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IL FOGLIO quotidiano Redazione e Amministrazione: Via Vittor Pisani 19 – 20124 Milano. Tel 06 589090.1 Sped. in Abb. Postale - DL 353/2003 Conv. L. 46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO DIRETTORE CLAUDIO CERASA ANNO XXII NUMERO 145 MERCOLEDÌ 21 GIUGNO 2017 - e 1,80 con Oil Magazine in omaggio y(7HB1C8*QLQKKS( +_!z!.!$!# Il grottesco abbandono di cuccioli per colpa dello ius soli Tutti zitti, suona il grande Evgeny Kissin: “L’occidente ha tradito i propri valori. E i nemici di Israele sono i miei” Roma. Evgeny Kissin ha quarantasette anni, ma lo stesso viso di ragazzo cagionevole che aveva quando è diventato famoso come uno dei più grandi pianisti viventi. Moscovita di nascita e di studi, Kissin è stato un fanciullo prodigio. A diciotto mesi, ascoltando la mamma e la sorellina al pianoforte, sapeva ripete- re una fuga di Bach. A quattro anni le prime improvvisazioni, a sei diventa compositore, a sette i primi concerti, a dodici incide Chopin, a sedici registra con Karajan e i Berliner Philharmoni- ker. Viene accolto con tutti gli onori dal pubblico occidentale e da allora il mondo non riesce a saziarsi della sua musica. Nella sua casa di Mosca, Sviatoslav Richter voleva passare un po’ di tempo a suonare con lui. Kissin è diverso dagli altri musicisti contemporanei, giganti musicali ma nani morali come Daniel Barenboim e Gustavo Dudamel. Oltre ad aver firmato un nuovo contratto con la Deutsche Grammophon, Kissin questa settimana ha pubblicato un libro, “Memoirs and reflections”, curato da Marina Arshinova per Weidenfeld & Nicolson. “Sono un grande sostenitore dei valori occidentali”, scrive Kissin, “ma negli ulti- mi anni ho realizzato che l’establishment occidentale ha spesso tradito quegli stessi valori. E una delle manifestazioni di questo tradimento è la posizione contro Israele”. Il ragazzo prodigio non suona mai dallo spartito dell’agitprop. Tutto il contrario di quan- to ha fatto un altro virtuoso della musica, il maestro Daniel Ba- renboim, che su Haaretz ha appena spiegato che Israele è stato “dato” al popolo ebraico da parte di un mondo in preda al senso di colpa dopo la Shoah, facendola pagare ai palestinesi. “Me- moirs and Reflections” è un atto d’amore per il terzo paese d’a- dozione di Kissin, che si definisce cittadino “della Russia, del- l’occidente e di Israele”. Scrive di sentirsi “come un soldato d’Israele nell’arena internazionale” e di essersi ispirato agli scritti di un non ebreo, Vladimir Bukovskij. Nel 1994 questo dis- sidente sovietico pubblicò un libro intitolato “Judgement in Mo- scow”. E Kissin cita un passaggio: “Se hai il coraggio di continua- re a uccidere le persone abbastanza a lungo non sarete più un terrorista, ma uno statista e un premio Nobel per la pace. Questo non rimarrà inosservato da parte di Hamas…”. Guai a fare il nome di Jeremy Corbyn in sua presenza. “Il mio defunto zio, Lord Kissin, si starà rivoltando nella tomba”. Harry Kissin, militante del Labour di primo piano ed esule dal nazi- smo. Parole non meno dure, Kissin riserva per l’Unione europea. “Non mi piace quello che è diventata. Essendo cresciuto in Unio- ne sovietica, mi piace l’indipendenza degli stati. Un mercato comune è una cosa, una centralizzazione politica è completa- mente diversa”. Quando a Londra, alla Royal Albert Hall, i faci- norosi antisionisti interruppero la direzione di Zubin Mehta e dei musicisti israeliani, Kissin disse loro: “Venite ai miei con- certi, il caso di Israele è il mio, i nemici di Israele sono i miei. Israele, nonostante io non viva lì, è l’unico stato al mondo con cui posso identificarmi pienamente, e le cui storie, i problemi, le tragedie e il cui destino stesso io possa sentire come mio. Non voglio essere risparmiato delle difficoltà che i musicisti israelia- ni incontrano quando rappresentano lo stato ebraico oltre i con- fini”. Così ha firmato sul Guardian l’appello promosso dallo sto- rico Simon Schama contro il boicottaggio. Kissin ha detto di aver- lo fatto contro “l’isteria degli attacchi che in occidente, e perfino da molti intellettuali, sono rivolti a Israele. Ho vissuto in Unione sovietica e so a quali risultati, purtroppo, può arrivare una pro- paganda bene organizzata”. Bis! Sylvie ed Emmanuel Perché Goulard si è dimessa dalla Difesa francese, tra la morale europea e il potentato di Bayrou Centauro innamorato Ecco perché quel motociclista non si è accorto di avere dimenticato per strada la propria moglie Guerra tiepida Fra tensioni militari e inchieste, Tillerson detta la linea morbida con Mosca Un documento strategico rivede le relazioni con la Russia. Niente aiuti per i paesi nell’orbita di Putin Lo scontro interno A ciascuno il suo Giuliano. Uomo della vendetta per D’Alema, balsamo della giovinezza per Prodi, passaporto nel centrosinistra per Letta e Bersani, tocco rosè per Renzi. Indagine su una fantastica foglia di fico Uno, nessuno e centomila Pisapia La Giornata * * * In Italia IL SINDACO DI ROMA VIRGINIA RAGGI RISCHIA IL PROCESSO nell’am- bito dell’inchiesta sulle nomine in Cam- pidoglio. Nel dettaglio, al primo cittadi- no della Capitale è contestato dalla pro- cura romana l’abuso d’ufficio in relazio- ne alla nomina di Salvatore Romeo a capo della segreteria politica e il falso per quella alla direzione Turismo di Re- nato Marra, fratello dell’ex capo del per- sonale, Raffaele. Chiesta invece l’archi- viazione rispetto all’accusa di abuso d’ufficio in relazione alla nomina di Re- nato Marra a capo del dipartimento Tu- rismo. *** Sì allo ius soli da parte del presidente del Senato, Pietro Grasso, che auspica l’approvazione del provvedimento “en- tro l’anno”. A ogni modo, ha aggiunto Grasso, bisogna vedere come sarà appro- vato dal Senato”, considerati anche i quasi 50 mila emendamenti presentati dalla Lega nord. “Discutere di cittadinanza senza una concertazione a livello europeo è propa- ganda, fumo negli occhi dei cittadini”, si legge sul blog di Beppe Grillo. *** “Il reddito di cittadinanza è aberrante” ha detto il ministro dello Sviluppo eco- nomico Carlo Calenda, intervenendo al- l’assemblea di Confartigianato. “E’ mol- to più facile dare un reddito che dare un lavoro, ma si tratta di una misura ideolo- gica”, ha osservato Calenda. *** Iniziano oggi gli esami di maturità con la prova di Italiano. Secondo i dati prov- visori diffusi dal ministero dell’Istruzio- ne, è stato ammesso all’esame il 96,3 per cento dei candidati. *** Borsa Italiana. FtseMib -0,97 per cen- to. Differenziale Btp-Bund a 165 punti. L’euro chiude in calo a 1,11 sul dollaro. A ciascuno il suo Pisapia, uno nessuno e centomila Giuliano. E c’è infatti Roma- no Prodi, chiuso in un suo guscio forse sicu- ro, prezioso, inalterabile, o forse invece di una fragilità senza avvenire, che fa capoli- no, ancora una volta, e riscopre l’Ulivo e l’U- nione con tutte le loro balsamiche virtù, e dunque propone Pisapia per proporre in realtà se stesso, per riemergere dalla soffit- ta, “io gliel’ho detto, se vuoi faccio il Vinavil della sinistra, che è la colla”, dice, e allora si capisce che lo vuole usare come olio che lubrifica, che fa scorrere lo stantuffo del centrosinistra senza che necessariamente il veicolo debba muoversi. E c’è poi Massimo D’Alema che invece lo coccola e lo blandisce, perché cari- cato di crisma e cari- sma, secondo lui Pisa- pia ascenderebbe al rango di leader del- la sinistra per ripa- rare quei torti che D’Alema crede d’aver subìto, per- ché solo Pisapia secondo lui può restituirgli l’ono- re, cacciare i ren- ziani dal tempio, erigere fortezze alla virtù. E c’è an- che Enrico Letta, che pure lui lo elogia e lo massaggia, lo pre- para e lo sprona, perché Letta non vuole rincasare in quel Pd di cui non ha preso più la tessera, ma certo intende accasarsi “nel centrosinistra più largo”, proprio come Pier Luigi Bersani, che forse non si è pentito del- la scissione, ma quasi, e allora dice che sì, “bisogna unirsi”, tutti, e “parlare anche con il Pd e il suo segretario, grazie a Pisapia”. E infine c’è Matteo Renzi, che forza la sua na- turale e bullesca ritrosia, e allora proprio come gli altri gli sorride e lo invita, vagheg- gia con lui alleanza e praterie elettorali che si estendono fino a Carlo Calenda, il mini- stro dello Sviluppo, insomma maneggia Pi- sapia come fosse un colore o una scenogra- fia, purché ovviamente dalla rappresenta- zione alla fine si escludano D’Alema e quasi tutti i rottamati e scissionisti. E così l’idea politica che ciascuno proietta sul povero Pisapia è che lui sia un rimedio a tutto, al corpo troppo vissuto del- la sinistra, alla pancia a pera dell’Ulivo e dell’Unione pensionati ma pronti a torna- re in servizio, alle borse sotto gli occhi del- la rottamazione perduta, alle rughe e ai ca- pelli bianchi di una nomenklatura post co- munista e post democristiana che si ripro- pone all’infinito e non si rassegna al passare delle stagioni, ma al contrario si muove con l’idea sott’intesa di appiattire, banalizzare, disanimare, dissanguare tutto ciò che è pulsante, vivo. Tutti sostenitori e servitori interessati, non perché servendo Pisapia lo diminuiscano, ma perché solo così possono sognarsi ancora in sella e lu- crare qualcosa. Dunque povero Pisapia, se un giorno sco- prisse di essere disceso in politica solo per permettere a D’Alema di diventare ago del- la bilancia, per consentire a Massimo la vendicativa e divertente inadeguatezza di rimirarsi e rimuginarsi l’ombelico, o per garantire una seconda impossi- bile parvenza di gioventù a Prodi, o l’agile rientro nel centrosinistra di Letta, o l’ultima possibilità per Bersani di evitare un pietoso finalissimo, o infine per far da comparsa alla cor- te di Matteo Renzi, che già gli conta i voti in tasca e non ne trova molti . A servizio di cosa vuole mettere la propria intelli- genza, il suo ta- lento, le sue idee, Giuliano Pisapia? E qua- le tra le tante maschere che i troppi impresari gli vogliono affibbiare è il suo vero volto? Forse tutte le maschere, e dunque nessuna. E allora davvero niente come questo elegante ex sindaco di Milano sembra incarnare il tormento e la confusio- ne del centrosinistra che in Italia esplode, si scombina e si ricombina in una polifonia di formule e in una molteplicità di leader, più o meno anziani, più o meno dotati, capa- ci d’esprimere ciascuno un suo orizzonte tragicamente incompatibile con quello di tutti gli altri se non per un aspetto, tuttavia ancora piuttosto evanescente: ognuno, a modo suo, invoca Pisapia. Ma un Pisapia di- verso, che comincia a rivelare una spiccata affinità con il chewing gum – lo tiri di qua e vuol dire una cosa, lo tiri di là e ne vuol dire un’altra – o forse comincia invece a rivelare una spiccata affinità con il belletto, il trave- stitismo, il maquillage e il cerone. Governa- re chi pensa di governarti, usare chi vuole usarti può anche essere una tentazione. Ep- pure il sospetto di non essere attore, ma agito, Pisapia dovrebbe covarlo. Anche se la cosmetica è, parafrasando Kraus, il co- smo della politica. New York. Nella Siria occidentale i russi considerano i caccia americani in volo “obiettivi aerei”, nelle procure di Washin- gton s’indaga su collusioni e intese politiche fra l’entourage di Donald Trump e il Cremli- no. In mezzo agli estremi del romanzo russo- americano c’è Rex Tiller- son, il segretario di stato che all’esordio era descrit- to come un petroliere tira- piedi di Vladimir Putin, poi è diventato una comparsa nell’Amministrazione strettamente controllata dallo Studio ovale e ora sta cominciando a brillare di luce propria. Un documen- to strategico sui rapporti con la Russia sve- lato da BuzzFeed mostra che Tillerson ha li- bertà di manovra nel reimpostare le relazio- ni con la potenza che è al centro di tutte le preoccupazioni e le paranoie occidentali. Chi ha visto il report preparato da Tillerson dice che tiene un approccio pragmatico ed equilibrato per evitare che i rapporti che so- no nel “canale di scolo” vadano a finire nel- la “fogna”. E’ questa l’immagine scelta da un funzionario del dipartimento di stato. La po- sizione del dipartimento di stato si regge su tre pilastri. Primo: chiarire che l’America non tollererà azioni russe che minacciano i loro interessi. Secondo: rafforzare le aree dove ci sono interessi comuni e fare pressio- ne per allentare i rapporti con gli avversari. La tensione nei cieli siriani non aiuta la rea- lizzazione di questo punto. Terzo: promuo- vere la “stabilità strategica”, un concetto flessibile che si adatta bene a un’Ammini- strazione che imposta le relazioni interna- zionali sulla base degli interessi, non degli ideali. (Ferraresi segue a pagina quattro) Pyongyang uccide E’ morto il cittadino americano rilasciato dal regime nordcoreano. Ora tutti si accorgono delle atrocità Roma. Otto Warmbier, uno studente ame- ricano poco più che ventenne, un paio di an- ni fa ha ceduto alla curiosità. Una curiosità che lo ha condotto in Corea del nord, dove (forse) ha fatto una stupidaggine, e da quel momento è stato trasformato, suo malgrado, nel volto della propaganda nordcoreana. Poi però è accaduto qualcosa. E quel qual- cosa fa parte dei grandi misteri che avvolgo- no le notizie che riguardano la Corea del nord. L’unica cosa certa finora è che lo stu- dente americano è tornato a casa in coma, il 13 giugno scorso, soltanto sei giorni prima di morire. Un paio di anni fa era il periodo del gran- de successo della serie di Vice trasmessa sulla Hbo: un gruppo di giocatori dell’Nba che vanno in Corea del nord a divertirsi, e mostrano il lato bizzarro e divertente della capitale nordcoreana – compreso quello del suo leader Kim Jong-un, appassionato di ba- sket. La serie tv, nonostante le critiche, ha un grande successo in America. Nel 2015 Ot- to Warmbier, che è originario di Wyoming, ottomila anime nello stato dell’Ohio, studia all’Università della Virginia e frequenta il terzo anno della McIntire School of Com- merce. Otto decide di partecipare, nel di- cembre del 2015, a uno dei viaggi organizzati della Young Pioneer Tours, una “società di viaggi-avventura” cinese, “la prima a offrire tour economici nella Repubblica democra- tica di Corea”. Da anni Pyongyang tenta di accreditarsi come meta turistica dell’estre- mo oriente: è anche per questo che è nato il semideserto Masikryong Ski resort, impian- to sciistico costruito nel 2014. La Young Pio- neer Tours funziona così: offre un’esperien- za “indimenticabile” in uno dei luoghi “più chiusi del mondo” (“il viaggio che i vostri genitori non vogliono che facciate!”, recita un loro slogan), e lo fa coccolando la curiosi- tà di giovani e a volte incoscienti ragazzi il cui unico scopo, dal punto di vista di Pyon- gyang, è portare in Corea del nord valuta straniera. (Pompili segue a pagina quattro) L a quotidianità politica è piena di anfratti grotteschi, che inducono al commento ridanciano. Ad esempio, Virginia Raggi rischia il processo, ma lei si dà 7,5. Senza condizionale. Si parva licet,a Caltagirone l’assessore alla Cultura Vito Dica- ra si è autosospeso, per questo: è stato beccato in flagranza da una videosorveglianza mentre nottetempo abbandonava quattro cagnolini in una zona remota della città. E hai voglia a caz- zeggiare. Solo che, certe volte, il grottesco del- le dichiarazioni supera la fantasia. Basta il co- pia incolla. Dicara: “Rientrando a casa quasi a mezzanotte ho trovato sull’uscio della mia abi- tazione una scatola con dentro gli animali… A quell’ora tarda ho ritenuto, oggi mi accorgo con molta superficialità, di depositarli vicino ad alcune ville abitate da persone notoria- mente sensibili; ciò nella certezza del salva- taggio dei cuccioli. Chiedo scusa all’intera cit- tà”. Il sindaco, che ad ogni buon conto paracu- leggia: “Do atto all’assessore di essersi imme- diatamente autosospeso da ogni attività amministrativa (e pensate se avesse abbando- nato un neonato, ndr). Valuterò il da farsi, an- che in relazione all’esito delle indagini”. E menomale che “per naturale carattere e for- mazione professionale sono abituato a valuta- re i fatti nella loro oggettività, senza enfatiz- zarli”. E pensate se enfatizzava. Ma siccome è comprensivo, ha concesso a Dicara di aver “compiuto un gesto episodico superficiale, molto probabilmente dettato dalla confusio- ne”. E pensare che per cavarsela bastava dire, à la Piero Grasso, un più banale: “Finché non c’è lo ius soli, non so dove cazzo metterli”. Bruxelles. Sylvie Goulard, ministro del- la Difesa francese, ieri ha annunciato di non voler restare nel governo di Edouard Philippe: è coinvolta in uno scandalo sul- l’uso improprio di fondi dell’Europarla- mento. La sua decisione di lasciare il go- verno ha provocato sorpresa e panico a Pa- rigi, come a Berlino e a Bruxelles. Goulard era stata la musa dell’europeismo del pre- sidente, Emmanuel Macron, e aveva orga- nizzato la sua visita alla cancelleria tede- sca prima delle presidenziali. All’indoma- ni della vittoria del 7 maggio era conside- rata tra i favoriti per la nomina a premier e poi a ministro degli Esteri, salvo essere di- rottata alla Difesa (probabilmente per un’operazione di palazzo condotta da François Bayrou, ora ministro della Giu- stizia, in difesa della sua protetta, Marielle de Sarnez, nominata agli Affari europei). L’uscita di scena di Goulard, nel contesto dell’ennesimo scandalo nella vita politica francese, è un duro colpo all’immagine macroniana di rinnovamento della vita pubblica. La cosa più grave è che senza di lei il motore franco-tedesco rischia di es- sere molto meno oliato di quanto necessa- rio per far tornare a funzionare a pieno regime l’Ue. La sua partenza è “una cattiva notizia per la cooperazione franco-tedesca sulla Difesa: pochi a Parigi conoscono la Germania tanto bene quanto lei”, ha com- mentato il presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, Wolfgang Ischinger. Ma la decisione di Goulard è an- che un atto di accusa, proprio contro Ba- yrou, la cui posizione di ministro della Giustizia (insieme a quella di De Sarnez) è in bilico in vista della nomina del nuovo governo Philippe di oggi. L’inchiesta preliminare riguarda il Mo- Dem, ha scritto Goulard nel comunicato in cui ha annunciato la decisione: “Voglio es- sere in grado di dimostrare liberamente la mia buona fede”. Come a dire: guardate a chi ha messo in piedi questo sistema. “Goulard ha assassinato freddamente Ba- yrou e De Sarnez” spiega una fonte del- l’Europarlamento. Il MoDem è il partito personale di Bayrou: fondato nel 2007 do- po aver ottenuto il 18,5 per cento alle ele- zioni presidenziali, è un comitato elettora- le che serve gli interessi del suo presiden- te. La fidata de Sarnez è vicepresidente. L’inchiesta condotta dalla magistratura su denuncia di un europarlamentare del Front National, a cui si è aggiunta la testi- monianza di un ex funzionario del MoDem, riguarda i fondi che il Parlamento europeo destinati agli assistenti parlamentari e che sarebbero stati utilizzati per pagare il per- sonale del partito. La pratica era diffusa a Bruxelles e Strasburgo: in passato quasi tutte le delegazioni nazionali usavano gli stanziamenti dell’Europarlamento per pa- gare i funzionari locali. Le regole sono sta- te modificate nel 2011, ma ancora oggi esi- stono casi limite: difficile distinguere tra attività direttamente legata al mandato eu- ropeo e quella svolta esclusivamente a li- vello locale. In questa legislatura l’Euro- parlamento ha chiesto rimborsi a decine di deputati per “irregolarità”. Tra gli ita- liani, sono stati sollevati rilievi nei con- fronti di Mario Borghezio della Lega nord (il suo assistente, Massimiliano Bastoni, nel 2011 era stato eletto consigliere comu- nale a Milano) e Laura Agea del Movimen- to 5 stelle (aveva assunto come assistente locale un militante). Lara Comi di Forza Italia è stata costretta a restituire i fondi utilizzati per pagare la madre come assi- stente. L’ondata moralizzatrice all’Europarla- mento, in realtà, ha molto di politico e po- co di morale. Ben prima di Goulard, la vit- tima più famosa delle verifiche sull’uso dell’indennità per gli assistenti era stata Marine Le Pen. Nel marzo del 2015, l’ex presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz, aveva deferito all’Ufficio antifrode dell’Ue (Olaf) il Front national per possibi- li irregolarità finanziarie nel tentativo di eliminare Le Pen per via giudiziaria. La magistratura francese si è mossa contro Le Pen. Ma, come spesso accade in una crisi di regime, l’appetito giustizialista in Fran- cia si è ampliato a dismisura. Ieri ci sono state perquisizioni nella sede del gruppo Havas e dell’agenzia pubblica Business France nel quadro di un’inchiesta per fa- voritismo su un viaggio di Macron come ministro dell’Economia a Las Vegas nel 2016. Twitter @davcarretta D ispiace dirlo, ma tutti i mo- tociclisti sopra i 50 anni pur essendo sposati sono inna- morati di un’altra donna (di so- lito Hoara Borselli, già fidan- zata di Zenga). Essendo con la mente concentrati su un’altra donna, succede che il centauro si dimentichi la moglie all’Autogrill. Lei a sua volta si innamo- ra del benzinaio, ma decide comunque di fare una scenata al marito. Parlia- moci chiaro, quando l’uomo è innamo- rato non capisce più niente, per cui sarebbe bene che certi lavori all’inna- morato vengano impediti, tipo nelle centrali atomiche, guidare i treni, ec- cetera. A chi non è capitato di essere innamorato di Anna Tatangelo e quin- di di non riuscire ad assemblare un mobile Ikea? La tua compagna capisce subito: “Piero, hai la testa altrove…”. “No amore, è solo un po’ di stress, ma nemmeno”. Lei: “Ma possibile che un ingegnere civile quale tu sei sia così distratto? Non è che sei innamorato di Anna Tatangelo?”. Piero: “Amore, no! Mi piace come donna ma amo te!”. Questa patologia è ben descritta sia da Cesare Lombroso sia dall’Ariosto: per- dere il senno per amore. Alcuni per esempio, appena vedono un video di Jessica Parker aprono la finestra e scaraventano giù una poltrona. E’ un gesto d’amore totale che lascia i pre- senti perplessi, ma nemmeno: ognuno reagisce a suo modo. Alcuni corrono in cantina e sbattono via il modellino di veliero che era stato costruito con tan- ta pazienza. Scusa, questo quando? Quando vedono l’impiegata di posta più bella del mondo (piazza Cordusio, Milano). La donna è diversa La donna invece è diversa. Davanti all’amato finge di svenire, oppure aspetta per giorni fuori dalla villa di George Clooney e quando esce lo tam- pona apposta con la macchina (se lui è in macchina). Piccolo incidente, ma sufficiente per parlargli. Se George in- vece è in moto le ragazze appena si ferma gli sgonfiano le ruote e gli tirano via il serbatoio. Lui esce dal bar dove ha fatto piangere (senza motivo) la bari- sta e le spasimanti sono lì pronte a regalargli un girocollo d’oro da 25.000 euro. Lui non lo accetta, le spasimanti impazziscono e tirano il braccialetto nel fiume dicendo a George: “Erano tutti i miei risparmi, li ho spesi per farti un regalo”. George ringrazia, prende la moto e pur senza serbatoio riparte, trainato da un trattore guidato dalla figlia di un agricoltore del posto che lo porta nella sua azienda agricola e nel fienile lo bacia senza motivo. Il papà della ragazza è contro questa re- lazione, avendo lei 25 anni. Lei abban- dona l’università (Scienze del Territo- rio a Brindisi) e scappa di casa per mettersi come tante altre ad aspettarlo fuori dalla villa. Clooney si barrica in casa per la prossima uscita e avventura da matti. Noi uomini di fatica che lavoriamo al porto di Cagliari di solito invece ci in- namoriamo della donna in divisa, sia essa vigilessa, agente o altro. Sì, ci pia- ce la donna in uniforme. Anche una donna così così in divisa diventa bellis- sima, per cui la amo e lascio mia mo- glie. Che poi è un lasciare per finta, in quanto è facile innamorarsi della colle- ga, o della collega di nostra moglie, che comunque è bella. E l’amo. In pratica nostra moglie l’amiamo però è un amo- re meno completo, e quindi più bello. INNAMORATO FISSO - DI MAURIZIO MILANI E quella volta che lui le ha detto andiamo a fare un giretto in mo- to, dai, e Michela Marzano gli stava ancora abbrancata dietro dopo duecento chilometri tirati alla giuda- boia? Questo numero è stato chiuso in redazione alle 20.30 REX TILLERSON CONTRO MASTRO CILIEGIA - DI MAURIZIO CRIPPA Nel Mondo L’ESERCITO IRACHENO HA CIR- CONDATO L’ISIS A MOSUL. Continua l’offensiva verso la parte vecchia della ormai ex capitale irachena dello Stato islamico: il gruppo è barricato con cen- tomila civili in ostaggio, secondo le sti- me dell’Onu. Il Califfato ha perso più di 5.500 uomini dall’inizio dell’offensiva: secondo l’Iraq solo 300 jihadisti difendo- no l’avamposto. Gli Stati Uniti hanno abbattuto un drone pro regime in Siria. L’apparecchio era uno “Shahed 129” fabbricato in Iran e, secondo fonti della Cnn, armato di razzi. (editoriale a pagina tre) *** L’attentatore degli Champs-Elysées aveva un porto d’armi, con nove armi di- chiarate. L’uomo era già noto alla polizia francese, ma il suo permesso era stato rinnovato lo scorso febbraio. *** Ehud Olmert in ospedale. L’ex premier israeliano, in carcere per corruzione, è stato ricoverato dopo aver avvertito forti dolori al petto. Ha 71 anni ed è stato con- dannato a 27 mesi nel 2016. *** Un attentato causa 10 morti in Somalia. Un uomo si è lanciato con un minubus contro gli edifici del governo locale di Mogadiscio. L’attacco è stato rivendicato dal gruppo islamista Shabaab, affiliato ad al Qaida. Nove i feriti. *** Un Canadair è precipitato in Portogallo mentre era impegnato nelle operazioni anti incendio, dopo il rogo che ha colpito il paese nel fine settimana causando 64 morti e 130 feriti. *** Forse non ci sarà la Brexit, dice Soros. Secondo il magnate, i danni economici potrebbero spingere i britannici a cam- biare idea: “Il Regno Unito ha raggiunto il punto critico”, ha detto. DI GIULIO MEOTTI S olcare a larghe bracciate la baia di Bocca- dasse, come il Grande Timoniere, per strappare Genova al suo gramo destino rosso, questo forse no. Le nuotate insurrezionali nel- lo Stretto le faceva Beppe Grillo, parlandone politicamente da vivo, ma ormai s’è già affoga- to da solo, nella sua Genova e pure in Sicilia. Persino lì, piuttosto, votano Leoluca Orlando. Forse nemmeno scenderà a Como in armatu- ra, come Federico imperatore, o a Verona co- me Radames nell’arena. Seppure sia l’uomo del coup de théâtre. Ma sono tutte città dove do- menica il centrodestra unito potrebbe vincere (non la sentivate da tempo questa, eh?) e rin- galluzzito il Cavaliere torna in scena, a metter- ci la faccia. O una nuova maschera, conoscen- do il tipo. C’è anche il consueto sondaggio per La7 a dire che gli altri sono tutti in calo, grilli- ni compresi, e a salire c’è solo Forza Italia, al 14 e uno, mai visto negli ultimi due anni. Avan- ti di un buffo pure alla Lega. E al 32 e sette, il centrodestra unito. (Crippa segue a pagina quattro) Il vero voto di protesta se lo prende il Cav. Contro grillini, Salvini e sfascisti d’ogni tipo il colpo di teatro è Forza Italia DI SALVATORE MERLO

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Il grottesco abbandono di cuccioli per colpa dello ius soli

Tutti zitti, suona il grande Evgeny Kissin: “L’occidente ha tradito i propri valori. E i nemici di Israele sono i miei”Roma. Evgeny Kissin ha quarantasette anni, ma lo stesso viso

di ragazzo cagionevole che aveva quando è diventato famosocome uno dei più grandi pianisti viventi. Moscovita di nascita edi studi, Kissin è stato un fanciullo prodigio. A diciotto mesi,

ascoltando la mamma e la sorellina al pianoforte, sapeva ripete-re una fuga di Bach. A quattro anni le prime improvvisazioni, asei diventa compositore, a sette i primi concerti, a dodici incideChopin, a sedici registra con Karajan e i Berliner Philharmoni-ker. Viene accolto con tutti gli onori dal pubblico occidentale eda allora il mondo non riesce a saziarsi della sua musica. Nellasua casa di Mosca, Sviatoslav Richter voleva passare un po’ ditempo a suonare con lui. Kissin è diverso dagli altri musicisticontemporanei, giganti musicali ma nani morali come Daniel

Barenboim e Gustavo Dudamel. Oltre ad aver firmato un nuovocontratto con la Deutsche Grammophon, Kissin questa settimanaha pubblicato un libro, “Memoirs and reflections”, curato daMarina Arshinova per Weidenfeld & Nicolson. “Sono un grandesostenitore dei valori occidentali”, scrive Kissin, “ma negli ulti-mi anni ho realizzato che l’establishment occidentale ha spessotradito quegli stessi valori. E una delle manifestazioni di questotradimento è la posizione contro Israele”. Il ragazzo prodigio nonsuona mai dallo spartito dell’agitprop. Tutto il contrario di quan-to ha fatto un altro virtuoso della musica, il maestro Daniel Ba-renboim, che su Haaretz ha appena spiegato che Israele è stato“dato” al popolo ebraico da parte di un mondo in preda al sensodi colpa dopo la Shoah, facendola pagare ai palestinesi. “Me -moirs and Reflections” è un atto d’amore per il terzo paese d’a-dozione di Kissin, che si definisce cittadino “della Russia, del-

l’occidente e di Israele”. Scrive di sentirsi “come un soldatod’Israele nell’arena internazionale” e di essersi ispirato agliscritti di un non ebreo, Vladimir Bukovskij. Nel 1994 questo dis-sidente sovietico pubblicò un libro intitolato “Judgement in Mo-scow”. E Kissin cita un passaggio: “Se hai il coraggio di continua-re a uccidere le persone abbastanza a lungo non sarete più unterrorista, ma uno statista e un premio Nobel per la pace. Questonon rimarrà inosservato da parte di Hamas…”.

