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Il fascismo nelle campagne veneziane (1929-1940)* Questo lavoro intende analizzare, in un ristretto ambito provinciale, lo sfaldamento dei tradizionali strumenti di controllo e di organizzazione dei piccoli e medi contadini (sindacato provinciale lavoratori agricoli, Fede- razione fascista degli agricoltori) durante gli anni trenta primi anni qua- ranta. Ne emerge con chiarezza la frattura tra la politica del Consorzio agrario provinciale, dei vari consorzi di bonifica, delle organizzazioni eco- nomiche degli agricoltori e gli interessi dei piccoli coltivatori diretti, fit- tavoli e mezzadri. Parallelamente all’analisi di questi processi sul piano politico si cercherà di fornire alcuni elementi di giudizio sulla precarietà economica della pic- cola proprietà nella provincia. Si può così dare ragione del generale diso- rientamento che si creò nelle campagne veneziane alla fine degli anni trenta e che, in alcune zone, portò ad una partecipazione attiva al movimento di liberazione. Movimento cattolico e struttura cooperativa delle campagne Nel primo dopoguerra si assiste nella regione veneta alla esplosione di un forte movimento rivendicativo e di lotta nelle campagne; nel 1919 si ve- rificano nel Veneto il 48 per cento di tutti gli scioperi agrari. Le agita- zioni furono in gran parte dettate dalla drammaticità del problema della disoccupazione '. Un dato immediatamente rilevabile è la dispersione delle lotte su tutto il * Questo articolo è la rielaborazione del testo letto al Convegno di studi storici svoltosi a Belluno il 24-25-26 ottobre 1975 sul tema Società rurale e resistenza nelle Venezie. 1 Nel 1919 la superficie agraria della regione risulta quasi dimezzata rispetto all’anteguerra, inoltre il mercato del lavoro agricolo fu gravato, più che in qualsiasi altra regione dai rim- patrii; si calcola che i braccianti agricoli rientrati in patria fossero 79.800 di cui ben 49.000 disoccupati. Cfr. P. A rcari, I salari agricoli in Italia dal 1905 al 1933, Roma, 1934.

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Il fascismo nelle campagne veneziane (1929-1940)*

Questo lavoro intende analizzare, in un ristretto ambito provinciale, lo sfaldamento dei tradizionali strumenti di controllo e di organizzazione dei piccoli e medi contadini (sindacato provinciale lavoratori agricoli, Fede­razione fascista degli agricoltori) durante gli anni trenta primi anni qua­ranta. Ne emerge con chiarezza la frattura tra la politica del Consorzio agrario provinciale, dei vari consorzi di bonifica, delle organizzazioni eco­nomiche degli agricoltori e gli interessi dei piccoli coltivatori diretti, fit­tavoli e mezzadri.

Parallelamente all’analisi di questi processi sul piano politico si cercherà di fornire alcuni elementi di giudizio sulla precarietà economica della pic­cola proprietà nella provincia. Si può così dare ragione del generale diso­rientamento che si creò nelle campagne veneziane alla fine degli anni trenta e che, in alcune zone, portò ad una partecipazione attiva al movimento di liberazione.

Movimento cattolico e struttura cooperativa delle campagne

Nel primo dopoguerra si assiste nella regione veneta alla esplosione di un forte movimento rivendicativo e di lotta nelle campagne; nel 1919 si ve­rificano nel Veneto il 48 per cento di tutti gli scioperi agrari. Le agita­zioni furono in gran parte dettate dalla drammaticità del problema della disoccupazione '.

Un dato immediatamente rilevabile è la dispersione delle lotte su tutto il

* Questo articolo è la rielaborazione del testo letto al Convegno di studi storici svoltosi a Belluno il 24-25-26 ottobre 1975 sul tema Società rurale e resistenza nelle Venezie.1 Nel 1919 la superficie agraria della regione risulta quasi dimezzata rispetto all’anteguerra, inoltre il mercato del lavoro agricolo fu gravato, più che in qualsiasi altra regione dai rim- patrii; si calcola che i braccianti agricoli rientrati in patria fossero 79.800 di cui ben 49.000 disoccupati. Cfr. P. Arcari, I salari agricoli in Italia dal 1905 al 1933, Roma, 1934.

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territorio regionale. Il loro progressivo indebolimento è confermato dalla estrema variabilità dei salari da provincia a provincia e da zona a zona. Essa deriva da due fattori: 1) Il carattere indeterminato della figura del bracciante. Nella regione e nella provincia (tranne le zone di Cavarzere e Cona) si presenta piuttosto composta di domestici di azienda e di conta­dini poveri che prestano la loro opera anche come avventizi; 2) la man­canza di zone ad alta concentrazione di mano d ’opera industriale, con la impossibilità quindi di interrelazioni di lotte, di esperienze e di condizioni materiali, tra classe operaia urbana e rurale.

Ad accentuare questa difficoltà di gestire unitariamente il movimento brac­ciantile, organizzato soprattutto dai socialisti, molto contribuì l ’azione del movimento cattolico che mantenne nella regione una netta preponderanza all’interno dei piccoli proprietari, affittuari e m ezzadri2.

Nel 1920, durante le azioni di sciopero proclamate dai socialisti, si assiste frequentemente all’intervento delle leghe bianche. Esse concludono accor­di con la Federazione agraria portando l ’Associazione stessa su posizioni di intransigenza ed alla risoluzione della lotta con l ’accettazione dell’ac­cordo stipulato.

Il punto di rottura con i socialisti era costituito dalla riduzione dell’impo­nibile di mano d ’opera, ma essenzialmente (come avvenne durante lo scio­pero del maggio 1920 a V erona)3, dal riconoscimento della libertà asso­luta dei proprietari di frazionare le terre, mediante stipulazione di con­tratti di mezzadria e di affitto con i singoli lavoratori; mentre i socialisti intendevano negare tale potere discrezionale, nel caso della creazione di piccole unità poderali o controllare (attraverso il collocamento di classe) nel caso dei patti di compartecipazione.

Lo slogan lanciato in quegli anni dal movimento fascista « bisogna dare ad ogni uomo quanta terra ne può lavorare », la costituzione di uffici che ricevevano le terre offerte dai più grossi proprietari per assegnarle ai la­voratori che ne avessero fatta richiesta, non trovò spazio nel Veneto co­me ne aveva avuto in zone tipicamente e tradizionalmente bracciantili quali il ferrarese e più in generale nella Valle Padana.

Le categorie dei mezzadri, fittavoli, piccoli proprietari non costituiscono mai nel Veneto il nerbo della organizzazione sindacale fascista. D al 1923 infatti nella provincia di Venezia, tra gli iscritti alla corporazione della agricoltura, queste categorie non ne rappresentano che una piccola parte (oscillante intorno alle 2.000 unità).

Il movimento cattolico della regione, ed in particolar modo nella provin-

3 La federazione nazionale mezzadri e piccoli affittuari nel 1921 organizza complessiva­mente in Italia 589.225 soci di cui 200.185 nel Veneto (pari al 33,97%) e così ripartiti per province: 13.650 a Padova, 5.250 a Rovigo; 58.300 a Treviso, 43.350 a Udine, 15.050 a Venezia, 40.100 a Verona e 24.485 a Vicenza. Cfr. « Bollettino del Lavoro e della previ­denza sociale», Roma 1921, I semestre.3 Cfr. «Bollettino del lavoro e della previdenza sociale», Roma 1921, II semestre, Merca­to del lavoro, pp. 122-124.

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eia di Venezia, si impegnò direttamente nella formazione della piccola proprietà contadina e riuscì a presentarsi come il suo unico difensore. Inol­tre attraverso una fitta rete di organismi cooperativi (di credito, di lavoro e di consumo) il movimento cattolico apparve come l ’unico garante della stabilità e del rafforzamento delle piccole unità poderali.

Nel 1921 si specificano lilteriormente le linee programmatiche del movi­mento cattolico in favore della piccola proprietà. Il 2 e 3 aprile di quel­l ’anno si tenne a Treviso il I I Congresso della Federazione italiana dei pic­coli proprietari ed il 4 aprile sempre a Treviso si tenne il I Congresso della cooperazione cristiana.

Riportiamo parte degli ordini del giorno votati in quanto ci sembrano significativi l ’uno per il ruolo di « pacificazione sociale » attribuito alla piccola proprietà, l ’altro per l ’ampiezza dell’intervento auspicato per la cooperazione cristiana 4.

Il Congresso della Federazione Italiana dei Piccoli Proprietari, esaminata la situazione delle classi contadine in questo momento di necessaria loro trasformazione sociale per avvicinarle sempre più alla realizzazione della piccola proprietà coltivatrice; considerando che nell’inte­resse stesso della produzione e della pacificazione sociale devesi affrettare questo rin­novamento economico e giuridico coll’assicurare e tutti i piccoli proprietari quel quanti­tativo di terra che li distolga dall’essere dei salariati e degli avventizi di altri datori di la­voro, con l ’attuare progressivamente la riforma di ogni sistema di compartecipazione in quel­lo di coltivatore diretto, che col possesso della terra acquisti la maggiore sicurezza morale di non essere più sfruttato nel suo lavoro.Affermato che tale programma corrisponde alla finalità della Federazione Italiana dei Pic­coli Proprietari e che oggi è assunto da altra organizzazione per puro scopo politico ed elet­torale, ma che solo con l ’azione intensa e vasta della Confederazione bianca potrà avere ga­ranzia di graduali ed effettivi risultati, esprime fiducia al Consiglio della Federazione perché intervenga con una azione efficace in tutte le agitazioni in corso, dove i lavoratori lottano per questa civile aspirazione, di partecipare ad analoghi movimenti di classe ove la massa dei lavoratori agricoli si trovi preparata e sicura [...]Il Primo congresso della Cooperazione Cristiana [...] constatato che nel dopoguerra la tra­sformazione della proprietà terriera in piccola proprietà coltivatrice si verifica con una rapi­dità eccezionale per la grandissima aspirazione dei contadini a diventare piccoli proprietari, che tale fenomeno provoca un generale e continuo aumento dei prezzi dei fondi, favorito dalla concorrenza dei contadini acquirenti e dall’odioso intervento di speculatori fondia­ri [...].Rilevato che il contadino divenuto piccolo proprietario debba essere assistito tecnicamente commercialmente e moralmente; ritenuto che nelle regioni ove domina il latifondo incolto e mal coltivato una bene intesa forma di colonizzazione interna può servire ad aumentare la produzione agraria ed a risolvere il problema della disoccupazione che si manifesta in misura allarmante nelle zone a coltivazione intensiva; fa voti perché [...] sia sancito per legge il diritto di prelazione delle proprietà fondiarie in vendita da parte dei contadini lavoratori delle proprietà stesse riunite in cooperative agricole e con la costituzione di commissioni tecniche arbitrali provinciali per la fissazione dell’equo prezzo delle proprietà [...]Dà mandato alla Unione Nazionale delle Cooperative [...] di mantenersi in contatto con gli organi del Ministero della Agricoltura e specialmente con la Direzione per il credito agrario e la colonizzazione interna affinché possa tempestivamente segnalare alle cooperative agricole le deliberazioni di tale direzione.

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4 Cfr. « Bollettino del lavoro e della previdenza sociale », Roma, 1921, I semestre.

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La reale consistenza della struttura cooperativa cattolica nella regione è evidenziata dalla seguente tabella.

TAB. 1 - Organismi cooperativi cattolici esistenti nel Veneto nel 19205

org. cooperative numero numero dei soci % rispetto al numero sul totale nazionale

Casse rurali 213 22.902 12,4Coop, di Lavoro 292 38.321 39,12Coop, di Consumo 543 99.000 24,88In complesso 1.048 160.223 21,43

Particolarmente intensa fu l ’azione della cooperazione cristiana per l ’ac­quisto della piccola proprietà; essa gestì in gran parte il frazionamento delle grosse proprietà e l ’assegnazione a braccianti e fittavoli; Vittorio Ronchi nell’indagine per le province venete sulla formazione della pic­cole proprietà contadine nel dopoguerra attribuisce all’azione delle casse rurali gran parte di quel movimento che tra il 1919 e il 1928, portò al­l ’aumento di piccole unità poderali di ben 179.027 ettari, pari a circa l ’8 per cento della superficie lavorabile della regione 6.

L ’ampiezza di intervento della cooperazione cristiana nelle province ve­nete è confermata dalla dimensione del sovvenzionamento erogati dalla Banca nazionale del lavoro. Per quanto riguarda le cooperative di produ­zione e di lavoro tra le prime 10 province che ricevettero dalla banca i maggiori sovvenzionamenti troviamo cinque province venete (Belluno, Tre­viso, Udine, Venezia, Vicenza) per complessivi 32 .916.100 lire; sempre tra le prime 10 province in cui la banca svolgeva le maggiori operazioni di sconto compaiono Treviso, Belluno, Venezia e Vicenza per un ammon­tare complessivo di 44.697.683 lire.

G ià nel 1923, pochi mesi dopo la marcia su Roma, il movimento fascista si propone di assorbire l ’organizzazione cooperativa con la costituzione di un ente autonomo, l ’Ente nazionale fascista della cooperazione; nel 1926 viene costituita l ’Associazione nazionale delle casse rurali con presidente Giacomo Acerbo e nel 1927 viene istituita per legge la Federazione ita­liana casse rurali e agrarie, ciò nonostante nel Veneto al 1927 esistevano 343 casse rurali ed ancora nel 1932 ne esistevano più di 300.

Sul grado di autonomia politica e gestionale degli organismi cooperativi di base, non è stato possibile trovare una documentazione adeguata, ma solo una serie di denunce più volte comparse su « L ’Italia nova » , bol-

s Così risultano i dati divisi per province:Padova: 20 casse e 3.000 soci e 3.000.000 di depositi; Treviso: 30 casse, 4.360 soci e 1.000.000 di depositi; Belluno: 3 casse, 360 soci e 3.000.000 di depositi; Verona: 37 casse, 1.505 soci e 9.000.000 di depositi; Venezia: 25 casse, 3.228 soci e 3.000.000 di depositi; Vicenza: 20 casse, 3.000 soci e 5.000.000 di depositi; Rovigo: 50 casse, 4.549 soci e 4.000.000 di depositi; Udine: 19 casse; 2.900 soci e 3.000.000 di depositi. Cfr. «Bollettino del lavoro e della previdenza sociale » Roma, 1921, I semestre.6 Non bisogna dimenticare a questo proposito l’influenza della organizzazione cooperativa dei combattenti che contava a livello nazionale 1.346 cooperative di cui 304 nel Veneto di cui al primo posto troviamo la provincia di Venezia.

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lettino della federazione provinciale del PN F di Venezia e su 1’« Agricol­tore veneziano » organo della Federazione provinciale fascista degli agri­coltori e della cattedra ambulante di agricoltura 7.

