Il denaro sporco nella lotta al riciclaggio · ragionata in materia di compliance aziendale e...

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Castaldo - Naddeo Il denaro sporco nella lotta al riciclaggio Che cos’è realmente il riciclaggio? Quali le più frequenti modalità operative e le tecniche di accertamento nella esperienza quotidiana? La definizione socio-economica del money laundering corrisponde alla nozione tipizzata nel codice penale italiano e nella normativa complementare?A questi interrogativi di fondo risponde in maniera chiara e completa il volume, che rappresenta nell’attuale panorama editoriale la prima opera destinata a occuparsi in chiave divulgativo-critica della complessa e articolata legislazione di contrasto al ‘denaro sporco’. Gli Autori, entrambi specialisti del settore, analizzano infatti l’art. 648-bis del codice penale, che prevede e punisce il riciclaggio, avendo cura di precisare i punti oscuri della fattispecie e le principali ‘questioni sul tappeto’. Segue un’interessante panoramica sugli obblighi di collaborazione attiva a cui sono tenuti, tra gli altri, intermediari finanziari, notai, avvocati e commercialisti, nonché sulle insidiose sanzioni amministrative e penali in caso di loro inosservanza. L’ultimo capitolo è dedicato alla responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001 in tema di riciclaggio e offre una guida ragionata in materia di compliance aziendale e poteri e responsabilità dell’organismo di vigilanza.Completa la monografia un’utile appendice, con i principali testi normativi e la modulistica di riferimento. I contenuti e il taglio del lavoro fanno del libro un indispensabile strumento di consultazione e di approfondimento per tutti gli operatori d’area. 1/5/2012

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Castaldo - Naddeo Il denaro sporco nella lotta al riciclaggio

Che cos’è realmente il riciclaggio? Quali le più frequenti modalità operative e le tecniche di accertamento

nella esperienza quotidiana? La definizione socio-economica del money laundering corrisponde alla

nozione tipizzata nel codice penale italiano e nella normativa complementare?A questi interrogativi di

fondo risponde in maniera chiara e completa il volume, che rappresenta nell’attuale panorama editoriale la

prima opera destinata a occuparsi in chiave divulgativo-critica della complessa e articolata legislazione di

contrasto al ‘denaro sporco’. Gli Autori, entrambi specialisti del settore, analizzano infatti l’art. 648-bis del

codice penale, che prevede e punisce il riciclaggio, avendo cura di precisare i punti oscuri della fattispecie e

le principali ‘questioni sul tappeto’. Segue un’interessante panoramica sugli obblighi di collaborazione

attiva a cui sono tenuti, tra gli altri, intermediari finanziari, notai, avvocati e commercialisti, nonché sulle

insidiose sanzioni amministrative e penali in caso di loro inosservanza. L’ultimo capitolo è dedicato alla

responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001 in tema di riciclaggio e offre una guida

ragionata in materia di compliance aziendale e poteri e responsabilità dell’organismo di vigilanza.Completa

la monografia un’utile appendice, con i principali testi normativi e la modulistica di riferimento. I contenuti

e il taglio del lavoro fanno del libro un indispensabile strumento di consultazione e di approfondimento per

tutti gli operatori d’area.

1/5/2012

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INDICE – SOMMARIO

Prefazione di NICOLA MANCINO ................................................... pag. XI Commento di MASSIMO DONINI .................................................... » XVII

Introduzione .................................................................................. »

CCCCAPITOLO APITOLO APITOLO APITOLO IIII

IL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTEIL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTEIL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTEIL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTE

1. Che cosa è il riciclaggio ......................................................... pag. 1

1.1. Effettività ed ‘empiria organizzata’ nel riciclaggio ......... » 5

2. L’evoluzione del fenomeno .................................................... » 8

2.1. Dai canali tradizionali al riciclaggio finanziario .............. » 10

2.2. Nuove frontiere tecnologiche e Paradisi penali ............... » 18 2.3. La difficile percezione di un delitto al confine tra ‘white collar crime’ e criminalità organizzata .............................. » 26

2.4. Professionalizzazione dell’attività criminale: intermediari

inconsapevoli e intermediari inquinati ...................... » 28

3. L’impatto del riciclaggio sull’economia sana: un moltiplicatore

di criminalità dall’effetto destabilizzante ........................ » 32

3.1. Criminalità organizzata e crisi d’impresa .......................... » 36

3.2. Le dimensioni del fenomeno ............................................... » 40

CCCCAPITOLO APITOLO APITOLO APITOLO IIIIIIII

PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO ED PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO ED PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO ED PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO ED ECONOMIC APPROACH :::: VERSO UNA POLITICA CRIMINALE INTEGRATA?VERSO UNA POLITICA CRIMINALE INTEGRATA?VERSO UNA POLITICA CRIMINALE INTEGRATA?VERSO UNA POLITICA CRIMINALE INTEGRATA?

1. L’approccio economico nell’analisi del delitto di riciclaggio pag. 45

1.1. Teoria dei giochi: vantaggi limitati dell’equilibrio di Nash ........................................................................................ » 52

1.2. Prospettiva funzionalistica: raggiungibilità dell’ottimo

di Pareto? ................................................................................ » 58

2. Il percorso à rebours dalla politica penale alla politica criminale integrata: verso un controllo efficace del riciclaggio ...... pag. 61

CCCCAPITOLO APITOLO APITOLO APITOLO IIIIIIIIIIII

IL DELITTO DI RICICLAGGIOIL DELITTO DI RICICLAGGIOIL DELITTO DI RICICLAGGIOIL DELITTO DI RICICLAGGIO

1. La norma e i precedenti storici ............................................... pag. 65

2. Il bene giuridico, la tecnica di tutela e il difficile inquadramento

sistematico ................................................................... » 76

3. Il soggetto attivo alla luce del c.d. beneficio di auto-riciclaggio .................................................................................... » 87

3.1. Problematiche connesse al riciclaggio nei reati associativi

........................................................................................... » 95

3.2. Il caso tranchant dell’«aggravante di riciclaggio» prevista

dall’art. 416-bis sesto comma c.p. ................................ » 104 4. La condotta commissiva e l’esecuzione “in modo da ostacolare

2

l’identificazione della provenienza delittuosa”, quale nota

modale dal valore tipizzante ............................................... » 109

4.1. L’ipotesi di “sostituzione” ................................................... » 119

4.2. Il “trasferimento” .................................................................. » 123

4.3. Le “altre operazioni”: una condotta assorbente? ............. » 128

5. Il riciclaggio per omissione .................................................... » 131

6. L’evento tra pericolo concreto e pericolo astratto .................. » 137

7. L’accertamento del pericolo ................................................... » 139

8. L’oggetto materiale del riciclaggio ........................................ » 141

8.1. I confini dell’espressione “denaro, beni o altre utilità” .. » 143

8.2. La locuzione “provenienti da delitto” ................................ » 146

8.3. La forzata convergenza dell’illegittimo non-impoverimento

nel concetto di provenienza illecita ........................ » 154

8.4. Il riciclaggio indiretto: riflessi di carattere criminologico » 164

9. L’elemento psicologico .......................................................... » 171

9.1. Le insidie insite nell’ammissibilità del dolo eventuale ... » 178

9.2. Riflessi positivi ed effetti collaterali derivanti dalla cancellazione

dell’elenco dei predicate crimes ...................... » 181 10. Le forme di manifestazione: consumazione e tentativo ......... » 188

11. Concorso di persone ............................................................... » 192

12. Regime sanzionatorio ............................................................. » 194

12.1. Diminuente e aggravante speciale del riciclaggio ......... » 196

12.2. Sequestro e confisca ........................................................... » 202

12.3. Una negatività condivisa ................................................... » 214

13. Punibilità: l’irrilevanza delle condizioni di procedibilità del

reato presupposto .................................................................... » 215

13.1. Profili critici ........................................................................ »

14. Ampliamento degli spazi di non punibilità per l’agente provocatore

.................................................................................. pag. 226

15. La difficile convivenza delle fattispecie affini con il delitto di

riciclaggio ............................................................................... »

16. Il bilancio di un trentennio ..................................................... » 249

CCCCAPITOLO APITOLO APITOLO APITOLO IVIVIVIV

OBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E SORVEGLIANZAOBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E SORVEGLIANZAOBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E SORVEGLIANZAOBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E SORVEGLIANZA SUI SISTEMI DI PAGAMENTO: I LINEAMENTI DELLASUI SISTEMI DI PAGAMENTO: I LINEAMENTI DELLASUI SISTEMI DI PAGAMENTO: I LINEAMENTI DELLASUI SISTEMI DI PAGAMENTO: I LINEAMENTI DELLA

DISCDISCDISCDISCIPLINA INTERNA E INTERNAZIONALE IPLINA INTERNA E INTERNAZIONALE IPLINA INTERNA E INTERNAZIONALE IPLINA INTERNA E INTERNAZIONALE DI PREVENZIONE DEL RICICLAGGIODI PREVENZIONE DEL RICICLAGGIODI PREVENZIONE DEL RICICLAGGIODI PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO

1. Introduzione ............................................................................ 2. I limiti all’uso del contante e la ‘collaborazione coattiva’ quale

sovrastruttura di una strategia bidimensionale ......................... » 257

3. Restrizioni preventive e ‘orientamento’ dei capitali: la collaborazione passiva ....................................................................... » 262 3.1. Obbligo di comunicazione e sanzioni .................................. » 271

3.2. Le tendenze attuali nell’ambito dei sistemi di pagamento

e le misure europee sui movimenti transfrontalieri ............ » 274 3.3. Gli overseers dei sistemi di pagamento ............................... » 280 4. Premessa ................................................................................. » 4.1. Identificazione e registrazione alla luce del (nostro) approccio differenziale su base consensuale .......................... » 286

5. Segnalazione di operazioni sospette: certezza del diritto, evidenza

probatoria e dubbio come virtù ...................................... » 299

3

5.1. Il sesto senso dell’avvocato/professionista tra speciale attitudine

e conoscenza causale superiore .............................. » 312

5.2. Responsabilità professionale e principio deontologico vs delazione ................................................................................. »

5.3. Financial Intelligence Unit interna e attori protagonisti del palcoscenico della prevenzione ...................................... » 331

5.4. La collaborazione attiva e la deriva internazionalistica ..... » 351

5.5. Criticità sistemiche ignorate: l’aspetto sanzionatorio ........ » 359

5.6. Test empirici di inefficienze congenite ................................ » 367 6. Cooperazione giudiziaria, scambio informativo e collaborazione

investigativa: il GAFI e gli altri organismi antiriciclaggio .. » 374

7. Mediazioni non compromissorie: una proposta indebolita dall’humus comunitario ............................................................... » 385

CCCCAPITOLO APITOLO APITOLO APITOLO VVVV

LA RESPONSABLA RESPONSABLA RESPONSABLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI ILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI ILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI ILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI DA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITIDA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITIDA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITIDA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITI

1. Un’esigenza di diritto interno maturata alla luce del diritto internazionale

............................................................................. pag. 393

2. Le complicazioni fenomenologiche e gli spazi scoperti del societas delinquere non potest .................................................... » 399

3. L’art. 25 octies del D.Lgs. 231/01: ampliamento del numerus clausus e riflessi sulla compliance aziendale ........................... » 403 3.1. Meccanismi di ascrizione del fatto all’ente: la dibattuta

questione dell’interesse e vantaggio .................................... » 409 4. Organismo di vigilanza interno ex D.Lgs. 231/01: il riciclaggio da ‘moltiplicatore di ricchezza’ a moltiplicatore di posizioni di

garanzia? ................................................................................. »

5. L’aspetto sanzionatorio e la confisca obbligatoria ................... » 422

Appendce normativa ● Direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,

del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso

del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di

attività criminose e di finanziamento del terrorismo (c.d.

“Terza Direttiva”) ................................................................. pag. 433

● Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 – Attuazione

della Direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione

dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio

dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo

nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure

di esecuzione – aggiornato con le disposizioni integrative

e correttive del Decreto Legislativo 25 settembre 2009,

n. 151 .................................................................................... »

481

● Regolamento per l’organizzazione e il funzionamento della

Unità di Informazione Finanziaria (UIF), ai sensi dell’art. 6,

comma 2, del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 .................. » 551

Modulistica ● Moduli segnalazioni operazioni sospette – operatori non finanziari

................................................................................. pag. 561

4

● Moduli segnalazioni operazioni sospette – professionisti ..... » 573

Bibliografia ...................................................................................

5

Capitolo I:

IL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTE

1.Che cosa è il riciclaggio

Nonostante il termine abbia recente origine (anni ’70 America, anni 80 Italia) parlare

oggi di riciclaggio significa riferirsi a un fenomeno che è molto cambiato rispetto le

sue sembianze originarie, sono molti i nomi attribuiti a tale fattispecie a segnare un

panorama legislativo disomogeneo nonostante il minimo comun denominatore

americano, all’inverso del profilo legislativo vi è un costante profilo economico e

quindi criminologico, l’obbiettivo della criminalità è infatti rimuovere dal denaro

sporco le informazioni atte a identificarne la provenienza delittuosa e dunque a

ricostruire la paper trail (pista di carta), il riciclatore rimuoverà allora gli indici di

anomalia cioè le caratteristiche peculiari che danno segno della provenienza illecita,

una volta eliminata la fonte illecita ne viene simulata una lecita (la maggior parte del

denaro criminale subisce tale sorte mentre fette minori sono reinvestite

nell’economia sana per la maggior parte e residualmente di nuovo in quella illecita).