Guai a fare il nome di Jeremy Corbyn in sua presenza. “Il miodefunto zio, Lord Kissin, si starà rivoltando nella tomba”. HarryKissin, militante del Labour di primo piano ed esule dal nazi-smo. Parole non meno dure, Kissin riserva per l’Unione europea.“Non mi piace quello che è diventata. Essendo cresciuto in Unio-ne sovietica, mi piace l’indipendenza degli stati. Un mercatocomune è una cosa, una centralizzazione politica è completa-

mente diversa”. Quando a Londra, alla Royal Albert Hall, i faci-norosi antisionisti interruppero la direzione di Zubin Mehta edei musicisti israeliani, Kissin disse loro: “Venite ai miei con-certi, il caso di Israele è il mio, i nemici di Israele sono i miei.Israele, nonostante io non viva lì, è l’unico stato al mondo con cuiposso identificarmi pienamente, e le cui storie, i problemi, letragedie e il cui destino stesso io possa sentire come mio. Nonvoglio essere risparmiato delle difficoltà che i musicisti israelia-ni incontrano quando rappresentano lo stato ebraico oltre i con-fini”. Così ha firmato sul Guardian l’appello promosso dallo sto-rico Simon Schama contro il boicottaggio. Kissin ha detto di aver-lo fatto contro “l’isteria degli attacchi che in occidente, e perfinoda molti intellettuali, sono rivolti a Israele. Ho vissuto in Unionesovietica e so a quali risultati, purtroppo, può arrivare una pro-paganda bene organizzata”. Bis!

Sylvie ed EmmanuelPerché Goulard si è dimessa dalla

Difesa francese, tra la moraleeuropea e il potentato di Bayrou

Centauro innamoratoEcco perché quel motociclista nonsi è accorto di avere dimenticato

per strada la propria moglie

Guerra tiepida

Fra tensioni militari einchieste, Tillerson dettala linea morbida con MoscaUn documento strategico rivede le

relazioni con la Russia. Niente aiutiper i paesi nell’orbita di Putin

Lo scontro interno

A ciascuno il suo Giuliano. Uomo della vendetta per D’Alema, balsamodella giovinezza per Prodi, passaporto nel centrosinistra per Letta e

Bersani, tocco rosè per Renzi. Indagine su una fantastica foglia di fico

Uno, nessuno e centomila Pisapia La Giornata* * *

In Italia

IL SINDACO DI ROMA VIRGINIARAGGI RISCHIA IL PROCESSO nell’am -bito dell’inchiesta sulle nomine in Cam-pidoglio. Nel dettaglio, al primo cittadi-no della Capitale è contestato dalla pro-cura romana l’abuso d’ufficio in relazio-ne alla nomina di Salvatore Romeo acapo della segreteria politica e il falsoper quella alla direzione Turismo di Re-nato Marra, fratello dell’ex capo del per-sonale, Raffaele. Chiesta invece l’archi -viazione rispetto all’accusa di abusod’ufficio in relazione alla nomina di Re-nato Marra a capo del dipartimento Tu-rismo.

* * *Sì allo ius soli da parte del presidente

del Senato, Pietro Grasso, che auspical’approvazione del provvedimento “en -tro l’anno”. A ogni modo, ha aggiuntoGrasso, bisogna vedere come sarà appro-vato dal Senato”, considerati anche iquasi 50 mila emendamenti presentatidalla Lega nord.

“Discutere di cittadinanza senza unaconcertazione a livello europeo è propa-ganda, fumo negli occhi dei cittadini”, silegge sul blog di Beppe Grillo.

* * *“Il reddito di cittadinanza è aberrante”

ha detto il ministro dello Sviluppo eco-nomico Carlo Calenda, intervenendo al-l’assemblea di Confartigianato. “E’ mol -to più facile dare un reddito che dare unlavoro, ma si tratta di una misura ideolo-gica”, ha osservato Calenda.

* * *Iniziano oggi gli esami di maturità con

la prova di Italiano. Secondo i dati prov-visori diffusi dal ministero dell’Istruzio -ne, è stato ammesso all’esame il 96,3 percento dei candidati.

* * *Borsa Italiana. FtseMib -0,97 per cen-

to. Differenziale Btp-Bund a 165 punti.L’euro chiude in calo a 1,11 sul dollaro.

A ciascuno il suo Pisapia, uno nessuno ecentomila Giuliano. E c’è infatti Roma-

no Prodi, chiuso in un suo guscio forse sicu-ro, prezioso, inalterabile, o forse invece di

una fragilità senza avvenire, che fa capoli-no, ancora una volta, e riscopre l’Ulivo e l’U-nione con tutte le loro balsamiche virtù, edunque propone Pisapia per proporre inrealtà se stesso, per riemergere dalla soffit-ta, “io gliel’ho detto, se vuoi faccio il Vinavildella sinistra, che è la colla”, dice, e allorasi capisce che lo vuole usare come olio chelubrifica, che fa scorrere lo stantuffo delcentrosinistra senza che necessariamente ilveicolo debba muoversi. Ec’è poi Massimo D’Alemache invece lo coccola e loblandisce, perché cari-cato di crisma e cari-sma, secondo lui Pisa-pia ascenderebbe alrango di leader del-la sinistra per ripa-rare quei torti cheD’Alema creded’aver subìto, per-ché solo Pisapiasecondo lui puòrestituirgli l’ono -re, cacciare i ren-ziani dal tempio,erigere fortezzealla virtù. E c’è an-che Enrico Letta,che pure lui lo elogiae lo massaggia, lo pre-para e lo sprona, perché Letta non vuolerincasare in quel Pd di cui non ha preso piùla tessera, ma certo intende accasarsi “nelcentrosinistra più largo”, proprio come PierLuigi Bersani, che forse non si è pentito del-la scissione, ma quasi, e allora dice che sì,“bisogna unirsi”, tutti, e “parlare anche conil Pd e il suo segretario, grazie a Pisapia”. Einfine c’è Matteo Renzi, che forza la sua na-turale e bullesca ritrosia, e allora propriocome gli altri gli sorride e lo invita, vagheg-gia con lui alleanza e praterie elettorali chesi estendono fino a Carlo Calenda, il mini-stro dello Sviluppo, insomma maneggia Pi-sapia come fosse un colore o una scenogra-fia, purché ovviamente dalla rappresenta-zione alla fine si escludano D’Alema e quasitutti i rottamati e scissionisti.

E così l’idea politica che ciascunoproietta sul povero Pisapia è che lui sia unrimedio a tutto, al corpo troppo vissuto del-la sinistra, alla pancia a pera dell’Ulivo edell’Unione pensionati ma pronti a torna-re in servizio, alle borse sotto gli occhi del-la rottamazione perduta, alle rughe e ai ca-pelli bianchi di una nomenklatura post co-

munista e post democristiana che si ripro-pone all’infinito e non si rassegna alpassare delle stagioni, ma al contrario simuove con l’idea sott’intesa di appiattire,banalizzare, disanimare, dissanguare tuttociò che è pulsante, vivo. Tutti sostenitori eservitori interessati, non perché servendoPisapia lo diminuiscano, ma perché solocosì possono sognarsi ancora in sella e lu-crare qualcosa.

Dunque povero Pisapia, se un giorno sco-prisse di essere disceso in politica solo perpermettere a D’Alema di diventare ago del-la bilancia, per consentire a Massimo lavendicativa e divertente inadeguatezza dirimirarsi e rimuginarsi l’ombelico, o per

garantire una seconda impossi-bile parvenza di gioventù a

Prodi, o l’agile rientro nelcentrosinistra di Letta, o

l’ultima possibilità perBersani di evitare un

pietoso finalissimo, oinfine per far dacomparsa alla cor-te di Matteo Renzi,che già gli conta ivoti in tasca e nonne trova molti . Aservizio di cosavuole mettere lapropria intelli-genza, il suo ta-lento, le sueidee, GiulianoPisapia? E qua-

le tra le tantemaschere che i

troppi impresari gli vogliono affibbiare è ilsuo vero volto? Forse tutte le maschere, edunque nessuna. E allora davvero nientecome questo elegante ex sindaco di Milanosembra incarnare il tormento e la confusio-ne del centrosinistra che in Italia esplode,si scombina e si ricombina in una polifoniadi formule e in una molteplicità di leader,più o meno anziani, più o meno dotati, capa-ci d’esprimere ciascuno un suo orizzontetragicamente incompatibile con quello ditutti gli altri se non per un aspetto, tuttaviaancora piuttosto evanescente: ognuno, amodo suo, invoca Pisapia. Ma un Pisapia di-verso, che comincia a rivelare una spiccataaffinità con il chewing gum – lo tiri di qua evuol dire una cosa, lo tiri di là e ne vuol direun’altra – o forse comincia invece a rivelareuna spiccata affinità con il belletto, il trave-stitismo, il maquillage e il cerone. Governa-re chi pensa di governarti, usare chi vuoleusarti può anche essere una tentazione. Ep-pure il sospetto di non essere attore, maagito, Pisapia dovrebbe covarlo. Anche sela cosmetica è, parafrasando Kraus, il co-smo della politica.

New York. Nella Siria occidentale i russiconsiderano i caccia americani in volo“obiettivi aerei”, nelle procure di Washin-gton s’indaga su collusioni e intese politichefra l’entourage di Donald Trump e il Cremli-no. In mezzo agli estremi del romanzo russo-americano c’è Rex Tiller-son, il segretario di statoche all’esordio era descrit-to come un petroliere tira-piedi di Vladimir Putin, poiè diventato una comparsanell’Amministrazionestrettamente controllatadallo Studio ovale e ora stacominciando a brillare diluce propria. Un documen-to strategico sui rapporti con la Russia sve-lato da BuzzFeed mostra che Tillerson ha li-bertà di manovra nel reimpostare le relazio-ni con la potenza che è al centro di tutte lepreoccupazioni e le paranoie occidentali.Chi ha visto il report preparato da Tillersondice che tiene un approccio pragmatico edequilibrato per evitare che i rapporti che so-no nel “canale di scolo” vadano a finire nel-la “fogna”. E’ questa l’immagine scelta da unfunzionario del dipartimento di stato. La po-sizione del dipartimento di stato si regge sutre pilastri. Primo: chiarire che l’Americanon tollererà azioni russe che minacciano iloro interessi. Secondo: rafforzare le areedove ci sono interessi comuni e fare pressio-ne per allentare i rapporti con gli avversari.La tensione nei cieli siriani non aiuta la rea-lizzazione di questo punto. Terzo: promuo-vere la “stabilità strategica”, un concettoflessibile che si adatta bene a un’Ammini -strazione che imposta le relazioni interna-zionali sulla base degli interessi, non degliideali. (Ferraresi segue a pagina quattro)

Pyongyang uccideE’ morto il cittadino americano

rilasciato dal regime nordcoreano.Ora tutti si accorgono delle atrocità

Roma. Otto Warmbier, uno studente ame-ricano poco più che ventenne, un paio di an-ni fa ha ceduto alla curiosità. Una curiositàche lo ha condotto in Corea del nord, dove(forse) ha fatto una stupidaggine, e da quelmomento è stato trasformato, suo malgrado,nel volto della propaganda nordcoreana.Poi però è accaduto qualcosa. E quel qual-cosa fa parte dei grandi misteri che avvolgo-no le notizie che riguardano la Corea delnord. L’unica cosa certa finora è che lo stu-dente americano è tornato a casa in coma, il13 giugno scorso, soltanto sei giorni prima dimorire.

Un paio di anni fa era il periodo del gran-de successo della serie di Vice trasmessasulla Hbo: un gruppo di giocatori dell’Nbache vanno in Corea del nord a divertirsi, emostrano il lato bizzarro e divertente dellacapitale nordcoreana – compreso quello delsuo leader Kim Jong-un, appassionato di ba-sket. La serie tv, nonostante le critiche, haun grande successo in America. Nel 2015 Ot-to Warmbier, che è originario di Wyoming,ottomila anime nello stato dell’Ohio, studiaall’Università della Virginia e frequenta ilterzo anno della McIntire School of Com-merce. Otto decide di partecipare, nel di-cembre del 2015, a uno dei viaggi organizzatidella Young Pioneer Tours, una “società diviaggi-avventura” cinese, “la prima a offriretour economici nella Repubblica democra-tica di Corea”. Da anni Pyongyang tenta diaccreditarsi come meta turistica dell’estre -mo oriente: è anche per questo che è nato ilsemideserto Masikryong Ski resort, impian-to sciistico costruito nel 2014. La Young Pio-neer Tours funziona così: offre un’esperien -za “indimenticabile” in uno dei luoghi “piùchiusi del mondo” (“il viaggio che i vostrigenitori non vogliono che facciate!”, recitaun loro slogan), e lo fa coccolando la curiosi-tà di giovani e a volte incoscienti ragazzi ilcui unico scopo, dal punto di vista di Pyon-gyang, è portare in Corea del nord valutastraniera. (Pompili segue a pagina quattro)

La quotidianità politica è piena dianfratti grotteschi, che inducono

al commento ridanciano. Ad esempio,Virginia Raggi rischia il processo, ma

lei si dà 7,5. Senza condizionale. Si parva licet,aCaltagirone l’assessore alla Cultura Vito Dica-ra si è autosospeso, per questo: è stato beccatoin flagranza da una videosorveglianza mentrenottetempo abbandonava quattro cagnolini inuna zona remota della città. E hai voglia a caz-zeggiare. Solo che, certe volte, il grottesco del-le dichiarazioni supera la fantasia. Basta il co-pia incolla. Dicara: “Rientrando a casa quasi amezzanotte ho trovato sull’uscio della mia abi-tazione una scatola con dentro gli animali… Aquell’ora tarda ho ritenuto, oggi mi accorgocon molta superficialità, di depositarli vicino

ad alcune ville abitate da persone notoria-mente sensibili; ciò nella certezza del salva-taggio dei cuccioli. Chiedo scusa all’intera cit-tà”. Il sindaco, che ad ogni buon conto paracu-leggia: “Do atto all’assessore di essersi imme-diatamente autosospeso da ogni attivitàamministrativa (e pensate se avesse abbando-nato un neonato, ndr). Valuterò il da farsi, an-che in relazione all’esito delle indagini”. Emenomale che “per naturale carattere e for-mazione professionale sono abituato a valuta-re i fatti nella loro oggettività, senza enfatiz-zarli”. E pensate se enfatizzava. Ma siccome ècomprensivo, ha concesso a Dicara di aver“compiuto un gesto episodico superficiale,molto probabilmente dettato dalla confusio-ne”. E pensare che per cavarsela bastava dire,à la Piero Grasso, un più banale: “Finché nonc’è lo ius soli, non so dove cazzo metterli”.

Bruxelles. Sylvie Goulard, ministro del-la Difesa francese, ieri ha annunciato dinon voler restare nel governo di EdouardPhilippe: è coinvolta in uno scandalo sul-l’uso improprio di fondi dell’Europarla -mento. La sua decisione di lasciare il go-verno ha provocato sorpresa e panico a Pa-rigi, come a Berlino e a Bruxelles. Goulardera stata la musa dell’europeismo del pre-sidente, Emmanuel Macron, e aveva orga-nizzato la sua visita alla cancelleria tede-sca prima delle presidenziali. All’indoma -ni della vittoria del 7 maggio era conside-rata tra i favoriti per la nomina a premier epoi a ministro degli Esteri, salvo essere di-rottata alla Difesa (probabilmente perun’operazione di palazzo condotta daFrançois Bayrou, ora ministro della Giu-stizia, in difesa della sua protetta, Mariellede Sarnez, nominata agli Affari europei).L’uscita di scena di Goulard, nel contestodell’ennesimo scandalo nella vita politicafrancese, è un duro colpo all’immaginemacroniana di rinnovamento della vitapubblica. La cosa più grave è che senza dilei il motore franco-tedesco rischia di es-sere molto meno oliato di quanto necessa-rio per far tornare a funzionare a pienoregime l’Ue. La sua partenza è “una cattivanotizia per la cooperazione franco-tedescasulla Difesa: pochi a Parigi conoscono laGermania tanto bene quanto lei”, ha com-mentato il presidente della Conferenzasulla sicurezza di Monaco, WolfgangIschinger. Ma la decisione di Goulard è an-che un atto di accusa, proprio contro Ba-yrou, la cui posizione di ministro dellaGiustizia (insieme a quella di De Sarnez) èin bilico in vista della nomina del nuovogoverno Philippe di oggi.

L’inchiesta preliminare riguarda il Mo-Dem, ha scritto Goulard nel comunicato incui ha annunciato la decisione: “Voglio es-sere in grado di dimostrare liberamente lamia buona fede”. Come a dire: guardate achi ha messo in piedi questo sistema.“Goulard ha assassinato freddamente Ba-yrou e De Sarnez” spiega una fonte del-l’Europarlamento. Il MoDem è il partitopersonale di Bayrou: fondato nel 2007 do-po aver ottenuto il 18,5 per cento alle ele-zioni presidenziali, è un comitato elettora-le che serve gli interessi del suo presiden-te. La fidata de Sarnez è vicepresidente.L’inchiesta condotta dalla magistratura sudenuncia di un europarlamentare delFront National, a cui si è aggiunta la testi-monianza di un ex funzionario del MoDem,riguarda i fondi che il Parlamento europeodestinati agli assistenti parlamentari e chesarebbero stati utilizzati per pagare il per-sonale del partito. La pratica era diffusa aBruxelles e Strasburgo: in passato quasitutte le delegazioni nazionali usavano glistanziamenti dell’Europarlamento per pa-gare i funzionari locali. Le regole sono sta-te modificate nel 2011, ma ancora oggi esi-stono casi limite: difficile distinguere traattività direttamente legata al mandato eu-ropeo e quella svolta esclusivamente a li-vello locale. In questa legislatura l’Euro -parlamento ha chiesto rimborsi a decinedi deputati per “irregolarità”. Tra gli ita-liani, sono stati sollevati rilievi nei con-fronti di Mario Borghezio della Lega nord(il suo assistente, Massimiliano Bastoni,nel 2011 era stato eletto consigliere comu-nale a Milano) e Laura Agea del Movimen-to 5 stelle (aveva assunto come assistentelocale un militante). Lara Comi di ForzaItalia è stata costretta a restituire i fondiutilizzati per pagare la madre come assi-stente.

L’ondata moralizzatrice all’Europarla -mento, in realtà, ha molto di politico e po-co di morale. Ben prima di Goulard, la vit-tima più famosa delle verifiche sull’usodell’indennità per gli assistenti era stataMarine Le Pen. Nel marzo del 2015, l’expresidente dell’Europarlamento, MartinSchulz, aveva deferito all’Ufficio antifrodedell’Ue (Olaf) il Front national per possibi-li irregolarità finanziarie nel tentativo dieliminare Le Pen per via giudiziaria. Lamagistratura francese si è mossa contro LePen. Ma, come spesso accade in una crisidi regime, l’appetito giustizialista in Fran-cia si è ampliato a dismisura. Ieri ci sonostate perquisizioni nella sede del gruppoHavas e dell’agenzia pubblica BusinessFrance nel quadro di un’inchiesta per fa-voritismo su un viaggio di Macron comeministro dell’Economia a Las Vegas nel2016.

Twitter @davcarretta

Dispiace dirlo, ma tutti i mo-tociclisti sopra i 50 anni

pur essendo sposati sono inna-morati di un’altra donna (di so-lito Hoara Borselli, già fidan-

zata di Zenga). Essendo con la menteconcentrati su un’altra donna, succedeche il centauro si dimentichi la moglieall’Autogrill. Lei a sua volta si innamo-ra del benzinaio, ma decide comunquedi fare una scenata al marito. Parlia-moci chiaro, quando l’uomo è innamo-rato non capisce più niente, per cuisarebbe bene che certi lavori all’inna -morato vengano impediti, tipo nellecentrali atomiche, guidare i treni, ec-cetera. A chi non è capitato di essereinnamorato di Anna Tatangelo e quin-di di non riuscire ad assemblare unmobile Ikea? La tua compagna capiscesubito: “Piero, hai la testa altrove…”.“No amore, è solo un po’ di stress, manemmeno”. Lei: “Ma possibile che uningegnere civile quale tu sei sia cosìdistratto? Non è che sei innamorato diAnna Tatangelo?”. Piero: “Amore, no!Mi piace come donna ma amo te!”.Questa patologia è ben descritta sia daCesare Lombroso sia dall’Ariosto: per-dere il senno per amore. Alcuni peresempio, appena vedono un video diJessica Parker aprono la finestra escaraventano giù una poltrona. E’ ungesto d’amore totale che lascia i pre-senti perplessi, ma nemmeno: ognunoreagisce a suo modo. Alcuni corrono incantina e sbattono via il modellino diveliero che era stato costruito con tan-ta pazienza. Scusa, questo quando?Quando vedono l’impiegata di postapiù bella del mondo (piazza Cordusio,Milano).

La donna è diversaLa donna invece è diversa. Davanti

all’amato finge di svenire, oppureaspetta per giorni fuori dalla villa diGeorge Clooney e quando esce lo tam-pona apposta con la macchina (se lui èin macchina). Piccolo incidente, masufficiente per parlargli. Se George in-vece è in moto le ragazze appena siferma gli sgonfiano le ruote e gli tiranovia il serbatoio. Lui esce dal bar doveha fatto piangere (senza motivo) la bari-sta e le spasimanti sono lì pronte aregalargli un girocollo d’oro da 25.000euro. Lui non lo accetta, le spasimantiimpazziscono e tirano il braccialettonel fiume dicendo a George: “Eranotutti i miei risparmi, li ho spesi perfarti un regalo”. George ringrazia,prende la moto e pur senza serbatoioriparte, trainato da un trattore guidatodalla figlia di un agricoltore del postoche lo porta nella sua azienda agricolae nel fienile lo bacia senza motivo. Ilpapà della ragazza è contro questa re-lazione, avendo lei 25 anni. Lei abban-dona l’università (Scienze del Territo-rio a Brindisi) e scappa di casa permettersi come tante altre ad aspettarlofuori dalla villa. Clooney si barrica incasa per la prossima uscita e avventurada matti.

Noi uomini di fatica che lavoriamo alporto di Cagliari di solito invece ci in-namoriamo della donna in divisa, siaessa vigilessa, agente o altro. Sì, ci pia-ce la donna in uniforme. Anche unadonna così così in divisa diventa bellis-sima, per cui la amo e lascio mia mo-glie. Che poi è un lasciare per finta, inquanto è facile innamorarsi della colle-ga, o della collega di nostra moglie, checomunque è bella. E l’amo. In praticanostra moglie l’amiamo però è un amo-re meno completo, e quindi più bello.

INNAMORATO FISSO - DI MAURIZIO MILANI

E quella volta che lui le ha dettoandiamo a fare un giretto in mo-to, dai, e Michela Marzano glistava ancora abbrancata dietro

dopo duecento chilometri tirati alla giuda-boia?

Questo numero è stato chiuso in redazione alle 20.30

REX TILLERSON

CONTRO MASTRO CILIEGIA - DI MAURIZIO CRIPPA

Nel Mondo

L’ESERCITO IRACHENO HA CIR-CONDATO L’ISIS A MOSUL. Continual’offensiva verso la parte vecchia dellaormai ex capitale irachena dello Statoislamico: il gruppo è barricato con cen-tomila civili in ostaggio, secondo le sti-me dell’Onu. Il Califfato ha perso più di5.500 uomini dall’inizio dell’offensiva:secondo l’Iraq solo 300 jihadisti difendo-no l’avamposto.

Gli Stati Uniti hanno abbattuto undrone pro regime in Siria. L’apparecchioera uno “Shahed 129” fabbricato in Irane, secondo fonti della Cnn, armato dirazzi. (editoriale a pagina tre)

* * *L’attentatore degli Champs-Elysées

aveva un porto d’armi, con nove armi di-chiarate. L’uomo era già noto alla poliziafrancese, ma il suo permesso era statorinnovato lo scorso febbraio.

* * *Ehud Olmert in ospedale. L’ex premier

israeliano, in carcere per corruzione, èstato ricoverato dopo aver avvertito fortidolori al petto. Ha 71 anni ed è stato con-dannato a 27 mesi nel 2016.

* * *Un attentato causa 10 morti in Somalia.

Un uomo si è lanciato con un minubuscontro gli edifici del governo locale diMogadiscio. L’attacco è stato rivendicatodal gruppo islamista Shabaab, affiliatoad al Qaida. Nove i feriti.

* * *Un Canadair è precipitato in Portogallo

mentre era impegnato nelle operazionianti incendio, dopo il rogo che ha colpitoil paese nel fine settimana causando 64morti e 130 feriti.

* * *Forse non ci sarà la Brexit, dice Soros.

Secondo il magnate, i danni economicipotrebbero spingere i britannici a cam-biare idea: “Il Regno Unito ha raggiuntoil punto critico”, ha detto.

