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IL DIARIO TERAPEUTICO

Paolo Baiocchi

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Verba volant, scripta manent. Antico proverbio latino

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INTRODUZIONE In questo scritto voglio descrivere uno strumento che ha rivoluzionato letteralmente la mia vita personale e professionale: il diario terapeutico.

Le persone che si autorealizzano scrivono organizzando sulla carta

pensieri e azioni. Libri, lettere, aforismi, progetti: le librerie sono piene delle opere lasciate

da chi ha depositato in parole tesori di esperienza. Sono tracce di vita vissuta, ma anche riflessioni. Ma oltre che su carta scrivono anche in altri luoghi. Nei luoghi dell’anima. Scrivono nel loro cuore e nella propria carne. Scrivono nel cuore degli altri, lasciando un segno profondo. Scrivono mediante i loro comportamenti coerenti e organizzati.

Le persone che non si autorealizzano invece pensano, par- lano e poi a

volte fanno. Qualcuno a dire il vero fa poco. Altri fanno molto ma in modo disorganizzato, abitudinario e ripetitivo.

Il pensiero non scritto e pieno di insidie: molto spesso diventa tortuoso e autoreferenziale. Le parole usate nei dialoghi interpersonali non sono da meno: talvolta decadono in chiacchiere e discussioni.

La scrittura permette di depositare pensieri e parole e di ordinarli in

sequenze logiche. Permette inoltre di superare la trappola della dimenticanza e dell’accavallamento.

Chi scrive lascia traccia, chi non scrive rischia di disperdere e dimenticare. Chi scrive ha molte piu possibilita di costruire rispetto a chi non lo fa.

Nessun architetto si presenta a una squadra di muratori limitandosi a raccontare loro l’idea che ispira l’edifica- zione della casa.

Un architetto elabora un progetto scritto, una serie di disegni e indicazioni precise e definite che guideranno nei dettagli ogni singola azione costruttiva. Sara il progetto scritto a condurre i muratori, non le parole o il pensiero dell’architetto. Anche quando l’architetto sara assente il progetto scritto e disegnato indichera alle sapienti mani dell’operaio cosa fare e cosa non fare, con esattezza e precisione.

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Erving Polster, nel suo libro “Ogni vita merita un romanzo” racconta con dolore quanto spesso le persone non apprezzino a sufficienza i lati poetici che l’esistenza offre.

Esistono persone che fanno della propria vita un romanzo che hanno

scritto in prima persona, altre purtroppo vedono la vita trasformarsi in una storia che li riduce al ruolo di comparse invece che di registi e primi attori.

Il grande genio letterario Luigi Pirandello nel descrivere magistralmente il

relativismo psicologico, il sottostare di ogni essere umano alla forza condizionante delle relazioni sociali, illustra quanto facilmente un individuo corra il rischio di ritrovarsi incarcerato in un personaggio scritto dal mondo esterno. Imprigionato nelle proprie maschere sociali fallisce la difficile sfida del fare della propria vita il romanzo a cui la propria anima anela. E che Abraham Maslow indica con il termine psicologico “autorealizzazione”.

Solo chi scrive puo coordinare il proprio agire concreto in modo organizzato e razionale, in quanto vince una battaglia contro un nemico tremendo e invisibile: i meccanismi di difesa. Si tratta di fenomeni in grado di annullare la volonta e distruggere i sogni di chi non scrive. E cio puo incidere sulla vita di una persona per tutto l’arco della sua esistenza.

La scrittura e all’origine della cultura umana. Arte e scienza non

sarebbero state possibili senza questa invenzione straordinaria. Credo che l’unica altra scoperta di simile portata sia il fuoco. Se scoprire il fuoco ci ha permesso di dominare la natura, e cio e all’origine della scienza, l’intuizione della scrittura ci ha invece portati a far fiorire la cultura, dotandoci di strumenti artistici ed esistenziali.

COS’E UN DIARIO TERAPEUTICO? E un diario molto diverso dal comune diario narrativo, strumento di

viaggio che accompagna la vita di cosi tante persone. Nel diario narrativo, una persona annota gli eventi salienti della propria

vita (oggi ho incontrato Maria, con la quale ho avuto una storiellina quando avevo quattordici anni, e ho percepito un balzo al cuore... ho visto che anche io non le sono indifferente anche se ho visto evidenti segni del tempo sul suo viso... come si invecchia... ecc.)

Nel diario terapeutico invece, ad esempio, una persona annota i temi nevrotici che scopre di avere, immagina le soluzioni ad essi e progetta un piano di azione concreto che possa scandire il lavoro che costruira le premesse per il cambiamento.

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Riassumendo 1. Temi nevrotici 2. Soluzioni 3. Piano di azione concreto Esempio Tema nevrotico Quando ho un’idea ne parlo subito con gli altri per far vedere che sono

intelligente e per generare fascino. La conseguenza negativa di cio e che per non deludere gli altri mi ritrovo

con mille progetti attivi che non riesco a portare a termine. Nel mio caso, quando ho avuto l’idea di questo librettino sul diario

terapeutico avrei potuto dire a chiunque: “Sapete che idea mi e venuta? Sto lavorando sul diario terapeutico con

tutti i miei pazienti. E una potenza! Ho pensato che scrivero una dispensa (un libro, un articolo) su questo tema!”

Soluzione Quando ho un’idea mi trattengo dal parlarne a stuoli di persone e ne

faccio menzione solo a una cerchia ristretta, poi faccio un progetto scritto e inizio a realizzarla. La rendo visibile solo dopo che il lavoro e compiuto.

Piano di azione concreto Progetto una serie di azioni concrete che realizzano l’idea. Si tratta di

progettare non una singolo comportamento, ma una vera e propria sequenza di azioni che realizzino il lavoro di costruzione della soluzione.

Esempio: a) scrivero un bozza b) la rivedro con due amici fidati c) la mettero in bella copia d) la pubblichero f) soltanto allora ne parlero con tutti. Differenze tra diario terapeutico e diario narrativo In sintesi il diario narrativo fissa con le parole la vita gia vissuta, i suoi

riverberi nell’anima e le relative riflessioni personali. Il diario terapeutico, invece, fotografa i temi personali scottanti che la nostra coscienza seppellisce sotto le difese psichiche per non soffrire. Inoltre sostiene la volonta nella costruzione di un piano di azione volto al cambiamento.

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COME HO SCOPERTO IL POTERE DEL DIARIO TERAPEUTICO

Il diario terapeutico non nasce da una mia idea. Ma dalla disperazione, dal caso e dall’intervento fortunato di un’amica.

Il problema Di natura sono dotato di ben poca memoria. Dimentico una marea di

informazioni importanti. Questo difetto, per un terapeuta che si occupa di ascoltare le difficolta dei propri pazienti, e un vero problema. Sono molto invidioso di tutti quei colleghi e amici che, al contrario, ricordano con esattezza date, impegni, avvenimenti e dettagli.

Spesso mi sono trovato imbarazzato con i miei pazienti perche non ricordavo bene i loro temi e problemi. Mi e capitato di aver condotto delle sedute brillantemente, elaborando i temi emersi con destrezza, ipotizzando progetti di trasformazione accurati e logici. Salvo poi, la seduta seguente, ritrovarmi a non ricordare nulla di cio che era stato compiuto, se non in modo vago e generico.

Sprovvisto del supporto della memoria talvolta ho condotto sedute scollegate tra loro, correndo il rischio di trattare di volta in volta temi diversi, sollecitati dal caleidoscopico affaccendarsi degli eventi di vita dei pazienti. Come vedremo, questa mia mancanza si alleava alla nevrosi del paziente che, a questo punto, poteva sotterrare verita e responsabilita personali.

Il tentativo fallimentare di risolverlo Ho provato a compensare questa lacuna documentando personalmente i

temi emersi e gli obiettivi prefissati. Essendo pero disordinato e poco organizzato mi sono spesso trovato ingolfato in decine di cartelle scritte o file digitali.

L’intervento provvidenziale di un’amica Un giorno ho raccontato il mio problema a un’amica, molto acuta e piena

di risorse. Lei sorrise e mi rispose in tutta calma: “Perche non fai come il mio ginecologo? Lui fa tenere una scheda ai pazienti ed e loro cura portarla a ogni visita. Non tiene lui i dati, ma li fa tenere a noi!”

In un primo momento tale accorgimento mi sembro piu assimilabile a un trucco per delegare la responsabilita e la fatica del documentare i punti

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salienti del processo terapeutico. Nei giorni a seguire, pero , nella mia mente inizio ad affacciarsi una serie di ragionamenti:

La storia di vita che trattiamo in seduta e di assoluta proprieta del

paziente e non mia E il paziente che deve prendere responsabilita dei suoi obiettivi e non io Non avevo forse io scritto per anni obiettivi su dei diari? E perche non

farlo fare a loro? Nella mia storia scrivere un diario di obiettivi era stato un capitolo fondamentale, una vera e propria pietra miliare.