Dinanzi al riciclaggio vi sono 3 necessità:

- anteporre all’analisi normativa la ricostruzione fenomenologica

- investigare gli aspetti di dannosità sociale per verificare la validità del modello

repressivo preventivo

- la consapevolezza della capacità di incidere sul fenomeno criminale risulterà

dal Verlagerungseffekt (spostamento degli obiettivi scelti dalla criminalità che

si accentua man mano che ci si avvicina all’efficienza del controllo

1.1.Effettività ed empiria organizzata nel riciclaggio

6

Occorre ricostruire il sistema individuando gli anelli deboli e testarne l’efficacia,

questa è la stessa modalità operativa del crimine riorganizzato per una miglior

penetrazione nel circuito economico e la massimizzazione del profitto facendo

un’analisi dei rischi geo normativa; test attendibile sull’effettività delle norme è il

raffronto tra opzione criminale e obiettivo legislativo, quindi sarà maggiore

l’efficienza del controllo in una data area quando maggiore sarà lo shift (migrazione)

criminale; particolare attenzione va riservata alle agenzie e alla ricaduta pratica delle

norme, l’orientamento culturale dei consociati si fonda infatti su una tutela reale del

sistema penale, al contrario una legislazione simbolica fornirà solo in apparenza una

soluzione provocando nel medio - lungo raggi o una disillusione sull’efficacia della

pena.

Tutto ciò deve indurre a una valutazione della idoneità dell’intervento penale nella

risoluzione del fenomeno criminale non confinata nella politica penale ma

esaminando a pieno la politica criminale, vanno dunque evitate dilatazioni eccessive

della tutela penale che portano solo ad una sua inefficacia

2.L’evoluzione del fenomeno

L’esame dell’evoluzione del riciclaggio ci mostra un illecito profondamente

trasfigurato grazie ai fenomeni di globalizzazione che hanno integrato le economie e

portato uno scambio continuo tra reale e virtuale della ricchezza, la criminalità

economica è una criminalità sistemica dunque si evolve in maniera razionale e infatti

sembra essere lo specchio dell’evoluzione della società portando alla sua

finanziarizzazione e all’immedesimazione in criminalità organizzata; e infatti la

criminalità economica è ormai una tipica forma di criminalità organizzata che genera

enormi flussi finanziari, dunque l’evoluzione della fattispecie è segnata dal progresso

tecnologico e culturale; l’evoluzione criminale è passata dal “bucato a mano”

(investimento diretto con modeste liquidità) alla “lavanderia” (complesse operazioni

finanziaria), ciò rende più difficile identificare il riciclaggio che diviene un reato

spersonalizzato.

2.1.Dai canali tradizionali al riciclaggio finanziario e oltre

7

Alcune riforme politiche hanno favorito il processo di globalizzazione di un

fenomeno che già tipicamente è transnazionale:

- abbattimento del controllo sui cambi creando una valuta comune o

integrando il proprio circuito finanziario con una valuta secondaria semi-

ufficiale (euro o dollaro)

- apertura dei mercati dei capitali e conseguente integrazione dei sistemi

finanziari, anche se va registrata un’inversione di tendenza volta alla

creazione di partnership bilaterali di investimenti

- concorrenza per i capitali che vede in competizione i soggetti che offrono

servizi finanziari

- innovazione tecnologica che ha facilitato le transazioni

tutti cambiamenti che hanno accresciuto le opportunità criminose e depotenziato le

capacità ispettive, cosa accentuata anche dalla distribuzione irregolare di strumenti

di contrasto nei vari paesi (per taluni intenzionalmente volute per attirare i capitali).

Il mutamento dello scenario ha portato a un mutamento della fattispecie di

riciclaggio da 2 fasi (money laundering cioè il lavaggio, recycling cioè l’impiego) a

una tripartizione con passaggi ciascuno idoneo a integrare il riciclaggio ma

normalmente distinti:

- placement � il piazzamento del provento illecito nel mercato tramite

intermediari finanziari o l’acquisto di beni

- layering � la stratificazione nel fornire alla ricchezza criminosa una copertura

lecita tramite un caleidoscopio di operazioni che vanno dal trasferimento di

fondi alle triangolazioni societarie

- integration � l’integrazione della reimmissione nei circuiti economici dei

proventi lavati attraverso filtri al di sopra di ogni sospetto (es banche, grandi

studi legali)

in ogni fase l’informatica è fondamentale ma ha un ruolo enorme nel layering

un’attività che dipende dalla rapidità delle transazioni, per cui dai metodi

tradizionali quali l’approccio della targa d’ottone (società virtuali che coprono

l’identità dei soggetti) passando per le scatole cinesi fino alle complesse operazioni

finanziarie informatiche vi è una vasta fenomenologia del riciclaggio, con una

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evoluzione diacronica del fenomeno riciclaggio monetario – bancario – finanziario,

prova evidente del camaleontismo della criminalità economica.

Infatti l’abbandono del riciclaggio monetario e la migrazione verso il settore

bancario negli anni ’80 è corrisposto alle limitazioni imposte alla circolazione del

contante (pur se vi è stata una grande crescita infrastrutturale dei pagamenti non in

contante questi sono pari solo al 10% delle operazioni) da un lato e dalla maggiore

efficienza dei circuiti bancari dall’altro, allo stesso modo una disciplina stringente del

settore bancario ha portato a una migrazione verso le nuove forme dell’e-banking.

Il riciclaggio è però un fenomeno molto ricco in cui convive la vecchia valigetta piena

di banconote, con i trasferimenti di alta finanza, con i trasferimenti via FedEx e

corrieri, con infine la pericolosa piaga delle banche clandestine cioè il Hawalla

(parola urdu che si riferisce alla fiducia) un sistema che consente trasferimenti

finanziari all’oscuro delle autorità con un meccanismo semplice ma efficace: il

sender si reca presso l’hawallador (una rosticceria, lavanderia, negozio) e deposita la

somma da trasferire ricevendo un chit (una ricevuta sotto forma di oggetto, es

mezza carta), il receiver riceverà poi una somma pari dall’agente di arrivo esibendo il

chit, con la possibilità poi di compensazioni periodiche in caso di molte operazioni.

L’anticrimine lotta proprio su questi nuovi terreni del chiti banking e del cyber-

laundering molto difficili per la grande segretezza che crea una grossa asimmetria

informativa tra Stato e crimine.

2.2.Nuove frontiere tecnologiche e paradisi penali

L’evoluzione tecnologica con la possibilità di agevoli connessioni intersoggettive a

distanza ha mutato il panorama del riciclaggio rendendo obsoleta l’elencazione delle

tecniche di riciclaggio, con il contatto diretto tra gli utenti si creano tecniche sempre

più sofisticate e complesse, le grandi organizzazioni criminali si servono di

professionisti dell’alta finanza che approfittano di un mercato senza confini per

scovare e sfruttare le debolezze strutturali di taluni paesi; fra questi le nazioni off-

shore (fuori dalla costa) ha una grande attrazione per i riciclatori con una

legislazione che strizza loro l’occhio non penalizzando il riciclaggio e garantendo

condizioni tali da renderli bank heavens o tax heavens o company heavens, la

9

criminalità economica provvede allora a indirizzare le sue operazioni di placement e

stratificazione in questi paradisi con un ottimo rapporto costi/benefici.

Molte nazioni hanno costruito habitat ottimali all’afflusso di capitali (stabilità

istituzionale, segreto bancario, anonimato societario) e su questo hanno fondato la

loro crescita economica (pur subendo il rischio che i capitali criminali come arrivano

così possono sparire facendo crollare lo Stato) e dunque hanno un atteggiamento

non collaborativo verso l’anticrimine dei paesi che lottano contro il riciclaggio

(nonostante anche le pressioni internazionali) vanificando il loro tentativo di

equiparazione del rischio per i criminali, cosicché da un lato vi sono tali paesi e

dall’altro dei veri e propri paradisi penali; invece una lotta al riciclaggio efficace

necessita di un meccanismo penale comune (dalle norme sostanziali alle processuali

alle indagini), ad aggressione globale risposta globale.

2.3.La difficile percezione di un delitto al confine tra white collar crime e

criminalità organizzata

Ormai il legame è indissolubile tra criminalità economica e organizzata, anzi questa è

proprio una forma tipica di criminalità organizzata, tuttavia l’inquadramento di tale

categoria nei white collar crimes complica la situazione sotto il profilo della

percezione sociale del fenomeno, certamente i crimini dei colletti bianchi sono reati

come si evince dagli studi criminologici sulla loro dannosità, più complicata è però la

loro percezione dalla collettività.

Paragonando un ladro professionista e un colletto bianco vi sono profonde

somiglianze (abitualità, illeciti superiori ai procedimenti, scarso impatto sulla

reputazione, disprezzo per la legge, premeditazione) fondamentale è la differenza

reputazione, se infatti il primo si considera un criminale e come tale è percepito

dalla collettività (e anzi si vanta della fama criminale) l’uomo d’affari si considera un

cittadino rispettabile e tale è considerato dalla collettività, vi è dunque nell’aspetto

della etero reputazione una scarsa considerazione della pericolosità dell’uomo

d’affari che in apparenza pare onesto anche per la difficoltà di percepire le

implicazioni lesive delle operazioni che compie, ma questi si sottrae alle legge anche

se in modo più occulto rispetto al ladro ma con lo stesso significato criminoso, e

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nonostante il riciclaggio sia fase integrante dei peggiori reati (dallo spaccio

all’estorsione mafiosa) non è percepito come pericoloso dalla collettività.

2.4.Professionalizzazione dell’attività criminale: intermediari

inconsapevoli e intermediari inquinati

La fisionomia del riciclaggio si è rapidamente evoluta e così anche il volto del

riciclatore, mentre la fase del placement continua di norma a essere svolta da

personale interno all’organizzazione in quelle di layering e integration i criminali si

avvalgono di esperti spesso esterni in grado di garantire un elevato risk

management, esperienza come il crollo della BCCI o dell’operazione Unigold contro i

cartelli colombiani mostrano come i finanzieri d’avventura siano stati affiancati in

misura crescente da soggetti specializzati con una professionalizzazione dell’attività

di riciclaggio in cui le banche nonostante la concorrenza di intermediari finanziari

alternativi e l’assottigliamento del segreto bancario continuano ad essere un nodo

fondamentale del riciclaggio, soprattutto ove vengano interamente assoggettate agli

interessi criminali divenendo imprese a partecipazione mafiosa cioè sorte nella

legalità ma poi infiltrate dalla mafia che cerca di penetrare sempre più nelle attività

finanziarie di riciclaggio.

Mentre le modalità originare di riciclaggio vedevano l’attività dell’intermediario

limitata alla registrazione della transazione e quindi sfruttava un intermediario

colluso o inconsapevole ovvero inconsapevole ma collaborativo nel monitoraggio

però impossibilitato a rilevare l’anomalia in un’attività apparentemente

insospettabile, oggi le lavanderie fanno si che l’organizzazione criminale stessa offra

il servizio di riciclaggio quasi sempre supportata da intermediari inquinati; un

intermediario cooperativo con la criminalità favorirà questa nei servizi bancari sia

passivi (sui depositi e pagamenti) che attivi (sui prodotti finanziari ed erogazioni di

credito; le politiche antiriciclaggio andranno ricalibrate su questa nuova figura che è

meno sensibile agli incentivi, ha una minore eticità e una maggiore propensione al

rischio, ciò genera notevoli resistenze al processo di internalizzazione dell’integrità

nelle ipotesi di controllo criminale e impossibilità di internalizzazione nei casi di

proprietà dell’impresa da parte del crimine organizzato.

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3.L’impatto del riciclaggio sull’economia sana: un moltiplicatore di

criminalità dall’effetto destabilizzante

Gli effetti del riciclaggio vanno analizzati in tutte le sfaccettature che afferiscono al

circuito economico, partendo da un’analisi macroeconomica l’ingresso di capitali

illeciti nell’economia sana genera due conseguenze:

- distorsione della concorrenza � il criminale dispone di grandi liquidità a

basso costo annullando così il rischio d’impresa, politiche di prezzo predatorio

e contaminazioni mafiose dell’economia impongono l’arretramento

dell’imprenditore sano che nel primo caso non ha possibilità di imporsi

mentre nel secondo opta per scelte in contrasto con le leggi di mercato per

mantenere un basso profilo (il crimine infatti predilige imprese decotte e

imprese in forte crescita per l’infiltrazione)

- destabilizzazione del mercato � per i fenomeni di cui sopra vi è

un’alterazione del mercato

A livello microeconomico a seguito del contatto dell’impresa criminale con quella

sana o proprio dell’infiltrazione vi è la conquista e il mantenimento di una posizione

di dominio della prima (equazione pag 34)

d’altronde il riciclaggio di proventi illeciti garantendo un elevato ROI (return of

investment) diviene un moltiplicatore di criminalità, le operazioni di sbiancamento

rendono effettiva la ricchezza illecita incidendo sull’ultima fase dell’iter criminis

perpetuando il disvalore dei reati scopo e radicando nel criminale il proposito

delittuoso, è una fase che si contrappone alla funzione normativa di generale

prevenzione, l’accumulo di ricchezze consente poi all’organizzazione di crescere e

radicarsi sul territorio sia grazie a reinvestimenti illeciti ma soprattutto a

investimenti leciti che garantiscono contatti con l’economia sana e la politica.

Il riciclaggio coinvolge in maniera crescente il sistema bancario e finanziario per cui

intermediari sani sono inglobati nel crimine che ne sfrutta la vulnerabilità, e inoltre il

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money laundering rende molto appetibile la carriera criminale; il riciclaggio è

dunque una testa d’ariete che crea dei varchi nel confine fra economia lecita e

illecita in modo da far assorbire la prima nella seconda e far penetrare la seconda

nella prima.