DI GIULIO MEOTTI

Solcare a larghe bracciate la baia di Bocca-dasse, come il Grande Timoniere, per

strappare Genova al suo gramo destino rosso,questo forse no. Le nuotate insurrezionali nel-lo Stretto le faceva Beppe Grillo, parlandonepoliticamente da vivo, ma ormai s’è già affoga-to da solo, nella sua Genova e pure in Sicilia.Persino lì, piuttosto, votano Leoluca Orlando.Forse nemmeno scenderà a Como in armatu-ra, come Federico imperatore, o a Verona co-me Radames nell’arena. Seppure sia l’uomo

del coup de théâtre. Ma sono tutte città dove do-menica il centrodestra unito potrebbe vincere(non la sentivate da tempo questa, eh?) e rin-galluzzito il Cavaliere torna in scena, a metter-ci la faccia. O una nuova maschera, conoscen-do il tipo. C’è anche il consueto sondaggio perLa7 a dire che gli altri sono tutti in calo, grilli-ni compresi, e a salire c’è solo Forza Italia, al14 e uno, mai visto negli ultimi due anni. Avan-ti di un buffo pure alla Lega. E al 32 e sette, ilcentrodestra unito. (Crippa segue a pagina quattro)

Il vero voto di protesta se lo prende il Cav.Contro grillini, Salvini e sfascisti d’ogni tipo il colpo di teatro è Forza Italia

DI SALVATORE MERLO

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ANNO XXII NUMERO 145 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 21 GIUGNO 2017

GENITORI , MOGLI E MARIT I . UN CATALOGO SEMISERIO

Quanti guai l’incontinenza verbale dei parenti a Cinque stelleRoma. La prevalenza mediatica del pa-

rente e l’invadenza verbale del parente(intercettato e non) e la rilevanza penale onon penale del parente. E insomma sonoanni che, da destra a sinistra e da sinistraa destra, i parenti di questo e di quel poli-tico (Matteo Renzi? Maria Elena Boschi?Gianfranco Fini? Silvio Berlusconi?) nonsmettono di fare capolino dalle pagine deigiornali, con furia e delirio sul padre esull’altro padre, sul cognato e sul fratello,ma pure sui figli, sulle mogli e sulle exmogli. E c’è chi, sul “parente di”, elucubrae intuisce, suggerisce e smentisce, ma sem-pre andando a parare dove demagogiavuole: i partiti hanno un problema di fami-glia, dice l’armata anticasta, e servono mo-vimenti “dal basso”. Fatto sta che pure ilMovimento dal basso per autoconvinzione,il Movimento cinque stelle, dal parente sideve guardare: parente non sempre ser-pente, ma comunque, da buon parente,spesso imprevedibile e a suo modo perico-loso, e non certo per motivi tribunalizi. Ca-pita infatti che il parente grillino dicaquello che il referente familiare impegna-to in politica non vuole o non può dire, eche risulti pertanto rivelatore delle aporieprogrammatiche o delle magagne organiz-zative e competitive sottostanti, con effetto“in parente veritas”. Qualche mese fa, aRoma, si presentò il caso emblematico an-che detto “Taverna 2”, quando la sorelladella senatrice Paola Taverna, Annalisa,in piena crisi mediatica per la giunta Rag-gi, se ne uscì su Facebook con l’ormai cele-berrimo j’accuse rivolto al sindaco: Virgì,“datte’na calmata e non rompere i coglio-ni, altrimenti t’appendemo pe’ le orecchieai fili dei panni sul balcone fino a che nonrinsavisci… smettila de fa’ la bambina de-ficiente con manie di protagonismo e deli-ri de onnipotenza e comportati da CinqueStelle”.

Ma in questi giorni, presso la casa a Cin-que stelle non galvanizzata dai risultatidelle amministrative, capita anche di peg-gio, dal punto di vista della scomodità po-litica dell’esternazione familiare. Eccoche, da Radio 24, irrompe la voce di Vitto-

rio, padre di Alessandro Di Battista (nonalla prima uscita: si era fatto sentire giànel 2015). Parla, Vittorio, imprenditore nelramo ceramiche e missino convinto, e nonpochi con sconcerto ascoltano, vuoi per ilfatto che Di Battista senior si autodefini-sca “fascista”, vuoi per il fatto che mostrinon incrollabile stima per Luigi Di Maio –che per lui sarebbe stato per così dire“una testa di…”, a mentire su un eventualeincontro con Matteo Salvini. E quando Vit-torio parla, subito un dubbio s’affaccia:che il parente, nei Cin-que stelle, rivesta ilruolo del bimboche grida “il re ènudo?”.

Non c’è sol-tanto la moda-lità di esterna-zione alla DiBattista se-nior, infatti,cioè il mododi porsi del-l’uomo chedice ciò chesoltanto labase a bri-glia scioltasu internet puòdire – cose che nessun parlamentare grilli-no può permettersi più di dichiarare, spe-cie sull’argomento Lega-M5s, pena l’esplo -sione immediata di conflitti a Cinque stel-le e dieci correnti. C’è stato dunque ancheil caso del parente esternatore simpateti-co, ma molesto per eterogenesi dei fini:nessuno ha più dimenticato, ohimé, la let-tera aperta del marito di Virginia Raggiall’indomani dell’elezione di VirginiaRaggi a sindaco. Già attivista grillino perconto suo, infatti, Andrea Severini, ancheregista radiofonico, scriveva al mondo (e a“Virginia Raggi, mia moglie”) le seguentiparole: “Ti rendi conto? Quello che hosempre saputo si è realizzato. Che gioia eche emozione, ho pianto di felicità. Daquel tavolino, acquistato per fare il primoinfopoint in via Battistini per il referen-

dum sull’acqua e sul nucleare, ne è passa-to di tempo. Quanto tempo passato insie-me a parlare di Roma? dei gruppi d’acqui -sto solidale? del movimento? Dei proble-mi da risolvere, delle possibili soluzioni?Quante volte ti ho detto che ti vedevo benecome sindaco e che ero sicuro che ce l’a-vresti fatta? Così è stato”. Ed era solo l’ini -zio. La lettera proseguiva infatti semprepiù pericolosamente in bilico tra pubblicoe privato, referendum per l’acqua e incom-prensioni personali: “Sono 21 anni che ti

conosco”, scriveva in-fatti il marito, “Oraper noi è un mo-mento difficile, èinutile nascon-derlo, ma io sa-rò sempre ac-canto a te.Cercherò diproteggerti ilpiù possibileanche da lon-tano… I cit-tadini hannocapito chi

raccontavamenzogne e

chi invece eralimpido come l’ac -

qua… L’acqua è il bene più prezioso cheabbiamo, scorre sempre, è incontenibile, ècome te. I tuoi occhi parlano. Grazie!! Nonsmetterò mai di ringraziarti… Ah, una co-sa ancora. Mi manchi da morire…”. In con-fronto, una sorta di aplomb romano-anglo-sassone traspariva dalla dichiarazione diGiovanna Tadonio, moglie dell’ex candi-dato sindaco (nel 2013) Marcello De Vito,ora presidente dell’Assemblea capitolina(ma di corrente “Roberta Lombardi”, dalnome della deputata non proprio fan delsindaco). Tadonio, nel 2016, è stata nomi-nata assessore (con polemiche) nel TerzoMunicipio: “In questi anni a fianco di Mar-cello De Vito ho avuto modo di compren-dere i meccanismi amministrativi e buro-cratici che regolano la gestione del perso-nale e della macchina amministrativa.

Questi meccanismi devono tornare ad es-sere strumento per i progetti che intendorealizzare…”.

E se il M5s non ha avuto, finora, cognatiingombranti, ha avuto però un “caso sorel-la”: trattasi di Azzurra Cancelleri, sorella,appunto, di Giancarlo (nel 2012 candidatogrillino alla presidenza della Regione Si-cilia): cinque anni fa, Azzurra fu criticata“dal basso” per le poche preferenze otte-nute alle parlamentarie (63), a fronte dellafama di rimando, ottenuta grazie al nomedel più celebre parente. Ma nulla rischiòdi far traballare la baracca già barcollantedei meet-up, come la comparsa sulla scenanon tanto della moglie, quanto della exmoglie di Beppe Grillo. Sonia Toni, che ainizio 2016 fece scoppiare un “caso Rimi-ni” , criticando la scelta del candidato sin-daco al grido di “manca la certificazionedel blog, il mio ex marito e Casaleggio losanno. Le regole devono valere per tutti”.“Provo stupore, imbarazzo e anche un cer-to divertimento per tutte le capriole isteri-che che ha fatto il gruppo attivisti di Rimi-ni”, diceva Toni. Ma a quel punto era in-sorta la fazione contraria, per dire che lastessa Toni aveva avuto l’ambizione dicandidarsi a sindaco. Ed ecco che il “pa -rente” (ex parente) faceva emergere il pro-blema insolubile della democrazia direttatroppo diretta, con beghe a Cinque stelletalmente fratricide da rendere impossibi-le la prosecuzione della campagna eletto-rale.

Quando non sono ex, però, le coppie aCinque stelle rafforzano l’immagine (DiMaio-Silvia Virgulti, già tv coach di areacasaleggiana, e Taverna-StefanoVignaroli,duetto pasionario ed esperto di monnezzain quel di Roma). Poi, certo, c’è sempre lasuccessione morbida tra un padre-gurunon più in vita e un figlio rimasto a lungoin ombra, con Casaleggio senior nella me-moria di ogni singolo attivista del M5s eCasaleggio junior che tenta la seduzionedel salotto buono imprenditorial-profes-sorale (vedi evento primaverile “capire ilfuturo” a Ivrea).

Marianna Rizzini

ERA ACCUSATO D I UNO DEI DEL ITT I P IU ’ SANGUINOSI DEGLI ULT IMI ANNI

Il suicidio in carcere di Marco Prato è un male oscuro che viene da lontanoEvery fucking sunday” era il motto del-

l’aperitivo che si teneva ogni male-detta domenica al Colle Oppio, luogo im-periale e di imperiale degrado oggi, tramonnezza e disperati notturni e diurni eaiuole e gabbiani giganti, e quella male-detta domenica del marzo 2016 l’aperitivosi fece lo stesso anche se il delitto, il piùsanguinoso degli ultimi anni, c’era appe-na stato, e l’assassino era (forse) il pierreMarco Prato. Suicida ieri in carcere perun delitto che forse non aveva del tuttocommesso ma che resterà negli annalidella violenza romana, tra il canaro e ilCirceo, i delitti dell’accanimento, catego-ria a parte.

Centosette coltellate, la ferocia “al solofine di procurargli sofferenza fisica” se -condo la procura, che chiede la condannaper omicidio premeditato pluriaggravatoper Prato e il suo complice Manuel Foffo,che dopo giorni di “party” decidono diuscire per Roma a cercare qualcuno dauccidere, e rimediano Luca Varani, venti-treenne, già conosciuto dal Prato. Lo stor-discono e lo massacrano, poi i dettagli e lapazzia nessuno li saprà mai. Foffo chiedeil patteggiamento, prende 30 anni, Pratoaspetta in carcere il processo ordinario,dà varie versioni, si dice innocente, sco-pre e annuncia d’essere sieropositivo, di-ce d’essere succube del Foffo, che ama. Siuccide.

Ci aveva già provato, poco prima d’esse -re arrestato. Ha il mito di Dalida e dopoaver abbandonato la scena del crimineprende una stanza in un hotel vicino casa,hotel San Giorgio, tre stelle, nel quartiereborghese della Nomentana, prende i bar-biturici, si infila sotto il letto e aspetta ilsuo destino nella camera 65, ascoltando“Ciao amore”. Tutti pensano a una mes-sinscena.

Pasolini. Nessuno ha ancora tirato inballo Pasolini per questa vicenda tremen-da e pure certamente la più “pasoliniana”degli ultimi anni, a partire dai personaggi,il borghese Prato, fuoricorso, il figlio delgenerone Foffo, fuoricorso. Il proletarioVarani. Tutti etero, non proprio gay, non

del tutto, pasolinianamente c’è la borghe-sia forse un poco predatoria che si scopa ilsottoproletariato, mah, bisognerebbe ve-dere i 740. “A noi Foffo piacciono le don-ne”, ritenne di dover precisare il papà diFoffo, ristoratore. Etero anche il poveroLuca Varani, come certificò la fidanzata,senza spiegazioni per quella notte passataa letto con due giovanotti, e lui davverosembra un personaggio che si poteva tro-vare sul barcone del Ciriola in “Ragazzi divita”. Delitto filologico, nei luoghi delloscrittore (ma quali luoghi romani non sonopasoliniani?) e della sua trasposizione ci-nematografica, con l’interprete WillemDafoe che abita lì a due passi, a via Meru-lana, e il chirurgo estetico delle dive e ilregista della “Grande Bellezza”.

Proprio dove, in quella domenica, do-menica d’autopsia e d’apertura indagini,gli aperitivi andavano avanti nella serataove il Prato faceva public relations, che sichiama “Ahperò”, e si svolge sopra le spo-glie della Domus Aurea, non lontano davia Merulana. Fettine di würstel, popcorn,patatine e frittate, le miserie dei carboi-drati nello spleen della settimana che ri-comincia. Tutti sapevano, avevano saputo,

del fattaccio e pasticciaccio, in questo OsClub, con piscina azzurra, già segnalatadal sito Degrado Esquilino, ma qui siamonel degrado morale e non catastale.

Qui Marco Prato officiava, “studentefuori corso” a trent’anni, categoria dellospirito, e soprattutto organizzatore dieventi, portatore di vasta popolarità setto-riale. Di ampie produzioni di selfie trapiazza Vittorio e il Pigneto e Parigi (avevauna mamma francese). Canotte, ciuffi, ber-rettini, acconciature, e “new haircut”, a se-gnalare nuovi tagli di capelli, e “foreveryoung” a petto nudo in qualche pool party.Campione di una società romana non dellospettacolo ma dell’apericena, “i capellineri e folti e cresputi che gli venivan fuoridalla metà della fronte”, come nella de-scrizione di Gadda è il commissario Ingra-vallo che indaga sul delitto, ma qui inveceè l’assassino: “Una certa praticaccia delmondo”, aveva, questo Marco Prato, sem-pre per dirla alla Gadda, e tutti avevano unaneddoto vero o presunto, da raccontare, el’estate scorsa a Mykonos, certe feste al-l’insaputa dei padroni di villa in cui eraospite, e tanta droga, e forse addiritturatruffe, a mercanti d’arte, anelli spariti per

comprarsi la droga, minacce di rivelare fo-to compromettenti di porcellate. Mentre cisarebbe pure un video, nella notte degliorrori, che però non è mai saltato fuori.

Cosa succede se Bret Easton Ellis incon-tra Carlo Emilio Gadda? Perché qui è unpasticciaccio brutto ma con personaggiche sembrano quelli imbruttiti delle classialte californiane. O medioalte. Comunquecon dei papà ingombranti, come il Foffosenior e la sua smania di precisare il ma-chismo di famiglia, o come Ledo Prato, ma-nager culturale molto stimato, segretariogenerale della associazione Mecenate 90,ne fanno parte Alain Elkann e GiuseppeDe Rita; protagonista della rinascita cultu-rale romana negli anni veltroniani. Mentrele mamme, silenti e forse avrebbero più dadire, come quella del Foffo, che abitavanell’appartamento sotto, non ha sentito, névisto, nulla, di questi accoppiamenti nongiudiziosi, queste nottate “chemsex”, conle sostanze, la coca e il meth e il Ghb doveperò normalmente non è che ci scappa ilmorto.

E dunque un male forse oscuro che vie-ne più da lontano, e però che destino cru-dele per il povero Varani, questo ragazzogià bosniaco, abbandonato dalla famiglia,rinato a Roma da altra famiglia non natu-rale ma amorosa, solida di commerci am-bulanti, che lo adottò. Nato in Bosnia, rina-to a Roma, morto ammazzato al quartiereCollatino per curiosità, per brama, perpazzia. Integrato alla romanità, pure trop-po. “Dall’Isis ce pijo la frutta”, diceva unafoto sul suo Facebook, e poi foto di grandimagnate. “Spuntino de mezzanottehhaahaha 250 g di pasta e 130 g di panciet-ta”, con la i nel testo, e poi una gif di Cene-rentola al suo principe, lui le dice: “Nonpuoi andar via a mezzanotte”, e lei: “Fattena sega”. E l’ultima foto di questa tragicabacheca, una dichiarazione di intenti,“Dio creò Adamo ed Eva, non Adamo eClaudio”, scrive nel suo ultimo post su Fa-cebook, anche lui con l’ansia della preci-sazione etero, prima di andare incontro al-la sua domenica bestiale.

Michele Masneri

L ’ I SLAM, IN UNA SOCIETA ’ L IBERA , PUO ’ ESSERE CR IT ICATO

L’assurdo dibattito sulla necessità di sanzionare per legge l’islamofobiaAnche in seguito all’odioso attacco terro-

ristico ai fedeli di una moschea di Lon-dra, si estende il dibattito sull’esigenza direprimere, anche per legge, l’islamofobia.Bisogna però intendersi preliminarmentesu che cosa si intende. Un esponente dellacomunità islamica londinese ha chiesto chel’islamofobia venga assimilata all’antisemi -tismo: l’antisemitismo però non ha una ra-dice religiosa ma razziale (che peraltrocomprende anche le popolazioni arabe, ingrande maggioranza islamiche, anch’essesemite). Non esiste invece una legislazioneantiebraica o anticristiana o antibuddista.Ovviamente vale per tutti, in occidente, nonper la verità nella maggior parte dei paesi amaggioranza islamica, il principio dell’e-guaglianza di cittadini e del divieto di di-scriminazione per ragioni religiose. I citta-dini islamici hanno diritto alla sicurezza,non devono essere sottoposti ad alcuna for-ma di persecuzione, ma l’islam, in una so-cietà libera, può essere criticato e ancheosteggiato, come si possono osteggiare le al-tre religioni: questo fa parte del diritto diopinione. Criticare o osteggiare i principireligioso dell’ebraismo non è, giustamente,considerato antisemitismo. Egualmente lacritica all’unico stato a maggioranza ebrai-

ca è largamente diffusa. Sarebbe assurdovietare che anche i regimi islamici venganocombattuti perché questo implicherebbeuna forma di “islamofobia”. Quel che è ac-caduto a Filippo Facci è una prova di quan-to sia assurda e illiberale l’estensione delconcetto di islamofobia all’espressione diopinioni e giudizi contrari all’islam.

Chi chiede all’occidente democratico dicombattere le discriminazioni dovrebbeconsiderare altrettanto inaccettabile la le-gislazione che in tanti paesi considera rea-

to, in certi casi addirittura passibile di pe-na capitale, la “bestemmia” o l’apostasiadall’islam. Naturalmente non ha senso ra-gionare in termini reciprocità, la democra-zia occidentale è tenuta a garantire i dirittidella persona indipendentemente dalla fe-de religiosa e questo è un aspetto fonda-mentale della sua peculiarità, che va difesacon la massima energia contro ogni tentati-vo integralista e fazioso di travolgerla. Que-sto implica che si agisca con risolutezzacontro chiunque punti a realizzare atti di

discriminazione e tanto più di persecuzio-ne contro cittadini islamici. Se per raffor-zare questa azione repressiva di reati servequalche precisazione anche sul terreno le-gislativo, non c’è ragione per apportare lecorrezioni eventualmente necessarie. In-vece non c’è ragione, per timore dell’atti -vizzazione di fanatismi anti-islamici, diabolire i diritti di opinione e di espressio-ne. Anche questo sarebbe un abbandono diuno dei caposaldi e dei valori di fondo del-la democrazia occidentale. Più in generalelegiferare su questioni di principio sotto laspinta emozionale causata da atti violenti oterroristici è sempre sconsigliabile, senzacontare che l’effetto sulla cittadinanza po-trebbe essere controproducente. Se Lon-dra ha eletto un sindaco islamico vuol direche la sua popolazione non è certo in predadi uno spirito discriminatorio, che quindinon va considerato un fenomeno talmentediffuso da richiedere una legislazione ec-cezionale in violazione dei diritti di liber-tà. Lo stesso, cioè l’esigenza di non deroga-re da questi principi, vale, naturalmente,per le misure eccezionali minacciate daTheresa May per contrastare il terrorismoislamista.

Sergio Soave

Anzitutto scordateveli in Italia.Arriva la serie sulla mitica

scena losangelina anni Settanta

PREGHIERAdi Camillo Langone

“La cucina veganaprenderà il sopravvento,i carnivori saranno confinati in riserveindiane. Solo nelle terre musulmane ilcibo avrà configurazioni e sapori anti-chi. E’ ovvio che costoro, facendo moltifigli e mangiando proteine animali nobi-li, domineranno il mondo. Come può l’e-sangue bio-vegano competere con la mu-scolosa shari’a carnivora?”. Così scriveprofetico e plumbeo Riccardo Ruggerinel suo “America. Un romanzo gotico”

(Marsilio), viaggio nel presente degliStati Uniti ovvero nel futuro dell’occi -dente. Fra l’altro è un libro scritto be-nissimo in cui un’intelligenza alla Giu-seppe Prezzolini si avvale, per quantostrano possa sembrare, di uno stile allaHunter Thompson. Dunque lo legganotutti e per primi lo leggano MichelaVittoria Brambilla, Giulia Innocenzi,Paolo Bernini, Andrea Scanzi, RedCanzian, Red Ronnie, Moni Ovadia,Pietro Leemann, Franco Battiato: forseancora non lo sanno di essere dei colla-borazionisti.

Moquette che pare rubataall’Overlook Hotel di

“Shining” (a disegnigeometrici, orrenda, sembra

sul punto di animarsi, come accadevanell’allucinato “Paura e delirio a LasVegas” di Terry Gilliam). Completibordeaux con il pantalone a zampad’elefante. O bianchi con camicia scura,alla Tony Manero. Un palcoscenico e unmicrofono per il mestiere più difficile delmondo, lo stand up comedian. Il comico diparola: uno che non si traveste, non imita,non ha una spalla a sostenerlo, guadagnal’applauso solo con le battute smaglianti e itempi comici rodati.

Palcoscenico e microfono, anche laparete di mattoni, li ritroviamo identici in“Louie” di Louis C. K., che per fortuna siveste con il maglione. Gli eroi di “I’mDying Up Here” sono gli stand upcomedian degli anni 70, quando lesigarette si potevano fumare anche intelevisione: gravitavano su Los Angelessperando di farsi invitare al “TonightShow” di Johnny Carson (nel 1972 laproduzione lasciò l’East Coast per la WestCoast). Pregai spettatori americani, cheper questi comici hanno una venerazioneunica al mondo, la serie creata da DaveFlebotte va su Showtime dal 4 giugnoscorso, il network di “The Affair, “TwinPeaks”, “Billions”, e “Homeland” (cheriprende su Fox con la sesta stagione, inaccoppiata serale con la quinta di “TheAmericans”: le spie hanno più mercato deicabarettisti in cerca di scrittura).

Si chiamavano Jim Carrey (che producela serie), Andy Kaufman (mina vagantedella comicità che Jim Carrey haimpersonato nel film di Milos Forman“Man in the Moon”), Richard Pryor, DavidLetterman, Jay Leno. Le loro storie sonoraccontate da William Knoedelseder nelreportage “I’m Dying Up Here” (da PublicAffairs, casa editrice con un occhio diriguardo per chi ha trascorso gli annimigliori della sua vita facendo reportage efabbricando libri).

Crepacuore e successi, dice il sottotitolo.Il pilot della serie – diretto da JonathanLevine di “50/50”: un giovanotto che usavala malattia per rimorchiare le ragazze –pende decisamente verso il crepacuore.Clay Appuzzo – poi scopriamo che il veronome era Calogero – riesce finalmente aconquistare il suo quarto d’ora di celebritàaccanto a Johnny Carson. Esce dagli studitelevisivi e finisce sotto un autobus. Brevemeditazione sul tema “oggi siamo qua edomani chi lo sa”, quando una cartolinasuggerisce che sotto le ruote il cabarettistasi era buttato con intenzione (quando èsteso per terra, siccome siamo negli anniSettanta, un passante si avvicina, si guardain giro, gli sfila il portafoglio dalla tasca).

“Sono anime tormentate”, spiegaMelissa Leo che nella serie è Goldie,titolare del locale dove i nostri fannoapprendistato (il personaggio ricorda eomaggia Mitzi Shore, titolare del “ComedyStore” losangelino). “Pensavo fosserocomici” è la fin troppo didascalicarisposta. “C’è una sola regola in questomestiere, e nessuno ha capito quale sia”,teorizza Goldie. Possiamo far ricorso aun’altra che vale in generale, quando siscrivono film o serie tv: le spiegazioniammazzano il dramma, figuriamoci lacomicità.

“Posso avere i suoi cinque minuti?”chiede un collega del morto a Goldie chestabilisce i tempi sul palcoscenico. Dueragazzi arrivati da Boston con sogni digloria si vedono affittare un armadio. Labiondina sconta il fatto di essere sexy,arrivata da un paesello “con meno ebreiche a una festa organizzata da WaltDisney”. “Li devi colpire in pancia,rivelando una verità su te stessa”, lesuggerisce Goldie. Che si traduce:scordateveli, in Italia, comici così.

Mariarosa Mancuso

LE SERIE TV SPIEGATE A GIULIANO

Dal genio di Freud a Gatsby, ilsenso d’immortalità davanti al

terrore del mondo che cambiava

Omaggio a SigmundFreud e a un suo

pensieroso gioiello,Lutto e Melanconia,capolavoro dicent’anni fa, il 1917,

una lontananza immensa eppuresempre vicinissima. Anche allorac’erano stragi ovunque e orribili,anche se il campo di battaglia era unaltro, non le sabbie del deserto ma lecittadine più belle dell’Europa e icampi e i boschi. Seppure assai menoinfestati che quelli di un tempo, glieuropei oggi tremano, in preda alterrore, quel terrore che allora eraassai meno terrorizzante; uomini edonne pronti a qualsiasi lotta. Anchetroppo. Freud trasecolò vedendo conquanto ardore i soldati lasciavano lefidanzate per andare a morirecantando.

Sigmund La Nuit. E’ scesa la sera emi avvicino alla libreria dove stanno ineri volumi della vecchia edizioneBoringhieri. L’argentea polvere deltempo li riveste, illumina quei giganticon cui s’inaugurò il Novecento e ilpensiero umano incontrò una superbasvolta, pur nell’inferno che regnava.Avvicinarmi a quei libri comportaentrare una volta di più nel sogno, cosìcome immagino sia entrato il giovaneFreud nei giorni dei can-cancharcottiani alla Salpêtrière, quandoMadame Isteria gli faceva l’occhiolino.Altri tempi, si era nella Belle Epoque,la volontà di vivere scorreva lungo ifiumi dorati che Renoir immortalava.Immortalità freudiana, appunto;scorrendo le pagine dell’Interpretazionedei sogni tocca chiedermi se sonosveglio, se davvero Freud esiste o ètutto un sogno, se le memorabili paroleche ci ha lasciato in dono sono reali oil frutto di un mio lungo sonno, sicchétra un po’ mi sveglierò. Dove? Sedutoalla scrivania o in un campo profughiin mezzo a ragazzini che piangono?Siamo sempre lì, e sempre là, nellagioia e nel dolore che presiedono lenostre vite.