In particolar modo dopo la costituzione della organizzazione economica cooperativa degli agricoltori della provincia, il Consorzio agrario, avve­nuta il 3 dicembre 1929, si sviluppa un ampio dibattito sulla opportunità del permanere di altre organizzazioni cooperative al di fuori del consorzio e delle organizzazioni sindacali fasciste, punto sul quale torneremo.

Contemporaneamente alla costituzione del Consorzio, nel febbraio 1930, viene mutato l ’inquadramento sindacale dei piccoli proprietari e dei pic­coli fittavoli della provincia 8. E precisamente i piccoli proprietari coltiva­tori diretti, prima organizzati dal sindacato provinciale fascista dei lavora­tori agricoli, vengono inquadrati nella Federazione provinciale fascista de­gli agricoltori, ad essi vengono affiancati i piccoli affittuari, qualora il ter­reno in affittanza non superi i due ettari.

Sostanzialmente i piccoli proprietari coltivatori diretti venivano ad avere come principale strumento di organizzazione il Consorzio agrario provin­ciale, che era la vera organizzazione dei datori di lavoro. La stessa cosa valeva per i piccoli affittuari, anche se il mutamento neH’inquadramento per questa categoria assumeva un diverso e più grave significato. E ssi ve­nivano privati della possibilità di unirsi all’interno di una organizzazione sindacale che per la sua stessa composizione aveva una più spiccata con­notazione di classe, proprio in un momento in cui erano in corso su tutto il territorio regionale e provinciale lotte, in qualche caso dure e annose sul tema della riduzione degli affitti.

Se è estremamente difficile per il periodo considerato tentare una ricostru­zione delle lotte operaie e contadine, è tuttavia possibile registrarne alcuni echi dalla stessa stampa sindacale e di partito.

Dal 1924 i piccoli affituari degli orti di Chioggia non pagavano l ’affitto o lo pagavano in misura ridotta; la vertenza si risolse solo nel 1931 con la riduzione degli affitti del 75 per cento. La lotta per la riduzione degli af­fitti dei 250 affittuari della amministrazione Mentasti durò un anno e fu risolta nel 1 9 3 1 9.Sempre per quanto riguarda le lotte degli affittuari nell’ambito regionale

7 Vedi anche: L uigi Pagani, La cooperazione agricola, in « L a gazzetta di Venezia», 24 dicembre 1928.8 Cfr.: « L ’Italia nova», febbraio 1930.9 Cfr. « L ’Italia nova », novembre 1932. Nel 1930 al Convegno della Unione della agricol­tura di Venezia i delegati di base pongono con forza il problema della revisione dei canoni di affitto: « Pertile di Campagna Lupia — riporta « L ’Italia nova » — reclama una immedia­ta ed accurata revisione degli affitti che però, su giusto ammonimento del presidente, dovrà essere eseguita caso per caso ». L ’on. Ascione nelle conclusioni, ripropone il principio della contrattazione individuale in quanto « il canone deve essere in relazione con la capacità produttiva delle aziende, se non si vuole menomare il più elementare principio di giustizia e se si vuole che il fittavolo risponda agli obblighi contrattuali ». Cfr. « L ’Italia nova », giugno 1930.

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alcune notizie si possono trarre dal Rapporto sindacale del segretario del PCI delle Tre Venezie 10: « Nelle campagne, fra i contadini, la crisi agraria, dovuta a molteplici cause ed aggravata dalla persistente siccità, mette in grave imbarazzo i contadini che vedono di non poter far fronte al paga­mento delle tasse e degli affitti. Nelle Tre Venezie i contadini sono com­posti in maggioranza da piccoli proprietari, poi mezzadri, affittuari e coloni e pochi salariati. Categorie di contadini che, se non si vedono toccati nel salario perché non sono salariati, si vedono però tartassati in tutti i modi. I contadini del Trevigiano, del Padovano, delle zone contadine della pro­vincia di Venezia, nella sola campagna bacologica hanno avuto perdite che si aggirano intorno al 55 per cento [...]. »E più oltre sulla cronaca delle lotte nel 1927 si legge: « 19 luglio - A Pregan- ziol (Treviso) un centinaio di contadini fanno una manifestazione contro il podestà per chiedere la riduzione di tasse e affitti. 18 agosto - A Pove- gliano (Treviso) un centinaio di contadini hanno invaso il municipio al grido < vogliamo riduzione delle tasse e degli affitti > ed hanno gettato i mobili dalla finestra in istrada facendone un falò.20 agosto - Nel Padovano e precisamente nei comuni di Montagnana, Mon- selice, Saletto, Villa Estense, per le note ragioni comunicatevi [...] i con­tadini hanno fatto quella grandiosa manifestazione di 6.000. »Fino al 1931 tuttavia non erano stati ancora rivisti i canoni di affitto, mentre i prezzi dei prodotti agricoli avevano subito diminuzioni fino al 60 per cento.In questa situazione il mutamento dell’inquadramento dei piccoli proprie­tari e fittavoli ebbe come conseguenza, per le organizzazioni fasciste dei lavoratori dell’agricoltura, una progressiva perdita di controllo -—- aggra­vatasi durante gli anni della crisi — su questi strati di lavoratori delle campagne. Essi restavano o completamente privi di un punto di riferimen­to organizzativo, o ancora legati a quello che restava della rete organizza­tiva cooperativa cattolica (dal documento precedentemente citato si regi­stra inoltre la totale assenza all’interno delle masse contadine del PCI). Se ne trova una conferma nei dati relativi al numero degli iscritti alle varie organizzazioni sindacali fasciste negli anni 1929, 1930, 1931, 1932 11.

TAB. 2 - Iscritti alla Unione Provinciale Fascista dei Sindacati dell’Agricoltura

Categorie 1929 1930 1931 1932

Salariati e braccianti 9.344 9.691 7.537 8.160Coloni e mezzadri 2.040 2.078 1.444 1.447Affittuari e coltivatori diretti 1.214 1.221 324 319Impiegati di aziende agricole 120 121 24 23

10 Cfr. Roma, Archivio dell’Istituto Gramsci 12 a 1, 99.11 I dati sono forniti dalle stesse organizzazioni sindacali e riportati da: L ’Attività econo­mica in provincia di Venezia nel 1929 e nel 1930 a cura del Consiglio provinciale della eco­nomia corporativa, Venezia, 1931 e da: L ’Attività economica in provincia di Venezia nel 1931, Venezia, 1933. Inoltre: « L ’Italia nova », settembre 1929 e dicembre 1923.

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Le aree in cui si diffonde il sindacato fascista per quanto riguarda le cate­gorie dei salariati e braccianti sono le zone di Cavarzere e Cona, zone ca­ratterizzate dalla azienda condotta in economia e di tradizionale influenza socialista. Già nell’aprile 1921 « passarono ai fasci 14 leghe rosse che rag­gruppavano 14.000 aderenti12 13. Il passaggio in massa dalle leghe ai fasci fu senza dubbio il risultato dell’isolamento dei salariati della zona rispet­to alle altre categorie di lavoratori agricoli. Durante la vertenza del gen­naio 1920 per il rinnovo dei patti agrari della zona, mentre i lavoratori accettavano la commissione arbitrale per la composizione della vertenza sospendendo lo sciopero, l ’Agraria con tergiversazioni e rinvìi continui, di fatto rifiutò l’arbitrato. L ’inasprimento della lotta che ne derivò accentuò l ’isolamento dei braccianti dalle altre categorie di lavoratori agricoli e ne provocò il generale disorientamento e logoramento n. Il sindacato fascista conservò lungo l’arco degli anni trenta una maggiore rappresentatività nei riguardi dei salariati, mentre non riuscirà mai a recuperare il consenso delle altre categorie. La diminuzione degli iscritti tra i coltivatori diretti e fittavoli dal 1929 al 1932 non è compensata da un aumento degli iscritti alla Federazione fascista degli agricoltori che passa da 3.312 iscritti nel 1929 a 3.336 nel 1930, a 1861 nel 1931 14.Il momento di organizzazione effettivo e di reale potere della Federazione fascista degli agricoltori, è costituito dunque dal 1929 in poi dal Consorzio agrario provinciale. Per valutarne la rappresentatività nei confronti dei piccoli coltivatori diretti e fittavoli, è necessario analizzarne l ’attività lun­go tutto l ’arco degli anni trenta; ma già dall’atto della costituzione del Consorzio, e precisamente dalla composizione della presidenza e del Con­siglio di amministrazione, è possibile trarre alcuni elementi significativi di giudizio. La stragrande maggioranza degli agricoltori rappresentati nel Consiglio di Amministrazione sono grossi proprietari della provincia (Bom­barda, Velluti, Cà Zorzi, Pasti, Romiati, Perocco, Ravagnan); essi saranno in seguito alla guida dei Consorzi di bonifica, nella presidenza e tra i com­ponenti della Commissione agricola del consiglio provinciale della econo­mia corporativa, all’interno dei direttori provinciali della Federazione fa­scista degli agricoltori (Pasti e Cà Zorzi), quali diretti protagonisti degli indirizzi di politica agraria della provincia. Dal prospetto che segue inol­tre emerge con chiarezza lo strettissimo legame del Consorzio con gli isti­tuti bancari e regionali.Prospetto 1Componenti la presidenza e il Consiglio di Amministrazione del Consorzio Agrario Provin­ciale, nel dicembre 1929:Presidente, Avv. Iginio Magrini (Presidente della Società Fenice, Società anonima contro la grandine);Vicepresidente, Dr. Costante Bortolotto (Presidente Federazione Fascista Agricoltori). Consiglieri: 1) Garioni Antonio, Presidente della Cattedra ambulante di Agricoltura (nel 1920

12 Cfr. F ernando Cordova, L ’origine dei sindacati fascisti; in « Storia contemporanea », a. I, 1970, n. 4, p. 977.13 Cfr. ACS; Min. Int.; Dir. gen. PS, Div., AA.GG.RR., Ordine Pubblico, cat. C l, fase. Venezia, Rapporto sciopero generale agrario, gab. 424.14 Cfr. L ’attività economica in provincia di Venezia nel 1929-1930 e 1931, cit.

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consigliere della Banca Popolare Cooperativa di Venezia e nel 1934 presidente della depu­tazione provinciale); 2) Angelo Pancino, Presidente della Cassa di Risparmio di Venezia; 3) Alfredo Londo, direttore della Cassa di Risparmio di Venezia; 4) Dal Moro Francesco; 5) Bombarda Antonio; 6) Sidran Natale; 7) Velluti Francesco; 8) Cà Zorzi Antonio; 9) Pasti Marco Aurelio15; 10) Romiati Giorgio; 11) Gatto Mosè; 12) Perocco Ugo; 13) Mels Conte Alfonso; 14) Prà Pietro; 15) Ravagnan Mario; 16) Daccò B.; 17) Favaron Mario, Ex presi­dente Associazione agraria; 18) Ronchi Vittorio, Presidente ente rinascita agraria delle Venezie; 19) Battistella Annibaie; 20) Gerolamo Di Castri, Segretario provinciale sinda­cati agricoli fascisti16.

Con la convenzione del 1931 tra Consorzio agrario e Cassa di risparmio, il Consorzio limitava la sua azione essenzialmente a compiti di ordine tec­nico e commerciale; il finanziamento per tutte le necessità dell’ente veniva eseguito dalla Cassa di risparmio. Essa recuperava il credito concesso sia attraverso le vendite del Consorzio per incasso diretto, sia smobilitando il credito per la quota parte relativa all’atto della consegna delle merci agli agricoltori ed aprendo nel contempo il credito all’agricoltore.In sostanza, all’Ente consorzio debitore viene sostituito l ’agricoltore che ha ricevuto la merce. La Cassa di risparmio quindi, evita al Consorzio ogni immobilizzo ed accorda all’agricoltore il credito agrario in base alle garanzie reali che può ricevere alle sovvenzioni.Pertanto con questa regolamentazione della concessione del credito agra­rio, (il Consorzio non si fa garante della esposizione debitoria complessiva) nessuna facilitazione poteva venire al piccolo e medio produttore agricolo dalla appartenenza alla organizzazione consortile.La Cassa di risparmio inoltre, attraverso le sue filiali (il cui comitato di scon­to era formato con la partecipazione degli agricoltori che avevano la rap­presentanza locale del Consorzio) all’inizio dell’annata agraria provvedeva ad una apertura di credito per le aziende agrarie della propria circoscri­zione. I rappresentanti del Consorzio avevano quindi la possibilità di con­trollare ed indirizzare tutta l ’erogazione di credito agrario per i beni utili all’agricoltura cioè gran parte del credito di esercizio.Nello stesso anno al I Congresso provinciale degli affittuari tenutosi a Dolo, venne votato un ordine del giorno in cui al punto 10 si chiedeva « [...] che il piccolo credito agrario venga concesso attraverso la organiz­zazione sindacale e che nei comitati di sconto facciano parte anche rappre­sentanti sindacali » 17. Fino al 1935 la richiesta restava lettera morta.Giova anche ricordare come con la legge sul credito agrario (RDL, 29 lu­glio 1927, n. 1059 e successivo regolamento del 23 gennaio 1928) ve­

15 L ’Azienda agricola dei fratelli Pasti, nella zona di Caorle, è tra le maggiori della provin­cia. Nel 1930 Mario Pasti era vice presidente della Banca Nazionale dell’Agricoltura, consi­gliere della Banca Popolare Cooperativa di Verona, Presidente della Società Prodotti Chimici Superfosfati, Presidente della Società Nazionale Sviluppo Bonifiche, Presidente della Società Generale Bonifiche e Irrigazioni; cfr. ASSOCIAZIONE FRA LE SPA, Notizie Statistiche sulle Spa, Roma, 1930.16 « L ’Italia nova », dicembre 1929.17 Cfr. « L ’Italia nova», giugno 1931.