Non sarebbe forse questo uno strumento importante per la persona e non solo per la terapia?

Non sarebbe questo un rituale importante da installare? Non sarebbe stata l’occasione di dare un primo grande obiettivo al paziente, quello della responsabilita della compilazione del diario?

Non avrebbe inoltre liberato finalmente me dal peso del ricordare non so quanti dettagli delle storie di vita? Collocando tale responsabilita al legittimo proprietario, che poi e colui che alla fine dei conti deve apprendere a trarne profitto?

Nella mia mente comincio a farsi strada l’idea di quanto importante

potesse essere la compilazione di un diario terapeutico da parte del paziente. Intuii gia allora che la mia carenza di memoria avrebbe potuto

trasformarsi in un vantaggio paradossale, in quanto mi stava portando a scoprire aspetti di valore ben piu grande di una semplice strategia per ricordare i temi emersi in seduta.

Non colsi pero fino in fondo il potere straordinario del diario. Non subito. Lo scoprii dopo, strada facendo, utilizzandolo negli anni con tutti i miei pazienti. A COSA SERVE IL DIARIO TERAPEUTICO

Il diario terapeutico ha tre principali funzioni: a) assiste la memoria, sottraendo all’oblio la consapevolezza dei temi e

degli obiettivi personali b) radiografa gli atteggiamenti esistenziali positivi e negativi del paziente c) allena la volonta del paziente Documentazione dei temi emersi in seduta Questa funzione per certi versi e la piu ovvia e visibile, immediatamente

intuitiva.

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Quasi tutti noi scattiamo fotografie e filmiamo attimi di vita per tenerne memoria. Annotiamo su memo, diari, agende e quaderni gli obiettivi per organizzarci. Nessun contabile sognerebbe di tenere a mente i termini numerici mediante i quali sviluppa il proprio lavoro.

Nel caso della psicoterapia e dello sviluppo personale non si tratta soltanto di combattere un normale decadimento delle informazioni legato ai processi di dimenticanza fisiologica, ne di mantenere traccia di cifre esorbitanti di dati, impossibili da ricordare. E piuttosto una battaglia contro i meccanismi di difesa. Anzi, una vera e

propria guerra per mettere al sicuro informazioni preziose, sulle quali potrebbe esercitarsi il fenomeno dell’oblio. Arma di cui essi sono dotati.

Quando si attivano i meccanismi di difesa? Come funzionano? Si innescano quando le situazioni di vita sollecitano un livello emozionale troppo intenso per la persona. Entrano in funzione sopra una certa soglia di “voltaggio emozionale”. Pur essendo attualmente sprovvisto di conoscenze riguardo alle attuali testimonianze scientifiche, non dubito che la ricerca in campo neuropsicologico evidenziera che i meccanismi di difesa sono in grado di liberare neuro-molecole che alterano le percezioni, proprio come fanno le droghe psicotrope.

Dal punto di vista fenomenologico e clinico i meccanismi di difesa generano il fenomeno della dimenticanza e dello spostamento dell’attenzione da cio che genera angoscia ad altro.

Detta in altri termini, quando in seduta viene toccato un tema angosciante o molto stimolante, il paziente puo affrontarlo se e protetto dalla forza generata dall’alleanza terapeutica. Ma in un secondo momento, quando il soggetto si trova da solo, la mancanza di tale sostegno puo causare un innalzamento dell’angoscia. Cosa accade? Si attiva un meccanismo di difesa che riporta la mente a uno stato di relativa quiete e lucidita . Il prezzo di questa apparente serenita e la dimenticanza; costo a volte adeguato e conveniente da pagare, a volte troppo caro e controproducente.

Il diario terapeutico permette di documentare con grande efficacia temi nevrotici, difetti, emozioni, traumi, conflitti, dinamiche ecc. che emergono via via nelle sedute, impedendo alle difese di riportare sotto la soglia dell’attenzione il materiale sottratto all’inconscio.

La bottiglia e il latte Prima di passare ai punti successivi, e bene notare che ci sono due grandi

categorie di lavoro che si effettuano mediante il diario terapeutico: a) sul contenuto b) sul contenitore

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La nostra mente e sempre affascinata dal contenuto e spesso si dimentica

del contenitore. Siamo attenti alle nostre emozioni, ai pensieri, ai traumi, ai problemi, ai conflitti, alle relazioni di amore.

Quando ci riferiamo alla documentazione dei temi che emergono in seduta stiamo parlando appunto dei vari contenuti che il paziente vuole gestire.

Dimentichiamo invece molto spesso che noi siamo il contenitore di tutti

questi processi interiori. O meglio, come afferma Roberto Assaggioli, la nostra Volonta e il contenitore di tali fenomeni mentali. Ed essa e spesso debole. In psicoterapia della Gestalt viene data molta attenzione al livello esistenziale, che rappresenta la consapevolezza di cio che ci succede e le modalita di gestione dei fenomeni mentali, corporei e comportamentali. Vale a dire come maneggiamo interiormente i contenuti che si presentano.

Fritz Perls, nel suo primo libro “L’io, la fame e l’aggressivita ”, parlo

appunto delle funzioni dell’io, assegnando loro un grande peso e ponendo l’accento sulla relazione che contraggono con le emozioni e i bisogni. Lo stesso dicasi di quella corrente della psicologia coordinata da Heinz Hartmann, chiamata appunto psicologia dell’Io.

Dove si allena e potenzia la volonta ? La volonta , quella vera si allena soltanto da soli. La grande fregatura, che genera disperazione in generazioni di genitori,

terapeuti e insegnanti, e che non si puo potenziare, se non in parte, la volonta di nessuno all’interno della relazione interpersonale.

Spesso i genitori cercano modi relazionali per aiutare i figli a diventare responsabili, indipendenti e autonomi. Cercano nuove forme di amore e comunicazione per aiutarli ad accrescere la volonta . Lo stesso fanno gli psicoterapeuti con i loro pazienti.

Questo tentativo e spesso destinato al fallimento e in certi casi puo

diventare addirittura paradossale. Per sviluppare la propria volonta una persona deve ritirarsi nel rapporto

della propria identita intima. Deve tentare di praticare l’auto-contenimento. Deve restare da solo e deve provare a contenere le proprie emozioni, pulsioni e pensieri con la sua propria coscienza.

Quando l’IO tenta di contenere il ME si genera lo sviluppo della volonta . La volonta e come una bottiglia e le emozioni sono come il latte. Quando il contenitore, cioe la bottiglia, e debole o traumatizzato, ha delle

falle e il latte esce. Straborda. In questo caso si sperimentano angoscia, perdita di controllo, confusione e senso di grande debolezza e vulnerabilita .

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Le persone con la bottiglia piena di buchi cercano ogni rimedio per farsi

contenere dagli altri. Spesso usiamo le relazioni per tamponare i buchi della nostra bottiglia.

Chi ci ama, accoglie le nostre emozioni in eccesso e le ospita temporaneamente nella propria esperienza, mettendo al servizio i propri atteggiamenti esistenziali costruttivi per gestire i problemi di cui esse sono l’effetto. In questo modo il “latte” viene contenuto e la persona che si e espressa si sente al sicuro, protetta e ritorna ad essere lucida. Questo processo pero , ha dei prezzi e delle conseguenze. Se il contenimento di altre persone e la principale risorsa di gestione emozionale di un individuo, egli rischia

di diventare dipendente dall’altro, in quanto, quando ritorna in uno spazio di autonomia, i “buchi della bottiglia” si riaprono e le emozioni straripano nuovamente.

Quando siamo nel nostro “se sociale”, cioe in relazione, non possiamo veramente concentrarci sul tappare i buchi della nostra bottiglia, poiche il latte viene contenuto dalla bottiglia delle persone con le quali siamo in relazione.

Per poter sviluppare la volonta bisogna resistere al desiderio di mettere il

nostro latte nelle bottiglie degli altri. Bisogna analizzare e localizzare i buchi del nostro contenitore, trovare i pezzi di vetro mancanti e incollarli. In questo modo si genera una struttura efficace di gestione dei contenuti interiori.

Non a caso, infatti, la vera maturazione e l’intero processo di individuazione prevede che una persona si stacchi dal- la famiglia e dai genitori per tentare l’autonomia. Finche i genitori mettono la loro bottiglia al servizio del figlio la volonta di costui rimarra debole, bisognosa e dipendente.

E allora la relazione di amore con i genitori, i terapeuti, gli amici, non ha piu nessun senso? Assolutamente no.

Nella relazione con gli altri, se e di buona qualita , un individuo riceve contenimento.

Questa e una fase nella quale si scovano, all’esterno, i pezzi di vetro per costruire la propria bottiglia.

La costruzione vera e propria pero si fa fuori dalla relazione con gli altri. Si compie quando si entra nella relazione con se stessi.

