furonoaccompagnate da una scarsa igie-ne per cui all’inizio del secolo ilrischio di morte nelle città erasuperiore del 25% rispetto allecampagne, successivamente que-sta disparità fu ridotta notevol-mente. Ne consegue che le aspet-tative di vita crescano in modosignificativo passando dai 35-37anni del XVIII secolo, ai 54 annidel secolo successivo. La scoper-ta di Pasteur sull’origine micro-bica delle malattie infettive e losviluppo della sterilizzazione dellatte portarono anche notevolimiglioramenti delle possibilità disopravvivenza dei bambini. Assie-me a questa importante conqui-sta, inizia a farsi strada l’idea chei pericoli per la salute non derivi-no solo da germi e batteri checolpiscono il corpo, ma anche daicomportamenti degli individui edai fattori socio economici. Ladiffusione della medicina sociale,la capacità di alcuni medici disensibilizzare anche gli uominidi Stato, portarono al supera-mento del concetto di povertàmeritevole e non, quest’ultimavista come disordine morale apartire dalle madri non sposate.Si iniziò, con la politica dellasanità fisica delle madri, adattuare programmi di assistenzasociale e di protezione dell’infan-zia. Si diffusero la puericultura, isussidi e gli aiuti anche alleragazze madri contro il parere

della Chiesa che vedeva in essi unpremio all’immoralità (Barbagli& Kertzer, 2003). Durante tuttol’Ottocento diventa rilevante ilcontributo di altri studiosi qualiRobert Koch, Claude Bernard eRudolf Virchow che imprimonouna vera e propria svolta nelladirezione dell’immunologia. Gliesperimenti fatti in laboratorio el’identificazione di importantiagenti patogeni sostengono laconvinzione che ad ogni malattiasi possa associare una causa pre-cisa. In questa direzione, però, sitendono a privilegiare le cause ditipo biologico e a sottovalutare lecondizioni ambientali.Come ha sottolineato Foucault,la medicina moderna ha fissato lasua data di nascita alla fine delXVIII secolo descrivendo quelloche in precedenza “era rimasto aldi sotto della soglia del visibile edell’enunciabile; non che si sianorimessi a percepire dopo avertroppo a lungo speculato, o adascoltare le ragioni più che l’im-maginazione; in realtà il rappor-to tra il visibile e l’invisibile,necessario ad ogni sapere con-creto, ha cambiato struttura e hafatto apparire sotto lo sguardo enel linguaggio ciò che era al diqua e al di là del dominio. Unanuova alleanza s’è stretta tra leparole e le cose, che ha fattovedere e dire, talora in un discor-so così effettivamente “ingenuo”che pare situarsi ad un livello piùarcaico di razionalità, come se sitrattasse di un ritorno ad unosguardo infine mattutino.”Per la medicina moderna, dun-que, “vedere” non deve essere piùinteso come in Cartesio “percepi-re”, ma “consiste nel lasciareall’esperienza la più grande opa-cità corporea; il solido, l’oscuro,la densità delle cose rinchiuse inloro stesse hanno poteri di veritàche non traggono dalla luce, madalla lentezza dello sguardo chele percorre, le contorna e lepenetra a poco a poco, non por-tando a loro mai altro che la lorochiarezza. La permanenza della

verità nel nucleo cupo delle coseè paradossalmente legata a que-sto potere sovrano dello sguardoempirico che mette in luce laloro notte”. Il discorso razionale si fondameno sulla geometria della luceche sullo spessore insistente,insuperabile dell’oggetto: nellasua presenza, oscura ma prelimi-nare ad ogni sapere, si manifesta-no la fonte, il dominio e il limitedell’esperienza. (Foucault 1969,pp. 6-8).Scrive Fontana: “La prima incri-natura nella medicina settecen-tesca delle classi, costruita sulmodello della botanica, con divi-sione delle malattie in famiglie,generi, specie. Non percorsa daalcuna temporalità (il tipico indi-viduale viene sempre ricondottoall’essenziale astratto) è prodottadalle malattie epidemiche”. Inuovi progetti si fondano così suuna pedagogia che intende affer-marsi sulla rovine delle vetustestrutture ospedaliere, ripudia ilsapere ossificato delle universitàe affida tutti i suoi poteri allosguardo e alla pratica. “Sapere,esperienza e probità” sono i trecriteri con cui, secondo Cabanis,si definirà il valore dei nuovimedici, il cui campo assistenzialeè ora definitivamente circoscrittoall’ospedale. Di pari passo, simodifica non tanto lo statutodelle malattie, quanto il modoper riconoscerle: sintomi e segni,in un nuovo spazio di visibilità,diventano i veri indici dellamalattia, e rimandano non più adessenze nosografiche, ma a seriedi eventi.” (Fontana 1969, pp.XXVII-XXVIII).Sostiene Parsone (1965, p. 438):“Tradizionalmente l’accentoprincipale è stato posto sul “trat-tamento” o sulla “terapia”, vale adire sul trattamento dei casi chehanno già sviluppato uno statopatologico, e sul tentativo direstituirli alla salute o alla nor-malità. Più di recente l’accento èstato posto sempre di più sulla“medicina preventiva”, vale a dire

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sul controllo delle condizioniche producono la malattia.” L’attenzione della medicina sisposta dalla cura alla prevenzio-ne, interpretata sia come azionefinalizzata alla rimozione dellecause ambientali che determina-no le patologie, sia come movi-mento di educazione e responsa-bilizzazione degli individui affin-ché adottino comportamentiadeguati per mantenere o guada-gnare un perfetto stato di salute(Buchi & Neresini 2003, p. 42).Se nelle società tradizionali erala famiglia che svolgeva tutti icompiti e provvedeva all’educa-zione e alla cura dei suoi mem-bri, successivamente è con lanascita dell’ospedale e dell’affer-marsi della medicina, come sape-re scientificamente organizzato,che si è trasferita la tutela dellasalute e la prevenzione dellamalattia a centri deputati a svol-gere questo importante ruolo.Ecco come descrive Illich (1977,pp. 176-177) questo passaggio:“man mano che l’interesse delmedico si spostava dal malato almale, l’ospedale diventava unmuseo della malattia”. I medicipresero a frequentare gli ospeda-li per esercitarsi a scoprire, nelguazzabuglio dei pazienti, più“casi” della medesima malattia,acquisivano “la visione del capez-zale, l’occhio clinico”. Durante iprimi decenni dell’800, l’atteg-giamento medico verso l’ospeda-le passò per una nuova fase. Finoallora la preparazione dei mediciavveniva soprattutto a mezzo dilezioni cattedratiche, dimostra-zioni e discussioni; ora il “capez-zale” diventa la clinica, il luogodove i futuri dottori venivanoaddestrati a osservare e ricono-scere le malattie. L’approccio cli-nico dette origine a un nuovolinguaggio che parlava di malat-tie in presenza dell’oggetto e adun ospedale riorganizzato e sud-diviso secondo le malattie permeglio mostrarle agli studenti.Dopo essere stato un luogo peresercitazioni diagnostiche, l’o-

spedale si tramutò così in un isti-tuto didattico. Presto sarebbediventato un laboratorio per lasperimentazione di cure e, al vol-gere del secolo, una sede di trat-tamento terapeutico.La scienza medica è, infatti, unadelle maggiori espressioni delleprofonde trasformazioni chehanno caratterizzato le societàoccidentali fra il XVIII e il XIXsecolo anche se, come moltiAutori sostengono, non è difficilerintracciare nelle diverse prati-che un importante intreccio diconoscenze, che anche se appaio-no come un’unica corda, inrealtà sono il risultato di stratifi-cazioni e non si tratta di sempli-ci residui marginali rispetto a uncorpus consolidato e coerente:“Così la nostra medicina, insie-me a ciò che chiamiamo salute emalattia, si trova continuamentea fare i conti con tradizioni, sape-ri e significati di cui abbiamomagari smarrito la memoria, mache per questo non sono menodecisivi nell’orientare scelte, nel-l’attivare comportamenti e solle-citare aspettative” (Buchi &Neresini, 2003 p. 22).Alla fine del XIX secolo prevaledecisamente un orientamentopositivista che vede la malattiacome un’alterazione organicache interviene sulla normalefisiologia alterandola e i sintomisono i principali segnali. Ilmodello adottato è quello dell’os-servazione e sulle basi dei princi-pi della fisica viene costruitol’approccio biomedico basatosulla separazione cartesiana tramente e corpo, sul dualismo sog-getto/oggetto, sull’utilizzo delmetodo analitico e quantitativocon una spiegazione prevalente-mente monocausale “che unisceciascuna manifestazione patolo-gica a specifiche lesioni organi-che.” (Buchi & Neresini, 2003 p.29). La nascita della clinica sirivela, infatti, anche nella tra-sformazione della domanda, fattadai medici ai loro pazienti, da“Che cosa ha” a “Dove ha male”,

in quanto i sintomi acquistanosignificato per la comprensionedella malattia. Un altro elementorilevante è lo spazio dato allaconoscenza individuale rispettoalle forme e alle descrizioni omo-loganti.Al cambiamento della considera-zione della malattia corrispondeuna diversa concezione dellafunzione dell’ospedale che diven-ta sempre di più lo spazio dedica-to allo studio della malattia e allasperimentazione diagnostica eterapeutica. Prima l’istituzioneospedaliera, che sorge a partiredal VI secolo, era gestita preva-lentemente da religiosi che svol-gevano principalmente funzionicaritatevoli e di soccorso per gliindigenti, ma anche a proteggeredal contagio e dal pericolo chepotevano rappresentare questepopolazioni miserabili e stigma-tizzate. Come ha ben evidenziatoFoucault l’ospedale garantiràuna funzione di asilo e di con-trollo della devianza, per cui,come molti Autori hanno soste-nuto, esso è un luogo artificialedove la malattia trapiantatarischia di perdere il suo voltoessenziale e, alterandone la natu-ra, si può renderla più difficil-mente leggibile.Infatti, per alcuni Autori comeDupont de Nemours, che scrive-va alla fine del XVIII secolo, “illuogo naturale della malattia è illuogo naturale della vita”, ovverola famiglia, dolcezza delle curespontanee, testimonianza d’affet-to, desiderio comune di guarigio-ne, tutto concorre ad aiutare lanatura contro il male - e non l’o-spedale inteso come spazializza-zione istituzionale della malattia.Invece, negli ospedali si praticauna spersonalizzazione delpaziente, la riduzione del malatoalla sua malattia e, dunque, allasua lesione organica a cui vienericondotta.Anche Illich (1977 p. 49) sostieneche il monopolio medico agiscequando “la cura della salute sitramuta in un articolo standar-

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dizzato, un prodotto industriale;quando ogni sofferenza viene“ospitalizzata” e le case diventa-no inospitali per le nascite, lemalattie e le morti, quando lalingua in cui la gente potrebbefar esperienza del proprio corpodiventa gergo burocratico; oquando il soffrire, il piangere e ilguarire al di fuori del ruolo delpaziente sono classificati comeuna forma di devianza.” Per questo Autore il concetto disalute è l’intensità con cui gliindividui riescono a tener testa ailoro stati interni e alle condizio-ni ambientali. “Di conseguenza,la salute tocca i suoi livelli otti-mali là dove l’ambiente generacapacità personale di far frontealla vita in modo autonomo eresponsabile. Il livello della salu-te non può che calare quando lasopravvivenza viene a dipendereoltre una certa misura dallaregolazione eteronoma (cioèdiretta dagli altri) dell’omeostasidell’organismo.” (Illich, 1977 p.13).La pratica medica non può, dun-que, essere ridotta esclusivamen-te alla scientificizzazione inquanto permane comunque unaspetto simbolico/espressivo.Infatti, come ammette ancheParsons, la considerazione dellamalattia come problema discienza applicata deve essereritenuta problematica.

