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Lisa Jane Smith Il diario del vampiro La messa nera (The Vampire Diaries: Dark Reunion, 1991) Traduzione di Daniela Di Falco A John e Marianne Vrabec, con amore. E ringrazio Julia, ancora una volta, per avermi aiutato a scrivere questa storia INDICE Capitolo 1................................................................................................... 2 Capitolo 2................................................................................................... 6 Capitolo 3................................................................................................. 17 Capitolo 4................................................................................................. 27 Capitolo 5................................................................................................. 37 Capitolo 6................................................................................................. 47 Capitolo 7................................................................................................. 58 Capitolo 8................................................................................................. 67 Capitolo 9................................................................................................. 74 Capitolo 10............................................................................................... 84 Capitolo 11............................................................................................... 92 Capitolo 12............................................................................................. 104 Capitolo 13............................................................................................. 115 Capitolo 14............................................................................................. 126 Capitolo 15............................................................................................. 138 Capitolo 16............................................................................................. 151

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  • Lisa Jane SmithIl diario del vampiro

    La messa nera(The Vampire Diaries: Dark Reunion, 1991)

    Traduzione di Daniela Di Falco

    A John e Marianne Vrabec, con amore.E ringrazio Julia, ancora una volta,

    per avermi aiutato a scrivere questa storia

    INDICE

    Capitolo 1...................................................................................................2Capitolo 2...................................................................................................6Capitolo 3.................................................................................................17Capitolo 4.................................................................................................27Capitolo 5.................................................................................................37Capitolo 6.................................................................................................47Capitolo 7.................................................................................................58Capitolo 8.................................................................................................67Capitolo 9.................................................................................................74Capitolo 10...............................................................................................84Capitolo 11...............................................................................................92Capitolo 12.............................................................................................104Capitolo 13.............................................................................................115Capitolo 14.............................................................................................126Capitolo 15.............................................................................................138Capitolo 16.............................................................................................151

  • 1«Tutto potrà tornare come prima», disse Caroline di cuore, allungando

    una mano per stringere quella di Bonnie.Ma non era vero. Niente avrebbe potuto essere come prima che Elena

    morisse. Niente. E Bonnie nutriva seri dubbi sulla festa che Caroline stava cercando di organizzare. Un vago fastidio alla bocca dello stomaco le diceva che per qualche ragione era proprio una pessima idea.

    «Il compleanno di Meredith è già passato», le fece notare. «Era sabato scorso».

    «Ma non ha avuto una festa, una festa vera e propria, come questa. Abbiamo tutta la notte a disposizione; i miei genitori non torneranno prima di domenica mattina. Andiamo, Bonnie... pensa solo a come resterà sorpresa».

    Oh, certo che resterà sorpresa, si disse Bonnie. Talmente sorpresa che dopo vorrà uccidermi. «Senti, Caroline, il motivo per cui Meredith non ha organizzato una gran festa è perché non è proprio dell'umore giusto per festeggiare. In qualche modo le sembrerebbe... indelicato...».

    «Ma sbaglia. Elena vorrebbe che noi ci divertissimo, lo sai anche tu. Adorava le feste. E non sopporterebbe di vederci qui sedute a piangere dopo sei mesi dalla sua scomparsa». Caroline si sporse in avanti, con un'espressione sincera e pressante nei verdi occhi felini. Ora non tradivano alcuna astuzia, né la solita perfidia volta a raggirarti. Bonnie avrebbe giurato che fosse realmente sincera.

    «Voglio che torniamo a essere amiche come prima», riprese Caroline. «Festeggiavamo sempre insieme i nostri compleanni, solo noi quattro, ricordi? E ti ricordi che i ragazzi cercavano sempre di imbucarsi alle nostre feste? Chissà se lo faranno anche quest'anno».

    Bonnie sentì che il controllo della situazione le stava sfuggendo di mano. Era una pessima idea, davvero una pessima idea, ripeté a se stessa. Ma Caroline non si arrendeva, con lo sguardo perso fra sogni e ricordi mentre parlava dei bei tempi andati. Bonnie non ebbe cuore di dirle che i bei tempi andati erano morti e sepolti come la musica da discoteca.

    «Ma non siamo più in quattro. In tre, non ha proprio l'aria di una festa», protestò debolmente, non appena riuscì ad aprir bocca.

    «Ho pensato di invitare anche Sue Carson. Meredith va d'accordo con lei, vero?».

    Bonnie dovette riconoscere che era vero; chiunque andava d'accordo con Sue. Tuttavia, Caroline doveva capire che niente sarebbe stato come prima.

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  • Non si poteva semplicemente sostituire Elena con Sue e dire "ecco, è tutto a posto".

    Ma come spiegarlo a Caroline?, si chiese Bonnie. Poi trovò la soluzione.«Invitiamo Vickie Bennett», propose.Caroline sgranò gli occhi. «Vickie Bennett? Vuoi scherzare! Invitare

    quella tipa strana e insignificante che si è spogliata di fronte a mezza scuola? Dopo tutto quel che è successo?»

    «Proprio per quel che è accaduto», ribadì Bonnie in tono deciso. «Senti, so che non è mai stata del nostro gruppo. Ma so che non frequenta più neanche il vecchio giro; loro non la vogliono e lei ne è terrorizzata. Ha bisogno di amici. Noi abbiamo bisogno di far numero. Invitiamola».

    Per un momento sul viso di Caroline apparve un'espressione di impotente frustrazione. Bonnie sollevò il mento, posò le mani sui fianchi, e restò in attesa. Alla fine Caroline sospirò.

    «D'accordo; hai vinto. La inviterò. Ma tu devi fare in modo che Meredith venga a casa mia sabato sera. E Bonnie... assicurati che non abbia il minimo sentore di quel che la aspetta. Voglio che per lei sia davvero una sorpresa».

    «Oh, lo sarà», confermò Bonnie. Non si aspettava quella improvvisa gioia che illuminò il volto di Caroline, né il calore spontaneo del suo abbraccio.

    «Sono così contenta che tu la pensi come me», disse Caroline. «E ci farà un gran bene ritrovarci di nuovo tutte insieme».

    Proprio non riesce a capire, concluse Bonnie, sbalordita, mentre Caroline si allontanava. Cosa devo fare per convincerla? Darle un cazzotto?

    E poi: Oh, Dio, adesso devo dirlo a Meredith.Ma alla fine della giornata aveva deciso che forse non c'era bisogno di

    dirlo all'amica. Caroline voleva una Meredith sorpresa; bene, forse Bonnie doveva consegnarle una Meredith sorpresa. In quel modo, almeno, Meredith non si sarebbe preoccupata anzitempo. Sì, decise Bonnie, probabilmente era più clemente non dire nulla a Meredith.

    E poi chissà, scrisse sul suo diario la sera di venerdì. Forse sono troppo dura con Caroline. Forse è davvero dispiaciuta per tutto quel che ha combinato, come cercare di umiliare Elena di fronte all'intera città e di far condannare Stefan per omicidio. Forse da allora Caroline è maturata e ha imparato a pensare a qualcun altro oltre che a se stessa. Forse la sua festa sarà davvero piacevole.

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  • E forse sarò rapita dagli alieni prima di domani pomeriggio, pensò mentre chiudeva il diario. Poteva solo augurarselo.

    Il diario era un semplice quaderno bianco da poco prezzo, acquistato all'emporio, con un delicato motivo floreale sulla copertina. Aveva cominciato a riempire le sue pagine dopo la morte di Elena, ma a poco a poco si era appassionata. Era l'unico posto dove poteva scrivere tutto quel che voleva senza che la gente, scandalizzata, le dicesse "Bonnie McCullough!" oppure "Oh, Bonnie".

    Stava pensando ancora a Elena quando spense la luce e scivolò sotto le coperte.

    Era seduta su un prato lussureggiante e perfettamente curato, che si estendeva a perdita d'occhio in ogni direzione. Il cielo era di un blu intenso, l'aria carica di un profumato tepore. Gli uccelli cinguettavano.

    «Sono così contenta che tu sia potuta venire», disse Elena.«Oh... sì», disse Bonnie. «Certo, lo sono anch'io. Naturalmente». Diede

    un'occhiata in giro, poi tornò subito a guardare Elena.«Vuoi ancora del tè?».La mano di Bonnie reggeva una tazza, fragile e delicata come un guscio

    d'uovo. «Oh... certo. Grazie».Elena indossava un abito del XVIII secolo in mussola bianca trasparente,

    che le aderiva addosso evidenziando la sua snellezza. Le servì il tè in modo impeccabile, senza versarne neanche una goccia.

    «Gradiresti un topo?»«Un cosa?»«Ho detto, gradiresti un sandwich insieme al tè?»«Oh. Un sandwich. Sì. Ottima idea». Sottili fettine di cetriolo con

    maionese erano disposte su un fragrante quadratino di pane bianco. Senza crosta.

    L'intera scena era splendida e luminosa come un quadro di Seurat. Warm Springs, ecco dove siamo. Il classico luogo per un picnic, pensò Bonnie. Ma di certo dobbiamo parlare di cose ben più importanti del tè.

    «Chi ti acconcia i capelli adesso?», le chiese. Elena non era mai stata capace di farlo da sola.

    «Ti piace?». Elena posò una mano sulla serica massa di pallido oro raccolta dietro la nuca.

    «È perfetta», rispose Bonnie, proprio come avrebbe detto sua madre a un pranzo in onore delle Figlie della Rivoluzione Americana.

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  • «Be', i capelli sono importanti, capisci», disse Elena. I suoi occhi brillavano di un blu più intenso del cielo, il blu dei lapislazzuli. Bonnie tastò i suoi ribelli riccioli rossi con un certo imbarazzo.

    «Naturalmente, anche il sangue è importante», riprese Elena.«Sangue? Oh... sì, naturalmente», replicò Bonnie, sconcertata.Non aveva idea di che cosa stesse parlando Elena e aveva la sensazione

    di camminare su una fune sospesa sopra una fossa di alligatori. «Sì, il sangue è importante, certo», disse, con poca convinzione.

    «Un altro sandwich?»«Grazie». Era con pomodoro e formaggio. Elena ne scelse uno per sé e

    lo morse delicatamente. Bonnie la osservò, avvertendo un crescente senso di disagio, e poi...

    E poi vide una fanghiglia colare dai bordi del sandwich.«Che... che cos'è?». Il terrore le fece tremare la voce. Per la prima volta,

    il sogno sembrò davvero un sogno, e scoprì che non riusciva a muoversi, ma solo a fissare la scena senza fiato. Un denso grumo di fanghiglia marrone cadde dal sandwich di Elena sopra la tovaglia a quadri. Era fanghiglia, senza dubbio.

    «Elena... Elena, cosa...».«Oh, qui mangiamo tutti questa roba». Elena le sorrise con i denti

    macchiati di marrone. Tranne che la voce non era la sua; era la voce di un uomo, distorta e sgradevole. «Lo farai anche tu».

    Nell'aria non c'era più quel profumato tepore; vi gravava l'odore dolciastro e nauseante di resti in putrefazione. Fosse scure si aprivano nell'erba verde, che non era poi così curata, ma alta e incolta. Non era a Warm Springs. Si trovava nel vecchio cimitero; come aveva fatto a non accorgersene? Quelle erano le uniche tombe recenti.

    «Un altro topo?», le chiese Elena, e ridacchiò in modo osceno.Bonnie abbassò gli occhi sul sandwich mangiato a metà che teneva in

    mano e gridò. Dall'estremità del panino penzolava una bruna coda nodosa. Lo scagliò con tutta la sua forza contro una lapide, dove atterrò con un rumore flaccido. Poi si alzò in piedi, con lo stomaco in subbuglio, strofinandosi freneticamente le mani contro i jeans.