Insomma tra l’essere con gli altri e l’essere da soli deve svilupparsi una danza continua, un migrare tra due poli:

• nella relazione con gli altri si apprende come essere contenuti (si

reperiscono i “pezzi di vetro” mancanti alla “bottiglia”)

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• nella relazione con se stessi, da soli, si apprende ad auto- contenersi (si applicano e fissano i “pezzi di vetro” nella propria “bottiglia”)

Queste due fasi, in un essere umano sano, si alternano all’infinito, perche

ci sono sempre nuove forme di contenimento affettivo che si possono imparare per espandere la nostra volonta , stabilizzarla e renderla amorosa e potente.

Nel diario terapeutico, quindi, viene compiuto un lavoro sul “latte”

quando si memorizzano su carta i temi che via via emergono e al tempo stesso il terapeuta trova in questo strumento uno straordinario alleato per il lavoro sulla “bottiglia”.

In questo caso il diario terapeutico sostiene in primo luogo il fatto che il

paziente (assistito dal terapeuta) effettui: • lo studio delle funzioni della volonta • il loro allenamento In secondo luogo il diario e efficacemente in grado di promuovere: • il lavoro solitario che il paziente deve assolutamente compiere se vuole

sviluppare tali funzioni. Il diario diventa quindi anche un vero e proprio laboratorio personale di sviluppo della volonta .

La radiografia della relazione coscienza-organismo Nel tempo ho scoperto che il diario terapeutico permette di fare contatto

con un aspetto della persona che non e possibile cogliere altrimenti in seduta: quello che si manifesta quando la persona abbandona l’identita sociale e assume la propria identita interiore.

Mi spiego. Quando siamo in relazione a qualcuno noi attiviamo la nostra identita

sociale. Quando invece siamo da soli con noi stessi, questa identita lascia il posto a cio che noi siamo senza maschere sociali: la relazione verticale esistente tra la coscienza e l’organismo.

Luigi Pirandello in “Uno, Nessuno e Centomila” illustra quanto ogni

individuo sia intrappolato nelle identita che inevitabilmente costruisce nelle relazioni con gli altri.

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Il diario terapeutico va fatto compilare quando il paziente, finita la seduta, si raccoglie per dieci, venti minuti nella sala di aspetto e scrive, a caldo, le cose fondamentali emerse nella seduta con il terapeuta.

In questo momento egli e solo con se stesso. Alcune persone sono molto affabili con gli altri, ma poi sono spietate con

se stesse. Altre si prendono cura degli altri ma poi trascurano se stesse. Il diario terapeutico fotografa in modo preciso e scientifico le modalita

mediante le quali l’Io della persona tratta l’organismo. Per ottenere questo risultato la consegna da dare al paziente e la seguente: “La seduta dura un’ora, poi lei si sieda nella sala d’aspetto e compili il

diario terapeutico relativamente ai temi che abbiamo discusso in seduta. Lo faccia subito dopo la seduta. Porti sempre con se il diario terapeutico quando viene in seduta, perche la prossima volta leggera rapidamente quello che ha scritto. Ha a sua disposizione al massimo una facciata per seduta.

Non compili su questo diario annotazioni riguardanti altri giorni della

settimana, ma soltanto il resoconto delle sedute”. Da come scrivera il diario, da cosa annotera e da cosa non annotera

diventa possibile scorgere gli atteggiamenti che sono invisibili nella dinamica terapeutica quando il paziente mette in gioco la sua identita sociale.

Perche quando egli e da solo, le falle della “bottiglia” si riaprono, in

quanto vengono meno i “pezzi di vetro” che sono sopperiti dal terapeuta. Se il paziente fosse in grado di tappare quelle falle autonomamente, lo scritto lo rivelerebbe. Parimenti, quando la volonta ne e sprovvista, tale mancanza brilla comunque per assenza nelle parole riportate nel diario. Il terapeuta, con la sua capacita di lettura, puo a questo punto rendersi conto dei “pezzi di vetro” mancanti. E vedere l’invisibile.

La prima volta che mi resi conto di questo fenomeno ebbi un brivido di

gioia. La stessa percezione che probabilmente un archeologo sperimenta quando, in una piramide che in mille hanno gia visitato, trova una stanza segreta dove c’e la tomba del faraone.

Lo studio degli atteggiamenti esistenziali negativi e positivi Dopo un po’ che utilizzavo il diario mi resi conto che da come le persone

riportavano e descrivevano quanto fatto nelle sedute precedenti era possibile compiere una attenta analisi di quali atteggiamenti essi avessero verso se stessi.

Ad esempio alcuni riportavano con accuratezza i temi nevrotici che avevamo scoperto la seduta precedente, ma non progettavano alcuna ipotesi di cambiamento. Annotavano il problema ma nulla piu . La loro mente non

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immaginava in alcun modo possibilita concrete di trasformazione. Mi resi conto che delegavano a me il reperire delle soluzioni, delle ipotesi e la responsabilita dell’intero cambiamento! In quel caso emergeva in modo evidente e tangibile che la loro mente non era proattiva, cioe non si preoccupava di prendersi cura di un processo di soluzione.

Diviene possibile comprendere facilmente, in questi casi, quanto le

persone siano condannate a vivere dei sentimenti di impotenza e sconforto. Le persone che, al contrario, hanno costruito in se stesse la capacita di

immaginare il cambiamento, sanno di poter contare sulla forza della propria mente.

Non hanno paura del loro mondo interiore e anche se hanno problemi e stress sanno di poterli trasformare in occasioni di sviluppo e crescita.

Quando pero una persona non ha nel proprio repertorio tali atteggiamenti costruttivi o sono presenti atteggiamenti di auto accusa, auto odio e auto disprezzo, teme profondamente l’attivarsi di emozioni negative o di sintomi.

Ne consegue automaticamente l’attivazione dello stato di auto-

denigrazione che si ripercuote negativamente sull’organismo, riaccendendo daccapo le emozioni negative originarie.

Molto spesso queste persone tentano di controllare le emozioni di disagio, ma falliscono in quanto questo atteggiamento generalmente impedisce alle emozioni di fare il loro corso naturale. Il fallimento del controllo e il principale innesco allo stato di auto-denigrazione che diventa un amplificatore delle emozioni negative di partenza.

Quindi, quando mancano gli atteggiamenti esistenziali positivi, le persone si odiano e si disprezzano. Avviene nel momento in cui riscontrano in se stesse la presenza dei temi nevrotici, dei sintomi che sfuggono al loro controllo, dei propri limiti e delle proprie emozioni di disagio.

Questo ovviamente realizza una grossa difficolta a gestire i temi di cui

essi soffrono. Come affermato da Paul Watzlavick nel suo libro “Change”, il problema non e tanto nel problema ma nel tentativo erroneo di risolverlo.

Gli atteggiamenti esistenziali positivi Gli atteggiamenti mentali costruttivi non sono connaturati all’essere

umano. O, meglio, lo sono soltanto in potenza. Come il linguaggio. A differenza delle altre specie gli esseri umani hanno il potere

connaturato di acquisire il linguaggio, ma cio si sviluppa soltanto se il cucciolo umano viene stimolato in tal senso all’interno di un contesto dove altre persone parlano tra loro e parlano direttamente al bambino.

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Come hanno dimostrato molti studi scientifici, si apprende a parlare se tale funzione e stata stimolata accuratamente.

Un ulteriore ingrediente e necessario perche la parola si sviluppi.

L’amore. Se un cucciolo viene amato e gli si parla, apprendera con gioia e facilita a

parlare. Se invece il linguaggio e associato all’odio e al disprezzo, tale funzione

risultera molto piu difficile da sviluppare. Una buona affettivita e un buon livello di stimolazione da parte dell’ambiente sono fattori decisivi per accrescere questa funzione.

Allo stesso modo per poter sviluppare le funzioni mentali che sono

necessarie per il cambiamento terapeutico e necessario aver avuto altre persone che ci hanno stimolato a farlo.

Le funzioni cognitive legate al potere di cambiare maturano in chi ha avuto la fortuna di essere stato in relazione con persone che avevano gia ben consolidati gli atteggiamenti esistenziali positivi ed erano quindi portatrici di modalita culturali esistenzialmente valide.

Coloro che al contrario manifestano atteggiamenti mentali negativi non

hanno avuto questa fortuna. Anzi, di solito e possibile riscontrare l’opposto. Il quadro piu frequente e riscontrare nella storia personale la presenza di genitori assenti, violenti, disprezzanti, svalorizzanti.

Si potrebbe affermare che nella propria identita intima una persona tratta

se stessa come e stata trattata nell’infanzia dai genitori. Se nei suoi primi dodici anni di vita ha avuto genitori trascuranti, da adulto sara portato a non prendersi cura di se stesso, e la sua coscienza tendera ad essere poco in contatto con le emozioni del cuore e i bisogni del corpo. Se ha respirato un clima di violenza, sara duro con se stesso, se di giudizio diverra accusatorio e autopunitivo ecc.