1.1. La costruzione socialedella salute

A partire dagli anni Cinquanta lasociologia della salute trova unasua legittimazione come settoredi ricerca indipendente dall’ap-proccio bio-medico e un ampioconsenso all’interno della socio-logia da parte di molte scuole dipensiero. In precedenza l’attenzione versoi temi della malattia era statamolto debole in quanto la disci-plina risentiva dell’eredità diDurkheim che considerava lamalattia come dovuta alla con-

tingenza e al caso, da questoderivava un approccio biologisti-co a prevalenza del settore medi-co.Scrivono Carricaburu e Ménoret(2007 p. 8): “Significa rinunciarea un’analisi sociologica checostruisce il proprio oggetto distudio precisamente affrancan-dosi dalle definizioni dei profes-sionisti della salute. Gli sforzi dipiù generazioni di sociologi perfondare la loro disciplina comescienza hanno privato i loro stu-denti, fino agli anni Ottanta, diconoscenze sociologiche sostan-ziali e abbandonato la malattia ela salute a una letteratura il piùdelle volte individualizzante, senon psicologizzante, senza asso-lutamente tentare di mettere indiscussione l’egemonia delmodello medico.” Dobbiamo dunque chiederci se èutile, sul piano conoscitivo, unapproccio sociologico alla salute,poiché nell’ultimo decennio icorsi di medicina e quelli delleprofessioni mediche hanno vistoarricchirsi il loro percorso for-mativo di discipline appartenentia statuti epistemologici “diversi”.Come deve avvenire questa inte-grazione?Prima di tutto prendiamo la defi-nizione di salute che dà l’OMScome “uno stato di completobenessere fisico, mentale e socia-le” e inoltre, per dare una rispo-sta a questi interrogativi, èopportuno riferirsi alla Carta diOttawa che è stata emanata inoccasione della 1° ConferenzaInternazionale sulla promozionedella salute nell’ottobre del 1986.In questo documento ancoravalido nelle sue principali enun-ciazioni si legge: “la promozionedella salute è il processo chemette in grado le persone diaumentare il controllo sulla pro-pria salute e di migliorarla. Perraggiungere uno stato di pienobenessere fisico, mentale e socia-le, un individuo o un gruppodeve essere capace di identificaree realizzare le proprie aspirazio-

ni, di soddisfare i propri bisogni,di cambiare l’ambiente circo-stante e di farvi fronte.” È dun-que evidente che una simile defi-nizione di salute non può trascu-rare non solo gli aspetti psicolo-gici individuali, ma anche l’inte-razione del singolo con la societànei suoi differenti livelli e aspet-ti: dal lavoro alla famiglia, daltempo libero agli stili di vita.Sempre nello stesso documentosi legge che la salute è un con-cetto positivo che valorizza lerisorse personali e sociali, comepure le capacità fisiche, ed i suoiprerequisiti sono la pace, l’abita-zione, l’istruzione, il cibo, unreddito, un ecosistema stabile, lerisorse sostenibili, la giustiziasociale e l’equità. Fattori politici,economico-sociali, culturali,ambientali, comportamentali ebiologici possono favorire lasalute, ma possono anche dan-neggiarla. L’azione di promozio-ne della salute punta a renderefavorevoli queste condizioni tra-mite il sostegno alla causa dellasalute. Tra gli auspici, inoltre, sifocalizza l’obiettivo sull’equitànella salute come diritto di citta-dinanza e si sostiene che le per-sone non possono raggiungere illoro pieno potenziale di salute senon sono capaci di controllarequei fattori che determinano laloro salute. Ciò va applicato inegual misura agli uomini ed alledonne. Tenendo dunque in con-siderazione queste valutazioni,risulta chiaro che un sistema diwelfare che si avvale esclusiva-mente dell’assistenza sanitarianon può corrispondere a questiobiettivi di promozione dellasalute, ma è necessario unapproccio socio-ecologico chetenga conto delle diverse variabi-li che contribuiscono a determi-nare lo stato di benessere. Inquesto la comunità con le suerisorse umane, con la rete di soli-darietà formale e informale, conle sua capacità di controllo assu-me un valore rilevante. Ad essasono demandate le principali

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azioni di definire le priorità,assumere le decisioni, pianificaree realizzare le strategie che con-sentano di raggiungere unmiglior livello di salute. Anchel’informazione, la comunicazio-ne, la formazione e i processieducativi assumono un ruolorilevante per migliorare le cono-scenze individuali e le abilitànecessarie per la vita quotidianaed esercitare un maggior con-trollo sulla propria salute e suipropri ambienti.Infine, per riprogrammare i ser-vizi sanitari, si deve ricalibrare laloro attenzione sui bisogni com-plessivi dell’individuo visto nellasua interezza. Si devono quindigarantire non solo i servizi clini-ci e curativi, ma adottare unmandato più ampio che sia sensi-bile e rispettoso dei bisogni cul-turali. Infine si sostiene: le perso-ne che sono coinvolte dovrebbe-ro assumere come principioguida che, in ciascuna fase dellaprogettazione, realizzazione evalutazione delle attività di pro-mozione della salute, gli uominie le donne dovrebbero diventarepartners alla pari. Tale approccio allarga il concettodi salute includendo alcune delleprincipali critiche che eranostate mosse all’approccio domi-nante della professione medicache avevano espropriato l’indivi-duo del senso del proprio corpo edella salute. Scriveva Illich (1977p. 143) a questo proposito: “Tuttele culture tradizionali derivano laloro funzione igienica da questacapacità di dotare l’individuo deimezzi che gli permettono di tol-lerare il dolore, di comprenderel’infermità o la menomazione, edi dare un senso all’ombraincombente della morte. La curadella salute, in tali culture, èsempre un programma di regoleper mangiare, bere, lavorare,respirare, far l’amore, far politi-ca, far ginnastica, cantare, sogna-re, far la guerra, soffrire.”Dalla costruzione sociale dellamalattia dipende anche il signifi-

cato diverso che ha l’ammalarsi aseconda delle culture di apparte-nenza; non ci si ammala tutti allostesso modo in quanto diversicontesti di significato influenza-no la percezione di ciò che siconsidera malattia ed inoltrealcune patologie diventano visi-bili quando sono identificatecome tali. Ad esempio neglianziani la condizione di malato omeno dipende anche da fattoriquali l’essere attivi, autonomi el’avere un maggiore sostegnosociale. Dunque, uno stato sog-gettivo che non può essere misu-rato, quantificato o descritto, ma“compreso” attraverso la consi-derazione delle singole indivi-dualità e delle specificità legatealle storie di vita di ciascun atto-re sociale. A questo propositosono rilevanti le esperienze chemolti medici hanno avuto con unmodo differente di porsi di fronteal cancro da parte di alcunipazienti da cui sono emersecaratteristiche soggettive: fortesenso di autonomia, rapportiprofondi e significativi, esperien-za intensa del proprio corpo, unascelta profonda di vivere.Questa prospettiva introduce, diconseguenza, una duplice lettu-ra: quella soggettiva, cioè unarappresentazione cognitiva auto-percepita e autovalutata, e quellaoggettiva esterna della malattiacome non integrità organica. Èsu tali assunti che solo di recentesi sono introdotte più variabilinel concetto di salute, che nonpuò esaurirsi esclusivamente nel-l’assenza di malattia, e quindi iltermine stesso ha acquisito unapluralità di significati che ne ren-dono difficile la definizione stes-sa. Nella valutazione delle condi-zioni di salute è, pertanto, neces-sario tener presente anche i fatto-ri interpretativi di tipo soggettivoda cui deriva un cambiamento diruolo del soggetto in quanto daoggetto passivo di cure medichediventa attivo nella costruzionedel proprio benessere. Nell’ap-proccio scientifico/positivista tale

aspetto non può trovare ascoltoaccentuando così i limiti dellapratica medica, evidenziati anchedall’aumento di persone che sirivolgono a medicine cosiddettealternative. Oggi, infatti, ci tro-viamo di fronte ad una scienzamedica che è progredita propriograzie all’oggettività che peròentra in contatto con “realtàaltre” e quindi deve rivedere ipropri modelli epistemologici.Per spiegare l’attuale situazionesi può ricorrere a quanto soste-nuto da Prigogine e Stengers:“forse il sommarsi delle nostreintuizioni sul mondo circostantee sul mondo interiore è una dellecaratteristiche più convincentidella recente evoluzione scientifi-ca”. Cioè una nuova alleanza tramente e natura che superi il pre-cedente dualismo. Sulla conce-zione di salute in termini oggetti-vi e operativi si è andato co-struendo “un apparato specializ-zato di sanitarizzazione, domina-to dall’organizzazione e dallascienza medica, a cui si è aggiun-to, nel novecento, un più leggeroe frammentato, ma sempre piùampio insieme di istituzioni epratiche psicoterapeutiche.” (In-grosso, 1994 p. 9). Alcuni Autorisottolineano che “un tempo dellecure” è sempre esistito, ma erasvolto prevalentemente all’inter-no della famiglia ed erano ledonne ad occuparsene; solo inseguito allo spostamento nelpubblico delle pratiche riguar-danti la salute e alla professiona-lizzazione dell’intervento sanita-rio il sistema è diventato maschi-le e gerarchizzato (medici e infer-mieri; ginecologi e ostetricheetc.). Nel documento del III Sim-posio dell’International Networkfor a Science of Health svoltosi aSalsomaggiore (Parma) si legge:“la salute e la qualità della vitasono frutto del concorso diresponsabilità individuale, dell’a-zione collettiva e delle politichepubbliche” ed è quindi necessariofavorire stili di vita più sani:attraverso il miglioramento delle

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competenze personali, lo svilup-po di ambienti favorevoli allasalute e il miglioramento dei ser-vizi sociosanitari. Tra i punti piùsignificativi ricordiamo sintetica-mente che:

• nella società contempora-nea si esprimono una plu-ralità di modi di concepiree praticare la salute;

• essi trovano scarsa rispon-denza nelle organizzazionidelle istituzioni sanitarie enelle modalità di rapportoprevalenti tra professionistie utenti;

• la costruzione della saluteè frutto di un insieme diazioni e interventi che sicoordinano attraverso lostabilirsi di relazioni socia-li adeguate;

• in molti campi scientifici edisciplinari è in atto unarevisione delle tradizionalicontrapposizioni tra salutee malattia, corpo e mente,medico e paziente, indivi-duo e società, a favore diuna visione complementa-re, relazionale e processua-le delle differenze;

• il personale sanitario esociale occupa un ruolostrategico per il migliora-mento della qualità dellavita;

• le competenze delle comu-nità locali, che si esprimo-no attraverso il Terzo setto-re, costituiscono una risor-sa indispensabile nell’otticadi una costruzione socialedella salute, soprattutto seil loro coinvolgimento nonsi limita all’erogazione diservizi e all’assistenza masono coinvolti nel ruolo diprogettazione, educazionee promozione.

Inoltre, su questa prospettivasono stati individuate delle possi-bili linee strategiche: riorienta-mento dei sistemi sanitari nellaprospettiva di uno scenario eco-

logico della salute; attenzionealla relazionalità e alle interazio-ni significative fra gli individui eai processi di comunicazione(non si devono tenere in conside-razione solo criteri economici,ma bisogna far sì che l’equità siamantenuta al centro delle politi-che sociali e sanitarie); introdur-re negli ordinamenti didatticiuniversitari corsi che tematizzi-no la salute come questione cen-trale e sviluppino anche metodinon solo quantitativi ma anchequalitativi di ricerca; sviluppareprocessi di autoriflessione neiprofessionisti socio-sanitari; sup-portare da parte degli Enti localila formazione nelle organizzazio-ni di terzo settore. Gli approcciinterdisciplinari hanno aggiuntoconoscenze che si sono intreccia-te proficuamente, una sorta dicontaminazione dei saperi, chesuperano gli steccati tra scienzedella natura e scienze della cul-tura, ma hanno migliorato nonsolo la rappresentazione che si fadella salute ma anche gli inter-venti di progettazione e praticadella sua “produzione”. È neces-saria, quindi, una revisione ed uncambiamento significativo neimodi di pensare e praticare lasalute strettamente unito all’im-portanza di introdurre questiindicatori, come il genere, neipercorsi di ricerca, nell’analisi enell’applicazione dei risultati. Inaltri termini la salute individualee collettiva è la risultante nonsolo della qualità delle prestazio-ni sanitarie erogate, ma di uncomplesso di fattori sociali cheriguardano le istituzioni, le poli-tiche, la sfera relazionale oltrealla dimensione economica edambientale. L’OrganizzazioneMondiale della Sanità ha assuntoquesto punto di vista, di una eco-logia della salute, dove i processidi costruzione sociale trovanouno spazio e una considerazionepiù adeguata. La sociologia dellasalute assume dunque un suospecifico rilievo, identificando unproprio oggetto di studio, in

quanto chiamata a risponderenon solo sul piano organizzativodelle strutture sanitarie e delbisogno di servizi, ma anchedegli aspetti soggettivi, dei biso-gni sociali, delle condizioni divita come determinanti di salute.Prima l’approccio analitico cen-trato sulla sanità si caratterizza-va per elevato grado di struttura-zione dei luoghi sociali deputatialla cura, definizione rigida dellefigure professionali e delle loromansioni, enfatizzazione dell’og-gettività della malattia, separa-tezza delle istituzioni terapeuti-che, standardizzazione delle pre-stazioni, universalismo scientifi-co delle competenze specifiche,primato dell’intervento con fina-lità terapeutiche, comportando,di conseguenza, funzionalizza-zione del paziente alle logicheistituzionali e difficoltà organiz-zativa ad identificare momenti emodalità di cura al di fuori delricovero. L’approvazione della Riformasanitaria nel 1978, legge n° 833,implica, in seguito all’affermarsidi una nuova concezione di salu-te, un “riorientamento” dei servi-zi sanitari non soltanto in termi-ni organizzativi. Infatti, la com-ponente autopercettiva del pro-prio stato di benessere, il signifi-cato individuale attribuito aibisogni, come vengono espressied il modo di fruizione dei servi-zi diventano elementi essenziali.Ne deriva l’approccio centratosulla salute che mette al centro ilsoggetto, le interazioni fra i sin-goli e la collettività, la rete infor-male della famiglia, la comunità,considerando così il cittadinonon solo riduttivamente comeutente dei servizi, ma come per-sona. Si ha così la rimozionedelle barriere tra complesso sani-tario e soggettività, attraverso unpassaggio dalla terapia alla pre-venzione, una personalizzazionecrescente delle relazioni terapeu-tiche, l’esigenza di una maggioreflessibilità delle strutture e deiservizi ed una maggiore articola-