    «Non puoi andartene ora. Gli ospiti stanno per arrivare». Il viso di Elena si stava trasformando; i suoi capelli erano già scomparsi, e la pelle stava diventando grigia e ruvida. Qualcosa cominciava a muoversi nel vassoio dei sandwich e nelle fosse scavate di recente. Bonnie non voleva guardare; sarebbe impazzita se l'avesse fatto.

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  • «Tu non sei Elena!», gridò, e corse via.Il vento le gettò i capelli sugli occhi, impedendole di vedere. Il suo

    inseguitore era dietro di lei; lo sentiva proprio dietro la schiena. Raggiungi il ponte, si disse, ma poi andò a sbattere contro qualcosa.

    «Ti stavo aspettando», disse la figura nell'abito di Elena, quella grigia figura scheletrica con lunghi denti ritorti. «Ascoltami, Bonnie». La tratteneva con una forza terribile.

    «Tu non sei Elena! Non sei Elena!».«Ascoltami, Bonnie!».Era la voce di Elena, la vera voce di Elena, non oscenamente divertita,

    né cupa o sgradevole, solo pressante. Proveniva da qualche parte alle spalle di Bonnie e si diffuse nel sogno come un vento gelido e ristoratore. «Bonnie, ascolta, presto...».

    Tutto cominciò a confondersi. Le mani ossute che stringevano le braccia di Bonnie, il cimitero brulicante, il calore rancido dell'aria. Per un momento la voce di Elena risuonò chiara, ma poi le giunse a tratti, come una chiamata con scarsa qualità di ricezione.

    «...Lui sta falsando, cambiando ogni cosa. Io non sono forte come lui...», Bonnie non captò alcune parole, «...ma è importante. Devi trovare... subito». La voce si stava spegnendo.

    «Elena! Non ti sento! Elena!».«...un semplice incantesimo, solo due ingredienti, quelli che ti ho già

    detto...».«Elena!».Bonnie stava ancora urlando quando saltò su a sedere nel letto.

    2«È tutto quel che mi ricordo», concluse Bonnie, scendendo lungo

    Sunflower Street insieme a Meredith tra due file di alti edifici vittoriani.«Ma sei sicura che fosse Elena?»«Sì, e alla fine ha cercato di dirmi qualcosa. Ma questa è la parte che non

    si capiva bene, so solo che era importante, estremamente importante. Che ne pensi?»

    «Sandwich al topo e tombe aperte?». Meredith inarcò un elegante sopracciglio. «Penso che tu stia facendo confusione fra Stephen King e Lewis Carroll».

    Bonnie pensò che forse aveva ragione. Ma quel sogno continuava a

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  • turbarla; l'aveva tormentata per tutto il giorno, al punto da farle dimenticare le precedenti preoccupazioni. Ma ora, mentre si avvicinavano alla casa di Caroline, riemersero in tutta la loro forza.

    Avrei dovuto dirlo a Meredith, pensò, lanciando un'ansiosa occhiata obliqua alla ragazza più alta. Non avrei dovuto far venire qui Meredith impreparata...

    Meredith, con un sospiro, alzò lo sguardo verso le finestre illuminate della casa in stile regina Anna. «Quegli orecchini ti servono proprio stasera?»

    «Sì, sì, assolutamente». Ormai era troppo tardi. Tanto valeva fare buon viso a cattivo gioco. «Te ne innamorerai anche tu appena li vedrai», aggiunse, percependo la nota di disperata temerarietà nella sua voce.

    Meredith si fermò e i suoi perspicaci occhi neri scrutarono il viso dell'amica con aria inquisitoria. Poi bussò al portone. «Mi auguro solo che Caroline non sia in casa. Altrimenti dovremmo sorbircela tutta la sera».

    «Caroline a casa di sabato sera? Non essere ridicola». Bonnie aveva trattenuto il respiro troppo a lungo; cominciava a sentirsi stordita. La sua risata squillante suonò insicura e non convincente. «Che idea», continuò in modo ormai isterico, mentre Meredith diceva: «Non credo che ci sia qualcuno in casa», e tentò di girare il pomello. Dominata da un impulso irrefrenabile, Bonnie aggiunse: «Che assurdità».

    Con la mano sul pomello, Meredith si fermò di colpo e si voltò a guardare l'amica.

    «Bonnie», disse, con calma, «hai sniffato qualcosa?»«No». In preda allo sconforto, Bonnie afferrò il braccio di Meredith e

    cercò con urgenza il suo sguardo. La porta si stava aprendo da sola. «Oh, Dio, Meredith, non uccidermi, ti prego...».

    «Sorpresa!», gridarono tre voci.«Sorridi», sibilò Bonnie, spingendo il corpo recalcitrante dell'amica oltre

    la soglia, nella sala illuminata, fra grida eccitate e una pioggia di coriandoli. Anche Bonnie si produsse in un ampio sorriso, dicendo a denti stretti: «Dopo mi ucciderai... me lo merito... ma ora sorridi».

    C'erano costosi palloncini in mylar, e un mucchio di regali sul tavolino da caffè. C'era persino una composizione floreale, anche se Bonnie notò che le orchidee s'intonavano perfettamente al foulard verde pallido di Caroline. Era in seta, di Hermes, con un motivo a foglie e viticci. Finirà col mettersi una di queste orchidee fra i capelli, ci scommetto, pensò

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  • Bonnie.Gli occhi azzurri di Sue Carson tradivano una lieve ansia, il sorriso era

    esitante. «Mi auguro che tu non avessi qualche appuntamento importante per questa sera, Meredith», disse.

    «Niente che non si possa far saltare con la dinamite», replicò Meredith. Ma la ragazza le rispose con un caldo sorriso divertito, e Bonnie si rilassò. Sue era stata una Principessa del Ballo d'Autunno alla corte di Elena, insieme a Bonnie, Meredith e Caroline. Era stata l'unica a scuola, oltre a Bonnie e Meredith, che era rimasta accanto a Elena quando tutti gli altri si erano messi contro di lei. Al funerale aveva detto che Elena sarebbe rimasta sempre la vera regina del Robert E. Lee, e aveva rinunciato alla sua candidatura a Regina delle Nevi in ricordo di Elena. Nessuno poteva odiare Sue. Il peggio era passato, si disse Bonnie.

    «Voglio fare una foto di tutte noi qui sul divano», disse Caroline, sistemando le ragazze dietro la composizione floreale. «Vickie, la scatti tu, per favore?».

    Vickie Bennett, che era rimasta in disparte, ignorata, disse: «Oh, certo», e con un gesto nervoso allontanò i capelli castano chiaro dagli occhi e prese la macchina fotografica.

    Come se fosse una specie di domestica, pensò Bonnie, prima di venire accecata dal lampo del flash.

    Quando la stampa uscì dalla Polaroid, e Sue e Caroline risero dell'espressione di distaccata cortesia sul viso di Meredith, Bonnie notò qualcos'altro. Era una bella foto; Caroline era splendida come sempre, con i capelli di un lucente castano dorato e le orchidee color verde pallido davanti a lei. E c'era Meredith, con aria rassegnata e ironica e, senza volerlo, misteriosamente bella, e poi c'era lei, Bonnie, la testa più in basso delle altre, con i riccioli rossi arruffati e un'aria imbarazzata. Ma la cosa strana era la figura accanto a lei sul divano. Era Sue, certo che era Sue, ma per un attimo i capelli biondi e gli occhi azzurri sembrarono appartenere a qualcun'altra.

    A una che la guardava in maniera pressante, come se fosse sul punto di dirle qualcosa d'importante. Bonnie osservò la foto con aria aggrottata, battendo rapidamente le palpebre. L'immagine ondeggiò davanti a lei, e un brivido inquieto le corse lungo la schiena.

    No, era proprio Sue nella foto. Doveva aver avuto un attimo di follia, o altrimenti si stava lasciando suggestionare dal desiderio di Caroline che "fossero di nuovo tutte insieme".

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  • «La prossima la scatto io», disse, balzando in piedi. «Siediti, Vickie, e avvicinati alle altre. No, ancora, ancora... così!». Ogni movimento di Vickie era frettoloso, impacciato, appena accennato. Quando esplose il lampo del flash, la ragazza trasalì come un animale impaurito pronto a scappare.

    Caroline guardò distrattamente la foto, e si alzò subito per dirigersi in cucina. «Sapete cosa ci gusteremo al posto della torta?», disse. «Sto preparando una versione tutta mia della Death by Chocolate. Coraggio, dovete aiutarmi a sciogliere il cioccolato». Sue la seguì e, dopo un attimo d'incertezza, si accodò anche Vickie.

    Le ultime tracce di affabilità sul volto di Meredith svanirono non appena si voltò verso Bonnie. «Avresti dovuto dirmelo».

    «Lo so». Bonnie abbassò umilmente la testa per un attimo. Poi sollevò lo sguardo e fece un ampio sorriso. «Ma tu non saresti venuta e avremmo perso un'occasione per gustare la Death by Chocolate».

    «E questo sistema tutto?»«Be', aiuta», disse Bonnie, volendo apparire ragionevole. «E poi, forse

    non sarà così spiacevole. Caroline sta cercando davvero di rendersi simpatica, ed è un bene per Vickie uscire per una volta di casa...».

    «Non sembra che sia un bene per lei», la interruppe bruscamente Meredith. «Pare che sia sull'orlo di un infarto».

    «Be', probabilmente è solo un po' tesa». A parere di Bonnie, Vickie aveva ottime ragioni per esserlo. Aveva vissuto quasi tutto il precedente autunno in uno stato di trance, condotta lentamente sull'orlo della follia da un potere di cui non era consapevole. Nessuno si era aspettato che ne venisse fuori così bene.

    Meredith aveva ancora un'aria tetra. «Almeno», riprese Bonnie cercando di confortarla, «non è proprio il giorno del tuo compleanno».

    Meredith prese la macchina fotografica fra le mani e la esaminò da ogni lato. Poi, con gli occhi ancora abbassati, disse: «E invece lo è».

    «Cosa?». Bonnie la guardò con gli occhi sgranati e alzò la voce: «Cosa hai detto?»

    «Che il mio compleanno è oggi. Caroline deve averlo saputo da sua madre; le nostre mamme erano amiche, tanto tempo fa».

    «Meredith, ma che stai dicendo? Il tuo compleanno è stato la scorsa settimana, il 30 maggio».

    «No. È oggi, il 6 giugno. È la verità; è riportato sulla mia patente e gli altri documenti. I miei genitori hanno iniziato a festeggiarlo con una

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  • settimana di anticipo perché il 6 giugno era per loro una giornata troppo dolorosa. È stato il giorno in cui mio nonno è stato attaccato e ha perso la ragione». Mentre Bonnie la guardava a bocca aperta, incapace di parlare, aggiunse con calma: «Tentò di uccidere mia nonna, capisci. E anche di uccidere me». Meredith posò delicatamente la macchina fotografica proprio al centro del tavolino da caffè. «Dovremmo proprio andare in cucina», concluse semplicemente. «Sento odore di cioccolato».

    Bonnie era ancora paralizzata, ma la sua mente stava riprendendo a funzionare. Vagamente, si ricordò che Meredith ne aveva parlato in precedenza, ma allora non le aveva detto tutta la verità. E non le aveva detto quando era accaduto.

    «Attaccato... vuoi dire nel modo in cui è stata attaccata Vickie», se ne uscì Bonnie. Non era riuscita a pronunciare la parola vampiro, ma era certa che Meredith avesse capito.