Molto semplicemente, come uno tratta di fondo se stesso quando e da solo, altro non e che lo specchio delle comunicazioni e dello stile relazionale prevalente che esisteva in famiglia nell’infanzia tra madre e bambino, padre e bambino e tra madre e padre. Una persona fa a se stessa, ripetendo all’infinito, quello che gli e stato fatto nel passato durante la fase di imprinting.

Come vedremo in un prossimo capitolo, la relazione terapeutica puo

cambiare le sorti scritte nelle memorie affettive da questo primo, intenso imprinting.

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LA TERAPIA ESISTENZIALE. CAMBIARE GLI ATTEGGIAMENTI ESISTENZIALI PER POTENZIARE LA VOLONTA

La relazione terapeutica per un individuo e sempre un’occasione per scoprire tali schemi negativi, metterli in discussione, aprirsi a nuovi schemi relazionali positivi e costrutti- vi, sostituire i vecchi con i nuovi.

Scoprire gli schemi negativi Un buon terapeuta aiuta il paziente a diventare consapevole degli

atteggiamenti mentali negativi. Per quanto possa sembrare strano, questi comunemente non sono evidenti per la persona. Sono talmente radicati, datati e consueti da diventare abitudini inconsapevoli. A ben pensare sono la rappresentazione interiore del clima familiare nel quale uno e stato allevato. Il terapeuta ha la possibilita di far notare la loro distruttivita e inutilita , indicandoli con delicatezza ad uno ad uno nel corso delle sedute.

Metterli in discussione Una volta mostrati, quando la persona ne ha preso consapevolezza, si

tratta di far notare quanto tali meccanismi siano dannosi e quindi da estirpare: un giardiniere riserverebbe questo trattamento alle erbacce nella cura di un giardino. Il modo migliore per metterli in crisi e notare le conseguenze nefaste che da essi si originano e la loro inutilita funzionale.

Aprirsi a nuovi atteggiamenti costruttivi e positivi Le modalita positive di relazione di un terapeuta maturo sono per il

paziente una delle piu potenti chiavi di cambiamento, una sorta di re-imprinting, che permette di lasciar andare atteggiamenti distruttivi e acquisire atteggiamenti costruttivi.

Il terapeuta trasmette tali atteggiamenti sotto forma di comunicazione e modalita relazionali. Nel far questo mostra da fuori cio che il paziente dovra imparare a fare da dentro, quando sara solo con se stesso, nella sua vita quotidiana.

Senza questo contagio relazionale non e di solito possibile che il soggetto apprenda come interiorizzare gli atteggia- menti costruttivi. Non li puo inventare dal nulla. Sono il frutto di secoli di acculturazione esistenziale umana. Ne- anche il terapeuta li ha inventati dal nulla. Non sono quasi mai farina del suo sacco. Lui stesso li ha appresi dai propri terapeuti e maestri.

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Per quel che mi riguarda, il piccolo tesoro esistenziale sul quale so di poter contare oggi e maturato lentamente, nu- trito all’interno della relazione che ho avuto con le “grandi persone” che mi hanno amato.

Primo fra tutti Claudio Naranjo, che con grande pazienza nel corso di un quarto di secolo mi ha permesso di nutrirmi della sua presenza.

Non avro mai abbastanza parole per ringraziare Claudio dei doni ricevuti in tanti anni di amorosa cura.

In secondo luogo percepisco l’influenza di Paolo Quattrini, la cui genialita e secondaria soltanto alla generosita con la quale regala se stesso.

La lista continuerebbe a lungo, elencando le pietre miliari del mio cammino, ma voglio nominare chi sta all’origine di tutto questo percorso. Mi riferisco a quattro persone: mio padre Aldo e mia madre Edvina, innanzitutto, che pur nelle loro difficolta mi hanno offerto il primo esempio di amore e costruttivita .

E i miei secondi genitori Edi ed Emi. Emi ed Edi, due persone senza figli che quando ero piccolo si sono

innamorati di me e io di loro. Speciali in quanto a generosita e maturita esistenziale. Nella loro casa avevo rifugio e conforto e con loro ho scoperto con meraviglia il potere della rielaborazione costruttiva degli eventi difficili attraverso gli atteggiamenti esistenziali positivi.

Il lavoro solitario del diario terapeutico Il diario terapeutico assiste con grande efficacia il faticoso lavoro che il

paziente deve compiere dello smontare schemi avvelenanti e assorbire schemi nutrienti.

Esso sostiene inoltre il difficile passaggio dell’interiorizza- zione. Permette di prendere una vera e propria regia della storia della propria vita.

Si tratta di fare da soli, per puro atto di intenzionalita e volonta , quello che il terapeuta (o altre persone con atteggiamenti esistenzialmente di valore) ha trasmesso nella relazione mediante comunicazioni costruttive e proattive. Il diario terapeutico quindi guida la coscienza a ripetere all’infinito gli schemi di relazione interiore positivi, finche essi non divengono delle nuove abitudini sane. E in questo passaggio che la scrittura, forse la piu grande invenzione

dell’umanita , rinnova il suo potere dispensandone un frammento all’individuo che la pratica.

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COSA SI FA IN PRATICA: LE ISTRUZIONI CHE IL TERAPEUTA DA AL PAZIENTE

Il terapeuta, rispetto al diario, dopo aver dato la consegna iniziale deve seguire i seguenti passi in tutte le sedute:

a) accertarsi che il paziente lo compili con regolarita b) farlo leggere nei primi minuti della seduta c) usare sette punti di controllo per valutare gli atteggiamenti esistenziali

del paziente d) notare se il paziente usa correttamente tutti i sette punti di controllo e

dove si interrompe la sequenza e) far notare gli atteggiamenti negativi, metterli in crisi e offrire gli

atteggiamenti costruttivi corrispondenti I sette punti di controllo del diario terapeutico Esistono sette grandi zone da controllare mentre si ascolta la lettura di un

diario terapeutico. Il diario terapeutico va fatto leggere a ogni singolo incontro. Il paziente

porta con se il diario e nei primi cinque minuti gli viene chiesto di leggere il resoconto che ha compiuto delle sedute precedenti (come vedremo in un prossimo capitoletto si possono far leggere da una a cinque sedute precedenti).

Terapeuta: “Buongiorno. Prenda il suo diario terapeutico e legga che cosa ha annotato della sua ultima seduta (o delle sue ultime sedute)”.

Mentre il paziente legge, il terapeuta osserva quanto scritto da sette punti di vista: sono i sette controlli del diario terapeutico.

Ogni controllo rappresenta un modo per valutare se il paziente usa degli

atteggiamenti mentali negativi o positivi in sette principali aree. I sette controlli sono progressivi, dal primo al settimo, e bisogna

intervenire in modo sequenziale: se ad esempio si evidenziano atteggiamenti negativi sia nel secondo control- lo che in quelli successivi, bisogna intervenire soltanto sul- la modificazione degli atteggiamenti del secondo controllo, trascurando in quella seduta gli altri.

Questo accorgimento rispetta due principi fondamentali della terapia o dell’arte del cambiamento utili a non sovraccaricare di informazioni la coscienza della persona:

1) agire sempre su di una cosa alla volta 2) avanzare dal livello piu semplice al livello piu complesso. I sette punti di controllo sono sette diversi ruoli che il paziente deve

saper assumere per utilizzare la propria volonta in modo costruttivo.

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Come preannunciato, esiste una sequenza ordinata di utilizzo di questi ruoli, che non puo essere invertita in nessun elemento, pena una caduta di efficacia del potere dell’intenzionalita cosciente.

Primo ruolo: Analista In questo livello, la persona e come un esperto conoscitore che sa

denominare e comprendere le connessioni tra i vari pezzi di informazione. Una buona analisi consiste nell’assegnare con lucidita un nome ai

problemi che si presentano nella vita. Non basta quindi dare un nome generico. Bisogna comprendere un

problema alla luce dei bisogni personali che rimangono insoddisfatti. Un’altra caratteristica della buona analisi e la prima persona. Questo

significa leggere i problemi come bisogni ai quali l’individuo deve trovare una propria risposta, assumendo da se la responsabilita della costruzione delle soluzioni che soddisferanno il bisogno che il problema attuale lascia insoddisfatto.

Una cattiva analisi, invece, si sofferma troppo sulle cause, diventando psicologismo o filosofia. Ci sono persone che fanno delle lunghissime dissertazioni sulle cause, volando tra logiche familiari, psicologiche, sociali e politiche. Ma poi, non appena hanno finito di discutere di massimi sistemi, non fanno altro.

Un’altra forma di cattiva analisi e quella che si focalizza soltanto sulle colpe, proprie o degli altri. Ci sono persone che analizzano con dettaglio ogni torto subito per poter puntare un dito sugli altri e chiedere dei continui risarcimenti. Sono spesso iperanalitici e ossessivamente attenti alla misura di cio che hanno dato e cio che hanno ricevuto.