3.1.Criminalità organizzata e crisi d’impresa

Alla progressiva espansione della criminalità economica corrisponde il ritiro

dell’impresa legale, rilevante dunque è lo studio delle relazioni fra crisi d’impresa e

criminalità organizzata, il crimine può incidere sull’azienda come fattore esterno e

come fattore endogeno in relazione ai suoi obiettivi di assumere posizione

dominante nel mercato e ridurre il rischio del riciclaggio, dunque il crimine ha

interesse a confondersi con l’impresa legale assumendone le sembianze tramite

forme di partecipazione che garantiscono il controllo dell’impresa senza farlo

emergere, vi è dunque un imprenditore lecito che conserva la gestione economica e

tecnica di una società (anche perché ne ha la competenza) e un controllo indiretto

del crimine, in apparenza non vi è nessun legame fra i due che invece è dato dal

finanziamento che è esterno all’impresa e da cui dipendono le sue sorti, infatti

questo di norma è temporaneo e può essere sottratto in qualsiasi momento

provocando la rovina economica.

L’iniziale legalità dell’impresa è strumentalizzata dal crimine che da valore del

mercato la riduce a valore di mercato cioè a coefficiente remunerativo idoneo ad

abbassare il rischio di scoperta del reato, tale fattore di crisi dell’impresa ha natura

endogena al pari del trasferimento della proprietà aziendale all’imprenditore illecito,

in tale circostanza vi è il massimo grado di compenetrazione criminale insito in tale

atteggiamento collaborativo dell’impresa inquinata (bruco bianco, crisalide grigia,

farfalla nera), l’imprenditore con il suo consenso al crimine è espone l’impresa al

massimo grado di vulnerabilità (intesa come attitudine alla penetrazione da parte

del crimine); al contrario l’impresa non collaborativa si espone al conflitto col

crimine patendo l’estorsione e l’usura in caso di dissesto finanziario; insomma a una

maggior vulnerabilità vi è maggiore stabilità finanziaria e quindi una minaccia

immediata per il mercato e nel lungo termine per l’impresa stessa infatti il criminale

non perseguirà sempre obiettivi di massimizzazione del profitto e inoltre quando

13

l’impresa diviene oggetto di controlli viene abbandonata dal criminale per evitare di

essere scoperto e così va in rovina.

3.2.Le dimensioni del fenomeno

Le peculiarità le del riciclaggio lo sottraggono da qualsiasi inquadramento statistico e

sono possibili solo stime approssimative, gli USA sono in testa alle classifiche verso

cui sono dirottate le liquidità illegali ma lo stesso Fondo monetario Internazionale

afferma che non è possibile individuarne l’esatto ammontare a causa del

commingling (commistione tra ricchezza lecita e illecita); tuttavia la dannosità

sociale del reato va oltre il bene tutelato fino a investire l’ordine economico del

mercato, una serie di effetti che non sono quantificabili in termini monetari ma

evidenziano un fenomeno dirompente.

Capitolo III:

IL DELITTO DI RICICLAGGIO

1.La norma e i precedenti storici

Il 648bis cp sanziona con la reclusione da 4 a 12 anni e multa da 1.032 a 15.493 euro

il riciclatore con un incremento di pena quando ciò avviene nell’esercizio di

un’attività professionale e una diminuzione quando il provento deriva da delitto

punito nel massimo a una reclusione inferiore a 5 anni, fa salvo l’ultimo comma del

648 per cui è sanzionato anche se non punibile o imputabile o manchi una

condizione di procedibilità per il reato presupposto; questa formula è l’ultima di un

iter normativo che dalla prima introduzione del reato con il dl 59/1978 è stata

oggetto di altre due rettifiche, detta legge introduce dopo il 648 una nuova ipotesi di

“Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione

aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione”, il prototipo del riciclaggio

nasce da un’esigenza di fronteggiare tali fenomeni criminali che dilagavano nell’Italia

degli anni di piombo e che costituiscono il vero referente criminologico della

14

fattispecie, il reato è formulato come reato di attentato con una pena

particolarmente elevata (da 4 a 10 anni) e le cui esigenze di introduzione sono

confermate nella Relazione Ministeriale (che intende fronteggiare nuove forme di

criminalità) e dalla contemporanea sostituzione del 630 cp (Sequestro di persona a

scopo di estorsione); sono molti i tratti della fattispecie da cui emerge la fisionomia

della legislazione emergenziale:

- forte anticipazione della soglia di punibilità: si criminalizza il semplice

compimento di fatti o atti diretti alla realizzazione dell’obiettivo pur in

assenza del verificarsi dell’evento lesivo (fattispecie-rete) ed estensione fino

alla sanzionabilità del semplice possesso di banconote provenienti da riscatto

- estrema limitatezza dei reati presupposto: non si considerano molte

fattispecie come il traffico di stupefacenti che sono la principale fonte di

proventi illeciti e ciò ridimensiona l’efficacia della norma

- conformazione delle condotte: il riferimento alla sola ripulitura materiale

dimenticando la ripulitura giuridica è coniugata all’alternativa del dolo

specifico di procurare a sé o altri un profitto (riciclaggio ricettazione) o aiutare

gli autori dei delitti ad assicurarsi il profitto (riciclaggio favoreggiamento) e ciò

pare sanzionare solo la perpetuazione di tali reati piuttosto che la lesività

propria della riconversione di proventi criminali

il riciclaggio delle origini nasce come forma speciale di ricettazione e

favoreggiamento, vi sono però due elementi che rimarranno fino alla versione

attuale: esclusione della responsabilità del concorrente nel reato base, irrilevanza

delle cause soggettive di esclusione della pena.

Dopo la sua introduzione da un lato emergono i limiti di una normativa

emergenziale dall’altro vi è una presa di coscienza della gravità del fenomeno anche

grazie agli imput di organismi internazionali (Basilea, Convenzione di Vienna), si ha

così la l 55/1990 (Gava-Vassalli) in cui sono trasfuse diverse indicazioni della

proposta della GdF del novembre 1989, recante “Nuove disposizioni per la

prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di

manifestazione di pericolosità sociale” che interviene sul 648bis rafforzandolo e

rinominandolo come “riciclaggio”, l’intervento è però di ampio respiro si introduce

infatti anche il 648ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e

interviene sul riciclaggio in una accezione bifasica (money laundering – recycling)

15

tipica del momento storico; si abbandona il modello di attentato e si riconduce il

momento consumativo all’effettivo completamento della condotta, vi sono pene più

aspre da 4 a 12 anni e molte altre innovazioni:

- articolazione della condotta oggettiva nella sostituzione e ostacolare

l’identificazione dell’origine delittuosa: ciò estende l’ambito applicativo

nonostante l’indeterminatezza dell’espressione di ostacolare e la difficile

armonizzazione con la sostituzione che pare in essa assorbita

- ampliamento dei reati presupposto ai reati concernenti gli stupefacenti

- sostituzione della nozione di “beni o valori” con quella di “denaro, beni o altre

utilità” a conferma della filosofia espansionistica della norma che intende

riferirsi a qualsiasi entità economicamente apprezzabile

- eliminazione del dolo specifico alternativo di ricettazione o favoreggiamento

sostituito col dolo generico della consapevolezza della provenienza illecita: si

ampliano le potenzialità applicative

- previsione dell’aggravante del reato commesso nell’esercizio della professione

e inasprimento della pena: ciò per il grande disvalore insito nel

comportamento del riciclatore che è un concorrente ex post di reati tipici

della criminalità organizzata

Si arriva così alla riforma della l 328/1993 che si inserisce in un sistema già orientato

alla repressione di forme di criminalità prevalentemente associativa che ridisegna il

648bis e 648ter dando applicazione ai principi dell’art 6 Convenzione di Strasburgo,

vi è la scomparsa dell’elenco analitico dei reati presupposto sostituito dal

riferimento a “qualsiasi delitto non colposo”, vi è poi a rafforzare la norma la

previsione della condotta di “trasferimento di denaro, beni o altre utilità” e la

conversione della condotta di “riciclaggio-favoreggiamento” nella formula di

chiusura che incrimina il comportamento di “altre operazioni in modo da ostacolare

l’identificazione della provenienza delittuosa”; le pene restano quelle del ’90 e vi è

l’introduzione dell’attenuante per delitto base inferiore a 5 anni di reclusione, si

registra poi un’ottica punitiva mirata a colpire anche il riciclaggio oltre confine con la

separazione delle giurisdizioni penali del reato di riciclaggio e quello presupposto

preservata dal 648 uc nella riformulazione integrata dall’irrilevanza della carenza di

una condizione di procedibilità del delitto a monte.

16

2.Il bene giuridico, la tecnica di tutela e il difficile inquadramento

sistematico

Il riciclaggio è inserito nel capo 2 titolo 13 libro 2 cp cioè nei delitti contro il

patrimonio mediante frode, tale collocazione è però insoddisfacente e inoltre la

molteplicità degli scopi perseguiti ha indotto la dottrina a qualificarlo come

plurioffensivo impedendone l’enucleazione dell’interesse prevalente, c’è dunque

accordo nel ritenere inadatta la collocazione ma divergenza su dove ricollocarlo,

sotto il primo profilo l’attuale presenza tra i reati contro il patrimonio è giustificata

dall’origine quale costola della ricettazione con cui similitudini di Tatbestand e

opportunità di mantenerli consecutivi spiegano l’attuale collocazione di un delitto in

cui la tutela patrimoniale è solo secondaria; invece la rivisitazione del patrimonio in

chiave strumentale allo sviluppo della personalità fonda l’orientamento che colloca

il reato tra quelli volti a contrastare la perpetuazione della precedente condotta

antigiuridica, una posizione accolta in Svizzera ma contestata in Italia da obiezioni

logiche (non è detto che il movimento del bene ne renda più complesso il recupero

anzi proprio questo permette all’anticrimine di scoprire il reato) e giuridiche (tanto

la ricettazione quanto il riciclaggio non richiedono che il delitto presupposto sia

contro il patrimonio), vi è allora una diluizione della patrimonialità della fattispecie

che impone di considerare l’offesa all’amministrazione della giustizia che nella vasta

gamma di beni offesi dal riciclaggio funge da massimo comun denominatore, d’altro

canto la teoria della patrimonialità non è al passo con l’evoluzione giuridica che

propone una nuova prospettiva patrimoniale sganciata dal profilo individualistico e

ancorata alla dimensione pubblicistica passando dal riferimento costituzionale della

garanzia della proprietà (42 cost) a quello della tutela del risparmio (47 cost) nella

specie investimento, si propone allora una concezione dinamica del patrimonio che

dalla tutela del semplice bene porta alla tutela dell’ordine economico, quest’ultimo

risulta gravemente offeso dal riciclaggio in grado di alterare pesantemente il

mercato e ciò spinge autorevole dottrina a inquadrare il reato fra quelli contro

l’economia.

L’intreccio di prospettive del risparmio e dell’investimento evidenzia i profili

pubblicistici di tutela e favorisce l’emersione dell’ordine pubblico come bene

sicuramente posto in pericolo dal riciclaggio e certamente richiamato dalla norma

quando si rivolge all’accertamento della responsabilità degli autori dei reati

17

presupposti e nella sua funzione di contrasto all’aumento delle attività illegittime, a

conferma di ciò vi è la trasmigrazione dell’ordine economico che nell’impiego di

denaro beni o utilità viene declassato a bene secondario subordinato all’ordine

pubblico; in base a ciò non è opportuno liquidare l’ordine economico e l’ordine

pubblico come rationes di tutela paragonabili a semplici obiettivi di organizzazioni

politiche e parimenti occorre negare la formula del reato plurioffensivo che svuota

l’istituto annichilendo le sue potenzialità selettive.

La soluzione va dunque cercata in un’ottica tesa a restituire al bene giuridico il

valore selettivo per individuare i fatti vietati (orientamento opposto elegge invece a

momento fondamentale l’individuazione dello scopo), cosicché gli obiettivi di tutela

presi in considerazione rivelano una scarsa capacità selettiva rivestendo un ruolo di

secondo piano più consono a quello di beni finali mentre invece il bene giuridico

tutelato va individuato dell’amministrazione della giustizia (e depone a favore di ciò

anche il beneficio di auto riciclaggio che da un lato svilisce il riferimento alla

consolidazione di una precedente situazione illecita e dall’altro esclude che

l’interesse principalmente tutelato sia strettamente patrimoniale) intesa come

impegno generale alla persecuzione di qualsiasi reato che viene perfettamente

tutelato dalla norma che si rivolge in maniera solo mediata all’economia all’ordine

pubblico o al patrimonio preservando in via diretta lo svolgimento delle indagini

sulla provenienza delittuosa dei beni.

Quest’ultimo è il dato caratterizzante le condotte di riciclaggio ed è significativo

l’orientamento dottrinale che per evitare l’abrogazione del 648ter ritiene integrato il

reato di impiego nel caso di ricezione di capitali sin dall’origine finalizzata al

reimpiego e invece i reati di ricettazione o riciclaggio nei casi in cui l’iniziale ricezione

di capitali illeciti non finalizzata all’impiego sia seguita dall’autonoma decisione di

impiegarli; l’interesse fondamentale come amministrazione della giustizia è in linea

con le funzioni che l’oggetto giuridico è tenuto ad assolvere (politico garantista,

sistematico classificatoria, dommatico interpretativa) e impedisce svuotamenti della

funzione garantista infatti rimane sempre presente soprattutto nelle più minacciose

ipotesi di stratificazione e nelle ipotesi di riciclaggio mediante impiego o nei casi in

cui l’impiego è funzionale a offuscare il paper trail in cui è in grado di svelare la reale

direzione offensiva della condotta capace di piegare gli elementi altrimenti

costitutivi del 648ter; inoltre essa favorisce la lettura costituzionalmente orientata

18

del 648bis ed evita di dilatare eccessivamente la fattispecie imponendo di colpire

solo condotte idonee a ostacolare le indagini, consente poi di anticipare l’intervento

penale inteso come intervento che prescinde dalla lesione al bene finale

attestandosi sul momento prodromico del bene strumentale, solo con

l’amministrazione della giustizia quale bene preminente della fattispecie il 648bis

può assecondare il corretto inquadramento esegetico che lo colloca fra i reati di

pericolo concreto, identificato come bene strumentale quindi oggetto sicuramente

di concreta lesione tale bene si differenzia da ordine economico e ordine pubblico

per cui non si potrà andare oltre la soglia del pericolo, per cui è in grado di

supportare la forma di manifestazione anticipata nel rispetto del principio di

offensività il perno su cui ruota un diritto penale dell’offesa.

