Il fuoco azzurro

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Tutto inizia quando un giovanotto italiano, Adriano Ferri, imbarcato su un vecchio cargo in rotta per l’America, nei pressi del Triangolo delle Bermude si trova in mezzo a una tempesta magnetica che lo scaraventa su un altro Universo: è il mondo di Zatla, dove i rapporti umani, gli odi, gli amori, le guerre non sono molto dissimili da quelle della Terra. Tuttavia è un altro mondo, dove si muovono popoli e personaggi incredibili, come i fanatici e sanguinari Gundili o i favolosi Hegxen dagli occhi blu che studiano i poteri della mente. In questo mondo Adriano, diventato ormai Jadran Ferry, dapprima perseguitato, trova un suo spazio e diventa suo malgrado un protagonista della storia di Zatla. Dieci anni dopo il suo arrivo, terminata una serie di guerre che hanno insanguinato Zatla, Ferry diventa il Reggente di un piccolo stato chiamato Nordovest al quale si dedica, insieme alla moglie Falen, con tutte le sue forze. ...

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Anna Olcese

IL FUOCO AZZURRO Ferry, Terzo Episodio

Edizioni SHALIBOO

www.shaliboo.it

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Edizioni SHALIBOO

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IL FUOCO AZZURRO Ferry, Terzo Episodio

Copyright © 2010 Anna Olcese ISBN 978-88-6578-001-5

In copertina: immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Giugno 2010 da Digital Print

Segrate - Milano

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Il Fuoco Azzurro (Ferry terzo episodio) Questo è il terzo libro della saga di JADRAN FERRY, che da giovane è stato sbalzato nel mondo di Zatla, un universo parallelo per certi aspetti simile alla Terra, ma dove vivono e operano popoli e personaggi straor-dinari. Dopo molte vicissitudini, FERRY è diventato Reggente di un pic-colo stato di Zatla, il Nordovest, che governa insieme alla moglie FA-LEN. I loro figli sono JELS di 22 anni e MILNE di 17, impegnati il pri-mo nella carriera militare e la seconda nello studio. A KATA, capitale del Nordovest, vivono anche HALLEN HEERIO, l’amico fraterno di Ferry, sua moglie ALEDIA e il loro figlio GUNAR. Ci sono pure i fede-lissimi SAYADEN BRANT, diventato un importante docente di storia, e KAI SWATH, un guerriero della tribù dakei, che comanda la Guardia dei Reggenti a Kata. Le vicende di tutti loro si intrecciano variamente con quelle del popolo dakei, di cui fa parte GERRIT BURNI, e con quelle del popolo Hegxen, che studia i poteri della mente. Un giovane Hegxen in particolare, YA-SEI AREHSEN, sarà importante nella storia. Non mancano i personaggi negativi, e inoltre nel mondo di Zatla aleggia sempre la presenza inquietante della setta dei fanatici adoratori di Gunda, i GUNDILI, il cui capo riconosciuto, ARISINGH KA, ha giurato odio e vendetta nei confronti di Ferry e della sua famiglia….

I romanzi precedenti:

Ferry, il cuore e la spada (Ferry primo episodio) 2007, Il Filo Edizioni Le guerre di Zatla (Ferry secondo episodio) 2009, Il Filo Edizioni

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PRIMA PARTE

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1.1 Kata, la capitale del Nordovest, è in festa: si celebra il 12° anniversario della liberazione del Paese dal tiranno Drewi Kleyst, che aveva sperato di fare del Nordovest il suo regno personale occupandolo col terrore. A quel tempo, i fieri montanari del Nordovest non si erano piegati e la loro ribellione, dapprima repressa nel sangue, aveva finito per trionfare con l’aiuto dell’armata di Jadran Ferry che ora governa il Paese. I Reggenti del Nordovest sono Jadran Ferry e sua moglie Falen Kerialys; Jadran Ferry non è più uno “Straniero” su Zatla, il mondo parallelo nel quale è piombato dalla Terra tanto tempo fa. Zatla è la sua patria. Dap-prima perseguitato appunto perché “Straniero”, aveva finito per conqui-starsi la stima e il rispetto perfino del grande Victor Haren e di Dalkyt Horo, che governano rispettivamente le due maggiori regioni di Zatla e che, dopo una lunga e sanguinosa guerra, si sono accordati di richiedere a lui, lo Straniero, di governare autonomamente il Nordovest, una regio-ne aspra e montagnosa, protesa sul mare, avara di risorse, abitata da bianchi e behir, gli uomini scuri dai lucidi capelli a caschetto: le due raz-ze da secoli convivono pacificamente e difendono strenuamente la loro terra. Ci sono anche altri popoli, su Zatla: i dakei, un tempo tribù semiselvagge sepolte nelle foreste, ora unificate almeno in parte dall’illuminato gover-no di Gerrit Burni che adesso ha cinquant’anni. Anche Burni è stato una figura determinante nelle vicende di Jadran Ferry; è anche un capace di-plomatico, e si deve a lui se la guerra tra Victor Haren e Dalkyt Horo non si è trascinata più a lungo, con lutti e rovine per tutta Zatla. Poi ci sono gli Hegxen, nel Territorio del Sud in mezzo alle montagne. Ma gli Hegxen, gli uomini scuri dai capelli chiari e gli occhi di un azzur-ro intenso, è quasi come se non ci fossero, su Zatla. Loro da secoli stu-diano i poteri della mente e sono capaci di fare cose incredibili: tuttavia usano questi poteri solo in rarissime occasioni, e in genere si disinteres-sano delle vicende e delle guerre di Zatla. Eppure, Jadran Ferry è stato salvato più volte da uno di loro, Daisal Derensen, suo antico compagno di campo, con interventi a dir poco miracolosi: lo ha fatto guarire in po-chi secondi dopo che i suoi nemici lo avevano torturato a morte; e ha fat-

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to fuggire lui e i suoi compagni dal covo dei Gundili assassini semplice-mente aprendo le porte con la forza della mente. Ma questo è il passato. Jadran Ferry guarda al passato con serenità, ma bada soprattutto al presente. Da quando è diventato Reggente si è dedica-to con tutte le sue energie al benessere del Nordovest. Ha lasciato una grande autonomia alle città, ai paesi e alle tribù esercitando più che altro una funzione di controllo, e ha cercato anche di dare al Paese qualcuno di quei mezzi dei quali dispongono Tryani e Hyver, le due grandi regioni di Zatla: le comunicazioni foniche, i servizi pubblici di autobus a gas, o-spedali efficienti, organizzazione per i telemessaggi, gli antigrav. Per questi ultimi la cosa è più difficile perché ci sono solo due fabbriche di antigrav, in Tryani e Hyver, e uno di questi mezzi costa troppi soldi per un Paese piccolo e scarso di mezzi come il Nordovest. Ferry ne ha prati-camente tre su tutto il territorio, e li usa per le emergenze. Anche Kata, per quanto storicamente capitale del Nordovest, non è che una piccola città raggruppata intorno al grande castello costruito secoli addietro dai re barbari. Il castello ospita ora le abitazioni dei Reggenti, gli uffici pubblici, i Responsabili di settore e in pratica quasi tutti i servi-zi pubblici del Nordovest. Sulla parete del muraglione che dà sulla piazza c’era, un tempo, una fila di ganci: in passato vi si appendevano gli oppositori del re, quando non venivano gettati ancora vivi a morire dopo lunga agonia. Il destino ha voluto che Drewi Kleyst, il feroce oppressore, trovasse la morte proprio su uno di quei ganci. Dopo di allora, Ferry li ha fatti togliere dal mura-glione. Sono a Kata anche Hallen Heerio, amico fraterno di Ferry, e la sua fami-glia; Hallen è Responsabile della Difesa e dell’ordine del territorio; Il Comandante militare di Kata è Sayaden Brant, il gigantesco drax di po-che parole. E’ rimasto a Kata anche Kai Swath, il guerriero dakei che anni addietro era stato Guardia del corpo di Milne, la figlia di Ferry, e che adesso comanda la Guardia personale dei Reggenti: fa sempre un po’ impressione perché suo malgrado ha un aspetto piuttosto feroce. Soltanto Milne, si permette di trattarlo con confidenza e persino prenderlo in giro, cosa che Kai Swath non tollererebbe da nessuno al mondo. Milne Ferry, 17 anni compiuti, una cascata di capelli biondi, un viso ri-dente, la voglia di vivere in persona. E’ di una somiglianza impressio-nante con sua madre, Eris Dehevian, la prima moglie di Ferry, che è morta quando lei aveva solo tre anni. Ma il suo carattere estroverso e al-legro è più duro di quello di Eris: sebbene voglia molto bene a suo padre e sua madre, entra molto spesso in conflitto con loro, proprio per quel

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suo carattere dai desideri tanto improvvisi quanto incostanti, che mal sopporta la disciplina, i doveri, le proibizioni. Da piccola, Milne ha avuto una vita assai movimentata: rapita a suo pa-dre, rinchiusa nell’Istituzione Orfani dove aveva conosciuto violenza e privazioni, uscita di lì per merito di Falen Kerialys, che adesso è la mo-glie di Ferry, portata in giro a seguito dell’esercito durante la guerra. Più tardi, tornata la pace, Ferry ha cercato di inquadrarla in una vita regolare, mandandola a scuola e cercando di dare ordine alla sua esistenza. Ma se questo gli è riuscito con Jels, figlio adottivo suo e di Falen, più difficile è stato ottenere ubbidienza da Milne. Jels Ferry adesso ha 23 anni ed è un bel ragazzo dai riccioli neri che le donne guardano con ammirazione. E’ diventato un drax in un Campo di addestramento della Hyver; poi si è specializzato anche come Grani e sta pensando se andare avanti nella carriera o tornare nel Nordovest dove suo padre sarebbe lieto di cedergli una parte delle sue responsabilità. Per ora è alla sua prima missione vera e propria, ma ha chiesto dieci giorni di permesso per tornare a Kata per i festeggiamenti. I tetti sono ancora bianchi di neve, ma la primavera già si fa sentire.

* * *

Jels aveva attraversato a cavallo tutto il Nordovest, riconoscendo i sen-tieri, i passi alpini, le foreste, i torrenti, respirando con gratitudine l’aria tersa di quella terra aspra e in qualche modo selvaggia, dormendo in mo-deste locande di piccoli paesi costruiti nelle pieghe della montagna. A-desso era arrivato a Kata, dove si respirava già aria di festa: le case per la maggior parte basse e modeste, avevano alle finestre bandiere e strisce di tessuto colorato; nelle strade strette che salivano verso il Castello la gen-te si muoveva numerosa: bianchi e behir, più o meno in egual numero, e qualche sangue misto. Jels era riconoscente a suo padre, Jadran Ferry, di aver rispettato la cul-tura del Nordovest evitando di introdurre novità traumatiche. Sapeva che il merito era in egual misura di sua madre, Falen Kerialys, una donna ec-cezionale per intelligenza, sensibilità, coraggio. Jels aveva condiviso con lei avventure terribili quando era ancora un bambino, e si sentiva legato a Falen con un legame fatto di stima e di solidarietà, che andava oltre l’amore filiale. Le porte del Castello erano aperte, come sempre da quando Ferry era di-ventato Reggente: le guardie esercitavano solo un discreto controllo. Jels fu subito riconosciuto dai drax di guardia sulla porta, che si irrigidirono

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salutando: dopo tutto, lui era ufficiale dei drax, oltre che il figlio dei Reggenti. Jels rispose al saluto portando la mano alla tempia, poi scese da cavallo sorridendo amichevolmente. «Daljet, compagni. Dove posso lasciare il mio cavallo?» «Alla scuderia centrale, signore. Se vuoi, posso incaricarmi io di portar-lo» «Grazie, faccio da solo» entrò nell’immenso cortile conducendo il caval-lo per la briglia. Cercava di mimetizzarsi fra la gente, ma fu egualmente riconosciuto e salutato da più parti. Il sole era alto, e le ultime chiazze di neve si scioglievano lentamente. Lasciò il cavallo alle cure del personale di scuderia e salì verso l’edificio principale del Castello, portando in spalla il suo modesto bagaglio. Un gigantesco guerriero dakei carico di bracciali scintillanti gli venne incon-tro. «Jels! Che Dinata mi fulmini, Jels in persona!» «Kai! Sono felice di vederti» sorrise al dakei che lo sovrastava di mezza testa. Kai Swath gli batté le mani sulle spalle. «Hai un’aria fiera, Jels. Sei ufficiale, vero?» «Ufficiale dei drax, sottocapo dei Grani» «Si, stai facendo una buona strada» Kai diede un’occhiata ai gradi dorati sulla casacca scarlatta di Jels «resterai a Kata?» «Forse, in seguito. Attualmente ho una missione, e poi devo completare ancora il mio addestramento» «Tuo padre è nel suo ufficio» disse Kai indicando in alto. «Grazie, andrò subito da lui. Ci vediamo dopo, Kai» Mentre saliva le scale, a metà pianerottolo Jels incontrò Milne, una nuvola di riccioli biondi, la gonna cortissima decorata di gioielli e smalto, giubbetto aderente che sottolineava la curva del seno. «Jels!...» con un’esclamazione di gioia Milne corse ad abbracciarlo; poi lo tenne per le spalle, guardandolo da capo a piedi. Da un anno non si vedevano «sei proprio un bel ragazzo, non c’è che dire. Stai bene?» «Benissimo. E tu... tu sei cambiata» «Certo che cambio!» Milne rise «ho 17 anni, non sono mica una bambi-na, sai» «Direi che si vede» Jels alzò un sopracciglio osservando il corpo giovane ed elastico della sorella che si appoggiava pigramente alla balaustra «mi sembri un gatto selvaggio pronto a scattare» «Eh, certo, a scattare sul primo bel ragazzo che vedo!» Milne fece una piroetta «non hai qualche amico con te?»