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zione territoriale aperta alla par-tecipazione.La letteratura più recente in que-sto settore, al fine di rendereeffettive queste indicazioni,amplia le funzioni delle politichesociali e degli elementi di inte-grazione - non solo tra disciplinema anche sul piano operativo edella programmazione dei servizi- che devono assumere un ruolorilevante non solo in termini dicontenimento dei processi dege-nerativi, ma soprattutto comeriferimenti per una costruzionein positivo dei processi di inclu-sione e qualità della vita diffusa(Ingrosso, 2006).“È chiaro che i corpi sonoinfluenzati dai processi sociali: lasalute, lo sviluppo dei bambini,lo sport forniscono prove inabbondanza di questo fatto. Ilmodo in cui il nostro corpo cre-sce e funziona dipende dalladistribuzione del cibo, dalle abi-tudini sessuali, dalle guerre, dallavoro, dal livello di urbanizza-zione, dall’istruzione e dallamedicina, per nominare soloalcuni dei più ovvi fattori diinfluenza.” (Connell, 2006).

2. Il genere nella salute

L’accesso alle cure presenta anco-ra delle diseguaglianze relativenon solo alle conoscenze più omeno efficaci del sistema sanita-rio, per cui l’accesso per le classipiù povere avviene in manieradifferenziata, “ma anche rispettoal livello socio-economico, all’i-struzione e al genere”, fattori checondizionano anche la valutazio-ne del sintomo che avviene conmaggiore ritardo, essendo troppospesso questi elementi esclusidalla valutazione del quadro cli-nico. Come abbiamo riassuntonei paragrafi precedenti, la pro-fessione medica è stata fortemen-te valorizzata, definita per il suouniversalismo e oggettivitàscientifica, ma esistono altri ele-menti e valori che bisogna ripen-sare, in maniera critica, per resti-

tuire agli utenti una diversa visi-bilità. Infatti, molti fattori con-corrono a definire lo “stato” disalute, dalle politiche ai pro-grammi, dall’industria farmaceu-tica all’organizzazione sanitaria,ma anche i ruoli e le condizionisociali in cui l’attore opera, il suoquotidiano, le asimmetrie dipotere, l’autostima e lo stato psi-cologico. Risulta, inoltre, a talfine importante capire quali sonole rappresentazioni sociali dellamalattia, ovvero l’insieme diidee, le classificazioni, le conven-zioni, le immagini che orientanoin modo inconsapevole il nostropensiero e le nostre azioni. Fraquesti sicuramente il genere èuna dimensione cruciale “dellavita personale, delle relazionisociali e della cultura: unadimensione in cui siamo chiama-ti ad affrontare, quotidianamen-te, questioni molto complesseche riguardano l’identità, la giu-stizia sociale e persino la nostrastessa sopravvivenza.” (Connell,2006). Moscovici (1984) sostieneche “nessuna mente è liberadagli effetti del condizionamentoche viene imposto attraverso lerappresentazioni, il linguaggio,la cultura che le sono proprie.Noi pensiamo per mezzo di unalingua, organizziamo i nostripensieri in base ad un sistemache è condizionato sia dallenostre rappresentazioni che dallanostra cultura e vediamo soloquello che le convenzioni sotto-stanti ci permettono di vedere,senza essere consapevoli di taliconvenzioni”. Anche Illich(1977) sostiene che il monopoliomedico agisce quando “la curadella salute si tramuta in un arti-colo standardizzato, un prodottoindustriale; quando ogni soffe-renza viene “ospitalizzata” e lecase diventano inospitali per lenascite, le malattie e le morti,quando la lingua in cui la gentepotrebbe far esperienza del pro-prio corpo diventa gergo buro-cratico; o quando il soffrire, ilpiangere e il guarire al di fuori

del ruolo del paziente sono clas-sificati come una forma didevianza.” La gestione eterono-ma della vita, inevitabilmente,dapprima restringe, poi mutila einfine paralizza le reazioniimportanti dell’organismo, equella che voleva essere curadella salute si tramuta in unaforma specifica di negazionedella salute. In altri termini ilcorredo biologico è anch’essoplasmato socialmente dalle di-verse pratiche e istituzioni. Nederiva che occorre “una prospet-tiva trasversale rispetto ai confiniconvenzionali tra le discipline”.Il genere è d’altra parte un argo-mento molto vasto: per affrontar-lo adeguatamente bisogna esseredisposti a compiere un viaggiointellettuale e culturale al tempostesso (Connell, 2006).

2.1. L’ottica di genere

Nella vita di tutti i giorni il gene-re è dato per scontato, come unelemento che fa parte dell’ordinenaturale ma, invece, comeaffermò Simone de Beauvoir,“Donna non si nasce ma si diven-ta.” La prescrittività delle normesociali sulle azioni individuali hafatto considerare naturali e im-mutabili i ruoli biologici mentrequesti sono costruiti socialmen-te. La differenza riproduttiva acui è stata attribuita una notevo-le importanza ha, quindi, datoorigine a quella sociale anche se,come ben ha evidenziato laRoberts, il biologico e il sociale sicostruiscono mutuamente (Bian-cheri & Dell’Osso, 2007). Sesso egenere rappresentano le duedimensioni che caratterizzano leidentità femminili e maschili; sela prima definisce i caratteri dellediverse funzioni riproduttive edera considerata “data e astorica”,la seconda riguarda la divisionedei ruoli costruiti socialmente, ledifferenze simboliche, un proces-so culturale in divenire che pro-duce le diverse identità. Come hasottolineato Bourdieu (1998), il

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genere non può essere modifica-to semplicemente da un attovolontaristico, in quanto esseredonna o essere uomo è determi-nato dai diversi contesti in cui lepersone vivono quotidianamen-te, le identità sono sostenute econsolidate da molteplici aspetti,sia materiali che simbolici di cuile persone non possono facil-mente spogliarsi senza perdereuna parte fondamentale di sestesse. Il paradigma di genere è,infatti, diventato sempre più pre-sente nell’analisi storica e socialeproprio per comprendere i carat-teri culturali che determinano ledifferenze, gli squilibri di potereche sono poi sostenuti dalle isti-tuzioni stesse e determinano lecaratteristiche della famiglia, delmercato e dei sistemi di welfare.Tale categoria ha messo anche inevidenza come i due generi, lerispettive identità sono determi-nati dall’interazione, dai conflittie dagli accomodamenti reciproci. Uno strumento, quindi, che haaggiunto, per la comprensionedei processi, una chiave analiticaimportante in grado di esplicita-re le differenze tra uomo e donnasenza o appiattirle dietro unapresunta neutralità della masco-linità o gerarchizzarle in funzio-ne del prevalente dominiomaschile. Gli studi di generehanno, infatti, un carattere rela-zionale, prendono in considera-zioni sia gli uomini che le donnenei diversi ambiti sia della sferaprivata (salute, famiglia, senti-menti, tempo libero) che pubbli-ca (partecipazione al mercato dellavoro e alla politica). Ma se ilconcetto di genere è entratoormai a far parte del patrimonioconcettuale delle scienze umane,a partire dagli anni Settanta,altrettanto non è avvenuto nellescienze mediche dove è stata dapoco introdotta questa dimensio-ne per comprendere la comples-sa interazione tra caratteristichebiologiche e sociali e come que-ste intervengano nella difformeincidenza, tra donne e uomini, di

alcune patologie e, più in genera-le, sulla promozione della salute.Come abbiamo evidenziato, ilfatto che la cura sia stata stretta-mente legata ad un intervento dicarattere esclusivamente medi-co, diversamente da quello cheoggi si ritiene unanimementecondivisibile e cioè la sua com-ponente sociale, ne ha ristretto lavisione ad una presunta oggetti-vità trascurando le differenze digenere, ma anche dei singoli vis-suti che non possono essere indi-pendenti dalla cultura entro cuisi concretizzano e dalle condizio-ni che li determinano. Infatti, sele determinanti genetiche dannoorigine ad alcune patologie spe-cifiche della biologia femminile,altri elementi influenzano l’in-sorgenza di malattie che sonoappunto riconducibili ai ruolisociali, cioè ai compiti, agliobblighi ed alle aspettative cheda questi derivano. Le statistichesanitarie dimostrano come lediverse mansioni svolte nellasfera produttiva e negli ambitidella quotidianità del lavoro dicura producano conseguenzeche incidono non solo sulleaspettative di vita, ma anchesulla qualità. Se la maggiore lon-gevità delle donne è da attribuireanche alla minore incidenza dieventi traumatici, a comporta-menti meno “a rischio”, la piùalta morbilità riflette condizionidi svantaggio e disagio nei corsidi vita favorendo, ad esempio,una più alta incidenza delladepressione. Inoltre gli aspetticoncreti delle discriminazioni siaccentuano quando si sommanoad altri fattori: la dipendenzaeconomica e psicologica, la man-canza di autonomia, il subordi-nare le scelte lavorative alleresponsabilità famigliari, i sensidi colpa, elementi che agiscono,assieme alle componenti geneti-che, sull’insorgenza della malat-tia, sulla durata, sulla motivazio-ne alla guarigione o sulla croni-cità. A questo proposito si può farriferimento a Illich (1977) che,

nel suo testo “Nemesi medica.L’espropriazione della salute”,sostiene che il concetto di saluteè l’intensità con cui gli individuiriescono a tener testa ai loro statiinterni e alle condizioni ambien-tali: “Di conseguenza, la salutetocca i suoi livelli ottimali làdove l’ambiente genera capacitàpersonale di far fronte alla vita inmodo autonomo e responsabile.Il livello della salute non può checalare quando la sopravvivenzaviene a dipendere oltre una certamisura dalla regolazione etero-noma (cioè diretta dagli altri)dell’omeostasi dell’organismo”.

2.2. Differenze e disegua-glianze

Come è noto l’Italia è uno deipaesi più longevi del mondo e ledonne sono la quota più rilevan-te, pari al 58,8% della popolazio-ne con età superiore a 65 anni dietà. Infatti, una prima importan-te differenza riguarda le speranzedi vita alla nascita.