3.Il soggetto attivo alla luce del beneficio di auto-riciclaggio

Soggetto attivo può essere chiunque è dunque un reato comune, cosa confermata

dall’aggravante per l’esercente di un’attività professionale che dunque è al di fuori

degli elementi costitutivi del reato, a complicare la soggettività è però la clausola di

esclusione di responsabilità per i concorrenti a qualsiasi titolo nel reato presupposto

che resiste fin dalla prima formulazione della norma attribuendole valenza residuale,

tale riserva riduce l’impatto applicativo infatti a dispetto dell’etichetta di reato

comune va esclusa dalla punibilità l’ipotesi di autoriciclaggio (che non è una

sottospecie), l’interpretazione che introduce il privilegio di autoriciclaggio è in linea

con la clausola di riserva nella ricettazione e col privilegio di autofavoreggiamento e

in linea con la giurisprudenza.

Tuttavia è fra le sentenze che nascono gli elementi che alimentano il dibattito sul

criterio discretivo utile a indicare quando si realizza il concorso nel reato

presupposto (da cui dipende la sopravvivenza di riciclaggio e ricettazione altrimenti

ridotti a post-facta non punibili), mentre la giurisprudenza fa uso del criterio

temporale per cui vi è concorso quando l’accordo sul lavaggio del denaro preceda la

consumazione del reato principale e invece c’è riciclaggio quando l’accordo è

successivo, la dottrina fa leva sull’efficacia causale dell’accordo per cui nonostante il

momento dell’intesa sia indiziante non è possibile rinvenire automaticamente il

concorso a ogni contributo precedente la commissione del reato ma è necessario

19

che questo abbia realmente influenzato o rafforzato negli autori la decisione di

delinquere e viceversa anche se vi è un accordo preventivo ma ininfluente sul

proposito delittuoso sussiste riciclaggio.

Sulla figura dell’autore del riciclaggio si costruisce la linea di confine tra prospettiva

criminologica e prospettiva giuridica, infatti il riciclatore criminologico è di 3 tipi:

- l’autore del reato base che opera il money laundering

- un soggetto terzo all’oscuro della provenienza illecita che lava il denaro

- il riciclatore professionale che opera come una “lavanderia”

viceversa il riciclatore penalistico si attaglia solo sull’ultima figura che è di difficile

afferrabilità a causa delle sue abilità operative e tecniche sofisticate (l’immunità da

riciclaggio però proteggerebbe anche il riciclatore professionista in caso passi la tesi

interpretativa per cui in caso di associazione per delinquere la fonte dell’illecito

provento è il 416 o 416bis e non i singoli reati scopo); in tale ottica vi sono proposte

per eliminare la clausola di riserva tuttavia trasferire il concorso da mero posterius

non punibile a ipotesi di riciclaggio non avrebbe altro effetto che congestionare la

fattispecie a farle perdere autonomia in quanto la maggior parte dei reati produce

utilità e quindi in tutti questi casi vi sarebbe anche riciclaggio, e non convincono le

dottrine riformiste che volendo eliminare l’autoriciclaggio ed evitare tali

inconvenienti propongono di escludere dall’ambito del reato il mero godimento o

utilizzo personale del bene (come il disegno di legge 733bis) in quanto utilizzano

forme indeterminate scarsamente probabili e quindi inutili, non si vedono dunque

all’orizzonte proposte coerenti con la costruzione normativa della fattispecie

preferibili a quella attuale, e inoltre va osservato che in questi casi la messa a frutto

della ricchezza illecita può essere evitata con gli strumenti tradizionali del sequestro

e della confisca del prodotto prezzo o profitto del reato; per cui una vera riforma più

che intervenire in campo repressivo deve agire sulle strategie preventive.

3.1.Problematiche connesse al riciclaggio nei reati associativi

Sulla definizione penalistica del riciclatore incidono in senso negativo le

manifestazioni necessariamente plurisoggettive del reato ponendo problemi di

configurabilità del concorso fra riciclaggio e reato associativo e sul concetto di

20

provenienza dell’oggetto materiale del reato, l’ammissibilità del concorso è

subordinata all’esclusione della provenienza del denaro dalle fattispecie associative.

Il beneficio di autoriciclaggio può portare a due conclusioni opposte:

- non punibilità dell’associato ogni volta che il denaro riciclato risulterà

provento della fattispecie associativa, quindi con esclusione del concorso

- mettendo in risalto il rapporto di provenienza dei beni va ritracciato il loro

legame con i reati scopo e non col reato di associazione per cui l’associato che

non vi abbia preso parte risponderà di riciclaggio in concorso col reato di

associazione

la seconda direzione consente di preservare un importante profilo del soggetto

attivo del reato che potrebbe venir compromesso dalla giurisprudenza che

considera chi ricicla il denaro di un’associazione non come semplice concorrente ma

come organizzatore, ciò combinato con l’espansione del reato associativo che

ammette la ipotesi di concorso eventuale dell’extraneus e allarga la responsabilità

dell’associato per concorso nei reati fine si avrebbe un assottigliamento della

punibilità per riciclaggio.

Il pericolo è scongiurato dalla considerazione dei reati scopo quale fonte del

provento e dell’inserimento fra questi anche del riciclaggio, delitto fine

dell’associazione del quale si potrà rispondere in concorso col reato associativo,

vanno quindi prese le distanze da chi considera l’associazione mafiosa in ogni caso

refrattaria di una responsabilità dell’associato in concorso con il riciclaggio, tale

orientamento contrappone alla fisionomia statica del 416 il carattere dinamico del

sodalizio ex 416bis teso al controllo delle attività economiche pur in sé lecite che

generano però profitti ingiusti e come tali suscettibili di formare oggetto di

riciclaggio, dunque grazie alla forza intimidatoria del sodalizio vi è idoneità alla

produzione di guadagni oggetto di riciclaggio, da qui è breve il passo a giungere alla

conclusione che il riciclaggio dell’associato in relazione a proventi prodotti

direttamente dall’associazione non acquista autonoma rilevanza in base

all’autoriciclaggio per cui tale associato sarà punibile solo per 416bis, tale

conclusione sembra però perdere di vista il legame di derivazione dei beni traslando

il requisito del metodo mafioso da strumento prodromico alla realizzazione delle

21

finalità dell’associazione cui non necessariamente sia concorso l’associato in fonte

autonoma di proventi illeciti.

Proprio il riferimento all’origine del denaro costituisce l’alveo in cui vincolare la

corretta accezione del metodo mafioso, ne conseguono 3 ipotesi di concorso di

riciclaggio e 416bis o di solo riciclaggio:

- riciclatore estraneo all’associazione mafiosa

- riciclatore compartecipe all’associazione mafiosa ma estraneo ai reati

presupposto del riciclaggio

- riciclatore concorrente eventuale nell’associazione mafiosa per i soli fatti di

riciclaggio

invece unico caso di applicazione esclusiva del 416bis è quello in cui il riciclatore è

compartecipe dell’associazione e autore del reato presupposto, quindi opera

l’autoriciclaggio.

Questa è la soluzione preferibile pure se genera difficoltà maggiori di accertamento

della riconducibilità dei diversi reati scopo ai relativi autori in associazioni così

complesse, tuttavia va osservato che tale problema va risolto già in sede di

responsabilizzazione dell’associato per lo specifico reato scopo onde evitare forme

di responsabilità oggettiva.

3.2.Il caso tranchant dell’aggravante di riciclaggio ex 416bis6 cp

Il 416bis6 cp prevede un’aggravante ove l’associazione mafiosa finanzi le attività

economiche con proventi illeciti, vi è dunque esclusione di riciclaggio per l’associato

che usi i proventi illeciti per il controllo di attività economiche lecite o illecite,

l’aggravante prevede solo proventi illeciti (escludendo i proventi dal controllo

mafioso di attività lecite) ma non richiede che il delitto a monte sia necessariamente

posto dall’associazione che potranno provenire da terzi, per cui si parla di

aggravante di riciclaggio; la ratio è contrastare la penetrazione nell’economia legale

e l’offuscamento del paper trail, fra riciclaggio e aggravante di riciclaggio vi è un

rapporto di specialità in favore della seconda (e infatti vi è una pena maggiore), ciò

vale anche per le condotte che integrano il delitto di reimpiego ex 648ter.

22

La disposizione in esame ha importanti riflessi sistematici infatti non vi è dubbio che

la provenienza del provento illecito è dai delitti dell’attività o da fatti criminosi posti

da terzi, si esclude un concetto di associazione in grado ex se di produrre profitto;

altra riflesso è sulla questione della concorrenza 616bis e 648bis infatti se

l’associazione reimpiega proventi di terzi risponde del 648ter l’associato che ha

svolto il reimpiego ma l’aggravante in esame è a carico di tutti gli associati.

Alcune premesse non sono scardinabili:

- il riciclaggio e il reimpiego in attività anche formalmente lecito è normale per i

gruppi mafiosi

- tale fatto rileva come elemento accessorio della condotta base aggravandone

sensibilmente il trattamento sanzionatorio nonostante la previsione del

beneficio di autoriciclaggio

vi è dunque un atteggiamento favorevole a un’accezione dell’origine dei proventi

illecita vincolata non all’associazione ma ai delitti scopo, tale visione legittima la

rilevanza del riciclaggio come elemento circostanziale piuttosto che come fattispecie

autonoma in grado di concorrere con quella associatva.

4.La condotta commissiva e l’esecuzione “in modo da ostacolare

l’identificazione della provenienza delittuosa, quale nota modale del

valore tipizzante

Il 648bis iscrive nel riciclaggio le condotte di chi agisce in modo da ostacolare

l’identificazione tramite 3 tipologie di azioni ricondotte in 2 macroaree:

- “sostituzione” e “trasferimento”: criterio individualistico descrittivo

- “altre operazioni”: criterio generico residuale

vi è una formulazione ampia di alternative Mischegesetz su cui sorgono dubbi della

conformità ai canoni di legalità, ma proprio tale deficit di determinatezza impone

l’analisi preliminare dell’inciso “in modo da ostacolare” se infatti le si legge da tale

angolazione le ipotesi di condotta sono unificate evidenziando l’autentico nucleo di

disvalore del riciclaggio per cui queste saranno conformi al 648bis solo se in

concreto idonee a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa.

23

Primo punto fermo è che la corretta interpretazione della locuzione deve ricondurne

la riferibilità a tutte le categorie di condotta, si afferma ciò in ragione di:

- collocazione sintattica: l’espressione è in una parentetica a ridosso delle

condotte

- confronto sistematico: alla luce del bene giuridico non è riciclatore chi pone

una sostituzione di denaro segnalando all’autorità

- paradosso dell’interpretazione opposta: per cui sarebbero punibili per

riciclaggio anche condotte inidonee a ostacolare le indagini

- giurisprudenza: che vede come denominatore comune delle condotte di

riciclaggio la tensione a rendere difficile l’accertamento della provenienza,

cosa introdotta con la riforma del 1993

Secondo punto fermo è che l’espressione in esame non introduce un’ulteriore

condotta di riciclaggio ma indica il modus di ciascuna condotta tipizzata con una

formula che avvalora la natura di pericolo concreto del reato, l’attitudine ostative

non è una superficiale modalità esecutiva ma un tratto essenziale e profondo di

ciascuna condotta, in tale prospettiva la formulazione della norma riesce a

individuare il nucleo di disvalore del reato e lo rende autonomo da ricettazione e

favoreggiamento; l’ostacolo alla individuazione della provenienza pure se non vi

sono delle soglie di rilevanza assume la funzione selettiva necessaria per contenere

l’espansione del reato evitando lo scivolamento in esso delle ordinary commercial

transactions, diversamente infatti vi sarebbe una trasformazione della sostanza del

reato da money laundering a money spending.

A garanzia dell’effettiva rideterminazione della norma vi è la scelta linguistica “in

modo da” che si distingue da quella dei delitti di attentato “atti diretti a” che rende

l’ostacolo alle indagini parametro di valutazione della lesività della condotta e

strumento di accertamento dell’oggetto del dolo ed elemento differenziante

rispetto fattispecie limitrofe; sono dunque sussunte nel 648bis le condotte che si

materializzano come ostacolo all’investigazione piuttosto che come generico

ostacolo alle indagini cui viceversa il legislatore fa riferimento nelle ipotesi di false

informazioni al PM (371bis cp), non costituiscono invece reato i comportamenti che

pur coinvolgendo operazioni su proventi illeciti sono inidonei a tale attitudine

ostativa (ed eventualmente saranno ricettazione, favoreggiamento, incauto

acquisto).