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«Sono venuto solo» Jels diede un’occhiata verso l’alto dove stavano gli uffici, poi guardò ancora sua sorella «ma, tu, non credi di avere freddo?» indicò le gambe nude di Milne con aria critica. «Non fare dell’ironia» ribatté subito lei «io mi vesto come mi pare» «Immagino che porterai qualche subbuglio fra tutti questi uomini» disse Jels con tono di disapprovazione. Milne alzò le spalle. «Non farmi le prediche, Jels» «Bene, vado su» spesso non sapeva come prenderla, e giudicò opportuno battere in ritirata «ci vediamo più tardi» Salì fino all’ufficio di Ferry. La guardia sulla porta lo informò che il Reggente stava parlando con il Comandante Militare ma non lo fermò. Jels bussò prima di entrare e quando fu davanti a suo padre mise un gi-nocchio a terra «Daljet, padre» «Jels!» Ferry si alzò e si abbracciarono «sono felice di rivederti. Stai be-ne, vedo. E so che ti stai facendo onore» «Va tutto bene, padre?» «Abbastanza. Abbiamo avuto un inverno freddo, e il raccolto sarà scarso, ma il Nordovest sopravviverà. Ma tu, quando pensi che potrai rimanere qui?» «Vorrei ancora qualche anno per completare la mia esperienza. Adesso ho un incarico, ma ho chiesto dieci giorni di permesso per venire qui» «Hai ragione. E non pensi di tornare per qualche tempo dagli Hegxen? Potrebbero insegnarti molte cose utili» «Ci ho pensato, padre, ma non fa per me... le loro tecniche mentali sono fuori della mia portata» «Ci vuole solo tempo e costanza» «Appunto... ma capisci, padre, non riuscirei a restare in meditazione per ore e giorni» «Ti capisco» Ferry sorrise «e anch’io preferisco l’azione concreta. A-scolta, ho sentito di quella storia con quel tuo compagno di campo» «Già; Arle Skeiar» Jels non ricordava volentieri quell’episodio: avevano scoperto che Arle Skeiar, suo compagno in un Campo di addestramento, vendeva chorka ai compagni, ed era toccato proprio a lui, Jels, denun-ciarlo e farlo cacciare dal campo «Lui mi ha giurato vendetta... mi è di-spiaciuto denunciarlo ma non avevo altra scelta» «Tu hai fatto la cosa giusta. Un drax non può permettersi di rovinare i suoi compagni con la chorka» «Bene, vado a salutare mia madre» «Dev’essere nell’Ufficio dell’Agricoltura» Ferry gli mise la mano sulla spalla «tua madre e io siamo molto fieri di te, Jels»

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«Grazie, padre» Jels rivolse un saluto a Sayaden Brant, il Comandante Militare che al suo ingresso si era fatto da parte per non disturbare il loro colloquio. Si voltò prima di uscire «Ah, ho incontrato Milne» «Come l’hai trovata?» «Beh... cresciuta» «Già; ogni giorno che passa Milne si sente crescere... quella ragazzina ha un carattere difficile» «Si è fatta molto carina. Immagino che saranno in tanti a girarle intorno» «Ah, non c’è dubbio. E non si può dire che lei non si diverta a provoca-re» aggiunse Ferry con una certa irritazione «a volte mi domando...» scosse la testa «va’ da tua madre, Jels, Oggi è giornata di festa» Falen Kerialys, che stava leggendo un rapporto sulla produzione agricola nel paese, sollevò la testa quando Jels entrò e la sua faccia si illuminò. Si alzò per andargli incontro. Jels mise un ginocchio a terra e le baciò la mano «Daljet, madre» «Jels, ragazzo mio!» si abbracciarono sorridendo «sei arrivato adesso?» «Venti minuti fa. Sono passato da mio padre, ed eccomi da te» «Mi sembri cresciuto» disse Falen tenendogli le mani sulle spalle e con-siderandolo da capo a piedi. Jels rise. «Non si cresce più a ventitré anni, mami» ogni tanto la chiamava ancora “mami” come quando era un bambino. «Non di statura. Sembri più maturo, ecco» Falen fece una carezza sui riccioli bruni di Jels che la superava di mezza testa. «E tu sei sempre la stessa, mami. Anzi direi che sembri ringiovanita» «Certo, sto contando gli anni al contrario» risero insieme, poi Jels si se-dette e parlarono di tutto un po’ e in particolare della vita di Jels al Campo militare e poi al Comando di Cooney. «Ho un incarico nel Deserto di Pietra» disse Jels «devo ripartire fra sei giorni. Sono qui solo per i festeggiamenti» «Tuo padre sarebbe felice che tu rimanessi qui» «Si, lo so. Gli ho chiesto ancora un paio d’anni. Vorrei completare la mia esperienza nella Milizia e continuare a studiare ancora un po’» «Hai ragione» Falen gettò indietro i capelli chiari nei quali i numerosi fili argentei quasi non si distinguevano. Il suo fisico forte e snello non dimo-strava i suoi 42 anni «Hai visto Milne?» «Si... è diventata un tipo, direi» «Già. Milne ha una determinazione nell’ottenere ciò che vuole che a vol-te mi preoccupa. I suoi rapporti con suo padre non sono dei migliori. E certi suoi atteggiamenti non sono sempre opportuni»

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«E’ solo una ragazzina... maturerà, vedrai. Non ti ricordi come ero io a tredici anni?» «Mi ricordo, si: una vera peste!» risero insieme, poi Falen si alzò «Basta lavorare oggi. Ti accompagno di sotto e poi esco a fare una passeggiata a cavallo» «Da sola?...» «Magari! Un paio di drax della Guardia mi si mettono alle calcagna e per quanto io tenti di seminarli non mi perdono di vista. Sono discreti però, devo ammetterlo» «Sei sempre la stessa, mami» disse Jels con ammirazione «ma mi sento più tranquillo sapendo che hai una scorta, anche se qui nel Nordovest tut-ti ti vogliono bene» «Andiamo» Falen uscì con lui salutando la guardia sulla porta, e scese velocemente al primo piano, dove c’erano i loro appartamenti.

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1.2 Jels passò quel giorno e i successivi a ritrovare i vecchi amici, uscire per le strade di Kata, partecipare ai festeggiamenti dell’anniversario, parlare con suo padre e sua madre. Andò a trovare Hallen Heerio, che era il Re-sponsabile dell’Ordine e della Difesa e che non era molto cambiato in quei dodici anni. Hallen era sempre stato, fin da giovane, corteggiato dal-le donne, e ne aveva abbondantemente approfittato. Il suo matrimonio con Aledia era entrato in crisi, subito dopo la nascita di Gunar, per i rei-terati tradimenti di Hallen. «Aledia» aveva detto lui con franchezza alla moglie dopo la loro riconciliazione «io sono un maledetto bastardo che quando vede una bella ragazza non è capace di girarsi di là... ma una co-sa ti giuro:solo tu sei la mia donna, e io non ti lascio più» Aveva mantenuto la promessa, salvo qualche sporadica distrazione, rien-trata peraltro velocemente nella normalità. Milne, che aveva molta con-fidenza con lui, lo prendeva a volte scherzosamente in giro «Siamo in-vecchiati eh? Sei diventato proprio un marito modello» e lui ribatteva «e tu sei una ragazzina impertinente» Ridevano entrambi; e Hallen conside-rava che quella ragazzina, con un corpo così e quei riccioli biondi, con quell’atteggiamento disinibito, innocente e provocante insieme, avrebbe ben presto fatto girare la testa a molti uomini. Jels rivide volentieri Hallen e sua moglie Aledia. Gunar, che aveva allora quasi diciassette anni, era assente. Hallen Heerio non sembrava aver ri-sentito degli anni trascorsi: solo qualche filo grigio nei capelli biondi stava a indicare i suoi quarantasette anni. Il fisico, mantenuto in costante esercizio dalla vita all’aria aperta, era tuttora snello e scattante. Aledia non aveva un solo filo bianco nei suoi capelli biondo-rame che avevano sempre costituito una delle sue attrattive. Parlarono a lungo dell’attività di Jels e degli amici comuni. Poi Jels chie-se notizie di Gunar. «E’ giù al Campo per le esercitazioni, ma sarà presente al corteo di stase-ra» «Immagino che sia ancora cresciuto» «Bè, ormai è alto come me» disse Hallen «ma se intendi parlare di età mentale, sicuro, è molto cambiato in questi ultimi anni»

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«E’ diventato anche silenzioso» aggiunse Aledia «se ne sta spesso rinta-nato da qualche parte ed è molto selettivo nelle sue amicizie» «Sarà innamorato» scherzò Jels. «Non credo. Non parla mai di ragazze» «Al contrario di suo padre» disse Hallen con un sorriso. «Per amor del cielo» disse Aledia «tu eri anche troppo sfacciato» «Via, non mi dire queste cose davanti a Jels, che potrebbe scandalizzar-si» Hallen andò dietro la spalliera della poltroncina dove sedeva Aledia, si chinò a baciarla sul collo. «Certo che per voi due gli anni non sono passati» commentò Jels, e Hal-len rise andando a risedersi. «Così fosse! Il tempo però passa anche per noi...» Jels trovò Gunar la sera, prima di cena: il figlio di Hallen veniva da un’esercitazione al Campo dei Leo, e portava ancora la tunica azzurra senza maniche con i fregi dorati che costituiva l’uniforme di quella Mili-zia. Aveva ereditato il fisico di suo padre unendovi la bellezza di sua madre e, giudicò Jels, si avviava a diventare uno dei ragazzi più corteg-giati di Zatla. Gunar lo salutò amichevolmente, ma Jels notò che c’era qualcosa nel suo atteggiamento che lo rendeva più riservato e diverso da come lo aveva conosciuto fino a un anno prima. Lo attribuì al passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Quando ebbero cenato uscirono tutti per il grande corteo con le fiaccole. Jels dapprima seguì suo padre e sua madre che, insieme ai vari capi mili-tari e civili del Nordovest, aprivano il corteo a cavallo. Poi lasciò il suo cavallo a una delle guardie e si immerse nella folla. Nell’oscurità rotta da migliaia di fiaccole ben pochi lo riconoscevano per il figlio del Reggen-te. Non aveva più visto Milne, che inizialmente era, come lui, in testa al cor-teo. La trovò per puro caso: sembrava una coppietta come tante altre, nella semioscurità di una delle siepi che correvano a lato della strada per il Castello. Ma Jels riconobbe il giubbetto ricamato che Milne aveva ad-dosso, quella sera: lei e un ragazzo della sua età si stavano baciando, se-misdraiati dietro la siepe, il ragazzo quasi steso su di lei. Jels si fermò nell’ombra. Rimase un momento indeciso. Il comportamento di Milne era decisamente scandaloso, pensò furioso. Quella stupidella doveva smetterla. Il ragazzo continuava a baciarla, la mano dentro il giubbetto.

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«Milne» chiamò Jels a bassa voce. Il ragazzo sussultò e saltò in piedi fa-cendo qualche passo indietro, imbarazzato e anche un po’ spaventato. Milne si riassestò il giubbetto con naturalezza. «Daljet» disse al ragazzo «ci vediamo» Il ragazzo si allontanò quasi di corsa. Milne guardò il fratello con aria fra divertita e canzonatoria «Bè? Mi fai la guardia, adesso?» «Non mi piace come ti comporti» disse Jels scuro in faccia. Milne alzò le spalle. «Non fare il moralista, Jels. Non stavo facendo niente di male. Ci stava-mo solo baciando» «Ma con un ragazzo sconosciuto!...» «In questo hai ragione... ma c’è aria di festa, in giro. Non stavamo facen-do niente di male, giuro» «Comunque, non è il caso che tu ti faccia sbattere in quel modo dal pri-mo che passa» ripeté Jels corrucciato «Nostro padre...» «Nostro padre!» esclamò Milne spazientita «lui è sempre pronto a farmi le prediche. Ci manca che cominci anche mio fratello. Io non ti vengo mica a controllare cosa fai tu con le ragazze...» «E’ diverso» disse subito Jels. «E’ diverso!» scimmiottò Milne fermandosi presso la siepe «Non sapete dire altro, voi maschi! In che cosa, è diverso!» «Ma...» «A che età hai cominciato a baciare le ragazze, eh?» incalzò Milne «scommetto la testa che a dodici anni già sapevi usare la lingua, e a quindici avevi già provato a scopare, no?» «Non mi va di parlare di queste cose» disse Jels non sapendo cosa ri-spondere. Milne lo afferrò per le braccia facendogli fare un girotondo, ridendo. «Su, Jels! Non rovinare queste giornate di festa» «E’ solo che tu sei mia sorella» protestò lui, già vinto dal sorriso di Mil-ne «e forse io sono geloso, come tutti i fratelli maggiori» Milne guardò oltre la siepe, il corteo che continuava a sfilare. Toccava ora ai gruppi sportivi: facce di giovani ridenti, che tenevano alte le torce, giubbetti multicolori decorati in metallo, che lampeggiavano sotto la luce delle torce. «Dovrò trovare qualcuno con cui fare l’amore la prima volta» disse Mil-ne pensosa, guardando il corteo passare. Jels l’afferrò bruscamente per un braccio. «Di’, sei ammattita?» «Dico sul serio. Non credi che sia ora?»

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«Ma, Milne!...» «Non vorrai mica che resti vergine, vero? Non ti scandalizzare, via. Non voglio farlo col primo venuto, ma con qualcuno che valga la pena» «Sono... sono... non so cosa dirti» balbettò Jels domandandosi se pren-derla a schiaffi, trascinarla da suo padre, o mettersi a ridere. «Non aver paura che io resti incinta: se c’è una cosa che ho imparato be-ne, in quei sei noiosissimi mesi passati con gli Hegxen, sono le tecniche mentali per non restare incinta» Jels la osservò sbalordito «Mi fai quasi paura... Hai solo diciassette anni, Milne» «Certo. E sono molto matura, credimi. Non come quel bamboccio di Gunar che sta alla larga dalle ragazze. Eppure, bello com’è, potrebbe...» Jels non le permise di sviare il discorso «Lascia perdere Gunar. Sei tu che stai esagerando. E non hai neanche la maggiore età» «Lo so, lo so, nel Nordovest si diventa maggiorenni a vent’anni. Ma a diciassette si hanno già molti diritti, e credo che quello di far l’amore sia assolutamente riconosciuto» «Smettila, Milne» «Ti prego» Milne gli rivolse il suo sorriso luminoso che conquistava tutti «Non essere severo, Jels. Non volevo guastarti la serata. Farò la brava bambina, sei contento?» Jels fece un respiro profondo, ancora incerto se lei lo stesse prendendo in giro o no. Concluse di no, e le mise un braccio sulle spalle «Andiamo, vieni a casa. La festa è quasi finita, e domani ci saranno i Giochi» «Già, i Giochi! Sai che forse verrà anche Klavios? Lui sì che è bellissi-mo» Jels rise «Ti piacciono gli uomini maturi, adesso?» scherzò «Klavios ha il doppio della tua età» «Ma ha un fisico affascinante, ammettilo. Meglio di tanti giovani» Klavios Derey, Comandante di 1° grado dei Leo della Hyver, era uno dei diretti collaboratori di Victor Haren: un personaggio, insomma. Aveva trentacinque anni ed era stato famoso, anni prima, per aver vinto un gran numero di Giochi sportivi. Era di razza behir, scuro di pelle e con i capelli a caschetto, originario proprio del Nordovest. Era un amico di vecchia data di Ferry e Hallen Heerio. Viveva ormai da dodici anni a Cooney. «Dici che Klavios verrà qui domani?» si informò Jels. «Forse. Nostro padre ha detto che sarà presente sicuramente fra tre mesi ai Giochi di Primavera. Ma io fra tre mesi probabilmente non sarò a Ka-ta»

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«E dove sarai?» domandò Jels incuriosito. «Ho chiesto a nostro padre di mandarmi per tre anni all’Istituto Superio-re di Cooney» «Ah» Jels la guardò meglio, alla luce incerta delle fiaccole. Forse Milne era più matura di quanto lui pensasse «e cosa vorresti studiare?» «Scienza degli animali e delle piante. A Coo c’è l’Istituto più famoso di Zatla, lo sai» Jels annuì. Aveva studiato anche lui qualche anno in quell’Istituto «E nostro padre cosa ha detto?» «Lui e mami sono d’accordo. Partirò fra quindici giorni. Kai Swath mi accompagnerà fino alla prima stazione degli autobus» «Complimenti, sorellina» disse Jels dopo un momento «sul serio, mi fa molto piacere. Solo... stai attenta» «Jels!...» «E’ vero, scusami. Non roviniamoci la festa» risero insieme, poi saliro-no su per la via piena di gente in festa, verso il Castello.