Rilevante è notare però che ilvantaggio per le donne è andatoassottigliandosi nei paesi occi-dentali in conseguenza di unaomogeneizzazione dei comporta-menti e degli stili di vita che sisono registrati a partire daglianni Settanta. Inoltre, i dati Istatmettono in evidenza che se siconsidera la speranza di vita inbuona salute, il vantaggio delledonne è molto più contenuto e avolte si annulla quasi completa-mente. Sempre l’Istat nell’inda-gine multiscopo “Aspetti dellavita quotidiana” del 2006 ha rile-vato che, per quanto riguarda lostato di salute, il 73,1% dellapopolazione si attesta su un livel-lo buono, con leggere oscillazio-ni territoriali a vantaggio delleregioni del sud; solo il 36,6%

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degli italiani dichiara di avereuna malattia cronica. Sono perògli uomini (50,3%) che si sento-no più in salute, mentre le donnesono maggiormente affette dapatologie. È indubbio però chefra i motivi della più lunga spe-ranza di vita c’è la maggioreattenzione che le donne prestanoal corpo, all’adozione di stili divita più sani (tra cui rilevante ladiversa attitudine al fumo) e dicomportamenti preventivi per lapropria salute. Il consumo disostanze psicoattive presentacomportamenti diversi tra i duegeneri, pratiche distinte determi-nano queste differenze, in parti-colare nell’assunzione di droghe- definite ‘pesanti’- che sonosicuramente più utilizzate dalsesso maschile. L’eziologia diquesto fenomeno può derivare dapiù fattori, nessuno dei quali èperò sufficiente a spiegarlo e,quindi, il consumo di questesostanze non può essere fattorisalire ad una sola causa. In Ita-lia ci sono differenze anche nellezone geografiche e la diffusionedell’abitudine al fumo, ad esem-pio, continua ad essere fortemen-te differenziata con una preva-

lenza tra gli uomini adulti pari al28% ed al 16,1% nelle donne. Sinota anche un calo più consi-stente per gli uomini (-18%) eminore per le donne (-1,9%). Nel1983 i maschi fumatori erano il46% e le donne il 18%. Se guardiamo alla ripartizionegeografica vediamo:Anche nella gestione del tempolibero e della fruizione culturaledonne e uomini presentano delle

differenze. Sempre dati Istat rile-vano che i luoghi di culto sonofrequentati di più dalle donneche vanno anche maggiormenteal cinema e a teatro e si dedicanocon percentuali più elevate allalettura, privilegiando i romanzi ela poesia. Per quanto riguardal’attività sportiva, le differenze siassottigliano, ma cambiano lemotivazioni; infatti, le donnefanno sport per mantenersi informa mentre gli uomini perdivertimento e competizione.“Proprio perché la storia dellosport moderno è strettamenteintrecciata ad una maschilitàegemonica, forte, aggressiva,competitiva, ancora oggi ledonne sono assai meno dispostedegli uomini a spendere tempo edenaro per praticare un’attivitàfisica e, qualora lo facciano, ten-dono a preferire specialità noncompetitive che possono esseresvolte con membri della famiglia,anziché attività competitive osport di contatto che potrebberofarle apparire mascoline” (Passa-telli, 2006). Uomini e donnehanno modalità di spesa e di con-sumo di prodotti e servizi distin-ti, come gli oggetti stessi che

acquistano. Se i primi rivolgonoil loro interesse ai prodotti tec-nologici, per le seconde fareshopping è un’attività ludica(Cavazza & Scalpellini, 2005). Seguardiamo ai consumi, non sonosolo significative le statistiche,ma anche la semplice osservazio-ne evidenzia quanto questi diver-gono fin dall’infanzia in modosostanziale. Basti osservare i gio-chi per i bambini, fortemente dif-

ferenziati per sesso, che contri-buiscono a sostenere un processodi socializzazione dicotomico easimmetrico (Gilligan, 1987).

2.1.1. Salute e aspetto fisico

Nella nostra società è sempre piùevidente la spinta ad una rinno-vata attenzione alla cura del séche ingloba la dimensione fisicae che sembra coincidere quasiesclusivamente con essa.Il corpo invade la nostra espe-rienza quotidiana assumendonuovi significati che diventanoun tratto inedito della culturacontemporanea.Lo prova il crescente ricorso allachirurgia estetica per adeguarel’immagine di sé ai canoni dellabellezza socialmente condivisa el’importanza che viene assegnataalla bella presenza. Queste tecni-che, sempre più diffuse, scolpi-scono letteralmente nei corpi laforma prescritta dalla rappresen-tazione simbolica del genere.Inoltre, spesso si sovrappongonole informazioni sulla salute equelle relative all’aspetto fisicoche aggiunte alle dinamichedella società dei consumi e del-l’immagine diventano un impe-rativo verso la bellezza e la formafisica. In questa esplosione dimodelli estetici sono soprattuttoalle donne che si rivolgono i mes-saggi dedicati al benessere, allediete con una esaltazione dellamagrezza. Questa pressionemediatica trova ampio spazionella percezione del propriocorpo, determinando ancherischi per la salute.Alcune indagini rilevano che afronte di una media pari al 40,9%del campione che dichiara di pia-cersi così com’è, solo una 18-25enne su tre esprime la stessasoddisfazione. Non c’è dubbioche se si guarda l’offerta televisi-va prevale un modello di identifi-cazione principalmente rivoltoalle più giovani e che risultaanche il più vulnerabile ai condi-zionamenti. Se le donne adulte

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riconoscono che la prevalenzadelle immagini offerte dai medianon corrisponde alla normalità equindi sono modelli artificiali, lepiù giovani sottolineano checomunque rappresentano unideale di bellezza a cui vorrebbe-ro assomigliare. Un altro indica-tore è che più della metà dellegiovani donne si è sottoposta aduna dieta per perdere peso, e altaè la percentuale di ragazze che visi sottopone pur essendo normo-peso.L’Istat nei dati relativi al 2003rileva che il 15,5% delle donnetra i 18-24 anni è sottopeso, con-tro il 7,3% delle sovrapeso (Bian-cheri & Dell’Osso, 2007). La cul-tura di massa insegna alle ragaz-ze ad essere, per prima cosa, desi-derabili, mentre ai ragazzi adapparire forti e dominanti ancheattraverso una consistente pres-sione del gruppo dei pari. Ildiscorso della moda e della bel-lezza riserva alle donne il ruolodi consumatrici, le sottopone adumilianti prove di accettabilità,impone delle regole arbitrarie daseguire ed è responsabile di infe-licità, di malattie se non di morticome nel caso di molte ragazzeche perdono il controllo dellaloro dieta.Il corpo femminile, rispetto aquello maschile sulla cui forza èstato costruito e giustificato ilpotere e l’autorità sulla donna, èstato descritto come debole e fra-gile, ad esso si riconduceva unavulnerabilità e delicatezza d’ani-mo oltre ad una caratteriale. Daquesto ne derivava un dovere dipreservarle dagli sforzi e da atti-vità lavorative che avrebberopotuto danneggiarne l’integrità

fisica e morale. Secondo un pro-spettiva degli studi di genere, ilrichiamo alla fisicità corporeaserviva per ricoprire di naturalitàscelte politico economiche eveniva assunto come criterio pergiustificare pratiche di esclusio-ne. Essendo considerata l’ogget-tività come sinonimo della natu-ralità, il discorso biologico siintrecciava a quello teorico percui le politiche e le teorie elabo-rate in quel periodo portavano letracce di questo rapporto traoggettività dei corpi e loro natu-rale ascrizione a determinatiruoli sociali (quello della donnaera quello di essere madre e disvolgere la sua essenziale funzio-ne riproduttiva).Il confronto con la durezza dellavoro nei campi, svolto da sem-pre anche dalle donne, compara-to con l’immaginario della donnacome essere delicato e dalla salu-te cagionevole, offre motivo diriflessione su come il corpo e lacorporeità non costituiscanoqualcosa di predefinito, ma assu-mano di volta in volta differentisignificati storicamente e cultu-ralmente determinati oltre adessere usati strumentalmente.I corpi sono stati spesso espro-priati dalla soggettività femmini-le e interpretati unicamente perla loro capacità riproduttiva e ledonne che lavorano sono statelegate, di conseguenza, alla que-stione di corpi riproduttivi chelavorano. Il concetto di riprodu-zione diventa parte della catego-ria più generale, come sottolineaEngels, della produzione dellemerci. Secondo alcune autrici, lapreminenza data all’ambito pro-duttivo fa parte di una strategia

messa in atto dal maschio perimpossessarsi, attraverso la rino-minazione e lo spostamento sulpiano teorico, di quel processobiologico da cui è naturalmenteescluso. Dando rilevanza all’a-spetto economico si sottovalutail valore sociale e culturale dell’e-sperienza procreativa delledonne e le si relegano in unacondizione di subalternità fun-zionale. Il predominio maschilefa sì che il diritto di nominaresignificativamente tale atto è inpossesso solo dell’uomo che ordi-na la realtà circostante secondole proprie categorie. Su questepremesse risulta chiara la defini-zione di genere data da Connell(2006) come “quella strutturadelle relazioni sociali che èincentrata sull’arena riprodutti-va, e quell’insieme di pratiche,regolate da questa stessa struttu-ra, che fanno rientrare le diffe-renze riproduttive dei corpi neiprocessi sociali”.

3. Conclusioni

Il genere rappresenta ancora, intutte le società, una delle piùimportanti caratteristiche indivi-duali da cui derivano i principalifattori di diseguaglianze neidiritti di cittadinanza. Sebbene cisiano molte differenze tra i diver-si contesti nazionali e nelle con-dizioni individuali, le donnerisultano tuttora svantaggiateper quel che riguarda l’accessoalla ricchezza, al potere, all’auto-nomia e ad altre risorse e oppor-tunità che ne condizionano, diconseguenza, anche la presenzadebole nel mercato del lavoro.Come ben hanno sottolineato glistudi di genere, queste discrimi-nazioni hanno le loro radici sto-riche nella divisione dei ruolifemminili e maschili ritenutanaturale, mentre è il prodotto diuna costruzione sociale e derivail suo principale significato,come denuncia Bourdieu nel suolibro “Il dominio maschile”, datutto il sistema di opposizioni

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Donne (%) che hanno seguito una dieta per perdere peso nell’ultimoanno, suddivise per fasce di età

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con cui è costruita la realtà. Ilricondurla ad una differenza bio-logica crea una giustificazionealla gerarchia sessuale, che vieneincorporata attraverso la pervasi-vità dell’ordine simbolicomaschile, per cui anche le stessedominate ne incorporano i signi-ficati, sotto forma di strutturacognitiva, e non ne percepisconol’arbitrarietà. Si creano così uni-versi simbolici entro cui le donnehanno accettato e giustificato laloro esclusione, prima, e la loroomologazione, dopo, all’internodi un concetto di uguaglianzache si sostanzia, come rilevaMartha C. Nussbaum, sul presup-posto di neutralità e universalitàdei diritti costituzionali.In “Giustizia sociale e dignitàumana” spiega come il far deriva-re le forme di tutela dall’apparte-nenza a qualche istituto, comequello familiare, determina l’a-strattezza degli interventi nor-mativi e quindi non fa sì che l’in-dividuo diventi agente di dirittiinvece che semplice titolare.Infatti, secondo l’approccio allecapacità, elaborato da AmartyaSen, non basta la mera titolaritàdei diritti, ma bisogna garantirele condizioni per realizzarli. Lacritica femminista, mettendo inevidenza quello che è stato sem-plificato come “patriarcato socia-le”, si è concentrata, pur nelladiversità di approccio, allacostruzione di una soggettivitàfemminile e le ricerche sul gene-re hanno dato luogo alla realizza-zione di strumenti, concettuali estatistici, e a ricerche che assu-mendo questa dimensione, all’in-terno delle diverse discipline, nehanno ampliato le chiavi inter-pretative. Ma sia nella scienzache nella sfera produttiva e ripro-duttiva le origini della costruzio-ne discorsiva della divisione ses-suale del lavoro permangononella nostra società non solonelle occupazioni precarie fem-minili, nei differenziali salariali enella scarsa presenza nei luoghidecisionali, ma anche negli habi-

tus che agiscono come matricidelle percezioni, dei pensieri edelle azioni di tutti i membridella società.Il genderism, come pratica com-portamentale quotidiana legataal genere, trae conferma concontinui richiami a stereotipi,relativi al maschile e femminile,che derivano anche dalle micro-dinamiche, come quelle famiglia-ri, volte a mantenere inalterate lestrutture e le modalità dell’inte-razione sociale. Goffman, neisuoi molteplici lavori, pone l’ac-cento sulle relazioni di potere einvita - per comprendere meglioquesti meccanismi - a concentra-re l’attenzione su coloro chesono in grado di fornire “versioniufficiali della realtà” per faremergere gli schemi ricorrenti inchi si trova in posizioni di svan-taggio.Ad esempio, in uno studio realiz-zato sugli annunci pubblicitaril’Autore evidenzia gli assuntisociali inespressi sul rapporto frai sessi, partendo dal presuppostoche questi derivino da rappresen-tazioni collettive dominanti. Unodei temi analizzati è quello del“rango funzionale“ per cui gliuomini sono raffigurati, quandosi trovano all’interno del regnotradizionale dell’autorità femmi-nile, non partecipi al lavorodomestico, evitando di subordi-narsi o contaminarsi con i com-piti femminili.Oppure si dipinge l’uomo inmaniera ridicola e infantile, equindi irrealistica, in modo chel’immagine di competenza del-l’uomo possa essere salvata,facendo eseguire i lavori dome-stici come se tutto fosse unoscherzo o una sfida. Il grado diaccettazione delle norme e delleidee, da cui deriva il riconosci-mento della legittimità dell’ordi-ne sociale, si consolida, dunque,attraverso i diversi tipi di comu-nicazione e le relazioni che lepersone intrattengono e determi-na il comportamento sociale.Inoltre, se maggiore è la risposta