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nisse operata una netta distinzione tra credito di esercizio — forma di credito cui erano maggiormente interessati i piccoli e medi agricoltori — e credito di miglioramento, generalmente limitato ai grossi proprietari. Le differenziazioni normative erano tali da rendere insopportabile il credito per i piccoli e medi agricoltori. Una prima differenziazione riguarda i ter­mini di scadenza: l ’inizio della concessione del credito di esercizio corri­spondeva all’inizio del ciclo agrario e scadeva pochi mesi dopo, all’epoca del raccolto; per i crediti di miglioramento la legge si limitava ad afferma­re che avrebbe avuto scadenza « qualora diventasse produttivo ».Il privilegio legale inoltre, veniva assegnato dalla legge esclusivamente ai prestiti d ’esercizio e nel caso di prestiti per acquisto di bestiame, macchi­ne ed attrezzi si arrivò a ritenere colpiti dal privilegio legale non solo le macchine ed il bestiame acquistato con il prestito, ma tutto il bestiame, le attrezzature esistenti sul fondo, e poteva essere fatto valere contro chiunque nel secondo anno possedesse o coltivasse il fondo ed anche dopo che i prodotti e le cose vi fossero asportate.Per una razionale applicazione di queste norme e per il controllo della esposizione debitoria degli agricoltori, il direttore della Cassa di rispar­mio di Venezia in una relazione tenuta alla adunanza plenaria del Consi­glio dell’economia corporativa il 12 dicembre 1930, esprime la convin­zione della necessità di una estensione della tenuta dei libretti agrari a tutti gli agricoltori e, per il loro controllo, della rigida limitazione degli istituti autorizzati alla erogazione del credito agrario.La relazione ed i provvedimenti in essa auspicati, furono approvati alla unanimità. Riportiamo i passi relativi all’argomento 18:Gli Istituti sovventori all’epoca dei raccolti dovrebbero, per cautelarsi, sottoporre a sorve­glianza tutti i loro debitori; i compratori dei prodotti dovrebbero accertarsi della libertà dei prodotti da privilegi o quanto meno rinviare il pagamento a due mesi dopo l ’asporta­zione; i produttori dovrebbero documentare il loro stato finanziario o prestar garanzie ai compratori [...]Un simile stato di cose appare realmente inconcepibile, per lo sconcerto irrimediabile che porterebbe in tutta la economia agricola ed il commercio dei prodotti agrari [...] Provvedi­mento di carattere eminentemente pratico potrebbe apparire la creazione del « libretto agra­rio » per tutti gli agricoltori; specie di documento permanente — da rendersi ostensi­bile agli interessati — degli impegni degli agricoltori assistiti da privilegi. Il libretto agrario dovrebbe rappresentare permanentemente la dimostrazione di tali impegni, scrittavi a cura dei creditori privilegiati, così resi di pubblica rilevabilità come le ipoteche. Necessariamente una tale istituzione renderebbe necessaria:— il ripristino della sua primitiva funzione dello schedario regionale, affidato agli istituti speciali;— la limitazione degli istituti autorizzati all’esercizio del credito agrario.Altro provvedimento potrebbe essere [...] quello della istituzione, collegatamente al libret­to agrario, della nota di pegno agricola. [...] dividendo l’azione di credito di esercizio in due fasi: prima fase: anticipazioni di conduzione, garantite da privilegio legale iscritto nel libretto agrario; seconda fase: sovvenzione sui prodotti ad estinzione delle anticipazioni di conduzione, mediante nota di pegno agricola, del cui rilascio dovrebbe farsi constatare sul libretto agrario coerentemente alla dichiarazione di estinzione delle precedenti operazioni.

Cfr. estratto del Bollettino del Consiglio dell’economia corporativa, dicembre 1930, p. 5.

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In conseguenza anche di tale normativa nella provincia di Venezia dal 1929 al 1931 si assiste ad una progressiva diminuzione delPammontare medio per operazione di credito agrario per la categoria dei coltivatori di­retti, fittavoli e mezzadri (vedi tabella 3), mentre per le associazioni coo­perative (essenzialmente il Consorzio agrario in quanto in quegli anni il giro di affari delle casse rurali è estremamente limitato), si assiste ad una contrazione dal 1930 al 1931 dell’ammontare complessivo, mentre è in aumento dal 1929 in poi l ’erogazione media per operazione.TAB. 3 - Operazioni di credito agrario eseguito nella provincia di Venezia per numero, ammon­

tare complessivo e richiedenti nel 1928, 1930 e 193119

1929 1930 1931

Richiedenti n. ammontare in lire

n. ammontare in lire

n. ammontare in lire

Proprietari conduttori in economia 42 2.906.000 50 4.068.250 35 2.118.186Proprietari conduttori in affitto 5 66.000 5 776.200 2 312.000Proprietari coltivatori diretti 175 1.242.930 260 1.401.325 125 474.400Propr. conduttori a coli, parziaria 144 3.597.200 69 4.962.700 74 4.663.800Affittuari impresari 22 1.149.500 44 708.500 5 105.300Affittuari diretti coltivatori 136 537.400 185 524.900 128 446.800Mezzadri e coloni 15 88.500 38 248.450 14 35.600Enti cooperativi 125 23.602.041 103 36.099.111 31 22.069.122Associazioni varie 3 1.240.000 20 19.647.715 1 2.000.000

In complesso 637 34.429.571 774 68.437.151 415 32.224.808

Parallelamente alla restrizione della erogazione di credito per i piccoli e medi agricoltori, continuarono a diffondersi le vendite di grano in erba per bisogno di liquidità a saldo di vecchi indebitamenti. Anche quando il contadino portava a termine il raccolto senza averlo impegnato con contrat­ti di vendita e su questo non venivano fatti valere i privilegi, si trovava ugualmente costretto, sottratta una quota sempre crescente per autoconsu­mo, a venderlo immediatamente non usufruendo quindi dello strumento degli ammassi che a Venezia cominciò a funzionare dal 1930 e che vedeva come principale organizzatore il consorzio agrario.Dalla tabella che segue si ha la dimensione della attività del Consorzio nel settore degli ammassi, strumento importantissimo per gli agricoltori in un momento di crisi economica e di costante calo dei prezzi dei prodotti agricoli, in quanto permetteva di attendere il momento più propizio alla vendita. 19 20TAB. 4 - Grano ammassato nella provincia di Venezia dal 1930 al 1933

Annate agrarie q.li conferiti ai magazzini privati

q.li conferiti ai magazzini collettivi

su un totale di q.li prodotti

1930-1931 73.091 16.369 502.0001931-1932 109.145 46.137 829.0001932-1933 66.000 215.779 877.000

19 Cfr. L ’attività economica in provincia di Venezia nel 1929-1930, Venezia, 1931, p. 641 e L ’attività economica in Provincia di Venezia nel 1931, Venezia, 1933, p. 303.20 Cfr. Archivio di stato di Venezia, fondo Camera di commercio, categoria III , titolo II, Relazione agricoltura 1934.

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Parallelamente a questi processi di compenetrazione di interessi tra Con­sorzio agrario provinciale e Cassa di risparmio, si sviluppa il dibattito sul­la necessità di concentrare nel Consorzio tutte le organizzazioni coope­rative esistenti e sulla opportunità di liquidazione delle casse rurali e dell’EN FC 2I.Da questo dibattito si possono trarre alcuni elementi di conferma sulla autonomia, anche politica, che la struttura cooperativa aveva mantenuto: così si esprime Carlo del Giudice nel 1935:Il fascismo ha fatto provvidenziale giustizia delle posizioni teoriche della cooperazione ed ha accettato le cooperative esistenti come un fatto dal quale non si potesse prescindere, non mai come una idea che si dovesse diffondere, tuttavia l’aver costituito per le coopera­tive una organizzazione separata, ha permesso e quasi alimentato la sopravvivenza della sor­passata ideologia, per ciò abbiamo assistito e assistiamo più alla difesa e alla propaganda della coopérazione che alla dimostrazione della effettiva utile funzione svolta dalle coope­rative nella formazione morale, politica ed economica del nuovo ordine fascista. Dopo la legge del 1926 l’Ente non ha più le ragioni d ’essere di un tempo [...P2

L ’Unione fascista degli agricoltori di Venezia su « L ’Agricoltore venezia­no » del 13 aprile 1935 in un articolo di fondo si dichiara d’accordo con le posizioni riportate sostenendo che le organizzazioni cooperative non devono essere che « la longa manus delle organizzazioni sindacali e l ’ENFC non ha nulla a che fare con le organizzazioni sindacali ». Nel luglio 1935 verrà stipulato un accordo tra la Federazione consorzi agrari e l ’Ente na­zionale fascista per la cooperazione in cui l ’Ente riconosce nei consorzi l ’istituzione che dovrà unificare le organizzazioni cooperative ed autolimita le proprie funzioni a quelle amministrative e di controllo di base su tutte le cooperative23.Fino alla metà degli anni ’30 quindi perdurano tracce dell’associazionismo di base nelle campagne, anche nelle organizzazioni fasciste.Il fenomeno è ancora da documentare e da verificare in modo esauriente. Rimane tuttavia aperto il problema della ricostruzione specie nel periodo della Resistenza della rete associativa agricola, in particolar modo di quel­la cattolica. Qui ci limitiamo a rilevare come il processo di unificazione delle organizzazioni cooperative e l ’accentramento di funzioni nel Consor­zio agrario provinciale tra il 1935 e il 1939 portasse ad uno svuotamento progressivo delle funzioni sindacali e delle organizzazioni di base.Dal 1938 e precisamente dalla approvazione della legge sulla unificazione degli enti in agricoltura24, i Consorzi agrari furono trasformati da enti privati in organismi di diritto pubblico per l ’esigenza di disciplinare la produzione e il mercato dei prodotti agricoli.

21 La legge Acerbo del 1933 autorizza le casse rurali all’esercizio del credito agrario di conduzione « come enti intermediari degli Istituti regionali di Credito ». Sempre in base alla legge citata, veniva stabilito un numero fisso di soci per costituire una cassa rurale; inoltre le casse erano tenute a depositare i 9/10 degli utili annuali per aumento di riserva e il 60 per cento della riserva doveva essere investita in titoli di stato ed in cartelle fondiarie.22 Carlo D el G iudice in « Critica sociale », 1935. Il corsivo è nostro.23 II testo dell’accordo è riportato anche da: « L ’Agricoltore veneziano » del 20 luglio 1935.21 RDL, 16 giugno 1936, n. 1008.

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Si sperimentò un sistema di organizzazione in sezioni per ogni branca di produzione con la rappresentanza paritetica dei lavoratori e dei datori di lavoro e la presidenza venne assegnata di diritto al presidente della Fe­derazione fascista degli agricoltori (per Venezia Carlo Veronese, membro del Direttorio nazionale delle corporazioni).Il Consorzio doveva approntare il piano di produzione in cui si sarebbero assegnate le superfici e disciplinate, anche tecnicamente le culture; una serie di fiduciari dovevano garantire il controllo alla base. Sebbene il mi­nistro dell’agricoltura E. Rossoni definisse questa operazione come « lo sviluppo più vasto e completo del sindacato fascista » 2S, essa si inseriva ormai in una situazione estremamente deteriorata in cui la capacità di in­cidenza e di controllo delle organizzazioni sindacali era minima.Lo stato di profondo disorientamento cui erano giunti gli agricoltori ve­neziani piccoli e medi nel 1940 è confermato da un rapporto di polizia26 inviato alla prefettura di Venezia, che riportiamo integralmente.In relazione al fonogramma suindicato si trasmettono in via riservata alcuni rilievi sulle attività dell’organizzazione sindacale dell’agricoltura.È impressione che la Unione Agricoltori si tenga un po’ estranea a quelli che sono gli in­teressi degli agricoltori e che non esplichi quell’interessamento indispensabile alla risolu­zione di problemi e situazioni che sorgono continuamente nell’attività dei produttori agricoli. Per esempio nell’anno 1939 durante il periodo di saldatura tra vecchio e nuovo raccolto di granoturco molte difficoltà di approvvigionamento della popolazione trovano quasi sem­pre estranea l ’Unione come pure in occasione quest’anno dell’approvvigionamento carneo e del trasporto delle bietole a mezzo di trattrici; le questioni stesse non ebbero da parte del­l ’Unione, come avrebbe dovuto essere nell’interesse e nella tutela dei produttori, l ’appoggio e l ’azione necessaria e tempestiva.Si osserva d ’altra parte che con la costituzione del Consorzio Agrario tra i produttori del­l’agricoltura con le sue sezioni per ogni branca di produzione si è svuotato quasi compieta- mente del contenuto economico e cioè della parte sostanziale viva e vitale, la funzione della Unione, cui resta l ’attività sindacale.Sarebbe come se a lato delle altre unioni di Commercianti e degli Industriali si ponessero altre organizzazioni provinciali, completamente indipendenti dalle stesse Unioni, ai fini della tutela e dell’incremento degli interessi economici industriali e commerciali con altrettante sezioni per gruppi e categorie di commercianti ed industriali.Consegue ad ogni modo da questa sovrapposizione di enti tendenti entrambi allo sviluppo dell’agricoltura duplicazioni e interferenze che determinano spesso un senso di disorienta­mento e incertezza tra gli agricoltori, specie tra i piccoli i quali non sanno più a chi ri­volgersi per la tutela dei propri interessi e per il chiarimento di questioni contingenti di carattere economico o tributario, se cioè all’Unione Agricoltori, al Consorzio Agrario o pres­so le varie sezioni o all’Ispettorato Agricolo.

La piccola proprietà nella provincia e le condizioni economiche dei fittavoii e mezzadri

Dal 1919 alla fine degli anni ’20 continua il fenomeno di frazionamento delle terre. Ne derivò la formazione di un vasto settore di proprietà pol­verizzata, al di sotto dei livelli minimi di sussistenza, con una superficie media progressivamente in diminuzione. Gli squilibri interni al settore

25 Cfr. « L ’Agricoltore veneziano », 1 marzo 1939.“ Cfr. Venezia, Archivio della Camera di Commercio, fonogramma del 5 settembre 1940, n. 3.222 gab.

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risultarono aggravati. Dal 1919 al 1928 la piccola proprietà di nuova formazione copre 19.004 ettari, pari al 10,2 per cento della superficie produttiva complessiva. La debolezza strutturale di tali aziende è ampia­mente dimostrata dalla superficie media e dal movimento dei titoli di pro­prietà. Nell’arco temporale considerato il numero delle piccole unità po­derali di recente costituzione aumenta in misura proporzionalmente mag­giore rispetto all’incremento della superficie agraria relativa.A San Donà di Piave la dimensione media dei poderi passa da 2,01 a 1,56 ettari; a Ceggia da 2,21 a 1,50, a Grisolera da 3,53 a 2,30; a Meolo da 3,17 a 2,46; a Musile da 2,36 a 1,80 27. Questo processo di frammentazio­ne viene accelerato soprattutto a partire dalla svalutazione della lira. I debiti contratti per l ’acquisto di piccole proprietà diventano un peso schiac­ciante per gli agricoltori che si vedono costretti a rivendere una parte del terreno. Contemporaneamente aumentano i prestiti garantiti da mutui ipotecari fondiari.TAB. 5 - Numero e ammontare dei mutui ipotecari fondiari in provincia di Venezia nel

1926, 1927, 1928 28.