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1.3 Klavios Derey arrivò due giorni dopo, a cavallo, in tempo per presenzia-re ai Giochi sportivi che si svolgevano nello stadio coperto. I Giochi veri e propri, in onore della primavera, si sarebbero svolti tre mesi dopo nella grande arena all’aperto. Anche Derey non veniva a Kata da quasi un anno; in quel frattempo si era solo incontrato una volta con Ferry durante una visita di quest’ultimo a Cooney per parlare con Victor Haren. Quando arrivò a Kata, gli dissero che i Giochi erano già iniziati e che i Reggenti e tutta la loro famiglia si trovavano già allo stadio. Decise perciò di andare allo stadio direttamen-te. Quando Klavios Derey entrò nella tribuna, splendido come un dio paga-no, il corpo bronzeo rivestito della tunica dorata dei Leo e le braccia sco-perte, in molti si girarono a guardarlo. Fu riconosciuto e accompagnato alla tribuna centrale. «Daljet, Jadran, e salute a te, Falen» salutò Derey: Tutti si alzarono con esclamazioni di benvenuto e gli andarono incontro. Hallen gli mise un braccio sulle spalle. «Vieni, vecchio mio. L’aria di Coo ti fa bene, mi pare» «Non è male, anche se qui nel Nordovest mi sembra di rivivere» «Per forza, è il tuo paese» «L’ho lasciato quando ero piccolo. Praticamente ho vissuto a Tryan, e poi a Coo. Ma raccontatemi di voi. Tu sei Jels, vero?» gli strinse la ma-no. «Mio figlio è in permesso per i Giochi» disse Ferry «e ripartirà dopodo-mani. Ma siediti con noi, vieni» Milne, che all’arrivo di Derey stava seduta nella tribuna, si alzò per an-dargli incontro «Daljet, Klavios» disse tendendo la mano. Ma Derey le diede un bacio sulla guancia con un amichevole buffetto, come a una bambina. Poi si tirò indietro di un passo e la guardò meglio «Ma come sei cresciuta» osservò «l’ultima volta che ti ho visto mi sem-bravi ancora una marmocchietta capricciosa»

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«Bè, il tempo è passato» Milne gli rivolse un sorriso smagliante, scuo-tendo i riccioli biondi mentre le decorazioni dorate del suo blusotto az-zurro mandavano lampi sotto le potenti lampade dello stadio. «E’ vero, è cresciuta» disse Ferry mettendo una mano sulla spalla di sua figlia «in quanto ai capricci, però...» Derey rise, e Milne strinse le labbra contrariata. Subito dopo però ritrovò l’allegria e prese Derey per la mano mentre tutti tornavano a sedersi. «Vieni, siediti vicino a me» disse «davvero che sei sempre bellissimo, Klavios» «Ah, Klavios» scherzò Hallen «questo è un complimento importante: Milne sa riconoscere il fascino negli uomini» «Sicuro» ribatté subito Milne, rivolta a Hallen «non penserai mica di es-sere il solo uomo attraente del mondo...» Hallen le allungò uno scapac-cione e tutti risero. Intanto, erano ricominciati i Giochi, e l’attenzione di tutti si rivolse all’arena.

* * * Molto più tardi, Falen Kerialys entrò nella stanza di Milne mentre questa stava per andare a dormire. La stanza era in disordine e alle pareti c’erano ritratti di campioni sportivi. «Ciao mami» disse Milne, che indossava un leggero pigiama senza ma-niche, già pronta per andare a letto. Falen si sedette sulla sponda del let-to. «Piaciuti i Giochi?» domandò. «Oh, sono un po’ sempre gli stessi... certo è bella l’atmosfera di festa, ma io preferisco i Giochi di Primavera, si può stare di più all’aperto» «Tuo padre e io non approviamo certi tuoi atteggiamenti» disse Falen che non amava girare intorno ai discorsi. «Per esempio?...» Milne era già sulla difensiva. «Per esempio, il modo di provocare gli uomini» «Non credo che...» «Aspetta. Ti vedo sempre con vestiti cortissimi, o aderenti, o scollati, e sembra che tu li indossi con la precisa intenzione di provocare, muoven-doti come una gatta quando sei in presenza di maschi» «Ma come mi osservate, tu e mio padre» disse Milne giocherellando col bracciale d’oro che aveva al polso. «Non è forse vero?» «Mami... ho diciassette anni!»

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«Appunto. Anche le frasi che butti là, perfino agli uomini più anziani di te, non sempre sono opportune, proprio perché hai diciassette anni» «Ti riferisci alle battute che ho detto a Klavios e a Hallen?» «Anche a quelle» «Ma mami, io volevo soltanto scherzare!» la guardò con occhi innocenti, e Falen le carezzò la guancia. «Lo so, tesoro. Ma è proprio perché hai diciassette anni, e non più dodici o tredici, che devi controllare di più quello che dici, specie in presenza di tanta gente» «Non so» disse Milne che sembrava sul punto di piangere «non mi sem-bra di fare niente di male. E’ vero, io scherzo spesso con Hallen, ma lui ha l’età di mio padre! E in quanto ai miei vestiti...» scosse con impazien-za i riccioli dorati «ma perché un uomo può fare lo stupido con le donne e non il contrario? Io... io mi diverto a provocare un po’ i ragazzi, è vero, ma senza intenzione di far del male. In fin dei conti, mami, io non ho an-cora mai fatto l’amore con un uomo» Falen non si scandalizzò, ma le mise amichevolmente un braccio sulle spalle «Non farlo, Milne, finché non sarai sicura di volerlo veramente, e che ne valga la pena» «Tu... hai avuto degli uomini prima di sposare mio padre, no?» «Si, certamente» Falen non si stupì di quel discorso diretto «sai che quando l’ho conosciuto avevo quasi trent’anni... ho fatto l’amore per la prima volta a ventun anni, se è l’età che ti interessa. Ma quello che conta è essere sicuri di volerlo, Milne» «Tu e mio padre siete una bella coppia, mami» disse Milne convinta, e Falen sorrise divertita. «Quando tuo padre e io ci siamo messi insieme, non eravamo più ragaz-zini, ed eravamo in grado di capire che stando insieme ci si deve amare ma anche rispettare e, a volte, sopportare reciprocamente. Tu sei così giovane, Milne» «Tu e papi siete preoccupati che io faccia qualche sciocchezza mentre sono da sola a Coo, vero?» «E’ impossibile non esserlo. Sono tanti i rischi per una ragazza sola, a Coo» «Ma io mi so difendere» «Ah, non ne dubito. Ma le tentazioni sono tante, c’è il rischio di cattivi incontri, ci sono gli spacciatori di chorka, ci sono le delusioni nell’amicizia e nell’amore...» «Non prenderei mai la chorka: so che di quella roba si muore. Però, ma-mi, se mi capitasse di essere sicura di voler far l’amore...»

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«Ma cos’è, un’idea fissa?» domandò Falen sorridendo. «Lo sai che non corro il rischio di restare incinta: so applicare le tecniche hegxen...» «Non è questo. E’ che... forse non sei ancora abbastanza matura» «Mami, ho diciassette anni!..» ripeté ancora Milne. Falen si alzò in piedi, le mise le mani sulle spalle. «Milne, devi promettermi che non farai niente fintanto che sarai a Coo. Quando tornerai per i Giochi di Primavera ne riparleremo se vorrai» «Va bene, prometto» Milne abbracciò forte sua madre «ti voglio bene, mami, e sono felice di andare, ma sentirò la tua mancanza. Tu hai sempre la parola giusta per tutto» «Ti voglio bene anch’io, tesoro; e anche tuo padre e io sentiremo la tua mancanza» «Mio padre non mi capisce» sospirò Milne, e Falen le batté una mano sulla spalla. «Via, Milne, tuo padre è un uomo meraviglioso e ti vuole tanto bene che neanche puoi immaginarlo. Ti ha tenuto in braccio fra mille pericoli quando eri piccola, ha affrontato la morte per te. Non puoi non amarlo» Milne fece ancora un piccolo sospiro. Quando era piccola, suo padre era tutto il suo mondo e lei aveva per lui un’adorazione senza limiti. Nell’adolescenza erano cominciate le incomprensioni dovute all’età, da-vanti alle quali Ferry si era a volte irrigidito. Conflitti veri e propri ce n’erano stati pochi, ma i rapporti di Milne con suo padre erano, adesso, piuttosto freddi. «Buona notte, mami» disse Milne con un bacio affettuoso «vedrai, andrà tutto bene e sarete fieri di me»

* * * Falen tornò in camera sua e si preparò a coricarsi. Ripassò mentalmente i problemi di governo che aveva affrontato durante la giornata e quelli an-cora in sospeso. Anche di fronte ai problemi conservava un atteggiamen-to positivo, e questo le dava la forza per affrontarli nel modo migliore. Ferry entrò poco dopo. Le sorrise, mentre sganciava il cinturone e si to-glieva la casacca scarlatta e oro che usava per le uscite ufficiali. Rimase a torso nudo, andò al lavabo a lavarsi la faccia e le braccia e tornò verso il letto strofinandosi con l’asciugamano «Queste feste sono più faticose di una giornata a cavallo... tu, come ti senti?» «Non sono ancora del tutto a terra»

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«Tu sei sempre... in piedi» disse Ferry sedendosi sul bordo del letto «io sono fortunato, ad avere una donna come te. Come avrei fatto altrimenti a cavarmela da solo, con tutti i problemi del Nordovest... e con quella piccola strega di Milne?» «Ho giusto parlato con lei poco fa. Le ho fatto presente che certi suoi at-teggiamenti da gattina non sempre sono opportuni...» «Già, quando aveva dieci anni si poteva permettere di scherzare in un certo modo. Ma adesso dovrebbe capire che non è più una bambina» «Lei ritiene infatti di essere grande» «Già, quando le fa comodo!... sono preoccupato per quello che farà da sola a Coo. E se incontra qualcuno che...» «Non farai il padre geloso» lo canzonò Falen «E’ che lei... sì, è troppo disinvolta. Da questo a far la figura della putta-na, non ci vuol molto» «Jadran! Non dire queste cose» «Tu sai come sono gli uomini, Falen. Una ragazza che si faccia la fama di una che ci sta, fa presto a perdere la reputazione. E io non voglio che mia figlia...» «Vorresti tenerla relegata a Kata? Non puoi negarle di fare esperienze che suo fratello ha già fatto» «Jels è un uomo, e poi...» Ferry si accorse di aver sbagliato tasto e sorrise «lo so, non dovevo dire questo. E’ giusto che Milne abbia le stesse chan-ces di suo fratello. Mi auguro che maturi presto... è che io trovo difficile stabilire un dialogo con lei» «Milne ti vuol bene» disse Falen mentre passava la mano sul petto nudo di Ferry, i muscoli ancora duri come l’acciaio «e sono sicura che a Coo si comporterà con buon senso» Ferry l’abbracciò e la spinse gentilmente sul letto «Tu hai il dono di tranquillizzare il prossimo... e poi perché preoccuparsi proprio adesso? Non è il momento giusto» Mentre giacevano sotto la coperta accarezzandosi piano, Falen disse «Sai una cosa, Jadran? E’ solo da quando ho conosciuto te, dodici anni fa, che ho cominciato a vivere realmente. Prima di allora avevo una vita ben vuota» «Ma forse, se non avessi conosciuto me avresti evitato anche tante vi-cende drammatiche» disse Ferry «magari avresti fatto una brillante car-riera a Tryan, chissà, avresti avuto dei figli tuoi... a volte penso di aver approfittato troppo della tua vita» «Carriera... come Inspect di Stato? Passare la vita a farsi odiare da diret-tori e funzionari, non lasciarsi mai andare... se ci penso adesso mi ven-

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gono i brividi. A parte che essere Reggente del Nordovest è una bella carriera, non ti pare? E i nostri figli, sono i migliori che esistano al mon-do, anche se non li ho fatti io. Non ne potrei desiderare di diversi... Ho solo un rimpianto: che Piet non sia anche lui qui con noi. Avrebbe vent’anni, adesso» Piet Ferry, il figlio maggiore di Ferry, ucciso dai Gundili nella Palude di Skyb a otto anni... Piet con i suoi occhi profondi e la sua voglia di sape-re... Ferry posò le labbra sul viso di Falen, tenendola stretta. «Piet, il mio bambino che voleva studiare le stelle... a volte quando guar-do il cielo stellato riesco a individuare Aldei, la stella azzurra... Piet era affascinato da quella stella. Sono stato per impazzire quando me l’hanno ucciso. Adesso è un ricordo doloroso, ma appartiene al passato. E sei tu che mi hai sorretto allora e hai continuato a farlo in tutti questi anni, Fa-len» «Abbiamo camminato insieme» Falen si girò verso di lui, e le braccia di Ferry la strinsero più forte. Poi fecero l’amore, cercandosi a lungo, acca-rezzandosi, e si addormentarono vicini.