La buona analisi non insiste sulle cause ma sui bisogni in- soddisfatti presenti nel problema trattato e non si occupa di trovare le responsabilita degli altri ma le chiavi di risoluzione che, al contrario, possono essere utilizzate autonomamente.

Secondo ruolo: Architetto In questo livello la persona progetta le forme di arrivo. Un architetto non

costruisce materialmente la casa, ma scrive, disegnando un progetto. Il progetto e una forma ordinata che garantisce una serie di funzionalita . Ad esempio una casa garantisce degli spazi che hanno delle funzioni diverse: il soggiorno, la cucina, le stanze da letto, il bagno, la cantina, il guardaroba sono luoghi che servono a soddisfare bisogni diversi. Non mettiamo un water in stanza da letto proprio per separare il sonno dalle funzioni di igiene.

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Non e scontato utilizzare la propria mente per progettare le forme di arrivo. Le persone che si fermano al livello dell’analista possono denominare con esattezza tutti i loro problemi, le cause di essi e le emozioni di sofferenza che da essi scaturiscono. Ma non sognano le forme di arrivo, non progettano le stanze della nuova casa.

Il piu grande architetto dei nostri tempi e stato Ingvar Kamprad, il fondatore di IKEA.

Qual e stato il segreto per diventare uno degli uomini piu ricchi del mondo? Ha abbattuto i costi dei mobili di ogni casa facendo compiere il trasporto e il montaggio ai clienti. Come ha potuto compiere questo ardito passaggio e avere successo?

Mediante progetti cosi ben dettagliati da essere alla portata di tutti. Chiunque e in grado di montare un mobile dell’IKEA perche l’architetto

ha costruito disegni molto chiari che indicano con esattezza e precisione la sequenza degli atti che gli operai dovranno eseguire. Un capolavoro progettuale.

Il progetto deve essere fatto nella mente prima dell’azione se non si vuole che gli operai disperdano inutilmente energia nel fare e disfare la costruzione procedendo per costosissimi tentativi.

Qualsiasi trasformazione, per essere di successo, va studiata al tavolo progettuale mediante il potere dell’immaginazione creativa.

Se una mente immagina la scena finale, visualizzando lo stato che avra quella situazione non appena il problema sara pienamente risolto, una buona parte del lavoro e gia compiuta.

Se poi, analogamente a un progetto di montaggio IKEA, la mente immagina le singole azioni da compiere per giungere a quella scena finale, il gioco e fatto. Il progetto e pronto ad essere passato al prossimo ruolo della volonta : l’operaio.

Terzo ruolo: Operaio L’architetto ha disegnato il progetto della casa di cui si ha bisogno. Gli

operai a questo punto, e solo a questo punto, entrano in azione. Compiono delle azioni concrete, finalizzate a mettere in terra quanto finora si trovava nelle regio- ni astratte della mente. Costruiscono, utilizzando la materia, cio che l’architetto ha immaginato utilizzando le idee e i principi. Gli operai devono seguire con attenzione il progetto in ogni sua fase e devono verificare se il frutto del loro lavoro soddisfa il disegno progettato dall’architetto.

Non viene chiesto al singolo operaio di conoscere il piano globale della casa: un idraulico potrebbe non sapere nulla dei circuiti elettrici di cui si occupera un altro operaio specializzato.

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Viene chiesto di rispettare con precisione l’ordine della sequenza progettuale.

Fuor di metafora, in questa fase si tratta di agire. Non a casaccio e non in soluzione unica, come coloro che giocano a “o la va o la spacca”, mediante comportamenti azzardati con cui sperano di ottenere risultati immediati in modo impaziente e immaturo.

Si tratta di un lavoro di costruzione, paziente e certosino. Quarto ruolo: Cuoco Questo personaggio e fondamentale per l’autostima. Bisogna nutrire

l’autostima, cioe il valore. Per questo e necessario dare da mangiare all’analista, all’architetto, agli operai e a tutte le figure della volonta. Si tratta di dare valore ai risultati degli sforzi, tutti. E non dare da mangiare alimenti tossici.

Una casa per essere terminata spesso richiede un anno di lavoro,

compiuto da una squadra di operai coordinata da un architetto. Quando si da loro da mangiare? Ogni giorno, pranzo e cena. Non soltanto quando la casa e finita. Altri- menti dopo pochi giorni il lavoro si fermerebbe per l’eccessi- vo indebolimento delle persone che lo svolgono.

Fuor di metafora, il cuoco e la figura centrale per la costruzione dell’autostima. Offre alla mente e al cuore il nutri- mento del valore che si sprigiona dal lavoro compiuto dall’analista, dall’architetto, dagli operai e da tutti gli altri ruoli interiori.

Anche il cuoco ha bisogno di mangiare e nutrire se stesso. Quinto ruolo: Maestro delle Siepi Perche il bagno e separato dalla cucina e dalla stanza da letto con un

muro? Perche il water non e messo nella stessa stanza di dove si mangia? Dobbiamo separare gli ambienti per garantire delle funzionalita diverse e far si che non interferiscano una con l’altra.

Molto spesso, quando si fa un complimento a qualcuno, la risposta che si riceve in cambio e : “Si, ti ringrazio, pero ...” seguito dalla elencazione di uno o piu difetti, errori, paragoni con situazioni ideali non ancora raggiunte.

Il cuoco ha preparato una pietanza per dare da mangiare all’operaio che ha fatto il lavoro ma immediatamente un “giudice” mette nello stesso piatto un topo morto. Cosi non si nutre l’autostima. Il Mastro delle Siepi, nella costruzione dell’autostima operata dal cuoco,

ha il compito di tenere separate le due situazioni. Il cuoco deve servire il

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cibo sano e fresco derivato dal frutto del lavoro degli altri ruoli. Un piatto di spaghetti per gli operai, un piatto di minestra per l’analista e una bistecca per l’architetto.

Il “topo morto”, cioe le cose che sono andate male, gli errori, gli insuccessi, i fallimenti, le delusioni, vanno invece date al ruolo

successivo, il Maestro dell’Errore. Per far questo il Maestro delle Siepi deve prendere il “topo” e metterlo in

un altro recipiente, in modo che esso venga gestito in un altro luogo da quello nel quale ci si nutre.

Sesto ruolo: Maestro dell’Errore Questo ruolo e uno tra i meno diffusi nella socio-cultura imperante. Il

sistema nel quale cresciamo e incredibilmente giudicante e punitivo nei confronti degli errori e degli aspetti difettosi del carattere umano.

Anche il sistema scolastico tradizionale manca quasi totalmente della zona emozionale della gestione degli errori.

Il Maestro dell’Errore e un campione di compassione e verita . Guarda in faccia le cose per quello che sono perche sa che soltanto osservando accuratamente gli errori diventa possi- bile estrapolare con precisione la direzione dello sviluppo. Come fa un maestro di sci a capire quale esercizio dare al suo allievo?

Guarda gli errori, da essi deriva il livello in cui l’allievo si trova e da cio elabora il correttivo giusto, mirato e calibra- to. Non darebbe da fare a un principiante gli stessi esercizi che riserva a un campione. Perche i due si trovano su due diversi livelli di maturazione rispetto allo sci.

Come fa il maestro a vederlo? Fa sciare per trenta metri di pista e guarda con attenzione. Osserva gli

errori. Progetta le azioni che sono in grado di correggerli. In questo controllo il terapeuta deve osservare se il paziente e attento a

cogliere i propri errori e assumerli. O se, per difendersi dalle emozioni negative, li proietta addosso agli altri, incolpando sempre persone o fattori esterni dei propri insuccessi.

Per gestire gli errori e quindi necessario avere un grande li- vello di

accettazione amorevole e smettere di punirsi quando si fallisce o si feriscono le persone.

Bisogna poi esporsi alla verita e scoprire la natura dell’errore. Vederne le conseguenze.

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Il Maestro dell’Errore ricorre quindi all’analista. Poi, una volta compresa la natura dell’errore, si tratta di chiedere

all’architetto di progettare un piano per costruire le azioni corrette. Bisogna ricorrere agli operai che mettano in azione il nuovo progetto. Il Maestro dell’Errore ha una capacita ulteriore. L’umilta . Il che significa

che per vedere gli errori, capirne la natura e progettare le correzioni raramente si procede da soli. Chi ha sviluppato questo ruolo e sempre il grado di chiedere ad altre persone pareri e consulenze e non teme le critiche.

Le persone che invece sono intrappolate in atteggiamenti esistenziali negativi non sopportano le critiche altrui, non chiedono pareri e preferiscono cullarsi nel sogno di essere gia perfette, giuste, amorevoli e sagge.