Anni numero dei mutui ammontare complessivo1926 117 22.531.1751927 232 40.381.7651928 280 31.601.316

Dal 1928 al 1933 su 19.400 ettari di piccola proprietà di recente forma­zione 8.080 ettari passano nelle mani di nuovi proprietari29.Nel 1935 solo una minima parte della piccola proprietà formatasi nel do­poguerra era detenuta dai primitivi proprietari. Sempre dalla indagine del Ronchi risulta che nel distretto di Cavarzere e Cona le vendite avevano in­teressato oltre il 50 per cento dei proprietari e per un altro 30 per cento la situazione restava estremamente precaria; nel distretto di San Donà e Portogruaro la cessione delle terre interessava il 60 per cento circa dei proprietari. Nel distretto di Mirano, Dolo e Mestre, centri situati nelle immediate vicinanze del polo industriale di Porto Marghera, si ebbe un trasferimento del 75 per cento della piccola proprietà a vantaggio di la­voratori extra-agricoli30.Ulteriori elementi di valutazione della condizione economica dei piccoli

” V ittorio Ronchi,Indagine sulla piccola proprietà formatasi nel dopoguerra, voi. Veneto a cura dell’NEA, Roma, 1935, p. 254.28 Cfr. Archivio di stato di Venezia, fondo Camera di commercio, cat. I l i , tit. II , Confe­derazione fascista degli agricoltori, 1929.29 Nel solo mandamento di San Donà di Piave e Portogruaro su una superficie complessiva di 102.099 ettari le volture dal 1919 al 1928 furono 4.561. Cfr. V. Ronchi, op. cit., p. 77.30 Secondo il censimento del 1930 risulta che per 45.785 attivi —■ su un totale di 98.364 unità — l ’agricoltura non rappresenta l ’attività primaria. Più in particolare per quanto ri­guarda la mano d ’opera occupata a Porto Marghera nel 1931 l ’Ufficio del lavoro fornisce i seguenti dati: su un totale di 4.776 occupati 523 provenivano dal centro storico, 3.000 dalle frazioni del Comune, 636 da Dolo, 396 da Mirano, 56 da Mogliano, 11 da San Donà, 23 da Treviso, 37 da Padova e 44 da comuni diversi. Cfr. Archivio di stato di Venezia, fondo Camera di commercio, posizioni particolari: Ufficio del lavoro, unica busta, fase. 3.

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coltivatori diretti, fittavoli e mezzadri, sono forniti dalla stessa Unione provinciale dei sindacati fascisti in una indagine del 1933 31 *. Dalla inda­gine risulta che quasi 20.000 proprietari (su un complesso di 34.666 aziende censite nel 1930) possedevano poderi al di sotto di 2,5 ettari; di essi solo 9.000 possedevano più di V2 ettaro.L ’Unione valutava inoltre che il reddito monetario necessario ad una fa­miglia tipica fosse di 6.948,60 lire annue. Secondo il contratto 1930-1931 risultava invece che un salariato fisso con la sua famiglia — tra salario mo­netario e salario in natura -—- annualmente non superava le 3.000 lire ed un salariato fisso con 4.000 mq. concessigli e cui erano garantite 220 giornate di lavoro, non superava le 2.700 lire annue.Fittavoli e mezzadri indebitati prestavano lavoro come avventizi. In quasi tutti i libretti colonici si registravano debiti residuali da 200 a 1.000 lire per ettaro. Nella determinazione della eccedenza di mano d’opera all’in­terno del settore agricolo l ’Unione non teneva conto né della necessità di garantire un salario sufficiente alla categoria dei salariati, né dei lavo­ratori occupati eccezionalmente in agricoltura, od occupati stagionalmente nella industria di trasformazione dei prodotti agricoli. Inoltre prescindeva completamente dalla disoccupazione della provincia (i dati ufficiali danno fino al 1935 un contingente oscillante intorno alle 30.000 unità)3\ L ’or­ganizzazione sindacale valutava comunque l ’eccedenza di mano d’opera agricola nella misura di circa 20.000 unità tra maschi e femmine. Essi avrebbero dovuto quindi trovare uno sbocco occupazionale al di fuori del­la provincia di Venezia.Secondo i dati forniti dal Consiglio della economia corporativa tale contin­gente corrispondeva grosso modo a quello dei piccoli proprietari e fitta- voli, i quali avrebbero dovuto trasformarsi in avventizi, se pure periodi­camente. Ma neppure la disciplina delle migrazioni interne potè risolvere il problema della disoccupazione e della crescente proletarizzazione dei contadini. Il settore agricolo venne lasciato in uno stato di disgregazione profonda e le campagne della provincia in uno stato di sottoccupazione endemica.Dagli annuari del Commissariato per le migrazioni interne si rilevano al­cuni dati di grande interesse. Il numero dei lavoratori fatti emigrare attra­verso il Commissariato dalla provincia di Venezia oscillano intorno alle2.000 unità circa per anno, mentre varia di poco la composizione interna della migrazione, ossia il tipo di lavoro e il tempo di permanenza medio nei luoghi di immigrazione. Nel 1935 l’emigrazione per lavori agricoli è di sole 565 unità ed il saldo immigrati-emigrati è positivo (pari a + 1 9 unità). Nel flusso migratorio prevalgono gli spostamenti per i lavori al grano (201 uni­tà) e per la colonizzazione interna 83 unità nel Lazio). Il tempo di perma­nenza medio è brevissimo, pari a 45,25 giornate. È da notare inoltre che tali

31 I risultati della indagine sono riportati da Alfredo De Polzer, II problema demografico- agrario del Veneto e del Ferrarese, Padova, 1935.12 Cfr. A. De Polzer, op. cit.

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spostamenti sono in gran parte fittizi, dal momento che sono per lo più inter­ni alla stessa provincia. Dal 1937 Venezia diventa provincia di immigrazione. Il saldo per le migrazioni agricole è negativo (— 100), ma in misura mi­nima se lo si confronta con il saldo che presenta la regione (— 11.054). Prevale sempre il movimento migratorio interno alla provincia ed il tem­po di permanenza medio nei luoghi di immigrazione si riduce ulterior­mente a 20,81 giornate33.Sulla base di questi elementi è possibile prospettare una prima valutazio­ne dei reali contenuti e dell’esito della cosiddetta politica di « sbraccian- tizzazione ». L ’obiettivo di fissare il bracciante alla terra attraverso la for­mazione di un grande numero di poderi in proprietà o a mezzadria mirava ad eliminare la conflittualità bracciantile, a limitare la mobilità del lavoro e quindi a consentire con maggiore facilità il controllo politico sulla clas­se operaia urbana. Per realizzarsi esso avrebbe richiesto un enorme impie­go di risorse e soprattutto una radicale trasformazione della proprietà e della produzione nel settore agricolo.Le ingenti risorse che effettivamente furono spiegate nel Veneto e nella provincia all’interno del settore agricolo riguardano le operazioni di bo­nifica. Esse si risolsero — come vedremo più avanti ■—- nella creazione e nel potenziamento delle strutture necessarie a garantire la produttività e lo sviluppo della grande azienda capitalistica.La politica di sbracciantizzazione si configurò concretamente come il ten­tativo di eliminare la tradizionale mobilità del bracciante, cercando di in­staurare legami con la terra che, date le premesse, non potevano essere che estremamente precari. Si favorì quindi l ’espansione delle categorie di operai contadini, di semiproletari agricoli, di sottoccupati nel tentativo di irrigidire il mercato del lavoro e di bloccare i meccanismi di riproduzione e la dinamica interna di classe. Al sindacato agricolo in questo quadro era affidato il compito di promuovere e congelare una serie di situazioni precarie, di sottoccupazione, impedendo che ne esplodessero le contrad­dizioni. La diffusione delle compartecipazioni, degli stralci poderali, la di­sciplina delle migrazioni interne, il controllo del collocamento, si inseri­scono all’interno di questa linea politica generale. Con l ’aggravarsi della crisi economica le organizzazioni sindacali promuovono contratti di com­partecipazione e la frammentazione nella conduzione delle aziende, men­tre aumenta parallelamente la loro perdita di controllo su vasti strati di lavoratori dell’agricoltura 34.

33 Questi dati sono il risultato di una mia elaborazione dei dati forniti dal Commissariato per le Migrazioni interne negli anni 1935, 1936, 1937, 1938 e 1939.33 Marginali, ma ugualmente significativi per l ’impegno organizzativo che comportavano per i sindacati, sono alcuni fatti che si susseguirono nella provincia dal 1931. Da quell’anno infatti alle manifestazioni provinciali dei produttori, in occasione della battaglia del grano o delle campagne bacologiche, presenziarono solo i premiati; dal 1939, neanche i premiati. È da sottolineare come in quelle circostanze la CFLA oltre a distribuire capillarmente le tessere di iscrizione, organizzasse in collaborazione con la Cattedra ambulante di agricoltura campi sperimentali per la semina, le concimazioni, ecc. Archivio di stato di Venezia, fondo Camera di commercio, cat. I l i , tit. II , 1931-1939.

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A questo proposito sono significativi alcuni passi de II piano autarchico della provincia di Venezia, un documento a cura della CFLA 35. Nel pa­ragrafo « disciplina del sistema di conduzione attualmente non regolato da contratti collettivi » si legge:Si è sovente constatato che per motivi non giustificati da ragioni tecniche e ambientali, ma per eludere la disciplina sindacale e le leggi sindacali con conseguente regresso delle con­dizioni di lavoro e della produttività della azienda si sono stipulati contratti tra azienda e lavoratore con forme di conduzione non regolate da nessun contratto di lavoro, dando adito a speculazioni. L ’adozione di uno o dell’altro sistema di conduzione deve essere in funzione delle condizioni ambientali e rispondere, soprattutto alle esigenze della produzione, dello sviluppo demografico e della elevazione delle categorie [...]

E per quanto riguarda la compartecipazione:[...] Come avviene già in moltissime province, aventi una economia agricola che si avvicina a quella della provincia di Venezia, necessita fissare il fabbisogno minimo di mano d ’opera da occuparsi per la sistemazione aziendale, per la ordinaria manutenzione della terra. Detto carico unitario di mano d’opera deve essere suddiviso nei vari periodi dell’anno e variabile secondo che si tratti di terreni di recente o di vecchia bonifica... La fissazione del fabbiso­gno aziendale dà inoltre la possibilità di conoscere la disponibilità delle giornate di lavoro di tutte le aziende condotte in economia per ogni comune e suddividerle equamente tra i lavoratori in modo da evitare quelle sperequazioni che attualmente avvengono frequente­mente nella assegnazione del lavoro.Logicamente il fabbisogno va fissato anche nelle aziende condotte a mezzadria sottoponendo il colono all’obbligo di assunzione di mano d ’opera o stralciare dalla unità poderale quella parte di terreno che non può essere coltivato dalla famiglia del mezzadro. Il terreno così stralciato dovrà essere condotto in compartecipazione.È stato dimostrato come sia insufficiente il numero delle giornate che attualmente viene oc­cupato per la lavorazione di tutte le culture erbacee condotte in economia. Spesse volte il conduttore per non ricorrere per ragioni economiche alla assunzione di mano d’opera, fa uso e abuso di macchine. A tale lacuna si può rimediare solo con l ’assegnare la coltivazione delle culture erbacee, escluse le foraggere, alle famiglie dei braccianti a compartecipazione suddividendone la superficie secondo la potenzialità e la capacità lavorativa della famiglia stessa.Osiamo affermare che la compartecipazione obbligatoria dei terreni condotti in economia, preferita e consigliata egualmente dal maggior reddito che viene a realizzare il conduttore in considerazione dell’aumento dei prezzi dei prodotti e dalla mancanza assoluta di norme che disciplinano e limitano l’uso delle macchine agricole e che fissino il contingente di mano d ’opera nelle aziende.

In particolare per quanto riguarda i mezzadri è perfino troppo ovvio no­tare che l’incapacità di conduzione del fondo derivava dalla mancanza assoluta di strutture, dalla difficoltà di attingere al credito, ecc. Con il rimedio proposto la CFLA non faceva che alienarsi ulteriormente le sim­patie di quella categoria di coloni che, all’inizio degli anni venti, erano stati conquistati al movimento fascista proprio dalla riduzione dell’impo­nibile di mano d’opera e dal sistema degli stralci.L ’indebitamento contadino, la politica degli stralci poderali sono alla base del processo di polverizzazione delle unità poderali che si verifica lungo tutto l ’arco degli anni trenta36Da quanto è emerso a proposito della politica sindacale per le comparteci­pazioni, si comprende la necessità avvertita dalle associazioni sindacali —

35

36 Archivio di Stato di Venezia, Camera di commercio, categoria III , titolo II , 1937. Non è stato possibile trovare dati omogenei per gli anni 1930-1946.

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per attuare tali contratti — di controllare e gestire complessivamente l ’of­ferta di lavoro in agricoltura. Strumento indispensabile in questo senso era la gestione del collocamento 37.

La gestione del collocamento agricolo e il dibattito che si sviluppa a Venezia tra il 1932 e il 1934

Un settore della attività sindacale di estrema importanza e delicatezza è costituito dalla gestione del collocamento. Attraverso di esso il sindacato poteva stabilire un rapporto di collegamento fondamentale con i disoccu­pati, in continuo aumento dal 1930 e protagonisti, anche nella regione, di numerose agitazioni38. Inoltre in base alla legge sulla disciplina delle migrazioni interne del 1928 39 gli uffici dovevano fornire periodicamente al Commissariato per le migrazioni interne informazioni dettagliate sulla situazione occupazionale delle varie province e dare una valutazione quin­di della eccedenza e della carenza di mano d’opera nei vari settori. Anche se le decisioni in materia di colonizzazioni interne restavano rigidamente centralizzate, la gestione del collocamento da parte delle organizzazioni sindacali forniva loro importanti occasioni di condizionare tali scelte.All’inizio degli anni trenta, con l’enorme aumento della disoccupazione, questo settore della attività sindacale, è al centro di un ampio dibattito che coinvolge, anche nella provincia di Venezia, oltre alla stessa organiz­zazione sindacale, le associazioni dei datori di lavoro, l ’Ufficio della econo­mia corporativa, il PNF. Questo dibattito e la riorganizzazione degli uffi­ci che ne consegue, si risolve in un ulteriore svuotamento delle organizza­zioni dei lavoratori, alle quali viene sottratto il monopolio del controllo del collocamento.In alcune zone fortemente bracciantili — ed in qualche occasione anche nella provincia di Venezia — 40 il collocamento della mano d’opera nelle varie aziende ha luogo in relazione con le vertenze sindacali generali (l’ap­plicazione e il controllo dell’imponibile, la revisione dei conti colonici, ecc.). La volontà di rompere questa unità di azione che il sindacato tenta­va di realizzare per recuperare credibilità all’organizzazione stessa ed al­l’azione intrapresa contro la disoccupazione, sta alla base della adesione da parte della organizzazione dei datori di lavoro alla proposta che prevedeva di unificare gli uffici di collocamento e di porli alla dipendenza di un or­ganismo corporativo. Si rivendicava inoltre l ’assoluta libertà di scelta per

37 Nel 1937 (anno cui è riferito il documento) il controllo del collocamento era affidato ad una commissione presieduta dal segretario federale del PNF, anche se materialmente il col­locamento della mano d ’opera veniva effettuato da funzionari sindacali.38 Cfr. P ietro Secchia, L'azione svolta dal Partito comunista in Italia durante il fascismo 1926-1932, Milano, 1969.39 RDL 28 novembre 1928 n. 2874.,0 Vedi Relazione sulla attività svolta dall’ufficio di collocamento nell'anno X II, a cura della CFLA, Archivio di Stato di Venezia, Camera di Commercio, posiz. part., Uffici di Col­locamento, b. n. 2.