emotiva più forte sarà percepito,come reale e indiscusso, il signi-ficato dei simboli, lasciando cosìampi spazi alla coercizione deri-vante dai legami affettivi e fami-gliari. Le strutture interiorizzatefanno sì che gli attori socialiaccettino i sistemi di significato equesta è la chiave della riprodu-zione, in quanto è in grado digenerare comportamenti regola-ri che limitano l’autonomia indi-viduale.Il linguaggio nominando il reale,nell’interpretazione decostruzio-nista, lo normalizza attraverso lareiterazione delle parole e deter-mina le costruzioni di senso perl’indentità del sé. Nel concetto diviolenza simbolica riveste unaparticolare importanza la con-vinzione che la maggior partedelle persone nella maggior partedei casi assumono il propriomondo sociale e il relativo mododi vedere le cose come dati perscontati.Partire, dunque, dal dominiosimbolico androcentrico signifi-ca inserire le ragioni delle dise-guaglianze in un quadro in gradodi metterne in luce la comples-sità, a cui devono riferirsi le solu-zioni proposte. La doppia presen-za delle donne non può, quindi,lasciare inalterate le politichesociali, le regole organizzativedel mercato del lavoro, l’organiz-zazione sanitaria in quanto oltrea creare una dissonanza nellebiografie femminili può generaremarginalità ed esclusione socia-le, come l’aumento consistentedella povertà di genere. Doman-darsi, infatti, attraverso il vissutoindividuale come le donne vivo-no le numerose difficoltà, deri-vanti dai loro molteplici ruoli,raccordandole all’immaginariocollettivo, alle rappresentazionidominanti significa mettere inevidenza le contraddizioni di unprocesso ancora in transizionesospeso tra vecchi e nuovi model-li, tra stereotipi e volontà di affer-mazione.Considerato pertanto quanto

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sostenuto, diventa di estremarilevanza cogliere, attraverso glistudi di genere applicati anchealla sociologia della salute, ilriconoscimento dell’importanzadi queste ricerche che stannoprogressivamente crescendo neltempo e ne sono testimonianza lenumerose pubblicazioni e i con-vegni che si sono succeduti conuna certa frequenza a livellonazionale ed internazionale,oltre al sempre più attento inte-resse della politica.Di conseguenza, anche gliapprocci teorici e le metodologiedi ricerche devono diventare piùarticolati e interdisciplinari, lasocietà e la salute non sono piùstudiate separatamente ma se neanalizzano le interferenze reci-proche, mettendone in rilievonon solo gli indicatori ma anchele condizioni.Il complesso intreccio socio-sanitario ha dato luogo ad unripensamento delle categorie uti-lizzate per la definizione di salu-te anche nel campo del diritto,estendendolo a una pluralità didiritti sempre più ampia, oltre adinglobare i contributi di discipli-ne, quali la storia e l’antropolo-gia, che hanno consentito di leg-gerne, attraverso il prisma dellediverse accezioni, l’attuale confi-gurazione.Tali assunti teorici hanno portatoall’elaborazione di un percorsoprogressivo, a partire dalla rifor-ma del sistema sanitario, che èsfociato in politiche e strumentioperativi integrati fino allacostruzione, nel caso della Regio-ne Toscana, della società dellasalute.

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Quaderni della SIF (2008) vol. 13 - 13

Xenobiotici in utero e sviluppoLuigia Trabace e Vincenzo Cuomo

Negli ultimi anni la problematicadell’esposizione “in utero” a xeno-biotici è divenuta oggetto di cre-scente interesse: è stato, ormai,chiaramente dimostrato da nume-rose evidenze sperimentali e clini-che che l’esposizione prenatale adalcuni composti è in grado di pro-durre alterazioni neurofunzionalinella progenie, in assenza dimalformazioni e/o di una sinto-matologia neurotossica manife-sta.In animali esposti durante la vitaintrauterina a dosi subteratogenedi alcuni xenobiotici sono statievidenziati, ad esempio, deficit,talora irreversibili, di funzionicognitive, nonché alterazioni diparametri emozionali e motiva-zionali.Considerato, quindi, l’interesse diuna analisi degli effetti dell’espo-sizione a xenobiotici in corso disviluppo, da diversi anni varigruppi di ricerca hanno tentato dimettere a punto modelli animalidi riferimento finalizzati a unaserie di obiettivi.Il primo obiettivo è quello di valu-tare gli eventuali deficit ontoge-netici prodotti da esposizioni adagenti chimici nel corso della gra-vidanza e, in particolare, quellicomportamentali la cui impor-tanza è potenzialmente tantomaggiore quanto minore è ilpotere teratogeno a livello soma-tico. Il perseguimento di taleobiettivo comporta l’adozione dimetodologie rigorose: esposizio-ne in periodi ben definiti dellosviluppo prenatale; adozione cro-ciata, per distinguere tra il dannoprodotto dalla esposizione prena-tale in sé e per sé da quello chepuò derivare da anomalie nutri-zionali e/o comportamentali dellemadri nel periodo postatale; con-trolli stringenti tra soggetti in

sviluppo con gradi controllati diomogeneità (genotipo) e di curamaterna; scelta accurata dei test.Il secondo obiettivo è quello dimettere a punto degli indicatoriutili al successivo studio, sia dieventuali patologie umane acarattere teratologico-comporta-mentale (alterazioni dei tempi disviluppo neuropsichico, specifi-che anomalie nello sviluppocognitivo) che di possibili deficitcomportamentali lievi. È soprat-tutto su tali patologie“borderline” – che potrebberoconsistere solo di un aumento difrequenza di fenomeni già di persé comuni, come i problemi diintegrazione sociale precoce delbambino, i deficit attenzionali, ledifficoltà con il sistema scolarestandard – che mancano indica-zioni valide.Queste appaiono necessarie per lamessa a punto di un quadro sinto-matologico-diagnostico di riferi-mento da utilizzare in studi mira-ti su soggetti esposti a xenobioticinel corso della vita intrauterina.Il terzo obiettivo, collegato al pre-cedente, è quello di contribuirealla identificazione di parametriutili ad un monitoraggio di carat-tere epidemiologico di eventualisindromi di deficit neurocompor-tamentali ascrivibili a esposizioniprenatali, monitoraggio che puòanche fornire indicazioni sullestrategie di trattamento farmaco-logico atte a minimizzare i dannial sistema nervoso fetale.Il sistema nervoso centrale (SNC)è particolarmente vulnerabile nelcorso del proprio sviluppo, sianella fase prenatale che in quellapostnatale. Un agente chimicopuò interferire con i processi diproliferazione, migrazione, sinap-togenesi o mielinizzazione delSNC, nonchè con l’azione di

molecole modulatrici della plasti-cità neuronale, quali ad esempiofattori neurotrofici, ormoni ste-roidei, etc.In generale, mentre l’esposizionea un agente tossico nelle primefasi dello sviluppo del sistemanervoso può provocare gravi ano-malie morfologiche (spina bifida,meningocele, microcefalia), l’in-terferenza con i successivi proces-si di sviluppo pre e/o postnatali haun’elevata probabilità di indurresottili alterazioni neurofunziona-li.Nonostante l’attenzione al proble-ma sia progressivamente cresciu-ta negli anni, le conoscenze sullasicurezza dell’impiego dei farmaciin gravidanza o sulla esposizionea xenobiotici in generale sonotuttora carenti. Pur tuttavia, studicondotti negli ultimi 30 annihanno permesso di approfondirela conoscenza dei meccanismiattraverso i quali alcuni xenobio-tici influenzano lo sviluppo delSNC.La complessità dei fenomeni stu-diati ha richiesto che, accanto adindagini epidemiologiche e clini-che, si sviluppassero ricerchecondotte nell’animale di laborato-rio.L’utilità di tali modelli sperimen-tali deriva dalla possibilità di ana-lizzare parametri di difficile oimpossibile valutazione nellepopolazioni a rischio, come ladefinizione della relazione dose-risposta, il ruolo di variabili mul-tiple e l’identificazione di periodidi suscettibilità.Inoltre, le informazioni che siottengono da questi modelli distudio sono di primaria importan-za per comprendere i meccanismibiologici che sottendono gli effet-ti dell’esposizione a xenobiotici,al fine di elaborare possibili stra-

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tegie di intervento nella praticaclinica.Nella valutazione degli effetticomportamentali di un potenzia-le teratogeno neurofunzionale èdeterminante la scelta di una bat-teria diversificata di test, che per-metta di valutare il profilo onto-genetico di diverse categoriecomportamentali, partendo dallamaturazione dei riflessi sensori-motori nella fase neonatale pre-coce fino alla maturazione dellefunzioni cognitive e dei patterncomportamentali adulti. In parti-colare, attraverso una serie di testè possibile valutare nell’animaleda esperimento eventuali effettisulle capacità cognitive, sulla fun-zione motoria e sensoriale, sull’e-mozionalità, sull’attività sessualeetc. Molti di questi test sono pre-dittivi per la clinica e hanno con-sentito di evidenziare alterazionineurofunzionali a breve e lungotermine conseguenti all’esposi-zione a sostanze chimiche duran-te la gravidanza e/o l’allattamen-to. Diversi xenobiotici induconoeffetti teratogeni neurofunziona-li. Tra questi vanno segnalatialcuni farmaci neuroattivi,sostanze di abuso e tossiciambientali.Tra i farmaci neuroattivi, partico-lare attenzione meritano gliantiepilettici. È stato stimato checirca lo 0,4-0,8% delle donne gra-vide è affetto da epilessia e, traqueste, molte necessitano di untrattamento farmacologico du-rante la gestazione e l’allattamen-to. Effetti teratogeni strutturali,tra cui malformazioni cranio-fac-ciali, muscolo-scheletriche, car-diache e del sistema nervoso sonostati osservati in seguito a som-ministrazione di farmaci antiepi-lettici, come l’acido valproico, lacarbamazepina e la fenitoina. Talimalformazioni sono accompa-gnate da gravi anomalie neuro-funzionali, quali disturbi dell’ap-prendimento e della memoria,ridotto quoziente intellettivo,iperattività, autismo. In animalida esperimento, in seguito alla

somministrazione di acido val-proico in fasi ontogenetiche pre-coci, è stata osservata una diffusaneurodegenerazione in diversearee cerebrali. Danno cerebellarecon alterato sviluppo delle celluledi Purkinje è stato anche osserva-to in topi trattati durante il perio-do neonatale con fenitoina.Nel caso della fenitoina e delfenobarbital, studi sperimentalihanno evidenziato che vari effettineurochimici e comportamentalipossono essere presenti anche aseguito della somministrazione didosi sub-teratogene.Un aspetto certamente preoccu-pante è rappresentato, inoltre, dalfenomeno dell’assunzione disostanze di abuso durante la gra-vidanza, tra cui l’alcol, i derivatidella cannabis e la cocaina.In questi ultimi anni, si è verifica-to, ad esempio, un sostanzialeaumento del consumo di cocainain gravidanza ed è parallelamenteaumentato l’interesse nello stu-dio delle alterazioni conseguentiall’uso di tale sostanza nel corsodella gestazione. La cocaina è ingrado di superare la barriera pla-centare e si accumula nei tessutifetali a concentrazioni maggioridi quelle osservate nel plasmamaterno. L’azione vasocostrittricedella cocaina a livello dell’arteriaombelicale può, inoltre, ridurre ilflusso ematico con conseguenteipossia fetale che sembra essereuno tra i fattori responsabili dellealterazioni nella progenie. Moltistudi clinici indicano che neonatidi madri che assumevano cocainadurante la gravidanza presentava-no un peso alla nascita inferioreai controlli, così come ridotta erala loro circonferenza cranica.Queste differenze sono state inparte attribuite ad una più altaincidenza di parti prematuri.Tuttavia, ancora oggi non sonostati definiti i meccanismi neuro-biologici che sottendono le alte-razioni neurocomportamentali.Benché gran parte delle osserva-zioni, utilizzando la NBAS (Neo-natal Behavioral AssessmentScale), abbia evidenziato anoma-