24

Non convince allora la tesi che riconduce alla locuzione “in modo da ostacolare” la

risultante delle singole condotte, si ritornerebbe infatti alla riforma del 1990

cestinando l’arretramento della soglia di punibilità introdotto nel 1993, in

quest’ottica l’interprete dovrà verificare un ostacolo (fase del perfezionamento) e

non un impedimento (consumazione del reato) all’identificazione, facendo

sussistere il tentativo di riciclaggio come qualunque atto idoneo diretto in modo non

equivoco a realizzare un ostacolo all’identificazione, secondo tale orientamento la

costruzione del riciclaggio come a forma libera o causalmente orientato comporta

l’irrilevanza delle modalità descrittive della condotta facendo divenire elemento

centrale l’evento che deve essere realizzato dal soggetto, quindi la modalità ostativa

viene fatta fuoriuscire dall’azione e trasferita nell’evento naturalistico di danno, vi è

dunque una sterilizzazione della condotta con conseguenze negativa sulla

determinatezza e tassatività con uno sbilanciamento verso l’elemento soggettivo

che assume il compito di individuare la fattispecie, privato così dall’argine

garantistico di liceità si rischiano applicazioni disinvolte della norma facendo ad es

rientrare in riciclaggio quello che è il “taroccamento dei veicoli” (cambiare targa o

numero di telaio), la giurisprudenza considera automaticamente queste ultime

fattispecie come operazioni che ostacolano l’identificazione della provenienza

delittuosa e quindi applica il 648bis, tuttavia non si può considera fuori traccia tale

applicazione di una norma nata per ostacolare la grande criminalità organizzata, la

chiave selettiva non va ricercata nel principio di specialità per cui tale fattispecie

rientrerebbe nel 10012

Codice della Strada, e tanto meno si potrebbe restringere la

norma inserendovi solo beni pari al denaro col requisito della sostanziale liquidità.

L’interprete deve concentrarsi sulla idoneità decettiva delle condotte per cui anche

il taroccamento può rientrare nel 648bis se idoneo a ostacolare l’identificazione

della provenienza, così il pericolo concreto consente di ridurre lo spettro applicativo

e ricavare dalla condotta il significato offensivo, così i confini della norma non sono

affidati all’incertezza dell’elemento psicologico; allo stesso modo non è riciclaggio la

parcella del professionista pagata dall’autore di un reato doloso in quanto

l’accettazione trasparente di un pagamento non interrompe il paper trail e non ha

attitudine dissimulatoria inoltre non consente un guadagno al criminale ma anzi al

contrario è un costo.

25

4.1.L’ipotesi di “sostituzione”

La sostituzione è presente fin dalla formulazione originaria e rappresenta il

riciclaggio più elementare che si ottiene sostituendo un bene sporco con uno pulito

rendendo difficile il rintracciamento della originaria provenienza illecita, nella prassi

sono tali molte condotte che implicano scambio o trasformazione, invece condotte

sostitutive in senso stretto sono solo quelle del riciclatore senza collaborazione (es

alterazione di scritture contabili) in cui vi è una trasformazione autonoma del

riciclatore di beni fungibili di cui è stravolta la natura anche senza alterarne la

denominazione o genere, su questa scia vi è la giurisprudenza che individua

riciclaggio quando l’autore del reato presupposto versa i proventi a una società di

cui è socio di maggioranza per cui quando tale spostamento della titolarità del bene

avviene con la complicità di terzi estranei al reato base vi è riciclaggio in capo a

questi.

Diverse sono le ipotesi di sostituzione mediante scambio per cui spesso il riciclatore

si avvale di terzi, queste interessano la maggioranza delle sostituzioni di beni

infungibili in cui si interviene sulla titolarità del bene con un’attività molto legata

all’atto di trasferimento (infatti fuori dai casi di sostituzione strictu sensu è raro che

questa non si manifesti con il trasferimento), sebbene il trasferimento abbia

autonoma rilevanza e le altre operazioni fanno rientrare fattispecie residuali

l’identificazione delle condotte come sostitutive o di trasferimento è fondamentale

per il principio di legalità e per l’individuazione di ipotesi di stratificazione o di

riciclaggio indiretto e per fornire indizi concreti sulla sussistenza o meno di ipotesi di

riciclaggio.

Si evince la scarsa compatibilità tra riciclaggio e condotte sostitutive prive di

trasferimento o trasferimenti non sostitutivi, dunque le condotte tipizzate possono

risolvere dubbi sui confini applicativi della norma fornendo caratteri peculiari del

fenomeno del riciclaggio e non solo delle condotte indicate; nonostante il riciclaggio

mediante sostituzione sia molto variegato vi è un nucleo comune nel porre al posto

di beni illeciti beni leciti, e infatti la Cassazione considera riciclaggio il deposito di

denaro sporco in banca e il successivo ritiro.

4.2.Il trasferimento

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Il trasferimento è identificato con lo spostare il provento delittuoso nell’identica

composizione qualitativa nel patrimonio altrui con strumenti ripulitivi giuridici, il

trasferimento è considerabile una specificazione della sostituzione, è stato

introdotto nel 1993 con la ragione di non lasciare lacune ma risolve molte questioni

interpretative; trasferimenti senza sostituzione ma in grado di ostacolare

l’identificazione erano già puniti prima della riforma e poi se così non fosse si

dovrebbe ritenere penalmente rilevante la condotta di trasferimento tout court

compromettendo l’intero schema della norma.

Dal trasferimento va esclusa la sovrapposizione con il verbo acquistare che è

contenuto nella ricettazione, la dottrina prevalente adotta un’accezione in senso

giuridico di trasferimento come traslazione interpersonale della proprietà o

possesso anche per richiami normativi comunitari e interni (l 197/1991), sorgono

però due ordini di dubbi su tale teoria:

- dall’interpretazione criminologica del fenomeno: i sostenitori del

trasferimento fisico rilevano che il riciclaggio spesso si avvalga di tecniche

fondate sul trasporto materiale dei beni da allontanare dal luogo della

produzione illecita facendo discendere l’esigenza di ricomprendere nel reato

anche la semplice traslazione spaziale, alla stessa conclusione giunge quella

dottrina che isola il trasferimento dalle ipotesi miste a sostituzione, e si

segnalano le movimentazioni di denaro tramite sistemi elettronici di

pagamento o banche clandestine in cui tuttavia la trasformazione del denaro

in moneta scritturale configura ipotesi di sostituzione, l’obiezione

criminologica insomma non fa breccia nella teoria e anche il riferimento allo

spallonaggio è infruttuoso in quanto tale sistema è quasi sempre funzionale al

trasferimento interpersonale

- dall’analisi terminologica normativa: condotta sulla disciplina della

prevenzione per dedurne la rilevanza materiale del trasferimento non ne

scalfisce la consistenza esclusivamente giuridica di esso, infatti occorre

cautela nel trasferire automaticamente in ambito penale conclusioni

raggiunte in altri settori soprattutto dove spunti per una ricostruzione

organica sono già ricavabili sul piano penalistico

Va dunque confermata l’accezione giuridica del trasferimento mentre le operazioni

di spostamento fisico rientrano nelle “altre operazioni”.

27

4.3.Le “altre operazioni”: una condotta assorbente?

L’introduzione delle “altre operazioni” ha dilatato la fattispecie di riciclaggio, per

alcuni è una seconda forma di condotta punibili mentre per altri è una terza

tipologia di riciclaggio, a tale formula non si possono estendere le critiche di

indeterminatezza per 2 motivi:

- la presenza dell’inciso “in modo da ostacolare” esplica i suoi effetti anche sulle

altre operazioni tratteggiandone la necessaria idoneità lesiva

- l’aggettivo “altre” contribuisce a delimitare la condotta in quanto riconduce

alla condotte innominate le caratteristiche di quelle espressamente

contemplate

e infatti la reale funzione delle condotte nominate è proprio di fissare i carattere

delle “altre operazioni” evitando che semplicemente siano assorbite in esse.

Dunque anche l’ultima condotta di riciclaggio cessa di essere a forma libera e rientra

se non fra i reati a forma vincolata in un categoria di vincolatività parziale o a forma

quasi libera, al contempo si risolvono i problemi di precisione del reato

preservandone la grande estensione e la flessibilità in modo da adattarsi ai

mutamenti delle tecniche di riciclaggio.

In dottrina vi è poi la posizione che distingue tra altre operazioni con oggetto diretti i

proventi del delitto base e altre operazioni per cui tali beni sono oggetto indiretto

cioè sono compiute “in relazione a questi” ma incidono materialmente su un diverso

oggetto, la locuzione in relazione a pare voler ricondurre nel riciclaggio anche

operazioni suscettibili di produrre ostacolo all’identificazione della provenienza di un

bene ma esercitate su un bene diverso, ciò è però una tendenza pericolosa perché

rischia di dilatare eccessivamente la fattispecie a scapito della tipicità.

5.Il riciclaggio per omissione

L’analisi della versione negativa come potenziale forma di riciclaggio è il luogo in cui

si concentrano i problemi di materialità e offensività immanenti all’omissione, è alla

luce del principio di legalità che va vagliata la possibilità di riciclaggio per omissione

28

in grado di assicurare una rigida delimitazione dell’illecito penale, in base alla

distinzione fra reati omissivi in propri e impropri primo test di compatibilità va

effettuato tra riciclaggio e reati di pura omissione dove a rilevare sono le specifiche

omissioni in quanto tali, i reati omissivi propri sono reati di mera condotta costituiti

da:

- situazione tipica che attiva l’obbligo di agire

- condotta omissiva

- termine entro cui l’obbligo va adempiuto

configurato il riciclaggio come reato di mera condotta si incontrano difficoltà sul

ricostruire la situazione tipica in cui sorge l’obbligo di attivarsi e ciò porta autorevole

dottrina a negare il riciclaggio mediante omissione in quanto il legislatore ha

descritto condotte destinate ad esprimersi in forma commissiva.

Certamente sostituire e trasferire postulano un’azione positiva, riguardo invece le

altre operazioni analizzate su un piano astratto sembrano contenere anche modalità

di concretizzazione omissiva, tuttavia da un lato vi è la possibilità che tale carattere

sia assorbito dalla fattispecie generica di riciclaggio che però nel suo concreto

manifestarsi è difficilmente ipotizzabile in forma omissiva, se infatti si fa riferimento

all’omessa fatturazione tale condotta non è di per se sufficiente a integrare il

riciclaggio ma dovrà necessariamente accompagnarsi ad altre condotte che sono di

tipo commissivo, per cui rappresenta solo una parte della fattispecie di riciclaggio.

Inoltre si osserva che le teorie a favore della connotazione omissiva si sbilanciano

verso il settore preventivo, è indebito infatti traslare gli obblighi di collaborazione

attiva (già previsti e puniti anche a titolo omissivo) dalla prevenzione alla

repressione; e comunque la norma che configura il reato omissivo rivolge ai suoi

destinatari un comando di agire agganciato a situazioni tipiche ben indicate cosa che

nel 648bis non è fatta; insomma oltre alla non eseguibilità in forma omissiva delle

condotte di riciclaggio vi è il disallineamento strutturale del reato dalle ipotesi

omissive proprie tra le quali non può essere ricompreso.

A questo punto occorre valutare la convertibilità del 648bis in illecito omissivo

improprio, qui è da rilevare che la vincolatività della fattispecie benché parziale è

sufficiente a disattivare la clausola di conversione ex 401 cp rendendo impossibile la

realizzazione commissiva mediante omissione; analoga conclusione si ha adottando

29

il tradizionale discrimine tra reati omissivi propri e impropri della necessità della

presenza o meno di un evento come requisito strutturale del fatto reato, infatti il

riciclaggio dovrebbe consistere nella violazione dell’obbligo di impedire il verificarsi

dell’evento tipizzato dalla fattispecie commissiva base, evento in realtà

naturalisticamente inesistente soprattutto dopo la rielaborazione in un reato

formulato come di mera condotta vincolata al pericolo concreto.

Dunque non è possibile il riciclaggio commissivo mediante omissione.

6.L’evento giuridico tra pericolo concreto e pericolo astratto

Muovendo all’identificazione della tipologia di pericolo nel reato occorre partire

dalla locuzione “in modo da..” e dal bene giuridico, la prima va depurata da ogni

interpretazione tendente a vederla come specificazione del dolo anche perché di

norma la formula utilizzata per ciò è “al fine di..”, poi rifiutare di interpretare la

norma in modo da considerare presunto o in re ipsa il pericolo in presenza di

“sostituzione o trasferimento” consentono di anticipare in modo ponderato

l’intervento penale, la norma così si evolve orientandosi a sanzionare le condotte di

offuscamento della traccia di carta; tale sviluppo è reso possibile dal bene giuridico

dell’amministrazione della giustizia in funzione centrale, un bene dalla valenza

strumentale che insieme al requisito dell’ostacolo all’identificazione scongiura la

repressione di condotte inoffensive e consente la qualificazione lesiva del reato in

tutte le sue manifestazioni; in tale prospettiva l’idoneità a ostacolare può essere

apprezzata nella sua corretta funzione di caratterizzazione dell’elemento materiale

del reato conferendogli i tratti del pericolo concreto.

7.L’accertamento del pericolo

Identificare il riciclaggio come reato di pericolo concreto ha riflessi anche sulle

modalità di accertamento del pericolo, in questi reati il pericolo è elemento tipico

espresso contemplato nel testo della norma delineando un elemento costitutivo

della fattispecie che il giudice dovrà sottoporre ad accertamento casistico secondo il

metodo della prognosi postuma (o ex ante) in concreto, il giudice allora nel

verificare la conformità del fatto al tipo dovrà idealmente collocarsi nel momento

30

dell’azione e formulare la prognosi su base totale prendendo in considerazione il

massimo delle conoscenze disponibili al momento del giudizio comprese eventuali

conoscenze ulteriori dell’agente (la giurisprudenza invece pone solo le circostanze

conosciute o conoscibili al momento dell’azione); è una verifica puntuale in base alla

quale dovranno considerarsi integrative del reato le operazioni volte a impedire o

anche solo a rendere difficile l’accertamento della provenienza attraverso qualsiasi

espediente che consista nell’aggirare la normale esecuzione dell’attività posta in

essere, invece è esclusa la punibilità delle condotte non in grado di ostacolare

questo tipo di indagini, è dunque un requisito comune a tutte le condotte punite

inconciliabile con le modalità di accertamento presuntive; sebbene il pericolo sia

stato sussunto nella condotta che direttamente lo cagiona dispensando dalla verifica

della incidenza causale dell’azione sull’evento di pericolo non si è mai affermato di

poter prescindere dal relativo accertamento quale attitudine speciale della condotta

da apprezzare in concreto, un elemento essenziale di questa la cui concreta verifica

è onere della prova dell’accusa con un positivo effetto sulla tipicità normativa.