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i datori all’interno delle liste dei disoccupati e secondo l ’unico criterio della qualifica e della capacità lavorativa 41.Il dibattito coinvolgeva direttamente e complessivamente il ruolo del sin­dacato nel controllo della mano d’opera e poneva in discussione l’ampiez­za dei suoi strumenti di intervento. Per queste ragioni si raggiungono toni di particolare asprezza nella polemica ma anche, soprattutto da parte sin­dacale, momenti importanti di chiarezza nel porre i problemi politici e di coscienza della ormai progressiva perdita di credibilità tra i lavoratori. È significativa a questo proposito la posizione di Tullio Cianetti, futuro ministro delle Corporazioni42:[...] Ora io mi domando qualora gli uffici di collocamento fossero unificati, gli inconvenienti di carattere tecnico sarebbero eliminati? Le piccole superabilissime contestazioni che avven­gono oggi per esempio, allorché si tratta di collocare nei lavori per la costruzione di strade braccianti disoccupati della industria e braccianti disoccupati della agricoltura, sarebbero eli­minati con la unificazione degli uffici? Certamente no. Si è parlato di duplicità di iscrizione, ma tutti sappiamo che la duplicità interessa poche migliaia di lavoratori, appunto di queste categorie intermedie ed indefinite che non sarebbero certo eliminate e definite con la uni­ficazione degli uffici di collocamento.Giustamente è stato affermato che la unificazione non potrebbe eliminare la formazione di sezioni e quindi la formazione di compartimenti-stagni che sono pericolosi in un organismo mastodontico. Dal lato amministrativo i vantaggi sarebbero pochissimi e comunque, siccome non esiste un problema amministrativo puro, in quanto questo è legato a quello tecnico, e ambedue a quello politico, i vantaggi contabili andrebbero a detrimento dell’ordinamento tecnico e soprattutto del problema politico.Ed allora è necessario che il problema del collocamento non divenga oggetto di discussione per quelli che si sono limitati a leggere la legge sindacale senza digerirla.[...] Su tutte le questioni sovrasta il problema politico. Se c’è un settore della attività sin­dacale che ha una delicatezza particolare e che va trattato con cautela è proprio quello del mercato della mano d ’opera [...]Il collocamento è un problema parziale, se pure importantissimo della attività sindacale se si esamina da solo si raggiunge un solo scopo: lo svuotamento del sindacato.

Il dibattito si definisce alPinizio del 1933 con l’adesione del Consiglio na­zionale delle Corporazioni all’ordine del giorno presentato da Razza:L ’Assemblea Generale del Consiglio Nazionale delle Corporazioni ritiene:1) Che l ’unificazione degli uffici di collocamento attualmente esistenti non possa non portare al graduale distacco di detti uffici dalle rispettive organizzazioni sindacali pregiudicando in tal modo sotto certi aspetti l ’efficienza assistenziale politica del sindacato e, in ultima analisi della corporazione, che appunto nel sindacato ha la sua base.

Nelle conclusioni così si esprime B. Mussolini:Fin dal 1927 il gran Consiglio del Fascismo stabilì che gli uffici di collocamento dovessero trovare la loro naturale e logica sede presso le organizzazioni sindacali... bisogna annullare ogni residuale prevenzione contro il sindacato che abbiamo creato esso non deve essere svuo­tato di quelle che sono le sue funzioni essenziali perché non basta la trattativa e la stipula­zione del contratto collettivo di lavoro a giustificare la sua esistenza43.

41 La resistenza dei datori di lavoro fu un forte limite e per l ’attuazione della politica di sbracciantizzazione e della politica antiurbana. In base al criterio della « capacità lavorativa » infatti a Porto Marghera gli industriali continuarono ad assumere mano d ’opera agricola al posto di disoccupati dell’industria. L ’Urbanesimo a Venezia nel 1933, doc. a cura del CdEL in Archivio di Stato di Venezia, Camera di commercio, posiz. part. interessi cittadini, unica busta, fase. 3.42 T ullio Cianetti, in « Il lavoro fascista », 21 dicembre 1932.43 Ibid. Il corsivo è nostro.

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L ’Ufficio di collocamento deve avere sede presso il sindacato dei prestatori d ’opera e deve svolgere tutte le funzioni sociali che la legge e il regime gli attribuiscono nel campo del contratto.

Alla fine del 1934 viene attuata l ’unificazione degli uffici di collocamento: ad esso viene preposta una commissione direttiva composta in misura pa­ritetica dai rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori. In una cir­colare riservata del Capo del governo ai prefetti44 vengono definite le fun­zioni dei prefetti e dei segretari federali: « il segretario federale deve so­vrintendere alFufficio unico provinciale dal punto di vista sindacale e i prefetti devono sovrintendere dal punto di vista tecnico e politico sinda­cale al funzionamento degli uffici ». Non è possibile entrare nel merito delle questioni sollevate dal dibattito sugli uffici di collocamento e sulla loro riorganizzazione a livello nazionale. Sarebbe infatti necessario affron­tare complessivamente il problema del ruolo delle organizzazioni di base del regime così come esso si viene a modificare durante gli anni trenta.Quello che qui interessa rilevare sono i riflessi sul Veneto ed in partico­lare sulla provincia di Venezia. L ’attività nel settore del collocamento a Venezia è particolarmente debole: funzionavano solo due sezioni (una a Dolo e una a Mestre), mentre nello stesso anno se ne contavano 20 a Padova, 38 a Rovigo, 25 a Verona, 30 a Vicenza, 105 a Cremona, 152 a Ferrara, 103 a Pavia45.Le assunzioni spesso avvengono individualmente, frequentemente anche i contratti vengono stipulati al di fuori del controllo e della normativa sindacale. Inoltre tutte le scelte di politica agraria e di bonifica nella pro­vincia vengono operate sotto la direzione incontrastata degli agrari.Per questa debolezza complessiva del sindacato il dibattito sul collocamen­to non assume localmente quella ampiezza e quella asprezza con cui si svolge a livello nazionale. Alle riunioni corporative il sindacato o è as­sente o le motivazioni che adduce in difesa di un collocamento gestito dal­le organizzazioni dei lavoratori sono di carattere tecnico, senza mai entrare nel merito politico della questione.

Tuttavia si può notare una differente reazione alla proposta di sottrarre il controllo degli uffici alle organizzazioni dei lavoratori del sindacato agri­colo rispetto al sindacato industriale. Calura, segretario provinciale della CFLA nella riunione corporativa del 16 febbraio 1934, si dimostra consa­pevole che l ’unificazione avrebbe portato ad un duro contraccolpo all’inter­no della organizzazione dei lavoratori agricoli, mentre A. Bifani, segre­tario provinciale del sindacato lavoratori industriali, nella riunione del 12 febbraio 1934, afferma « che il provvedimento potrebbe giovare al fun­

44 Archivio di Stato di Venezia, Camera di Commercio, posizioni particolari, Uffici di col­locamento, busta n. 4, circolare n. 202 del 7 novembre 1934.45 Cfr. Il collocamento della mano d ’opera in provincia di Venezia nel 1934, documento a cura della CFLA, op. cit.La situazione appare modificata nel 1936; in quell’anno anche a Venezia esistevano uffici di collocamento per ogni mandamento e responsabili sindacali per il collocamento in ogni co­mune, nel 1936 gli iscritti alla CFLA sono oltre 15.000.

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zionamento degli uffici » e che « sarebbe utile per l ’economia produttiva eliminare le preferenze sancite per legge nei riguardi delle assunzioni dei disoccupati, in modo che la scelta venisse basata al solo requisito della capacità lavorativa » 46.All’inizio del 1934 (quasi un anno prima della sanzione della unificazione) i datori di lavoro risultano vincenti all’interno della organizzazione corpo­rativa provinciale del PNF in aperto ed esplicito contrasto con le decisio­ni del Capo del governo.È sintomatico a questo proposito l ’intervento di Fantucci (così come vie­ne riprodotto dai verbali)47 delegato del segretario federale alla riunione del febbraio 1934; un anno dopo Fantucci diventerà il responsabile del­l ’Ufficio unico.Riferendosi al suo passato di sindacalista dell’avanguardia crede di poter chiarire il proprio pensiero sull’argomento senza pericoli di essere frain­teso. Non ritiene che l’organizzazione attuale degli uffici in parola sia la più perfetta ed afferma che essa deve essere modificata nel senso di riunire in un unico ente tutti gli uffici esistenti.D ’altra parte sarebbe necessario sottrarre alla discipfina delle organizza­zioni professionali dei prestatori d’opera il personale degli uffici di collo­camento al fine di renderlo indipendente da ogni influenza della organiz­zazione stessa. Bisognerebbe eliminare le preferenze sancite per legge pri­vilegiando solo la capacità lavorativa.Circa le dichiarazioni fatte dal Capo del Governo alla Assemblea Gene­rale del Consiglio delle Corporazioni non ritiene che tali dichiarazioni fis­sino definitivamente l’organizzazione degli uffici stessi, la quale deve mo­dificarsi per aderire sempre di più ai reali bisogni della economia pro­duttiva.Anzi si dice propenso a credere che se il Capo del governo potesse rendersi conto di come funzionano gli uffici di collocamento senza dubbio darebbe nuove direttive in merito.Dopo il 1934 la gestione del collocamento passa sotto il controllo delle organizzazioni corporative e del PNF anche se viene effettuato da collo­catori che sono nel contempo funzionari sindacali. Dal Io gennaio 1939 l ’avviamento al lavoro sarà fatto dalle organizzazioni sindacab.

Gli orientamenti in materia di bonifica

Si è già accennato al processo di concentrazione delle proprietà in unità medio-grandi, tuttavia occorre, da una parte individuare gli strumenti at­traverso i quali si rese possibile l ’aggregazione delle proprietà (gestione e

46 II verbale è conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia, Camera di Commercio, posiz. part., Uffici di Collocamento, b. n. 3.47 Ibid., p. 4 e 5. I corsivi sono nostri.

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funzionamento dei Consorzi di bonifica, finanziamenti per tipi di opere ese­guite, ecc.) e dall’altra — dal momento che la dimensione non è ancora un elemento sufficiente per dare un giudizio della efficienza e della auto­nomia economica delle aziende — analizzare gli ordinamenti culturali e le rese unitarie per ettaro. Nel Veneto i Consorzi di bonifica incidevano per 916.163 ettari di superficie che, rapportata a quella agrario-forestale della regione, rappresentava il 41,92 per cento, rapportata invece alla sola zona di pianura, incideva per l ’83,54 per cento48 49.In base alla legge sulla bonifica del 1933, teoricamente e praticamente non vi era opera che non potesse rientrare in un progetto di bonifica; così infatti venivano definite tali opere: « Le opere di bonifica sono quelle che si compiono in base ad un piano di lavoro e di attività coordinate con rilevanti vantaggi igienici, economici, in comprensori in cui ricadano sta­gni, paludi o terre paludose o costituite da terreni montani o dissestati nei riguardi idrogeologici o forestali, ovvero da terreni estensivamente inu­tilizzati per gravi cause di ordine fisico, sociale, suscettibili, rimosse que­ste, di una radicale trasformazione deH’ordinamento produttivo ». La leg­ge quindi lasciava i più ampi spazi alla iniziativa privata mentre lo stato si faceva totalmente carico di tutte quelle opere preliminari e infrastrut­turali necessarie alla trasformazione dell’ordinamento produttivo. Quando i fondi della legge Mussolini finiscono (1934) sono già state portate a compimento nella regione quelle opere a carattere idraulico cui lo stato contribuiva quasi integralmente.TAB. 6 - Spese in migliaia di lire per le opere di bonifica nel Veneto al 1° luglio 19324’ .

Opere in concessione Opere a cura direttaautorizzate eseguite in corso autorizzate eseguite in corso103.105 89.759 133.396 677.977 466.387 211.591

Le opere eseguite avevano comportato una spesa nel complesso di lire556.146.000 sul totale dei finanziamenti dell’Istituto federale delle Casse di risparmio il 46,82% era costituito da finanziamenti per opere di bonifica in provincia di Venezia.Ma già nell’aprile 1929, pochi mesi dopo la promulgazione della legge Mussolini sulla bonifica integrale, in una riunione tenutasi presso il Con­siglio della economia corporativa50, tra i componenti della commissione agricola e i dirigenti dei Consorzi emergono chiaramente gli orientamenti in materia di bonifica i quali vedevano come principale protagonista la

48 Cfr. M inistero per la Costituente, Rapporto della Commissione Economica, I , Agri­coltura, Appendice alla relazione, p. 341.49 V. Ronchi, op. cit., p. 36.50 Significativa è la composizione della commissione agricola del CdEC: presidente: Ca­millo Valle (poi A. Cà Zorzi, grande proprietario di Noventa di Piave e dal 1930 compo­nente il Consiglio di amministrazione del Consorzio Agrario), vice presidente: Luigi Pas­setta (presidente dei Consorzi di Bonifica di San Dona di Piave), Carlo Veronese (grosso proprietario, dal 1939 presidente del Consorzio agrario, nel 1935 presidente del sindacato provinciale proprietari e affittuari e nel 1930 consigliere della Banca e Cambio di Vicenza), A. Bombarba, Pietro Potente, Mario Ravagnan e Valentino Frezzato (componenti di CdA del Consorzio agrario), e il direttore della Cattedra ambulante di agricoltura.

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azienda capitalistica condotta per mezzo di salariati, in netta opposizione al principio dell’appoderamento.Nella relazione tenuta da Camillo Valle si legge infatti:La grande a2ienda costituisce un ordinamento agrario dal quale non si può prescindere fino a che le terre di bonifica non consentono, dopo un loro primitivo sfruttamento con un regime prevalentemente cerealicolo, di instaurarsi di una agricoltura sempre più intensiva a base di piante industriab e foraggere — con conseguente speculazione (sic) zootecnica fino a che il soprasuolo (viti, gelsi, alberi da frutto) non è perlomeno prossimo a dare i suoi frutti. Allora soltanto si potrà pensare all’appoderamento [...] fino a quel momento sarà — ripetiamo — la grande azienda ad avere il sopravvento e che, gestita da società o da valenti agricoltori, sarà altresì in grado con una buona organizzazione o con la guida di personale dirigente capace di fare una agricoltura di carattere industriale e convenientemen­te redditizia [ . . . ] 51.