Settimo ruolo: Fratello Questo e il ruolo finale. Il Fratello aiuta altre persone a costruire lo stesso

potere che egli stesso ha ottenuto grazie ai sei punti di controllo precedenti. Non si tratta soltanto di condividere i frutti del proprio la- voro, ma

aiutare gli altri a diventare capace di arrivare agli stessi risultati. In altre parole il terapeuta in questo livello controlla il livello di generosita

della persona. Cosa c’entra questo con la volonta individuale? Molto piu di quanto sembri. Tutti i grandi leader, scienziati, artisti, manager, insegnanti ecc. hanno

uno spiccato senso sistemico. Non utilizzano la propria volonta soltanto per se stessi ma vota- no la propria forza a qualcosa di superiore e piu grande. Includendo nel proprio lavoro altre persone che aiutano a diventare forti.

Molte volte si nota che i pazienti, a causa della sofferenza e della cattiva educazione si sono chiusi in se stessi, pervenendo a una visione egocentrica e a volte cinica della vita. Non si tratta di rendere i pazienti altruisti per adattarli a qualche tipo di valore ideologico, ma di sostenere in loro gli atteggiamenti sistemici che sono indispensabili per la piena maturazione della loro volonta e identita armonica.

Se una persona e troppo egoista, nel tempo produce una reazione difensiva in chi lo circonda e questo non manca di tradursi nell’arrestarsi delle potenzialita di sviluppo della volonta dell’individuo. Privato della possibilita di aprire sempre piu profonde ed intense occasioni di scambio, egli si trova senza la materia prima necessaria per edificare una volonta sempre piu articolata ed efficiente.

La generosita e la virtu esistenziale che induce negli altri la fiducia, la predisposizione ad aprirsi e donare a loro volta i propri tesori esistenziali. Che potranno poi essere interiorizzati dall’individuo con i primi sei ruoli.

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IL PRIMATO DELLA VOLONTA Piu che un processo miracolistico dove si arriva ad uno sblocco legato a

una guarigione, spesso il processo terapeutico ha le fattezze di una costruzione.

Come in ogni altro processo di apprendimento la persona deve costruire in se delle abilita , delle competenze nuove. E da dove si comincia?

Dalla volonta . Comunemente le persone non hanno sviluppato la propria volonta a

sufficienza. La conseguenza di cio e la perdita di controllo sulla propria mente e sulle proprie emozioni ed impulsi. Non si tratta di un controllo simile a quello di un gerarca nazista. Ma delle potenzialita di contenimento affettivo che ricordano quelle di un buon padre e di una buona madre sui propri figli.

Quando nel buddismo si parla di sviluppare ed accrescere l’amore per se stessi si parla proprio di questo. Le persone non sanno dominare la propria mente e le proprie emozioni perche non hanno sviluppato sufficiente amor proprio e forza interiori.

Non sanno essere gentili, accettanti e comprensivi nei con- fronti di se stesse cosi come non sanno gestire, controllare e canalizzare le proprie pulsioni.

Avere una forte volonta significa saper dominare amorevolmente alcuni processi fondamentali interiori, che altro non sono che le funzioni che ho rappresentato metaforicamente nel capitolo precedente nei sette ruoli.

Vediamoli a) creare degli obiettivi b) immaginare creativamente c) agire con costanza senza perdere la direzione d)nutrirsi delle esperienze positive e) separare i contenuti mentali f) rielaborare gli errori g) condividere con generosita con altre persone Come se non bastasse, queste semplici funzioni non soltanto sono poco

sviluppate ma la persona e ignara di tale mancanza o debolezza. I meccanismi di difesa sono spesso all’opera e notare lo stato di poverta

esistenziale sarebbe troppo doloroso e minaccerebbe la stabilita psichica.

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In questo modo l’individuo e esistenzialmente debole ma non sa di esserlo.

Nella relazione terapeutica la debolezza della volonta spesso rappresenta il vero ostacolo o per lo meno il primo impedimento allo sviluppo della guarigione, del cambiamento e della crescita personali.

IL DIARIO TERAPEUTICO COME ANTIDOTO AI MECCANISMI DI DIFESA

I meccanismi di difesa, cosi come sono stati descritti da Anna Freud e da generazioni di psicanalisti e psicologi, si fondando sul meccanismo dell’oblio selettivo. Lo scopo di un meccanismo di difesa e far scomparire dalla coscienza un contenuto che potrebbe disturbare la lucidita . Piuttosto che mettere in sovraccarico la coscienza, che deve gestire le complesse sfide della vita, la mente e strutturata per nascondere tutto cio che la potrebbe distogliere dal delicato compito di gestire le difficolta del quotidiano. Questo meccanismo non e perfetto, ma di fatto funziona in ogni persona.

Ho sempre creduto che la famosa affermazione di Cristo, riguardante la trave negli occhi, volesse indicare quanto i meccanismi di difesa, in ogni essere umano, siano la fonte della cecita psicologica che impedisce di scorgere con chiarezza la verita delle cose:

“Perche guardi la pagliuzza che e nell’occhio di tuo fratello, mentre non

scorgi la trave che e nell’occhio tuo? O, come potrai tu dire a tuo fratello: ‘Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza’, mentre la trave e nell’occhio tuo? Ipocrita, to- gli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello”. (Matteo 7:3-5)

Quando Franco Battiato, nella sua canzone “Centro di gravita

permanente” parafrasando George Ivanovic Gurdijeff asserisce: “Cerco un Centro di Gravita Permanente che non mi faccia mai cambiare

idea sulle cose sulla gente... avrei bisogno di...” non ho dubbio si riferisca allo stesso fenomeno: la realta non e la stessa

se vista con occhi puri o filtrati dal meccanismo di difesa. Quando un meccanismo di difesa si attiva, ecco che gli occhi percepiscono piu le forme da esso generate che non i fatti reali, il che realizza una distorsione del significato che essi assumono per l’individuo.

Nel mio caso, essendo io un carattere “seduttivo ottimista”, sono stato per anni vittima di un autoinganno che mi vedeva molto piu capace di quanto fossi in realta.

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Credevo di avere controllo e consapevolezza. Mi ci sono voluti degli anni per capire che i sogni che io perseguivo,

convinto di farcela, erano di fatto irrealizzabili. Promettevo a me stesso molto piu di quanto non potessi mantenere.

Era cattiva fede? Era un modo per manipolare le persone? No, di fatto questo meccanismo mi causava terribili sensi di colpa, in

quanto credevo veramente di farcela a mantenere le promesse. Ma di fatto poi fallivo e instancabilmente, come se nulla fosse, ripetevo lo

schema: un altro sogno altisonante, le promesse, l’entusiasmo, lo slancio iniziale, la caduta di motiva- zione, l’affacciarsi di un altro sogno, la nuova intenzione, le nuove promesse, il nuovo entusiasmo. E cosi via.

Ovviamente non tutta la mia vita si e svolta all’interno di questo schema, altrimenti non mi sarei laureato e non avrei avuto il potere di mantenermi economicamente nella mia professione, ma posso testimoniare di aver preso questo abbaglio percettivo migliaia di volte, pagando prezzi salati ad ogni giro di vite.

Mi resi conto di questo meccanismo lentamente, mano a mano che grazie

alla mia psicoterapia personale, compiuta prevalentemente all’interno del programma Sat, sotto la sapiente guida di Claudio Naranjo, appresi a osservare le difese psichiche che mi ingannavano e le loro conseguenze nefaste. E stato attraverso la meditazione Vipassana che ho lenta- mente appreso ad osservare quanto i meccanismi di difesa prendessero il sopravvento. Portandomi a rimangiare gli scopi che mi prefiggevo, dimenticandomi di perseguirli per dedicarmi ad attivita abitudinarie, di conforto o lasciando- mi prendere da piaceri compensatori.

Mano a mano che la mia volonta e la mia coscienza, rafforzate dalla

terapia, dalla meditazione e dalla maturazione legata all’eta , si potenziavano e risvegliavano, sempre piu mi resi conto di quanto questo meccanismo fosse universale. Affliggeva la quasi totalita dei miei pazienti, che il piu delle volte ne erano completamente inconsapevoli, proprio come era stato per me.

Scoprendo questo meccanismo, attivo in me e negli altri, mi chiesi come trovare un rimedio.

Avendo scoperto che la mia mente non era sufficientemente degna di fiducia, in quanto poteva essere facilmente manipolata percettivamente dai meccanismi di difesa, pensai al vecchio detto latino:

Verba volant, scripta manent iniziai cosi un giorno a scrivere su di un foglio di carta i miei obiettivi.

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Piegai un foglio A4 fino a ricavarne un opuscoletto di 8 pagine, lo rilegai e scoprii che era possibile tenerlo sempre nella tasca posteriore dei pantaloni, in quanto esso presentava le dimensioni di un portafoglio.

Da quel giorno, per lunghi anni, appresi a tenere una lista di obiettivi

scritti su questo diarietto. Quando mi si profilava un obiettivo, invece di mandarlo a mente, lo

annotavo li. A questa prima abitudine ne aggiunsi un’altra: al mattino ripassavo gli

obiettivi scritti per concentrare la mia intenzionalita verso lo scopo di raggiungerli e inoltre sadicamente cancellavo, tagliandoli con un segno netto della penna, quelli che avevo “chiuso” la giornata precedente. Devo ammettere che il processo di cancellazione di obiettivo e deliziosamente gratificante.