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1.4 Il cavallo procedeva al passo sulla pista sconnessa del Deserto di Pietra. Il sole picchiava forte, creando riverberi sugli spigoli aguzzi delle lastre e dei blocchi di roccia, di un colore dal nero al bronzeo al giallo dorato. Solo qualche raro filo d’erba cresceva in quelle zone, torride di giorno e gelide di notte. Se si esclude la Grande Palude di Skyb, non c’è forse luogo più inospita-le in tutta Zatla. Eppure, il Deserto di Pietra ha una sua selvaggia bellez-za. Rocce, caverne, terreno piatto o scosceso: tutto è pietra lucida che si spezza formando superfici levigate che creano ombre rotte sotto la luce smagliante del sole. Jels stava attento al passo del suo cavallo: restare a piedi, là in mezzo, voleva dire morte quasi certa. Aveva provviste per una settimana e da tre giorni aveva cominciato a inoltrarsi nel deserto. Aveva passato le notti avvolto nella pesante coperta. Di giorno viaggiava con una tunica legge-ra, proteggendo gli occhi dalla luce del sole con la visiera dell’elmetto che portava in testa. La missione che gli avevano affidato sembrava, a prima vista, semplice: doveva localizzare la sede del laboratorio che la Scuola Thaez aveva nel deserto, e capire possibilmente che tipo di ricerche ed esperimenti vi si facessero. Ufficialmente, la Scuola Thaez studiava i minerali, ma circo-lavano voci inquietanti sulla sua effettiva attività, ed era ciò che possi-bilmente Jels doveva scoprire. Era da poco passato mezzogiorno quando Jels arrivò in una zona dove dal terreno si alzavano di colpo torri e pinnacoli, tutti di pietra nera. Man mano che si avvicinava, le torri sembravano cambiare forma a seconda della rifrazione del sole sulla pietra scheggiata. Ammirava quello spetta-colo di selvaggia bellezza, le torri nere che si levavano improvvisamente dalla distesa bronzeo-dorata. E più realisticamente, pensava di sedersi e mangiare in mezzo agli alti pinnacoli per trovare un po’ d’ombra, o forse una di quelle caverne che si trovavano nel Deserto di Pietra e che spesso avevano all’interno anche una sorgente. Mentre mangiava, pensava al percorso fatto: giudicò di aver oltrepassato il punto centrale del deserto. Con altri due giorni di marcia sarebbe arri-

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vato dalla parte opposta, ai confini indistinti con il territorio dei dakei. Se non avesse trovato il laboratorio, avrebbe dovuto fare rifornimento pres-so i dakei e riattraversare il deserto. Aveva ripreso il cammino da un paio d’ore quando cominciò a vedere qualcosa in lontananza: proprio in cima a una bassa collina pietrosa c’era un edificio lungo e scuro, che si confondeva abbastanza bene con il pae-saggio circostante. “Non può essere che il laboratorio” pensò “non c’è nient’altro in questo deserto”. Si fermò fuori vista per studiare la situazione: il suo primo compito era stato assolto, visto che aveva individuato la posizione del laboratorio. Ma restava il più importante: scoprire cosa si facesse lì den-tro. Non poteva pensare di avvicinarsi senza essere visto: il posto era in posizione troppo dominante, e circondato da un alto muro sicuramente ben guardato anche durante la notte. Decise di farsi vedere e raccontare una storia plausibile per poter entrare. Era a poche centinaia di metri dall’edificio quando dal cancello principa-le uscirono due grossi dikshi, piattaforme a quattro ruote con una rin-ghiera, il cui motore funzionava a gas. Su ogni dikshi c’erano due uomini armati. «Fermati» gli gridarono alzando i fucili «e scendi da cavallo» Jels obbedì subito alzando le mani «Vengo dal territorio dakei. Sono sta-to aggredito da banditi che mi hanno inseguito fin nel deserto... ho perso la strada e sono quasi senza cibo. Potete darmi ospitalità stanotte?» «Deciderà il Professore» disse quello che sembrava il capo «per ora vieni con noi» Li seguì fin dentro il cancello. L’edificio stava proprio nel centro del grande cortile, e l’occhio esercitato di Jels notò che gli uomini di guardia dovevano essere molti. Cercò di imprimersi nella mente tutti i particola-ri: il recinto dei dikshi, la scuderia dove avevano portato il suo cavallo. Notò che una parte dell’edificio era senza finestre. Fu spinto dentro sen-za tanti complimenti. Non gli tolsero le armi, ma era chiaro che lo tene-vano d’occhio. Dopo una mezz’ora di attesa, lo accompagnarono lungo un corridoio fino a una porta di legno chiaro «Entra, il Professore vuole vederti» Quello che chiamavano “Professore” era un uomo di mezza età con i ca-pelli grigi, una faccia larga dall’espressione amichevole. Jels notò che quattro uomini erano entrati con lui, pur restando in fondo alla stanza. «Daljet, Professore» salutò portando una mano alla tempia «mi chiamo Wil Estar e mi sono perso nel deserto...»

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«Si, mi hanno detto. Io sono il professor Ram Thaez, responsabile di questo laboratorio. Dovete scusare i modi un po’ sbrigativi delle mie guardie, ma qui in mezzo al deserto non ci possiamo permettere disatten-zioni. Benvenuto, signor Wil Estar» «Così, voi siete il famosissimo fondatore della Scuola Thaez. Ho sentito molto parlare di voi» «Sono proprio io. Ma raccontatemi di come vi siete perso nel deserto» Jels ripeté la sua versione, aggiungendovi qualche particolare per render-la più verosimile, e il “professore” sembrò convinto. «Il deserto è pericoloso, di notte» disse «potete dormire qui, se volete, e ripartire domattina. Vi daremo qualche provvista» «Vi ringrazio, professore. Siete molto gentile» «Vi farò assegnare una stanza» Ram Thaez si alzò, e mentre si dirigeva alla porta domandò «vorreste visitare il nostro laboratorio? Non vorrei annoiarvi, non so se i minerali vi interessino» «Anzi, mi interessano molto» «Andiamo allora» Ram Thaez si alzò e uscirono insieme. Jels notò che i quattro uomini li seguivano a distanza, con discrezione. Entrarono in una stanza illuminata violentemente dall’alto: due uomini e una donna stavano chinati su un tavolo ricoperto di schegge di pietra di vari colori. Altre persone, più lontano, manovravano apparecchiature delle quali Jels non comprese l’uso. «Questi sono alcuni dei miei collaboratori» presentò il “professore” «Kalf Hegara, Reelis Lanix e Seyana Doy» i tre che stavano intorno al tavolo fecero un cenno di saluto ma non lasciarono il lavoro. Solo la donna chiamata Seyana Doy ebbe uno sguardo un po’ più lungo e inda-gatore verso Jels. Ricordava il nome di Kalf Hegara: era uno dei più conosciuti insegnanti dell’Istituto Superiore, quello stesso dove Milne stava per andare a stu-diare per tre anni. Non sapeva perché, ma quel pensiero gli riuscì fasti-dioso. Il “professore” spiegava l’uso di alcuni apparecchi e sembrava gentile, ma i sensi di Jels stavano all’erta. Lo invitarono a dividere la loro cena. I tre che aveva visto in laboratorio non parlavano quasi mai. Jels più di una volta notò che Seyana Doy lo guardava con insistenza, e questo lo mise a disagio. Cercò nei recessi della memoria ma non riuscì a ricordarsi se l’avesse già vista da qualche parte. Ram Thaez dimostrava disinvoltura e chiacchierava del più e del meno, sviando abilmente il discorso dalle attività del laboratorio.

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«Noi ci ritiriamo presto, signor Wil Estar» disse il “professore” quando ebbero finito di mangiare «il nostro lavoro comincia la mattina di buon’ora, e nel deserto non c’è vita notturna» Gli assegnarono una stanzetta spoglia, con i muri dipinti di bianco. C’erano solo un letto e un tavolino basso. Jels, steso sul letto vestito, ri-posava e non dormiva. Aspettò due o tre ore, sdraiato sul letto, il corpo rilassato ma la mente vi-gile. Tutto era buio e silenzio. Si alzò senza rumore, aprì la porta e uscì nel corridoio fiocamente illuminato. Gli bastarono pochi muniti per ren-dersi conto che, da lì, poteva solo raggiungere il portone d’ingresso, na-turalmente chiuso. Tutte le altre porte erano chiuse a chiave. Il corridoio girava ad angolo retto, e Jels giudicò che l’ultima porta oltre l’angolo doveva essere quella che immetteva nella zona senza finestre, quella che durante il giro del laboratorio Ram Thaez aveva accuratamen-te evitato. Nell’equipaggiamento di un drax in missione non mancava una serie di ferri grazie ai quali, con un po’ di abilità, era possibile aprire quasi tutte le porte. Jels si dedicò alla porta e dopo pochi minuti riuscì ad aprirla. Anche di là, corridoi bianchi fiocamente illuminati. Dovette aprire altre due porte prima di raggiungere la zona proibita, quella senza finestre. E qui lo colpì un odore, sempre più forte, di gente non lavata, di escrementi e di vomito. Con una smorfia continuò ad a-vanzare senza rumore. C’era una cancellata, al di là della quale una ventina di persone, uomini e donne, giacevano per terra nella semioscurità. In faccia, dietro un’altra cancellata, stavano gabbie di ferro contenenti topi e scimmie. ,,,,cavie! Animali e uomini che servivano per gli esperimenti. Jels rab-brividì di disgusto. Restò un attimo indeciso, e in quel momento una fi-gura umana si alzò in piedi e si aggrappò alle sbarre. «Chi sei?» domandò con voce soffocata «non sei uno di “loro”» Jels diede una veloce occhiata agli altri: se si fossero svegliati e si fosse-ro messi a urlare, in pochi minuti avrebbe avuto le guardie addosso. «Oh, non si sveglieranno» disse l’uomo aggrappato alle sbarre «la sera ci danno sempre un sonnifero... io cerco di rigettare, dopo, così qualche volta riesco a stare sveglio» «Ma chi sono quelli? E perché siete qui?» L’altro si mise a ridere piano, gli occhi di un pazzo «”Loro” studiano... ci fanno ammalare per studiarci» «Ammalare?» Jels diede una rapida occhiata in giro, ma tutti, animali e uomini, sembravano addormentati.

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«Si... per il Dio! Non hai visto gli ammalati, laggiù?» indicò più avanti «”loro” ci iniettano delle cose, e noi ci dobbiamo ammalare...» si ag-grappò alle sbarre e Jels istintivamente si tirò indietro «”loro”... loro cer-cano il Fuoco Azzurro! Si, il Fuoco Azzurro... qui in mezzo al deserto. Per il potere, sai! E ci studiano...» rideva, con brevi singulti. «Tu sei pazzo» Jels si inoltrò nel corridoio. C’erano altre porte, chiuse. “Ormai non posso tirarmi indietro” pensò. Forzò la prima porta ed entrò con precauzione. Sembrava a prima vista un ospedale. C’erano due file di lettini lungo le pareti, e corpi umani nudi stesi sui lettini. Jels si accorse che avevano polsi e caviglie assicurati al letto con anelli di ferro. Alcuni avevano in-fisse nel corpo strane apparecchiature; due di loro avevano il ventre gon-fio in maniera abnorme. Jels si fermò inorridito, il cuore in gola. Si do-mandò come mai non ci fosse nessuno di guardia. Cercando di ignorare i rantoli di alcune delle persone stese sui lettini, Jels arrivò a un’altra porta, aperta: dentro c’erano file di gabbie addossa-te alla parete. E ogni gabbia conteneva un... Jels non riusciva a definire quegli insetti di proporzioni anomale nelle gabbie: una specie di grosse cavallette, alte mezzo metro. Strofinavano le zampe con un fruscio ag-ghiacciante; Jels si augurò di non trovarsi mai alle prese con uno di quei mostri. Altro che “esperimenti”! Esseri umani usati come cavie, insetti ingranditi artificialmente... Jels stava per ritirarsi quando la sua attenzione fu attrat-ta da un rumore soffocato sul fondo. Abbandonò la prudenza e andò ver-so il fondo, pistola in mano. Una cancellata chiudeva l’accesso a un piccolo locale: dentro c’era un uomo, nudo, le mani legate dietro la schiena: l’uomo strisciava per terra, sbatteva la testa contro il muro o contro le sbarre, rotolava e strisciava ancora e poi sbatteva di nuovo al testa. Dalla sua gola usciva un sibilo rauco, come se avesse urlato tanto da perdere completamente la voce. La faccia era una maschera di sangue, e schizzi di sangue erano dappertutto, sui muri, sul pavimento. Ciuffi di capelli insanguinati erano attaccati al cancello. Jels rimase un attimo immobile, senza riuscire a distogliere lo sguardo. L’uomo si era cacciato con la testa nell’angolo che il muro formava col pavimento, e tutto il suo corpo sussultava. “Ho visto anche troppo” pensò Jels riscuotendosi. In quel momento si accese una luce accecante, e una voce di donna disse seccamente «Mani in alto, Jels Ferry, e non muovere un capello se ci tie-ni a vivere ancora un po’»

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1.5 Jels alzò le mani lentamente maledicendo la propria imprudenza «Posso voltarmi?» domandò. «Certo, voltati pure» C’erano almeno venti guardie con le armi spianate. Davanti a loro Seya-na, con la pistola in pugno. E improvvisamente Jels ricordò di averla vi-sta, all’Istituto Superiore, dove anche lei insegnava, e dove lui aveva stu-diato. Non era il suo ramo, e Jels l’aveva solo intravista, ma lei doveva averlo notato, e adesso l’aveva riconosciuto. Il muro di guardie si aprì per lasciar passare Ram Thaez. Il “professore” rivolse un sorriso compiaciuto a Seyana «Chi l’avrebbe detto, Jels Ferry che fa il ficcanaso» disse con scherno «come mai non ci hai detto il tuo vero nome?» «Preferisco mantenere l’incognito quando viaggio» disse Jels. «Ah, e mantieni l’incognito anche sugli scopi dei tuoi viaggi?... Adesso tu ci dirai tutto. Chi ti ha mandato, tuo padre?» «Mio padre non c’entra» disse subito Jels «vi ho dato un nome falso, ma la mia storia è vera. Voi lo sapete che ho molti amici fra i dakei, ed ero stato a trovarli...» «...e i banditi ti hanno assalito, ce l’hai già detto» Ram Thaez scosse la testa con impazienza «ma noi non vogliamo sentire questa storia. Vo-gliamo tutta la verità, hai capito?» Ram Thaez sogghignava, e Jels sentì la paura prenderlo alla bocca dello stomaco. Era nelle mani di quei criminali capaci di destinarlo a una sorte orribile. D’altronde, cosa avrebbe potuto dire? Solo che era incaricato di scoprire cosa facessero: e non avrebbero creduto a una cosa così elemen-tare. Inoltre il dovere di un milite, drax o grani che fosse, era di tacere sugli ordini che aveva ricevuto. Seyana lo osservava con uno sguardo freddo; era una bella donna, giovane, ma aveva qualcosa di sinistro. Jels rabbrividì suo malgrado. «Non ho nient’altro da dire» disse tenendo testa a Ram Thaez. Questi ri-dacchiò fra sé, poi fece cenno alle guardie di condurlo fino a un lato del-lo stanzone, occupato da grosse scatole di vetro, dalle quali proveniva un ronzio continuo.