Un’altra indicazione emersa con chiarezza dalla riunione fu quella di pro­cedere con decisione al concentramento della proprietà in applicazione della norma che dava facoltà al Consorzio di bonifica di espropriare e so­stituirsi al proprietario inadempiente; ma fatto molto più grave, si rivela inoltre l ’applicazione della norma anche al di fuori dei territori di com­petenza dei consorzi, come risulta dai punti 3 e 4 votati come ordine del giorno:3) Che venga esercitata una più accurata applicazione delle sanzioni che la legge prevede in confronto di quei conduttori i quali per la loro negligenza e incapacità tecnica ed econo­mica ritardino la valorizzazione agricola delle terre bonificate.4) Che detta applicazione venga esercitata anche al di fuori delle terre di bonifica vera e propria, là dove il rendimento agricolo appaia notevolmente scarso in confronto alla pro­duzione media locale ed in dipendenza da difetti di conduzione52

Già nel settembre 1929 opera presso la Federazione fascista degli agri­coltori una commissione provinciale per la bonifica i cui compiti ci ven­gono chiariti da una circolare53 di cui al punto a) : « Resta chiaramente stabilito che le commissioni devono avere quale base un ristretto numero di agricoltori scelti tra i migliori della provincia, i più attivi e i più pratici in materia di trasformazioni fondiarie [...] ».Tra questo « ristretto numero di agricoltori » ritroviamo quegli agricol­tori che già facevano parte della Commissione agricola del consiglio della economia corporativa, e del Consiglio di amministrazione del consorzio agrario provinciale54. Essi erano messi in grado, anche attraverso la Com­

51 Camillo Valle, presidente della sezione agricola e forestale del CdEC era inoltre mem­bro del CdA della fabbrica cooperativa di perfosfati di Portogruaro dal 1920 al 1928, dal 1925 membro del CdA della Banca popolare cooperativa di Padova e dal 1925 al 1931 pre­sidente del Consorzio di bonifica di Lugugnana (Portogruaro).52 Nella stessa relazione C. Valle specifica che ciò sarebbe potuto avvenire dopo almeno un trentennio dall’inizio della bonifica.53 Circolare n. 36736, senza data, ma presumibilmente del 1929-’30 firmata da D. Cac­ciar! e De Stefani rispettivamente per la Confederazione nazionale fascista degli agricoltori e per l’Associazione nazionale consorzi di bonifica, in Archivio di Stato di Venezia, Camera di commercio, posizioni particolari: La bonifica integrale, unica busta.54 Eccone la composizione: Presidente: Prefetto Bianchetti, membri: G. Suppiej, segre­tario del PNF, G. Giuriati, presidente dell’Istituto Lotta antimalarica, Camillo Valle, pre­sidente della Commissione agricola del CdEC (poi A. Cà Zorzi), Antonio Garioni (direttore della cattedra ambulante di agricoltura e membro del CdA del Consorzio Agrario), C. Bor- tolotto (presidente della federazione fascista degli agricoltori), A. Cà Zorzi (membro del CdA

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missione di studio di indirizzare gli interventi di bonifica, di decidere la costituzione dei Consorzi e la loro dimensione e delimitazione. Compito della commissione era infatti quello di raccogliere notizie e studi circa le varie possibilità di bonifica integrale nelle province, esprimere pareri e te­nere di volta in volta informati gli organi centrali, fare una graduatoria delle singole iniziative, accompagnate da valutazioni sui costi, sulle pro­prietà, nonché da valutazioni sulla opportunità di creazione dei Consorzi di bonifica e, una volta approvati, contribuire alla loro formazione e fun­zionamento.Tutto ciò portò nella provincia alla creazione di un gran numero di con­sorzi spesso di modeste dimensioni, in molti casi coincidenti con grosse proprietà, specie nella zona del Piave e tra il Lemene e il Li venza. Se si considera poi che nei Consorzi di bonifica il voto nella assemblea era proporzionale alle dimensioni della proprietà e che i consorzi erano divisi in bacini ed ogni bacino aveva una assemblea e una giunta, si comprende come i grossi proprietari avessero il totale controllo della organizzazione consortile.Sempre a proposito dei Consorzi di bonifica compresi nella zona tra il Lemene e il Livenza lo stesso rapporto INEA afferma: « la suddivisione del territorio in tutte le unità sopraelencate, dovuta a cause contingenti di iniziativa individuale [...] non ha contribuito ad uno sviluppo organico della bonifica e devesi riconoscere che l’unità di indirizzo avrebbe giovato a coordinare le varie opere » AIn molti comprensori (Delta Brenta, Foci Brenta Adige, Vallio Meolo) l ’iniziativa privata si concentrò anche nelle aree paludose, dove in prece­denza dominava la proprietà non imprenditrice (è il caso delle valli da pesca del Consorzio di bonifica di Lugugnana espropriate alla cooperativa di pescatori di Caorle). In questi comprensori si eseguirono le opere idrau­liche a totale carico dello stato con la formazione di nuove unità poderali, nelle zone di vecchia bonifica e furono eseguite opere infrastrutturali di ogni genere.All’interno di questi processi le organizzazioni sindacali rimasero comple­tamente estranee, così come di fronte ai fenomeni di esproprio e di spez­zettamento delle piccole e medie proprietà indebitate. È significativo che ancora nel 1937 nel rapporto citato II piano autarchico per la provincia di Venezia a proposito della bonifica la CFLA si limiti a rivendicare una mag­giore rappresentanza all’interno dei consigli di amministrazione ed una maggiore concentrazione dei consorzi56.L ’effettivo processo di concentrazione da una parte e di spezzettamento

del Consorzio Agrario), C. Gasperini, C. Salvagnini, Carlo Combi, Ugo Perocco (membri del CdA del Consorzio Agrario), L. Di Castri, segretario della CFLÀ, e C. Veronese, dal 1939 presidente del Consorzio Agrario della Federazione Fascista degli Agricoltori, dal 1935 re­sponsabile del sindacato provinciale proprietari e affittuari.55 Cfr. I comprensori di bonifica, a cura dell’INEA, Roma, 1940, p. 257.56 CFLA, op. cit., p. 5.

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dall’altra, potrebbe essere documentato dai dati catastali dei Consorzi stessi, di cui si dispongono tuttavia solo notizie frammentarie 57.Nei Consorzi di bonifica riuniti del Basso Piave su 5.663 ditte esistenti alla fine degli anni trenta in possesso dei 46.332 ettari, 3.883 ditte som­mavano un totale di 906 ettari ed altre 1.116 avevano una superficie compresa tra uno e tre ettari.Se si considerano alcuni comuni del Basso Piave: San Donà e Ceggia si ha che a San Donà, nel 1928, undici proprietari concentravano il 39,4 per cento della superficie agraria complessiva; nel 1946 sei proprietari concen­travano oltre il 30 per cento della superficie; a Ceggia nel 1928 quattro proprietari concentravano il 57,2 per cento della superficie e nel 1946 tre proprietari concentravano il 58,06 per cento della superficie. Com­plessivamente nella zona del Piave nel 1946 l’l,7 per cento dei proprie­tari occupa il 53,79 per cento della superficie e nella zona del Livenza- Tagliamento P i,2 per cento dei proprietari il 54,42 per cento.Come testimonianza degli indirizzi di bonifica seguiti nella provincia e sulla gestione dei Consorzi, è significativo l’intervento del Sottosegretario alla Bonifica integrale, Arrigo Serpieri, al Convegno dei Bonificatori del­le Tre Venezie tenutosi a Venezia il 18 aprile 1932:Io dico e ripeto per rennesima volta che per alcuni anni è tempo di por fine a nuove ini­ziative con conseguenti vane speranze, è tempo di por fine alla fantasia dei progettisti.E dico e ripeto che nei territori di più antica bonifica, bisogna porre un fine alle continue richieste di nuove opere complementari accontentandosi di avere in tanto reso possibile un primo e spesso cospicuo grado di intensificazione della agricoltura senza sottrarre mezzi finanziari a chi ancora attende di vedere ultimate le opere fondamentali [...].

E più oltre sulla proliferazione dei Consorzi:[...] Di questo sviluppo molto dobbiamo compiacerci, ma dobbiamo anche preoccuparci, perché ci sono pericoli che dobbiamo assolutamente evitare: è primo quello che ad un certo punto l’organizzazione consortile appaia come un nuovo, pesante meccanismo tribu­tario sulla terra, senza corrispondenti e ben evidenti vantaggi, di meccanismi tributari non ce n’è proprio bisogno di inventarne di nuovi.Bisogna dunque rigorosamente cercare l’equilibrio tra il costo dell’organizzazione consortile e l’utilità che essa reca ai consorziati, e non utilità generiche, evanescenti, ma utilità concre­te, precise, misurabili, evidenti a tutti.Questo è in primo luogo problema di selezione dì dirigenti; l ’ideale è che essi siano bravi proprietari e insieme bravi cittadini fascisti [...].Su questa strada dobbiamo compiere molti progressi perché talora l ’attività del Consorzio degrada in una miope e gretta tutela delle proprietà solo preoccupata di evitare gli oneri anche se sopportabili e solo lieta delle opere a carico dello Stato, mentre in alcuni casi i dirigenti sentono troppo scarsamente i limiti posti alle possibilità e sotto la pressione dei progettisti fantasiosi o di operai che chiedono lavoro vanno verso lo schiacciamento della terra sotto oneri non compatibili.Bisogna frustare i primi ma anche frenare i secondi [...].

E circa i contributi consortili: « La ripartizione degli oneri per superficie può essere una transitoria necessità, ma si deve arrivare al più presto alla classifica vera e propria, altrimenti gli oneri di bonifica diventano un ini­quo sfruttamento di alcuni proprietari su altri [...] ».

57 Cfr. intervento di V. Vazzoler in II convegno delle bonifiche delle Tre Venezie, Ve­nezia, 1947.

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In chiusura Serpieri accennò anche al problema dell’incontrollato trasfe­rimento di proprietà della terra a causa delle difficoltà in cui molti si tro­vano nel dover far fronte ai debiti contratti dichiara che « In questi casi è preferibile che i proprietari vendano una parte delle loro proprietà e con il ricavato bonificare il resto, è un movimento che si deve incoraggia­re costituendo gruppi di privati o di Enti che acquistino la terra e faccia­no la bonifica agraria » 58.Aver dato mano libera ai proprietari terrieri in materia di bonifica costi­tuì senz’altro un impedimento ad un allargamento programmato delle opere di trasformazione fondiaria sul territorio, cui invece era favorevole Serpieri. In questo senso si può parlare di parziale insuccesso della bonifi­ca integrale ed è lecito affermare che il regime, nel promuovere la bonifica, non seguì criteri di programmazione di largo respiro. La corsa all’autoriz­zazione di opere infrastrutturali di ogni genere con i contributi dello stato favorì in molte zone quali la provincia di Venezia la grande azienda capi­talistica.Mi pare schematico quindi il giudizio di chi vede nel parziale fallimento della bonifica integrale il prevalere degli interessi della proprietà fondiaria arcaica. Gli indirizzi in materia di bonifica e la loro realizzazione andarono piuttosto nella direzione di una accentuazione degli squilibrii interni al settore agricolo.La grande azienda capitalistica quindi, attraverso il Consorzio agrario e i Consorzi di bonifica, riuscì a ottenere una autonomia economica e di strut­ture che le permisero di far fronte alla crisi.Un primo elemento di cui tener conto inoltre per valutare lo sviluppo della azienda capitalistica è costituito dalla normativa contrattuale e sala­riale dei braccianti.L ’orientamento generale seguito nella stipulazione dei contratti di lavoro era quello di adeguare la forza lavoro alle esigenze tecniche e all’andamen­to economico dell’azienda.La quota fissa di salario in natura per ogni lavoratore, legava direttamente la retribuzione al prezzo dei prodotti del raccolto, l ’esistenza di una tariffa salariale e di un orario di lavoro differenti per ogni diverso tipo di man­sioni e per ogni periodo dell’anno legava la retribuzione alle esigenze tecniche e culturali dell’azienda. Differenze di salario esistevano poi oltre che per le varie categorie e qualifiche per sesso, per età, per circoscrizioni e zone agrarie.Tutto ciò senza considerare le diminuzioni salariali complessive.Nella provincia di Venezia ad una prima riduzione salariale complessiva per tutti i salariati del 20 per cento nel 1926, seguì nel 1930 una ridu­zione del 30 per cento sui salari dei giovani dai 16 ai 18 anni e dei brac­cianti dai 60 ai 65 anni ed una riduzione di ben il 50 per cento per i

« L ’agricoltore veneziano », 23 aprile 1932. I corsivi sono nostri.

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bovari dai 16 ai 18 anni. A partire dal 1931 tutti i salari subirono una di­minuzione del 20 per cento 39.Ancora nel 1933 la regione è al secondo posto, dopo la Lombardia e pri­ma dell’Emilia per produttività per ettaro per grano e mais. Nella fascia litoranea del Piave e nella zona Livenza-Tagliamento, dove maggiori fu­rono gli interventi di bonifica, l’indirizzo culturale si fa più differenziato e la produzione all’interno della singola azienda, maggiormente integrata. Accanto a culture prevalentemente cerealicolo-foraggere, una discreta consi­stenza assume il patrimonio bovino così come le culture industriali (vite, barbabietola, alberi da frutta).

Spesso le aziende sono dotate di attrezzature importanti per la trasforma­zione dei prodotti (cantine, latterie, caseifici, ecc.).

La provincia presenta poi una produttività per ettaro di grano e mais co­stantemente crescente, e comunque tra le più alte della regione.

TAB. 7 - Produzione unitaria per ettaro del frumento nella provincia di Venezia dal 1926 al 1933“ .

Anni superficie rese per ha. produzione complessiva

1926 41.000 17,07 700.000 ql.1927 39.200 13,39 525.000 »1928 36.500 15,50 552.000 »1929 23.637 22,50 532.000 »1930 29.237 17,20 502.000 »1931 35.270 23,50 828.600 »1932 38.110 24,00 913.900 »1933 42.067 24,30 1.022.200 »

La produzione e la distribuzione dei fertilizzanti

I risultati produttivi cui si è accennato oltre che da tutte le agevolazioni di carattere economico e finanziario che abbiamo cercato di individuare nel quadro tracciato delle campagne veneziane negli anni trenta, furono rese possibili da un altro elemento fondamentale: la diffusione dei concimi chimici59 60 61 62.

59 Tutti i dati e le notizie sono tratti da: Tariffe per il bracciantato nella provincia di Ve­nezia, a cura della CFLA, Lettera ai soci, 2 marzo 1926, in Archivio di stato di Venezia, Camera di Commercio, cat. I l i , tit. II, 1926. Inoltre: L ’Attività Economica in provincia di Venezia nel 1929-1930, a cura del CdEC, Venezia, 1931 e L ’Attività Economica in provincia di Venezia nel 1931, Venezia, 1933.60 Ad un calo complessivo del patrimonio bovino tra il 1932 e il 1933, corrisponde un aumento nelle zone del Tagliamento e del Piave rispettivamente dell’8 per cento e dell’1,25 per cento. Archivio di Stato di Venezia, Camera di commercio, cat. I l i , tit. II, 1934. Rela­zione sull’Agricoltura.61 Relazione sull'Agricoltura, 1934, cit., p. 5.62 Nel 1930 nel Veneto erano consumati rispettivamente per concimi fosfatici e azotati 100,7 ql. e 17,46 ql. per ha. La media a livello nazionale era di 73,7 ql. per i fosfatici e 17,51 per gli azotati. Cfr. Ministero delle Corporazioni, Direzione Generale della Pro­duzione e degli Scambi, Annuario per le industrie chimiche, 1930, Roma, 1931.