Il ventiquattro luglio del 1895 ildottor Freud in elegante abito da serariceve gli ospiti. Irma e Freud danzanolambendo ciascuno l’altrui desiderio,rimosso, sicché venga alla luce il figlio,la parola del sogno. Del sogno, solo nelsogno si può scrivere, il sogno è lalingua dell’inconscio. Anna O., L’Uomodei topi, L’Uomo dei lupi, il PiccoloHans… casi clinici nei quali Freudleggeva un romanzo tanto piùenigmatico quanto più familiare, e igrandi scrittori e poeti della sua epocasi stupivano di una scienza che siconiugava con l’arte.E non era forseSigmund Freud il personaggio da luistesso più psicoanalizzato? Non soloFreud. Pare un gran brutto sognoquello di Josef K. che si risveglia consconosciuti che s’aggirano nella suacasa. Pare, ma il sogno non è maibrutto, anche quando si presenta sottole spoglie dell’incubo, una donnasgozzata, un palazzo che brucia,passanti accoltellati… Eppure qualcosadi reale sempre il sogno dona: sestesso; toccherà al parlante la gloriosadifficoltà di gustarne l’enigma. Che sefacilmente si approdasse allasignificazione, unica e dogmatica,attenti, è una trappola! Lo stesso cupocappellano della cattedrale di Pragarende noto a Josef K. come nei secolimolti interpretarono la Parabola, conesiti sempre differenti. Ogni tentativodi uniformità fallisce, a ciascuno il suosogno, a ciascuno la suainterpretazione. Nel dire, il sogno è giàinterpretato dal parlante, ci svelaFreud, pacatamente. Freud, Kafka maanche Shakespeare. Ogni qualvoltaAmleto mi parla, cado in un mistericotorpore che invece di sopprimerel’ascolto lo porta alle stelle, macabroma così vivo sogno di Danimarca. Non èil sogno un qualcosa che dormendoavviene, bensì quel che si racconta anoi stessi, all’amico, allo psic, sognoche a ogni narrazione acquista nuoveparole e significati e sfumature. 1917,s’incontrano a Louisville i primi sognidi Gatsby non ancora Grande e diDaisy, la cui gonna svolazzava al vento;si rincontreranno ancora, nel sogno diFitzgerald.

“Ho sognato che abbracciavomamma, ho sognato che papà moriva,ho sognato di correre, e cadeva unastella, ho sognato San Pietro, crollava…”. Anche quando pare concluso,sepolto in un dimenticatoio, il sogno èsempre vivo, un Wunderblock, un notesmagico che mai si cancella, unpalinsesto in cui incessantemente quelche accade si scrive e si riscrive. “Chinon ha segni ha sogni”, sentenziavaUmberto Eco, ma rovescerei lasentenza in “chi non ha sogni ha segni”che indicano un qua e un là, e tanti liseguono, i segni, li omaggiano,s’inchinano all’algoritmo, la strada èsegnata, troveranno il tesoro. Mah.Troveranno piuttosto lo scacco dellaragione che troppo ragionevole sivuole, incapperanno nell’impietosotornaconto, adoreranno il ghigno dellasegnaletica. Dispereranno, finché unafolata di sogni li porterà lontano da sé,e dai segni di morte. Sicché mipermetto di dedicare un sogno alleultime mai ultime parole di quelladolce ragazza che bruciava a Londra:“Grazie di tutto mamma, papà, amici.Vado in Paradiso”.

Umberto Silva

PICCOLA POSTAdi Adriano Sofri

E’ il momento più bello per an-dare a Barbiana. Il più appropria-

to è con la neve, d’inverno. C’è unatavoletta di legno appuntita in cimache indica: Cimitero. Occorre una o-stinata umiltà, un formidabile orgo-glio per stare ad aspettare il giornodel giudizio qui dentro. Un’orgogliosaumiltà.

I DIARI DI DIBBA

Poi mi sono disintossicato

Un tempo lo ero, di sinistra;poi mi sono disintossicato, ho capitodi essere io stesso vittima di un igno-bile inquadramento e ho combattutoper la mia libertà.

(Alessandro Di Battista,“A testa in su”, Rizzoli, pag. 181)

BORDIN LINEdi Massimo Bordin

“Abbiamo prove assoluta-mente inconfutabili del fattoche Graviano non sapesse diessere intercettato”. Di più ilprocuratore aggiunto VittorioTeresi, che guida il pool di pm del processoTrattativa, non dice. La discovery avverrà inudienza e ieri ne ha parlato alla libreria Fel-trinelli di Palermo, dove si presentava un li-bro, “Quel terribile 92”, scritto da Aaron Pet-tinari, il giornalista di AntimafiaDuemila chesegue le udienze del processo. Per saperne dipiù basta aspettare due giorni, la prossima u-dienza è venerdì, ma la curiosità è legittimase si considera la certezza perentoria di Tere-si quando parla di prove “assolutamente in-confutabili”. Per di più è singolare che pro-

prio il procuratore aggiunto abbia fatto pre-cedere il suo annuncio stentoreo da unapreoccupata premessa. “Noto in questi gior-ni delle certezze assiomatiche che mi fannopaura. Tutti hanno la certezza assoluta cheGiuseppe Graviano sapesse di essere inter-cettato”. Evidentemente le certezze assolutecompetono, secondo Teresi, solo alle procuree in fondo ha ragione, perché nessuno ha maiscritto che c’è la certezza, bensì il ragionevoledubbio e qualche indizio, che il capo mafiaavesse messo in conto quanto le sue parolepotessero essere ascoltate dagli inquirenti.Questo basta a depotenziare il valore proba-torie di quelle parole, fermo restando che inmerito certezze assolute sarebbe difficile a-verne e dunque si giustifica la curiosità sulle“prove assolutamente inconfutabili” che laprocura si appresta a produrre.

SUL LETTINO - PSICANALISI DELLA POLITICA

L’illusione del sognoComici come si deve

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ANNO XXII NUMERO 145 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 21 GIUGNO 2017

LIBRIRoberto PazziLAZZARO

Bompiani, 211 pp., 17 euro

Stavolta la penna di Roberto Pazzi ha su-perato ogni previsione, come del resto

era già avvenuto negli ultimi romanzi. E seLazzaro avesse rifiutato di svegliarsi e ditornare in vita, dietro il richiamo di GesùCristo per l’amico prediletto? Se avesse de-ciso di rimanere in uno stato di dormizioneeterna, deluso dalle aspettative di una se-conda esistenza, immobile, in piedi nel su-dario, non dando ascolto? Alberto Cantagal-li, insegnante in pensione, vorrebbe invecerisvegliare dal sonno collettivo l’umanità di-sattenta attraverso un disegno eversivo: uc-cidere Leo Bonsi, il presidente della Re-pubblica che si è fatto eleggere con l’imposi -zione, che non vive al Quirinale e che ha fat-to uccidere i capi dell’opposizione. “Non c’èfuturo dopo di me. I miei lo sanno bene. Allemie esequie celebreranno anche il loro fu-nerale politico. Non ho eredi. Sono insosti-tuibile”. Questo romanzo ricorda L’autunnodel patriarca di Gabriel Garcia Márquez,dove alla morte del dittatore la folla irrom-pe nel palazzo e si rende conto che il presi-dente aveva governato nella più assoluta so-

litudine. Pazzi riproduce la storia e ne dàuna seconda interpretazione come in unvangelo alternativo ma documentato da fattirimasti celati. Sta dalla parte del bene, maanche del male, poli opposti che si fronteg-giano. Ci dice che il bene è noioso e il malegustoso (almeno nella letteratura). Il prota-gonista che ha in mente di ammazzare il dit-tatore è tentato da Satana (il Signore dellemosche), con il quale intrattiene numerosicolloqui. In fondo si desidera ciò che si te-me, mentre nel palazzo del capo si gioca aburraco e si spiano le guardie del corpo con

le loro donne per rivivere una seconda gio-vinezza nell’immedesimazione. Il desideriodi sollevare il mondo da ogni forma di tiran-nia è compensato, a Roma, prima nell’OrtoBotanico dalla presenza di Nadia, una bellasignora che incarna l’eros, poi da Santa Te-resa d’Avila, che appare con i capelli corvi-ni sciolti sulle spalle, il pollice incarnato e ipiedi scalzi. “Occhi liquidi e verdi, dovebrilla un guizzo che oscilla e pulsa, comefiamma tremante al vento, in cima alla can-dela”. E se l’insegnante con propositi di as-sassino finisse per innamorarsi proprio del-la santa, una creatura dell’assoluto? La lin-gua di Pazzi è fluida e densa allo stesso tem-po: nomina e seduce, riflette e denuda.Nella città eterna dei peccati, il finale a sor-presa che non sveliamo apre un ulteriorecapitolo sulla storia e sui suoi colpi di scenatra arcangeli e diavoli. Lo scrittore italianopiù visionario, erede di Calvino e Bulgakov,ci prepara ad un rovesciamento delle sortidell’Italia, immaginando che dal caos possa-no ritornare l’ordine e la giustizia, “il mieledella luce tremante all’orlo della felicità”.

EDIT ORIALI

La guerra mondiale in SiriaCon l’Isis più debole, gli interessi divergenti dei paesi coinvolti sono pericolosi

Ieri l’Australia ha sospeso le sue opera-zioni militari in Siria all’interno della

coalizione internazionale che combattecontro lo Stato islamico. “E’ una misura pre-cauzionale”, ha detto il ministero della Di-fesa australiano, ma intanto i sei jet che fan-no base negli Emirati sono rimasti fermi. Daquando gli americani domenica hanno ab-battuto un aereo del regime siriano neipressi di Taqba, a est di Raqqa, l’espressio -ne “escalation drammatica” è sulla boccadi tutti: la Russia ha minacciato di colpire ivelivoli ostili e ha sospeso la hotline apertacon gli americani che permette di collabo-rare – o meglio di evitarsi, per non incappa-re in incidenti –nella cosiddetta “deconflic -tion zone”. Gli americani ridimensionano,dicono che le comunicazioni con la Russianon sono state sospese – e che i russi eranostati avvertiti – e che l’obiettivo comune èquello di rispettare le regole della decon-fliction. Ma sono fermi su un punto: devonodifendere le loro forze sul campo, come alconfine con la Giordania, dove è stato ab-battuto un drone del regime proprio ieri. Ijet siriani avevano colpito con due bombar-damenti l’Sfd, le forze alleate della coali-zione internazionale, ed è per questo chel’America ha deciso di abbattere il Su-22 si-riano: “Il regime voleva chiaramente testa-

re la volontà degli Stati Uniti di difendere ipropri alleati sul terreno”, scrive il WallStreet Journal. Poco lontano dalla zona del-l’incidente c’è Raqqa, l’ormai ex capitaledell’Isis in Siria, e tutti sanno che la città hale ore contate, e questo scontro fa parte del-la fase due: chi controllerà questa zona?

La guerra siriana ha da sempre i contor-ni di una guerra mondiale, e ora che l’Isisè più debole gli interessi divergenti degliattori in campo sono ancora più evidenti:Assad vuole il controllo di tutta la Siria,non certo un paese spezzettato in areealauite, sunnite e curde. L’Iran sta cer-cando di creare un corridoio d’influenzache va da Teheran a Beirut. La Russia pro-tegge il porto sul Mediterraneo e vuole di-mostrare di essere un alleato di cui fidar-si. Nessuno di questi obiettivi coincidecon quelli degli americani, che paganoancora lo sciagurato disimpegno obamia-no e navigano a vista con Trump. Il qualeora deve riconsiderare le sue opzioni, checomprendono anche la no-fly zone chenessuno ha voluto stabilire. Nessuno, néRussia né America, vuole un’escalation,ma se poi dovesse succedere, quel chemanca all’America è un obiettivo chiaro.Non c’è nulla di peggio di una guerra di que-sta portata in cui non sai cosa vuoi ottenere.

La sinistra e la ricchezzaIl tedesco Schulz (in affanno) punta su redistribuzione e tasse ai più abbienti

I numeri dicono che Martin Schulz,candidato socialdemocratico alle

elezioni tedesche del prossimo settem-bre, è in affanno: la cancelliera AngelaMerkel, che va a caccia del suo quartomandato, lo supera nelle rilevazioni diparecchi punti percentuali (il piccodello scarto è del 15 per cento) e so-prattutto domina la scena con la suapolitica moderata che mira a tenere ilcentro ben attaccato ai cristiano-de-mocratici. Sono numeri e ci si fida finoa un certo punto: siamo reduci da ele-zioni inglesi in cui un distacco abissa-le nei sondaggi è stato colmato in bre-ve tempo e in modo drammatico. Maanche Schulz è consapevole dell’atti -mo che gli è sfuggito di mano e perquesto ora tenta la strada che, a sini-stra, proprio nel Regno Unito dellesorprese amare, ha avuto successo: re-distribuzione e lotta alla diseguaglian-za. La proposta economica lanciata dalcandidato socialdemocratico è statadefinita un po’ troppo frettolosamentecorbyniana, dal momento che è moltomeno radicale di quella del leader la-burista inglese. Con la Merkel che ro-

sicchia spazi elettorali nell’area mo-derata, Schulz sceglie di collocarsi piùa sinistra e prevede tasse più alte per ipiù abbienti (dal 45 al 48 per cento peri redditi sopra i 250 mila euro; dal 42 al45 per cento per i redditi sopra i 76mila euro) con un alleggerimento fi-scale complessivo di 15 miliardi di eu-ro per le famiglie a reddito medio ebasso. La patrimoniale non c’è più egli investimenti valgono circa 30 mi-liardi di euro, la proposta farà “bene”all’Europa, ha puntualizzato Schulz, el’accoglienza è stata abbastanza buo-na, se si escludono i due fronti più cri-tici: la Confindustria e la Linke, cheambisce, lei sì, all’effetto sorpresa instile corbyniano e dice che con questipochi spiccioli non si possono gestire igrandi investimenti necessari in istru-zione e sanità. Con i liberali che riem-piono i comizi come non accadeva daanni e con i populisti di destra in de-clino, la corsa tedesca diventa quasisorprendente: si parla di Europa, siparla di moderati di destra e di sini-stra, anche quando si tassano i più ric-chi.

Il triangolo contro WoodcockPrima Pignatone, poi la procura generale, ora il Csm. Assedio al circo Consip

Il Foglio aveva evidenziato una seriedi coincidenze in due diverse inchie-

ste che facevano pensare a un metodoinvestigativo anomalo: stessi pm e poli-zia giudiziaria, ripetute fughe di noti-zie, manipolazioni delle informative,pubblicazione sul medesimo giornaledi intercettazioni penalmente irrile-vanti e secretate di Matteo Renzi. Sitratta delle inchieste Cpl Concordia eConsip, entrambe sotto la guida del pmnapoletano Henry John Woodcock. Sul-le analogie e anomalie di queste dueinchieste della procura di Napoli,adesso vuole vederci chiaro anche ilConsiglio superiore della magistratura,che ha investito del caso la prima com-missione dopo aver ricevuto una notada parte del procuratore generale diNapoli Luigi Riello. La segnalazionedel pg riguarda le modalità di iscrizio-ne di un giudice, ma deve esserci del-

l’altro se il Csm ha deciso di unire lavicenda Consip al fascicolo su Cpl Con-cordia riguardante la diffusione delleintercettazioni Renzi-Adinolfi, apertonel lontano 2015 su richiesta del consi-gliere laico Pierantonio Zanettin e fini-to nel dimenticatoio. L’indagine delCsm è solo uno dei tre pilastri che com-pongono quella che ormai è un’inchie -sta sull’inchiesta Consip. Il secondo èl’azione disciplinare nei confronti diWoodcock avviata dal procuratore ge-nerale della Cassazione Pasquale Cic-colo, che si basa su una relazione delprocuratore reggente di Napoli Fra-gliasso e ora si arricchisce anche dellanota del pg di Napoli Riello. Infine c’èl’inchiesta penale per falso della pro-cura di Roma (Pignatone, Ielo e Palaz-zi) su Scafarto, capitano del Noe e col-laboratore di Woodcock. Se c’è un me-todo dietro questa follia, verrà a galla.

C’è un po’ d’Italia nelle ultime scoperte sul calcolo mentaleIL PROF. SEMENZA PRESENTA I RISULTATI DI UNA RICERCA SU UNO DEI PRINCIPALI SETTORI DI STUDIO DELLE SCIENZE COGNITIVE

Oggi al simposio internazionale di Neu-ropsicologia, che si tiene in questi gior-

ni sull’isola di Creta, Carlo Semenza, ordina-rio di Neuropsicologia all’Università di Pa-

dova presenta importanti e inaspettati risul-tati sulle basi cerebrali del calcolo mentale.Abilità fondamentale nella vita di tutti igiorni, il calcolo mentale rappresenta unodei più importanti settori di studio dellescienze cognitive. In un buon numero dipubblicazioni recenti, già erano state sonda-te le basi cerebrali di questa abilità, concen-trandosi su compiti estremamente semplici(addizioni, moltiplicazioni e sottrazioni dinumeri a una sola cifra). Si erano identifica-ti alcuni deficit specifici, chiamati acalculie,quando anche i calcoli mentali più semplicisono compromessi. Per la moltiplicazionementale, compiti tipici sono: 8x4; 5x6; 9x7.Tali compiti vengono presentati, uno allavolta, a ciascun soggetto, variando opportu-namente i numeri. Per migliore chiarezza, eper evitare l’immediato richiamo alla me-moria, si evitano ad arte addendi, sottraendie risultati che contengono uno e zero, oppu-re la ripetizione delle decine e delle unità.Si effettuano poi complesse analisi statisti-che, su molti soggetti sperimentali, analizza-no le risposte esatte, le buone approssima-zioni, le cattive approssimazioni, correlan-dole con le rispettive e specifiche attivazio-ni cerebrali.

La principale novità dei dati presentatida Semenza a Creta consiste in esperimentieffettuati in collaborazione con studiosi ita-liani, spagnoli e baschi, durante interventichirurgici a cervello aperto, imposti per larimozione di tumori (gliomi). In nove pa-zienti, tutti destrimani (quattro con tumorenell’emisfero sinistro, cinque con tumorenell’emisfero destro) sono state inibite pre-cise zone del lobo parietale su cui si stavaoperando, mentre il paziente, perfettamen-te sveglio e cosciente, effettuava mental-mente, su richiesta, operazioni di somme emoltiplicazioni.

Le competenze degli emisferiIn sede di intervista, Semenza ora ag-

giunge: “Un sito positivo per l’addizione(cioè un sito che quando inibito non consen-te l’operazione) non lo è per la moltiplica-zione e viceversa. Non abbiamo mai trovatoun singolo sito positivo per tutt’e due le ope-razioni. Se inibire un sito portasse sempli-cemente a un calo di risorse per quella zonaci dovrebbe essere un malfunzionamentogenerico, esteso a qualunque operazione.Rimane quindi l’ipotesi che ogni emisferofa una parte essenziale per l’operazione,contribuendo con la sua competenza. Sem-bra proprio così, perché per la prima voltanoi abbiamo preso l’iniziativa di analizzaregli errori che i pazienti commettevano dopoinibizione destra o sinistra, e abbiamo tro-vato una differenza qualitativa”.

In un’analisi antecedente del lavoro, pre-sentata da Semenza in Inghilterra alla Ro-yal Society, nello scorso febbraio, si era fat-to notare che, per la prima volta, appunto,erano stati attentamente analizzati gli erro-ri spontanei di calcolo, diversi se causatidal malfunzionamento dell’emisfero de-stro, rispetto al sinistro. Il sinistro fa mag-giormente appello al recupero mnemonico,il destro, invece, alle approssimazioni. Nel-la moltiplicazione mentale sono necessariambedue, quindi si osservano attivazionipiù sparse. Semenza mi dice: “Dopo inibi-zione, i pazienti operati a destra, e quindicon il sistema sbilanciato a favore dell’emi -sfero sinistro, commettevano con le tabelli-ne errori che si chiamano ‘di tabellina’, e

cioè il risultato sbagliato appartiene allatabellina in questione ma non è quello giu-sto: 7x3= 28 invece di 21! L’idea è che nell’e-misfero sinistro, come si sa, vengano memo-

rizzate in un repertorio pronto a essere uti-lizzato, tutte le possibili soluzioni di una ta-bellina, 7x2=14, 7x3=21 7x4=28. Da solol’emisfero sinistro, col destro inibito, sce-glie a volte la tabellina sbagliata, ma rima-ne all’interno del repertorio. I pazienti ope-rati a sinistra, invece, fanno errori diversi,che rivelano un modo di operare diversoproprio dell’emisfero non disturbato, quel-lo destro, che, invece di affidarsi a un reper-torio, fornisce una stima approssimata:7x3=20 o 22!

La soluzione esattaErgo, tutt’e due gli emisferi, in combina-

zione, contribuiscono a fornire la soluzioneesatta, uno (il destro) indicando approssi-mativamente il numero e l’altro (il sinistro)indicando il numero esatto in quanto me-morizzato tra le soluzioni possibili perquella tabellina. In modo, per così dire,speculare, queste inibizioni mostrano cosasuccede quando la regione è libera di calco-lare. Richiamare dati stereotipati per pos-sibili soluzioni numeriche è, quindi, prero-gativa del lobo sinistro, mentre tentare so-luzioni approssimate, ma di buon livello, èprerogativa del lobo destro. La moltiplica-zione mentale, anche semplice, attiva regio-ni più numerose e più disperse nel lobo de-stro che non nel sinistro. E’, quindi, l’armo -nica orchestrazione bilaterale di questedue funzioni ciò che garantisce un buon cal-colo aritmetico mentale, soprattutto per lamoltiplicazione. Fino a ora, vi era stata di-screpanza tra i risultati indiretti e menoprecisi ottenuti grazie al brain imaging (so -prattutto mediante risonanza magneticafunzionale). La tecnica di stimolazione (op-pure di inibizione) diretta su aree cerebraliben circoscritte usata da Semenza e colla-boratori offre adesso dati assai più attendi-bili. Per la prima volta si è anche scopertala partecipazione di aree sotto-corticali (sinoti bene: sotto-corticali) nel calcolo men-tale, perché si è potuto osservare lo stessotipo di errori inibendo le zone sotto la cor-teccia (quindi quelle contenenti i “raccor -di” tra un’area e l’altra), cosa possibile per-ché lo consente l’asportazione delle partimalate.

Ai non addetti ai lavori, può, forse, sem-brare molto invadente, per non dire crude-le, effettuare tali interventi nel corso diun’operazione chirurgica. Ma Carlo Semen-za ci spiega, in esclusiva per il Foglio: “LaDce (Direct cortical electrostimulation) èuna tecnica che consente di inibire reversi-bilmente, applicando una corrente elettri-ca con un elettrodo, per 3-4 secondi, una de-limitata (qualche millimetro quadro) areadel cervello durante le operazioni chirurgi-che. E’ generalmente del tutto innocua, senon c’è epilessia. Il cervello si può operarecon il paziente sveglio, perché non ha recet-tori del dolore. Quindi, una volta rimossa, inanestesia locale, provvisoriamente la partedel cranio soprastante l’area da operare, sipuò procedere senza grossi problemi”.

Gli chiedo se ci sono controindicazioni.“Purtroppo si può usare solo in pazienti al-trimenti sani, privi di ogni altra complica-

zione, che accettino di buon grado (di solitonon è un problema, pare loro di aver piùcontrollo sul proprio destino e una volta ca-pìta la procedura, collaborano più che vo-

lentieri). Questo, da un punto di vista prati-co, limita molto la possibilità e solo una ri-stretta percentuale dei pazienti (le stimevariano) può potenzialmente essere opera-ta in questo modo”. Aggiunge che il tipo dianalisi effettuato aiuta il chirurgo e aiuta ilpaziente: altrimenti la tecnica non si giusti-ficherebbe in alcun modo.

Paziente sveglio e collaborativo“Perché – invece – è non solo giustificato,

ma auspicabile che il paziente sia sveglio epossa collaborare? La risposta è semplice:se il chirurgo deve rimuovere un tumoresottocorticale (di solito un glioma a bassogrado di malignità, che si spera possa esse-re rimosso del tutto o quasi) deve farlo colminimo danno possibile per le strutture ce-rebrali. Lo fa meglio se sa se in una datazona può affondare il bisturi senza fare(troppi) danni. E’ meglio passare da unaparte o da un’altra? dipende da cosa fanno

le zone in questione. Tipicamente, peresempio, il rischio di operare nelle zonedell’emisfero sinistro in cui la maggior par-te delle persone ha rappresentata questa oquella funzione linguistica, è quello di ren-dere il paziente afasico dopo l’operazione.Purtroppo i cervelli non sono tutti del tuttouguali e questa variazione non consente diprocedere in un modo standard. Il tumoredeve essere asportato, ma non si vuole che,per esempio, il paziente poi abbia disturbinella denominazione. Per cui, tipicamente,si applica l’elettrodo dove si pensa di potertagliare, e si fa denominare una figura diqualcosa di molto semplice (per esempio ungatto) al paziente. Se il paziente denominala figura nonostante la inibizione vuole direche la zona inibita non è essenziale alla fun-zione di denominazione, e perciò si può ag-gredire il tumore tagliando in quel punto.Se invece il paziente non riesce a trovare ilnome, nei 3-4 secondi dell’inibizione, o ma-gari dà un nome sbagliato, se ne concludeche quell’area se possibile non va toccata ebisogna cercare di ‘passare’ da un’altra par-te. Fino a qualche anno fa la tecnica si ap-plicava solo per risparmiare le zone ‘lingui -stiche’. Ma anche il calcolo mentale fa parte

della vita di tutti i giorni e merita di essereconservato. Ma si era fatto molto poco inproposito”. In un diverso esperimento, susoggetti normali, in corso di pubblicazionesu NeuroImage, sempre nel dominio delcalcolo mentale, Semenza e collaboratorihanno applicato l’inibizione e la stimola-zione trans-corticale, dall’esterno delloscalpo. Una curiosa diversità è emersa traaddizione mentale e sottrazione mentale.Nell’addizione, prevale l’attività della re-gione orizzontale del solco intra-parietaledestro, mentre la zona ventrale della stessaregione mostra assai minore differenza tradestra e sinistra. In essenza, questo avver-rebbe perché nell’addizione mentale di nu-meri a due cifre si genera una sorta di map-pa mentale di tipo spaziale, fenomeno inve-ce assente nella sottrazione mentale. Que-sto inatteso risultato, cioè il coinvolgimentodi mappe mentali di tipo spaziale nell’addi -zionare mentalmente numeri a due cifre, èstato confermato esaminando l’attivazionedi questi stessi centri cerebrali in compitidi pura visualizzazione spaziale. Le regionicerebrali sinistre sono attivate da un calco-lo fatto a parole, mentre quelle destre da uncalcolo silenzioso, non verbale, con compo-nenti spaziali. Si conferma che la sottrazio-ne mentale, compito più difficile, attiva ilcosiddetto giro sopra-marginale in ambe-due gli emisferi simultaneamente. L’addi -zione mentale coinvolge la memoria assaipiù della sottrazione mentale.

La differenza di attivazione cerebrale tracalcoli mentali semplici (7+9, 5x 6, oppure 8-3), che fa appello alla memoria, attivando ilgiro angolare sinistro, e calcoli mentali piùcomplessi, come quelli esemplificati qui so-pra, consiste nell’attivazione di centri cere-brali deputati alla stima delle quantità(porzione bilaterale orizzontale del solcointra-parietale).

Concludendo il complesso lavoro in cor-so di pubblicazione su NeuroImage Semen-za e colleghi dichiarano che, per la primavolta, è stato evidenziato il ruolo causaledella corteccia parietale posteriore, in am-bedue gli emisferi, nei calcoli mentali com-plessi. Cioè, le reti cerebrali coinvolte nel-l’attenzione spaziale vengono “ri-usate”(reused) nell’aritmetica mentale su numeria due cifre. Malgrado le sottili differenze diattivazione cerebrale tra addizione e sot-trazione, questi due tipi di calcolo mentalecoinvolgono aree comuni. L’emisfero de-stro, però, fa, inaspettatamente rispetto aquanto si pensava, la parte del leone. In taleregione, aree normalmente coinvolte neltracciare mentalmente la cartografia dellospazio sono più intensamente attivate nel-l’addizione che non nella sottrazione.

Tutti questi studi, grazie a tecnologie di-stinte e complementari suggeriscono che ilruolo dell’emisfero destro nel calcolo men-tale non si limita al reclutamento di opera-zioni generiche, né a generiche elaborazio-ni spaziali. L’elaborazione mentale e cere-brale è specifica al settore dell’aritmeticamentale. I centri del linguaggio sono distin-ti, dopo che viene filtrato via il loro inevita-bile, ovvio, coinvolgimento nel fornire ver-balmente i risultati del calcolo mentale ri-chiesto. Infine, chiedo quali esperimentiprogetta per il futuro “Ora stiamo control-lando con la Meg, cioè la Magneto EcephaloGraphy, che consente di rivelare la succes-sione delle attivazioni cerebrali in temporeale, millisecondo per millisecondo. Quel-lo che troviamo è che l’attivazione passa dadestra a sinistra nel giro di poche centinaiadi millisecondi quando deve essere fornitala soluzione di una tabellina. I due emisferisi parlano e trovano la soluzione correttainsieme, ognuno con la sua capacità”.