    «Nel modo in cui è stata attaccata Vickie», confermò Meredith. «Andiamo», aggiunse, in tono ancora più pacato. «Ci stanno aspettando. Non intendevo turbarti».

    Meredith non vuole che io sia turbata, quindi io non lo sarò, si ripromise Bonnie, versando il cioccolato fuso sul dolce e sul gelato al cioccolato. Anche se siamo amiche fin dalla prima elementare e lei non mi ha mai svelato questo segreto prima d'ora.

    Per un istante provò un senso di freddo e le parole riemersero dagli angoli oscuri della sua mente. Nessuno è quel che sembra. Quell'anno era stata messa in guardia dalla voce di Honoria Fell che parlava attraverso di lei, e la profezia si era rivelata spaventosamente vera. E se fosse ancora valida?

    Ma poi Bonnie scosse con decisione la testa. Non era quello il momento per queste considerazioni; aveva una festa a cui pensare. E farò in modo che sia una bella festa e che tutte contribuiscano in qualche modo, pensò Bonnie.

    Stranamente, non fu neanche così difficile. All'inizio Meredith e Vickie non parlarono molto, ma Bonnie si sforzò in ogni modo di essere carina con Vickie, e persino Meredith non riuscì a resistere di fronte al mucchio di pacchetti colorati sul tavolino da caffè. Quando arrivò ad aprire l'ultimo, stavano ormai chiacchierando e ridendo tutte insieme. Il clima di tregua e di tolleranza perdurò quando salirono nella camera di Caroline per vedere i suoi abiti, i CD e gli album delle foto. Intorno alla mezzanotte, si buttarono

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  • sui sacchi a pelo, continuando a chiacchierare.«Come procede con Alaric?», Sue chiese a Meredith.Alaric Saltzman era il ragazzo di Meredith... quasi. Era uno studente

    laureato alla Duke University che si era poi specializzato in parapsicologia, ed era stato convocato a Fell's Church l'anno precedente quando erano cominciati gli attacchi da parte di vampiri. Sebbene fosse arrivato come nemico, era diventato un alleato... e un amico.

    «È in Russia», disse Meredith. «Perestroika, sai? È andato laggiù per scoprire come si sono serviti dei sensitivi durante la guerra fredda».

    «Cosa hai pensato di dirgli quando tornerà?», le domandò Caroline.Era una domanda che anche Bonnie avrebbe voluto porre all'amica.

    Poiché Alaric aveva quasi quattro anni più di lei, Meredith gli aveva detto di aspettare che lei si diplomasse prima di parlare del loro futuro. Ma ormai Meredith aveva compiuto diciotto anni – oggi, si ricordò Bonnie – e mancavano solo due settimane alla consegna del diploma. E dopo, cosa sarebbe successo?

    «Non ho ancora deciso», rispose Meredith. «Alaric vuole che io vada alla Duke, dove sono già stata ammessa, ma non sono sicura. Devo pensarci».

    Bonnie ne era proprio contenta. Desiderava che Meredith frequentasse il Boone Junior College insieme a lei, e non che andasse lontano a sposarsi, e neppure che si fidanzasse. Era stupido legarsi a qualcuno quando si era così giovani. La stessa Bonnie era nota per passare da un flirt all'altro. Si prendeva facilmente una cotta, e le passava con altrettanta facilità.

    «Finora non ho conosciuto un tipo a cui valga la pena restare fedele», esordì Bonnie a quel punto.

    Tutte si girarono rapidamente verso di lei. Sue, con il mento appoggiato sui pugni chiusi, le chiese: «Nemmeno Stefan?».

    Avrebbe dovuto aspettarselo. Quando l'unica luce era quella fioca della lampada da notte e l'unico suono udibile era il frusciare delle foglie del salice piangente all'esterno, era inevitabile che la conversazione volgesse su Stefan... e su Elena.

    Stefan Salvatore ed Elena Gilbert erano diventati ormai una sorta di leggenda in città, come Romeo e Giulietta. Quando Stefan era arrivato a Fell's Church, ogni ragazza lo aveva desiderato. E anche Elena, la più bella, la più popolare, la più inavvicinabile di tutta la scuola, lo aveva desiderato. Solo dopo averlo conquistato si era resa conto del pericolo. Stefan non era quel che sembrava, custodiva un segreto molto più oscuro

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  • di quanto si potesse immaginare. E aveva un fratello, Damon, ancora più misterioso e pericoloso di lui. Elena era rimasta profondamente coinvolta, amando Stefan ma sentendosi irresistibilmente attratta dal fascino crudele di Damon. Alla fine era morta per salvarli entrambi, e per riscattare il suo amore.

    «Forse Stefan... nel caso di Elena», mormorò Bonnie, per rendere l'idea. L'atmosfera era cambiata. Adesso era silenziosa, velata di tristezza, ideale per scambiarsi confidenze notturne.

    «Ancora non riesco a credere che non ci sia più», disse Sue a bassa voce, scuotendo la testa con gli occhi chiusi. «Era così piena di vita, più di ogni altra persona».

    «La sua fiamma ha brillato di più», disse Meredith, fissando i motivi che la lampada rosa e oro proiettava sul soffitto. La sua voce era sommessa ma intensa, e a Bonnie parve che quelle parole descrivessero Elena meglio di ogni altro commento sentito in precedenza.

    «Ci sono stati momenti in cui l'ho detestata, ma non ho mai potuto ignorarla», confessò Caroline, socchiudendo gli occhi verdi mentre ricordava. «Non era una persona che si poteva ignorare».

    «Una cosa che ho imparato dalla sua morte», disse Sue, «è che poteva accadere a chiunque di noi. Non si deve sprecare niente della vita, perché nessuno sa per quanto potrà viverla».

    «Potrebbero essere sessant'anni come sessanta minuti», convenne Vickie, a bassa voce. «Chiunque di noi potrebbe morire questa notte».

    Bonnie si agitò, turbata. Ma prima che potesse dire qualcosa, Sue ripeté: «Ancora non riesco a credere che non ci sia più. A volte ho la sensazione che sia qui vicino, da qualche parte».

    «Oh, anche io», disse Bonnie, assorta. Le balenò in mente un'immagine di Warm Springs e per un momento le sembrò più reale della camera in penombra di Caroline. «Ieri notte l'ho sognata, e ho avuto la sensazione che davvero fosse lei e che stesse cercando di dirmi qualcosa. Avverto ancora quella sensazione», disse a Meredith.

    Le altre la fissarono in silenzio. Un tempo, avrebbero riso se Bonnie avesse accennato a qualcosa di soprannaturale, ma ora non più. I suoi poteri psichici erano indiscussi, e incutevano soggezione e un po' di paura.

    «Davvero?», sussurrò Vickie.«Cosa pensi che stesse cercando di dirti?», le domandò Sue.«Non lo so. Alla fine ha tentato con tutte le sue forze di restare in

    contatto con me, ma non ci è riuscita».

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  • Calò di nuovo il silenzio. Poi Sue, con un leggero sussulto nella voce, disse: «Credi... credi che tu riusciresti a metterti in contatto con lei?».

    Era quel che tutte si stavano chiedendo. Bonnie guardò Meredith. Prima, l'amica aveva liquidato il suo sogno, ma ora sostenne il suo sguardo con aria decisa.

    «Non lo so», rispose lentamente Bonnie. Scene del sogno continuavano a vorticare confusamente intorno a lei. «Non voglio entrare in uno stato di trance e aprirmi a qualsiasi altra cosa che potrebbe esserci laggiù, questo è poco ma sicuro».

    «È questo l'unico modo per comunicare con i defunti? Che ne dite di una tavola Ouija o qualcosa del genere?», suggerì Sue.

    «I miei genitori ne hanno una», intervenne Caroline, con voce un po' troppo forte. D'un tratto, l'atmosfera calma e ovattata s'infranse e una tensione inesprimibile riempì l'aria. Le ragazze si drizzarono a sedere e si guardarono l'un l'altra con convinzione. Persino Vickie parve incuriosita nonostante l'evidente paura.

    «Funzionerà?», Meredith chiese a Bonnie.«Dovremmo tentare?», Sue si domandò ad alta voce.«Ne abbiamo il coraggio? È questo che dobbiamo chiederci», disse

    Meredith. Ancora una volta Bonnie si trovò tutti gli occhi puntati addosso. Esitò per un ultimo istante, poi si strinse nelle spalle. Aveva lo stomaco in subbuglio per l'agitazione.

    «Perché no?», concluse. «Cosa abbiamo da perdere?».Caroline si rivolse a Vickie. «Vickie, c'è un armadio in fondo alle scale.

    La tavola Ouija dovrebbe essere lì dentro, sulla mensola in alto, insieme ad altri giochi».

    Non ha detto neanche "La prendi, per favore?", disapprovò Bonnie e aprì la bocca per intervenire, ma Vickie era già arrivata alla porta.

    «Potresti essere un po' più gentile», Bonnie apostrofò Caroline. «Che cos'è, la tua imitazione della matrigna di Cenerentola?»

    «Oh, dai, Bonnie», disse Caroline spazientita. «Ha già avuto la fortuna di essere invitata. E lei lo sa».

    «E a quel punto sarà rimasta sopraffatta dalla nostra generosità d'animo», osservò sarcasticamente Meredith.

    «E inoltre...», Bonnie trasalì quando venne interrotta. Il suono fu acuto e stridulo, e alla fine si spense debolmente, ma non c'era alcun dubbio, era un grido. Fu seguito da un silenzio assoluto e poi da uno scoppio di urla laceranti.

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  • Per un attimo le ragazze nella stanza rimasero pietrificate. Poi si precipitarono sul pianerottolo e giù per le scale.

    «Vickie!». Meredith, con le sue lunghe gambe, arrivò per prima. La ragazza era ferma di fronte all'armadio, con le braccia tese come per proteggersi il viso. Si aggrappò a Meredith, continuando a gridare.

    «Vickie, che succede?», volle sapere Caroline, con un tono più irritato che intimorito. Scatole di giochi da tavolo erano sparse sul pavimento e segnalini del Monopoli e carte del Trivial Pursuit erano disseminati ovunque. «Cosa ti ha fatto gridare?»

    «Mi ha afferrata! Mi ero allungata per raggiungere la mensola in alto e qualcosa mi ha afferrata intorno alla vita!».

    «Da dietro?»«No! Dall'interno dell'armadio».Allarmata, Bonnie guardò all'interno del vano aperto. Strettamente

    stipati fra loro, vi erano appesi cappotti invernali, alcuni dei quali toccavano il pavimento. Liberandosi delicatamente dalla stretta di Vickie, Meredith prese un ombrello e iniziò a colpire i cappotti.

    «Oh, non...», cominciò Bonnie senza volere, ma l'ombrello incontrò solo la resistenza del tessuto. Meredith lo usò per spingere i soprabiti di lato e rivelare il legno di cedro della parete dell'armadio.

    «Vedi? Non c'è nessuno», disse con dolcezza. «Qui non c'è altro che maniche di cappotti. Se ti sporgi in mezzo a loro, scommetto che ti sembrerà che le braccia di qualcuno si chiudano intorno a te».

    Vickie fece un passo in avanti, toccò una manica penzolante, poi sollevò lo sguardo verso la mensola in alto. Nascose il viso fra le mani, i lunghi capelli setosi ricaddero in avanti coprendolo. Per un terribile istante Bonnie pensò che stesse piangendo, poi sentì una risatina.

    «Oh, Dio! Avevo creduto davvero che... oh, che stupida che sono! Ora rimetto tutto in ordine», disse Vickie.