Page 27: Il fascismo nelle campagne veneziane (1929-1940)* · Il fascismo nelle campagne veneziane (1929-1940) 35 4 Cfr. « Bollettino del lavoro e della previdenza sociale », Roma, 1921,

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Sulla questione dei concimi chimici si sviluppa dal 1926 al 1939 un aspro dibattito sulla Montecatini, che deteneva il monopolio quasi assoluto della produzione dei fertilizzanti, e gli agricoltori organizzati nella Federazione Fascista degli Agricoltori e nella Federazione italiana dei consorzi agrari.

Vale la pena di ricostruire la vicenda nei suoi aspetti fondamentali sia perché ebbe importanti sviluppi proprio nella provincia, sia perché vede come protagonisti i Consorzi agrari dell’Italia settentrionale e gli organi di potere locali: il Consiglio della economia corporativa. Gli agrari riusci­rono ad ovviare al problema del caroconcime con la costruzione di un im­pianto di azotati a Porto Marghera direttamente gestito dagli agricoltori.

Dal 1920 tutto lo sforzo produttivo della Montecatini viene infatti con­centrato nella produzione dei prodotti chimici per la agricoltura. Il valore degli impianti tra il 1920 e il 1926 raddoppia, le riserve aumentano di un­dici volte, senza dover ricorrere al credito bancario63. Dal 1926 al 1939, in seguito alla battaglia del grano ed all’aumento delle concimazioni, si sviluppa una violenta polemica tra la Federazione fascista degli agricol­tori e la Federazione italiana dei consorzi agrari e la Montecatini64. Per risolvere la polemica il governo nomina una commissione di studio che darà piena soddisfazione al gruppo Montecatini, sostenendo che la situa­zione a livello nazionale era tale da imporre anche agli agricoltori pesanti sacrifici.Il quadro subisce un mutamento nel 1930, in piena crisi. La Federazione italiana dei consorzi agrari conclude un accordo con la Montecatini in base al quale i prezzi dei concimi sarebbero dovuti rimanere stabili. In pratica la Federazione rinunciava a far valere la propria posizione di forza come principale acquirente della Montecatini.Questa posizione della Federazione italiana dei consorzi agrari può essere in parte spiegata dallo stretto legame esistente tra i dirigenti della Fe­derazione stessa e il gruppo industriale di cui molti erano azionisti. Inol­tre la stragrande maggioranza dei 12.500 azionisti della Montecatini è costituita da agricoltori. Essi sono interessati a mantenere alti i prezzi dei concimi in quanto, anche se debbono pagare la differenza come agri­coltori, questa rappresenta una perdita inferiore all’utile che ne ricavano in quanto azionisti. L ’utile dell’investimento azionario dal 1926 al 1929 fruttò costantemente il 18 per cento. Negli anni successivi questo utile scese all’8 per cento. La crisi generale determinava una progressiva dimi­nuzione dei prezzi dei prodotti agricoli e nel 1935 seguì un altro accordo che portava alla riduzione del 4 per cento sui prezzi dei fertilizzanti. Dal

43 Abbiamo potuto a questo proposito consultare la tesi di laurea di C. F ranchini, La for­mulazione di un monopolio nella industria chimica: la Montecatini dal 1920 al 1926 soste­nuta a Milano nell’anno accademico 1969-1970, rei. prof. B. Caizzi, pp. 61-64 e pp. 76-77. 4‘ Nel 1926 a Venezia al I congresso della Federazione degli agricoltori viene votato un ordine del giorno in cui viene ripresa la relazione di C. Bortolotto nella quale si invocava l ’intervento del governo nei riguardi dei monopoli chimici. Cfr. « Il popolo del Veneto », 22 aprile 1926.

Page 28: Il fascismo nelle campagne veneziane (1929-1940)* · Il fascismo nelle campagne veneziane (1929-1940) 35 4 Cfr. « Bollettino del lavoro e della previdenza sociale », Roma, 1921,

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1935 al 1938-1939 i fertilizzanti azotati subirono un ulteriore aumento del 6 per cento per gli ammoniacali e dell’8 per cento per i nitrici.È in questo quadro che si inserisce la domanda65 per la costruzione di un impianto cooperativo per azotati a Porto Marghera che, come si ap­prende dalla relazione di Donegani alla assemblea straordinaria del grup­po Montecatini nel 1939, si collocava in un momento di carenza com­plessiva della produzione66. Prima di entrare nel merito della vicenda, è opportuno fare una breve premessa sugli effetti della legge del 1933 che sottoponeva obbligatoriamente ad autorizzazione governativa l’installazione di ogni nuovo impianto o ampliamento di impianti esistenti, anche per meglio individuare le posizioni degli organi locali. Solo una minima parte dei nuovi impianti ed il 16 per cento 67 degli ampliamenti autorizzati fu­rono effettivamente eseguiti. Già da questo primo elemento si può de­durre come le imprese considerassero l’autorizzazione più come una ipo­teca contro eventuali concorrenti che come una effettiva esigenza produt­tiva o immediata necessità di realizzazione.La disciplina degli impianti si rivelò quindi, prima di tutto, un sistema in base al quale i grandi gruppi economicamente e politicamente potenti si accaparravano, nelle riunioni corporative, le più promettenti iniziative pur non avendo sempre intenzione di sfruttarle allo scopo di evitare il rafforzamento delle piccole e medie industrie. Se si considera che i settori in cui ha maggiormente funzionato tale strumento legislativo furono quel­lo della siderurgia a ciclo integrale e quello della chimica, appare evidente come il controllo governativo degli impianti abbia comportato il poten­ziamento della grande industria nei suoi settori strategici. Contro questo indirizzo spiccatamente monopolistico della legge che trasferiva a livello nazionale le scelte di carattere produttivo, ci furono forti resistenze da par­te degli organi corporativi locali.Nei mesi immediatamente seguenti infatti il Consiglio provinciale della economia corporativa chiede che Venezia e la zona industriale di Porto Marghera sia esonerata dall’applicazione del provvedimento legislativo per « non compromettere il regolare e complessivo sviluppo di quegli stabili- menti che inizialmente sono stati eretti parzialmente con il programma di portarli a termine in un periodo successivo » 68. Sempre del 1933 è una lettera di G. Giuriati69, presidente della SIRMA ed ex ministro dei La­vori Pubblici, nella quale si fa presente al prefetto (presidente del Consiglio dell’economia corporativa) l ’importanza della azienda per lo sviluppo di Por­

65 La domanda veniva inviata tramite l ’Ufficio provinciale dell’economia corporativa al mi­nistero delle Corporazioni in base al dettato della legge 12 gennaio 1933, n. 141.66 Vedi « Il Popolo d’Italia », 1 aprile 1939.67 Cfr. Ministero per la Costituente, Commissione Economica, Relazione, Industria, voi. II , Roma, 1946.“ Cfr. Archivio di Stato di Venezia, Camera di Commercio, cat. I l i , tit. II , 1933, busta n. 1, fase, posizioni generali.69 Archivio di Stato di Venezia, Camera di Commercio, posizioni particolari, Porto, bu­sta n. 9.

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to Marghera e si chiedono inoltre garanzie per il completamento degli im­pianti in corso. L ’Ufficio corporativo provinciale si fa portavoce di alcune preoccupazioni del capitale locale circa la possibilità di completamento e di sviluppo degli impianti esistenti o in programmazione. Durante l’arco degli anni trenta si verificherà in più di una occasione un vero e proprio con­flitto di interessi tra rappresentanti del capitale locale e le ingerenze delle società per lo più a partecipazione statale.È il caso della richiesta presentata dalla Montecatini nel 1935 al fine di raddoppiare la propria produzione di alluminio (da 20.000 a 40.000 ton­nellate) 70. Ad esso viene dato parere negativo dal Consiglio dell’economia corporativa per non ledere gli interessi della SAVA; il ministero darà al contrario parere favorevole alla richiesta nei termini posti dalla Monte- catini. Analogo è il caso della Società San Marco che nel 1934 chiede l’autorizzazione di produrre un tipo di concime azotato (la calciocianami- de). Tale domanda sarà approvata in sede locale ma sarà respinta a livello nazionale per non intaccare gli interessi Montecatini che nel campo aveva assunto posizioni di monopolio.Già dal 1927 infatti la Montecatini controllava i 2 /5 della produzione nazionale della calciocianamide, dopo aver assunto cioè il controllo della Società Italiana Prodotti Azotati (SIPA). Dal 1927 la Montecatini è la sola distributrice di questo fertilizzante in quanto ritira e vende anche la produzione della Terni, mentre la SIPA è legata da un accordo con le principali società estere fornitrici del mercato italiano e stabilisce di volta in volta i quantitativi da importare e si occupa direttamente dell’impor­tazione e della distribuzione.La sola Società italiana carburo, che è indipendente dal cartello SIPA Mon- tecatini-Terni-Società straniere, pratica per la calciocianamide un prezzo di vendita inferiore. Nel 1926 essa afferma che nei suoi stabilimenti di Ascoli Piceno il costo di produzione per quintale è pari a lire 85, sostiene quindi che il prezzo praticato di lire 112 è più che sufficiente a coprire le spese e lascia un profitto del 12 per cento sul capitale. La Montecatini dal canto suo sostiene invece che nei suoi stabilimenti di Domodossola il costo di produzione è pari a lire 121,50 71.In questa situazione di monopolio della Montecatini ancora nel 1934 la San Marco cerca di aprirsi un varco praticando prezzi inferiori. La richie­sta tuttavia viene respinta anche se effettivamente la produzione del con­cime a Porto Marghera avrebbe diminuito i costi di trasporto per tutta l ’Italia. Tale diminuzione si sarebbe a sua volta tradotta in un conteni­mento dei prezzi di vendita (vedi tabella 8). Sostanzialmente la San Mar­co con la sua richiesta di autorizzazione a produrre 50.000 tonnellate di calciocianamide (elevabili a 100.000) intendeva coprire il consumo di

70 Archivio di Stato di Venezia, Camera di Commercio, cat. I l i , tit. I l i , 1933, busta n. 1, fase. Montecatini, ampliamento impianto alluminio.71 Questi dati assumono maggiore significato se confrontati con i corrispondenti valori sui principali mercati esteri: Francia 91,10 lire il ql.; Belgio 90,00 lire il ql.; Germania 89,25 lire il ql.; Gran Bretagna 96,75 lire il ql. Cfr. C. Franchini, op. cit., p. 88-89.

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parte della Lombardia, dell’intero Veneto e dell’Emilia, consumo che si aggirava intorno alle 40.000 tonnellate. Avrebbe così sottratto alla Mon­tecatini il 30 per cento sulle vendite72.TAB. 8 - Allegata alla domanda S. Marco per un impianto di calciocianamide, 1934

Regioni Provincie Consumo Km.da Temi

Km.da Marghera

differenza in Km.

differenza in lire

Lombardia Brescia 7.310,2 549 175 374 62,00» Mantova 2.204,2 469 137 332 59,05

Tot. regione Veneto Belluno

9.514,427,9 573 107 466 52,75

» Padova 415,5 459 29 430 81,70» Rovigo 387,4 416 73 343 85,95» Treviso 936,4 509 21 488 68,05» Udine 969,9 604 116 488 95,72» Venezia 1.394,7 497 12 485 96,95» Verona 3.616,9' 484 111 373 96,95

Tot. regione Emilia Bologna

7.748,76.651,5 376 152 224 81,70

» Ferrara 2.760,7 383 105 278 41,60» Forlì 3.126,7 307 202 105 53,80» Modena 2.816 407 189 218 18,95» Parma 1.244,2 460 212 248 37,65» Piacenza 1.972 517 241 276 40,65» Ravenna 1.417,4 309 170 130 44,15» Reggio E. 11.263,0 432 214 218 24,50

Tot. regione 21.254,8In complesso 38.977,1 36,66

Quando nel 1930 venne costituita a Venezia la San Marco, il progetto di installazione prevedeva di produrre annualmente: 100.000 tonnellate di calciocianamide, 40.000 tonnellate di ferroleghe, 80.000 tonnellate di car­buro di calcio, 1.000.000 di metri cubi di acetilene e 4.000.000 di ossi­geno. Successivamente, per accordi intervenuti con le altre ditte produt­trici di calciocianamide la Società rinunciava temporaneamente alla pro­duzione del concime e sospendeva il completamento dello stabilimento li­mitando in un primo tempo le sue attrezzature alla sola produzione di car­buro di calcio e ferroleghe, con l ’installazione di due soli forni elettrici della potenza complessiva di 3.000 kw.La rimanente apparecchiatura (macchinari e mezzi di trasporto) venivano previsti anche per la calciocianamide. Il Consiglio dell’economia corpora­tiva, interprete degli interessi della San Marco e anche degli agricoltori locali, dà parere favorevole, per l ’occasione si riunisce la commissione in­dustriale del CdEC allargata ai rappresentanti della commissione agri­cola 73. 4Il rifiuto da parte del ministero di accogliere la domanda venne motivato con preoccupazioni di sovrapproduzione; l ’autorizzazione sarebbe stata con­

72 Secondo i dati forniti dalla San Marco il consumo nell’annata 1933-1934 fu di 129.900 tonnellate, Archivio di Stato di Venezia, Camera di Commercio, cat. I l i , titolo III , 1933, busta n. 1, fase. 8.73 Archivio di Stato Venezia, Camera di Commercio, cat. I l i , tit. I l i , busta 1, fase. 8.