lie del comportamento, non vi èaccordo sul tipo dei disturbi pro-dotti dall’esposizione a cocaina.In generale, è stata riportata unaridotta capacità di interesse, unadiminuita abilità a fornire rispo-ste appropriate agli stimoli, unamaggiore irritabilità e iporefles-sia.Per quanto anche gli studi anima-li non abbiano fornito risultatisempre omogenei, tuttavia lagran parte di essi suggerisce chel’esposizione a cocaina in fasiontogenetiche precoci induce nelroditore alterazioni del compor-tamento motorio, deficit dell’ap-prendimento, disturbi della coor-dinazione, alterazioni dell’”habi-tuation” e delle risposte compor-tamentali a “challenges” di cocai-na. Tra i tossici ambientali, il piomborappresenta un esempio tipico diteratogeno neurofunzionale.Studi sperimentali e clinicihanno evidenziato che l’esposi-zione a piombo nel periodo pree/o postatale causa reazioniavverse sullo sviluppo comporta-mentale e, in particolare, sullafunzione cognitiva. In bambiniesposti sono state evidenziate unadiminuzione del QI e alterazionidella funzione visiva. Tali risultatihanno avuto come conseguenzain molti Paesi la messa al bandodel piombo come antidetonantenella benzina e come additivonelle vernici. Negli USA, in segui-to a tali provvedimenti, il livellomedio di piombo ematico in bam-bini di 1-5 anni si è drammatica-mente ridotto. Il piombo sembraesercitare i suoi effetti tossici alivello della barriera ematoence-falica e dei neuroni, interferendoin particolare con alcuni sottotipidei recettori del glutammato econ la proteinchinasi C.In conclusione, dall’analisi deidati forniti dalla letteratura speri-mentale e clinica si evince chiara-mente che l’esposizione a xeno-biotici in fasi ontogenetiche pre-coci è in grado di produrre altera-zioni neurofunzionali a breve e/olungo termine, anche in assenza

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di malformazioni strutturali o diuna sintomatologia neurotossicaevidente.

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Le tossicodipendenze sono dasempre considerate una proble-matica medica tipicamentemaschile. È vero infatti che lapresenza dei disturbi da abuso disostanze è più elevata negliuomini rispetto alle donne, macasistiche recenti indicano unasignificativa riduzione di questedifferenze, soprattutto nellapopolazione giovanile. Recentistudi epidemiologici indicanoche le donne presentano unrischio maggiore di svilupparedipendenza [1], sebbene il datosia in contrasto con l’osservazio-ne generale che più gli uominiche le donne sono interessati daproblematiche relative alle tossi-codipendenze [2] e all’alcolismo[3]. Il recente aumento nell’uso dellesostanze di abuso da parte delledonne riflette i cambiamentisocio-culturali che il mondooccidentale sta attraversando [1]:all’inizio del secolo XXI, la donnaè doppiamente impegnata sia sulversante familiare all’interno delquale svolge ancora un ruolocentrale, che su quello lavorati-vo, dove conquista faticosamentela propria affermazione, talvolta

attraverso eventi stressanti vis-suti non da tutti allo stessomodo. Inoltre, dati clinici e risul-tati sperimentali ottenuti neglianimali sono concordi nell’indi-care che, nella risposta indivi-duale alle sostanza d’abuso, sonopresenti reali differenze di gene-re. Le donne passano più rapida-mente dall’uso all’abuso e risul-tano più sensibili agli effettifisiologici di alcune sostanzerispetto agli uomini, presentan-do una maggiore incidenza dimalattie trasmesse sessualmen-te. La prevalenza dell’infezioneda HIV nei consumatori di drogaper via parenterale è in media del13,6% negli uomini e del 21,5%nelle donne [4]. Anche i disturbipsichiatrici in co-morbilità sonopiù frequenti nelle donne [5]. Ladonna diventa tossicodipendentegeneralmente più tardi rispettoall’uomo, segue comportamentiassuntivi più rischiosi, se ha unpartner forte assuntore, e pre-senta maggiori difficoltà al recu-pero. A tale proposito emergedall’esperienza degli operatoridel settore la chiara necessità diconsiderare opportunamente ledifferenze di genere già al

momento del primo contatto conla paziente e nella scelta del trat-tamento. Le donne presentano infatti pro-blemi biologici e psicosociali piùimportanti rispetto ai maschi perla comorbilità psichiatrica e ilminor sostegno sociale e familia-re.Inoltre, modelli animali hannochiaramente evidenziato che esi-stono differenze tra i due sessi intutte le fasi della tossicodipen-denza: nella fase di conoscenza,di uso controllato, di aumentodella dose e di dipendenza, nellasindrome di astinenza, nellerecidive e nella risposta al tratta-mento farmacologico. Rassegnedisponibili in letteratura [6] indi-cano che gli animali di sessofemminile apprendono più rapi-damente dei maschi ad autoi-niettarsi cocaina e metamfetami-na, mentre non esistono diffe-renze per l’eroina [6]; lo stesso sipuò dire per l’alcool. Gli stessistudi non hanno evidenziato dif-ferenze tra i due sessi durantel’uso controllato delle sostanze.Quando gli animali passavanoinvece da un “uso controllato”delle sostanze ad un uso “non

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Genere e tossicodipendenze: non solo alcol

Emanuela Masini e Brunella Occupati

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controllato”, le femmine presen-tavano un significativo aumentodella quantità di cocaina assuntarispetto ai maschi. Studi clinicihanno confermato questi dati,indicando che le donne progredi-scono più rapidamente verso unuso non controllato della drogaassunta, il cosidetto “decorsotelescopico” [7]. La Relazione Annuale 2006 del-l’Osservatorio Europeo sulle dro-ghe e le tossicodipendenze(OEDT) ha messo in evidenzache le donne si rivolgono menodei maschi ai Servizi Pubblici perla Terapia delle Tossicodipenden-ze; studi clinici hanno evidenzia-to che il percorso terapeutico èpiù difficile in quanto le donnepresentano con maggior fre-quenza depressione ed ansia, fat-tori di rischio per le recidive.Nella maggioranza dei Paesi del-l’Unione Europea e nei PaesiScandinavi sono presenti UnitàTerapeutiche destinate esclusiva-mente alle donne o alle donnecon bambini, ma queste sononumericamente poco rappresen-tate ed il numero dei pazienti intrattamento presso queste strut-ture è limitato. Numerosi fattorilimitano l’accesso delle donne aiServizi di Cura, come la gravi-danza, la paura di perdere lacustodia dei figli e/o di conse-guenze legali, problemi econo-mici e la co-morbilità con pro-blematiche psichiatriche, chepuò indirizzare la donna verso iServizi di Salute Mentale piutto-sto che verso i Servizi di Curaper le Tossicodipendenze, rite-nendo non importanti le proble-matiche tossicologiche.Anche i problemi alcool-correlatisono in rapida espansione tra ledonne, ma l’attenzione dei ricer-catori negli studi di genere per lavalutazione del rischio e deldanno da alcool nel sesso femmi-nile è relativamente recente [8].Fino a non molti anni fa, si pen-sava che nelle donne ci fosseromeno problemi per il minor con-sumo di bevande alcoliche; al

contrario, le evidenze biologichesuggeriscono una realtà diversa.Alla domanda: “la donna è fisio-logicamente e biologicamentepiù vulnerabile dell’uomo aglieffetti dell’alcol?”, la rispostasembra essere affermativa. Infat-ti è stato dimostrato che, rispet-to agli uomini, le donne vannoincontro ad intossicazioni piùgravi assumendo minori quan-tità di alcolici, sviluppano pato-logie più severe in tempi piùbrevi (effetto telescoping), dimo-strando alterazioni più rilevantiai processi cognitivi ed hanno unrischio maggiore di rimanere vit-time di incidenti e di violenze[9]. I meccanismi fisiologici chedeterminano questa diversitàsono solo in parte chiariti edincludono differenze farmacoci-netiche e farmacodinamiche.Evidenze sperimentali dimostra-no che assumendo ugual dosi dialcool in condizioni equivalenti,le donne hanno concentrazioniematiche più elevate rispetto agliuomini. Questo è dovuto al fattoche le donne, sopratutto le gio-vani, hanno un minor metaboli-smo di primo passaggio dell’al-cool, in quanto sono carenti diun isoenzima dell’alcool deidro-genasi a livello della mucosagastrica. La donna, inoltre, haproporzionalmente una minorquantità di acqua corporea equesto determina concentrazioniematiche di etanolo più elevate[10]. Questi risultati sono estre-mamente interessanti, poichèindicano che sia il genere chel’età determinano una maggiorvulnerabilità all’alcool. Un’ulte-riore possibile spiegazione delledifferenze di genere nella rispo-sta fisiologica all’alcool sembralegata all’influenza degli ormonifemminili. Si pensa che gli estro-geni ed il progesterone possanoinfluenzare il metabolismo epati-co dell’etanolo ed aggravare l’e-patopatia alcolica [11]. Esistonoanche ipotesi che il consumo dialcool possa essere associato adun aumentato rischio di cancro

al seno, anche se i risultati atutt’oggi non sono concordi esicuramente necessitano di ulte-riori approfondimenti [12].La maggiore sensibilità all’alcoolpotrebbe spiegare il motivo per ilquale la dipendenza e i conse-guenti danni organici abbianonelle donne una progressionepiù rapida. Tuttavia le differenzemetaboliche non lo giustificanocompletamente: studi recenti sulgioco d’azzardo patologico,hanno evidenziato anche in que-sto caso un decorso “telescopico”nelle donne. Oltre a tutti i rischisopradescritti, è importantericordare che l’alcool attraversafacilmente la barriera placentareed interferisce con la sviluppofetale causando aborto, mortefetale, nascita prematura, bassopeso alla nascita, ritardo mentaleed alterazioni somatiche evidenti(sindrome alcolica fetale). L’ef-fetto teratogeno fetale può deter-minarsi anche se la donna assu-me dosi moderate di alcolici,sopratutto nelle prime fasi gesta-zionali. Le differenze fisiologiche digenere per quanto concerne glieffetti e le conseguenze del con-sumo di altre sostanze d’abusosono state meno studiate rispettoall’alcool.Uno studio condotto dall’IstitutoSuperiore di Sanità ha evidenzia-to che tra i consumatori disostanze psicotrope, soparatuttococaina, una parte non trascura-bile, il 37,5%, era di sesso fem-minile e riferiva di usarla percombattere i disturbi del tonodell’umore. Questi soggetti, pe-rò, al cessare degli effetti dellasostanza si trovavano a dovergestire situazioni depressive piùgravi e di conseguenza eranoportate ad incrementare mag-giormente la dose rispetto aimaschi e ad associare il consumodi alcool, in assoluto la sostanzapiù frequentemente assuntainsieme alla cocaina in entrambii generi. Va ricordato che l’as-sunzione contemporanea di