    «Più tardi», disse Meredith in tono deciso. «Andiamo nel soggiorno».Mentre si allontanavano, Bonnie lanciò un'ultima occhiata all'armadio.Quando si furono riunite intorno al tavolino da caffè ed ebbero spento

    varie luci per creare un'atmosfera di maggior effetto, Bonnie posò delicatamente le dita sulla tavoletta indicatrice di plastica. In realtà non aveva mai usato una tavola Ouija, ma sapeva come funzionava. La tavoletta si muoveva indicando le singole lettere per formare un messaggio... se gli spiriti erano in vena di comunicare, ovviamente.

    «Dobbiamo tenere le dita sulla tavoletta indicatrice», disse, controllando

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  • che tutte obbedissero. Le dita di Meredith erano lunghe e affusolate, quelle di Sue sottili con le unghie ovali, mentre le unghie di Caroline laccate di smalto color rame. Quelle di Vickie erano rosicchiate.

    «Ora chiudiamo gli occhi e concentriamoci», disse Bonnie a bassa voce. Si udì qualche lieve sospiro di attesa mentre le ragazze obbedivano; tutte si calarono in un'atmosfera di raccoglimento.

    «Pensate a Elena. Visualizzatela. Se lei è là fuori, noi vogliamo richiamarla qui».

    La grande sala era immersa nel silenzio. Nell'oscurità dietro alle palpebre chiuse, Bonnie vide capelli oro pallido e occhi come lapislazzuli.

    «Coraggio, Elena», sussurrò. «Parla con me».La tavoletta indicatrice iniziò a muoversi.Nessuna delle ragazze poteva spostarla; tutte vi esercitavano una

    pressione da punti diversi. Ciononostante, il piccolo triangolo di plastica stava scivolando sul piano verso una direzione precisa. Bonnie tenne gli occhi chiusi finché non si fu fermato, poi li aprì. Il triangolo stava indicando la parola Sì.

    Vickie si lasciò sfuggire un gemito soffocato.Bonnie guardò le altre. Caroline aveva il respiro accelerato, gli occhi

    verdi socchiusi. Sue, unica fra tutte, teneva ancora gli occhi risolutamente serrati. Meredith era impallidita.

    Erano in attesa di nuove istruzioni.«Non perdete la concentrazione», disse loro Bonnie. Le sembrò strano, e

    anche un po' stupido, parlare al vuoto intorno. Ma era lei l'esperta; toccava a lei.

    «Sei tu, Elena?», chiese.La tavoletta eseguì un piccolo cerchio e tornò a indicare Sì.All'improvviso il cuore cominciò a batterle così forte che Bonnie ebbe

    paura che le facesse tremare le mani. Sentì che la plastica sotto la punta delle sue dita le comunicava una sensazione diversa, come se fosse elettrificata, attraversata da qualche energia soprannaturale. Non si sentì più stupida. Gli occhi le si riempirono di lacrime, e vide che anche Meredith li aveva lucidi. Meredith le fece un cenno con il capo.

    «Come possiamo esserne sicure?», stava chiedendo Caroline, a voce alta, con diffidenza. Caroline non lo sente, pensò Bonnie; non percepisce niente di quel che io provo. Psichicamente parlando, è ottusa.

    La tavoletta riprese a muoversi, toccando ora le lettere così rapidamente che Meredith ebbe a malapena il tempo di compitare il messaggio. Anche

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  • senza punteggiatura, fu eloquente.CAROLINE NON FARE L'IDIOTA, diceva, SEI GIÀ FORTUNATA

    CHE IO TI PARLI«È Elena, senza dubbio», tagliò corto Meredith.«Sembra che sia lei, ma...».«Oh, sta' zitta, Caroline», la interruppe Bonnie. «Elena, sono così

    felice...». Le venne un nodo alla gola e s'interruppe.BONNIE NON C'È TEMPO BASTA PIAGNUCOLARE E DIAMOCI

    DA FAREE anche questa era Elena; Bonnie tirò su col naso e proseguì. «Ieri notte

    ti ho sognata».TÈ«Sì». Il cuore di Bonnie stava battendo all'impazzata. «Volevo parlarti,

    ma poi qualcosa è andato storto e abbiamo cominciato a perdere il contatto...».

    BONNIE NIENTE TRANCE NO TRANCE NO TRANCE«Ok». Questo rispose alla sua domanda, e si sentì sollevata

    nell'apprenderlo.INFLUSSI PERVERSI HANNO ALTERATO LA NOSTRA

    COMUNICAZIONE CI SONO COSE ORRIBILI DAVVERO ORRIBILI LÀ FUORI

    «Di che tipo?». Bonnie si chinò più vicino alla tavola. «Di che tipo?».NON C'È TEMPO! Sembrò quasi che il punto esclamativo l'avesse

    aggiunto la tavoletta indicatrice. Continuava a spostarsi di scatto da una lettera all'altra come se Elena riuscisse a stento a contenere la sua impazienza. LUI ORA HA DA FARE COSÌ POSSO PARLARE MA NON C'È MOLTO TEMPO ASCOLTA QUANDO CHIUDIAMO LASCIATE IN FRETTA LA CASA SIETE IN PERICOLO

    «Pericolo?», ripeté Vickie, come se stesse per balzare via dalla sedia e fuggire.

    ASPETTA PRIMA ASCOLTA TUTTA LA CITTÀ È IN PERICOLO«Cosa facciamo?», chiese prontamente Meredith.VI SERVE AIUTO LUI È FUORI DALLA VOSTRA PORTATA

    INCREDIBILMENTE FORTE ORA ASCOLTA E SEGUI ISTRUZIONI DEVI PREPARARE INCANTESIMO PER EVOCARE QUALCUNO E IL PRIMO INGREDIENTE È C

    Inaspettatamente, la tavoletta indicatrice si allontanò di scatto dalle lettere e iniziò a volteggiare sulla tavola in modo incontrollato. Indicò

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  • l'immagine stilizzata della luna, poi quella del sole, poi le parole Parker Brothers, Inc.

    «Elena!».La tavoletta tornò di colpo verso le lettere.UN ALTRO TOPO UN ALTRO TOPO UN ALTRO TOPO«Che sta succedendo?», gridò Sue, questa volta con gli occhi spalancati.Bonnie era terrorizzata. La tavoletta vibrava con forza, una forza

    malvagia e oscura, come nera pece bollente che le bruciava le dita. Ma percepiva anche quel palpitante filo d'argento che era la presenza di Elena impegnata a contrastarla. «Non mollate!», gridò disperatamente. «Non togliete le mani!».

    LAFANGHIGLIADITOPOTIUCCIDE, ripeteva meccanicamente la tavola. SANGUESANGUESANGUE. E poi... BONNIE SCAPPA CORRI LUI È QUI CORRI CORRI COR...

    La tavoletta sussultava furiosamente, sottraendosi alle dita di Bonnie e allontanandosi dalla sua portata, volando sulla tavola e nell'aria come se qualcuno l'avesse lanciata. Vickie urlò. Meredith balzò in piedi.

    Poi tutte le luci si spensero, facendo piombare la casa nell'oscurità.

    3Le urla di Vickie divennero incontrollabili. Bonnie sentì il terrore

    crescerle nel petto.«Vickie, basta! Su, dobbiamo uscire di qui!», gridò Meredith per farsi

    sentire. «È casa tua, Caroline. Prendetevi tutte per mano, e tu guidaci fino al portone».

    «Ok», disse Caroline. Non sembrava impaurita come le altre. Era questo il vantaggio di non avere immaginazione, pensò Bonnie. Non riesci a figurarti le cose terribili che potrebbero accaderti.

    Si sentì meglio quando la mano fredda e sottile di Meredith afferrò la sua. Cercò a tentoni con l'altra mano e trovò quella di Caroline, riconoscendo la durezza delle unghie lunghe.

    Non vedeva niente. I suoi occhi dovevano ormai essersi abituati all'oscurità, ma non riusciva a distinguere nemmeno un barlume di luce o di ombra mentre Caroline cominciava a fare loro strada. Nessuna luce trapelava dall'esterno attraverso le finestre; la corrente doveva essere saltata ovunque. Caroline imprecò urtando contro un mobile e Bonnie andò a sbatterle contro.

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  • Vickie piagnucolava piano dal fondo della fila. «Resisti», le sussurrò Sue. «Resisti, Vickie, ce la faremo».

    Avanzarono lentamente nel buio, strisciando i piedi per terra. Poi Bonnie sentì un pavimento di mattonelle sotto le scarpe. «Siamo nell'ingresso», disse Caroline. «Aspetta un attimo qui mentre trovo il portone». Le dita di Caroline scivolarono via dalla stretta di Bonnie.

    «Caroline! Non andartene... dove sei? Caroline, dammi la mano!», si lamentò Bonnie, cercando a tastoni nel buio, come una persona cieca.

    Nell'oscurità qualcosa di grande e di umido si chiuse intorno alle sue dita. Era una mano. Ma non era quella di Caroline.

    Bonnie gridò.Vickie ricominciò subito a urlare in modo inconsulto. La mano calda e

    umida stava trascinando Bonnie in avanti. La ragazza scalciò, tentando di divincolarsi, ma non servì a nulla. Poi sentì le braccia di Meredith intorno alla vita, entrambe le braccia, che la tiravano indietro con forza. Finalmente la sua mano si liberò da quella stretta.

    E poi si girò e si ritrovò a correre, correre, solo vagamente consapevole della presenza di Meredith accanto a lei. Non si era neanche accorta che stava ancora gridando finché non andò a sbattere violentemente contro una grande poltrona, che fermò la sua corsa.

    «Zitta! Bonnie, zitta, smettila!». Meredith la stava scuotendo. Erano scivolate sul pavimento dietro lo schienale della poltrona.

    «Qualcosa mi ha preso! Qualcosa mi ha afferrato, Meredith!».«Lo so. Stai calma! È ancora qui», disse Meredith. Bonnie nascose il

    viso sulla spalla di Meredith per non ricominciare a gridare. E se era in quella stanza insieme a loro?

    I secondi passarono lentamente, e il silenzio ristagnò nell'aria. Per quanto Bonnie aguzzasse l'udito, non riusciva a sentire nulla tranne il loro respiro e i tonfi sordi del suo cuore.

    «Ascolta! Dobbiamo trovare la porta sul retro. Ora dovremmo essere nel soggiorno. Vuol dire che la cucina è proprio alle nostre spalle. Dobbiamo raggiungerla», disse Meredith, a bassa voce.

    Bonnie scosse la testa, in preda alla disperazione, poi sollevò di colpo la testa. «Dov'è Vickie?», sussurrò con voce rauca.

    «Non lo so. Ho dovuto lasciare la sua mano per trascinarti via da quella cosa. Muoviamoci».

    Bonnie la trattenne. «Ma come mai non sta gridando?».Meredith fu scossa da un brivido. «Non lo so».

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  • «Oh, Dio. Oh, Dio. Non possiamo lasciarla, Meredith».«Non abbiamo scelta».«Non possiamo. Meredith, sono io che ho detto a Caroline di invitarla.

    Non sarebbe qui se non fosse per me. Dobbiamo portarla fuori».Ci fu una pausa, poi Meredith sibilò: «Va bene! Ma tu scegli i momenti

    più strani per compiere gesti nobili, Bonnie».Una porta sbatté con forza, facendole sobbalzare. Poi ci fu un rumore

    forte, come di passi sulle scale, pensò Bonnie. E subito dopo, si udì una voce.

    «Vickie, dove sei? Non... Vickie, no! No!».«Era Sue», ansimò Bonnie, scattando in piedi. «Dal piano di sopra!».«Perché non abbiamo una torcia?». Meredith stava perdendo la calma.Bonnie sapeva il motivo. Era troppo buio per correre alla cieca in giro

    per la casa; ed era troppo terrificante. Nel suo cervello martellava un panico primordiale. Aveva bisogno di luce, una luce qualsiasi.