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«Guardali» disse Ram Thaez: dentro ciascun contenitore brulicavano de-cine e decine di insetti scuri, lunghi circa un centimetro «questi sono i bryx, sono i miei amici che mi aiutano a ottenere dalla gente tutto quello che voglio. Non ci credi?» lo guardò sogghignando, e Jels intuì che que-gli insetti dovevano costituire una terribile minaccia. Il “professore” bat-té qualche colpetto sul vetro. «Sembrano innocui, vero? Eppure hanno zampette unghiate ed elitre ap-puntite. E ti assicuro che sanno ronzare molto forte. E’ una varietà che ho selezionato personalmente in lunghi anni di lavoro. La loro caratteri-stica è infilarsi in ogni orifizio, in particolare quelli del corpo umano: o-recchie, narici, retto, vagina, bocca... una volta dentro si agitano ininter-rottamente e penetrano sempre più a fondo, e ronzano, ronzano...» ride-va, mentre le guardie stavano rigide e immobili. Jels ebbe un tremito in-volontario. «Scommetto che cominci a impressionarti» gli disse Seyana in tono fin-tamente amichevole. «Ormai i miei bryx sono ben collaudati» continuò Ram Thaez «la prima volta che li abbiamo sperimentati, abbiamo rinchiuso una donna con una dozzina di loro... devo dire, non ci ha messo molto a morire: solo cinque o sei ore. Ma volendo che la faccenda duri più a lungo, si fa come con quel tipo laggiù» indicò l’uomo nella stanza in fondo, che stava sempre con la testa nell’angolo del muro, il corpo scosso da sussulti «glie ne ab-biamo messi solo due, uno per orecchio. E’ lì da ieri mattina, è già im-pazzito, ma ne avrà ancora per un pezzo... non pensi che una cosa simile potrebbe succedere anche a te, eh, figlio di Jadran Ferry?...» la voce si era alzata diventando quasi stridula. Jels, pallido, non diceva niente. Ram Thaez guardò il suo orologio e sbadigliò «Sono stato disturbato nel mio sonno, stanotte» disse poi «e tornerò a dormire. Nel frattempo tu, Jels Ferry, starai rinchiuso là dentro» indicò uno stanzino vicino a quello occupato dall’infelice vittima dei terribili “bryx” «e avrai tutto il tempo di pensare. Mi auguro che domattina tu abbia deciso di essere ragionevole» se ne andò, e Jels fu gettato nella stanza spoglia; il cancello fu chiuso e due guardie armate si misero a se-dere fuori del cancello, a distanza di qualche metro. Jels si accovacciò in un angolo, la testa sulle braccia. La sua situazione sembrava senza speranza. Pensò che per un hegxen, uno come Daisal Derensen, non sarebbe stato difficile andarsene: Daisal sarebbe stato ca-pace, ne era sicuro, di rendere innocui i bryx, o di addormentare le guar-die e aprire le porte, semplicemente con la forza della mente. Rimpianse di non aver tratto profitto dagli insegnamenti degli hegxen in quei lontani

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sei mesi di permanenza presso Daisal Derensen: in effetti, lui era troppo poco portato alla meditazione e all’immobilità per riuscire ad approfitta-re dell’insegnamento degli hegxen. Si ricordava di essersi annoiato a morte, e di essere tornato a casa con vero sollievo. “Milne, almeno, ha imparato qualcosa di utile” pensò improvvisamente, ricordandosi quello che lei gli aveva detto circa le tecniche mentali per non avere gravidanze. Gli sembrava buffo pensare a queste cose mentre lui, ora, si trovava esposto al rischio di una morte orribile. Un hegxen sa-rebbe stato capace di aprire cancelli e porte e andarsene nella notte.... Il suo disgraziato vicino non si sentiva più. Solo a tratti, si sentiva il re-spiro sibilante e qualche rumore soffocato. Cercò nonostante tutto di rilassarsi e di mantenere la mente lucida e sgombra. Forse, se non gli avessero legato le mani, con molta destrezza e una buona dose di fortuna...

* * * La mattina presto arrivò uno dei collaboratori del “professore” con una dozzina di guardie. «Hai pensato a cosa vuoi fare?» gli domandò subito, mentre aprivano il cancello. «Ho deciso di dirvi tutto» disse Jels «parlerò con il Professore» «Bene, sei una persona saggia e responsabile» le guardie lo presero in mezzo e tutti uscirono diretti all’ufficio di Ram Thaez. Il Professore era seduto alla scrivania, eanche Seyana e altri due assistenti erano con lui. «Ha deciso di collaborare, Professore» disse subito il capo del drappello, e Ram Thaez fece un largo sorriso all’indirizzo di Jels. «Sei proprio un ragazzo ragionevole» disse allungandosi sulla sedie «Siamo tutti orecchie. Poi io ti farò altre domande» «Prima devo mostrarvi una cosa» disse Jels facendo bruscamente un pas-so verso la scrivania. Una delle guardie scattò subito verso di lui, lo af-ferrò per un braccio. «Sta’ indietro!...» Jels, che se lo aspettava, lo schivò piegandosi verso destra; in un lampo gli sfilò il pugnale dalla cintura e saltò dietro la scrivania. Tutto si era svolto in un attimo, e ora lui era con la schiena rivolta al muro, e teneva saldamente Ram Thaez per il collo col braccio sinistro: il pugnale era puntato alla sua gola. «Non fate un movimento, o lo uccido» disse Jels. Rimasero tutti immobili, agghiacciati. Ram Thaez mezzo strangolato an-naspava con le braccia come a cercare aria. Jels si teneva dietro di lui:

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con precauzione allentò leggermente la stretta in modo che potesse parla-re. «Digli di fare quello che dico io, “professore”, o quant’è vero il Dio, ti uccido» gli teneva la lama appoggiata alla gola. Ram Thaez era pallidis-simo. «Fate come vi dice» disse rivolto ai suoi uomini. «Gettate a terra le armi e allineatevi sulla parete, là in fondo, presto» or-dinò Jels «e adesso uno di voi vada a farmi preparare un dikshi, completo di gas e di equipaggiamento. Lo voglio qui davanti alla porta, e voglio il cancello aperto. Aspetterò cinque minuti, non uno di più» «Obbedite» disse Ram Thaez atterrito, senza osare muoversi. Una delle guardie uscì di corsa. «Non riuscirai a cavartela, Jels Ferry» disse Seyana con un lampo d’odio negli occhi «cosa speri di fare, da solo nel deserto? Sai bene che ti ri-prenderemo» «Non ti preoccupare, bellezza, questo riguarda me» disse Jels fredda-mente «vedete invece di non fare scherzi, perché al minimo dubbio gli infilo il pugnale nella gola» fece un gesto con la mano armata, e Ram Thaez fu preso da un tremito nervoso. Passò qualche minuto di silenzio. I nervi di Jels erano tesi allo spasimo: non doveva concedersi la minima distrazione se voleva avere qualche speranza. Poi l’uomo ritornò «Il dikshi è pronto» Jels cominciò a muoversi tenendo ben stretto Ram Thaez «Avanti tu, e niente passi falsi» Uscì con lui seguito dagli altri a debita distanza, badando bene a restare sempre con le spalle al muro. Fuori della porta c’era il dikshi, una piatta-forma con quattro ruote robuste, un motore a gas, una ringhiera, un vo-lante e pochissimi strumenti essenziali. Il motore era già acceso. «Niente movimenti bruschi» gridò Jels rivolto alle guardie. Disse al più vicino «tu, butta la cintura con la pistola sul dikshi, svelto» L’uomo ubbidì, e Jels saltò sul veicolo trascinando con sé Ram Thaez. «Quando lo lascerai andare?» gridò Seyana allarmata. «Quando riterrò di essere al sicuro. E non provate a inseguirmi, se non volete che lo ammazzi» spinse la leva del movimento con il corpo, e il dikshi si mosse rapidamente. Passò come un razzo sul cancello e uscì nel deserto sassoso, mentre il veicolo sbandava con paurosi sobbalzi. Vide un movimento frenetico sul cancello: evidentemente si preparavano a in-seguirlo. Per pochi minuti riuscì a manovrare il volante con il gomito, ma le aspe-rità del terreno erano tali che gli ci voleva almeno una mano per guidare.

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Passò il pugnale nella mano che stringeva al collo Ram Thaez «Attento, professore, niente gesti falsi» Non era ancora fuori vista quando il dikshi superò una breve cunetta e si trovò davanti improvvisamente una serie di lastre fortemente sconnesse. Il veicolo sbandò paurosamente su un lato con un urto violento, e gli oc-cupanti furono sbalzati fuori. Ram Thaez restò a terra, e Jels riuscì a ro-tolare sulle pietre aguzze senza farsi altro che qualche contusione. Il vei-colo si raddrizzò e proseguì la corsa rallentando. «Maledetti i démoni di Styr» imprecò Jels alzandosi e rincorrendo il di-kshi. Non poteva perdere tempo a tirar su il “professore”, evidentemente malconcio. Raggiunse il veicolo, raccolse in un lampo pistola e cinturone che erano rimasti impigliati nella ringhiera e accelerò. Vide in distanza che una serie di dikshi, montati dalle guardie, era uscita dal cancello: do-vevano aver notato che Ram Thaez non era più con lui, e ora avrebbero cercato in ogni modo di prenderlo vivo o morto. “Al diavolo tutti” pensò Jels “almeno morirò difendendomi. E prendermi non sarà facile” Si accorse subito che il dikshi che gli avevano dato non era molto veloce: dopo mezz’ora la distanza fra lui e gli inseguitori era diminuita notevol-mente, I dikshi delle guardie, otto in tutto, si erano allargati a ventaglio e qualcuno cominciò a sparare. Jels guidò a zig zag, con sobbalzi paurosi, per impedir loro di mirare. Quando furono più vicini rispose al fuoco: un colpo preciso che prese in pieno petto il conducente del dikshi più vici-no. L’uomo cadde con un urlo e il dikshi si rovesciò rotolando con fra-casso per una decina di metri. Jels accelerò tenendosi curvo sul volante. Diresse il dikshi verso una zona dove la distesa di pietre si scomponeva in rocce, alture e pinnacoli: gli inseguitori erano ormai vicini e i proiettili fischiavano intorno a lui. Passò come un bolide fra due ammassi di roc-ce, e in quel momento il motore del dikshi fu colpito: il veicolo ruotò su se stesso mentre il motore prendeva fuoco, poi esplose con una fiammata e un boato. Jels fu scaraventato in aria e piombò dentro uno stretto cre-paccio dalle pareti a picco. Frammenti infuocati del dikshi caddero con lui nel vuoto. Le guardie arrivarono poco dopo, si accalcarono sull’orlo del crepaccio roccioso, la cui profondità era immersa nel buio. Il fumo dei pezzi incan-descenti del dikshi saliva ancora dalla voragine. «E’ andato» disse il capo delle guardie «se non è saltato in aria insieme al dikshi, non è certo sopravvissuto a un volo simile» Restarono per dieci minuti sull’orlo del crepaccio, poi il capo ordinò di tornare al laboratorio.

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«Prenderemo delle corde e ci caleremo di sotto per controllare che non ce ne sia rimasto neanche un pezzo» disse. Tutti risalirono sui loro veico-li per rientrare alla base.

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1.6 Jels era ferito ma non gravemente e la fortuna, unita alla sua eccezionale agilità, lo aveva aiutato: mentre cadeva lungo le pareti del crepaccio, era riuscito ad aggrapparsi alle asperità della roccia, poi era ancora scivolato più in basso ma perdendo velocità, e infine si era fermato su uno stretto terrazzino. Fortunatamente per lui, lo strapiombo aveva impedito agli uomini del laboratorio di vederlo. Dopo parecchio tempo e con sforzi sovrumani era riuscito a risalire la parete e uscire dal crepaccio. Si era steso all’ombra delle rocce per ri-prendere le forze. Era disarmato, ferito e senza viveri. Tuttavia era vivo. Stracciò il giubbetto per farsi un riparo per la testa e camminò per un pa-io d’ore in direzione sud. Dovette fermarsi per riposare, ma riprese la marcia appena il sole fu più basso. Continuò a camminare fino a notte inoltrata, sopportando i morsi del gelo come di giorno aveva sofferto il caldo torrido. Aveva una sete terribile. Mezzanotte era passata quando alla luce nitida della luna scorse un grup-po di rocce. Avvicinandosi, si accorse che non si trattava delle solite roc-ce caotiche del Deserto di Pietra: quegli enormi macigni erano disposti in un cerchio regolare di una sessantina di metri di diametro, e si trattava di un ciclopico lavoro umano. Jels si inoltrò lentamente fra le rocce, colpito da qualcosa che non riusciva a spiegarsi: quel posto emanava insieme paura e reverenza. In mezzo al cerchio c’era una costruzione regolare di pietra scura, una specie di piramide alta qualche metro. Su un lato c’era una porticina. Affascinato suo malgrado da quell’inaspettato spettacolo, Jels tentò la porta con la mano: si aprì con un breve cigolio. Dentro c’era una strana luce azzurrognola, e un rumore inconfondibile di acqua che scorre. Si trovava in una sala col soffitto a volta, con al centro un cubo di pietra nera: dai quattro angoli uscivano zampilli d’acqua che andavano a per-dersi nel terreno. Jels si inginocchiò e bevve avidamente. Si sentì meglio, e si lavò anche la faccia e le numerose ferite, per fortuna tutte superficia-li. Poi la sua attenzione fu attratta da una sfera della grandezza più o meno di un uovo: stava appoggiata in cima al cubo, e da lì si sprigionava la lu-

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ce azzurra che sembrava pulsarvi dentro. Aveva striature bianche e dora-te cangianti. Jels restò per un pezzo a guardarla affascinato. Poi allungò una mano e provò a toccarla: non successe niente. Jels intuiva che quella pietra azzurra doveva avere dei poteri sconosciuti. Si ricordò vagamente di certe leggende sentite presso i dakei circa una pietra miracolosa di cui nessuno conosceva l’ubicazione. E solo lui, Jels Ferry, aveva scoperto quel luogo magico, lì in mezzo a Deserto di Pietra. Prese in mano la sfera azzurra: era stranamente leggera, ed emanava ca-lore e luminosità. Restò in forse per un po’: quella scoperta casuale gli sembrava troppo importante per lasciarla lì, alla mercé di gente come quel Ram Thaez... si ricordò di colpo delle parole del pazzo “Loro cerca-no Il Fuoco Azzurro, per il potere!” Il Fuoco Azzurro!... Qualunque cosa fosse, non doveva cadere in mano di quei criminali. Mise la sfera in ta-sca, e subito il locale piombò nell’oscurità. Jels uscì sotto le stelle nella notte fredda. Il contatto con la sfera lo rin-francava, anche se non riusciva ad analizzare le sensazioni che provava. Restò all’interno del cerchio di macigni fino a poco prima dell’alba: non sentiva più freddo, gli sembrava di essere in un luogo magicamente pro-tetto da ogni pericolo. Riprese a camminare appena chiaro. Ormai andava per forza d’inerzia, sotto il sole. Metteva un passo avanti all’altro dicendo a se stesso “Devo resistere”. Infatti era urgente che tutti sapessero degli orrendi esperimenti della Scuola Thaez. Se resisteva un paio di giorni sarebbe riuscito ad ar-rivare in territorio dakei, al di là del deserto. Riuscì a camminare per molte ore, fermandosi ogni tanto. Trascorse la notte dentro una caverna dove scorreva un filo d’acqua che gli permise se non altro di calmare la sete. Il giorno dopo, dal deserto cominciò a spuntare qualche filo d’erba, poi ciuffi di vegetazione qua e là. Poi la vegetazione si fece man mano più fitta. Jels trovò anche qualche bacca per calmare i morsi della fame. La stanchezza e le ferite gli stavano an-nebbiando i sensi: prima del tramonto si gettò nell’ombra di un gruppo di rocce e cespugli e si addormentò di colpo: era in uno stato di abbrutimento tale che non sentiva più nemmeno il freddo.