Come risponde il cervello durante un’operazione con il pazientecompletamente sveglio e cosciente. Le competenze peculiari dei singoliemisferi, le abilità matematiche messe alla prova. Le novità sarannopresentate oggi al simposio internazionale di Neuropsicologia, a Creta

DI MASSIMO PIATTELLI PALMARINI

Adiós, Chávez!Il bond a cent’anni dell’Argentina seppellisce il ciclo populista sudamericano

L’Argentina ha ottenuto 2,75 miliardidall’emissione di bond a cento anni

denominati in dollari soltanto a un bien-nio di distanza dalla rimozione dei con-trolli sui capitali successivi al default suldebito del 2001, all’epoca il più grande almondo nonché l’ottavo in sequenza dal-l’indipendenza di Buenos Aires nel 1816.La posizione benevola degli investitori ri-spetto a un’emissione obbligazionaria didurata secolare – indice del desiderio ditornare a essere un paese considerato af-fidabile – deriva dall’azione del governodi Mauricio Macri in carica da fine 2015con un gabinetto di funzionari, tra cui exbanchieri formatisi negli Stati Uniti, conmentalità pro mercato e impegnati a pro-durre riforme economiche non più rin-viabili, in primis limitare e controllare laspesa pubblica. In parallelo il governoTemer in Brasile è sulla stessa lunghezzad’onda. La riabilitazione dell’Argentinasui mercati è paradigmatica del cambia-

mento della cultura politica del paeseche ha salutato il nuovo millennio fallen-do e, in senso più ampio, rimarca la con-clusione del ciclo politico socialista su-damericano. Le forze variamente sociali-ste, anti americane e populiste che hannodominato la scena politica della regionenegli anni Duemila – Hugo Chávez e poiNicolás Maduro in Venezuela, Lula e Dil-ma Rousseff in Brasile e i coniugi Kir-chner in Argentina – non soltanto hannoesaurito la spinta propulsiva e si sono ri-velate fallimentari per loro natura e col-pa, ma soprattutto mostrano alle “quintecolonne” – molte in Italia – che l’ideologiadella “rivoluzione bolivariana” non faparte di questo secolo. Il profondo bara-tro economico e sociale del Venezuela,colosso petrolifero incapace di sfruttarele sue risorse, prova da sé che l’utopiachávista s’è tradotta in un incubo autori-tario portatore di miseria. L’Argentina diMacri indica invece la via del riscatto.

Surreale protesta contro l’inquinamento blocca depuratore in PugliaRoma. Non solo buoni vini, belle spiagge

e tarantelle. La Puglia vanta un’altra radi-cata tradizione che si alimenta a colpi diblocchi di cantieri, quella della sindromeNimby, non (fate nulla) nel mio giardino.Questa volta nel mirino di un comitato loca-le c’è un “pericoloso” depuratore che “mu -terà definitivamente e in peggio le sorti delnostro territorio, del nostro mare, della no-stra economia, della nostra salute e del no-stro futuro”. Così spiegano su Facebook le“Donne e mamme di Avetrana”, che coordi-nano la protesta contro quello che dovreb-be invece essere nient’altro che un “presi -dio sanitario a tutela dell’ambiente”, se-condo l’Acquedotto pugliese (AQP), l’azien -da pubblica della regione che hapresentato il progetto. Il depuratore servirài comuni di Manduria e di Sava, a pochi chi-lometri dal cuore della protesta che si con-centra nel comune di Avetrana. “Coraggio -se, decise, e non pronte ad arrendersi, comele Mamme della Terra dei Fuochi, come le

Mamme tarantine, non accettano la funestasorte che la politica e l’AQP hanno decisoper loro”: le mamme di Avetrana contesta-no il luogo individuato nella fase autorizza-tiva, troppo vicino alle spiagge e a una riser-va naturale, dicono. Spalleggiate dal sinda-co del loro comune, Antonio Minò, che dalsuo profilo Facebook esorta: “Tutti in zonaUrmo, difendiamo il nostro territorio e ilnostro mare”.

Lo schema, ormai consolidato, è semprelo stesso: dalla rete partono gli appelli congli appuntamenti per bloccare i lavori e icittadini rispondono, arrivando in blocconell'area del cantiere. Così lunedì diversedecine di persone in presidio hanno blocca-to il passaggio dei camion della ditta chedeve realizzare il depuratore, nella zona diUrmo Belsito, costringendo i mezzi a torna-re indietro. L’opera, che ha già ottenuto tut-te le autorizzazioni necessarie, è stata pro-posta nel 2011, superando i vincoli paesag-gistici, ambientali e archeologici del caso.

E’ anche parte del Piano di tutela delle ac-que della Regione Puglia e servirà soprat-tutto a evitare che l’Unione europea aprauna procedura di infrazione contro l’Italia,visto che il depuratore attualmente in fun-zione in quella zona è uno tra i tanti nonconformi alla normativa vigente. SecondoLegambiente, dei 187 depuratori attivi inPuglia, 52 risultavano fino a quattro anni fanon conformi per almeno un parametro,mentre il 25 per cento dei pugliesi scaricavai reflui in mare senza che fossero depurati.

Negli anni è stato un continuo mediarecon le comunità locali, sia rispetto alla scel-ta del sito di approdo che al contestato pun-to dello scarico delle acque reflue in mare.Su questo aspetto si sono maggiormenteconcentrate le proteste, ottenendo che ve-nisse presentato un progetto – attualmentein fase di autorizzazione – che prevede lacostruzione di alcuni bacini di contenimen-to per usi plurimi. Invece di scaricare le ac-que reflue in mare si riutilizzerà così l’ac -

qua depurata per usi agricoli o simili. Manon basta ancora, perché gli abitanti temo-no ripensamenti dell’ultimo minuto e noncredono alla promessa di eliminare la con-dotta sottomarina.

Le ragioni di chi si oppone al depuratorehanno persino trovato spazio sullo schermotv, con Massimo Giletti che in una puntatadella sua “Arena” intervista Romina Po-wer, ormai paladina di Avetrana che ha ri-cevuto la cittadinanza onoraria dopo aversposato la causa. La cantante ha anchescritto una lettera al governatore della re-gione, Michele Emiliano: “Bisogna fermarsiprima che il danno sia irreparabile. Speroche finalmente i politici siano sensibili aquello che vuole veramente il popolo. Noivogliamo un futuro per i nostri figli e nipoti,non vogliamo che sia tutto inquinato”.

Ma tutti si dimenticano che l’oggetto del-la protesta è un innocuo – e necessario – de -puratore dell’acqua.

Maria Carla Sicilia

IL FOGLIO quotidianoDirettore Responsabile: Claudio Cerasa

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ANNO XXII NUMERO 145 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 21 GIUGNO 2017

La caccia di Pechino

Tutto come prima: Trump non ha cancellato le aperture di Obama su CubaRoma. Non è mica vero che Trump ha can-

cellato le aperture di Obama a Cuba. Nelleparole con cui ha annunciato l’ordine esecu-tivo pubblicato venerdì nei confronti dell’i-sola, il presidente degli Stati Uniti ha ribal-tato la politica obamiana verso l’Avana; manel testo c’è scritto tutt’altro. La quantità didenaro che si può inviare attraverso le ri-messe degli emigrati, ciò che più interessa alregime perché quei soldi funzionano da se-dativo sociale, rimane intatta. Intatti anchegli accordi di scambio di informazioni sullasicurezza e quelli, sempre decisi da Obama,sulla fine della speciale politica migratoriaper cubani: la legge che prevedeva il rimpa-trio sull’isola per gli aspiranti immigrati fer-mati in alto mare e consentiva a qualsiasi cu-bano riuscisse a metter piede su terra statu-nitense di aver diritto a fermarsi.

L’ambasciata degli Stati Uniti all’Avanarimane aperta. Lo stesso vale per l’ambascia -ta cubana a Washington. Cuba rimane depen-nata dalla lista dei paesi considerati amicidei terroristi dal dipartimento di stato. Delle

restrizioni annunciate è vero soltanto chetorna il divieto per i cittadini statunitensi diviaggiare liberamente verso Cuba. Ma la nor-ma non riguarda i viaggi dei cubano-ameri-cani, che sono la gran maggioranza del totale.E comunque, qualsiasi cittadino statuniten-se voglia andare a Cuba, potrà continuare afarlo passando per un paese terzo o con unpermesso di viaggio per interesse culturalese viaggia con un gruppo. Come accade già datempo. Sono anni infatti che all’Avana esisto-no guide specializzate per cittadini america-ni, menù per americani, prezzi gonfiati peramericani. E’ vero anche che è ribadito il di-vieto di fare affari con imprese sotto control-lo militare. E questo infastidisce il generalecubano Luis Alberto Rodríguez López-Calle-ja, presidente della Gesa, l’ombrello societa-rio in mano ai militari sotto il quale sono ob-bligate a stare tutte le imprese sull’isola chefanno affari all’estero. Il generale la cui vitaè tenuta lontano dai riflettori come lo fu soloquella di Fidel Castro, è l’ex genero di Raúl,avendo sposato sua figlia Deborah ed essen-

do padre dei due nipoti del presidente, RaúlGuillermo e Vilma.

Il divieto è un modo per ribadire l’embar -go. Ma l’embargo non veniva sfiorato nemme-no dagli ordini esecutivi di Obama, perchésolo una legge votata dal Congresso potrebbecancellarlo. Il punto fondamentale del testodi Trump è che rimangono illimitati i viaggidei cubano-americani e non si abbassa il tet-to delle loro rimesse. La politica dell’Ammi -nistrazione Bush verso Cuba, per dire, fu benpiù pesante. I senatori pro embargo impe-gnati a tentare di limitare il viaggio degli al-tri cittadini statunitensi verso l’isola si guar-dano bene dal persuadere i loro elettori a os-servare la stessa restrizione. Vale voti pre-ziosi il privilegio degli immigrati cubano-americani. Il governo cubano, le agenzie turi-stiche e le compagnie aeree avranno tutto l’a-gio nell’inventarsi pacchetti e forme di viag-gio in grado di rispettare la lettera delle nuo-ve regole (che sono appunto quelle vecchiecon un po’ di maquillage).

Chi viene danneggiato dall’ordine esecu-

tivo di Trump, ma perché lo era già stato daquelli di Obama, sono i cubani che voglionoscappare da Cuba per andare negli StatiUniti. La legge speciale sui migranti cubaniera preziosa per chi ambisce alla fuga. Can-cellarla ha fatto disperare molti. Soprattuttomolti medici cubani impiegati in missioniall’estero. Per loro gli Stati Uniti avevano unpermesso di residenza speciale. Poiché laloro fuga equivale a una diserzione, attra-verso il programma Cuban medical profes-sional parole, gli Stati Uniti concedevanoautomaticamente il visto a qualsiasi medicocubano fuggisse da una missione all’estero.Obama l’ha cancellata, Trump non l’ha ripri-stinata. Con grande sconcerto dei poveri me-dici cubani che si ritrovano intrappolati nelVenezuela avvitato in una crisi senza fine.Stanno scappando in piccoli gruppi verso laColombia, attraverso la frontiera dello StatoZulia, confine sepolto dalla selva, terra dinessuno in mano a narcos, contrabbandierie banditi.

Angela Nocioni

Una delle condizioni elencate dal segre-tario di stato per una collaborazione profi-cua è un deciso passo indietro della Russianei confronti della Corea del nord. Il recen-te intensificarsi dei rapporti commercialicon Pyongyang è particolarmente sgradito aWashington, specialmente in un momentoin cui la tensione è rinfocolata dal caso diOtto Warmbier, lo studente americano re-stituito dal regime in condizioni di salutedisperate e morto poco dopo il suo rientroin America.

L’impostazione di Tillerson è lontana dal“reset” lanciato all’inizio del mandato diBarack Obama ma è anche diversa dalla po-sizione presa dall’Amministrazione prece-dente dopo la crisi in Ucraina, che mettevafra le priorità il consolidamento dei paesidell’Europa dell’est per resistere alle tatti-che aggressive della Russia. Dei rapporticon i paesi che chiedono protezione dalCremlino il documento di Tillerson nonparla nemmeno. La proposta di bilancio del

dipartimento di stato presentata la settima-na scorsa conferma il cambio di postura:l’America vuole tagliare con l’accetta i fon-di destinati a tutti paesi nella sfera di in-fluenza della Russia. “Cosa diciamo ai no-stri amici in Georgia quando ci chiederan-no perché abbiamo ridotto gli aiuti del 66per cento”, ha chiesto il senatore LindseyGraham, capofila dei falchi repubblicani.Impassibile, Tillerson ha risposto che loscopo dei finanziamenti non è di dare assi-stenza a tempo indeterminato agli alleatiamericani. L’Amministrazione è più inte-ressata a quello che succede nel sesto di-stretto della Georgia, nei sobborghi diAtlanta, che alla periferia di Tbilisi. La po-litica relativamente conciliante verso laRussia disegnata da Tillerson è l’interpre -tazione della scuola realista delle relazioniinternazionali data da un ex petroliere abi-tuato a giudicare gli affari a partire dal pro-fitto. E segnala anche un cambio nelle ge-rarchie interne.

La Casa Bianca aveva inizialmente inca-

ricato di scrivere il “framework” sullaRussia il capo della sezione europea delConsiglio per la sicurezza nazionale, FionaHill, ma a un certo punto della stesura ildossier è stato trasferito a Foggy Bottom.Nel frattempo ci sono stati diversi incontria tema russo fra Tillerson e Trump, senzaaltri invitati.

Hill è un’esperta di Russia che ha un ap-proccio critico e informato su Putin, sulquale ha scritto qualche anno fa un libroche è diventato una lettura imprescindibileper capire il presidente russo. A Washin-gton il suo lavoro è stimato da democratici erepubblicani, e fra gli ammiratori c’è ancheH.R. McMaster, il consigliere per la Sicurez-za nazionale che l’ha portata nella sua squa-dra. Quando è stata nominata molti si sonochiesti come il suo profilo potesse combi-narsi con la linea della Casa Bianca, e l’in -nalzamento del profilo di Tillerson sul dos-sier è una prima spiegazione. Questo spiegaanche la decisione dell’Amministrazione diavere un desk unico per Europa e Russia al

Consiglio, portfolio piuttosto vasto per unsolo ufficio. Sotto Obama, le responsabilitàerano distinte – da una parte l’Europa, dal-l’altra la Russia – e a occuparsi della stesu-ra della politica verso Mosca c’era CelesteWallander, che oggi presiede la fondazioneStati Uniti-Russia. Era il Consiglio per la si-curezza nazionale, cioè la Casa Bianca, adavere le mani sul volante della politica este-ra, scelta irrituale che è valsa al presidentemolte critiche per un eccessivo accentra-mento delle funzioni. il dipartimento di sta-to di Hillary Clinton e John Kerry di radoaveva voce in capitolo sulla direzione poli-tica, cosa messa in evidenza, per citare l’e-sempio più lampante, dal dibattito sulla Si-ria all’inizio della guerra civile. I falchi diFoggy Bottom sono rimasti inascoltati. L’at -tivismo di Tillerson è il segno che Trump starestituendo peso al dipartimento di statosui dossier più delicati, e lo sta togliendo alConsiglio di sicurezza, dove siedono le vocimeno servili verso il presidente.

Mattia Ferraresi

Pubblichiamo uno stralcio dell’articolo“L’avanzata del Dragone”, che compare nel-l’ultimo numero di Oil Magazine, da ieri inedicola abbinato con il Foglio. L’autore deltesto è Lifan Li, professore associato di ricer-ca dell’Accademia di Scienze sociali diShanghai e segretario generale del Centrostudi di Shanghai per l’Organizzazione e laCooperazione.

La cooperazione cino-americana nelsettore, inaugurata nel 1993 in Perù, arri-va a coprire oggi l’intera catena indu-striale. In termini di scambi energetici,nel 2012 il Venezuela era il settimo mag-gior fornitore di petrolio della Cina: leimportazioni dal paese sudamericanoavevano raggiunto i 15,2903 milioni ditonnellate di greggio, pari al 5,6 percentodel totale. A causa del crollo della pro-duzione, tuttavia, nel 2014 tale è diminui-to del 12 percento. Per quanto riguardale attività di esplorazione Oil&gas e i ser-vizi di progettazione tecnica, le compa-gnie petrolifere cinesi hanno avviato ol-tre 40 progetti in America latina che ri-guardano l’esplorazione, lo sviluppo, laraffinazione e la costruzione di pipelinegas-petrolifere. La formula “loan-for-oil”(prestiti in cambio di forniture di petro-lio) è il modello di collaborazione ener-getica più caratteristico tra le due parti ele sue origini risalgono al 2007, quandoCina e Venezuela hanno istituito con-giuntamente il “Fondo di co-finanzia-mento”. La Cina ha investito 4 miliardi didollari nel fondo, mentre il Venezuela haesportato quantità di greggio sempremaggiori in Cina a titolo di garanzia dirimborso. Nel maggio del 2009, il Brasileha firmato il primo accordo “loan-for-oil”ufficiale dell’America latina: la Cina si èimpegnata a versare a Petrobras, la com-pagnia petrolifera nazionale brasiliana,10 miliardi di dollari per dieci anni incambio della fornitura di greggio, per untotale di 150.000 barili al giorno nel 2009e 200.000 barili tra il 2010 e il 2019. Suc-cessivamente, la Cina ha sottoscritto unaccordo di interscambio analogo del va-lore di 1 miliardo di dollari con l’Ecua -dor nel 2009, seguito da altri due accordicon il Venezuela nel 2010 e nel 2014 delvalore rispettivamente di 20,6 miliardi didollari e 4 miliardi di dollari, per untotale di oltre 30 miliardi di dollari inve-stiti in progetti “loan-for-oil”.

Al di là dell’Oil&gas, le due parti stan-no rafforzando anche la collaborazione

nel settore idroelettrico. Nel 2013, laCina aveva 8 progetti idroelettrici (in cor-so o già completati) in America latina,anche in paesi con i quali non intrattienerapporti diplomatici, come il Belize el’Honduras. Sono inoltre in fase di piani-ficazione altri 12 progetti idroelettricidel valore di oltre 4,5 miliardi di dollari:sei in Ecuador, due in Honduras e uno inGuyana, Perù, Costa Rica e Argentina. Lacooperazione cino-americana nel merca-to del gas e del petrolio ha contribuitoampiamente non solo allo sviluppo diquesto comparto, ma anche alla crescitaeconomica, all’occupazione, alla salva-guardia ambientale e allo sviluppo dellacollettività nella regione, gettando solidebasi per un’intensificazione dei rapporti.Negli ultimi tempi, le due parti hannocompiuto enormi progressi nella coope-razione sulle fonti rinnovabili. Forte diuna solida situazione finanziaria, la Cinaintende cogliere l’opportunità di espor-tare tecnologie e prodotti per le energierinnovabili in America latina, trasfor-mandola nel “polo di sviluppo” dell’eco -nomia del futuro e degli scambi e investi-menti commerciali reciproci.

Grandi investimenti nel fotovoltaicoPer quanto riguarda l’energia solare,

le aziende cinesi hanno già lanciato unaserie di progetti nella regione. La societàprivata cinese SkySolar si è inserita nelmercato latinoamericano nel 2011 co-struendo una serie di impianti solari fo-tovoltaici a Sobral (Ceará), in Brasile.Nel 2012 ha investito altri 900 milioni didollari in una centrale fotovoltaica da 18megawatt in Cile – la prima stazione sola-re su larga scala collegata alla rete elet-trica del paese. A ottobre del 2012, l’A-merica latina ha commissionato a YingliSolar l’ordine più consistente per il foto-voltaico, richiedendo la fornitura esclu-siva di componenti da 40 megawatt perun progetto di una centrale solare in Pe-rù. A luglio del 2013, Suntech Power haannunciato la sua disponibilità a fornirecomponenti per una centrale solare inBassa California del sud, a oggi la piùgrande del Messico.

In termini di energia eolica, Sinovel siè affacciata sul mercato brasiliano nelsettembre del 2012 fornendo 23 set diturbine per il parco eolico del Sergipe,mentre Goldwind ha avviato 4 progettinella regione nel 2012: due in Cile, uno inEcuador e uno a Panama. Infine, sulfronte dei veicoli di nuova energia, nel2013 sono stati lanciati a Bogotà, capitaledella Colombia, i veicoli elettrici Byd E6,formando così la più grande flotta di taxicompletamente elettrica del Sudameri-ca. Secondo le stime, tra il 2013 e il 2030servirà un ulteriore investimento di 350miliardi di dollari nelle energie rinno-vabili. Per ora, la Cina sta sfruttandol’enorme solidità finanziaria di cui godeper esportare prodotti e tecnologie rin-novabili in America latina. Sugli oltre 50miliardi di dollari di investimenti inBrasile annunciati dal primo ministrocinese Li Keqiang nel 2016, oltre 40 mi-liardi saranno destinati a nuovi progettienergetici e infrastrutturali, mentre solo10 miliardi serviranno a finanziare ini-ziative basate su fonti energetiche tradi-zionali.

Lifan Li

Un “vaffa”ai grillismi e una lineaantisovranista. E pure un favore a

Renzi per liberarsi di Pisapia

Eternamente ringiovanito, rigovernatiper buonsenso gli agnellini in una stallalontana dal televoto e dalle telecamere(pare che adesso pensi più all’Albero del-le libertà) e benché la possibilità di can-didarsi alle politiche via Strasburgo siaallo zero virgola, Silvio Berlusconi non èsoltanto tornato in pista. Ma è anchepronto a raccogliere un tipo di voto, nellasostanza, diverso e nuovo anche per lui.Un bel voto di protesta. O per meglio di-re, il vero voto di protesta. Non stiamoscherzando, è qualcosa di peggio: è pre-veggenza politica.

Questo è il giro di giostra del Cav. pro-porzionalista; pieno di buonsenso euro-peo (pur con le sue consuete favole, tipole Am-lire, tipo le flat tax). Anti sfascista,per nulla sovranista. Votare per il suocentrodestra pacifico e vagamente oniri-co è oggi la vera protesta dell’uomo co-mune. Del cittadino che non ne può piùdi grillismi, scie chimiche e città chesprofondano. E questo ha già dato i suoifrutti, a Genova e non solo. Un voto diprotesta contro tutto questo casino. Perchi vuole votare un programma di ammi-nistrazione, se non buona, almeno nondemenziale, ci fosse pure qualche centri-sta in mezzo. Ma per protesta anche con-tro Matteo quell’altro, Salvini. Quelloche vuole a tutti i costi la leadership permarciare contro l’Europa ma, ora che ciarriva, non troverà più nessuno dei fu-mosi alleati. Salvini che magari Casaleg-gio non l’ha incontrato, ma è come sel’avesse. A Verona e a Padova, per stareal burrascosco nord, giocano due partiteimportanti e le giocano insieme. La riva-lità però è tanta. Perché se si vince, lasola idea che Salvini si becchi tutto ilmerito e la bandiera, al Cavaliere lomanda ai pazzi. E allora niente: vincerebene, domenica, e mettendoci la faccia,per rintuzzare il sovranista. Così chi votaper il Cav. vota persino per protesta con-tro Giovanni Toti, che rompe le balle sullistone unico. E lo schema vale anche neiconfronti del Pd. Che ha sì un timonieresicuro, ma col casino che gli ribolle at-torno, e non sa con chi allearsi, c’è genteche per protesta ha sospeso (quantome-no) di votarlo.

L’ennesima esibizione del suo fregoli-smo ideologico, da Brachetti della politi-ca, diventa oggi la protesta contro gli sfa-scisti a oltranza. Lui che aveva chiestoresponsabilità persino al Parlamento chel’aveva sfanculato. Lui che il conflittod’interessi, ormai è chiaro a tutti, è unacosa che fa bene al paese, tiene Berlusco-ni attaccato all’Italia e alla stabilità digoverno, alle banche e ai parametri diMario Draghi. Per legittimo interesse, ov-vio, ma senza più nessun conflitto. Persi-no al cardinale Becciu si riavvicina, macauto, “da liberale e da cristiano”. E peròbacchetta anche gli sfascisti dello ius solisgangherato: “E’ giusto integrare chi sisente davvero italiano: chi ama l’Italia, ilnostro modo di vivere”. Così che chi pro-testa contro il multiculty imposto per leg-ge, invece di votare gli energumeni diCasaMeloni può tranquillamente votarela protesta in doppiopetto del Cavaliere.

Chi vuole protestare contro lo sfasciu-me stavolta voterà centrodestra. Anziproprio Forza Italia. Dopo aver votatoForza Italia perché “è il paese che amo”.Dopo aver votato Forza Italia per manda-re a casa l’Ulivo e D’Alema. Dopo avervotato Forza Italia perché boia chi molla,e giù le mani dal Cavaliere quantunquein mutande. Adesso ecco che può capita-re di votare Forza Italia per protesta con-tro gli anti italiani. E, guardando bene.anche per dare una mano a Matteo Renzi.Che se vince il Cav., vedrai che avrà menoda correre dietro a Pisapia, “che pure sela tira”, come dice Verdini, un protesta-tario di complemento, chiamiamolo così.

Maurizio Crippa

L’America latina è diventataun’area strategica per le

compagnie petrolifere cinesi

Alta Società

Nell’estate che sta per arrivare man-cherà, un po’ a tutti nell’Egeo, l’armato -re Aleko Goulandris. Meravigliosi idrink e le donne sul suo panfilo. Taki loha ricordato con grande classe nella ru-brica “High Life”, imperdibile, co-me sempre, sullo Spectator.

Il Cav. della protesta

Perché Trump ora innalza Tillerson e deprime il Consiglio per la sicurezza

IL RIEMPITIVOdi Pietrangelo Buttafuoco

Giulio e Francesca Maria Oc-chionero – fratello e sorella – dal 10gennaio scorso sono in carcere. I dueOcchionero, il cui cognome è un indizio,secondo gli inquirenti, sarebbero statinella possibilità di entrare nella postaelettronica di 18.000 contatti, tra i quali– brrr! – Matteo Renzi, Mario Monti eMario Draghi, il presidente della Bce.Fratello e sorella, dunque – rispettiva -mente di 45 e 49 anni – secondo l’accusaerano al vertice di una centrale dicyberspionaggio in grado di gestire u-n’enormità di informazioni sensibiliconcernenti amministrazioni, studiprofessionali e sedi della finanza inter-nazionale. I due accusati chiamano a-desso, nella lista dei testimoni, RobertaPinotti e Marco Minniti per riferire del-le “relazioni diplomatiche dell’indagi -ne”. Pericolosissimi, dunque, Giulio eFrancesca – sempre secondo l’accusa –gestivano una rete di computer infet-tanti con un malware chiamato Eye-pyramid, e cioè una cosa il cui nomemette insieme – ancora un indizio, anzidue – “l’Occhio” e la “Piramide” (brrr,la massoneria!). Due indizi, anzi tre,fanno una prova. Di sceneggiatura.

Per capire la morte di Warmbier basta ricordare che la Corea è un regimeIl compagno di viaggio di Otto Warmbier,

Danny Gratton, intervistato per la prima voltada Josh Rogin del Washington Post una setti-mana fa, ha detto: “Otto era un ragazzo fanta-stico che è caduto in una situazione orrenda,che nessuno poteva mai immaginare. E’ qual -cosa che noi in occidente non possiamo capire,non possiamo cogliere quanta malvagità puòesserci dietro quella dittatura”. “La Corea delnord viene spesso definita un failed state”, di-ce al Foglio Gianluca Spezza, PhD candidatealla UClan University e studioso di questioninordcoreane, “è una definizione che si fa susolide basi: l’economia è appassita lentamen-te a partire dagli anni 70, ed è moribonda dapiù di 25. Il sistema sociale che legava la strut-tura economica a quella politica è crollato acausa delle inefficienze della prima e del pesodella seconda. Una volta, per i canoni di svi-luppo delle economie pianificate, Pyongyangpoteva vantare una rete di scuole, ospedali, eservizi efficienti. Non è più così da tempo. Poic’è la questione dei diritti umani: l’insieme dileggi nordcoreane sono scritte sulla base di unpaese che è passato da vassallo dell’impero ci-nese a colonia dell’impero giapponese a ditta-tura nazional-socialista. Non ha mai conosciu-to un processo di democratizzazione. Le nozio-ni di diritti e libertà individuali non esistono,esistono solo i doveri collettivi”.