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alcool e cocaina determina laformazione di “cocaetilene”, unmetabolita notevolmente cardio-tossico. Anche la dipendenzacrociata alcool e psicofarmacicontraddistingue nelle statisti-che il genere femminile. Essarisponde alla stessa logica di“automedicazione” della depres-sione, dello stress, dell’ansia edei disturbi della personalità. Varicordato a questo proposito chel’abuso primario di psicofarmacicaratterizza prevalentemente ledonne anche nei Servizi per ilTrattamento delle Dipendenze, equesto si associa a rischi nonsolo sanitari.È vero anche che le donne reci-divano più facilmente: un recen-te studio, effettuato su un nume-ro limitato di donne afro-ameri-cane che assumevano cocaina daanni ed astinenti solamente nelledue settimane precedenti l’ese-cuzione della PET (PositronEmission Tomography), ha evi-denziato che esistono differenzetra i due sessi circa le aree cere-brali coinvolte nella memorizza-zione del ricordo dell’esperienzavissuta con la droga. Le differen-ze riguardano l’amigdala, dove viè un’attivazione nei maschi enon nelle femmine; la cortecciadorsale anteriore e la cortecciafrontale dove l’attività è maggio-re nelle donne rispetto ai maschi[13]. Durante il ciclo mestrualesono state riscontrate dellevariazioni nei livelli plasmatici dicocaina inalata, ma non neglieffetti soggettivi, variazioni chesarebbero conseguenti ad unamaggior viscosità del muco dellamucosa nasale nella fase luteini-ca, con conseguente riduzionedell’assorbimento della sostanza,e quindi con un incrementodella dose. Gli ormoni sessualifemminili condizionano la rispo-sta individuale alla cocaina, inquanto gli estrogeni amplificanogli effetti gratificanti, mentre ilprogesterone esplica un’azioneinversa. Il decorso “telescopico”

della dipendenza da cocainanelle donne rimane una questio-ne controversa. Il consumo di cocaina in gravi-danza si associa a specifichecomplicanze ostetriche come ildistacco di placenta, l’inizio pre-maturo del travaglio, la rotturatempestiva delle membrane, l’i-possia fetale cronica, il ritardo dicrescita del feto e un aumento diincidenza di bambini morti allanascita. L’aumentata incidenzadi aborto spontaneo e di rotturaplacentare è correlata diretta-mente alla vasocostrizione pla-centare e al diminuito apportoematico oltre che ad un aumen-to della contrattilità dell’utero.Questi fattori, in aggiunta allamarcata ipertensione sistemica,possono favorire la rottura pla-centare. L’esposizione prenatalealla cocaina è associata ad unaaumentata incidenza di malfor-mazioni cardiache, sia per ildanno ischemico secondario allavasocostrizione che per l’azionepro-apoptotica della cocaina; adifetti congeniti a carico dell’ap-parato scheletrico e genitourina-rio; ma, una sindrome neonataletipica da cocaina non è statacomunque definita [14]. Dopo lanascita, la vasocostrizione indot-ta dalla cocaina è stata indicatacome il fattore scatenante l’ente-rocolite necrotizzante, la perfo-razione dell’intestino, la trombo-si arteriosa, l’ipertensione e l’i-schemia del miocardio [14].Per quanto riguarda la tossicodi-pendenza da oppiacei, la situa-zione italiana non è sempresovrapponibile a quella stranie-ra, sopratutto americana, dovel’uso dell’eroina da parte delladonna è spesso relegato in areesociali in cui il fenomeno delladisgregazione familiare è parti-colarmente evidente; in Italia, dauna parte, specialmente in pas-sato, l’eroinopatia nella donnaera connessa con la prostituzio-ne o comunque con l’illecito,dall’altra, sopratutto in questi

ultimi anni, siamo di fronte adonne di ogni ceto sociale, tal-volta con una normale attivitàlavorativa e che accettano lamaternità in maniera consapevo-le. Altre volte, invece, la gravi-danza è un ulteriore eventostressante che aggrava la lorocondizione tossicologica. L’andamento della tossicodipen-denza da eroina nella donnaricalca in parte quanto osservatoper l’alcool: si ha spesso unandamento “telescopico” , conun tasso di mortalità più elevatorispetto agli uomini ed una mag-gior incidenza di problematichemediche genito-urinarie e respi-ratorie [15]. Durante la gravi-danza, la donna tossicodipen-dente da oppiacei è a rischio dicomplicanze non solo ostetriche,ma anche tossicologiche, comela sindrome di astinenza e l’over-dose. Entrambe queste duesituazioni determinano l’estrin-secarsi di una condizione di sof-ferenza fetale acuta e/o cronicacon inevitabili ripercussionisullo sviluppo e la crescita delfeto, con conseguenze taloraestreme, fino all’aborto sponta-neo o al parto pretermine. Il trattamento per la dipendenzada eroina durante la gravidanzadeve essere adattato alle esigenzeindividuali della donna. Il tratta-mento di elezione è il manteni-mento sostitutivo con il metado-ne, adattando la dose al soggetto,tenendo conto delle possibili dif-ferenze metaboliche e delle inte-razioni cui il farmaco va incon-tro. Tale farmaco permette ilcontrollo della tossicodipenden-za e ha permesso negli ultimidecenni di ridurre la mortalitàmaterno-fetale, la morbilità feta-le e le complicanze associate[15].Infine, i deficit neuropsicologiciindotti dall’uso della Cannabissembrano essere più marcati tragli uomini dediti ad un consumopesante, ma le donne presentanouna compromissione più accen-

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tuata della memoria spaziale.In conclusione, è opinione di chiscrive che il binomio don-na/sostanze d’abuso meriti unamaggiore attenzione. Molti se-gnali ci indicano che i numeri dialcune tossicodipendenze, adesempio l’alcolismo, si avvicina-no a quelli degli uomini; ed èragionevole aspettarci che i pro-blemi medici legati alle tossico-dipendenze nelle donne supere-ranno quelli degli uomini, per laloro maggior sensibilità fisiolo-gica nei confronti delle sostanzed’abuso. Alla luce dei dati e delle conside-razioni effettuate si rendononecessari interventi terapeuticirivolti specificamente alle donnecon problemi di dipendenza,soprattutto alla donne con pro-blemi tossicologici e in gravidan-za. La partecipazione ad un trat-tamento per la tossicodipenden-za durante la gravidanza è asso-ciata ad un esito favorevole dellagravidanza stessa. Infine, sareb-bero auspicabili anche interventidi prevenzione mirati a bersaglie contesti specifici che tenganonecessariamente conto delle spe-cificità di genere emerse dainumerosi studi sperimentali e

dalle evidenze cliniche.

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L’alimentazione è uno dei fattoriche più fortemente incidono sul-l’accrescimento, sullo sviluppofisico e mentale, sul rendimentoe sulla produttività degli indivi-dui, e quindi, in definitiva, sullosviluppo dei popoli e sul lorodestino. L’alimentazione è dun-que, per l’individuo, una neces-sità vitale: gli alimenti apportanoi nutrienti ed i componenti

nutraceutici indispensabili almantenimento di quell’equili-brio biologico armonioso che siidentifica con lo stato di buonasalute. L’alimentazione è la con-seguenza di una serie di attività,coscienti e volontarie, con cuil’essere umano sceglie gli ali-menti adatti al consumo, li libe-ra dagli scarti, li trasforma e litratta in vario modo, sottopo-

nendoli anche a cottura, e infineli ingerisce. A partire da questomomento si parla di nutrizione:insieme di processi grazie aiquali l’organismo riceve, trasfor-ma ed utilizza le sostanze chimi-che contenute negli alimenti. Datutto ciò si deduce che la nutri-zione dell’uomo dipende essen-zialmente dalla sua alimentazio-ne: l’organismo utilizza quello

18 - Quaderni della SIF (2008) vol. 13

L’altra metà del cielo ed il cibo

Silvana Hrelia

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che riceve e, poiché l’alimenta-zione è volontaria e cosciente,essa è suscettibile ad essereinfluenzata da una molteplicitàdi fattori.Il ruolo delle donne, nel campoalimentazione/nutrizione, è con-dizionato dall’accesso alle risor-se ed influenza non solo il lorostato nutrizionale, ma anchequello della famiglia o di interecomunità. Le donne sono infattile principali garanti della sicu-rezza e qualità in campo nutri-zionale, in quanto spesso sono lesole a produrre, garantire,maneggiare, preparare e servireil cibo per la famiglia e le istitu-zioni comunitarie. In tale conte-sto possiamo definire il ruolodelle donne come produttivo(produttrici e procuratrici dicibo), riproduttivo (quali madri acui è affidato l’allevamento dellaprole), sociale (responsabili del-l’intero procedimento di prepa-razione dei pasti). Le donne producono più dellametà del cibo disponibile almondo. Nell’Africa sub-Saharia-na producono fino al 80% deglialimenti base, in Asia il 50%delle donne sono coinvolte nellacoltivazione del riso e nell’Ame-rica Latina il 40% delle donne ècoinvolto nella lavorazione deicampi. Sono le custodi delladiversità genetica dei vegetali edelle conoscenze correlate ai varitipi di cultivar e sul loro uso, tra-smettendo questa conoscenzaalle figlie.Paradossalmente la WHO, nelcomputo degli “Human Nutri-tion Requirements”, nel presen-tare le necessità caloriche degliindividui in funzione dell’attivitàsvolta, ha classificato il lavorocasalingo come “lavoro sedenta-rio”, che richiede un minimodispendio energetico. Anche neipaesi industrializzati, in cui ladonna opera professionalmenteal di fuori delle mura domesti-che, non si può ancora parlare di“divisione del lavoro” (division of

labour) tra i generi, ma solo di“accumulo di lavoro” (accumula-tion of labour) per le donne.Quindi si tratta di una vera epropria “gender inequality”.La disuguaglianza di genere incampo nutrizionale dipende o èla causa di diversi aspetti didisparità:

• disuguaglianza di mortalità:tassi di mortalità più elevatiper le donne rispetto agliuomini ed una preponderanzadel genere maschile nellapopolazione dei paesi in via disviluppo, opposta alla prepon-deranza del sesso femminilenelle società in cui non siosservano gap di genere alivello nutrizionale e di acces-so alle cure;

• disuguaglianze di natalità: lanascita di un figlio maschio èpreferita in molti paesi, ladisponibilità delle modernetecniche che permettono dideterminare il sesso del fetoha determinato una maggioreincidenza di aborti volontaridi feti di sesso femminile. Lopotremmo definire una sortadi “high tech sexism”. Inoltrealla figlia femmina vieneriservata una qualità di cureparentali inferiore rispetto alfiglio maschio.

• disuguaglianze di opportu-nità educative: le opportunitàdi scolarizzazione sono infe-riori per le donne rispetto agliuomini, a tutti i livelli.Aumentare il livello culturaledelle donne significa anchemigliorare lo stato di salutetramite acquisizione dei con-cetti di salubrità ed igienedegli alimenti, con importan-ti ricadute sullo stato di salu-te di tutta la famiglia e di inte-re comunità.

Nonostante il suo contributo allaproduzione e sicurezza alimen-tare, la donna tende ad essere unattore invisibile nello scenariodello sviluppo. Le statistiche

indicano che nel mondo ledonne hanno accesso a poco piùdel 5% delle risorse disponibili,nonostante siano responsabilidella produzione di circa il 60%di tutte le risorse alimentari.L’effetto delle disuguaglianze digenere è un’aumentata “femmi-nizzazione” della povertà, dal1970 ad oggi la povertà femmini-le è aumentata del 50%; più del70% dei 1300 milioni di indivi-dui che vivono con meno di 1 $al giorno SONO DONNE. La mal-nutrizione femminile è una delleconseguenze della povertà ed èanche una tragica eredità lascia-ta dalla madre ai figli. Circa 150milioni di bambini nei paesi invia di sviluppo pesano meno diquanto dovrebbero in rapportoalla loro età. I bambini grave-mente sottopeso hanno una pro-babilità da 2 ad 8 volte superioredi morire nell’arco di un anno diquanto non abbiano i corrispon-denti normopeso. Attraversol’intero ciclo dell’esistenza ledonne evidenziano un peggiorestatus nutrizionale dovuto a fat-tori biologici (ciclo mensile, gra-vidanza, allattamento) e sociali(discriminazione e minor acces-so alle risorse economiche), chepuò configurarsi in veri e propristati di malnutrizione, non soloproteico-energetica, ma anche dimicronutrienti. In particolarmodo, la WHO ha sottolineato lamaggiore incidenza e la gravitàdei deficit a livello di tre micro-nutrienti: la Vitamina A, il ferroe lo iodio. Sempre in accordo allaWHO, ogni giorno 300 madrimuoiono durante il parto a causadella carenza di ferro, 4.000bambini muoiono a causa dellacarenza di vitamina A e 50.000bambini nascono con ridottecapacità mentali a causa dellacarenza di iodio. La WHO e laFAO, attraverso il FAO Plan ofAction for Women in Develop-ment, adottato per la prima voltanel 1995, si propongono diridurre l’anemia da carenza di