8.L’oggetto materiale del riciclaggio

L’espressione “denaro beni o altre utilità” ha dato un grande contributo alla

determinazione e specificazione del fatto tipico, questa è stata introdotta nel 1990

sostituendo l’originaria “denaro o valori” che aveva presentato molti dubbi

interpretativi comprimendo l’efficacia della norma, in tal modo invece ci si è voluti

riferire a ogni tipo di bene con una omnicomprensività del reato che attiene a ogni

entità patrimoniale attuale e non solamente ipotizzabile o sperata, un oggetto

materiale esteso fino a comprendere beni immateriali; ciò ha avuto però degli effetti

collaterali in quanto si è forse peccato per eccesso e si pone il rischio di interferenza

con altri reati in particolare la ricettazione, e vi sono rischi di elusione

dell’obbligatorietà dell’azione penale connessi all’espansione della discrezionalità

selettiva del magistrato, vi è dunque per dottrina e giurisprudenza da eseguire un

actio finium regundorum; in tale prospettiva una demarcazione dei confini del reato

può ricavarsi dalla delimitazione dell’oggetto materiale e dalla corretta

considerazione della sua origine o provenienza (il disvalore del reato è proprio in

essa e non nel particolare tipo di oggetto).

31

8.1.I confini dell’espressione “denaro, beni o altre utilità”

Le difficoltà interpretative sollevate dall’oggetto materiale trovano conferma nel

coinvolgimento della Cassazione che nel 1997 ha ricompreso in esso anche il

taroccamento di veicolo, un’interpretazione che dilata la fattispecie fino a

ricomprendervi condotte punibili per ricettazione e smarrisce gli obiettivi di tutela

della norma che si rivolge a combattere l’alterazione sistematica e a catena di certi

beni che per i loro valore e la diffusione sul mercato sono suscettibili di cagionare

ingenti danni patrimoniali; tali dibattiti interessano la rilevanza economica

dell’oggetto prima che dal punto di vista quantitativo da quello qualitativo:

- solo i beni suscettibili di valutazione economica alla stregua del denaro che

funge da nota qualificante di “beni e altre utilità”

- qualunque cosa che possa formare oggetto di diritti a norma del 810 cc

la seconda posizione è alla base della corrente che identifica ricettazione e

riciclaggio, il termine “bene” rapportato al corrispondente nella ricettazione “cosa”

risulterebbe più esteso in quanto comprensivo oltre che delle cose anche dei beni

immateriali che in esso rifluiscono anche per l’introduzione dell’espressione

integrativa “altre utilità”, in tal modo però sfumano i confini dell’oggetto materiale e

quindi delle condotte ulteriormente sfumate in tipicità da quanti ne sostengono la

natura bifronte:

- quella espressamente definita

- quella atipica richiamata dalle condotte esercitate su oggetti materiali diversi

dai proventi stessi e idonee a ripercuotersi su di essi riguardo la produzione

dell’ostacolo all’identificazione della provenienza

tale posizione si basa su un’interpretazione allargata del collegamento sintattico che

unisce le “altre operazioni” all’oggetto giuridico, in tale prospettiva la locuzione “in

relazione a” comporta dinamiche comportamentali trilaterali consentendo di

attrarre nel riciclaggio anche condotte eseguite su oggetti diversi da “denaro beni o

altre utilità provenienti da delitto non colposo” fino a includervi qualunque oggetto

anche di natura lecita o provenienza diversa da delitto doloso in grado di riflettersi

32

sul bene tipizzato; tutta questa interpretazione apre falle nella determinatezza della

fattispecie che la modalità ostativa è insufficiente a colmare.

Tali problematiche devono ricondurre l’oggetto del riciclaggio a un’interpretazione

più aderente alla ratio legis e meglio conformata alla struttura normativa in cui

“beni” o “altre utilità” rigorosamente “provenienti da delitto non colposo” possono

essere identificati in modo da ricomprendervi entità differenziate purché

riconducibili all’ampio insieme qualificato dall’essenza economico-finanziara, nella

nozione di “beni o altre utilità” devono farsi rientrare oltre ai beni di rilievo

economico anche gli strumenti finanziari, i beni immateriali (es avviamento

aziendale), i preziosi e ogni altra utilità comparabile al denaro e ad esso omogenea;

l’analisi della norme pone infatti in risalto la relazione tra “denaro” e “beni o altre

utilità” che dal primo sono arricchiti in termini di qualificazione pratica con un

grosso contributo in termini di determinatezza.

8.2.La locuzione “provenienti da delitto”

Il concetto di provenienza delittuosa considerato da una dottrina il cardine per

un’interpretazione non troppo generica del riciclaggio nonostante sia compreso sin

dalla prima formulazione nella norma è ancora oggetto di dibattiti, ciò accentuato

dall’eliminazione del catalogo dei reati fonte che ha reso più complesso il

presupposto positivo del riciclaggio e vanificato la giurisprudenza precedente in

quanto si è passati dalla necessità di estendere l’applicazione della norma al

problema inverso, fondamentale è non confondere la provenienza da reato con

l’identificazione del reato presupposto si pongono problemi interpretativi:

- l’inclusione del prezzo del reato nel concetto di derivazione da delitto insieme

al prodotto e al profitto

- la forma di manifestazione minima richiesta ai fini della rilevanza del reato a

monte

- la tipologia di delitti suscettibili di generare proventi

- la rilevanza del riciclaggio stesso quale fonte di proventi illeciti riciclabili

Per la risoluzione dei primi due problemi un aiuto proviene dall’analisi della

giurisprudenza in tema di confisca per la quale per prezzo del reato può intendersi il

33

compenso dato o promesso per indurre istigare o determinare un soggetto a

commettere il reato, è cioè qualcosa che si distingue sia dalla pertinenza del reato

che dalle nozioni di prodotto o profitto, sotto il primo aspetto infatti è evidente la

distinzione col prezzo essendo la pertinenza inclusiva del corpus delicti e dei

producta sceleris e delle cose che servono ad accertare la consumazione dell’illecito

del suo autore e delle circostanze che legano tali elementi all’accertamento

dell’illecito, è inammissibile confondere il concetto di provenienza da reato con

quello di pertinenza del reato (previsto dal sequestro) per cui risulta l’oggetto del

riciclaggio diverso dall’oggetto del sequestro, ma neanche può considerarsi il prezzo

semplicemente assorbito nei concetti di prodotto o profitto, i beni confiscabili sono

ciò che direttamente e immediatamente risulta dall’esecuzione del reato ovvero le

cose che furono create o trasformate o acquisite mediante il reato o ne sono

naturale conseguenza, il profitto è ciò che pur non essendo direttamente un

risultato deriva come conseguenza economica immediata direttamente correlata col

reato e da esso economicamente risultante come primo provento dallo scambio del

prodotto del reato, insomma sono due species di uno stesso genus (il provento)

distinte dal prezzo che pur richiamato insieme ad esse nell’accezione di corpo del

reato ex 253 cpp se ne discosta nella prospettiva repressiva del riciclaggio; in tale

contesto non è però sufficiente il legame labile con il reato insito nella funzione

cautelare in quanto siamo nell’aspetto punitivo ove servono requisiti stringenti

valorizzati dal legislatore con la scelta del termine “provenienti”.

Alla luce di ciò può considerarsi il concetto di prezzo come compenso dato, in

quanto escluderlo dall’oggetto materiale del riciclaggio e ricettazione è fonte di

grosse difficoltà, in tale accezione poi il prezzo è allineato al provento e distinto dallo

strumento o mezzo del reato presupposto che non può invece figurare tra i beni

oggetto del riciclaggio, può allora affermarsi che rileva per il riciclaggio e la

ricettazione qualsiasi provento che scaturisca dai reati presupposto sia come

prodotto o profitto o prezzo esclusi gli strumenti impiegati per la loro realizzazione,

tale prospettiva risolve a monte la questione dell’ammissibilità della forma tentata

del reato base e di scongiurare paradossali conseguenze, sotto il primo profilo i

delitti non colposi possono produrre proventi in forma diversa anche a prescindere

dal loro perfezionamento quindi è un accrescimento patrimoniale può essere

generato dalla forma tentata non è dunque la tipologia di manifestazione

consumata o tentata del reato base ma l’incremento economico a essere il prius del

34

riciclaggio, sotto il secondo profilo è evidente la contraddizione nel considerare

escluso da riciclaggio e ricettazione il denaro per indurre a commettere un

sequestro di persona e invece incluso il denaro consegnato come riscatto, benché

tale dottrina si riferisce solo al compenso dato residuava ancora una distinzione tra

prezzo e provento in senso stretto che è destinata a sfumare ove si pensi alle nozioni

di prodotto e profitto esaltandone la comune natura di guadagno criminoso ovvero

di ricavi da reato al lordo delle spese sostenute per conseguirlo (rapporto del GAFI

del 1990).

Allineandosi all’ampia nozione comunitaria di provento il riciclaggio dilata la sua

applicazione e l’interprete deve sfruttare tutta la capacità selettiva dell’oggetto

materiale per circoscrivere il reato, ne consegue una visione del presupposto

positivo del riciclaggio che selezioni tra i delitti non colposi quelli in grado di

generare denaro beni o altre utilità come prodotto profitto o prezzo del reato; sotto

il primo aspetto è sanzionato infatti anche il riciclaggio indiretto (o a catena) cioè

operazioni che incidano su beni oggetto di precedente riciclaggio d’altronde la

preferenza all’accezione giuridica e non naturalistica del provento illecito rende non

indispensabile il rapporto diretto con il bene o l’utilità prodotta dal delitto doloso ai

fini della configurabilità del riciclaggio; riguardo invece il reato presupposto la

clausola di selezione nella norma limita l’applicazione solo ai delitti non colposi (cosa

per alcuni troppo selettiva perché esclude ipotesi significative come le

contravvenzioni del gioco d’azzardo e la lottizzazione abusiva) sarà dunque

necessaria una verifica incidentale del reato presupposto in tutti i suoi aspetti

essenziali, cioè non ci si può limitare a supporre l’esistenza generica di un delitto

presupposto sulla sola base del carattere sospetto delle operazioni ma pur non

necessario che questo sia accertato giudizialmente è necessario che risulti dagli

elementi di fatto.

8.3.La forzata convergenza dell’illegittimo non-impoverimento nel

concetto di “provenienza illecita”

Dal paragrafo precedente derivano due ordini di conseguenze:

- impossibilità di classificazioni ex ante in grado di distinguere reati fonte di

ricchezza illecita da quelli che non lo sono

35

- indefettibilità di una valutazione casistica delle fattispecie di reato

presupposto

sono profili utili per i dubbi sull’inclusione tra i reati presupposto della frode fiscale e

dei delitti tributari in genere, non vi è un problema di qualificazione del provento ma

di interpretazione del concetto della provenienza su cui si divide la dottrina:

- natura dinamica � ne esalta i connotati intrinseci nel complemento di moto

da luogo

- natura statica � pone in rilievo il nesso di provenienza in senso economico

nel senso di derivazione causale dal delitto in cui l’arricchimento o il mancato

depauperamento trova collocazione

in altri termini la provenienza postulerebbe:

- un flusso di ricchezza illecita proveniente dall’esterno e incamerata dal

riciclatore che vi opera (nel primo caso)

- la conservazione illecita di un quantum già interiorizzato nella sfera

patrimoniale del reo attraverso attività legittime (nel secondo caso)

le due tesi portano a conclusioni diverse sull’inclusione o meno tra i reati

presupposto delle ipotesi di reato che producono vantaggi economici sotto forma di

risparmio o mancato depauperamento o illegittimo non-impoverimento, la prima

tesi le esclude la seconda le include.

La soluzione del problema deve partire dalla corretta interpretazione della

“provenienza”, punto di convergenza è il riconoscimento ad essa della funzione

connettiva tra oggetto materiale del riciclaggio e reato presupposto, sulla base di

tale funzione una dottrina ha affermato che è la nozione di provenienza che deve

adattarsi alle caratteristiche dei reati presupposto e non il contrario e sulla base di

ciò si includono le frodi fiscali in quanto l’ampiezza del presupposto positivo del

riciclaggio (la provenienza) non legittimerebbe l’esclusione di categorie delittuose in

assenza di argomentazioni giuridiche adeguate e per di più in presenza di

provvedimenti interni e internazionali che fanno esplicito riferimento alla tax

matters come inclusa nei reati presupposto, infine da un punto di vista

fenomenologico la violazione di norme tributarie può essere usata al fine di riciclare

proventi illeciti o generare vantaggi contabili o fiscali.

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Diverso orientamento ritiene però che l’impossibilità di considerare i reati tributari

presupposto del riciclaggio è proprio nel fatto che la violazione delle norme

tributarie può essere usata per riciclare proventi illeciti, infatti se prima si occultano

le somme e poi si evade il fisco è il delitto tributario ad aver determinato i profitti

illeciti presupposto dell’evasione evidenziando un’inversione del rapporto di

presupposizione che dimostra come siano fatti illeciti estranei al 648bis.