    Non poteva brancolare ancora una volta nell'oscurità, completamente esposta al pericolo. Non poteva farlo.

    Ciononostante, azzardò un passo esitante e si allontanò dalla poltrona.«Andiamo», ansimò, e Meredith la seguì, passo dopo passo, nel buio più

    completo.Bonnie si aspettava che quella mano calda e umida sbucasse dal nulla

    per afferrarla di nuovo. Ogni centimetro della sua pelle fremeva in attesa di quel contatto, e soprattutto la sua mano, che teneva tesa in fuori avanzando a tentoni.

    Poi commise l'errore di ricordare il sogno.Immediatamente, la travolse l'odore dolciastro e nauseante di resti in

    decomposizione. Immaginò creature che strisciavano fuori dal mucchio e poi ricordò il volto di Elena, grigio e senza capelli, con le labbra sollevate a scoprire i denti stretti in un sogghigno. Se quella cosa l'avesse afferrata...

    Non posso andare oltre; non posso, non posso, si disse. Mi dispiace per Vickie, ma non posso. Ti prego, lasciami fermare qui.

    Si era aggrappata a Meredith, quasi in lacrime. Poi dal piano superiore giunse il suono più terrificante che avesse mai udito.

    Fu un'intera sequela di suoni, in realtà, ma così ravvicinati fra loro che si mescolarono in un unico crescendo di rumori. Dapprima fu una voce che gridava, quella di Sue: «Vickie! Vickie! No!». Poi uno schianto fragoroso e il rumore di vetri infranti, come se cento finestre si fossero rotte nello stesso istante. E al di sopra di tutto, un urlo prolungato, su una nota di

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  • puro, intenso terrore.Infine calò il silenzio.«Che cos'era? Cos'è stato, Meredith?»«Qualcosa di orribile». La voce di Meredith suonò tesa e soffocata.

    «Qualcosa di veramente orribile. Bonnie, lasciami. Voglio andare a vedere».

    «Non da sola, non puoi», replicò l'amica, risoluta.Trovarono la rampa delle scale e cominciarono a salire. Quando

    raggiunsero il pianerottolo, Bonnie sentì un suono stranamente inquietante, il tintinnio di schegge di vetro che cadevano in terra.

    Poi tornò la luce.Ma fu del tutto inaspettato, e Bonnie gridò senza volerlo. Quando si

    voltò verso Meredith, stava quasi per gridare di nuovo. I capelli neri dell'amica erano arruffati e gli zigomi risaltavano sotto la pelle tesa; il viso era pallido e scavato dall'angoscia.

    Ancora quel tintinnio.Fu peggio con le luci accese. Meredith stava avanzando verso l'ultima

    porta in fondo al corridoio, da cui proveniva quel rumore. Bonnie la seguì, ma sentì subito nel profondo del cuore che non voleva guardare dentro quella stanza.

    Meredith spinse la porta. Per un attimo si irrigidì sulla soglia, poi si precipitò all'interno. Bonnie si avviò verso la porta.

    «Oh, mio Dio, non ti avvicinare!».Bonnie non ebbe alcuna esitazione. Superò la soglia e poi si bloccò. A

    un primo sguardo le parve che l'intero fianco della casa fosse sparito. Le porte finestre che collegavano la camera da letto principale con il terrazzo sembravano essere esplose verso l'esterno, gli infissi in legno ridotti in schegge, i vetri frantumati. Piccoli frammenti della vetrata penzolavano precariamente dai resti della cornice in legno. Caddero anch'essi, tintinnando.

    Leggere tende bianche fluttuavano nel vento attraverso la vasta apertura nel muro della casa. Di fronte a esse, in controluce, Bonnie riconobbe Vickie. Era in piedi, con le braccia lungo i fianchi, immobile come un blocco di pietra.

    «Vickie, stai bene?». Il senso di sollievo che provò nel vederla ancora viva fu così profondo da risultarle quasi doloroso.

    Vickie non si voltò, non rispose. Bonnie la aggirò cautamente, e la guardò in viso. La ragazza fissava il vuoto avanti a sé, le pupille ridotte a

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  • due punte di spillo. Il petto ansante si sollevava in brevi respiri sibilanti.«Sono la prossima. Ha detto che io sarò la prossima», sussurrò più e più

    volte, ma non sembrava che si stesse rivolgendo a Bonnie. Sembrava non vederla affatto.

    Rabbrividendo, Bonnie si allontanò dalla ragazza. Meredith era sul terrazzo. Si voltò quando l'amica arrivò vicino alle tende e cercò di sbarrarle la strada.

    «Non guardare. Non guardare giù», le disse.Giù dove? D'un tratto Bonnie capì. Scansò Meredith, che le afferrò il

    braccio per bloccarla sull'orlo del baratro. La ringhiera del terrazzo era esplosa verso l'esterno come la porta finestra e Bonnie poté guardare direttamente giù nel cortile illuminato. Sul selciato c'era una figura contorta simile a una bambola rotta, gli arti scomposti, il collo piegato in un'angolazione innaturale, i capelli biondi sparsi sulla terra scura del giardino. Era Sue Carson.

    E in mezzo a tutto il trambusto che seguì, due pensieri si alternarono nella mente di Bonnie. Uno era che Caroline non avrebbe mai ricostituito il quartetto di amiche. E l'altro che non era giusto che quella tragedia fosse accaduta nel giorno del compleanno di Meredith. Proprio non era giusto.

    «Mi spiace, Meredith. Non credo che in questo momento se, la senta».Bonnie sentì la voce di suo padre provenire dal portone mentre

    mescolava distrattamente del dolcificante in una tazza di camomilla. Posò subito il cucchiaino. Quel che non si sentiva di fare era restare seduta in quella cucina, fosse anche per un minuto. Aveva bisogno di uscire.

    «Sto arrivando, papà».Meredith aveva la stessa aria sofferente della sera prima, il viso smunto

    e occhiaie scure. La bocca tirata in una linea dura.«Andiamo a fare un giro in macchina», disse Bonnie al padre. «Può

    darsi che incontriamo qualcuno dei ragazzi. Dopo tutto, sei stato tu a dire che non è pericoloso, giusto?».

    Cosa poteva dirle? Il signor McCullough abbassò gli occhi per guardare la figlia minuta e graziosa, con il mento sollevato in quell'espressione risoluta che aveva ereditato da lui, mentre sosteneva il suo sguardo senza esitazione. Sollevò le mani in segno di resa.

    «Sono quasi le quattro. Torna prima che faccia buio», le disse.«Vogliono la botte piena e la moglie ubriaca», disse Bonnie all'amica,

    mentre si dirigevano verso la macchina di Meredith. Una volta

    21

  • nell'abitacolo, tutte e due chiusero immediatamente gli sportelli con la sicura.

    Ingranando la marcia, Meredith lanciò a Bonnie un'occhiata di malinconica comprensione.

    «Anche i tuoi genitori non ti hanno creduta».«Oh, loro credono a tutto quel che dico... tranne alle cose importanti.

    Come possono essere così ottusi?».Meredith fece una risatina. «Devi considerare la cosa dal loro punto di

    vista. Trovano un cadavere che non presenta segni particolari, tranne quelli causati dalla caduta. Scoprono che la corrente era saltata in tutto il vicinato a causa di un guasto alla Virginia Electric. Trovano noi, isteriche, che diamo risposte alquanto bizzarre alle loro domande. Chi è stato? Un mostro con le mani sudate. Come fate a saperlo? Ce l'ha detto la nostra amica defunta, Elena, grazie a una tavola Ouija. C'è da meravigliarsi che abbiano dei dubbi?»

    «Se non avessero mai visto qualcosa di simile prima», osservò Bonnie, battendo il pugno contro la portiera della macchina. «Ma l'hanno visto. Credono che ce li siamo inventati noi quei cani che hanno assalito la gente al Gran Ballo d'Inverno l'anno scorso? Pensano che Elena sia stata uccisa da una pura fantasia?»

    «Stanno già dimenticando», rispose con calma Meredith. «Tu stessa l'avevi previsto. La vita è tornata alla normalità, e così tutti a Fell's Church si sentono più sicuri. Tutti si sentono come se si fossero svegliati da un incubo, e l'ultima cosa che desiderano è restarne di nuovo coinvolti».

    Bonnie si limitò a scuotere la testa.«E così è più facile pensare che cinque ragazzine siano rimaste turbate

    giocando con una tavola Ouija, e quando è saltata la corrente si siano spaventate a morte e abbiano cercato di scappare. E che una di loro fosse talmente terrorizzata e confusa da scappare dritto fuori della finestra».

    Ci fu silenzio, poi Meredith aggiunse: «Vorrei che Alaric fosse qui».Normalmente, Bonnie le avrebbe dato un colpetto alle costole e

    replicato: «Anch'io», con una punta di libidine nella voce. Alaric era uno dei tipi più attraenti che avesse mai visto, anche se era un ventiduenne matusa. Ora, diede solo una stretta sconsolata al braccio di Meredith. «Non puoi chiamarlo in qualche modo?»

    «In Russia? Non so neanche dove si trovi ora in Russia».Bonnie si morse il labbro.Poi si raddrizzò a sedere. Meredith stava guidando lungo Lee Street, e

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  • nel parcheggio della scuola notarono una folla di persone.Le due amiche si scambiarono un'occhiata, e Meredith fece un cenno

    con la testa. «Tanto vale che ci fermiamo», disse. «Vediamo se c'è qualcuno più sveglio di qualche genitore».

    Bonnie vide volti sbigottiti girarsi mentre la macchina entrava lentamente nel parcheggio. Quando lei e Meredith furono scese, la gente indietreggiò, aprendo loro un varco verso il centro della folla.

    Caroline era lì, con le mani che stringevano i gomiti, e scuoteva indietro i capelli castano dorato, visibilmente agitata.

    «Non intendiamo dormire in quella casa finché non verrà riparata», stava dicendo, mentre rabbrividiva nel suo pullover bianco. «Papà ha detto che prenderemo un appartamento a Heron finché non avranno finito i lavori».

    «Che differenza fa? Lui può seguirti fino a Heron, ne sono sicura», disse Meredith.

    Caroline si voltò, ma i suoi occhi verdi da gatta quasi evitarono di incontrare quelli di Meredith. «Chi?», chiese in tono vago.

    «Oh, Caroline, anche tu, no!», esplose Bonnie.«Voglio solo andarmene di qui», disse Caroline. Sollevò gli occhi e per

    un istante Bonnie vide quanto fossero terrorizzati. «Non ci resisto più». E come se dovesse convalidare le sue parole proprio in quel momento, si allontanò facendosi strada in mezzo alla folla.

    «Lasciala andare, Bonnie», disse Meredith. «È inutile».«Lei è inutile», replicò Bonnie infuriata. Se Caroline, che sapeva, si

    comportava in quel modo, cosa avrebbero fatto gli altri ragazzi?Lesse la risposta sui volti intorno a lei. Tutti apparivano spaventati,

    come se lei e Meredith fossero portatrici di qualche ripugnante malattia. Come se fossero loro il problema.

    «Non posso crederci», mormorò Bonnie.«Anch'io non posso crederci», disse Deanna Kennedy, un'amica di Sue.

    Era davanti alla folla, e non sembrava a disagio come gli altri. «Ho parlato con Sue ieri pomeriggio, ed era così di buon umore, così felice. Sue non può essere morta». Deanna cominciò a singhiozzare. Il suo ragazzo le mise un braccio intorno alle spalle, mentre altre ragazze scoppiavano in lacrime. I ragazzi assunsero un'espressione dura.