Il caso di Otto Warmbier è un punto di nonritorno nei rapporti tra l’America e la Coreadel nord. Anzitutto perché il giovane studenteè il primo a morire dopo una lunga detenzio-ne, durata diciotto mesi, in Corea del nord.Pyongyang con i detenuti americani segue dadecenni la stessa strategia: sono ostaggi, più

che detenuti, e dunque nessuno ha interesse afargli del male. La trattativa sul rilascio deicittadini stranieri è fondamentale per riceve-re aiuti internazionali, occhi chiusi sui trafficipoco legali e sull’elusione delle sanzioni eco-nomiche.

Warmbier è stato arrestato all’aeroporto diPyongyang, il 2 gennaio del 2016, accusato di attiostili contro il regime. Secondo il regime, la not-te di Capodanno, mentre era nel suo hotel – loYanggakdo International Hotel, quello costrui-to su un’isola sul fiume Taedong, proprio comefanno i regimi per ospitare e tenere sotto con-trollo le delegazioni straniere – Otto avrebbetentato di rubare un poster di propaganda. Loavrebbe fatto introducendosi illegalmente nelquinto piano dell’hotel, quello riservato ai di-pendenti e quindi tappezzato di messaggi con-tro gli stranieri, contro l’America, sul Caro Lea-der. Danny Gratton, il compagno di stanza, haraccontato per la prima volta al Washington Po-st che al momento di ripartire, il 2 gennaio, dueguardie nordcoreane sono arrivate, e senza di-re una parola lo hanno portato via per dei con-trolli. Una volta arrivati che il gruppo (senza Ot-to) è atterrato a Pechino, Warmbier avrebbe ri-sposto al telefono a una delle guide, avrebbedetto di avere uno strano mal di testa e di averpreferito un controllo in ospedale al viaggio fi-no in Cina. In realtà era già nelle mani delle au-torità nordcoreane ma nessuno, in America, hamai fatto qualche domanda a Gratton, unico te-stimone di questa strana vicenda.

Due mesi dopo la televisione di stato nor-dcoreana ha mandato in onda una specie di“confessione” di Warmbier, che tra le lacri-me ammetteva di aver compiuto “l’atto osti-le” di furto di un poster: fino ad allora nessu-

na comunicazione sul suo status era stata dif-fusa. Il 16 marzo 2016 in uno strano processosenza appello e senza difesa – come si usa neiregimi, appunto – Warmbier è stato condan-nato a quindici anni di lavori forzati. E’ quiche inizia il passaggio da crisi diplomatica acrisi politica perché l’Amministrazione diObama decide di iniziare i colloqui segretiper il rilascio dell’ostaggio americano, ma do-manda ai genitori Warmbier, Fred e Cindy, ditenere un profilo basso finché il figlio non sa-rà tornato a casa. Nel frattempo, di mezzo, c’èperò una campagna elettorale. E poi ci sonole elezioni, e la vittoria di Donald Trump, ov-vero la fine della “pazienza strategica” neiconfronti della Corea del nord. Inizia cosìuna nuova fase di colloqui, ma in tutto questonon è possibile chiarire quando, effettiva-mente, le autorità americane e il negoziatoreper la Corea del nord del dipartimento di sta-to, l’ambasciatore Joseph Yun, hanno saputoche Otto Warmbier era in coma, incapace dirispondere agli stimoli esterni.

Quando è tornato in America, il 13 giugnoscorso, i medici dell’ospedale di Cincinnatihanno diffuso un comunicato nel quale hannospiegato che Otto non è stato picchiato. Sareb-be in stato di coma da oltre un anno, dopo i dan-ni cerebrali causati da un arresto cardiacoprolungato. La Corea del nord, nel rilascio per“motivi umanitari”, avrebbe parlato di botuli-nismo unito all’assunzione di un sonnifero:un’altra versione che non torna, in questa fac-cenda. E’ possibile che il regime abbia tentatodi sedare Otto, e che qualcosa poi sia andatostorto. Ma perché rimpatriarlo soltanto ades-so? E tecnicamente, anche se Warmbier non èmorto su suolo nordcoreano, chi l’ha ucciso? Il

senatore repubblicano John McCain ha dettoieri quello che in molti scrivevano su Twitter:“Il regime di Kim Jong-un ha ucciso un giovaneamericano. E ci sono ancora tre cittadini dete-nuti. L’America non può tollerare che un citta-dino venga ucciso da forze ostili”. A differenzadi McCaine, ieri la Casa Bianca ha diffuso uncomunicato piuttosto calmo, esprimendo lecondoglianze alla famiglia e parlando della“brutalità” del regime di cui Otto “è solo l’ulti -ma vittima”. L’ambasciatrice americana alleNazioni unite, Nikki Haley, ha dichiarato con-testualmente che da decenni conosciamo la di-sumanità del regime, ma che il singolo caso diOtto ha “toccato i cuori americani”. Il fatto èche a forza di trattare la Corea del nord comeuna macchietta, ci dimentichiamo di cosa siacapace il regime di Kim Jong-un. “Pyongyang èuno stato in guerra, contro l’America e controla Corea del sud”, dice Spezza, “Il problema stanel fatto che i media, e una parte dei commen-tatori da decenni dipingono il paese e la fami-glia Kim che lo guida, assieme ad una semprecrescente élite politica e militare, con toni ca-ricaturali. E’ iniziato tutto con la successioneda Kim Il-sung a Kim Jong-il e poi a Kim Jong-un. E’ paradossale: la Corea del nord viene al-ternativamente descritta come ‘l’inferno sullaterra’ e poi il suo leader viene ritratto come unbambino capriccioso che indossa il pannolonee agita un missile nucleare. Questo non succe-de con nessun altro regime al mondo. E forse èora che si inizi a prenderla sul serio, e il primopasso da fare sarebbe di smetterla col gossip, estudiare di più un paese che ha resistito a care-stie, guerre, e ha sviluppato un arsenale atomi-co” sotto al naso dell’America.

Giulia Pompili

Altro monumento a Raggi sotto inchiesta e ai garantisti improvvisatiAl direttore - Raggi: “Un anno è troppo

poco”. Noi comunque sempre garantisti.Giuseppe De Filippi

Abbiamo scritto ieri che a VirginiaRaggi andrebbe dedicato un monumentoperché sta mostrando cosa significa es-sere governati da Beppe Grillo. Ma aVirginia Raggi andrebbe fatto anche unaltro monumento perché grazie alla suavicenda giudiziaria – ieri è stato notifi-cato al sindaco di Roma un atto che pre-lude alla richiesta di rinvio a giudizio, eRaggi è indagata al momento per abusod’ufficio e falso, reati per i quali un tem-po il vice clown Luigi Di Maio chiedevaad alcuni ministri di dimettersi sedutastante – siamo consapevoli di vivere inuna repubblica giudiziaria dove i signo-ri delle manette diventano garantisti so-lo quando a essere sotto accusa sono gliamici degli amici. Noi siamo sempre ga-rantisti e lo saremo anche con VirginiaRaggi (e non c’è bisogno di un processoper dimostrare la non capacità del sin-daco di Roma a essere sindaco di Roma,basta farsi due passi a Roma in qualsiasimomento della giornata e dell’anno). Mavedere i cialtroni del giustizialismopronti a spiegarci che un indagato è in-nocente fino a condanna definitiva saràcome sedersi al circo e vedere sfilaredei pagliacci bolliti che più che far sor-ridere gli spettatori fanno semplicemen-te tenerezza.

Al direttore - L’Oms che loda il decretoLorenzin sui vaccini perché preoccupatadall’epidemia di morbillo in Italia è per casola stessa Oms che ha conteggiato nel 2015

130 mila morti di morbillo su 180 mila am-malati di morbillo, per un tasso di mortalitàdi 70 morti su 100 ammalati che nemmenola peste nera di metà 1300?

Roberto Volpi

Al direttore - Quando la settimana scorsal’Istat ha confermato che in Italia continua-no a nascere sempre meno figli, è passatapraticamente inosservata (e forse non è uncaso) quella che invece è la vera notizia. Ilfatto cioè che: a) solo il 21 per cento delledonne intervistate ha detto è un problema disoldi (con buona pace di certa narrativa,anche ecclesiale); b) la ragione principale percui oggi le culle sono sempre più vuote èsemplicemente perché i figli non si vogliono,preferendo a loro se stessi, la propria carrie-ra, il proprio benessere. E’ la cosiddetta “cul -tura del free child”, come l’ha definita il pre-sidente dell’Istat, che sta prendendo piedeanche in Italia. Vogliamo provare a tradurredall’inglese con una parolina politically(un)correct? Eccola: egoismo. E’ per egoi-smo, perché prima vengo io e poi, forse, tuttoil resto, che non si fanno più figli (stessalogica di quell’altra “conquista di civiltà”che è l’aborto, con l’aggravante che in questo

caso per tutelare il proprio diritto si soppri-me un essere umano non ipotetico né poten-ziale ma reale, fottendosene altamente delsuo, di diritto, a vivere). E se poi di fronte acotanto sfacelo morale, ti tocca pure di legge-re le dichiarazioni di certi prelati dalle partidella Cei, che anche di recente (Corriere dellaSera di domenica) sono arrivati a dire chesiccome si fanno sempre meno figli, l’appro -vazione della legge sullo ius soli sarebbe “an -che una risposta al problema della denatali-tà” (ma ri-evangelizzare la società affinchégli uomini e le donne del nostro tempo possa-no incontrare Cristo che, solo, può cambiareil cuore delle persone, no? O dobbiamo sem-plicemente prendere atto, e cercare di risol-vere il problema in modo pragmatico chemagari non sarà l’optimum come vuole no-stro Signore ma sempre meglio di niente?); epoi magari scopri pure che tra i nuovi mem-bri della Pontificia accademia per la vita(read my lips: Pontificia-Accademia-per-la-Vita) figura anche il teologo anglicano (dun-que credente, I suppose) Nigel Biggar, unoche solo qualche anno fa, nel 2011, ha soste-nuto la liceità dell’aborto fino alla diciottesi-ma settimana, ecco forse ti convinci che sia-mo davvero arrivati al capolinea.

Luca Del Pozzo

Al direttore - Illustrissimo Presidente del-la Repubblica, Sergio Mattarella, Le scrivia-mo per chiedere un Suo intervento personaleper il piccolo Charlie Gard, un bambino in-glese di dieci mesi affetto da una rarissimamalattia genetica. I medici del Great Or-mond Street Hospital di Londra, autorizzatida tre sentenze delle Corti del Regno Unito,hanno deciso di staccare le macchine che lotengono in vita, contro la volontà dei genito-

ri. La terribile decisione è sospesa in attesadel prossimo pronunciamento della Corteeuropea dei diritti dell’uomo, che ha chiesto– in via cautelare – di mantenere il supportovitale fino alla mezzanotte del 19 giugno.Considerata la gravità della vicenda e il be-ne in gioco, alla luce dei principi di precau-zione, di libertà di scelta delle cure e dellaresponsabilità genitoriale, che dovrebberoispirare la decisione dei giudici e degli ordi-namenti, Le chiediamo di adoperarsi per tu-telare la vita di Charlie Gard e consentirglidi tentare un trattamento sperimentale ne-gli Stati Uniti, come chiedono i suoi genitori.Fidando nella Sua ben nota sensibilità, con-fidiamo che Lei voglia concedere la cittadi-nanza italiana al bimbo e ai suoi genitori,così che possano godere del diritto alla salu-te e alla libertà di cura assicurati ai cittadiniitaliani dall’art. 32 della nostra Costituzio-ne. E auspichiamo, in ogni caso, un Suointervento personale a sostegno delle ragionidel bimbo presso il governo britannico. Certidella Sua considerazione, con stima

Giovanni Gibelli (Milano), AssuntinaMorresi (Perugia), Eugenia Roccella (Ro-ma), Peppino Zola (Milano), Giuliana Rug-gieri (Siena), Eva Sala (Milano), CaterinaSocci (Siena), Egisto Mercati (Arezzo), Sa-bino Paciolla (Noicattaro BA), Ester Coro-na (Roma), Pietro Gargiulo (Napoli), Gian-carlo Guasco (Torino), Antonio Benvenuti(Torino), Maria Tecla Cataldi (Perugia),Raffaele Tiscar (Como), Mirko Ruffoni, an-che a nome dell’Unione giuristi cattolicidi Vicenza, Alfredo Cordoni (Peru-gia), Giuseppe Talamonti (Milano),Elena Fruganti (Perugia), Marco Pa-glialunga (Siena). Seguono circa2.000 firme.

(segue dalla prima pagina)

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ANNO XXII NUMERO 145 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDI 21 GIUGNO 2017

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ANNO XXII NUMERO 145 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 21 GIUGNO 2017

ANTIDOTI E PROPOSTE CONTRO L’INCConcorrenza, nanismo industriale da combattere, Euro e assetti dei partiti. ChiacChe cos’è l’Italia a due velocità? Venerdì 16

giugno, a Milano, al Teatro Franco Parenti, ilFoglio ha organizzato un dibattito per metterefuoco le principali debolezze del sistema eco-nomico italiano e provare a capire su qualitemi dovrebbe scommettere la politica peromogeneizzare l’Italia che riesce a essere pro-duttiva e l’Italia che invece non riesce a esser-lo. Il direttore del Foglio Claudio Cerasa ne hadiscusso con il governatore della LombardiaRoberto Maroni (Lega Nord), con il governato-re della Liguria Giovanni Toti (Forza Italia),con il ministro (Pd) dei Trasporti GrazianoDelrio che poco prima di arrivare al nostrodibattito è rimasto per alcune ore ostaggio delsolito sciopero dei trasporti del venerdì) e conil professor Francesco Giavazzi.

Cerasa: “Professor Giavazzi, cominciamosubito con la domanda più importante: mache cos’è l’Italia a due velocità? E soprat-tutto, oggi, possiamo dire ancora che permisurare le due velocità dell’Italia è suffi-ciente osservare le diverse prestazionieconomiche che esistono tra nord e sud?”.

Giavazzi: “Dal punto di vista economicole cose vanno bene, bisogna essere fiducio-si. Confrontando Francia, Germania e Ita-lia bisogna essere persino ottimisti, ancherispetto al futuro. Il problema che ha l’Ita -lia è la produttività, e non sto parlando so-lo della produttività del lavoro ma dellaproduttività totale dei fattori. Il concetto ècomplicato ma possiamo provare a riassu-merlo così: se tu hai un capannone con del-le macchine e dei lavoratori il punto non èquanto li fai lavorare in termini di tempo,ma quanto efficientemente li fai lavorare.Puoi avere tanti lavoratori e tante macchi-ne, come l’Unione Sovietica degli anniTrenta, ma se sei poco efficiente producipoco e produci male. La produttività totaledei fattori in Italia è caduta dal 2001 fino ainostri giorni, ed è stata negativa per lungotempo: quando si guarda all’Italia e si pen-sa al disastro della sua economia si guardasoprattutto a questo. Fortunatamente, pe-rò, dall’ultima parte del 2016 in poi la som-ma è tornata positiva, segno che le cosestanno migliorando. E allora perché pos-siamo dire che in Italia esistono due velo-cità? Il problema non sta, come accennavaCerasa, nella differenza tra nord e sud. Ilproblema riguarda una differenza tra set-tori. La differenza si trova tra i settoriesposti alla concorrenza internazionale,che vanno benissimo (come Luxottica, chenon ha nessun problema di competitività ecosto del lavoro), e gli altri settori che inve-ce vanno male, sono poco produttivi per-ché non hanno concorrenza. In un paesenormale scomparirebbero, accompagnatenaturalmente da tutti gli ammortizzatoridel caso, e lascerebbero spazio nel merca-to ad imprese più efficienti e che invece inquesto paese non chiudono, e che sono an-cora lì e avendo produttività basse o addi-rittura negative abbassano la media dellaproduttività. Quali sono questi settori? Illivello della produttività della manifattura– non il tasso di crescita, il livello dellaproduttività – è sulla media europea, quin-di vuol dire che il settore è efficiente. Seinvece guardiamo i dati dei servizi profes-sionali (per esempio notai e commerciali-sti) ci accorgiamo che sono negativi. Questoperché, principalmente, non hanno con-correnza internazionale: se ho bisogno diun notaio non posso andare a rivolgermiall’estero, devo andare in uno studio di Mi-lano, deve essere registrato qui. Uno dirà:ma i notati non sono così importanti, no?Se si guarda all’unità di esportazione ci siaccorgerà che questo unità, di beni espor-tati, contiene il trenta per cento dei serviziprofessionali, quindi questi servizi chehanno una scarsa produttività hanno un’ef -fetto anche sulle esportazioni. E poi c’è unsettore importante, come quello della ICT,che in Italia ha una produttività disastrosama su questo tema bisognerebbe aprire unaltro panel… Andiamo avanti con il nostroragionamento. Perché alcuni settori sonoproduttivi e altri no? Prima cosa: alcunisono protetti e altri no, dunque facendo unpo’ più di concorrenza è evidente che chinon riesce a essere produttivo uscirà inevi-tabilmente dal mercato. L’altra cosa inve-ce più difficile da mettere a fuoco e la par-tita tra imprese piccole e imprese grandi.Se osserviamo i dati sulla produttività sullavoro per dimensione di imprese in giroper l’Europa, prendendo come settorecampione quello del manifatturiero, ve-drete che nelle imprese grandi, tra 10 e 250addetti, l’Italia ha una produttività non di-versa dagli altri grandi paesi d’Europa. Do-v’è che abbiamo una produttività bassa?Abbiamo una produttività bassa nelle im-prese piccole, da zero a nove dipendenti, ein quelle molto grandi, sempre nel settoremanifatturiero, Mentre abbiamo una pro-duttività alta nelle grandi imprese del set-tore servizi – persino più che in Germania –e una produttività bassa delle piccole im-prese sempre nel settore dei servizi. Que-sto è un problema perché in Italia abbiamouna quantità enorme di imprese piccole, ildoppio rispetto alla Francia e tre volte ri-spetto alla Germania. Dunque, primo pro-blema: concorrenza che toglie di mezzo chiè poco produttivo. Secondo problema, farcrescere queste imprese. Ci hanno provatotutti a farlo ma non è una questione di mi-nistri che si occupano di Sviluppo. E’ piut -tosto una questione di cultura: molti nostri

imprenditori pur di non assumere un ma-nager esterno preferiscono dare l’aziendaal figlio e spesso così rinunciano a far cre-scere l’azienda e a farla diventare piùgrande. Però senza un manager esternopuò capitare che un’azienda non cresca eanche che il manager scelto in quanto fi-glio non sia un bravo manager come il pa-dre. Andiamo avanti, con un’altra buonanotizia, per compensare i trentacinquegradi del venerdì sera. Una notizia che mo-stra come nonostante tutto in Italia unaparte produttiva c’è. Prendete la nostra bi-lancia commerciale. La differenza traesportazioni e importazioni in percentualedel pil. Noi abbiamo una bilancia commer-ciale positiva. Cioè pur non producendouna goccia di petrolio, salve in qualche ca-so isolato, o un metrocubo di gas, quindiimportando di fatto quasi tutta l’energiache utilizziamo, esportiamo abbastanzanon solo per pagare tutta l’energia che im-portiamo ma abbiamo anche un avanzocommerciale che viaggia intorno ai 50 mi-liardi. Come è evidente, non si può direche, con questo avanzo, le nostre impresenon siano competitive. Il discorso è diver-

so: c’è una grande competitività di alcuneimprese che viene compensata da unascarsa competitività delle imprese piccolee di quelle protette. Uno potrebbe dire,obiezione che si fa sempre: ah, ma noi sia-mo in avanzo commerciale perché siamo inrecessione, non importiamo più niente,quindi è ovvio che abbiamo un avanzo per-ché esporti e non importi più nulla. Non èvero. E per capirlo basta guardare allequote di mercato di imprese italiane notia-mo che la nostra curva è scesa dal 4 percento del 2000 al 3 per cento di oggi. Peròdopo una prima fase in cui abbiamo persoposizioni, ci siamo ripresi e adesso stiamoriguadagnando quote come tutti i paesi eu-

ropei. Per cui non è corretto sostenere chesiamo in crisi per cui non importiamo. E’corretto sostenere che sono le imprese adaver guadagnato progressivamente quotedi mercato. Il punto vero da chiarire è: chiè che esporta? Se guardiamo la quota diesportazione per fatturato diviso per classidi imprese si capisce che più piccolo sei emeno esporti, che meno sei esposto allaconcorrenza e meno capacità di crescerehai. E questo è certo. Quindi, in conclusio-ne, un paese che ha imprese troppo piccolee imprese troppo protette cosa gli potreb-be accadere qualora si trasformasse in unpaese normale? L’Ocse ha fatto uno studioin cui spiega cosa potrebbe accadere senoi aggiustassimo lo skill missmatch, cioèse noi intervenissimo sulle capacità deinostri lavoratori rispetto ai mestieri chefanno. L’Ocse ha fatto questo esercizio e loha fatto su tutti i paesi più importanti delmondo. Tutti i paesi ci guadagnerebberoma i dati dell’Ocse dicono che sarebbe l’I-talia il paese a guadagnarci di più facendoaumentare la produttività di almeno diecipunti. Questo ci dice qual è l’enorme po-tenzialità se l’Italia facesse delle cose ra-gionevoli. Concludo: quando si dice chequesto paese non è competitivo – per esem-pio mi dicono che la signora Merkel abbiasul tavolo sempre con un grafico che mo-stra il rapporto tra la competitività tedescae quella italiana dove si vede che da quan-do siamo entrati nell’euro abbiamo persocirca 30-40 punti – bisogna stare attenti aquello che si dice per risolvere il proble-ma. Se si dicesse di risolvere il problemacomprimendo i salari di 30-40 punti per re-cuperare questa produttività perduta sa-rebbe una follia. Se invece si capisce che èsufficiente intervenire sulla produttività osull’istruzione professionale mirata si riu-sciranno a salvare i salari e a far crescerele imprese e dunque l’Italia.

Cerasa: “Governatore Maroni, si parlaspesso in politica di omogeneizzare la leg-ge elettorale e ci si dimentica che invece lavera omogeneizzazione andrebbe fatta ètra queste due Italia che viaggiano a velo-cità diverse. Se lei fosse presidente delconsiglio cosa farebbe?”.

Maroni: “Presidente del Consiglio, percarità. Io credo che per omogeneizzare le

due Italie andrebbe fatta una cosa moltosemplice: introdurre il principio del meri-to e della responsabilità di chi governa laspesa pubblica. Non si spende troppo inItalia, si spende male. La spesa pubblicache vuol dire salute, investimenti per leimprese, per l’istruzione, è mal distribuitae ci sono degli sprechi enormi. La Con-fcommercio ha fatto un esame di tutti i bi-lanci di tutte le regioni nei settori di lorocompetenza come la sanità. Da questa ana-lisi emerge che se tutte le regioni italianespendessero come la Lombardia per farele stesse cose lo Stato risparmierebbe 23miliardi di euro all’anno. Quanto una ma-novra. Solo per fare le cose nel modo in cuile fa la Lombardia. Perché non succede?L’anno scorso il governo ha fatto una leggeper ridurre l’indebitamento delle regioni eha imposto il divieto di fare investimenti;non spesa corrente, ma investimenti a de-bito oltre lo stock di debito che le regionihanno. Risultato: la regione Lombardia es-sendo una regione virtuosa ha uno stock didebito di un miliardo e mezzo e la Campa-nia 23 miliardi, eppure la Lombardia è pe-nalizzata come la Campania. Quindi io so-no penalizzato perché le banche il creditoalla Lombardia lo farebbero! La Lombar-dia ha un rating superiore a quello delloStato, e allora perché io non posso fare in-vestimenti cioè infrastrutture, ospedali,banda ultra larga? Io credo che la sfida ve-ra sia questa: liberare energie e risorse,penalizzando chi governa male e favoren-do chi governa bene e spende bene. Sul-l’essere virtuosi potrei citare molti casi. Nebasta citarne uno solo. Il residuo fiscale,cioè la differenza tra quanto i cittadini diuna regione pagano di tasse e quanto rice-vono complessivamente dallo stato. LaLombardia ha una differenza di 54 miliar-di, ma se io avessi lo statuto della Sicilia,regione a statuto speciale, avrei invece chedei 23 miliardi nel mio bilancio, tutti i 54miliardi. E allora saprei io come aiutare leimprese a crescere: potremmo essere com-petitivi, fare come la Svizzera e dare esen-zioni fiscali a chi investe o a chi assume igiovani. E invece, dove vanno a finire que-sti soldi? A coprire gli sprechi delle regio-ni meno virtuose. Due anni e mezzo fa hoincontrato il presidente Renzi a New York

e gli ho detto: ‘Perché non fai i costi stan-dard? Se li fai ti voto!’. Lui ha detto che liavrebbe fatti ma poi purtroppo non li hafatti perché questo lo avrebbe costretto amettere di fronte alle loro responsabilitàle regioni che producono buchi. Dissentoun po’ invece dalle valutazioni fatte da Gia-vazzi sulle piccole imprese. A mio avvisonon c’è bisogno per forza di farle crescere.In Lombardia ci sono 800.000 imprese e lamaggior parte di queste sono piccolissimee a conduzione familiare. Chiedere a que-ste imprese di mettersi assieme ad altre èuna cosa innaturale. Anche volendo non sipuò. Io credo che il modo migliore sia quel-lo di aiutarle favorendo gli investimenti inricerca, perché così sarebbero ancora piùcompetitive anche rimanendo piccole.Perché? Perché investirebbero sull’inno -vazione. Ogni giorno il piccolo imprendito-re si alza e dice: cosa devo inventare oggiper essere competitivo? Aiutarle riducen-do burocrazia e la pressione fiscale credosia la cosa più importante da fare”.

Cerasa: “Approfitterei del ministro Del-rio per chiedergli qualcosa sulla giornatadi oggi, che fotografa abbastanza bene l’I-

talia a due velocità. Le manifestazioni sonostate fatte contro le privatizzazioni, anzicontro l’idea che si potessero fare delleprivatizzazioni. Sembra quasi che sia unosciopero contro la possibilità e la necessitàdi applicare un regime di efficienza laddo-ve l’efficienza non c’è. Io le chiederei in-tanto una sua valutazione anche culturalee politica sulla giornata di oggi, visto che losciopero è stato fatto anche all’interno diun’azienda in difficoltà come Alitalia. E’possibile dire, ministro, che negli ultimianni sono stati i sindacati a rallentare un’I-talia che forse poteva andare più veloce dicome sta andando?”.

Delrio: “La giornata di oggi ci dice una

cosa semplicissima e cioè che i diritti van-no sempre contemperati. Esiste un dirittoalla mobilità ed esiste un diritto allo scio-pero. Essendo entrambi molto delicati lamia idea è sempre stata fare una legge perregolamentarli meglio. Questo però va fat-to dal Parlamento, sono piuttosto prudentenel dire che il governo deve prendere l’ini -ziativa. I principi devono essere quelli cheabbiamo in tutti i paesi moderni, dove losciopero è proclamato in presenza di unarappresentatività reale dei lavoratori: bi-sogna che le sigle sindacali che indicono losciopero siano realmente rappresentativedei lavoratori. Il punto lo sintetizzerei così:bisogna trovare una regolamentazione allarappresentatività. Ho appena firmato unaccordo a Gioia Tauro per il rilancio delporto con l’adesione dell’80 per cento deilavoratori: i sindacati che hanno firmatohanno ricevuto minacce per aver firmatol’accordo perché questo prevede anche lapace sociale, visto che non c’è svilupposenza pace sociale. Questo è successo an-che perché un sindacato autonomo che

aveva detto che avrebbe firmato alla finenon lo ha fatto. Quando si mettono in pieditrattative il punto chiave deve essere che ilpaese non può essere ostaggio di minoran-ze. Come stabilisco che sono minoranze?Con delle regole chiare, semplici, europee.Questo è il primo messaggio che viene oggi.In questi due anni non abbiamo avuto daisindacati confederali una grandissimaostruzione, onestamente, l’abbiamo avutapiù dai sindacati autonomi, da rappresen-tanze molto frammentate che tutelavanoun interesse più della sigla che del lavora-tore. Certamente oggi l’Italia è stata conse-gnata al caos e al traffico; questo vale an-che per Alitalia ovviamente. Abbiamo di-scusso con Luigi Gubitosi, commissario diAlitalia, per capire come evitare questosciopero me non è stato possibile evitarlo el’Italia ne ha avuto un danno enorme in unmomento in cui sta riprendendo il fattura-to. Ripeto: i due diritti vanno tenuti insie-me, ma la mobilità è un diritto troppo pocoragionato nel nostro paese pur essendo es-senziale: basta girare oggi per Milano o Ro-ma per capirlo”.