Tra le due tesi vi sono comunque zone di convergenza, l’orientamento rigorista

esclude dai resti presupposto quelli tributari in quanto afferiscono a risorse che non

derivano da illecito ma da legittime attività che sono in maniera illecita sottratte

all’imposizione fiscale, non vi è dunque un lucro ma una mancato depauperamento

che si confonde con l’intero patrimonio del reo dal quale non potrebbe essere

distinto per specificazione rendendo impossibile l’identificazione nel suo

ammontare, certo le difficoltà probatorie non sono un dato decisivo ma confermano

la necessità di discernimento del vantaggio economico che proviene dal delitto

presupposto; con il DLgs 74/2000 la casistica dei reati tributari si è tuttavia allargata

comprendendo fattispecie come la vendita di fatture false per cui anche gli

orientamenti più restrittivi ammettono che siano fonti illecite di arricchimento

chiaramente identificabile; da questo punto di vista si può meglio apprezzare

l’orientamento che dà risalto ai rilievi pragmatici del reato qualificando la

provenienza come entrata profittevole nella disponibilità dell’autore di un vantaggio

economico generato ex novo, in tal modo si dà una lettura alternativa della

Convenzione di Strasburgo limitando le fattispecie di reato base a quelle in grado di

creare ricchezza secondo un concetto ben lontano dall’indebito non-impoverimento

dell’evasione fiscale, è un orientamento apprezzabile che frena alla dilatazione della

fattispecie intervenendo in funzione selettiva già a monte trascurando quelle ipotesi

per cui si ha riconoscimento automatico del beneficio di autoriciclaggio ai casi di

riciclaggio da evasione in cui spesso autore del reato e riciclatore coincidono.

Una potenziale soluzione è allora intermedia: i reati tributari vanno valutati

casisticamente e considerati fonte di riciclaggio ogni volta siano alla base di un

arricchimento effettivo ovvero di un’utilità identificabile in concreto.

8.4.Il riciclaggio indiretto: riflessi di carattere criminologico

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Il riciclaggio indiretto (o a catena) si riferisce a condotte di ripulitura con oggetto

denaro beni o altre utilità già sottoposte a lavaggio, tale forma di money laundering

è la costante delle attuali modalità di riciclaggio che proprio in ragione della

complessità hanno capacità di offuscare il paper trail che passa attraverso

diversificate fasi di collocamento stratificazione e integrazione, da un punto di vista

fenomenologico dunque non vi è problema ad ammettere riciclaggio di ulteriore

grado, problemi invece sono per quello giuridico nonostante dottrina e

giurisprudenza dominanti accettino tale conclusione, si pongono però problemi sul

“perché” e sul “fin dove” punire il riciclaggio indiretto.

Sul primo problema vi è convergenza di opinioni in quanto avalla il riciclaggio

indiretto non solo chi inserisce tra i reati presupposto il riciclaggio stesso ma anche

la dottrina restringe il provento da riciclaggio al solo prezzo incassato dal riciclatore

per l’operazione compiuta, in altre parole l’applicazione del riciclaggio spesso non si

consuma con la prima operazione conservando la sua valenza lesiva e quindi la ratio

applicativa della norma; sono osservazioni consolidate dalla prassi che isola la tesi

fondata sulla impossibilità di occultare la provenienza di beni già oggetto di

dissimulazioni.

Sul secondo problema occorre individuare un criterio idoneo a limitare i livelli di

estensione della fattispecie, sono stati individuati diversi punti di riferimento

dall’interposizione del terzo in buona fede che interrompe la catena (origine

te3desca) al dolo da riciclaggio per cui i reati sono configurati finché l’agente sappia

che essi provengono da reato.

Ora occorre considerare le implicazioni sulla punibilità del riciclaggio indiretto, ove

considerata novazione del presupposto la forma di riciclaggio mediata diventerà

fonte delle disponibilità oggetto del riciclaggio sostituendosi al presupposto

originario, le conseguenze si rifletto nell’impedimento della configurazione di ipotesi

di concorso formale di reati o di riciclaggio continuato e discendono dalla operatività

del beneficio di autoriciclaggio, operatività che invece è esclusa ove si continuasse a

considerare reato presupposto il delitto da cui è scaturito inizialmente il provento

per cui le successive ipotesi di ripulitura saranno compiute sugli stessi beni da

soggetti diversi rispetto all’autore del reato base configurando altrettante condotte

punibili per riciclaggio; un chiarimento legislativo sul punto dovrebbe muovere dalla

funzione di moltiplicatore di ricchezza che ha il riciclaggio, l’attenzione si deve allora

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focalizzare sul momento in cui la condotta raggiunge l’obiettivo, per cui ove si

consideri la moltiplicazione di ricchezza progressivamente generata da ciascuna fase

costitutiva delle operazioni complesse la fonte del provento oggetto della successiva

operazione di riciclaggio andrebbe rintracciata in ogni livello di pulitura (riciclaggio

indiretto = riciclaggio da riciclaggio), per cui deriverebbe inammissibilità di concorso

e reato continuato.

In senso contrario (prof) ove si consideri il riciclaggio quale meccanismo in grado di

moltiplicare la ricchezza solo a ripulitura avvenuta ovvero a consumazione (non

semplice perfezionamento) delle operazioni di lavaggio dovremmo ritenere il

riciclaggio indiretto fondato sul provento del delitto iniziale come punto di

riferimento dell’operatività della clausola di autoriciclaggio e quindi di potenziale

legittimazione della rilevanza penale delle diverse condotte integrate nel riciclaggio

a formazione complessa, vi è dunque la potenziale ammissibilità di un concorso

formale di reati e di riciclaggio continuato.

Da altra angolazione il riciclaggio mediato risulterebbe ammesso in quanto

ulteriormente lesivo del bene tutelato finché residui una tracciabilità dell’origine

illecita, il paper trail garantirà un margine di accertamento investigativo e la

sussistenza di un ulteriore pericolo di cancellazione della provenienza illecita, da

quanto affermato discende la non configurabilità di un riciclaggio indiretto inteso

come riciclaggio da riciclaggio o meglio la non configurabilità di un riciclaggio

collocabile a valle del ciclo complesso di lavaggio, in tali ipotesi la consumazione

della modalità strutturata di lavaggio avrà generato ricchezza tuttavia pur potendo

parlare di provento da riciclaggio (elemento diverso dal prezzo o costo da riciclaggio

cioè quanto impiegato per operarlo) mancheranno gli elementi necessari per il

perfezionamento della fattispecie in quanto non vi sarà il pericolo concreto per il

bene giuridico essendo cancellato il paper trail, d’altronde se si conviene sulla

caratteristica strumentale del riciclaggio ovvero sulla sua funzione dissimulatoria del

reddito derivante dal delitto anche sotto la lente criminologa il riciclaggio da

riciclaggio non avrebbe motivo di essere; infine in tale ottica andrebbero

riconsiderati anche i rapporti tra riciclaggio e reati presupposto così come regolati

dal 6483, anche in tal caso l’operatività della norma farà perno sull’ultima condotta

di riciclaggio o sul delitto a monte a seconda di quella che può essere considerata la

fonte del provento illecito, così l’inimputabilità o la non punibilità dell’autore del

39

delitto base implicherà un referente diverso in base al tipo di riciclaggio ricorrente, il

reato delle cui sorti il legislatore ha inteso svincolare il riciclaggio sarà quello

integrato dall’autore dell’operazione di riciclaggio immediatamente precedente

laddove tale condotta produca un lucro secondo la teoria del moltiplicatore di

ricchezza, ovvero quello commesso dall’autore del reato a monte nelle tecniche di

riciclaggio articolare su operazioni complesse in grado di produrre ricchezza solo al

termina della catena di transazioni.

9.L’elemento psicologico

L’elemento psicologico nel riciclaggio è legato ai reati presupposto che integrano

parte dell’oggetto del dolo e alla locuzione modale, la prospettiva si complica in

quanto il punto di osservazione degli elementi costitutivi del fatto tipico non è

quello dell’autore del reato base ma quello di qualsiasi soggetto, per cui nella sfera

psicologica del riciclatore insieme alla consapevolezza della generica provenienza

del bene da delitto non colposa va rintracciata la coscienza della capacità ostativa di

quel particolare modus agendi che ne è premessa logico-giuridica della volontaria

realizzazione dell’operazione; l’elemento psicologico del riciclaggio è il dolo

generico, con una struttura soggettiva meno definita rispetto al passato in cui si

richiedeva nel momento rappresentativo i richiami agli specifici reati presupposto e

in quello volitivo in cui si richiedeva il fine di procurare a sé o ad altri il profitto.

La ricostruzione come dolo generico si discosta dalla Convenzione di Strasburgo del

1990 ma risponde a esigenze di semplicità e chiarezza e a esigenze di natura

strutturale in quanto le fattispecie a dolo specifico sono costituzionalmente

compatibili solo con i reati di danno in cui la particolare formulazione del dolo funge

da limitazione della punibilità a una particolare finalità dell’azione; nei reati di

pericolo invece il disvalore dell’evento corrisponde al disvalore della condotta e

risulta contrassegnato da quello specifico orientamento modale in assenza del quale

le condotte sarebbero prive della necessaria lesività, nessuna finalità che sta oltre il

fatto materiale tipico quindi ma un carattere intrinseco alla condotta che andrà

accertato di volta in volta sortendo l’effetto che prima era del dolo specifico; per il

648bis le operazioni devono essere oggettivamente capaci di ostacolare il paper trail

e ciò deve integrare il momento rappresentativo del dolo, per cui non vi è reato

40

dove il soggetto si sia rappresentato la semplice operazione senza acquisirne il dato

della provenienza delittuosa.

Tale conclusione va distinta dagli orientamenti che vedono nella disposizione una

forma di dolo specifico implicito che si avrebbe per la finalità di ripulire il bene

intesa come elemento ulteriore, è una considerazione già usata dalla cassazione in

passato per distinguere riciclaggio da ricettazione, tale impostazione è stata

promossa da una dottrina per cui i reati a dolo specifico implicito in quanto

caratterizzati da un particolare modo d’essere del fatto presentano un’analoga

corrispondenza dell’elemento soggettivo per cui la commissione di tali reati postula

la consapevolezza e volontà di dirigere la condotta verso il fine implicito e la

coscienza dell’esatto significato che essa assume rispetto al fine; tale versione si

discosta dalla tradizionale dottrina sul tema e conduce a un pericoloso arretramento

interpretativo portando la connotazione oggettiva della modalità nella sfera

psicologica dell’agente, in tal modo oltre che frustare gli obiettivi della riforma

sorgono maggiori difficoltà dimostrative; l’interpretazione appare poi inutile se si

osserva come per garantire davvero il rispetto del principio di offensività nei reati a

dolo specifico l’estremo pericolo va considerato pericolo concreto per cui non si avrà

dolo specifico quando l’azione sia inidonea al conseguimento dello scopo.

Dunque il soggetto non dovrà voler integrare la condotta di riciclaggio col fine di

creare un ostacolo, ma nell’agente dovrà riscontrarsi il voler realizzare una condotta

di trasferimento o sostituzione o un’altra operazione oggettivamente e

concretamente contraddistinta dalla capacità ostativa.

9.1.Le insidie nell’ammissibilità del dolo eventuale

Il merito riconosciuto alla teoria del dolo specifico implicito è di porre in risalto la

locuzione “in modo da..” con la quale si possono risolvere i problemi relativi

l’ammissibilità del dolo eventuale, quando la norma statuisce che le condotte

devono svolgersi con tale modalità non solo è un carattere statico-descrittivo ma

una peculiarità oggettiva dell’operazione che andrà spezzettata nel suo aspetto

dinamico complessivo ovvero nel modo in cui essa è stata realizzata, in tal modo si

potrebbe ammettere come anche condotte astrattamente inidonee a offuscare il

paper trail possano risultare adeguate allo scopo se considerate nella complessiva

41

operazione; tutto ciò non consente però l’operare di forme depotenziate di dolo in

quanto l’intenzionalità della realizzazione comporta che il soggetto abbia

organizzato la causalità in modo da porre in essere una situazione non casuale ma

preordinata e ciò si riflette sulla struttura del fatto perché anche processualmente la

prova della realizzazione dolosa richiede la sussistenza di elementi della realtà che

rivelino il finalismo del volere, tutto ciò nel riciclaggio richiede per forza di cose il

dolo intenzionale e non una mera accettazione del rischio della provenienza illecita.

Accettando il dolo eventuale nel riciclaggio si indebolisce il momento volitivo

sgretolando la tipicità del reato, alla carenza della funzione ulteriormente selettiva

propria del dolo intenzionale devono poi aggiungersi le difficoltà probatorie di

dimostrazione di aver agito nell’indifferenza del risultato lesivo, cui si sommano le

difficoltà ancor maggiori di distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosciente in

questa sede in quanto la costruzione del reato come ipotesi di pericolo concreto

avvicinerebbe il dolo indiretto più che altro a una colpa aggravata dalla

rappresentazione dell’evento.

Dunque i dati esterni e precostituiti della realtà presente o passata sono oggetto di

rappresentazione più che di volontà così come i presupposti della condotta, per cui

la stessa distinzione tra dolo e colpa incentrandosi su criteri esclusivamente

rappresentativi e non anche volitivo accentuerà gli aspetti problematici e le

incertezze.

9.2.Riflessi positivi ed effetti collaterali derivanti dalla cancellazione

dell’elenco dei predicate crimes

L’eliminazione del catalogo dei reati presupposto ha dilatato la fattispecie normativa

e a prima vista semplificato l’accertamento probatorio specie in merito al dolo,

infatti è necessario dimostrare che l’autore del reato sia a conoscenza della

provenienza illecita del bene e prima della riforma della provenienza da specifici

reati e non altri, forse questo è motivo dello scarso numero di condanne, tuttavia

l’estensione non a singoli reati ma a tutti i delitti non colposi non ha di molto

semplificato la cosa in quanto se si conosce che è un delitto non colposo di norma si

conosce il delitto e quindi permane uno scarso numero di condanne.