Queste due abitudini, se perseguite con costanza, portano un individuo a

rendersi conto delle reali capacita di gestione del suo tempo, delle sue energie e risorse.

Se si ha coraggio di verificare con attenzione quanto si programma e quanto si realizza, nel tempo si puo pervenire a una percezione lucida di cosa e veramente in nostro potere e cosa non lo e .

Scripta manent significa che le cose scritte non vengono cancellate, in quanto i meccanismi di difesa, che possono modificare le percezioni mentali, non sono dotati del potere magico di cancellare l’inchiostro dalla carta.

Operando in questo modo mi resi conto che il problema, era ancora precedente. Mi auto-ingannavo nella fase di progettazione: nel mio caso valevano i proverbi popolari:

avere occhi piu grandi dello stomaco fare il passo piu lungo della gamba che appunto indicano la tendenza a immaginare di avere piu possibilita di

quante non se ne abbiano in realta . Scappavo dalle emozioni negative attraverso gli slanci verso nuovi progetti e obiettivi.

Nel tempo, appresi a farmi un’idea piu realistica delle mie possibilita e questo mi permise di migliorare in fase di progettazione: conoscendo il meccanismo illusorio sapevo che dovevo architettare obiettivi piu a portata di quelli che la mia mente immaginava possibili. Per poter garantire l’efficacia e mettermi al riparo dalle emozioni negative che normalmente si attivavano quando devo poi fare i conti con la realta .

LA META DIAGNOSI E IL PROGETTO TERAPEUTICO

Il meta–tema

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Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, il diario terapeutico serve sia a studiare l’interazione tra coscienza e organismo che a sostenere lo sviluppo degli atteggiamenti esistenziali di valore.

Ma non e tutto. Nel tempo ho appreso un ulteriore modo per utilizzarlo. Il paziente annota i temi che emergono in ogni seduta nell’interazione

con il terapeuta. Da come li annotera , e da come si apprestera a gestirli, diviene possibile

radiografare e diagnosticare gli atteggia- menti esistenziali utilizzati, validi o meno, in sette punti di controllo.

In questo modo si studia l’interazione che una persona ha con se stessa e si puo generare un progetto di sviluppo dei sette ruoli di cui si avvale una volonta forte e sana.

In questo modo si studia la “bottiglia”: si vede se ha buchi e fratture e si progettano i “pezzi di vetro” da incollare per stabilizzarla e aumentare il suo potere contenitivo.

E il “latte”? Cioe i temi nevrotici, le emozioni, le ferite, le pulsioni, i filtri valoriali, la

storia del paziente insomma? Esiste un ulteriore livello di studio. Riguardante stavolta il contenuto e non il contenitore. Si tratta di un meta–tema. Cioe un tema che si trova tra i temi che usualmente escono e che non

sara mai espresso in una singola seduta. Un tema che anche un terapeuta di grande maturita fa difficolta a vedere

mentre sta svolgendo il suo lavoro. Il diario terapeutico ancora una volta puo offrire un’angolatura percettiva

di straordinaria efficacia. La documentazione dei temi emersi puo essere utilizzata per giungere a un livello di profondita diagnostica altrimenti quasi impossibile.

Il problema nella diagnosi dei temi Il campo percettivo di una seduta riguarda alcuni temi che emergono e

vengono messi a fuoco dalla collaborazione tra due menti: quella del paziente e quella del terapeuta.

Il terapeuta ha il vantaggio di avere delle conoscenze professionali che permettono di vedere le situazioni di vita del paziente dall’angolazione di un esperto di problematiche umane.

La mente del paziente ha invece lo svantaggio dell’essere irretita dai meccanismi di difesa: le emozioni di disagio ti- piche dello stress li attivano e cio intacca notevolmente la lucidita .

La focalizzazione dei temi avviene molto grazie allo sguardo lucido, esperto e meno coinvolto del terapeuta.

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Nonostante questo sostegno al reperimento dei temi centra- li, molte volte il processo terapeutico si arresta e la coppia terapeuta-paziente si attesta su di un livello di stabilizzazione. In questi casi il fenomeno piu frequente e il seguente: il paziente arriva in terapia e inizia a raccontare gli eventi salienti che gli sono successi durante la settimana.

Ho chiamato questo comune frangente: subire la settimana del paziente. Il lavoro terapeutico non si arresta del tutto: si elaborano piccole cose, si

analizzano situazioni problematiche marginali, si parla di soluzioni e scaramucce relazionali. Molto spesso i temi trattati tendono a ripetersi e il processo si arena, dando origine a una sotterranea percezione di impotenza e inutilita .

Tra terapeuta e paziente non viene pero intaccata di solito la qualita amorosa della relazione: il paziente percepisce di essere accettato, accolto, compreso. Gode dell’alleanza e del fatto che in quel luogo sicuro puo aprirsi in tutta sicurezza, esprimere le proprie emozioni e ricevere sostegno incondizionato.

Si verifica pero un fenomeno di adattamento che fa sparire la percezione di freschezza, nell’accezione del termine che fu conferita da Erving Polster: il vitale e vibrante slancio che caratterizza le esperienze vissute pienamente.

Non e raro notare che la freschezza e abbastanza comune nelle prime sedute, quando il processo e energetico e lo sguardo del terapeuta e lucido e attento. Per poi svanire lentamente con il prosieguo della terapia.

Come mai allora con il tempo, invece di approfondire la relazione e il rapporto, si rischia di riparare e accucciarsi nel comodo rifugio della relazione di alleanza terapeutica?

Ci sono piu fattori in gioco che concorrono tutti a generare questo

fenomeno: • il primo e rappresentato dai meccanismi di difesa del paziente. Essi provocano un continuo spostamento dell’attenzione verso

temi marginali e generano l’oblio di quelli rilevanti. • Il secondo e che il paziente ha scoperto i limiti del terapeuta e lo sta

manipolando perche diventi “buono” cioe non solleciti piu di tanto i temi che generano sofferenza.

• Il terzo e che il terapeuta ha anch’egli dei meccanismi di difesa e tenere il paziente “sotto torchio” sollecita le sue emozioni di disagio, attivandoli.

Come tra il potere politico e quello economico a volte si generano delle collusioni, cioe delle alleanze sotterrane invisibili al popolo, anche tra l’inconscio del terapeuta e quello del paziente puo verificarsi una alleanza nevrotica, invisibile alla coscienza del terapeuta, nella quale i meccanismi di difesa di uno potrebbero metaforicamente dire a quelli dell’altro:

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“Senti un po’, mettiamoci d’accordo... io ti prometto di essere carino, darti tanta stima e affetto... tu pero non mettermi in contatto con la verita delle mie mancanze e difetti personali... accettami per quello che sono... non sono perfetto... ti prego... sii buono e schierati dalla mia parte...”

Se i meccanismi di difesa del terapeuta impediscono alla sua coscienza di

rendersi conto di questa alleanza collusiva la relazione rischia lo stallo e si verifica il fenomeno dell’impasse terapeutica.

Di fatto il paziente non e affatto contento di riuscire a circuire il terapeuta e se la sua manipolazione inconscia riesce, questo comporta una graduale perdita di stima nei confronti di chi non ha avuto la forza e il coraggio di portarlo a lavorare su quei temi che, pur dolorosi, sono attivi al di sotto dei suoi meccanismi di difesa.

Nel tempo il terapeuta, se accetta il patto collusivo inconscio, e destinato

a perdere autorevolezza e diventare una sorta di amichevole confidente. Come evitare questa trappola? Negli anni ho trovato una strategia molto efficace in questo senso, che

utilizzo con grande successo. Il diario terapeutico riporta con esattezza tutti i temi usciti nelle varie

sedute. Un giorno chiesi a un paziente di leggere non quanto compiuto

nell’ultima seduta ma nelle ultime cinque. Ascoltai con attenzione i temi e mi resi conto che il meccanismo

dell’oblio mi aveva fatto dimenticare una buona parte di essi. La lettura del resoconto delle sedute e pero in grado di ripristinare, spesso

con esattezza e dettagli, la memoria di buona parte del materiale emerso. Accadde pero una cosa ancora piu importante: ebbi ad un certo punto la

percezione che ci fosse un collegamento tra i temi emersi. Un filo rosso che li univa in un disegno piu ampio. Un meta–tema! Un tema invisibile che faceva da cornice a tutti gli altri. Spesso il meta–tema non viene dichiarato dal paziente e non viene scorto

dal terapeuta. Per poterlo focalizzare e necessario comporre, come in un puzzle, diversi elementi per lasciare che si formi un disegno piu grande.