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ferro di 1/3, eliminare la carenzadi vitamina A, eliminare lacarenza di iodio entro il 2010. Lestrategie utilizzate riguardanoprincipalmente la diversificazio-ne dietetica, la fortificazionedegli alimenti e la supplementa-zione dietetica. Mentre gli effetti di un cattivostatus nutrizionale risultanodevastanti sia localmente, siaglobalmente, l’impatto di unostatus nutrizionale migliorato èugualmente potente. Migliorarelo status nutrizionale dellecomunità, specialmente delledonne e dei bambini, può aiutarea superare molte delle sfide incampo sanitario che i paesi in viadi sviluppo stanno affrontando,aiutando in tal modo lo sviluppodel paese stesso. In particolare,la correzione degli stati caren-ziali comporta una serie di bene-fici economici e sociali, qualimigliorato stato di salute eaumentata capacità lavorativa,aumentata efficacia dell’apportoeducativo, diminuita spesa sani-taria, migliorata qualità dellavita. Da non sottovalutare, inol-tre, è il ruolo che le donne pos-sono svolgere nella lotta allapandemia dell’obesità. Un’analisidella WHO sottolinea la relazio-ne esistente tra status socioeco-nomico ed obesità, evidenziandocome l’obesità non affligga solo icittadini dei paesi industrializza-ti, ma stia diventando un serioproblema anche per i paesi in via

di sviluppo. Anche in questipaesi, infatti, la dieta sempre piùcalorica e lo stile di vita sedenta-rio, dovuto alla crescente mecca-nizzazione del lavoro, hannoavuto conseguenze rilevanti. Nelgiro di pochi anni è, ad esempio,notevolmente aumentato ilnumero di cinesi in sovrappeso,mentre in India - paese che ospi-ta circa la metà della popolazio-ne sottonutrita del mondo - è ineccesso di peso il 55 per centodelle donne tra i 20 e i 69 anni,con conseguente aumento deldiabete. Il più basso livello di educazione,la maggiore difficoltà ad acqui-stare alimenti più costosi, qualifrutta e verdura, e la minoreopportunità di svolgere unacostante e regolare attività fisicaaerobica sono alla base dell’im-pressionante aumento del nume-ro di soggetti (soprattutto bam-bini) sovrappeso o decisamenteobesi. Ma analoghe valutazionidi carattere sociale si possonofare in Occidente, dove la per-centuale di soggetti sovrappe-so/obesi è in media stabile, ma inaumento nella popolazione dicolore degli USA, tra gli aborige-ni australiani e gli immigrati dalsud-est asiatico nei paesi indu-strializzati. Ad esempio, inInghilterra gli immigrati dalterzo mondo hanno un BMI(Body Mass Index) superiore aquello della popolazione origina-ria del paese. Le popolazioni del

Terzo mondo che si trasferiscononei paesi industrializzati vannoquindi incontro, nel giro di unao due generazioni, a un forteaumento di peso, con un rischiodi sviluppare la sindrome meta-bolica pari o superiore agli abi-tanti autoctoni. Il ruolo delladonna nella prevenzione/con-trollo della pandemia dell’obesitàdiventerà sempre più importan-te, in quanto la donna è laresponsabile delle cure parentalie della preparazione dei pasti, edovrà diventare sempre di piùco-responsabile dell’educazionenutrizionale in famiglia, in sup-porto alle campagne istituite daiGoverni Nazionali tese ad istrui-re la popolazione ad effettuare lescelte più salutistiche in terminidi alimentazione ed attività fisi-ca.Migliorare la qualità della vitadelle donne, migliorando la qua-lità della loro nutrizione tramiteopportune politiche e program-mi di sviluppo, determineràripercussioni positive non solo amedio termine, ma anche per lefuture generazioni.Migliorare la nutrizione significaquindi migliorare la qualità dellavita. Solo innestando questo cir-colo virtuoso, facendo in modoche le donne rappresentino vera-mente l’altra metà del cibo,potremo garantire uno svilupposostenibile e forse un futuro piùsano e globalmente migliore peril mondo intero.

20 - Quaderni della SIF (2008) vol. 13

SIF e genereFlavia Franconi, Ida Ceserani, Maria Elena Scamoni

Abbiamo ritenuto di fare cosagradita alle nostre lettrici e ainostri lettori fornendo loro i daticoncernenti il genere, relativa-mente ai farmacologi italiani inconfronto, per quanto possibile,con quelli d’altre società scienti-fiche affini. Dal 1969 al 2007 gli

iscritti alla SIF sono passati da143 a 1.206 (Fig. 1), il che sta adindicare lo sviluppo della nostrasocietà. Se stratifichiamo inostri iscritti in base al genere,osserviamo che la presenza fem-minile è notevolmente aumen-tata; infatti, dal 18,9% del 1969

si passa al 31,2% del 1980, perarrivare al 46,3% del 2003 (Fig.3). Dal 2003 al 2006 si osservapoi ancora un trend di crescita,anche se ridotto rispetto al pre-cedente, e nel 2007 si raggiungein concreto la parità. Se andiamo ad esaminare l’orga-

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no di governo della società,emerge che la SIF non ha maiavuto un presidente o un segre-tario donna e che le donne sonostate elette nel Consiglio Diretti-vo dal 1980. Le prime candidateelette sono state la Prof.ssaFranca Buffoni, la Prof.ssa Fassi-na e la Prof.ssa Lucilla Zilletti,costituendo il Consiglio Diretti-vo con la massima partecipazio-ne femminile (42%).La stratificazione in funzionedel genere dei componenti delConsiglio Direttivo (i valori sonoespressi in percentuale, poiché ilnumero dei membri del Consi-glio Direttivo è variato nel corsodegli anni) evidenzia che dopo ilbiennio 1980-82 non si è più

raggiunta una presenza così ele-vata di donne, risultando addi-rittura assenti nei bienni chevanno dal 1984 al 1992 e dal1997 al 2003. Nel 2007, si osser-va un incremento della parteci-pazione femminile nel ConsiglioDirettivo della Società che rag-giunge il 33% (Fig. 3).Siamo andati inoltre a verificareche cosa succedeva nella SocietàItaliana di Tossicologia (SITOX)e nella Società Italiana di Che-mioterapia (SIC). Per quantoriguarda la SITOX (dati dal 1997al 2007), si osserva che già neltriennio 1997-2000 le donnerappresentavano il 25% del Con-siglio Direttivo e che la segreta-ria era una donna (Prof.ssa Mari-

na Marinovich). Nel trienniosuccessivo, la Prof.ssa Marinovi-ch ricopre ancora le funzioni disegretario mentre la rappresen-tanza femminile sale al 33,33%.Successivamente (2003-2006),la quota femminile rimanecostante ed il segretario è anco-ra una donna (Prof.ssa MariaEnrica Fracasso). Infine, neltriennio 2006-2009, la quotafemminile ritorna al 25%: laProf.ssa Fracasso rimane segre-tario ed il presidente eletto, cheentrerà in carica nel trienniosuccessivo, è una donna(Prof.ssa Marinovich). Per quan-to riguarda la SIC (dati dal 1999al 2007), si osserva che nel bien-no 1999-2001, il presidente della

Quaderni della SIF (2008) vol. 13 - 21

Fig. 1Iscritti alla SIF dal 1969 al 2006

Fig. 2Percentuale diiscritti alla SIF,suddivisi pergenere, dal 1969al 2006

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SIC era la Prof.ssa Teresita Maz-zei, mentre la Prof.ssa Bertazzo-ni era il segretario; mi fa obbligoricordare che, prima dellaProf.ssa Mazzei, un’altra donnaaveva ricoperto il ruolo di Presi-dente della SIC ed esattamentela Prof.ssa Giuliana GialdroniGrassi. Nel 2003, solo il segreta-rio è donna, mentre nei due suc-cessivi bienni il ruolo di presi-dente e segretario sono statiricoperti da uomini. Le quotedelle donne nel Consiglio Diret-tivo sono 33,33% e 25% per ilbiennio 1999-2001 e per tutto il

resto del periodo esaminato,rispettivamente.L’indagine è stata estesa allealtre società farmacologicheinternazionali aderenti allaIUPHAR, dove l’indagine hasuscitato un certo interessetanto che ci è stato chiesto ditradurre in inglese i risultati. Lerisposte ottenute sono presenta-te in Fig. 4, evidenziando che in8 paesi (Australia, Austria, Cile,Gran Bretagna, Malta, Svezia,Svizzera, USA) la presenzamaschile è preponderante; sor-prende che la cosa avvenga in

paesi dove l’equità di genere èpraticata da molto tempo comela Svezia e gli USA.Le donne, invece, prevalgono inSlovenia, Portogallo e Grecia,mentre risultano sostanzial-mente in parità in Estonia ed inItalia. Infine, se si considera laSocietà Internazionale di Far-macovigilanza si assiste ad unaquasi parità. In questa figura,sono inseriti anche i dati relativiagli iscritti della SITOX e dellaSIC relativamente all’anno2008, e si vede che la SIC è unasocietà in cui il genere maschile

Fig. 4Stratificazione pergenere degli iscrittialle varie società difarmacologiainternazionali

Fig. 3Donne presentinel ConsiglioDirettivo

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è ancora preponderate, mentrenella SITOX si è raggiunta quasila parità.Ritornando in Italia, siamoandati ad esaminare i ruoli uni-versitari ricoperti dalle donnenell’ambito delle materie farma-cologiche (Tab. 1). Dalla tabellasi evince che a) le donne chericoprono il ruolo di professoriordinari sono circa un quartorispetto agli uomini; b) fra i pro-fessori associati si osserva unasostanziale parità; c) le donnesono molto più numerose deimaschi fra i ricercatori. Concludendo possiamo asserireche per quanto riguarda ilnumero degli iscritti nella SIF siosserva una sostanziale parità digenere, cosa che non si realizzain tutte le società. Mentre, laparità di genere si realizza nelConsiglio Direttivo, questo inparte potrebbe anche dipenderedal fatto che, tradizionalmente,si eleggono professori ordinari eche fra questi prevalgono ancorai signori.

Quaderni della SIF (2008) vol. 13 - 23

Tab. 1 e Fig. 5Suddivisione pergenere deiProfessoriOrdinari, Associatie Ricercatori nelsettore disciplinareBIO/14

ll Prof. Giorgio Cantelli Forti,Presidente del Polo di Rimini,e l’Alma Mater Studiorum,Università di Bologna, stannoorganizzando un ciclo di con-ferenze su “Donna, Società eUniversità”, relativamentealle aree culturali/scientifichecoperte dalle otto Facoltà delPolo scientifico-didattico.Le conferenze hanno lo scoposia di promuovere le potenzia-lità culturali che sensibilizza-re la Città di Rimini circa lapresenza dell’Università. OgniFacoltà ha proposto la propriamanifestazione per una dura-ta complessiva non superiorealle 3 ore.

Per ogni area, ciascuna inizia-tiva è articolata su di una“Donna di successo” chegestirà lo svolgimento deilavori ed evidenzierà, con altrirelatori, anche gli aspetti cri-tici verso i quali la Fa-coltà/Università può offrirecontributi per il migliora-mento.Il primo evento, dal titolo “LaMedicina di genere”, è propo-sto dalla Facoltà di Farmacia;ha avuto luogo il 25 febbraionel pomeriggio ed è statoorganizzato insieme allaSocietà Italiana di Farmacolo-gia (SIF) e alla Società Italia-na di Tossicologia (SITOX).

Un’iniziativa delProf. Cantelli

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24 - Quaderni della SIF (2008) vol. 13

La rivista è pubblicata con grant educazionale di:

SOCIETÀ ITALIANADI FARMACOLOGIAViale Abruzzi, 32 - 20131 Milanoe-mail: [email protected]: [email protected] site: http://farmacologia-SIF.unito.it

CONSIGLIO DIRETTIVO

Presidente:Achille Patrizio CaputiPresidente-eletto:Carlo RiccardiSegretario:Pier Luigi CanonicoPast President:Giovanni Biggio

Consiglieri:Elisabetta Cerbai, Alessandra Con-cas, Diana Conte Camerino, Filip-po Drago, Giorgio Racagni, MarcoScatigna

Quaderni della SIFComitato di Redazione: Giovan-ni Biggio, Sandra Brunelleschi,Pierluigi Canonico, Ida Ceserani,Diana Conte Camerino, Carlo Ric-cardi, Francesco Rossi

Direttore Responsabile: FlaviaFranconi

Pubblicazione iscritta nel RegistroStampa Tribunale di Milano in

data 11 marzo 2005 - N° 528

Programma delle conferenze

• 25-02-2008, ore 16 La medicina di genere

• 07-03-2008, ore 16 Donne e sport di alto livello

• 13-03-2008, ore 16 La musa nascosta.

• 07-04-2008, ore 16 Donne e depressione facciamoceneun’IDEA

• 23-04-2008, ore 16 La moda e la bellezza come malattia ecome terapia

• 12-05-2008, ore 16 Partecipazione al mercato del lavoroin un’ottica di genere

• 17-05-2008, ore 16 Che genere di educazione? Discrimi-nazione e stereotipi di genere nei per-corsi formativi