* * * Si svegliò di soprassalto, con la sensazione di un incubo. Si girò supino e vide le facce di tre uomini chini su di lui «Ah, ma non è mica morto» disse uno dei tre «anche se mi sembra con-ciato piuttosto male»

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Jels si alzò faticosamente a sedere.Il cielo era già chiaro verso est. Tutto il corpo gli faceva male e la testa gli girava. Guardò i tre uomini cercan-do di raccapezzarsi. «Chi siete?» domandò. «Qui le domande le facciamo noi» disse uno dei tre, e Jels vide che erano tutti ben armati «Tu piuttosto, chi sei e da dove diavolo vieni?» «Ho... attraversato il deserto. Ho perso il cavallo che si è azzoppato» mentì Jels. In quel momento si avvicinò un quarto uomo, che fino allora era rimasto più in là. «Ma che sorpresa, Jels Ferry» disse l’uomo «il mondo è piccolo, vero?» «Arle Skeiar!...» proprio lui, l’ex compagno di campo che a causa sua era stato espulso dalla Milizia. Jels si alzò faticosamente in piedi. «Mi riconosci, eh, bastardo?» sogghignò Arle Skeiar «In fondo ti dovrei ringraziare: dopo che tu mi hai fatto cacciare dalla Milizia, io e questi amici qua ci siamo fatti un mucchio di soldi rapinando i passanti. E’ faci-le e redditizio» «Arle» disse uno degli uomini «è un tuo vecchio amico, eh?» «Proprio» Arle rise «vediamo cos’ha addosso, questo angioletto» Lo afferrarono brutalmente per le braccia. Jels tentò di difendersi ma era troppo debole per reagire. «Non sei che un sacco di stracci» disse Arle con un’occhiata ai suoi in-dumenti, sporchi e lacerati. Frugò nelle sue tasche «E questo cos’è?» e-saminò da ogni lato la sfera azzurra «dev’essere di valore. Dove l’hai trovata?» Jels stette zitto e Arle gli diede uno schiaffo «Rispondi, verme! Dove l’hai trovata?» «In mezzo al deserto» disse Jels dopo un momento «e ti assicuro che non saprei dirti dove» «Bene, la terrò io per tuo ricordo» Arle Skeiar intascò la sfera. Gli uomi-ni tenevano sempre saldamente Jels. «Che ne facciamo di questo rompicoglioni?» domandò uno, rivolto a Ar-le «io direi di stenderlo, qui» «Sono anch’io dell’idea» disse uno degli altri mettendo mano alla pisto-la. “E tu, Jels Ferry, hai attraversato mille pericoli per compiere la tua mis-sione, hai un messaggio essenziale per la società civile, sei riuscito a su-perare il deserto a piedi, per venire assassinato da quattro volgari ladrun-coli da strada...”

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«Aspettate» disse «io devo assolutamente tornare nel Nordovest. Mio padre e mia madre sono i Reggenti del Nordovest. Loro vi ricompense-ranno se mi aiuterete a tornare» Arle Skeiar si mise a sghignazzare «Tuo padre... tuo padre non è Jadran Ferry, povero idiota. Tua madre era una puttana, e tuo padre uno dei suoi tanti clienti. Tu sei un fottuto bastardo, Jels, e a noi i fottuti bastardi non piacciono...» Con uno sforzo disperato Jels si liberò e gli saltò addosso: riuscì anche ad assestare un paio di colpi, poi gli altri, tutti insieme, ebbero il soprav-vento. Uno di loro aveva raccolto da terra un bastone «Lascialo a me, Arle» Lo colpì col bastone a mezzo corpo, e Jels crollò a terra sentendosi man-care il respiro. Lo rialzarono, e l’uomo lo colpì ancora, più volte, in tutto il corpo, col bastone. Gli altri lo tenevano su e ridevano. Jels non sentiva più niente. Il sangue scorreva da numerose ferite. Un ultimo colpo, violento, alla nuca. Poi lo lasciarono crollare a terra. «E’ andato» disse uno degli uomini osservandolo «gli hai sfasciato il cranio» «Andiamocene» disse Arle Skeiar. Guardò ancora una volta la sfera az-zurra «non gli ha portato fortuna, questo coso» rise e la rimise in tasca. Poi salirono sui cavalli e si allontanarono mentre stava spuntando il sole.

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1.7 La lezione era stata lunga e faticosa. Un numeroso gruppo di ragazzi e ragazze stava uscendo dall’Istituto Superiore di Cooney in una via affol-lata, sotto un tiepido sole primaverile. Era mezzogiorno, e parecchi di loro entrarono in un locale poco lontano per consumare uno spuntino. Milne Ferry era tra loro. «Non ne posso più delle lezioni del vecchio Reideg» disse Weir Stavros, un bel ragazzo alto e atletico «e poi lui insegna logica, e le sue lezioni noi non dovremmo neanche seguirle» «La logica è importante» sentenziò Gerrit Burni, il dakei «è che nel tuo testone non entra, ecco» tutti risero mentre venivano portate focacce, polpette e frutta. «Compagni, dite la verità» intervenne Rugi Heyser, 20 anni compiuti e una faccia lentigginosa da bambino «voi siete qui non per studiare, ma per divertirvi e spassarvela con le ragazze» «Sicuro» affermò Weir, mettendo prontamente il braccio sulle spalle di Milne «questa è la santa verità, tutti lo sanno» Milne rise, ma si scrollò il braccio di dosso «Voi ragazzi non sapete par-lare d’altro» disse «tu poi, Weir, dovresti stare zitto: lo sanno tutti che hai un debole per Seyana Doy» Risero tutti all’indirizzo di Weir, che restò un attimo in imbarazzo, ma subito ribatté: «Seyana mi interessa solo perché è l’assistente di Kalf Hegara che è un mago della biologia, e io sono interessato alla biologi-a...» «Ah-ah, la biologia» scimmiottarono i compagni mentre divoravano il pranzo. «E sei per caso interessato alla biologia di Seyana? Certo che non è male, con quelle gambe» disse Gerrit Burni serio. «Vergognatevi» disse Ayeka Dresen, che a Cooney condivideva l’abitazione con Milne «Seyana ha dieci anni più di ognuno di voi. Se tutto quello di cui siete capaci è discutere delle gambe di una donna di trent’anni...» «Ne ha ventotto, io lo so» disse Rugi Heyser «io me la farei, che ne dici tu, Weir?»

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«Io ammiro Seyana per il lavoro che fa» disse Weir «e mi piacerebbe riuscire a essere ammesso alla Scuola Thaez dove lei e Kalf Hegara lavo-rano» «Ah, basta con questa Seyana» sbuffò Ayeka «cercate di essere seri» «Ma io parlavo sul serio» ribatté Weir. La discussione proseguì su argomenti più impegnativi. Dopo tutto, erano lì anche per studiare. «Credo che quest’anno riuscirò a fare tutti gli esami» disse Ayeka «e poi vorrei cominciare il nuovo corso di medicina» «Si, interessa anche a me» disse Milne «anche se, devo dire, faccio una fatica tremenda a stare rinchiusa per delle ore...» «Ma se sei qui nemmeno da due mesi!» disse Gerrit Burni prendendola in giro «non hai neanche cominciato a studiare e già sei stufa: tuo padre ti prenderebbe a bastonate se fosse qui» «Mai quante ne hai prese tu dal tuo» rimbeccò subito Milne: i due ragaz-zi si conoscevano da molti anni. «Ah, mio padre non mi ha mai picchiato, posso giurarlo su Dinata» disse Gerrit Burni alzando una mano, e Milne rise. «Certo, le frustate te le dava Mahalis, il suo Uomo della Casa» Gerrit aprì le braccia, sconfitto «Non approfittare del fatto che mi cono-sci... e non mi sputtanare così con i compagni!» «Sapete una cosa, amici!» disse Weir mettendo di nuovo un braccio sulle spalle di Milne che questa volta non si tirò indietro «è singolare che, proprio nella nostra compagnia, ci siano i figli di personaggi famosi: i Reggenti del Nordovest, il capo del popolo dakei...» «Ma lascia perdere» sbuffò Milne che non ci teneva a quel tipo di pub-blicità «noi siamo noi, e non i figli di qualcuno» «Ben detto» assentì Gerrit «tu, poi, sei particolarmente interessante così come sei» la squadrò da capo a piedi «peccato che ogni tanto bisogne-rebbe tapparti la bocca» «Stupido!» Milne gli allungò un calcio e Gerrit si scansò. Cercò di affer-rarla per le braccia: gli altri si intromisero e tutto il gruppo finì per on-deggiare in una risata collettiva. Milne quasi ruzzolò per terra e si ag-grappò a Weir, che aveva subito approfittato della situazione. «Basta» disse Milne «ne ho abbastanza di voi, banda di pazzi, e poi devo studiare» «Vengo anch’io» disse Ayeka alzandosi. In quel momento ci fu un mo-vimento, e un altro studente arrivò, venendo verso il loro tavolo. «Daljet a tutti voi» disse il nuovo venuto «cosa si mangia?» «Tutto qui, Yasei, accomodati» disse Rugi Heyser facendogli posto.

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Il nuovo venuto era di razza hegxen: scurissimo di pelle, capelli biondi, occhi azzurrissimi leggermente obliqui. Sedette sorridendo e cominciò a mangiare. Milne, che si era alzata per andarsene, esitò un attimo. «Daljet, Yasei» disse, mentre raccoglieva le sue cose «hai seguito anche tu la lezione di logica?» «Si, mi sono fermato dieci minuti a parlare con Reideg» «Tu studi molto» osservò Ayeka, e Yasei alzò un sopracciglio. «Io studio quello che mi pare giusto studiare» Nessuno fece battute o lo prese in giro: nonostante avesse la loro età e si comportasse in maniera assolutamente normale, di Yasei Arexsen tutti avevano una certa soggezione: sentivano che gli hegxen erano qualcosa di diverso. «Daljet» ripetè Milne decidendosi ad andarsene con Ayeka. Weir si alzò subito con loro «Vi accompagno fino alla piazza» «Non importa» disse Milne. Ma Weir finse di non aver sentito. Cercando di restare qualche passo indietro da Ayeka in mezzo alla folla, Weir prese Milne sottobraccio «Perché mi stai lontana oggi?» sussurrò. «E tu perché mi perseguiti? Non sono mica la tua ragazza» disse Milne accelerando per raggiungere l’amica. Ma Weir la trattenne gentilmente per il braccio. «Via Milne, anche se non ho gli occhi blu come il tuo Yasei, non sono poi così male» Milne sbuffò «Non è “il mio Yasei”, e non mi importa niente di lui. La-sciami in pace, Weir» «Non possiamo vederci stasera?» pregò lui. «Va a farti fottere» esclamò Milne stufa, e con una breve corsa raggiunse l’amica. «L’hai seminato?» si informò Ayeka ridendo. «Uff! Oggi non è proprio la giornata giusta» sbuffò Milne. «Tu però francamente maltratti troppo Weir. Lui dev’essersi cotto di te per continuare a starti dietro in questo modo» «E’... è opprimente» «Però è un bel ragazzo, devi ammetterlo» «Bè, questo si» Milne socchiuse gli occhi immaginandosi Weir nudo «devo ammettere che non è male. Però lui si comporta come se fosse il mio ragazzo... è persino geloso di Yasei» «Yasei ti piace?» domandò Ayeka guardandola di sottecchi. «Bè, è molto carino e gentile... Comunque non è il mio tipo!» concluse con decisione.

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Ayeka scosse la testa «Quel ragazzo ha degli occhi che sembra ti leggano dentro, come tutti quegli stregoni hegxen» «Ma via, Yasei non è uno stregone, è un ragazzo come tanti...» Milne scosse i riccioli biondi mentre spuntava in lontananza l’autobus che do-vevano prendere per andare a casa.

* * * Milne era a Cooney da quasi due mesi. Studiava all’Istituto Superiore, ma più che altro si divertiva a vivere con i suoi coetanei. Aveva trovato all’Istituto anche Gerrit Burni, figlio del vecchio amico di suo padre. Gerrit aveva 23 anni, l’età di Jels, ed era avanti con gli studi. Con Milne, Gerrit si comportava con superiorità e la trattava un po’ da bambina. Milne gli teneva testa ed era presa a volte dalla tentazione di picchiarlo, anche se sapeva che Gerrit era capace di spezzare con una mano un asse di legno spesso tre dita. Gerrit non le risparmiava frecciate pungenti. In compenso, Milne aveva una quantità di adoratori: la sua vitalità e il suo aspetto particolarmente attraente facevano sì che fossero in molti a farle la corte. Weir Stavros era uno dei più assidui e Milne ne era in un certo senso lusingata perché Weir, bello com’era, era molto conteso dalle ragazze. Questo non le impediva però di divertirsi a maltrattarlo quando diventava troppo insistente. Poi c’era Yasei Arexsen: un ragazzo dal comportamento assolutamente normale, Scuro di pelle, come tutti gli hegxen, il taglio degli occhi leg-germente orientale; il contrasto dei capelli chiari sul viso scuro. Un carat-tere pacato, l’atteggiamento sempre sereno ed equilibrato. E quegli occhi di un blu profondo, che sembravano scrutare le profondità del tempo. Milne non lo trovava simpatico: era una ragazza che amava troppo la vita movimentata, e lui era troppo diverso. Tuttavia si sentiva in qualche mo-do attratta da lui e non poteva non ammettere che lo sguardo franco di quegli occhi azzurri che parevano penetrare i suoi segreti pensieri, la la-sciava turbata. Ma era un turbamento di breve durata, come gran parte delle emozioni di Milne il cui carattere era mutevole come il vento. Per ora pensava a studiare, senza strafare, e a divertirsi andando a ballare, facendo sport e stando allegramente in compagnia. Riceveva regolarmente lettere da sua padre e sua madre, e un paio di vol-te un biglietto di Hallen Heerio. Non aveva più avuto notizie di Jels, che sapeva in missione. Tutto sommato, si divertiva parecchio. Fra poco a-vrebbe dovuto tornare a Kata per i Giochi di Primavera; non ci teneva molto e avrebbe preferito restare a Cooney. Ma era la figlia dei Reggenti,

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e sapeva che suo padre e sua madre desideravano che fosse presente. Gli avrebbero mandato qualcuno a prenderla all’ultima stazione autobus prima del Nordovest.