Cerasa: “Come immagina da qui ai pros-simi mesi il destino di Alitalia? Possiamodire che in questo momento è esclusa ogniipotesi di fallimento?”.

Delrio: “Credo che Alitalia non sia sul-l’orlo del fallimento. Non sono mai statoeccessivamente celebrativo quando i datimiglioravano, ma allo stesso tempo credodi poter dire che abbiamo un avanzo pri-mario da tantissimi anni e siamo un’econo -mia industriale solida. Poi bisognerebbechiedersi perché perdiamo i nostri cam-pioni industriali, cioè perché l’Italia nonha grandi imprese industriali private opubbliche come gli altri paesi. A propositodel divario delle due velocità tra nord esud. E’ vero, come diceva Maroni, che esi-ste il diritto all’autonomia ma anche quel-lo alla Repubblica, cioè fare in modo chel’autonomia non diventi frammentazione eche rimanga prevalente l’interesse nazio-nale. Avere a Milano un’azienda dei tra-sporti che nel 2015 ha investito milioni dirisorse proprie e assunto centinaia di per-sone e avere invece in un’altra città comeNapoli dove l’azienda è sull’orlo del falli-mento, non fa investimenti e non assume,non è sano per il paese. Ci sono oggettiva-mente divari, anche tra nord e sud, ma iosono piuttosto ottimista sul paese, perchécredo che abbiamo imboccato la stradagiusta. So che qualcuno dice che con le ri-forme non si mangia ma non è vero: se in-troduci i costi standard nella sanità e neltrasporto pubblico, e li stiamo lentamenteintroducendo; se introduci la spending re-view com’è stato fatto; se favorisci gli inve-stimenti e se consenti alle imprese di inve-stire come è stato fatto con gli iper ammor-tamenti – abbiamo dati impressionati suidati relativi alle imprese che hanno fattoinvestimenti su se stesse – non possiamonon renderci conto che le nostre potenzia-lità sono molto ampie. Dobbiamo fare lecose con disciplina ma senza pensare chetutto dipenda dalla politica: se io aspettol’allacciamento del gas 10 giorni e poi nonfunziona il gas, questo dipende dall’azien -da che non lavora bene e non dalla politi-ca. Se ognuno fa il suo mestiere le cose fun-zionano, non dipende tutto dalle leggi.Questa è una cosa che io e Maroni, che sia-mo realmente autonomisti, sappiamo: i ter-ritori hanno una responsabilità e una ca-pacità enorme di promuovere e muovere ilpaese anche senza che la politica pervadaogni settore. L’impresa in Emilia e in Lom-bardia non è nata grazie alle politiche sta-tali ma grazie allo spirito d’iniziativa degliimprenditori. Questo sta cominciando a ve-nire fuori anche nel mezzogiorno che haavuto una crescita superiore al nord nel2015 dando un segnale positivo: anche qui igiovani iniziano a pensare a come tirar fuo-ri il loro talento senza aspettare il postopubblico. Il paese ha una sua solidità purcon la sua debolezza data dal debito pub-blico”.

Cerasa: “Governatore Toti, anche alla lu-ce del ragionamento del ministro Delrio,quali sono i tabù culturali ed economiciche a suo giudizio non vengono affrontatifino in fondo per riavvicinare le Italie adue velocità?”.

Toti: “Io ascoltavo Giavazzi e notavo una

Giavazzi: “Le due velocità nonsono tra nord e sud ma tra settoriesposti alla concorrenza e altri chefuggono dalla globalizzazione”

Toti: “Sono le imprese a costruirelo sviluppo e noi dobbiamo creare lecondizioni affinché questo avvengasia in Italia sia in Europa”

Maroni: “La priorità è introdurreil tema della responsabilità in chigoverna la spesa. Non si spendetroppo, si spende male”

Delrio: “Lo sciopero ci dice che ilpunto chiave per tutti deve essereunimpegno contro le minoranze chetengono in ostaggio l’Italia”

Da sinistra a destra: il ministro delle Infrastrutture Delrio, il professor Giavazzi, il direttore Claudio Cerasa, il governatore della Lombardia Roberto Maroni, il governatore della Liguria Giovanni Toti

Gutgeld vuol fare da personal trainer e dietologo alla bulimica Miss Spending reviewRoma. “Quando una persona si vuole

mettere in forma, mangia meno ma anchecambia lo stile di vita. Se uno fa solo la die-ta e non cambia stile, i chili che perde poiritornano”, ha detto il commissario per laSpending review, Yoram Gutgeld, in aper-tura della prima relazione sulla revisionedella spesa. Per valutare quindi i risultatidella Spending review bisogna tenere con-to dell’effetto di due processi, la riduzionedella spesa e il cambiamento dello stile dispesa. L’attività di razionalizzazione dellaspesa serve a creare spazi di bilancio perraggiungere tre obiettivi: riduzione del de-ficit e del debito, riduzione delle tasse, ri-qualificazione della spesa inefficiente.

Partendo dalla dieta, il rapporto del go-verno indica in circa 30 miliardi di euro(29,9 per la precisione) le “calorie” ridotteo eliminate nel bilancio dello stato. Lamassa corporea del bilancio dello stato sucui intervenire è di 830 miliardi, da cuivanno sottratti 66 miliardi di spesa per in-teressi, 57 miliardi di spesa per investi-menti, 40 miliardi di spese non aggredibilie 337 miliardi di spesa sociale (quasi esclu-sivamente pensioni) che l’esecutivo ritiene“carne viva”. La massa grassa aggredibileè quindi tutta in 327 miliardi di spesa cor-rente, composta all’incirca per metà da co-sto del personale e per l’altra metà da ac-

quisti di beni e servizi. Il governo ha con-centrato il suo lavoro sul 75 per cento diquesta fetta di spesa corrente e in partico-lare in tre aree: sanità, comuni e province,sicurezza, lasciando fuori istruzione e dife-sa. Da qui, nel corso degli anni, sono statiprogressivamente recuperati fino a 30 mi-liardi l’anno. In che modo? Essenzialmen-te da un lato con il contenimento del costodel personale – blocco del turnover (trannenella scuola) e blocco degli aumenti sala-riali – dall’altro con la centralizzazione el’aggregazione degli acquisti di beni e ser-vizi.

Questi interventi, che il governo quanti-fica in 30 miliardi, hanno permesso di te-nere sotto controllo la spesa pubblica piùdi quasi tutti gli altri paesi europei, cheper loro fortuna e virtù non avevano glistessi problemi di crescita e debito dell’I-talia. Da questo punto di vista ha ragione ilministro dell’Economia, Pier Carlo Pa-doan, a dire che sono eccessive le critichedi chi dice che la Spending review non èmai stata fatta o è stata fatta male. Sonoperò altrettanto eccessivi i successi riven-dicati dal governo, soprattutto rispetto aidue criteri indicati dal commissario allaSpending review, perché la dieta non c’èstata e gli stili di vita sono rimasti gli stessi.Innanzitutto la cifra da 30 miliardi è leg-

germente gonfiata da riclassificazioni dispesa: alcune voci sono state modificate ori-denominate, pertanto a livello contabilea un loro taglio corrisponde un aumento dispesa di pari importo. Ma più in generalequasi tutto l’ammontare della Spending re-view è stato dirottato in altre voci di spesa:12,7 miliardi sono stati spesi per le presta-zioni previdenziali e assistenziali, 3,7 mi-liardi per spesa sanitaria, 3,4 miliardi per imigranti, 3 miliardi per la scuola e 1 mi-liardo per la sicurezza. Sono circa 24 mi-liardi sui 30 totali. In pratica più che di unadieta si tratta di una variazione del menù:si tagliano alcune spese e se ne aumentanoaltre, ritenute più produttive. Ma è semprecosì? In realtà in molti casi lo stato non hascelto un’alimentazione più salutare, con-tinuando a preferire il “junk food”: spesache non fa bene alla salute ma che soddisfai desideri elettorali. Basti pensare al bo-nus da 500 euro per i 18enni oppure alleinfornate di precari nella scuola, che nonrispondono certamente ai criteri di effi-cienza. Questo accade perché non c’è unvaglio di qualità sulle nuove iniziative dispesa: nessuno verifica se sono più effi-cienti delle precedenti o di un taglio delletasse di pari importo. Servirebbe insommauna Spending review sulle risorse ricavatedalla Spending review, qualcosa che somi-

glia a un cambio di stile di vita.Un caso emblematico è l’aumento della

spesa previdenziale e assistenziale di 12,7miliardi, circa la metà di tutto il “tesoret -to” della revisione della spesa. In questomodo il governo ha spostato risorse da ca-pitoli di spesa “aggredibili” ad altri “nonaggredibili”, le pensioni, restringendo ul-teriormente i margini per il futuro su cuipoter individuare i risparmi. Ma anche ladefinizione di “spesa non aggredibile” ètutta politica, indica la presenza di un ele-vato costo politico che fa battezzare come“intoccabile” la più alta spesa previden-ziale d’Europa (16,5 per cento del pil).

Sarebbe ingeneroso dire che è stato fat-to poco, ma bisognerebbe fare molto di più.Se si vogliono tagliare le tasse, mettere aposto i conti e abbattere il debito pubblico,l’unica via è tagliare la spesa pubblica. Masu questa strada si procede lentamente, vi-sto che per il 2017 e 2018 lo sforzo incre-mentale del governo è di circa 2,5 miliardi.D’altronde, nel suo intervento di elogio al-la buona spesa pubblica, il presidente delConsiglio, Paolo Gentiloni, ha ribadito che“non c’è un’aspirazione ai tagli, ma un’a-spirazione all’efficienza”. Anche questavolta la dieta dello stato è rimandata a lu-nedì prossimo.

Luciano Capone

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ANNO XXII NUMERO 145 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 21 GIUGNO 2017

Lo scandalo dell’emergenza terremoto diventata cronica per sciatteria e burocrazia

CUBO DELL’ITALIA A DUE VELOCITA’cchierata con Delrio, Maroni, Giavazzi e Toti (che dicono sì al manifesto del Foglio)

struttura socioeconomica molto diversa trai paesi europei e pensavo all’inadeguatez -za di fronte a tutto ciò di una politica chetroppo spesso risulta flat, cioè piatta ri-spetto alle differenze che in Europa e inItalia invece esistono in termini di culturasocioeconomica. Questo è un grande temache va affrontato rispetto allo sviluppo: lapolitica, occorre sempre ricordarlo, noncrea ricchezza ma crea le condizioni affin-ché questa si sviluppi attraverso lo stru-mento legislativo, amministrativo, e attra-verso gli investimenti pubblici. Ho la sen-sazione che da un po’ di tempo il combina-to disposto di Europa, governo centrale egoverno regionale non riesca a rispondereall’abito su misura chiesto dalle realtà lo-cali sia in termini di coordinamento sia dimisure efficaci. Alcuni esempi, senza cita-re quanto ci mettiamo a completare le ope-re pubbliche nelle varie parti del paeseperché dipende da questioni di sistema:prendiamo le regole sul sistema bancariodate dall’Europa attraverso le regole diBasilea e confrontiamole con la struttura

d’impresa che abbiamo o col sistema ban-cario del paese su cui sono andate ad im-pattare. E’ evidente che se queste regolenon riescono a fare emergere uno sviluppoomogeneo e creano squilibri poi vengonomesse in discussione e così l’Europa. Ci so-no delle cose che sono di principio assaigiuste ma nella pratica stanno diventandoqualcosa di sbagliato, come la ripartizionedei fondi europei. Se noi non accompa-gniamo lo sviluppo nei territori che pren-dono più fondi europei perché immaginia-mo che automaticamente le imprese ini-zieranno ad investire, poi non possiamostupirci che questo nella realtà non avven-ga e che quindi parte dei fondi non vengaspeso. Non possiamo pretendere che le im-prese investano senza prospettive: nessu-no investe nel deserto del Sahara. Sonoconvinto che siano le imprese a costruirelo sviluppo e noi dobbiamo creare le con-dizioni affinché questo avvenga sia in Ita-lia sia in Europa. E’ sì necessario calmiera-re le differenze che ci sono ma anche con-siderare le specificità e le esigenze diversedei vari mondi produttivi rispetto all’am -ministrazione con cui si interfacciano. Inalcune parti del nostro paese abbiamo pro-vato a mitigarle, e noi in questo tavolo sia-mo tutti d’accordo su questo. Insieme Ligu-ria, Piemonte e Lombardia hanno utilizza-to alcune risorse comuni per valorizzare irispettivi territori. Faccio un esempio con-creto per seguire le esigenze delle impre-se: la nascita e la crescita degli interportisono state cose positive, che hanno contri-buito all’efficacia del ragionamento che ilgoverno sta seguendo sulla nuova via dellaseta. Abbiamo contribuito a creare unastruttura amministrativa che è inesistentenel nostro paese ma che secondo me è ne-cessaria: mi riferisco alle famose macrore-gioni, che credo siano le dimensioni idealiper fare dei ragionamenti concreti e col-mare i ritardi dell’amministrazione. Pren-diamo quello che c’è davvero sul territorioe usiamolo per tagliare un abito su misuraper le imprese sul territorio. Non credoche lo sviluppo si faccia sui piani quin-quennali: mi aspetto che il nord ovest cre-sca di più di alcune regioni del mezzogior-no ma dobbiamo porre le condizioni affin-ché anche il sud venga trainato nella trom-ba d’aria dello sviluppo. Bisogna farripartire le due locomotive del paese, cioènord ovest e nord est, e dietro queste crea-re il vuoto d’aria dove i più deboli possonoinfilarsi e trovare le condizioni per cresce-re”.

Cerasa: “Professor Giavazzi, mettiamoun po’ di pepe: cosa non la convince in que-ste risposte?”.

Giavazzi: “A me piace essere concretoquindi parto da alcuni spunti. Primo, il go-vernatore Maroni ha ragione ad arrabbiar-si perché il cosiddetto patto di stabilità in-terna non gli consente di indebitarsi, maquesto non dipende da un burocrate diBruxelles, dipende da noi! Quando il mini-stro Delrio è arrivato a palazzo Chigi, nel2014, il Parlamento aveva bocciato una leg-ge che trasferiva il debito del comune diRoma allo stato. E invece il governo dell’e-poca che cosa fece: fece subito un decretoper far sì che fosse lo stato a pagare i debitidel comune di Roma. Voi avete il miglioredei mondi possibili. Potevate dire: ma nonè colpa nostra, è il Parlamento che ha dettodi no, arrangiatevi, fallite. Negli Stati Uniticapita che le città falliscano. Detroit è fal-lita e ha dovuto vendere tutti i quadri delmuseo di Detroit. Se una città fallita va inbanca, la banca non dà più credito. Se unacittà fallita con dietro lo stato che la pro-tegge va in banca, il credito lo riceve lostesso ma poi il debito va allo stato. E’ chia -ro che così non funziona. Capitolo piccoleimprese: io sono d’accordo su un punto. Ilmodo in cui sopravviviamo alla globalizza-zione è difendendo l’identità. Se Trento di-venta come l’Oklahoma abbiamo perso tut-to. Però bisogna stare attenti. Se le impre-se piccole, per mantenere l’identità, nonaffidano il management a persone esterneperché l’imprenditore pensa che il figlio ola figlia sono bravi come lui, non potrannomai essere competitive. In Germania ci so-no altrettante imprese private, cioè nonquotate sul mercato, un numero non infe-riore all’Italia ma che hanno una grandedifferenza con noi: hanno manager esterni

che portano nuove competenze dall’ester -no. La differenza sta qui. Venendo allosciopero e alla rappresentanza- Io sull’ar -gomento ho fatto un dibattito con la signo-ra Camusso e ho l’impressione che la Cgilnon voglia la legge sulla rappresentanza.Quindi dobbiamo dire le cose come stanno.Sulle imprese pubbliche di servizi locali.C’è una cosa straordinaria per la quale tut-ti dovrebbero darsi da fare. C’è un referen-dum lanciato a Roma dai Radicali che diceuna cosa semplicissima. Se un ente pubbli-co, per esempio la città di Milano, appaltaun servizio pubblico, per esempio l’Atm,deve fare una gara, cosa prevista dalle re-gole europee. Adesso a quella gara posso-no partecipare tutti. Il referendum diceche non possono partecipare le imprese dicui l’ente appaltante ha una quota di pro-prietà maggiore di x. Cosa succederebbe?Supponiamo che l’Atm/comune di Milanoabbia più di quella quota. Cosa dovrebbefare per partecipare a quella gara? Sem-plice: scendere sotto la soglia vendendolaa qualcuno. Ora prendiamo un’altra cittàdove invece l’impresa che gestisce i servizipubblici è inefficiente: in questo caso diffi-

cilmente potrebbe partecipare perché lequote in eccedenza non le comprerebbenessuno. Bisogna quindi far sì che la garasi faccia lo stesso e che l’azienda ineffi-ciente senza appalto chiuda organizzandoun piano sociale che ammortizzi gli esube-ri. Il principio è difendere il lavoratorenon il posto di lavoro. Magari arriverebbe-ro i francesi a gestire gli autobus di Romache così potrebbero finalmente comincia-re a funzionare, e così via. Questa roba quiè una norma di una riga: facciamo passarequella norma e vedrete che può davverocambiare il mondo. Ci sono parti del paesedove i privati fanno funzionare le cose. Conquesta norma potrebbe accadere anche da

noi”.Cerasa: “Ministro Delrio, è sicuro che

per combattere l’Italia a due velocità, peril Pd, la formula giusta sia quella di ritor-nare ai fasti non proprio gloriosi dell’Ulivoe dell’Unione?”.

Delrio: “Io penso che valga la pena scom-mettere su grandi forze, ben radicate, ditradizione. E’ necessario non annacquarela propria proposta riformista, non essereambigui nel dire che quando le liberalizza-zioni sono al servizio dei cittadini e si di-fende il lavoratore c’è un passo in avanti.Prendiamo un esempio: il Jobs Act è statodiscusso molto e criticato molto alla nostrasinistra, ma chi l’ha criticato ha ignorato lagrandissima operazione di protezione so-ciale e estensione dei diritti che quasi tuttii commentatori neutri riconoscono cometale. Bisogna quindi avere la determina-zione di fare le cose che si ritengono giustee anche necessarie per i propri cittadini.Detto questo, rimane il fatto che difficil-mente esiste un’autosufficienza di un par-tito in Italia e non solo in Italia. Non biso-gna avere paura del dialogo con gli altri: seil Pd diventa perno aggregante di variesensibilità non perde la sua identità, laperderebbe secondo me di più con allean-ze post elettorali. Decidere prima cosa fareinsieme e decidere con chi farlo è meglioche deciderlo dopo: il Pd è a favore di unascelta moderatamente maggioritaria an-che per questo motivo. E’ giusto porre del-le soglie, è giusto discutere sul sistemaelettorale perché serve alla stabilità delpaese. Il centro sinistra governa in città co-me Milano con un’alleanza larga, ma que-sto non significa che non si riesca a farescelte che spostano in avanti l’asticella ri-formista. La nostra determinazione deverimanere l’essere il perno dell’alleanza eessere un partito robusto con una propostachiarissima che è basata come tutti i parti-ti socialdemocratici sulla parola lavoro: lacreazione di posti di lavoro. ‘L’Italia è unarepubblica fondata sul lavoro’ vuol direche è fondata sulla fatica, sul lavoro, per-ché solo lavorare ti consente di avere rela-zioni sociali e partecipare alla comunità.In questo c’è qualcosa di più del denaro.Per esempio la proposta del reddito di cit-tadinanza è lontana da noi mille miglia; ri-

spetto a quello che propongono i 5 stelleper noi c’è un problema anche culturale,filosofico, costituzionale che porta inun’altra direzione. Ma questo non significaavere la presunzione dell’autosufficienza.Le alleanze che abbiamo nei territori loca-li dimostra che si può fare bene insieme.Questo paese soffre di un anarco-indivi-dualismo che è peggio della frammentazio-ne delle sigle dell’Unione: non si discutemai dell’interesse nazionale. Siamo sicuriche non sia il caso di mettere all’ordine delgiorno questo tema? Un tema dove le forzepolitiche, pur nella loro individualità poiriconoscono l’interesse comune. Nelle cit-tà avviene più facilmente, ma il modellodeve essere replicato.

Maroni: “Posso farti una domanda?Quando si va a votare?”

Delrio: “Non sono un profeta, decide ilPresidente della Repubblica quando si vo-ta, mentre sono i partiti politici a deciderequando non c’è più la fiducia al governo.Queste sono le regole della Costituzione emi pare che siano chiare”.

Cerasa: “Qualche giorno fa il Foglio haproposto un suo manifesto che ha chiamato«Manifesto del buon senso», composto dauna serie di punti che le forze politichepossono sottoscrivere in campagna eletto-rale. I punti sono: piena liberalizzazioneper i servizi pubblici locali; una propostaper ridurre le ore impiegate in un anno dauna piccola media impresa per presentarele dichiarazioni fiscali; un impegno per ri-durre i tempi del processo penale senzaaumentare i termini di prescrizione; unariforma delle intercettazioni finalizzata al-la tutela della privacy degli indagati nelpieno rispetto dell’articolo 27 della Costi-tuzione; l’armonizzazione delle regole dellavoro nel pubblico impiego e nel privato;intervento più forte per riformare il siste-ma di contrattazione collettiva. MinistroDelrio, ci sta?”.

Delrio: “Su ognuno di questi punti biso-gnerebbe discutere nel dettaglio, peròcomplessivamente vanno nella direzionegiusta perché bisogna mettere al centro ilcittadino.”

Toti: “Cosa ne penso io? Certo che lo sot-toscrivo, ma immagini se lo dicessi al con-trario: più ore per presentare una dichia-

razione fiscale… è ovvio che non sarei d’ac -cordo. E’ un manifesto del buon senso, do-potutto”.

Maroni: “Sono d’accordo con questo Ma-nifesto del buon senso anche se non è com-pleto. Manca la riforma radicale del pattodi stabilità, quello che lo stesso Renzi defi-niva patto di stupidità. Sono d’accordoquando mi dicono che devo rispettare i pa-rametri europei, quello che contesto è ilcriterio di ripartizione interna del patto distabilità…”

Cerasa: “Il ministro Delrio forse non sache il primo politico a cui il Foglio ha sot-toposto questo manifesto è Silvio Berlusco-ni, e anche lui ha detto di sì”.

Maroni: “Ma lui dice sempre di sì a tut-ti!”.

Cerasa: “Un altro referendum di cui siparla spesso è quello sull’euro, lei gover-natore Maroni che ne pensa? E poi, datoche se ne parla molto in questi giorni, nonè che è per caso lei che ha incontrato Casa-leggio?”

Maroni: “Sì, Casaleggio l’ho incontrato agennaio, è stato un incontro causale, ma cisiamo trovati in casa di una persona che

aveva organizzato una cena con molti invi-tati. Penso che sia normale per un leaderpolitico dialogare con un altro leader poli-tico quando ci sono interessi comuni; inquel caso mi pare discutemmo della leggeelettorale. Con i cinque stelle ci sono deipunti di contatto senza dubbio, ultimamen-te sull’immigrazione mi pare che stianoprendendo delle posizioni condivisibili.Quindi perché no, discutiamone. Con loroci può essere un’alleanza tattica su alcunitemi, fermo restando che le strategie sonouna cosa diversa. La tattica può essere con-divisibile anche perché c’è più vicinanzatra Lega e altri partiti che tra Lega e ForzaItalia su alcune questioni, come sull’Euro -

pa. Questo non impedisce però che ci sianoalleanze di governo con Forza Italia, i par-titi devono avere la capacità di cercare al-leanze che aiutino a vincere le proprie bat-taglie”.

Cerasa: “Uno degli argomenti della pros-sima campagna elettorale sarà la possibili-tà di fare un referendum sull’euro, lei èfavorevole?”.

Maroni: “Io sono favorevole al referen-dum sull’autonomia fiscale della Lombar-dia che teniamo in autunno. Ma sono favo-revole anche ai referendum consultivi,d’altronde la Costituzione all’articolo 1 di-ce che la sovranità appartiene al popolo,non a un presidente del Consiglio. Tra l’al -tro credo sia giusto per chi governa saperecosa pensano i cittadini, è uno strumentoche può aiutarci a fare le scelte giuste. Nonbisogna abusarne, come in tutte le cose, masono favorevole all’estensione dei referen-dum…”.

Cerasa: “E come voterebbe?”.Maroni: “Il voto è segreto…”.Toti: “Io tengo a distinguere un po’, forse

in modo manicheo, tra la tattica e la strate-gia: la coalizione di centrodestra sta fun-zionando alle amministrative perché ha unbaricentro forte in alcune regioni ma saparlare tante lingue diverse a tante perso-ne che necessitano di messaggi diversi.Una coalizione con idee e persone ugualinon avrebbe senso. Ero a Genova con Salvi-ni un’ora e mezzo fa e mi ha detto che un’al -tra chance all’Europa la darà, e dico que-sto per farvi capire che nessuno è convintoche domani mattina possiamo uscire dal-l’Europa. Allo stesso tempo non si può direche si va in Europa a cambiarla e poi torna-re indietro senza aver ottenuto nulla, chepoi è quanto successo negli ultimi 5 anni.Sarei d’accordo sul referendum sull’Euro,anche perché sono convinto che gli italianivoterebbero per restare e io stesso votereiper restare. Ci tengo però a dire che il temaal momento non mi pare che siano le de-stre estreme che vogliono distruggere l’Eu -ropa, quanto l’Europa che se non riesce arinnovarsi rischia di ammazzarsi da sola”.

Cerasa: “Presidente Toti e presidenteMaroni, quando si tornerà a votare conquale assetto dovrà presentarsi il centro-destra in campagna elettorale?”.

Toti: “Mi auguro che la mia coalizionesappia trovare un equilibrio; io invidiomolto i repubblicani americani con le lorodiverse sensibilità, e anche Blair che, no-nostante facesse la politica più liberale disempre per una forza di sinistra, aveva al-cuni parlamentari trozkisti in maggioran-za. Questo vuol dire stare insieme in unpartito. Molte anime del centrodestra po-trebbero convivere, questo sarebbe un ve-ro processo di semplificazione. Se c’è que-sta volontà qualsiasi legge elettorale vabene”.

Maroni: “Io ho vissuto molte leggi eletto-rali, ma quella che mi è piaciuta di più èstata quella dei collegi perché ci si con-fronta con i candidati avversari. La peggio-re che ho vissuto è la proporzionale conuna preferenza, perché la campagna elet-torale la facevi tra gli elettori del tuo parti-to dicendo ‘scrivi il mio nome non quellodel mio compagno’. Detto questo, se il can-didato premier dipende dalla legge eletto-rale è chiaro che nello scenario proporzio-nale non ci sarà alcun candidato premierdi centrodestra perché ognuno andrà persé, ma spero che non sia così. Se invece cisarà una legge che contempla la coalizioneben venga l’alleanza. Capitolo primarie: iole ho proposte e ottenute nel 2013, anche seriservate ai militanti. Se il modello è que-sto sono per fare in modo serio le prima-rie”.

Cerasa: “Il ministro Delrio ha dato unconsiglio al segretario del suo partito suun errore che non bisogna commettere:cioè rincorrere il mito dell’autosufficien -za. Lei Maroni cosa consiglierebbe al suosegretario?”.