    Bonnie provò un moto di speranza. «E non sarà l'unica a morire», aggiunse. «Elena ci ha detto che l'intera città è in pericolo. Elena ha detto...». Suo malgrado, Bonnie si sentì venir meno la voce. Se ne accorse nel momento in cui gli sguardi si fecero vitrei quando menzionò il nome di

    23

  • Elena. Meredith aveva ragione; si erano lasciati alle spalle tutto quel che era accaduto l'inverno precedente. Non erano più disposti a credere.

    «Cosa avete tutti?», disse con un senso di impotenza, con la voglia di colpire qualcuno. «Non penserete sul serio che Sue si sia gettata dal terrazzo!».

    «La gente dice...», esordì il ragazzo di Deanna, poi si strinse nelle spalle, sulla difensiva. «Be'... avete detto alla polizia che Vickie Bennett era in quella stanza, giusto? E ora è andata di nuovo fuori di testa. E solo un attimo prima avete sentito Sue gridare "No, Vickie, no!"?».

    A Bonnie sembrò di aver ricevuto un cazzotto nello stomaco. «Tu pensi che Vickie... oh, Dio, ma stai vaneggiando! Senti. Qualcosa mi ha afferrato la mano in quella casa, e non era Vickie. E Vickie non ha certo gettato Sue da quel terrazzo».

    «Non ne avrebbe neanche la forza, tanto per dirne una», osservò causticamente Meredith. «Pesa sì e no quarantatré chili bagnata».

    Qualcuno in fondo alla folla bofonchiò di dementi dotati di una forza sovrumana. «Vickie ha dei precedenti psichiatrici...».

    «Elena ci ha detto che era un uomo!», quasi urlò Bonnie, perdendo la sua battaglia con dignità. I volti chini su di lei erano impassibili, ostinati. Poi ne vide uno che le diede un po' di conforto. «Matt! Di' loro che ci credi».

    Matt Honeycutt era ai margini della folla, con le mani in tasca e la testa bassa. In quel momento sollevò lo sguardo, e quel che Bonnie lesse nei suoi occhi azzurri le tolse il respiro. Non erano duri e impassibili come quelli degli altri, ma pieni di una piatta disperazione che faceva altrettanto male. Il giovane si strinse nelle spalle senza togliere le mani di tasca.

    «Per quel che vale, vi credo», disse. «Ma che differenza fa? Non cambierà comunque le cose».

    Bonnie, per la prima volta nella vita, rimase senza parole. Matt era sconvolto da quando Elena era morta, ma questo...

    «Comunque, ci crede», tagliò corto Meredith, volgendo a proprio vantaggio la situazione. «Ora cosa dobbiamo fare per convincere voialtri?»

    «Metteteci in comunicazione con Elvis, chissà», disse una voce che fece immediatamente ribollire il sangue a Bonnie. Tyler. Tyler Smallwood. Ghignando come una scimmia nel suo pullover ultracostoso, esibì una serie di denti bianchi e forti.

    «Non sarà valido quanto una e-mail psichica spedita da una Reginetta del Ballo d'Autunno, ma come inizio può andare», aggiunse Tyler.

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  • Matt aveva sempre detto che quel ghigno era un invito a dargli un pugno sul naso. Ma Matt, l'unico ragazzo nella folla con una corporatura simile a quella di Tyler, aveva lo sguardo inutilmente fisso a terra.

    «Stai zitto, Tyler! Tu non sai cosa è accaduto in quella casa», disse Bonnie.

    «Be', neanche voi, a quanto pare. Forse se non vi foste nascoste nel soggiorno, avreste visto quel che è successo. Allora qualcuno potrebbe anche credervi».

    Bonnie avrebbe voluto rispondere per le rime, ma la frase le morì sulle labbra. Guardò fisso Tyler, aprì la bocca, e poi la richiuse. Lui rimase in attesa. Quando la ragazza non proferì parola, si esibì in un altro sogghigno.

    «Secondo me, è stata Vickie», disse, facendo l'occhiolino a Dick Carter, l'ex ragazzo di Vickie. «È una bambolina robusta, dico bene, Dick? Era in grado di farlo». Girò la testa e aggiunse volutamente sopra la sua spalla: «Altrimenti, deve essere tornato in città quel Salvatore».

    «Sei disgustoso!», gridò Bonnie. Persino Meredith protestò con un senso di frustrazione. Perché, ovviamente, nel momento stesso in cui menzionò il nome di Stefan scoppiò il caos, e Tyler avrebbe dovuto immaginarlo. Tutti si voltarono a guardare la persona che avevano accanto, fra esclamazioni di paura, raccapriccio, inquietudine. Furono soprattutto le ragazze a mettersi in agitazione.

    In pratica, servì a sciogliere l'assembramento. Le persone che avevano iniziato ad allontanarsi furtivamente, ora si incamminarono in gruppetti di due o tre, discutendo e accelerando il passo.

    Bonnie rimase a fissarli piena di rabbia.«Ammettiamo che ti avessero creduto. Cosa volevi che facessero, a ogni

    modo?», disse Matt. Non si era accorta che si era avvicinato a lei.«Non lo so. Qualcos'altro oltre ad aspettare con le mani in mano che ci

    facciano fuori uno a uno». Cercò di guardarlo dritto in viso: «Matt, stai bene?»

    «Non so. E tu?».Bonnie ci pensò su. «No. Voglio dire, in un certo senso sono sorpresa di

    come mi sto riprendendo, perché quando Elena è morta non riuscivo proprio ad accettarlo. Affatto. Ma in questo caso non ero così amica di Sue, e poi... Non lo so!». Avrebbe voluto di nuovo colpire qualcosa. «È tutto fin troppo pazzesco!».

    «Sei infuriata».«Sì, sono infuriata». All'improvviso Bonnie mise a fuoco le sensazioni

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  • che aveva provato per tutto il giorno. «Uccidere Sue non è stato solo riprovevole, è stato diabolico. Realmente diabolico. E chiunque l'abbia fatto non deve passarla liscia. Perché sarebbe... se è questo il mondo, un luogo dove può accadere qualcosa del genere e restare impunito... se è questa la realtà...». Si accorse che non sapeva come concludere la frase.

    «Allora cosa? Non vuoi più vivere qui? E se il mondo fosse così?».Lo sguardo di Matt era smarrito, pieno di amarezza. Bonnie ne fu

    turbata. Ma poi disse, con tono deciso: «Io non lascerò che sia così. E neanche tu».

    Il ragazzo si limitò a guardarla come se fosse una ragazzina che si ostinava a ripetere che sì, Babbo Natale esisteva.

    Intervenne Meredith. «Se pretendiamo che la gente ci prenda sul serio, faremmo meglio a prenderci sul serio noi per primi. Elena si è messa in comunicazione con noi. Voleva che facessimo qualcosa. Ora, se ci crediamo veramente, sarà meglio capire di cosa si tratta».

    Il viso di Matt si contrasse quando fu nominata Elena. Povero ragazzo, sei ancora innamorato perdutamente di lei, pensò Bonnie. Chissà se ci sarà mai qualcosa che riuscirà a fartela dimenticare. Si rivolse a lui: «Ci aiuterai, Matt?»

    «Vi aiuterò», rispose pacatamente. «Ma non ho ancora capito qual è il vostro scopo».

    «Vogliamo fermare quel diabolico assassino prima che uccida qualcun altro», spiegò Bonnie. Fu la prima volta che si rese pienamente conto di quel che intendeva fare.

    «Da sola? Perché sei sola, lo sai».«Noi siamo sole», lo corresse Meredith. «Ma questo è ciò che Elena

    stava cercando di dirci. Ha detto che dovevamo preparare un incantesimo per evocare qualcuno e richiedere aiuto».

    «Un incantesimo semplice, con due soli ingredienti», Bonnie ricordò il suo sogno. Si stava infervorando. «E ha detto che mi aveva già indicato i due ingredienti... ma non l'ha fatto».

    «Ieri notte ha detto che c'erano influssi perversi che alteravano la nostra comunicazione», disse Meredith. «Questo mi fa pensare a quel che è accaduto nel sogno. Credi davvero che fosse Elena quella con cui stavi prendendo il tè?»

    «Sì», rispose Bonnie con certezza. «Voglio dire, so che non stavamo realmente gustando tè e pasticcini a Warm Springs, ma credo che Elena stesse inviando questo messaggio nella mia mente. E poi, a metà del

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  • sogno, qualcos'altro ha preso il sopravvento e l'ha estromessa. Ma lei ha cercato di resistere, e per un minuto, alla fine, ha ripreso il controllo».

    «Ok. Allora significa che dobbiamo concentrarci sulla parte iniziale del sogno, quando era ancora Elena a comunicare con te. Ma se quel che stava dicendo era già alterato da altri influssi, allora potrebbe risultare strano. Forse non era qualcosa che ha effettivamente detto, forse era qualcosa che ha fatto...».

    La mano di Bonnie volò a toccare i suoi riccioli. «I capelli!», gridò.«Cosa?»«I capelli! Le ho chiesto chi glieli avesse acconciati, e ne abbiamo

    parlato, e lei ha detto: "I capelli sono importanti". E, Meredith, ieri notte, quando ha cercato di indicarci gli ingredienti, la prima lettera era una C!».

    «Ci siamo!». Gli occhi neri di Meredith brillarono. «Ora non ci resta che pensare all'altro ingrediente».

    «Ma io conosco anche quello!». La risata di Bonnie gorgogliò con una nota di entusiasmo. «Me lo ha rivelato subito dopo aver parlato dei capelli, e io ho pensato che cominciava a comportarsi stranamente. Ha detto: "Anche il sangue è importante"».

    Meredith chiuse gli occhi, rimettendo in ordine le idee. «E ieri notte la tavola Ouija ci ha rivelato "Sanguesanguesangue". Pensavo che fosse un'altra cosa per intimorirci, ma non era così», concluse. Riaprì gli occhi. «Bonnie, pensi che ci siamo davvero? Sono questi gli ingredienti, o dobbiamo cominciare a preoccuparci di fanghiglia, sandwich, topi e tè?»

    «Gli ingredienti sono questi», confermò Bonnie. «Sono ingredienti credibili per un incantesimo di invocazione. Sono sicura che troverò il rituale da eseguire in uno dei miei libri di magia celtica. Dobbiamo soltanto capire qual è la persona che dobbiamo richiamare...».

    «Volevo proprio vedere quando te ne saresti accorta», disse Matt, parlando per la prima volta dopo un lungo silenzio. «Non ne hai la minima idea, vero?».

    4Meredith lanciò uno sguardo ironico a Matt. «Mmm», disse. «Chi pensi

    che Elena chiamerebbe in un momento di difficoltà?».Di fronte all'espressione di Matt, l'ampio sorriso di Bonnie lasciò il

    posto a una sensazione di rimorso. Non era leale prenderlo in giro su questo argomento. «Elena ha detto che l'assassino è troppo forte per noi, ed

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  • è per questo che ci serve aiuto», disse a Matt. «E mi viene in mente solo una persona che Elena ritenga capace di respingere un assassino dotato di poteri psichici».

    Lentamente, Matt annuì. Bonnie non riuscì a capire cosa stesse provando. Un tempo, lui e Stefan erano stati ottimi amici, anche dopo che Elena aveva preferito Stefan a lui. Ma questo era stato prima che Matt scoprisse cosa fosse in realtà Stefan, e di che genere di violenza fosse capace. La rabbia e il dolore per la morte di Elena gli avevano fatto quasi uccidere Tyler Smallwood e altri cinque ragazzi. Matt sarebbe mai riuscito a dimenticarlo? Avrebbe mai accettato il ritorno di Stefan a Fell's Church?