Nessuna tessera del mosaico ha in se la forma compiuta del disegno che concorre a comporre. Ogni singola tessera mostra delle forme magari riconoscibili, ma non indica che un frammento dell’insieme a cui appartiene.

Ho appreso cosi a mettere molta attenzione a questa pratica. Di tanto in tanto chiedo alla persona:

“Prenda il suo diario terapeutico e legga le ultime cinque sedute”

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Poi, senza intervenire, ascolto in silenzio ogni dettaglio mentre recluto quanti piu ricordi dell’esperienza delle sedute compiute. Metaforicamente colloco questi temi uno vicino all’altro, come se fossero in un campo di calcio e io salissi su di un elicottero per poterli osservare dall’alto, tutti assieme.

Quando i temi sono tutti posizionati a terra lancio nel cielo della mia coscienza la seguente domanda:

“Che cosa collega tra di loro tutti questi temi?” Permetto alla mia mente quindi di provare diverse ipotesi di collegamento

e connessione. La buona notizia, e esorto il lettore a compiere questo esercizio almeno

una volta, e che non mi e mai successo di rimanere senza risposte. Il collegamento ad un certo punto si manifesta e si scorge il meta–tema.

In questi momenti il vissuto e sempre di grande lucidita e presenza. Si ha l’impressione di riprendere in mano le redini del processo. Come terapeuta, ho sempre sentito di riconquistare il controllo della situazione, sfuggendo all’oblio dato dall’irretimento causato dall’effetto neurochimico dei meccanismi di difesa.

Comunicare il meta–tema al paziente ottiene spesso un effetto sorpresa. Da un lato sollecita il contatto con delle verita dolorose, ma l’angoscia che ne deriva viene rapida- mente compensata dalla percezione di direzione e rilevanza recuperata dal lavoro terapeutico. E dalla protezione che si sviluppa dal processo di riconoscimento e ricostruzione dell’autorevolezza del curante.

Oggi, grazie al conforto dato da questa strategia, so che posso sempre riprendere in mano la dinamica terapeutica, anche quando inconsapevolmente cado nel confortante limbo della collusione inconscia generato dai meccanismi di difesa. Proprio grazie al diario terapeutico.

Ho notato che, al contrario di quanto mi accade con i temi che emergono di seduta in seduta, la mia mente presenta una particolare capacita di memorizzare il meta–tema, che raramente dimentico.

A volte un pescatore non riesce a ricordare con esattezza cosa gli aveva consegnato il mare nei vari giorni, ma nella sua mente rimane impresso il momento nel quale al suo amo ha abboccato uno squalo o un tonno.

Il meta–tema e il progetto terapeutico La ricognizione del meta–tema rappresenta un grande passo in avanti nel

processo terapeutico per quanto riguarda la consapevolezza delle determinanti negative che generano sofferenza nel paziente.

Esiste inoltre un altro importante livello da considerare: la costruzione di un progetto terapeutico di grande qualita.

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Il progetto terapeutico e la costruzione sia di un obiettivo di arrivo che risolva il tema di partenza, sia del cammino concreto necessario a raggiungerlo.

Mettere in cantiere un progetto terapeutico in grado di modificare il meta–tema, significa immaginare il cambiamento in un livello esistenziale del paziente capace di assicurare una trasformazione radicale della vita della persona.

Come abbiamo visto nella prima parte di questo lavoro, ogni singolo tema puo essere elaborato dal ruolo dell’architetto e lavorato da quello dell’operaio.

Il progetto di trasformazione del meta–tema assicura un enorme risparmio di energia, in quanto i risultati ottenuti hanno un effetto di benefica premessa per la risoluzione di tutti gli altri temi emersi.

In un albero ci sono le foglie, i rametti, i rami principali e il tronco. Occuparsi dei dettagli, cioe delle foglie o dei rametti, non ha la stessa efficacia del lavoro che si puo compiere alla radice. Piu ci si avvicina alla base dell’albero, piu tutto quello che viene compiuto si diffonde in ogni direzione.

Il progetto terapeutico compiuto alla luce del meta–tema riguarda comunemente temi che rappresentano le fondamenta dell’identita della persona; una trasformazione in questa direzione non manca di apportare soddisfazione profonda, energia, stabilita e spesso genera la rinascita di slanci vita- li prima impossibili.

PRENDERE LA REGIA DEL PROPRIO ROMANZO DI VITA

Abbiamo visto che il diario terapeutico serve ad annotare i temi nevrotici, scoprire gli atteggiamenti esistenziali positivi e negativi e a sviluppare la volonta .

Quando una persona allena veramente i sette ruoli della volonta e perviene a una massa critica di atteggiamenti esistenziali positivi, la sua “bottiglia” si potenzia, si allarga e diviene capace di ospitare sempre piu “latte”.

Come per magia le emozioni negative si calmano, la mente resta sempre piu lucida, la memoria si potenzia e la persona aumenta le proprie capacita di apprendere.

Il potere di incidere sui problemi aumenta progressivamente e con esso l’autostima.

I temi nevrotici trasformati divengono risorse preziosissime, amici intimi e fedeli con i quali si e condiviso la trincea della sofferenza e che abbiamo sottratto al destino negativo ai quali erano condannati.

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I meccanismi di difesa, prima attivi nel fronteggiare la sofferenza, possono allentare la presa, in quanto emozioni positive sempre piu intense di amore, fiducia, speranza e forza permettono all’Io di approfondire la sua conoscenza del mondo interiore.

Nel corpo e nel cuore gli effetti benefici non tardano a dare i propri frutti. Slanci vitali prima tenuti a bada dalle difese si liberano, apportando nuove energie e desideri.

Un essere umano fiorisce, matura, si sviluppa e integra sempre nuove

parti di se in modo armonico. Arriva cosi un giorno in cui il frutto di tutto questo lavoro permette la

connessione piena con le zone piu intime dell’essere, che nelle varie tradizioni spirituali vengono chiamate con nomi diversi: Vero Se , Io essenziale, Anima, Spirito, Essenza.

Questa commovente e fertile connessione con la parte piu intima e profonda di un essere umano e all’origine di ogni processo creativo ed artistico. Ed e da questo tipo di contatto che si origina l’intuizione di cio che veramente ha senso di essere vissuto per quell’individuo. Abraham Maslow colloca questo tipo di fenomeni nell’ultimo gradino della sua famo- sa piramide dei bisogni, nel livello che chiama dell’Autorealizzazione: se uno sente di dover suonare un violino, altro non puo fare che suonare un violino. Se invece e piu incline a disegnare case, sara bene che diventi architetto, ingegnere o geometra. Ognuno idealmente dovrebbe poter giungere a conoscere e seguire le proprie attitudini e vocazioni.

Si liberano quindi i piu potenti “sogni nel cassetto” che l’a- nima di una persona ha in serbo e si manifestano con chiarezza la direzione e il senso esistenziale in essi contenuti.

Non si svelano soltanto senso e direzione, ma e anche la volonta a rinforzarsi: potenziata dal lavoro precedente, ben sa di poter contare sulle proprie risorse concrete che permettono di realizzare cio che lo spirito indica. Slancio e ispirazione si coniugano in un fertile dialogo tra pensieri, emozioni e spinte istintive.

In questa fase, matura e consapevole, il diario terapeutico di- viene non piu uno strumento di allenamento, come e stato per anni, ma il libretto di un regista creatore. Il copione che prepara il mettere nel mondo cio che l’anima ha considerato sensato. In esso l’individuo annota i propri sogni e descrive i propri progetti, preparando nei dettagli cio che con le proprie risorse sa di poter realizzare concretamente nella vita. E una fase esaltante in cui una persona diventa regista del- la propria vita,

che si trasforma in un’opera d’arte sviluppandosi tra presente e futuro.

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CONCLUSIONI In questo libro ho descritto in modo semplice e metaforico uno strumento che ha portato alla mia vita personale e professionale un grande regalo in termini di potenzialita concrete di cambiamento e di chiarezza nel generare direzione. Spero vivamente di aver stimolato il lettore a tentarne l’uso.

A un terapeuta auguro di trovare la forza di sperimentare il diario terapeutico con i propri pazienti. Suggerisco di fare una prova della durata di un mese, facendo leva su di un pizzico di disciplina. E poi lasciare ai risultati concreti la parola.

A un lettore generico consiglio l’uso personale del diario, annotando i

propri obiettivi e indagando da se la relazione che la propria volonta contrae con la mente, il cuore e il corpo. Si tratta di essere onesti nel valutare gli atteggiamenti esistenziali positivi o negativi che via via si riscontrano rileggendo quanto si annota della propria vita personale e professionale.

I sette punti di controllo possono inoltre essere dei validi punti di riferimento per lo studio di se stessi.

Una variante possibile e estendere a un amico caro la riflessione su questi

temi e procedere insieme, unendo le forze e trovando il tempo per leggere i reciproci diari, scambiandosi impressioni sui temi, sugli atteggiamenti e sui sette ruoli. Buon lavoro Paolo Baiocchi