* * * Due sere dopo si trovavano tutti al “Degalis”, il solito locale dove si riu-nivano moltissimi studenti: era un posto grandissimo, con piste da ballo e molti locali, parecchi dei quali particolarmente accoglienti per le cop-pie desiderose di solitudine. C’era anche, al Degalis, chi si appartava per aspirare la micidiale chorka. Ma nessuno della compagnia di Milne ne faceva uso. Era una compagnia allegra e chiassosa, ragazzi e ragazze dai 16 ai 25 anni. I più anziani già lavoravano pur continuando a studiare. Milne ballò per tutta la sera con molti ragazzi: adorava ballare, e poi sembrava fatta apposta, come dicevano di lei i suoi coetanei ammirando-ne la grazia spontanea a volte scatenata, e i movimenti innocentemente provocanti. Weir la fece ballare più volte, poi rimasero tutti a lungo in-torno ai tavoli, chiacchierando e bevendo saik. «Vieni» disse Weir a Milne «questo ballo ancora» «Sono stanca» mugolò Milne allungandosi sul sedile. «Puoi sempre dormire mentre balli» propose Weir. Milne rise e si alzò con lui. «Vorrei proprio dormire» disse convinta. Ma sorrise e gli mise le braccia intorno al collo. Weir manovrò in modo da trovarsi sulla parte meno il-luminata della pista. «Dormi qui» sussurrò accarezzandole i capelli e tenendole gentilmente la testa sulla propria spalla. Ballavano stretti, lentamente, Weir con la fac-cia affondata nei suoi capelli. «Come sto bene» mormorò Milne. Weir le sfiorò la fronte con le labbra, poi l’orecchio. «Tesoro» sussurrò mentre la teneva più stretta contro di sé «tesoro, quan-to mi piaci...» ballarono per un pezzo, stretti l’uno all’altra. Poi Weir la riaccompagnò a sedere. Si sorrisero, con aria un po’ complice. Quando fu ora di tornare a casa, Weir uscì con Milne e con Ayeka, che se ne stava stretta a Rugi Heyser. Tutti e quattro percorsero le strade se-mideserte e quando furono sotto il portone Weir strinse Milne contro di sé. «Posso darti il bacio della buona notte?» Milne sorrise e alzò la faccia verso di lui «Buona notte, Weir» le loro labbra si incontrarono, assaggiandosi appena. Ayeka e Rugi, che stavano

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abbracciati poco più in là, li raggiunsero e i saluti diventarono formali. Weir rimase a guardare finché le due ragazze non furono salite in casa. Per qualche giorno non ebbero più occasione di vedersi da soli, ma tre sere dopo erano di nuovo tutti al Degalis, e Weir prese subito Milne per mano dirigendosi verso la pista. «Non sei arrabbiata per l’altra sera, vero?» domandò mentre ballavano. «Ma no» rise Milne «non è successo niente» Weir si chinò a baciarla sul collo «Vorrei che fossi la mia ragazza» «Forse...» Milne alzò la faccia verso di lui. Il saik bevuto la riscaldava piacevolmente. Weir la strinse forte contro di sé. «Andiamo a cercarci un angolino in pace» Trovarono una stanzetta vuota, sedili bassi e allungati, un tavolino con una luce bassa, tende che difendevano l’intimità degli occupanti da occhi indiscreti. Weir ordinò altro saik, che venne subito portato, e il cameriere si ritirò lasciando ricadere le tende. «L’altra sera ho solo sentito la punta del tuo bacio» sussurrò Weir «ma adesso dobbiamo assaporarlo tutto» «Facciamo questo esperimento...» disse Milne. Gli mise le mani sulle spalle, allungò le labbra verso le sue. Weir tratteneva quasi il respiro. Milne gli prese il viso fra le mani baciandolo a lungo, cercando con la lingua la sua. La prese per le reni premendola contro di sé. «Dio, Milne... sei uno schianto. Mi piaci da impazzire...» le aprì la cami-cia, cominciò a baciarle i seni mentre la mano saliva fra le gambe. «Oh, ancora» sospirò Milne con un gemito di piacere. Weir era steso so-pra di lei. Spinse le sue carezze finché Milne si rovesciò all’indietro, il respiro affannoso, gli occhi chiusi. «Basta» mormorò «basta Weir, basta adesso» «Milne» supplicò lui «ti desidero troppo, non ce la faccio a starti vicino così...» Milne scosse la testa «No, no» «Perché no?» si fermò, frenando le sue carezze «Perché no? Milne, ti prego...» «No» con uno sforzo Milne si rimise a sedere, cominciò a riassestarsi i vestiti «Non voglio. E adesso torniamo di là» Weir imprecò sottovoce, ma non insistette. Tornarono nella sala dove gli amici li presero benevolmente in giro «Da dove uscite voi due? Siete an-dati a ripassare la logica?» «Certo, abbiamo studiato con molto profitto» ribatté Milne, e tutti risero. Nell’allegria generale solo Gerrit Burni aveva corrugato la fronte per un attimo.

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Weir si comportò nei giorni successivi come se Milne fosse la sua ragaz-za: andava a mangiare con lei, l’accompagnava a casa; soprattutto cerca-va di stare con lei da solo. Ma Milne non andava più in là di qualche ba-cio frettoloso. Una settimana dopo erano di nuovo al Degalis, e questa volta Weir, dopo una dozzina di balli se ne andò con Milne in una delle salette separate. Bevvero saik, chiacchierarono, si alzarono diverse volte per ballare. Poi Weir tirò le tende e cominciarono a baciarsi. Milne, che ne apprezzava il corpo muscoloso, gli aveva aperto la camicia e lo carezzava sul petto, solleticando i capezzoli. Weir la teneva sopra di sé carezzandone le gambe lisce «Dio, Milne» la strinse di colpo «tu mi fai impazzire. Io adesso...» «Sta’ giù» Milne gli mise una mano sul petto, scese con i seni fino alla sua bocca «sta’ giù e baciami» Ma Weir dopo qualche attimo si girò di colpo fino a trovarsi su di lei. «Ti desidero troppo» disse «ora basta scherzare» fece il gesto di slacciar-si la cintura. Milne si irrigidì. «Lasciami» disse aspramente «ti ho già detto che non voglio far l’amore» «Si che ne hai voglia. Te lo leggo in faccia. E anch’io ne ho voglia. Per i démoni di Styr, adesso tu...» «Non voglio» ripeté Milne con forza «Lasciami, una volta per tutte» «Insomma» esclamò Weir esasperato «tu vuoi stare con me, segno che ti piaccio. Vuoi che ti accarezzi, mi accarezzi anche tu, ti piace godere, ma non vuoi far l’amore: so che non corri rischi di restare incinta... si può sapere allora cosa è che vuoi?» «Voglio...» Milne fu presa alla sprovvista «mi va bene così, ecco» «Ma a me non va bene, invece» insisté Weir, e si chinò per baciarla «suvvia, tesoro...» cominciò a sollevarle la corta gonna stando premuto su di lei. Milne si ribellò. «Lasciami stare» esclamò, e con una spinta lo fece ruzzolare a terra. Weir rimase a guardarla, deluso e irritato. «Ti dirò francamente la verità» disse Milne dopo qualche momento «sto bene con te, è vero. Ma nonostante quello che puoi pensare, io non ho fatto ancora l’amore con nessuno. E non mi va di farlo la prima volta con te, ecco tutto» «Ah» Weir si alzò in piedi «sicché ti va bene farti toccare e baciare, ma vuoi conservarti per un ipotetico principe azzurro, eh?» «Non dire fesserie» disse Milne alzandosi a sua volta

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«E io dovrei aspettare da buon secondo che quel... quel violatore di ver-ginelle faccia il suo mestiere?... sei proprio una stronza!...» Weir era di-ventato rosso dalla rabbia. «Sono stata sincera con te, e se non ti va puoi anche girare al largo da me» disse Milne che cominciava a essere offesa anche lei. «Certo che girerò al largo!... Ci puoi contare» gridò Weir, e aggiunse dalla porta «Conserva pure la tua verginità, povera stupida, io non ti rim-piangerò di certo» se ne andò a grandi passi, e Milne alzò le spalle e uscì per raggiungere gli amici. Tutti così i ragazzi, pensò, volevano una cosa sola: lei però intendeva, per la prima volta, provarci con qualcuno che valesse la pena. E Weir, oltre ad avere un corpo robusto ed essere una piacevole compagnia, non aveva proprio altro. E poi, aveva promesso a sua madre...

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1.8 Weir si tenne lontano da Milne nei giorni successivi, e venne preso ami-chevolmente in giro dai compagni per l’impegno che metteva nello stu-dio; seguiva in particolare le lezioni di scienze dell’uomo e biologia di Kalf Hegara e della sua assistente Seyana Doy. Il suo obiettivo era di riu-scire a farsi ammettere alla famosa Scuola Thaez, un’istituzione quasi mitica nell’ambiente dell’Istituto Superiore, che ci teneva anche a con-servarsi un alone di segretezza evitando di far conoscere l’ubicazione dei suoi prinripali laboratori. In quanto a Milne, si gettò subito dietro le spalle il breve flirt con Weir, e continuò ad andare a ballare e divertirsi con gli amici; naturalmente studiava, anche, ma trovava piuttosto duro l’applicarsi a lungo. Intanto si avvicinava il giorno in cui avrebbe dovuto ripartire per Kata. I Giochi di Primavera meritavano il loro nome, quell’anno: la primavera era esplosa già da una settimana, l’aria era calda e il sole splendeva sui tetti e sui giardini di Cooney, la Capitale del Nord. Due giorni prima della partenza, mentre Milne usciva dall’Istituto con un gruppo di compagni, si vide venire incontro un behir alto e fasciato di un’uniforme splendente. Restò quasi senza fiato per l’emozione nel rico-noscere Klavios Derey. «Daljet, Milne» disse lui sorridendo. Milne gli tese la mano, emoziona-tissima, ma Derey le diede un bacio sulla guancia e un amichevole buf-fetto «Allora, bambina, come vanno gli studi?» «Oh, benissimo» Milne si era prontamente ripresa «sto preparandomi per la prova di biologia fra quattro mesi. Ma come mai sei qui, Klavios? Mi fa piacere vederti, davvero» «Sono invitato anch’io ai Giochi di Kata» disse Derey «e siccome ho la fortuna di un antigrav in partenza domani per Ribha, ho pensato che a-vresti potuto venire con me. Dal confine in poi, in una giornata di cavallo possiamo arrivare comodamente a Kata. Sarà sempre meglio che quattro giorni di autobus» «In antigrav! Che meraviglia. Ti ringrazio, Klavios, davvero che sei stato gentile»

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Milne notò che i suoi compagni che si erano fermati poco più in là, spe-cialmente le ragazze, non toglievano gli occhi di dosso a Derey. A parte che lui era il Comandante Militare di Cooney, e quindi un altissimo per-sonaggio, il suo aspetto era certo di quelli che destano attenzione: alto, scurissimo, il fisico asciutto con i muscoli che si disegnavano sotto la pelle bronzea, il lucido caschetto nero dei capelli, l’uniforme dorata dei Leo che gli lasciava scoperte le spalle e le braccia, catene e bracciali al collo e ai polsi. Milne si sentì improvvisamente orgogliosa che gli amici vedessero che lei era in confidenza con quell’uomo splendido. «Manderò a prenderti domani alle due» disse Derey «verranno due delle mie guardie con un’automobile per portarti all’antigrav. Hai del baga-glio?» «Solo una sacca... lascerò qui quasi tutto: i Giochi durano solo dieci giorni» «Io non potrò restare per tutto il periodo dei Giochi. Starò soltanto quat-tro giorni e poi rientrerò a Coo» «Già, immagino che tu abbia molti impegni qui...» «Abbastanza» Derey rise, e le diede un altro colpetto sulla guancia. Mil-ne detestava essere trattata da bambina, ma con Derey non osava prote-stare. Gli diede l’indirizzo, e quando Derey se ne fu andato fu assediata dalle ragazze della sua compagnia che volevano saperne di più. «Che uomo affascinante, quel Derey!» esclamò Ayeka «è da tanto che lo conosci?» «Da quando ero bambina. E’ amico di mio padre...» «Non sembra così vecchio» «Lui ha... credo 35 anni, no, forse 36. Viaggerò con lui in antigrav per andare a Kata per i Giochi» «E’ inutile che ti provi a sedurlo durante il viaggio» intervenne acida-mente Gerrit Burni «tanto lui ti considera una lattante» «Stupido!...» Milne gli rifilò un calcio, ma Gerrit fu pronto a schivarlo e Milne quasi perse l’equilibrio. Gerrit rise andandosene e l’allegria ridi-ventò generale.

* * * Milne aspettò con impazienza il giorno seguente, quando alle due in pun-to due Militi della Guardia di Derey si presentarono a casa sua con un’automobile nera. Ayeka la salutò con entusiasmo «Come ti invidio,

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Milne! Pensa che io non ho mai fatto un viaggio in antigrav. E in com-pagnia di Derey, poi!» «Bè, magari è una compagnia noiosa» rise Milne mentre si abbracciava-no. Poi prese la sua sacca e volò giù. I due Grani salirono con lei in mac-china, silenziosi ed efficienti. In meno di un’ora la macchina arrivò a un campo fuori città davanti a un lucente antigrav i cui motori già ronzava-no bassi. Il volo serviva per il trasferimento urgente di Milizie a Ribha. Non c’erano voli civili su Zatla. D’altronde gli antigrav erano così pochi che venivano usati solo per necessità di Stato e militari. Perfino Klavios De-rey, nonostante la sua altissima posizione, non avrebbe avuto diritto a un antigrav solo per andare a trovare i suoi vecchi amici, anche se questi e-rano i Reggenti del Nordovest: aveva semplicemente approfittato di quel viaggio già programmato, che lo avrebbe portato a un passo dal confine. Milne si sedette vicino al finestrino, e per un pezzo si divertì a guardare sotto: anche la figlia di Jadran Ferry non aveva molto occasioni di viag-giare in antigrav. Il viaggio durò parecchie ore: dovevano praticamente attraversare tutta la Hyver. Col buio, Milne si rannicchiò sul sedile e chiuse gli occhi. Derey la os-servava pensando che quella ragazzina, che lui aveva conosciuto quando aveva appena cinque ani, era ormai una donna. Milne aveva gli occhi chiusi, e un’ombra di sorriso sulle labbra. «Quante ore abbiamo ancora?» domandò in un soffio. «Due ore circa» disse Derey «dormi pure se hai sonno» «Non ho sonno» ma teneva gli occhi chiusi e già scivolava in uno stato di dormiveglia. Derey le mise un braccio intorno alle spalle. «Appoggiati a me, bambina. Sta’ tranquilla, quando arriviamo ti sveglio» La testa sulla spalla di Derey, Milne respirava appena: attraverso la stof-fa leggera della tunica, sentiva i suoi muscoli duri come il ferro, e perce-piva l’odore di cuoio del cinturone. Si rilassò in completa beatitudine: la considerasse o no una lattante, lei ora era nelle braccia di Derey e ci sta-va divinamente. Restò ad occhi chiusi ma senza dormire, i sensi ben svegli ad assaporare il piacere di quella situazione, fino a che il sibilo dei motori cominciò a diminuire e l’antigrav si abbassò fino a terra. La notte, furono ospiti del Palazzo Pubblico di Ribha, e Milne restò sve-glia per un pezzo, al buio,le mani intrecciate dietro la testa. Riandava, con un brivido di emozione, alle due ore che aveva trascorso fingendo di dormire sulla spalla di Derey. Ne immaginava il corpo nudo in tutti i par-