    Il volto dalla mascella quadrata di Matt non tradì alcuna emozione in quel momento, e Meredith riprese a parlare. «Quindi tutto quel che dobbiamo fare è versare qualche goccia di sangue e tagliare un po' di capelli. Non sentirai la mancanza di un ricciolo o due, vero, Bonnie?».

    Bonnie era talmente assorta che quasi non afferrò la domanda. Poi scosse la testa. «No, no, no. Non è il nostro sangue o i nostri capelli che ci servono. Ci servono quelli della persona che vogliamo evocare».

    «Cosa? Ma è ridicolo. Se avessimo il sangue e i capelli di Stefan, non avremmo bisogno di evocarlo, giusto?»

    «Non era questo che pensavo», ammise Bonnie. «Di solito, per invocare una persona con un incantesimo, ci si procura tutto il necessario in anticipo e lo si usa quando si vuole evocare quella persona. Come faremo, Meredith? È impossibile».

    Meredith aggrottò le sopracciglia. «Perché Elena ce l'avrebbe chiesto se era impossibile?»

    «Elena ha chiesto un sacco di cose impossibili», replicò Bonnie tetramente. «Non fare quella faccia, Matt; lo sai che è così. Non era una santa».

    «Può darsi, ma questa non è impossibile», disse Matt. «Mi viene in mente un posto dove potremmo trovare del sangue di Stefan, e se siamo fortunati anche qualche capello. Nella cripta».

    Bonnie trasalì, ma Meredith si limitò ad annuire. «Ma certo», disse. «Mentre Stefan era legato lì sotto, deve aver perso molto sangue. E durante lo scontro potrebbe aver perso qualche capello. Purché tutto sia rimasto com'era...».

    «Non penso che qualcuno sia sceso laggiù da quando Elena è morta», disse Matt. «La polizia ha svolto le sue indagini e poi se ne è andata. Ma c'è solo un modo per scoprirlo».

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  • Mi ero sbagliata, si disse Bonnie. Mi stavo chiedendo se Matt avrebbe accettato il ritorno di Stefan, ed ecco che lui sta facendo tutto il possibile per aiutarci a evocarlo. «Matt, ti darei un bacio!», gli disse.

    Per un attimo, qualcosa che Bonnie non riuscì a identificare balenò negli occhi di Matt. Sorpresa, certamente, ma c'era qualcos'altro. Improvvisamente Bonnie si chiese cosa avrebbe fatto se l'avesse baciato davvero.

    «Me lo dicono tutte le ragazze», replicò alla fine senza scomporsi, scrollando le spalle con ironica rassegnazione. Per quel giorno, fu il massimo dell'allegria che riuscì a dimostrare.

    Meredith, tuttavia, era rimasta seria. «Andiamo. Abbiamo un sacco da fare, e l'ultimo dei nostri desideri è ritrovarci bloccati nella cripta dopo che sia scesa la notte».

    La cripta si trovava sotto la chiesa diroccata che si ergeva su una collina, nel cimitero. È solo tardo pomeriggio, c'è ancora molta luce, continuava a ripetersi Bonnie mentre risalivano la collina, ma aveva comunque la pelle d'oca. L'ala del cimitero moderno era già abbastanza lugubre, ma la parte vecchia sul lato opposto era veramente spettrale, persino alla luce del giorno. C'erano tante lapidi in rovina, precariamente inclinate nell'erba incolta, a ricordare tanti giovani caduti durante la guerra civile. Non c'era bisogno di possedere poteri paranormali per sentire la loro presenza.

    «Spiriti inquieti», mormorò.«Mmm?», disse Meredith, mentre scavalcava il cumulo di macerie di

    una delle pareti della chiesa. «Guarda, il coperchio della tomba è ancora aperto. Questa è una buona notizia; non credo che saremmo riusciti a sollevarlo».

    Lo sguardo di Bonnie indugiò malinconicamente sulle statue di marmo bianco scolpite sul coperchio rimosso. Honoria Fell giaceva lì con il marito, le mani incrociate sul petto, l'espressione triste e gentile come sempre. Ma Bonnie sapeva che non ci sarebbe stato più alcun aiuto da parte sua. Honoria aveva compiuto il suo dovere di protettrice della città che aveva fondato.

    Lasciando Elena nei guai, pensò Bonnie senza alcuna pietà, guardando dentro il foro rettangolare che portava alla cripta. Gradini di ferro si perdevano nell'oscurità.

    Anche con l'ausilio della torcia di Meredith non fu semplice calarsi in quella stanza sotterranea. L'interno era umido e silenzioso, con le pareti

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  • rivestite di pietra levigata. Bonnie cercò di non rabbrividire.«Guarda», disse Meredith con calma.Matt aveva puntato la torcia sul cancello di ferro che separava

    l'anticamera della cripta dalla camera principale. La pietra sottostante era macchiata di sangue in diversi punti. Guardare le pozze e i rivoli di sangue rappreso diede a Bonnie un senso di vertigine.

    «Sappiamo che Damon era ferito più gravemente», riprese Meredith, avanzando di qualche passo. Sembrava tranquilla, ma Bonnie sentì che si sforzava di controllare la voce. «Quindi doveva trovarsi da questo lato, dove c'è più sangue. Stefan ha detto che Elena era nel mezzo. Significa che Stefan doveva essere... qui». Si chinò.

    «Ci penso io», si offrì Matt con voce rauca. «Tu reggi la torcia». Con un coltello da picnic di plastica preso nella macchina di Meredith, raschiò la pietra incrostata. Bonnie deglutì, contenta di aver preso solo un tè a pranzo. In teoria, non c'era niente di male nel sangue, ma trovarsi realmente di fronte a una tale quantità... soprattutto quando era il sangue di un amico che era stato torturato...

    Bonnie distolse lo sguardo, osservando le pareti di pietra e pensando a Katherine. Sia Stefan che il fratello maggiore, Damon, l'avevano amata, nella Firenze del XV secolo. Ma non sapevano che la fanciulla non era umana. Un vampiro, nel suo villaggio in Germania, l'aveva trasformata per salvarla dalla morte per malattia. A sua volta, Katherine aveva reso vampiri entrambi i giovani.

    E poi, ricordò Bonnie, aveva simulato la propria morte perché Stefan e Damon smettessero di lottare per causa sua. Ma non aveva funzionato. Si odiavano più che mai, e lei li aveva detestati entrambi per questo. Era tornata da chi l'aveva resa un vampiro, e col passare degli anni era diventata malvagia quanto lui. Finché, alla fine, aveva desiderato soltanto distruggere i due fratelli che un tempo aveva amato. Li aveva attirati entrambi a Fell's Church per ucciderli, ed era in questa stanza che aveva quasi ottenuto il suo scopo. Elena era morta per fermarla.

    «Ecco», disse Matt, e Bonnie batté le palpebre ritornando in sé. Il ragazzo aveva in mano un fazzoletto di carta contenente scaglie del sangue di Stefan. «Ora i capelli», aggiunse.

    Passarono le dita sul pavimento, trovando polvere e pezzi di foglie, e frammenti di cose che Bonnie non volle identificare. Fra i detriti, c'erano lunghi capelli color oro pallido. Di Elena... o di Katherine, pensò Bonnie. Si somigliavano molto. Trovarono anche capelli neri, più corti,

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  • leggermente ondulati. Di Stefan.Individuare e riporre in un altro fazzoletto i capelli giusti fu un lavoro

    lento e meticoloso. Matt ne svolse la maggior parte. Quando ebbero finito, erano tutti esausti, e la luce che filtrava dall'apertura rettangolare nel soffitto era livida. Ma Meredith sorrise di spietata esultanza.

    «Ecco fatto», disse. «Tyler vuole che Stefan ritorni; bene, glielo riporteremo qui».

    E Bonnie, che aveva prestato attenzione solo in parte a quel che stava facendo, ancora assorta nei propri pensieri, s'immobilizzò.

    Fino a quel momento aveva pensato a tutt'altro, niente a che vedere con Tyler, ma quando fu menzionato il nome del ragazzo qualcosa le balenò nella mente. Qualcosa che l'aveva colpita quando si trovavano nel parcheggio, e che poi aveva dimenticato nel fervore della discussione. Le parole di Meredith l'avevano fatta riaffiorare, e ora tutto era diventato improvvisamente chiaro. Come l'aveva saputo Tyler?, si chiese con il cuore che le batteva forte.

    «Bonnie? Che ti succede?»«Meredith», disse piano, «hai detto espressamente alla polizia che noi ci

    trovavamo nel soggiorno mentre al piano di sopra si svolgeva la tragedia di Sue?»

    «No, credo di avergli detto semplicemente che eravamo al piano terra. Perché?»

    «Perché anche io non l'ho specificato. E Vickie non può averglielo detto perché è entrata di nuovo in una fase catatonica, Sue è morta e Caroline allora era già uscita dalla casa. Ma Tyler lo sapeva. Ti ricordi, ha detto: "Se non vi foste nascoste nel soggiorno, avreste visto quel che è accaduto". Come poteva saperlo?»

    «Bonnie, se stai cercando di insinuare che Tyler sia l'omicida, non attacca. Non è così intelligente da premeditare una strage, tanto per dirne una», disse Meredith.

    «Ma c'è dell'altro. Meredith, l'anno scorso al ballo scolastico, Tyler mi ha toccato per un attimo la spalla nuda. Non lo dimenticherò mai. La sua mano era grande, e calda, e sudaticcia». Bonnie rabbrividì al ricordo. «Proprio come la mano che mi ha afferrata la scorsa notte».

    Ma Meredith stava scuotendo la testa, e persino Matt non sembrava convinto.

    «Allora Elena sta sprecando il suo tempo se ci chiede di richiamare Stefan», osservò il ragazzo. «Potrei sistemare io Tyler, con un paio di ganci

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  • destri».«Ragiona, Bonnie», riprese Meredith. «Tyler possiede i poteri psichici

    per muovere una tavola Ouija o per infiltrarsi nei tuoi sogni? Ce l'ha?».Non ce l'aveva. Psichicamente parlando, Tyler era ottuso quanto

    Caroline. Bonnie non poteva negarlo. Ma non poteva neanche negare la sua intuizione. Non aveva senso, ma lei era ancora convinta che la sera prima Tyler fosse stato in quella casa.

    «Sarà meglio che ci affrettiamo», disse Meredith. «È già buio, e tuo padre s'infurierà».

    Durante il tragitto verso casa rimasero tutti e tre in silenzio. Bonnie stava ancora pensando a Tyler. Appena arrivati, portarono su di nascosto i fazzoletti e cominciarono a scartabellare i libri di Bonnie sui druidi e sulla magia celtica. Da quando aveva scoperto di discendere dall'antica stirpe dalle magiche tradizioni, Bonnie si era sempre interessata di questo antico popolo. E in uno dei volumi, trovò un rituale per l'incantesimo di evocazione.

    «Dobbiamo comprare qualche candela», disse. «E acqua pura... meglio in bottiglia», disse a Meredith. «E del gesso per tracciare un cerchio sul pavimento, e qualcosa per accendervi al centro un piccolo fuoco. Questa roba posso trovarla in casa. Non c'è fretta; l'incantesimo deve essere eseguito a mezzanotte».

    Mancavano ancora parecchie ore alla mezzanotte. Meredith comprò tutto il necessario in una drogheria e lo portò a casa.

    Cenarono insieme alla famiglia di Bonnie, anche se nessuno di loro aveva molto appetito. Alle undici, Bonnie aveva già tracciato il cerchio sul pavimento in legno della sua camera da letto e posto tutti gli altri ingredienti su una panca bassa, all'interno del cerchio. A mezzanotte in punto cominciò.