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cessa qualora si fosse raggiunto in Italia il consumo complessivo di 150.000 tonnellate annue74 75.Dietro a questa motivazione si nascondeva la volontà di salvaguardare gli interessi Montecatini in questo ramo della produzione. Tre anni più tardi, nel 1937 l’INA, consociata alla Montecatini, presenta una domanda al ministero per un ampliamento dell’impianto da installarsi a Porto Mar- ghera, per la produzione di carburo di calcio, ferroleghe e ghisa, rispet­tivamente nella misura di 10.000 e 7.000 tonnellate annue. Il Consiglio dell’economia corporativa si dichiara favorevole a questa operazione alla sola condizione che il carburo prodotto venisse utilizzato per la produ­zione di calciocianamide e fa presente al ministero che tre anni prima era stato rifiutato alla San Marco un impianto dello stesso tipo.In realtà il Consiglio si esprimeva in merito a due ordini di problemi. Da un lato sosteneva che produrre calciocianamide a Marghera avrebbe ri­dotto il prezzo in seguito alla riduzione del costo di trasporto, dall’altro manifestava timore per una nuova ingerenza da parte della Montecatini, in un altro ramo della produzione San Marco: il carburo.Nello stesso anno l’impianto viene autorizzato dal ministero nei termini posti dall’INA: passa cioè il disegno della Montecatini di mantenere il quasi completo controllo sulla produzione della calciocianamide e quindi del suo prezzo in quelle fabbriche di cui da anni aveva esteso la sua par­tecipazione e di intraprendere invece a Porto Marghera un diverso indi­rizzo produttivo: l ’utilizzazione del carburo di calcio per produzione di coloranti, resine, fibre acriliche, ecc. L ’impianto in questione infatti sareb­be stato utilizzato per la produzione di derivati del carburo.Complessivamente fino al 1936, per quanto riguarda i concimi chimici, esistevano a Porto Marghera stabilimenti per la produzione di concimi fosfatici (Vetrocoke, Società veneta fertilizzanti e prodotti chimici) e nes­sun impianto di azotati. Si fanno promotori di una iniziativa per l’instal­lazione di un impianto di azotati (impianto collegato alla Vetrocoke) di­rettamente i consorzi agrari dell’alta Italia. La domanda è presentata nel 1936, approvata all’inizio del 1937, e dall’inizio del 1939 lo stabilimen­to è già in piena attività.Nella domanda presentata dai Consorzi agrari, attraverso la Vetrocoke, si rileva che l ’impianto avrebbe utilizzato i gas di cokeria della Vetrocoke,

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74 C. Bortolotto, presidente della Federazione Fascista degli Agricoltori e vicepresidente del Consorzio agrario provinciale in un documento sulla situazione agricola della provincia del 5 maggio 1931 conservato presso l ’archivio di Stato di Venezia (Camera di Commercio, cat. I l i , 1931), così si esprime a proposito dei concimi chimici: « Irrisorie furono le dimi­nuzioni dei perfosfati che da 23 lire al ql. scesero in due anni a lire 19, nulla quasi quelle dei nitrati di sodio e di calcio che da lire 100 scesero a lire 96. L ’unico concime che potreb­be diminuire sarebbe la calciocianamide, ma sembra che si voglia proteggere a fondo questo azotato non permettendone la fabbricazione nell’Alta Italia dove sarebbero disposti a fabbri­carlo [corsivo nostro] e dove si deve invece importarlo dalla media Italia (Terni) caricando il prezzo del concime di L. 10 il quintale per spese di trasporto a danno degli agricoltori ».75 Archivio di stato di Venezia, Camera di commercio, cat. I l i , tit. II, 1933, busta 2, fase. INA 1931, Carburo di calcio.

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ma i gestori sarebbero stati gli agricoltori i quali avrebbero costituito allo scopo una società anonima con sede provvisoria a Roma presso la sede della Federazione italiana dei consorzi agrari. Nelle note illustrative alle­gate alla domanda gli agricoltori riprendono i temi che negli anni prece­denti erano stati al centro della polemica contro i monopoli chimici: la necessità di calmierare il mercato dei concimi, la necessità di fornire di fertilizzanti a basso costo le regioni agricole dell’Emilia, del Veneto e della Venezia Giulia, la necessità infine di integrare l ’attività produttiva dei Consorzi agrari anche nel campo degli azotati oltre che dei fosfatici76 77 78.L ’impianto per la produzione di concimi azotati si inserisce all’interno di un processo di ristrutturazione della produzione della Vetrocoke. Dalle note illustrative che accompagnano la domanda di autorizzazione si legge: « La Soc. Vetrocoke ha affrontato lo studio della massima utilizzazione possibile di questo grande quantitativo di idrogeno, ispirandosi nella scel­ta delle varie utilizzazioni alla loro importanza per i bisogni del paese e alle possibilità di consumo. Per il momento essa si propone di utilizzare solo la metà dell’idrogeno disponibile [...] Tutto ciò sarà previsto in modo da permettere, se e quando ne sarà il caso, di raddoppiare l ’impianto » 11. Negli anni successivi infatti la Società presenterà una serie di domande per produzione di esplosivi, per l ’aumento della produzione di concimi azotati, di solventi, ecc.L ’attenzione che veniva prestata a livello nazionale alla realizzazione di questi indirizzi produttivi è confermata da un appunto manoscritto alle­gato al fascicolo che contiene la domanda di autorizzazione, del sig. Car- dazzi direttore degli stabilimenti Vetrocoke di Porto Marghera: « Il sig. Cardazzi fa presente che della questione si è già interessato l ’ing. De Be­nedetti, presidente della Società, presso Lantini, Ministro delle Corpora­zioni, il quale aveva già dato le migliori assicurazioni al riguardo dato che i nuovi impiantì di cui si chiede l’autorizzazone, oltre che dal lato economico, sono utili alla difesa nazionale7S.

76 Archivio di stato di Venezia, Camera di commercio, cat. I l i , tit. I l i , 1933, busta 1, fase. 35, Note illustrative alla domanda di impianto per la fabbricazione di concimi azotati da idrogeno ricavato dal gas di cokeria, 19 novembre 1936.77 Archivio di stato di Venezia, Camera di commercio, cat. I l i , tit. I l i , 1933, busta n. 1 fase. 35.78 Ibid. Proprio per l’importanza che rivestiva l ’impianto di azotati nel quadro degli indi­rizzi produttivi che si intendevano seguire a livello nazionale, si assiste ad una serie di in­terventi anche locali per sollecitarne l ’approvazione. La commissione industria del CdEC aveva in un primo momento dato parere favorevole all’impianto con una sola riserva, di carattere tecnico. Era recentemente scoppiato infatti a Merano un impianto di azotati. L ’ing. Vitale Fasolato, capocircolo dell’ispettorato corporativo regionale, invia al presidente del CdEC il 16 dicembre 1936 la seguente lettera: « Nella seduta di ieri della sezione industriale a proposito del nuovo impianto < concimi azotati > ho accennato ad uno scoppio avvenuto a Merano. Allo scopo di non essere frainteso le dirò che per quanto grave, l ’evento non ha carattere eccezionale per gli stabilimenti chimici di tale natura. In definitiva è saltato in aria un solo apparecchio, mentre il rimanente dello stabilimento non ha subito che danni lievi. La cosa interessa tutt’al più la incolumità degli operai addetti alla speciale lavorazione. Non sussiste quindi pericolo pubblico tale da dare preoccupazioni. Sarebbe quindi opportuno che nel dare il parere non fosse fatta riserva di sorta allo scopo di non creare allarmi fuori luogo [...] In definitiva penso che non siano da aggiungere altre cause di diffidenza a quelle già esistenti contro la zona industriale, ciò che verrebbe a creare nuovi impedimenti allo sviluppo industriale della città ».

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È in questo quadro, all’interno cioè del processo di adeguamento produt­tivo alle necessità belliche, che si inseriscono gli agricoltori.Da questa vicenda e più in generale dal quadro tracciato delle campagne veneziane durante gli anni trenta ci pare di poter trarre alcune considera­zioni di carattere generale: 1) la tendenza allo sviluppo dualistico del set­tore agricolo durante il ventennio fascista con l’approfondimento degli squilibri strutturali al suo interno; 2) la creazione delle premesse fonda- mentali per lo sviluppo della azienda agraria capitalistica. La gestione del­le associazioni economiche degli agricoltori da parte dei grossi agrari e la compenetrazione di interessi che si realizza tra aziende agrarie capita­listiche, capitale industriale e finanziario, furono elementi decisivi per l ’at­tuazione di questo processo.Queste prime valutazioni ci permettono di precisare l ’ipotesi più volte avanzata secondo la quale fu il settore agricolo nel suo complesso a pagare il prezzo della concentrazione e della accumulazione industriale in alcuni settori. È innegabile che la diffusione dell’uso dei concimi chimici inco­raggiò il processo di concentrazione della industria chimica accentuando la subordinazione del settore agricolo al settore industriale, occorre tut­tavia tener presente le differenziazioni interne al settore agricolo. La gran­de proprietà fondiaria, attraverso la gestione delle organizzazioni consortili, conquistò importanti posizioni di privilegio, del tutto nuove rispetto al passato all’interno del mondo rurale.Dalla vicenda dei concimi chimici in particolare emerge chiaramente co­me gli agricoltori organizzati nei consorzi agrari, per ottenere fertiliz­zanti a prezzi inferiori, seppero inserirsi all’interno della divisione del mercato tra i grandi gruppi monopolistici. È significativo infatti che i Consorzi agrari non presentino una domanda per una fabbrica cooperativa isolata, né si appoggino alla San Marco (la difesa della piccola e media industria infatti aveva visto il Consiglio dell’economia corporativa in po­sizione sempre perdente) ma si colleghino direttamente alla Vetrocoke, ad una industria cioè che aveva in atto processi innovativi nella produzione nel quadro della economia di guerra.

La funzione del sindacato fascista

È più difficile avanzare ipotesi interpretative circa il ruolo del sindacato agricolo fascista; sia per la frammentarietà della documentazione riportata, sia per l ’assenza di una ricostruzione sufficientemente precisa ed articolata sulla nascita del sindacato fascista.Dalle caratteristiche del bracciantato della provincia, dalla presenza orga­nizzativa pressoché esclusiva del movimento cattolico all’interno dei fit­tavoli, dei mezzadri e dei coltivatori diretti, ed infine dalla composizione degli aderenti alle organizzazioni sindacali fasciste, emerge con chiarezza l’originalità della situazione veneziana.Nella monografia su Ferrara Paul Corner afferma che « le aree di espan­

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sione fascista sono in generale quelle in cui si trovano mescolate i vari tipi di conduzione agricola e, più precisamente, quelle in cui si registra una prevalenza di mezzadri e affittuari, e solo una superficie limitata è coltivata direttamente da salariati » 79.Il fenomeno è generalizzato in Emilia e in Lombardia80. A Venezia, al contrario, queste categorie intermedie, le più importanti dal punto di vi­sta numerico, sono assenti dalle file del sindacato; esso non riuscirà mai, durante il ventennio, a recuperarne il consenso. Il fatto che il sindacato non riesca a presentarsi, neppure all’inizio degli anni venti, come il difen­sore della piccola proprietà individuale pregiudicherà la sua credibilità tra i lavoratori agricoli ancor più quando, alla fine degli anni venti e al­l ’inizio degli anni trenta, cercherà di attuare la sbracciantizzazione delle campagne in nome della proprietà individuale della terra. La sbracciantiz­zazione nella provincia, anche in ragione della resistenza degli agrari al­l ’appoderamento, si attuò spesso ai danni delle categorie intermedie. Le organizzazioni sindacali, come è evidenziato dal documento della CFLA, II Piano autarchico della provincia di Venezia, auspicavano l ’applicazione degli stralci poderali proprio ai poderi condotti a mezzadria. Le categorie che sono maggiormente rappresentate nel sindacato (8.000 unità circa nel 1932, 15.000 nel 1934-35) sono quelle dei salariati e braccianti. Questo fenomeno va a mio parere messo in relazione al fatto che, perlomeno fino al 1934, anche a Venezia, esso dispone di strumenti atti a controllare l ’offerta di lavoro e la mobilità della mano d’opera agricola.Gli uffici di collocamento agricolo infatti, stabilivano i contingenti di ma­no d’opera da occupare nei lavori di pubblica utilità e nei lavori di bo­nifica; gli uffici di collocamento dell’industria dovevano attenersi rigida­mente alle segnalazioni e agli elenchi fornitigli dal collocamento agricolo 81. Le richieste dei datori di lavoro per assunzioni di lavoratori da altre province dovevano essere inoltrate al Commissariato per le migrazioni in­terne tramite gli uffici di collocamento accompagnate da valutazioni sulla situazione locale del mercato del lavoro 82.Anche se tali strumenti si rivelarono del tutto fallimentari nella limita­zione e nel controllo della mobilità della forza-lavoro agricola, tuttavia in­fluirono sui livelli di sindacalizzazione dei braccianti disoccupati, degli av­ventizi, dei sottoccupati. Basti infatti pensare che tra le priorità da os­servare nel collocamento della mano d’opera un elemento fondamentale era l ’iscrizione al sindacato. Inoltre i lavoratori agricoli assunti in lavori di pubblica utilità o in altri lavori stagionali devolvevano ratealmente l ’importo per la tessera al collocatore che era nel contempo funzionario sindacale.Se si pensa inoltre alle disposizioni che vietavano l ’iscrizione al colloca-

” P a u l C o r n e r , Il fascismo a Ferrara, Bari, 1975, p . 179.80 Cfr. A d r i a n L y t t e l t o n , La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari, 1974. 8‘ Cfr. la circolare ministeriale n. 108 del 28 febbraio 1934 ai prefetti.82 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissariato per le Migrazioni interne, circola­re n. 31694.

Page 35: Il fascismo nelle campagne veneziane (1929-1940)* · Il fascismo nelle campagne veneziane (1929-1940) 35 4 Cfr. « Bollettino del lavoro e della previdenza sociale », Roma, 1921,

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mento industriale dei braccianti disoccupati, si comprende come al sinda­cato agricolo fosse demandato il compito di affrontare i problemi posti dalla disoccupazione nelle varie zone attraverso la stipulazione di nuove forme contrattuali, l ’imponibile di mano d’opera, il collocamento, ecc.83 Il sindacato dei lavoratori dell’agricoltura era quindi l ’unica organizzazio­ne di base di cui il regime disponeva per attuare nel contempo la poli­tica di ruralizzazione e di limitazione dell’urbanesimo, nella ricerca di una sostanziale rigidità del mercato del lavoro. Mantenere separati e non comunicanti il mercato del lavoro agricolo e il mercato del lavoro indu­striale era infatti il significato politico che il regime attribuiva alla politica di sbracciantizzazione. Isolare la fabbrica, limitare al massimo la mobi­lità del lavoro e comunque all’interno del solo settore agricolo, impedire la socializzazione delle lotte, bloccare i meccanismi di riproduzione di classe, era una condizione di stabilità politica indispensabile in un mo­mento in cui le linee di politica industriale non andavano nella direzione di una industrializzazione estesa sul territorio nazionale, ma al contrario nella direzione del potenziamento e della ristrutturazione della industria in alcuni settori, e quindi con limitate capacità di assorbimento di nuova forza-lavoro.Il progetto di irrigidire il mercato del lavoro attraverso la politica di sbracciantizzazione, nel quadro di una politica agraria e del credito favo­revole alla formazione e al potenziamento della grande azienda capitali­stica, non potè che risolversi nella incentivazione di quelle forme contrat­tuali che sancivano legami con la terra estremamente precari. Le richieste delle organizzazioni sindacali di essere rappresentate all’interno dei consi­gli di amministrazione dei Consorzi di bonifica ed all’interno dei comitati di sconto della Cassa di risparmio non potevano non rimanere inascoltate. Una politica di sbracciantizzazione senza mutare la proprietà della terra era quindi destinata al fallimento. Durante gli anni trenta l ’enorme massa di disoccupati e di sottoccupati che si riversano nei grandi centri urbani, sono un elemento di contraddizione tale che né gli stralci poderali, né il collocamento, né la disciplina delle migrazioni interne riescono a risol­vere e neppure a mascherare.

B r u n a B ia n c h i

13 Sebbene in provincia di Venezia la struttura degli Uffici di collocamento fosse più de­bole e meno decentrata rispetto ad altre province della Valle Padana, nel 1934 furono collo­cati oltre 9.000 lavoratori agricoli e circa 3.000 per imponibile. Archivio di stato di Ve­nezia, Camera di commercio, posizioni particolari, Uffici di collocamento, busta n. 3, Il col­locamento nell’anno XIV.