Maroni: “Io distinguo tra vittoria eletto-rale e vittoria politica. Nel ‘96 la Lega andòda sola e ottenne una grande vittoria elet-torale con il 10,2 per cento, ma una sconfit-ta politica perché al governo andò Prodi.Bossi a quel punto si inventò la secessione,la Padania, e cambiò linea: 5 anni dopoaccadde il contrario, una sconfitta eletto-rale della Lega con il 3,9 per cento (sotto illimite del 4, quindi senza eleggere parla-mentari col proporzionale) ma allo stessotempo una vittoria politica, perché andam-mo al governo. Un leader deve sceglierequale delle due: o fa il leader dell’opposi -zione e quindi va da solo, o fa il leader digoverno e allora deve creare le condizioniper un’alleanza. In Italia è indispensabilefare alleanze sennò non vai da nessunaparte”.

Toti: “Concordo totalmente e, io che loscavalco sempre a destra Maroni, vorreiche la coalizione si costituisse in una nuo-va forma. Capisco che tutti i leader politicidi oggi hanno una tendenza proporzionali-sta o una visione incentrata sulla loroidentità, ma con dello sforzo si può stareinsieme. Il punto non è avere un club doveentrano solo le persone vestite uguali, ilpunto è creare un club dove si sceglie unostile di abbigliamento e si accettano perso-ne che vestono diversamente. Non troppo,ma un minimo sì. Non ha senso fare unclub dove aderiscono solo le persone vesti-te uguale”.

Giavazzi: “Per imporre la culturadella concorrenza occorrerebbe fareuna cosa: firmare il referendum deiradicali a Roma sui servizi locali”

Toti: “Sono d’accordo sulreferendum sull’Euro. Sonoconvinto che gli italiani voterebberoper restare e io voterei per restare”

Delrio: “Il Pd è per un modellomaggioritario, ma questo nonsignifica avere la presunzionedell’autosufficienza”

Maroni: “Sono d’accordo con ilManifesto del buon senso del Foglioanche se non è completo. Manca lariforma del patto di stabilità”

“Quello che non vogliamo capire – dice Giavazzi – è che in Italia c'è una grande competitività di alcune imprese che viene compensata da una scarsa competitività delle imprese piccole e di quelle protette”

Nella mancata abolizione (per ora) del-l’imposta catastale per i terremotati

quello che dà più fastidio è l’assoluta sciat-teria con la quale il governo ha dimentica-to di inserire la norma nei provvedimentiemanati per il terremoto. Quella che sem-bra essere una nuova battaglia politica trail decisionismo berlusconiano (dopo il si-sma dell’Aquila nel 2009 quella imposta latolsi, si è affrettato a dire Silvio Berlusconi)e il passo cadenzato di Paolo Gentiloni (ilpremier vedrà nei prossimi giorni il sinda-co di Amatrice Sergio Pirozzi e risolveran-no certamente il problema), in realtà è l’en -nesima conferma di quanto il germe dellaburocrazia sia patologico per il sistema.

Abolire l’imposta ex ante, infatti, era in-finitamente più facile che farlo adesso conun provvedimento ad hoc, perché era suffi-ciente copiare e incollare l’articolo 1 dellaordinanza 3892 del 2017 della presidenzadel Consiglio dei ministri, che prevedeval’esenzione delle imposte di successioneipotecarie, catastali e di bollo. Non chetoccasse al premier Gentiloni o al sottose-gretario Maria Elena Boschi ricordarsi diuniformare gli atti dell’esecutivo, ma ai lo-ro consiglieri e consulenti legislativi asso-lutamente sì. Altrimenti perché vengononominati e quindi pagati dai contribuen-ti?

A leggere le ordinanze, poi, si compren-de ancora una volta quanto centro e peri-feria viaggino su binari paralleli, e utilizzi-no codici e linguaggi per alcuni versi anti-tetici. Nella definizione del quadro nor-mativo per programmare la fase dellaricostruzione post sisma, infatti, il tempo èuna variabile fondamentale, che presup-pone un’attenta analisi a monte delle ipo-tetiche risultanze dei provvedimenti postiin essere. Proprio la mancanza di analisidella incidenza del fattore tempo sui pro-cessi in atto, è uno dei limiti più evidentidella ricostruzione del terremoto, perchési registra uno scollamento palese tra ladefinizione delle norme, la loro esecuzio-ne e le azioni che dovrebbero essere disci-plinate. A L’Aquila, dopo la fase emergen-ziale segnata dal progetto Case, l’immobi -lismo nella ricostruzione fu superato solodopo quattro anni dal 2009 grazie alla in-tuizione dell’allora ministro Fabrizio Bar-ca di istituire gli Uffici speciali e dare vitaalla scheda parametrica di valutazioneper gli edifici privati. In ogni caso la sceltadell’affidamento diretto all’impresa non èmai stata in discussione.

Per il terremoto che ha coinvolto le re-gioni dell’Italia centrale, invece, si è deci-so di procedere con le gare, determinandoun processo farraginoso e oltremodo rigi-

do, perché il committente nello svolgere lafunzione di stazione appaltante, si esporràal rischio del contenzioso, tipico delle pro-cedure di selezione, con un incontrollabi-le allungamento dei tempi, come ha dimo-strato il disallineamento tra la ricostruzio-ne aquilana privata e pubblica, quest’ulti -ma sostanzialmente ferma. Basti pensare,ad esempio, che per la realizzazione dellepiastre ad Accumoli hanno partecipato274 imprese. Sulla legittimità dei procedi-menti, inoltre, è vincolante il parere del-l’Anac, e hanno voce in capitolo anche Par-co e Sovrintendenza, determinando un ec-cesso di controlli che ha il solo obiettivo diallungare a dismisura i tempi della rico-struzione. La recente ordinanza, la nume-ro 25, poi, pone altre problematiche sotto ilprofilo del vincolo e della pianificazione,perché dà in capo ai comuni e agli Ufficispeciali la competenza entro trenta giornidi predisporre la perimetrazione dei cen-tri storici, che i presidenti della regioneentro quattro mesi dovranno rendere ese-cutiva. Si tratta, però, di comuni piccoli,che hanno poco personale, attualmenteoberato dalle pratiche, e anche in casi dicomuni più grandi, ci troviamo di fronte astrutture tecniche poco efficienti, comenel caso di Teramo.

Insomma la storia della ricostruzione

del terremoto del centro Italia – costata adoggi già 24 miliardi di euro dal 2009 – conti -nua a essere l’ennesima pagina sbiadita eopaca del potere della burocrazia italiana,forse il suo emblema più deteriore.

Quando decine di animali – il capitaledegli allevatori – muoiono per il freddonelle zone colpite dal terremoto perchédopo mesi governo, regione e commissariostraordinario non sono stati capaci di for-nire le strutture provvisorie per il loro ri-paro; quando le casette vengono estratte asorte; quando chi vorrebbe realizzarsi dasolo una casetta in legno provvisoria nonpuò perché per la regione si tratterebbe diabuso edilizio; quando un decreto, comequello per la ricostruzione, è concepito inmodo tale che la governance non riflettauna filiera di comando ma solo un sistemadi competenze degli uffici preposti, che sirimpalleranno dei poteri, dobbiamo avereil coraggio di affermare che la politica èdavvero finita, e che comandano solo edesclusivamente i burocrati.

C’è bisogno, invece, di rappresentantiistituzionali che tornino a svolgere il ruolodi leader, non quello di capi, che continua-no a non volere esercitare il potere di de-lega e che preferiscono circondarsi di“professionalità” accondiscendenti.

Stefano Cianciotta

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ANNO XXII NUMERO 145 - PAG IV IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 21 GIUGNO 2017

UNA FOGLIATA DI LIBRIA CURA DI MATTEO MATZUZZI

I genitori di Else conservano i suoi boccolidentro un grande libro con la copertina

rigida e dorata. Lo hanno intitolato Vita dinostra figlia. Sono pazzi di lei e la crescono,assai prima che ebrea, amata: sarà per que-sto che lei si sentirà sempre soltanto tede-sca, cioè persona e non segugio, individuo enon eredità, insomma cittadina libera (di di-re che gli ebrei sono gretti e insopportabili,di sposare un poeta del “vasto mondo cristia-no” al posto di un Alfred qualsiasi, di nonimparare a cucinare nient’altro che una zup-pa di cavoli). Naturalmente, quando lei sce-glierà da tedesca e non da ebrea, loro l’ab -bandoneranno, ma non per molto. In questastoria, l’amore verso i figli vince sempre sututto, persino sulla guerra che li inghiotte.Alla terza gravidanza, quando Else dà allaluce Angelika, l’autrice di questo romanzosull’Europa interbellica e a colori che grida-va “la vita è irresistibile”, stabilisce una re-gola di condotta: fare un figlio con ogni uomoche si ama. Come ci si sia attenuta, e cioè “aogni costo, matrimonio o no, e puntualmentenelle peggiori condizioni”, è il nervo del li-bro e di tutti i suoi baci, i suoi balli, gli incon-tri, le sfide, i rossetti, le sigarette, i poeti, gliamici (soprattutto le amiche), i genitori chediventano nonni e si precipitano, dopo ogniparto, a portare birra e brodo di pollo rico-stituenti. “Tesoro, la tua rossa ti crede fede-le, vuoi che le schiarisca le idee?”, scrive alsuo primo marito, il bohemien episcopale,dopo avergli perdonato adulteri reiterati,essersi tagliata i capelli, non aver perso unetto, aver preso a fumare e a dividersi equa-

mente tra vizio e cultura, i municipi dellaBerlino degli anni 20, che certamente nonimmaginava di venire schiacciata, di lì a po-co, dal nazionalsocialismo, ma forse, in unantro remoto della sua coscienza, lo presagi-va – come spiegare, altrimenti, quella sbor-nia incessante, quell’arte tanto viva, quelledonne tanto fresche, lievi e volitive? Else cimette poco a rilanciare un nuovo assetto fa-miliare, infilando sotto lo stesso tetto marito,amante e amanti del marito; risposarsi; mor-dicchiare, coccolare, dondolare, crescere al-tri figli; baciare altri uomini “con la foga dichi muore di sete” e cacciarli quando com-mettono il peccato peggiore: annoiarla.Quando arriva il nazismo, Else scappa inBulgaria: “Alla fine non ce l’ho fatta”.

Persino dall’esilio, con il cuore che si am-mala per il dolore della perdita di suo fi-glio, contagiando il resto (della vita; del cor-po; della casa; della relazione, prima sem-pre così avventurosa e fiera, con le giorna-te), Else vuole solo fare la madre: ricordarealle figlie di non rinunciare agli uomini, dinon cedere al cinismo, di non fidarsi maidegli eserciti dei salvatori, di detestare ilfascismo, di amare. Angelika Schrobsdorffha raccontato sua madre quando le è statochiaro che l’irregolarità e il fulgore di leinon stavano tanto nella ribellione al bigot-tismo del suo tempo, ai ruoli emanati anzi-ché scelti, al nazismo, ai soprusi maschili,bensì nella ferma convinzione che, con unfiglio, una donna metta al mondo la ragioneper cui combattere per la libertà che valeuna vita. (Simonetta Sciandivasci)

Angelika SchrobsdorffTu non sei come le altre madriEdizioni e/o, 528 pp., 19 euro

Nessuna saga cinematografica, televisi-va o letteraria ha rivoluzionato l’im -

maginario collettivo più di Star Wars. Unrisultato cui George Lucas è giunto nonsoltanto con la creatività e la fantasia,ma soprattutto grazie alla capacità im-prenditoriale e alla visionarietà tecnolo-gica. Con la Industrial, Light & Magic, ilregista californiano rivoluzionò la no-stra idea di effetti speciali, introducen-do strumenti sempre più sofisticati chenel libro vengono descritti con notevoledettaglio: dall’animazione tradizionale elo storyboard alla computer grafica e lemoderne tecniche di modellazione 3D.Un trend che il libro individua – dallavecchia alla nuova trilogia, passando peril restyling della prima sul finire deglianni 90 – è lo spostamento della realizza-zione del film dalla fase di ripresa aquella di post-produzione, che avrebbeampliato a dismisura le possibilità crea-tive del regista.

Giorgio Ghisolfi ripercorre la creazionedell’esalogia lucasiana partendo dall’as -sunto, a lungo argomentato, che il cinemadi Star Wars sia assimilabile al cinema d’a-nimazione. Quando presentò al pubblico illungometraggio animato The Clone Wars(2008), Lucas tenne a ricordare i suoi inizicome animatore. L’animazione, del resto,accompagnò il susseguirsi dei film sin dal-la metà degli anni 80, con i primi cartonianimati sugli Ewoks e sui droidi R2-D2 e C-

3PO, fino alle più recenti serie tv sullaguerra dei cloni. Senza dimenticare i vi-deogiochi, che, ormai indistinguibili dalleimmagini cinematografiche, hanno contri-buito in misura consistente a espanderel’universo lucasiano.

Benché il libro si soffermi per la mag-gior parte sugli aspetti tecnici della realiz-zazione, non mancano alcune digressionisui contenuti. Una di esse ha a che farecol ruolo del progresso tecnologico. Se lafantascienza tradizionale esplora l’im -patto della tecnologia sulla condizioneumana, lo space fantasy di Lucas mette daparte tutto ciò per incorporare elementimitologici ed eroici che fanno della tec-nologia una sorta di orpello, che richieded’essere domato da forze, benigne o no,che le sono estranee. In Lucas il progres-so è insomma un “mito depotenziato, visi-vamente tradotto nella costante presenzadi ruggine, guasti, rottami e visibile obso-lescenza”. Non si fa attendere, infine, lastoccata al capitale: l’impeto immaginifi-co della saga lucasiana non è che una“forma di evasione dalla società capitali-sta e di riappropriazione dell’identità equindi anche (…) stile di vita e critica so-ciale”. Come si faccia a scorgere tuttoquesto in uno dei franchising più lucrati-vi della storia non è ben chiaro. E’ purvero che, più di qualsiasi altro, quello diStar Wars è un universo che stimola lafantasia. (Federico Morganti)

Giorgio E. S. GhisolfiStar Wars. L’epoca LucasMimesis, 328 pp., 22 euro

Cos’è il “potere” o l’“autorità” secondoMax Weber? “Per definizione, signifi-

ca la sicurezza di trovare obbedienza, daparte di un dato gruppo di uomini, a deter-minati comandi”. Inizia così una delle ri-flessioni più celebri del sociologo nato aErfurt, in Turingia, il 21 aprile del 1864.Riflessione, quella sulla fenomenologiadel potere, sviluppata in testi diversi e oggimeritoriamente selezionati e ripubblicatidall’editore Aragno. I motivi su cui si fon-da l’obbedienza, secondo Weber, distin-guono tre tipi di potere: patriarcale-tradi-zionale (“basantesi cioè sulla credenza co-mune nella santità di antiche tradizioni enella legittimità dell’autorità esercitata dacoloro che sono chiamati a dominare”), bu-rocratico-razionale (“basantesi cioè sullacredenza nella legalità di precetti legifica-ti, e nel diritto di disporre, riconosciuto acoloro che sono chiamati a dominare”), ecarismatico (“basantesi cioè sulla straor-dinaria dedizione dei singoli alla santità oall’eroismo o all’esempio di una persona eai precetti da questa manifestati e creati”).Weber non nasconde la sua predilezioneper “l’amministrazione puramente buro-cratica” che è “la forma più perfetta per-ché implica la precisione, la continuità, ladisciplina, la rigidezza e la fidatezza, cioèla possibilità di fare assegnamento su diessa, sia da parte del capo, che da partedegli interessati”; insomma “dominio (po-tere) in virtù di scienza; questo è il suo ca-rattere fondamentale, specificamente ra-zionale”. Un’amministrazione che si ritro-

va anche nelle grandi imprese private,specifica il pensatore. Il quale allo stessotempo lancia però un avvertimento utile intempi – quelli odierni – di ipertrofia dellaburocrazia pubblica: il capitalismo “ne èla base più razionale e commerciale, poi-ché, dal punto di vista del fisco, è quelloche procura i necessari mezzi economici,per cui essa può sussistere nella forma piùrazionale”. Le stesse intuizioni weberianesul potere carismatico sono tutt’altro cheinutilizzabili nel XXI secolo. Infatti, osser-va Antonio Maria Carena nella premessa,“la dimensione carismatica non è espres-sione di una dimensione arcaica (…). Anzi,tende a confermarsi laddove ci sia una cri-si della politica tradizionale”. Weber ri-corda che “perfino nell’ambito stretta-mente burocratico dei partiti americani,come insegnò la campagna presidenzialedel 1912 (un’inedita corsa a quattro, vintadal democratico Woodrow Wilson, ndr),sorge sempre di nuovo, in tempi di grandeeccitamento, spontaneamente il tipo cari-smatico direttivo”. Il quale cerca di “rove -sciare il dominio dei tecnici del partito”,“contro la resistenza di quell’ammasso dipoliticanti professionali che dominano neiperiodi di normalità, e soprattutto controquella dei bosses cui è affidata la direzio-ne o l’organizzazione finanziaria”. DonaldTrump docet. Pagine, insomma, che anchei nostri migliori burocrati e tecnocrati fa-rebbero bene a rileggere per non opporrerisposte stanche e sterili a mutamenti dav-vero epocali. (Cristoforo Lascio)

Max Weber (a cura di Antonio Maria Carena)Charisma versus Auctoritas. Fenomenologia del potereAragno, 164 pp., 15 euro

Axel Honneth insegna tra la ColumbiaUniversity e Francoforte, di cui dirige

il celebre Istituto per le ricerche sociali. Ildato di partenza del suo lavoro sono le pa-tologie in cui la società, per sua natura,sempre rischia di cadere, e che richiedo-no, come nella psicanalisi, l’anamnesi equindi la riforma delle pratiche e dei di-scorsi che le hanno prodotte. L’autore sirichiama a Rousseau, il primo a studiarela società per individuare le storture cheimpediscono al singolo di realizzare sestesso, e il concetto centrale dei saggi quiraccolti è quello di “riconoscimento”. Ilmotore della storia, sia personale che col-lettiva, è l’aspirazione ad affermare l’uni -cità e il valore della propria esistenza.Una società giusta è dunque quella in cuila sfera pubblica e le istituzioni garanti-scono al singolo la sicurezza psicologicache il proprio percorso di vita sia accettatoe sostenuto: un obiettivo ambizioso quantoproblematico, perché anche se la teoria diHonneth enfatizza gli aspetti discorsivi edeliberativi del confronto democratico, èdifficile dare una realizzazione pubblica aqualcosa, come l’autostima, che nasce pri-ma di tutto nelle relazioni affettive priva-te. E la teoria del riconoscimento, pur par-tendo dal desiderio rousseauiano di eman-cipare l’individuo, non rischia a volte difarlo dipendere ancor più da quello“sguardo” altrui che, con la sua aspettativae pretesa, era per Rousseau proprio l’ini -

zio di tutti i mali? Ripensando il ruolo de-gli “altri” nella teoria politica, Honneth siconfronta ancora con i due concetti di li-bertà teorizzati da Berlin. Accanto alla li-bertà negativa, in cui l’altro è ridotto a unostacolo contro cui il diritto deve scher-marci, e a quella positiva, in cui l’altro èpraticamente irrilevante, perché l’indivi -duo va avanti in forza delle sue sole capa-cità, per descrivere la partecipazione de-mocratica, ma anche le relazioni di amici-zia e amore, c’è bisogno di una terza cate-goria. Qui gli altri cessano di essere, comenel raggelante aforisma di Sartre, “il no-stro inferno”, per diventare l’indispensa -bile margine di rischio, di resistenza e dirisposta che rende veramente libero il no-stro agire. Tuttavia, la teoria di Honneth“resta segnata da una concezione troppodebole della negatività”, ovvero del male,come dice Barbara Carnevali nella suabella introduzione.

Pur non ignorando che storicamente ilbisogno di riconoscimento si è espresso inforti antagonismi, per Honneth il “socia -le”, con le sue possibilità cooperative e te-rapeutiche, diventa un ambito che ha in sécapacità quasi redentive, il che fa di lui,nell’immagine della curatrice, un nuovoSettembrini: l’interlocutore che nel sana-torio della Montagna incantata vuole per-suadere il protagonista che una salvezzatutta terrena è alla portata del progressorazionale. (Giuseppe Perconte Licatese)

Axel HonnethLa libertà negli altri. Saggi di filosofia socialeIl Mulino, 316 pp., 28 euro

Un tempo Seagram era la più grandecompagnia di distillazione al mon-

do. Fondata nel 1857 a Waterloo, nel-l’Ontario, viene comprata nel 1928 dallafamiglia Bronfman. Grazie a una politicacommerciale spregiudicata e approfit-tando della propria origine canadese,durante il periodo del proibizionismo lasocietà conquista un terzo del mercatoamericano. Febbraio 1933: il diciottesi-mo emendamento, che vietava produzio-ne, vendita e trasporto di liquori, vieneabrogato. Il consumo di alcol ridiventalegale e i profitti di Seagram salgonovertiginosamente. I mezzi finanziari gi-ganteschi di cui dispongono consentonoai Bronfman di diventare azionisti di ri-ferimento del colosso chimico Du Pontde Nemours. La fama di Edgard M.Bronfman, dal 1971 patron della fami-glia, sale alle stelle.

Presidente del World Jewish Congress,è lui a concludere la trattativa che portòallo storico accordo con le banche svizze-re per la restituzione (parziale) dei benisottratti agli ebrei durante il nazismo. Ildestino gli sarà però avverso. Suo figlioEdgard jr. (e fratello maggiore di Charles,uno dei due autori del libro), dopo qual-che fallimentare esperienza come com-positore e produttore musicale, viene mi-steriosamente nominato ceo del gruppo.Siamo a metà degli anni Novanta.

Dopo qualche anno, il giovane rampol-lo rivende a Du Pont de Nemours le azio-ni dell’azienda in suo possesso (si calcolache oggi varrebbero oltre trenta miliardidi dollari) per realizzare il suo sogno:acquistare Universal Studios. Certo, il ci-

nema è divertente mentre la chimica ènoiosa. Solo che è un pessimo business(non ci voleva un genio per sapere che lemajor di Hollywood falliscono con rego-larità cronometrica e nessuno ci ha maiguadagnato). Non pago, compra anchePolygram, leader mondiale della musica,esattamente un minuto prima che la rivo-luzione digitale ne azzerasse i ricavi. Simette allora in affari con un socio ancorapiù stravagante: Jean-Marie Messier, Pdg(presidente e direttore generale) di Vi-vendi, quella stessa Vivendi che ora stascalando Telecom Italia e Mediaset, chepoi altro non è che la vecchia Généraledes Eaux. I due decidono di convolare anozze in una fusione che imploderà inpochi mesi, con una perdita del novantaper cento circa del valore delle azioni.

Un disastro che richiederà un salva-taggio organizzato dall’amministratoredelegato di Axa Claude Bébéar, esponen-te di spicco dell’establishment francese.Messier viene licenziato in tronco e glispirit di Seagram (marchi come ChivasRegal, Crown Royal, Captain Morgan,Martell, The Glenlivet e molti altri) ven-gono venduti a prezzi stracciati a duemultinazionali del settore, Diageo e Per-nod Ricard.

La memoria di quello che è stato unodei nomi più celebri su scala planetariaè ora affidata solo al Seagram Building,che resta uno dei grattacieli più belli diNew York. Si conclude così la storia diun clamoroso fallimento del family busi-ness made in Usa. Da leggere tutta d’unfiato, anche per riflettere su quelli madein Italy. (Michele Magno)

Charles Bronfman, Howard GreenDistilledHarperCollins, 368 pp., 26,90 dollari

Lussi crociani e apprezzamenti sinceriVorrei concedermi un lusso crociano:

con un aggettivo perentorio e indiscu-tibile, dire semplicemente che “Fermate”,la nuova raccolta poetica di Paolo Macca-ri uscita da Elliot, è bellissima; e aggiun-gere che questo quarantenne di Colle Vald’Elsa mi sembra lo scrittore più raffina-to, più consapevole della sua generazione(e non solo). A questo punto, immagino,dovrei confessare che Paolo è mio amico.Ma allora dovrei anche precisare che l’hoconosciuto dopo essere stato impressiona-to dal suo primo libro, “Ospiti”, che con-tiene versi stupendi sull’esperienza di ser-vizio civile in un ospizio. Dal 2003 a oggi lesue liriche, i suoi saggi critici e le sueparole non hanno mai smesso di aiutarmia rendere un po’ meno angusta la miaidea della letteratura, e di altre cose dellaletteratura molto più importanti. Comun-que la mia opinione è trascurabile, difronte alla stima che al giovane autore fusubito tributata da Giovanni Raboni eLuigi Baldacci. Nei suoi versi, Maccari sarendere sorprendentemente plastica unacondizione esistenziale paludosa e infor-me, un disagio che s’irradia da un luogoindefinibile tra la mente e i nervi. Questacondizione implica un doppio scacco neirapporti col mondo: aderire al suo brutale“così vanno le cose” appare al poeta unamossa falsa, sospetta come ogni superfluaesaltazione dell’esistente, che serve a ri-muovere una sua zona penosa e immodifi-cabile; ma anche il gesto altero del rifiuto,anche l’isolamento gli sembra un’impo -stura, perché negli opachi compromessimondani siamo invischiati tutti, e tutti ciscivoliamo dentro in un gioco senza finedi alibi e rimorsi, col torpore dolce e atrocedi un’autocommiserazione ingannevoleche forse è indistinguibile dall’autoco -scienza. Perciò Maccari vede le relazionisociali e intime come un polipaio di dipen-denze infide, una galleria di rifugi scavatiper anestetizzare la lotta e in fondo lavita, che ritrova la sua pienezza solo infurtivi sussulti subito riassorbiti da unapalude di vergogna, nausea e paura. Que-sta condizione da “slabbrati marsupi”, ul-timi eredi ipernutriti e anchilosati di unaspecie in decadenza che schiva le catastro-fi per pura inerzia, è poi amplificata in

“Fermate” dall’entrata nell’“età di mez-zo”, terra muta e spopolata di eventi, spe-ranze, amici. Di tutto ciò dà una sintesicommovente e terribile la prosa finale:perché la raccolta ospita anche brevi “sil -labari”, racconti tra i più perfetti di questianni, che ricordano insieme Landolfi eTozzi, ma dove la miscela di sarcasmo eumanità dolente è solo di Maccari. Nessu-na scelta, insomma, è libera dalla cattivacoscienza; e nessuna offesa inflittaci dalmondo ci autorizza ad assolverci. Per que-sto scrittore dostoevskiano, malgrado leforze umane siano così deboli e la realtàcosì irredimibile, il peso del destino comu-ne grava ogni momento intero su ogninostra decisione. Se “tutti siamo colpevoli/ vuol dire allora / che siamo tutti innocen-ti?”, ribatte amaro alla voce diabolica chelo invita a considerare i suoi oblii, le sueinadempienze come un fatto normale del-l’esistenza, una fisiologica strategia adat-tativa senza la quale non si sopravvive.Questa indisponibilità alla conciliazionetrova un corrispettivo anche nella forma.Anziché adagiarsi sulle sue doti di abilissi-mo fabbro, Maccari ci sballotta tra un ma-nierismo sontuoso ma slabbrato e versisapientemente sfilacciati, aridi, in cuiesalta il suo virtuosismo umiliandolo, ri-ducendo a tiritera assurda la tentazionemusicale per ritorcerla contro chi crede aun accordo tra l’io e il “tutto”: “Chi nonsta bene non può portare bene. / Chi amavuole il bene e il bene / si promana soltan-to da chi sta bene. // Va bene: se parliamodi funzionamento / e amiamo ogni partici-pio presente / mi denuncio malfunzionan-te. // La preghiera malata di un miscre-dente: / perché no? Lascio che mi inquini/ la mente, fiacchi la volontà, inceppi / ildispositivo del sonno. / E’ una mia crudanecessità. // E’ vero: la morbosa agitazio-ne / per un male che pure è parte dellavita e si sa. / Perché la vita è tutto e tuttava presa / e i saggi ne colgono l’intimaunità. // Perfetto: ne colgo intimamentel’unità, / richiamo alla mente ciò che èempio dimenticare. // Dopo tutto, / rimaneche tu soffri, e appena esisti, / e io ti imma-gino, e furiosamente / sono con te e fuori ènotte”.

Matteo Marchesini

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