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ticolari. Derey era l’uomo che avrebbe voluto avere per primo, concluse, e subito respinse il pensiero, che lì per lì le sembrò peccaminoso. ...e perché no?... Derey non era poi così vecchio, ed era certamente un uomo affascinante. Perché non con lui?... “Cosa direbbe mio padre?” pensò improvvisamente. Cercò di addormen-tarsi e di lasciar perdere. Ma il pensiero tornava, con insistenza. “Ho promesso a mia madre che non avrei fatto l’amore fintanto che fossi a Coo” si disse “ma adesso non sono più a Coo... e un’occasione così non mi capiterà mai più...” riuscì ad addormentarsi, alla fine, di un sonno piuttosto agitato, Si svegliò la mattina presto sentendo bussare alla porta. «Scendi a far colazione, Milne. Si parte fra un’ora» Derey si era fatto dare due cavalli, e procedettero al trotto sulla strada sterrata che portava a Kata. Milne andava volentieri a cavallo: le piaceva l’aria sulla faccia e sul corpo. Il sole picchiava già forte. Si fermarono in una locanda per un boccone verso mezzogiorno, e continuarono poi il viaggio. La strada era ora alta sul mare, che cinquanta metri più in basso formava spume leggere contro gli scogli. Faceva molto caldo. «Klavios» disse Milne accostando il cavallo al suo «se scendessimo a fa-re un bagno? Io non ce la faccio più» Derey guardò l’orologio, e calcolò che potevano anche fermarsi un’oretta e far riposare i cavalli: sarebbero arrivati a Kata sempre prima del buio. «Ma sì» disse, e spinse il cavallo giù per la scarpata. Milne lo seguì col cuore in gola. Trovarono una spiaggia riparata e lasciarono liberi i caval-li. In giro non c’era anima viva. Il cielo era azzurrissimo. «Dio, com’è bello» disse Milne guardando tutto intorno. Derey cominciò a spogliarsi. «Bè? Non volevi fare il bagno? domandò vedendo che lei non si era mossa. Le voltò le spalle «spogliati pure, io non ti guardo» Milne lo osservò mentre si spogliava, notando il movimento aggraziato di tutti i muscoli. Poi si spogliò rapidamente conservando gli slip e la leggera maglietta senza maniche. «Su» disse lui «l’acqua non dev’essere poi così fredda» l’afferrò im-provvisamente sollevandola come una piuma, e ridendo entrò in acqua. Milne strillò, e lui la lasciò andare con grandi spruzzi. Nuotarono nell’acqua limpida e Derey, che anni prima era stato anche campione di nuoto, con lunghe bracciate si allontanò dalla riva. Milne tentò di seguir-lo, ma dopo un po’ le mancò il fiato e si stese a pancia in su lasciandosi cullare dalle onde. Un quarto d’ora più tardi stavano stesi vicini ad asciugarsi al sole. Milne aveva tolto la maglietta inzuppata stendendola sulla sabbia e stava a pan-

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cia in giù sentendosi molto stupida. E ora?... guardò di sottecchi Derey che se ne stava sdraiato supino, già quasi asciutto, il corpo bronzeo illu-minato dal sole. «Klavios» gli disse girandosi a mezzo verso di lui «sai che tu sei molto bello?» «Bè, grazie» Derey rise «anche tu non sei male, Milne. Proprio per nien-te. E pensare che ti ho sempre considerato una bambina piccola, ma sei cresciuta, parola mia, eccome» «Vorresti far l’amore con me?» domandò Milne bruscamente. «Eeeh??!?» Derey balzò a sedere «ma sei impazzita?» «E perché no?» gli tenne testa, i riccioli biondi che si stavano asciugan-do, appoggiata sui gomiti, il seno solo in parte nascosto dalla sabbia. «Ma perché... perché io ho il doppio della tua età, ecco perché» si lasciò ricadere sulla sabbia calda. Milne rise, e gli mise una mano sul petto. Derey era troppo stupito per reagire «Vedi, Klavios, tu sei l’uomo più attraente che io conosca, e non sei uno dei tanti ragazzi che mi fanno la corte e mi sembrano bambocci... tu sei l’ideale per essere il mio primo uomo» «Il tuo primo...» Derey si portò una mano alla gola, esterrefatto «ma Milne, ti rendi conto?... e pensa a tuo padre e tua madre...» «Non dire che non sei mai stato con una ragazza di diciassette anni, ma-gari vergine come nel mio caso» disse Milne «eppure anche quella donna aveva un padre e una madre, non ci hai pensato?» «No» confessò Derey, sentendosi a metà fra il lusingato e l’offeso per essere considerato, da quella ragazzina, poco più che un oggetto «non ci ho pensato. Ma con te... è diverso. Io li conosco, i tuoi, da tanti anni...» «Klavios» disse Milne sottovoce con una leggera carezza sul petto bruno «io voglio te come mio primo uomo... ti prego» «Io...» Derey stava combattendo una dura battaglia con se stesso. Consi-derava il corpo giovane e snello di Milne, semisdraiato vicino a lui, il vi-so sbarazzino circondato da un’allegra massa di riccioli biondi, che in quel momento aveva un’espressione pensosa, il mento appoggiato alle mani, la delicata curva dei seni. Deglutì mentre il desiderio lo prendeva alla gola. «Sei bello come un dio» sussurrò Milne percorrendo con le dita i musco-li della spalla. «Tuo padre mi ammazzerebbe» disse Derey «non posso... e io non sono mica uno che si sposa, non lo sai?»

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«Ma io non voglio mica sposarti» Milne scosse con decisione i riccioli biondi «voglio solo far l’amore con te. Solo una volta, Klavios, poi non ti cercherò più, te lo prometto solennemente» «Per il Dio, tu mi provochi» gemette Derey, girandosi a pancia in giù per nascondere la propria eccitazione. Milne si alzò a sedere e gli mise le mani sulle spalle. «Ho studiato l’arte del massaggio dagli hegxen» mormorò «adesso ti fa-rò un massaggio che ecciti in te il desiderio di me...» lo toccava sul collo e sulle spalle, con pressioni improvvise. Derey si voltò di colpo con un’esclamazione soffocata. «Ah, Milne, davvero non c’è bisogno che tu ecciti il mio desiderio giac-ché io non potrei desiderarti più di così...» «Amami, allora» sussurrò lei. Derey la allacciò lentamente alla vita. «Hai vinto, principessa. Sono tuo...» cominciò a baciarla piano, poi sem-pre con maggior desiderio: la sua bocca profumava di tè aromatico e i sensi di Milne erano tesi allo spasimo, mentre le braccia di Derey la stringevano fino a farle mancare il respiro. Si lasciarono lentamente guardandosi negli occhi. «Dio, Klavios» sospirò lei «ti desidero da impazzire» lo carezzava sul petto, poi la sua mano scendeva prepotentemente sotto la cintura «ti de-sidero troppo...» Derey ebbe un singulto soffocato «Non so cosa succederà, bellezza mia, ma sia quello che vuole. Oggi niente più conta, niente...» passò le mani lentamente sul collo, sulle spalle, sulla schiena. Poi fece scivolar via gli slip, cominciò a baciare tutto il giovane corpo che si inarcava di deside-rio a ogni suo contatto. «Prendimi» gemette Milne «prendimi subito...» fu solo un attimo di do-lore, poi un lungo piacere che a Milne sembrò interminabile. Quando fu finito, Derey rimase abbandonato sul suo corpo, entrambi sfiniti come da una lunga lotta. Più tardi, Milne aprì gli occhi, gli sorrise, gli prese il viso bruno fra le mani. «Klavios, è stato... indescrivibile» «Non ti ho fatto male?» domandò lui sottovoce Milne scosse la testa «No... è stato bellissimo» «E tu sei stata...» non osava dirlo, ma la risposta della sensualità di Milne era stata esplosiva «sei la dea dell’amore, piccola Milne, sei fatta per l’amore» Milne lo lasciò lentamente «Io non ti cercherò più, Klavios, te l’ho pro-messo. E anche tu, non cercarmi. Solo tu e io sapremo di questa ora me-ravigliosa che abbiamo passato insieme»

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«Si, Milne, prometto» la sua mano indugiò ancora un attimo sul fianco di Milne, poi si alzò in piedi, cominciò a vestirsi. Milne lo aveva forzato, ma l’amore con lei era stato una cosa indimenticabile. Lui però doveva lasciare che adesso Milne vivesse la propria vita con i giovani della sua età. Sospirò mentre allacciava il cinturone: lui, Derey, non aveva una donna. Molte donne, questo sì, ma non una, una sola, alla quale abban-donarsi.

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1.9 I giorni dei giochi passarono in fretta. Kata era in festa, spettacoli di gio-chi si svolgevano dappertutto, e folle multicolori nei costumi dei più lon-tani villaggi si muovevano per tutta la città moltiplicando l’allegria gene-rale. Klavios Derey, in qualità di ex campione di quasi tutti i Giochi di Zatla, fu invitato dappertutto come ospite d’onore. Milne mantenne la parola, e si comportò con lui come se l’episodio che li aveva coinvolti durante il viaggio verso Kata non fosse mai avvenuto. Falen Kerialys, che osservava sempre attentamente gesti e atteggiamenti di sua figlia, notava in lei a volte come una nuova consapevolezza, un sorriso più franco e profondo. Milne stava maturando, forse troppo in fretta, diceva Falen tra sé. Lei e Ferry erano preoccupati per Jels. Ne parlarono una sera, insieme a Milne. «Sono passati più di tre mesi. Non è normale che non abbia mandato sue notizie» osservò Ferry. «Ma sarà impegnato con la sua missione» disse Milne, pratica «non sai dove doveva andare?» «No, non poteva parlarne neanche con me... ma se non si fa vivo fra una quindicina di giorni andrò io al suo Comando per sapere qualcosa. E poi, le strade di Zatla non sono tanto sicure...» «Pensi sempre ai Gundili?» domandò Falen. «Si... quei fanatici crescono sempre di numero. Ne hanno segnalati anche vicino ai nostri confini. La foresta di Rimal e la Grande Palude di Skyb ne sono piene. Il loro dio Gunda esige sempre nuovi sacrifici umani, e qualche sbandato o cercatore di chorka non gli basta più: rapiscono per-sone anche in pieno giorno» «La Grande Palude di Skyb» Milne corrugò la fronte nel ricordo «è quel posto dove hanno ammazzato mio fratello Piet, non è vero? Io allora ero molto piccola: ho solo un vago ricordo di Piet» «Era un ragazzo molto coraggioso» disse Falen. Lei e Ferry si scambia-rono uno sguardo al ricordo del loro primo incontro nella palude, proprio in quella terribile circostanza.

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«Ma io non corro pericoli, padre» disse Milne «avrò la scorta fino alla stazione degli autobuis» «Certamente. Ti avrei mandata a prendere a Coo se non avessi saputo che viaggiavi con Derey» «Ah, con lui non correvo rischi di sicuro» disse Milne in tono canzonato-rio, e Falen alzò un attimo gli occhi a scrutarla. Ma Milne aveva già cambiato argomento, cominciando a parlare dei suoi studi a Cooney. «Il corso più seguito è quello di Scienze dell’uomo, diretto da Kalf He-gara. Questo Maestro appartiene alla Scuola Thaez, quella famosa che ha una laboratorio in mezzo al Deserto di Pietra, almeno così si dice. visto che tengono tutto molto segreto... molti miei compagni farebbero pazzie per essere ammessi a questa scuola» «E come ti trovi con i tuoi compagni?» domandò Falen. «Oh, bene... sai una cosa? Uno che prende sempre in giro tutti è Gerrit Burni, il figlio del vostro amico Burni. Bè, questo Gerrit è proprio anti-patico: lui studia logica e crede di essere qualcuno perché è vicino al di-ploma. E poi nella nostra compagnia c’è anche un hegxen, uno di quelli che chiamano “stregoni”... ma veramente lui non ha una compagnia: sta indifferentemente con tutti. Si chiama Yasei Arexsen e sembra sempre che ti legga nel pensiero» «E magari è così» disse Falen «gli hegxen sono capaci di fare cose stra-ordinarie. Ma non hai delle amiche?» «Oh, certo. Ayeka, ad esempio, che abita con me. Però a dire il vero io mi trovo più a mio agio con i maschi» «Ah, hai ragione» disse Falen con finta serietà rivolgendo un mezzo sor-riso a Ferry «si sta meglio con i maschi. Con certi maschi. almeno» Milne si alzò impulsivamente e andò a mettersi dietro suo padre e sua madre, le braccia sulle loro spalle: era uno dei rari momenti in cui si sen-tiva in confidenza con loro, specialmente con suo padre. I ragazzi di Zat-la venivano educati fin da piccoli a trattare i genitori con rispetto formale e anche Milne, che mal volentieri sottostava alle forme, non poteva non risentirne. «Mami, papi, io credo che voi due siate una coppia speciale... non ho mai visto un marito e una moglie andare d’accordo come voi due. Hallen e Aledia si vogliono bene, ma litigano spesso; Mowri con Eniza giurano ogni due giorni che si separeranno, e Gerrit Burni, a quanto dice suo fi-glio, colleziona ragazze giovani una dopo l’altra anche se ha passato i cinquant’anni... io credo che voi due siate un’eccezione» Ferry rise, circondandole la vita con un braccio «E’ vero, Milne, ma non significa che abbiamo sempre la stessa opinione»

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«Anzi, discutiamo anche vivacemente» aggiunse Falen «ma è una di-scussione fra persone civili, e dopo...» «Dopo vi amate di nuovo» terminò Milne con un sorriso impertinente. Sospirò alzandosi «mi piacerebbe trovare un uomo col quale andare così d’accordo... il fatto è che tutti i ragazzi, dopo un po’ che li conosco, mi sembrano stupidi» «Milne!...» «Scusami, padre» disse subito Milne. Poi sorrise di nuovo «Spero che Jels torni presto. Qui è tutto abbastanza noioso senza gli amici che lui riesce a radunare. E a proposito, perché Gunar non si fa mai vivo? L’ho visto ai Giochi, ma solo i primi giorni allo stadio, poi è sparito» «Credo che stia facendo degli studi» disse Falen «storia antica, mi pare. E’ molto impegnato» «Storia?!?» Milne aggrottò la fronte: mai avrebbe pensato che Gunar si dedicasse ad argomenti così pesanti «è diventato un gran bel ragazzo. Chissà quante ragazze lo filano» «Va’ a trovarlo a scuola» suggerì Falen «così scoprirai esattamente che studi sta facendo»

* * * FINE ANTEPRIMACONTINUA...