    Mentre Matt e Meredith seguivano ogni sua mossa, accese un piccolo fuoco dentro una ciotola di terracotta. Dietro di essa ardevano tre candele; infilò uno spillo a metà della candela centrale. Poi aprì uno dei fazzoletti e mescolò con cura le scaglie di sangue essiccato in un bicchiere da vino pieno d'acqua, che assunse subito una colorazione rosa ruggine.

    Aprì l'altro fazzoletto. Tre ciuffi di capelli finirono nel fuoco, sfrigolando con un odore terribile. Poi fu la volta di tre gocce d'acqua, che sibilarono sulla fiamma.

    Gli occhi cercarono le parole scritte nel libro aperto.

    32

  • Vieni subito a me,tre volte invocato dal mio incantesimo,tre volte tormentato dal mio fuoco.Vieni a me senza indugio.

    Lesse lentamente le parole ad alta voce, per tre volte. Poi si accovacciò sui talloni. Il fuoco continuava a bruciare e a fare fumo. Le fiamme delle candele danzavano.

    «E ora?», chiese Matt.«Non lo so. Dice solo di aspettare finché la candela di mezzo si consumi

    fino allo spillo».«E poi?»«Non ci resta che aspettare».

    Era l'alba, a Firenze.Stefan osservò la ragazza che scendeva la gradinata, con una mano

    posata leggermente sulla balaustra per mantenersi in equilibrio. I suoi movimenti erano lenti e quasi irreali, come se stesse fluttuando nell'aria.

    D'un tratto, barcollò e si afferrò alla balaustra. Stefan si affrettò dietro di lei e le mise una mano sotto il gomito.

    «Va tutto bene?».La ragazza lo guardò con occhi trasognati. Era molto carina. I suoi abiti

    costosi erano all'ultima moda, così come l'acconciatura dei capelli biondi. Una turista. Lui capì che era americana prima che aprisse bocca.

    «Sì... credo...». Gli occhi castani erano confusi.«Ha modo di tornare a casa? Dove alloggia?»«In via dei Conti, vicino alla Cappella Medicea. Partecipo al programma

    "Gonzaga in Florence"».Dannazione! Non una turista, allora; una studentessa. E questo voleva

    dire che avrebbe portato con sé questa storia, avrebbe raccontato ai suoi compagni del giovane italiano di bell'aspetto che aveva incontrato la sera prima. Quello con gli occhi neri come la notte. Quello che l'aveva portata alla sua residenza esclusiva in via Tornabuoni e le aveva offerto del vino, e la cena, e poi, alla luce della luna, forse, nella sua stanza o fuori nel cortile recintato, si era avvicinato, e guardandola negli occhi...

    Lo sguardo di Stefan scivolò via dalla gola della ragazza marcata da due punture arrossate. Aveva visto segni come quelli fin troppo spesso. Come potevano avere ancora il potere di turbarlo? Ma era così; lo nausearono e gli accesero un fuoco lento nelle viscere.

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  • «Come ti chiami?»«Rachael. Con una a». Gli ripeté il nome lettera per lettera.«Va bene, Rachael. Guardami. Ora tornerai alla tua pensione e non

    ricorderai nulla della scorsa notte. Non sai dove sei stata o chi hai conosciuto. E non hai mai visto neanche me. Ripeti».

    «Non ricordo nulla della scorsa notte», ripeté, obbediente, gli occhi fissi in quelli di Stefan. I Poteri del giovane non erano forti come avrebbero potuto essere se avesse bevuto sangue umano, ma furono sufficienti allo scopo. «Non so dove sono stata o chi ho conosciuto. Non ti ho mai visto».

    «Bene. Hai denaro per tornare alla pensione? Prendi». Stefan tirò fuori dalla tasca una manciata di banconote spiegazzate – più che altro da 50.000 e da 100.000 lire – e la accompagnò fuori.

    Dopo averla messa al sicuro su un taxi, rientrò e si diresse dritto verso la camera da letto del fratello.

    Damon gironzolava indolente vicino alla finestra, sbucciando un'arancia, senza essersi ancora vestito. Quando Stefan entrò, sollevò lo sguardo, infastidito.

    «Si usa bussare», disse.«Dove l'hai conosciuta?», gli chiese Stefan. Poi, quando Damon gli

    rivolse uno sguardo assente, aggiunse: «Quella ragazza, Rachael».«Si chiamava così? Non mi sono neanche dato la pena di

    domandarglielo. Al Bar Gilli. O forse era il Bar Mario. Perché?».Stefan si sforzò di contenere la rabbia. «Non è l'unica cosa di cui non ti

    sei dato pena. Non ti sei preoccupato di indurla a dimenticarsi di te. Vuoi che ti scoprano, Damon?».

    Le labbra di Damon si curvarono in un sorriso, e il giovane strappò una scorza di arancio. «Non mi hanno mai scoperto, fratellino», replicò.

    «E cosa pensi di fare quando ti daranno la caccia? Quando qualcuno si renderà conto che "Mio Dio, c'è un mostro succhiasangue in via Tornabuoni"? Li ucciderai tutti? Aspetterai che sfondino il portone per poi eclissarti nell'oscurità?».

    Damon sostenne il suo sguardo, con aria di sfida e quell'accenno di sorriso ancora sospeso sulle labbra.

    «Perché no?», disse.«Dannazione a te!», sbottò Stefan. «Sentimi bene, Damon. Tutto questo

    deve finire».«La tua preoccupazione per la mia incolumità è commovente».«Non è giusto, Damon. Prendere una ragazza non intenzionata a...».

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  • «Oh, era intenzionata, fratellino. Era molto, molto intenzionata».«Le hai detto cosa avevi in mente? L'hai avvertita delle conseguenze di

    uno scambio di sangue con un vampiro? Gli incubi, le visioni psichiche? Era intenzionata anche a questo?». Chiaramente, Damon non aveva alcuna voglia di replicare, così proseguì. «Sai che non è giusto».

    «Effettivamente, sì». E si produsse in un altro dei suoi subitanei, snervanti sorrisi.

    «E non te ne importa», concluse Stefan cupamente, volgendo altrove lo sguardo.

    Damon gettò via l'arancia. Parlò in tono carezzevole, suadente. «Fratellino, il mondo è pieno di quel che tu definisci "non giusto"», disse. «Perché non ti rilassi e non ti unisci alla squadra vincente? È molto più divertente, te lo assicuro».

    Stefan si sentì ribollire di rabbia. «Come puoi dire una cosa simile?», lo fulminò. «Non hai imparato nulla da Katherine? Lei aveva scelto "la squadra vincente"».

    «Katherine è morta troppo presto», disse Damon. Stava sorridendo di nuovo, ma gli occhi erano gelidi.

    «E ora non pensi che alla vendetta». Guardando il fratello, Stefan sentì un peso schiacciante opprimergli il petto. «Alla vendetta e al tuo piacere», concluse.

    «E cos'altro c'è? Il piacere è l'unica realtà, fratellino. Il piacere e il potere. E tu sei un predatore per natura, proprio come lo sono io», disse Damon. Poi aggiunse: «A ogni modo, non ricordo di averti invitato a venire con me a Firenze. Dal momento che non ti stai divertendo, perché non te ne vai?».

    Il peso che opprimeva il petto di Stefan divenne quasi insopportabile, ma il suo sguardo, incatenato a quello di Damon, non ebbe esitazioni. «Tu sai perché», disse, con calma. E alla fine ebbe la soddisfazione di vedere Damon abbassare gli occhi.

    Lo stesso Stefan riudì nella sua mente le parole di Elena. Allora stava morendo, e la sua voce era flebile, ma lui l'aveva sentita con chiarezza. Dovete aver cura l'uno dell'altro. Stefan, me lo prometti? Prometti che avrete cura l'uno dell'altro? E lui lo aveva promesso, e avrebbe mantenuto la sua parola. A qualunque costo.

    «Tu sai perché non vado via», ripeté a Damon, che non voleva guardarlo negli occhi. «Puoi anche fingere che non ti importi. Puoi ingannare il mondo intero. Ma io so che non è così». A questo punto sarebbe stato più

    35

  • generoso lasciare Damon da solo, ma Stefan non era in vena di generosità. «Hai presente la ragazza che hai rimorchiato, Rachael?», aggiunse. «I capelli andavano bene, ma gli occhi non erano del colore giusto. Quelli di Elena erano azzurri».

    Detto questo, si voltò per andarsene e lasciare Damon a rifletterci su, sempre che Damon fosse disposto a fare qualcosa di così costruttivo. Ma Stefan non arrivò mai alla porta.

    «Ci siamo!», esclamò di colpo Meredith, con gli occhi fissi sulla fiamma della candela e sullo spillo.

    Bonnie inspirò profondamente. Qualcosa si stava dipanando di fronte a lei come un filo d'argento, un canale argenteo di comunicazione. E lei lo stava percorrendo precipitosamente, senza modo di fermarsi o di rallentare la velocità. Oh, Dio, pensò, quando raggiungerò la fine e andrò a sbattere...

    Il lampo nella testa di Stefan fu silenzioso, privo di luce, ma potente come un rombo di tuono. Allo stesso tempo avvertì una violenta, irresistibile forza trainante. L'impulso di seguire... qualcosa. Non era come il furtivo invito di Katherine a recarsi in qualche luogo; questo era un grido psichico. Un ordine a cui non si poteva disobbedire.

    In quel lampo percepì una presenza, ma quasi non riuscì a credere che fosse veramente lei.

    Bonnie?Stefan! Sei tu! Ha funzionato!Bonnie, cos'hai combinato?Elena me lo ha detto. Davvero, Stefan, è stata lei. Siamo nei guai e

    abbiamo bisogno...E questo fu tutto. La comunicazione cadde, cedette, riducendosi a un

    puntino luminoso. Si era chiusa, e subito dopo la stanza vibrò di Potere.Stefan e il fratello rimasero a guardarsi meravigliati.

    Bonnie emise un lungo sospiro, senza rendersi conto di averlo trattenuto fino a quel momento, e aprì gli occhi, pur non ricordandosi quando li aveva chiusi. Era distesa supina. Matt e Meredith erano chini su di lei, allarmati.

    «Cos'è successo? Ha funzionato?», volle sapere Meredith.«Ha funzionato». Lasciò che l'aiutassero a rialzarsi. «Ho stabilito un

    contatto con Stefan. Ho parlato con lui. Ora non ci resta che aspettare e

    36

  • vedere se verrà o no».«Hai fatto il nome di Elena?», chiese Matt.«Sì».«Allora verrà».

    58 giugno, lunedì, ore 23,15

    Caro diario,pare che questa notte non dormirò un granché, quindi tanto vale che scriva. Per

    tutto il giorno ho aspettato che accadesse qualcosa. Non si fa un incantesimo di quel genere, riuscito anche bene, senza che poi accada nulla.

    Ma così è. Oggi non sono andata a scuola perché mamma mi ha consigliato di restare a casa. Era preoccupata perché Matt e Meredith si sono fermati così a lungo domenica sera, e ha detto che avevo bisogno di riposare un po'. Ma ogni volta che mi corico vedo il viso di Sue.

    Il padre di Sue ha letto l'elogio funebre al funerale di Elena. Chissà chi lo leggerà per Sue mercoledì prossimo?

    Devo smetterla di preoccuparmi di queste cose.Proverò a dormire. Forse, se mi sdraio sul letto e ascolto la musica in cuffia, non

    mi apparirà il viso di Sue.

    Bonnie ripose il diario nel cassetto del comodino e tirò fuori il walkman. Cercò di sintonizzarsi su un canale, fiss