42

La consapevolezza della provenienza illecita è elemento fondamentale, fermo che in

base al richiamo al 648 uc non è richiesta una sentenza di condanna per il reato

presupposto occorre analizzare cosa si intende per coscienza della provenienza

illecita, facendo attenzione a evitare indagini personalistiche in interiore homine è

evidente quanto sia complesso l’onere di dimostrare la consapevolezza della

provenienza illecita del provento senza averlo illecitamente generato, qui l’esigenza

di assicurare al dolo un contenuto autentico di colpevolezza che impone

accertamenti non meno complessi di quelli fondati sul numero chiuso di reati, per

cui ove si riuscisse a fornire la prova della consapevolezza del riciclatore in ordine

alla provenienza del provento si sarebbe anche in grado di dimostrare la

consapevolezza da un particolare tipo di delitto.

Dunque l’eliminazione dei reati presupposto fa pendere la bilancia costi/benefici

verso i primi e inoltre riduce la forza repressiva della norma, per questo una riforma

volta a recuperare l’effettività della norma deve concentrarsi su specifiche forme

delittuose, prima di una scelta deve però essere identificato con precisione il nemico

da combattere che sarà principalmente la criminalità organizzata e dunque fra i reati

presupposto devono esserci quelli da cui trae i suoi maggiori introiti.

10.Le forme di manifestazione: consumazione e tentativo

L’evoluzione normativa ha avuto i suoi riflessi sulla configurabilità del tentativo, va

precisato che il delitto si perfeziona in caso le condotte siano idonee a ostacolare

anche se non vi è un effettivo sbarramento all’identificazione ma è resa solo più

difficoltosa, la versione del 1978 escludeva il tentativo, la versione del 1990 era

configurabile ma vi era un reato di evento e di danno, con la versione attuale invece

vi è un reato di pericolo concreto secondo la dottrina dominante compatibile col

tentativo quando vi è un’operazione tentata ma non portata a termine (e si fanno gli

esempi dello smurfing cioè aperture di conto o depositi per il frazionamento delle

operazioni, o la concessione di fido a favore di un criminale che voglia confondere

queste somme con quelle illecite) tuttavia proprio l’ostacolo è già consumazione,

ricordando che il reato è a condotta parzialmente libera l’unico tentativo

teoricamente ammissibile è il tentativo compiuto in quanto solo in questo si potrà

apprezzare l’idoneità della condotta, da un punto di vista pratico però nei casi in cui

l’azione è compiuta con atti idonei a ostacolare vi è già il reato, vi è dunque

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impossibilità pratica del tentativo di riciclaggio senza metterne in discussione la

struttura del reato.

Su questo dibattito si innesta quello sulla configurabilità del tentativo nei reati di

pericolo contestato da chi osserva che si punirebbe il pericolo di un pericolo

anticipando eccessivamente la punibilità, dove comunque si accolga un concetto

graduabile di pericolo per cui per il tentativo vi sarebbe un pericolo meno intenso si

punirebbe per riciclaggio anche ogni operazione compresa nelle fasi primarie del

metodo roll program (serie di operazioni finanziarie frazionate attraverso cui si

aggirano i controlli statali), eppure se si ritiene che l’agente non abbia creato il

necessario pericolo vuol dire che gli atti sono inidonei e dunque non vi è neppure

tentativo, infatti pur ammettendo un pericolo graduabile nel tentativo vi sarebbe la

probabilità minima di pericolo, e la probabilità della probabilità minima è una non

probabilità.

Tali osservazioni rilevano anche per il tempus e locus commissi delicti, il tempo del

delitto sarà il momento in cui il soggetto avrà realizzato la condotta in maniera da

ostacolare l’identificazione della provenienza senza attendere la conclusione

dell’intera operazione di riciclaggio ma è sufficiente che gli atti posti in essere siano

idonei di per sé, il luogo sarà quello in cui ciò è avvenuto.

11.Concorso di persone

Il riciclaggio può manifestarsi anche in forma plurisoggettiva tuttavia il legislatore si

è poco soffermato sulla fattispecie specie nella disciplina preventiva e ciò ha

determinato un impatto normativo limitato degli obblighi di collaborazione attiva;

maggiori problemi riguardano il concorso fra condotte attive e omissive come nei

casi di compartecipazione omissiva dei dirigenti o degli amministratori

dell’intermediario che non impediscono operazioni di riciclaggio commesse

materialmente da questo, sono ipotesi omissive improprie escluse dal riciclaggio

monosoggettivo potrebbero ritornare in quello concorsuale sulla base di un preciso

potere giuridico idoneo a impedire il compimento di specifiche azioni illecite di terzi,

una puntuale costruzione della posizione di garanzia che non sembra soddisfatta nel

caso in esame, deve dunque ripetersi anche per il concorso omissivo quanto già

detto sulla medesima forma monosoggettiva; l’esclusione di tale configurabilità in

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forma negativa è più compatibile con il carattere della causazione dell’evento

altrimenti assorbito nel mancato impedimento che è fondamentale per il principio di

offensività.

12.Regime sanzionatorio

La sanzione per il riciclaggio è reclusione da 4 a 12 anni e multa da 1.032 € a 15.493

€ (analoga è per il 648ter), questa è rimasta sostanzialmente invariata fin dalla

riforma del 1990 che l’aveva inasprita, tuttavia a tale costanza è corrisposto un

radicale mutamento dei reati presupposto che ha portato riflessioni dottrinali sulla

sperequazione della pena per il riciclaggio rispetto a quella di molti di questi , cosa

già osservata dopo la riforma del 1990 quando al catalogo dei reati furono inseriti

quelli relativi il traffico di stupefacenti le cui pene per la fattispecie di lieve entità

non superano i 6 anni; il disallineamento sanzionatorio non è appianato neanche

con l’attenuante del 3° comma in quanto la pena resta molto più elevata.

Tutto ciò porta contraccolpi sul piano operativo per cui si registrano anomale

strategie difensive volta a confessare il reato presupposto per beneficiare

dell’autoriciclaggio e quindi ottenere una sanzione minore; così il riciclatore

penalistico si allontana sempre più da quello criminologico come l’autore di un reato

di perpetuazione delle conseguenze lesive di ogni altro delitto, mentre dal secondo

punto di vista è un soggetto che concorre con la criminalità organizzata che può

essere colto solo con specifici reati matrice.

12.1.Diminuente e aggravante speciale del riciclaggio

L’attenuante speciale è incapace di colmare il gap tra precetto e sanzione di

riciclaggio, nonostante la pena sia diminuita se il reato base non ha una pena

superiore a 5 anni la riduzione sarebbe di 1/3 e dunque vi sarebbe comunque una

sanzione non inferiore agli 8 anni, tale disomogeneità può essere accentuata dal

principio del bilanciamento a presidio del giudizio di prevalenza o equivalenza in

caso di concorso eterogeneo ex 69 cp per cui qualora prevalgano le sole aggravanti

vi sarebbe un ulteriore aumento, a prevalere potrebbero essere proprio le

aggravanti speciali cioè:

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- fatto commesso nell’esercizio di un’attività professionale

- fatto commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione

nel secondo caso vi è l’aumento da 1/3 alla metà, la misura di prevenzione deve

essere contenuta in un provvedimento definitivo mentre il periodo di operatività

dell’aggravante va da quello di applicazione del provvedimento fino a 3 anni dalla

cessazione della sua esecuzione.

Riguardo la prima aggravante vi sono difficoltà interpretative per la locuzione

“attività professionale”, riguardo cosa debba intendersi la legge individua:

- attività nell’ambito della quale la commissione del 648 e ss comporta

l’applicazione di misure disciplinari o la revoca del titolo abilitante

- categorie di intermediari abilitati a eseguire operazioni in denaro o titoli al

portatore per somme superiori a 20 milioni ovvero uffici della PA, banche,

ecc..

altra questione interpretativa è la necessità o meno di un nesso causale tra lo

svolgimento dell’attività professionale e il riciclaggio e se l’esercizio abusivo della

professione possa rilevare ai fini dell’aggravante, la risposta può derivare dalla ratio

della norma di impedire che il soggetto possa avvalersi di attività professionali che

agevolino la ripulitura e nello scoraggiare il ricorso a esperti per ciò e in genere

nell’evitare che competenze professionali specifiche si pongano al servizio del

crimine, in tale prospettiva un rapporto occasionale difficilmente agevola la

commissione del reato invece all’opposto lo agevola una professione anche

abusivamente esercitata.

Si pone ora un ulteriore argomento a sostegno della reintroduzione del catalogo dei

reati, infatti l’incidenza dell’attenuante dipende dall’effettiva sussistenza del reato

presupposto che va accertato giudizialmente e non in base alla mera prova logica

della provenienza da delitto che è incapace di qualificarlo, per cui anche nell’attuale

formulazione normativa il necessario accertamento della forma circostanziata del

riciclaggio comporta inevitabilmente un’indagine sul tipo di reato a monte, si

stempera così l’obiezione al reinserimento del catalogo fondata sulle difficoltà di

accertamento e si comprendono gli scarsi risultati probatori ottenuti dalla sua

eliminazione.

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12.2.Sequestro e confisca

Il legame più labile implicito nel concetto di pertinenza al reato e conseguente

mitigazione dell’onere probatorio insieme alla maggior estensione dei beni

sequestrabili o confiscabili rispetto a quelli riciclabili sono elementi che rapportati

alla criminalità del profitto inducono a ritenere tali strumenti adeguati a contrastare

il riciclaggio, la loro maggior penetrazione è esaltata dal meccanismo del 12sexies dl

306/1992 e si colloca nel filone degli interventi preventivi patrimoniali inaugurato

dalla legge Rognoni-La Torre orientato alla semplificazione probatoria, ne discende

uno strumento agile conformato alla pena patrimoniale ma in grado di abbinare la

metodologia delle pro-active investigations al fine di individuare patrimoni illeciti; i

punti di forza del sistema sono l’impiego di tecniche di indagine non focalizzate solo

su un singolo reato o bene ad esso collegato ma su flussi economici afferenti a

determinati soggetti in grado di scardinare anche l’economica criminale consolidata;

il provvedimento di cui al 12sexie nei casi di condanna o applicazione della pena su

richiesta per alcuni gravi reati prevede sia sempre disposta la confisca della

pertinenza di denaro beni o altre utilità purché vi sia una sproporzione quantitativa

rispetto al reddito o all’attività economica esercitata di cui il soggetto non sia in

grado di fornire giustificazione, vi è dunque una funzione punitivo-repressiva

evidenziata dell’esclusione di ogni accertamento della pericolosità della cosa, e

proprio l’irrilevanza della pertinenzialità del bene rispetto al reato dilata la potenza

dell’istituto colpendo beni acquisiti anche in epoca anteriore o successiva il reato.

L’efficacia della misura è garantita da un sequestro preventivo sugli stessi beni

soggetti al 12sexies così fornendo anche il vantaggio di un intervento rapido previsto

nel corso delle indagini preliminari per il reato presupposto, e infatti proprio le

lentezze processuali forniscono alla criminalità un grosso vantaggio, che però viene

intaccato da indagini patrimoniali mirate che partendo dal basso cioè dalle

operazioni più prossime al reato si sviluppano a catena e si estendono anche a

soggetti terzi (il sequestro può coinvolgere anche terzi intestatari fittizi) e a territori

diversi da quello d’origine (confisca internazionale introdotta dalla Convenzione di

Strasburgo condensata sulla semplificazione probatoria dell’origine illecita tradotta

nella dilatazione dei termini per le indagini e nella confisca per equivalente che è

uno strumento residuale ove residui una parte non confiscata dal 12sexies, tale

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confisca è stata estesa al riciclaggio interno estendendo anche i poteri di indagine

del PM fino all’udienza delle conclusioni).

Tali nuovi strumenti si sono resi necessari risultando la confisca tradizionale

inadeguata in quanto impone di ricostruire il nesso tra provento e reato cosa che nel

riciclaggio è impossibile vista la commistione del provento col patrimonio lecito

dell’autore, la nuova confisca risulta vincolata per il fumus commissi delicti

all’astratta configurabilità sull’indagato di una delle ipotesi criminose senza

prevedere indizi di colpevolezza o la loro gravità e per il periculum in mora alla mera

circostanza della confiscabilità del bene (cioè sproporzione e mancata

giustificazione); dunque una volta accertata la responsabilità per determinati reati si

considera il patrimonio del reo frutto di pregresse attività illecite in forza di una

presunzione relativa ancorata ai criteri della confisca, ciò è stato considerato da

alcuni inversione dell’onere della prova, tuttavia c’è da considerare che i metodi

tradizionali sono inadatti al riciclaggio e che confiscando tali risorse economiche si

previene anche la commissione di futuri crimini.

Ne risulta un triplice effetto:

- impedimento della soddisfazione dell’expected utility da parte della

criminalità in conseguenza della sottrazione del benefit

- scardinamento patrimoniale dell’organizzazione che dai proventi illeciti trae

sostentamento

- sterilizzazione della provenienza dei beni e recupero alle casse dell’Erario

si deve poi osservare che il parametro probatorio posto dal legislatore perde la sua

inadeguatezza se confrontato con lo status giuridico del soggetto che infatti va

dimostrato, allora la tesi dell’inversione dell’onere della prova non può essere

considerata soluzione interpretativa esclusiva, questa si basa sul presupposto che il

soggetto deve dimostrare non solo la provenienza lecita del patrimonio ma anche

che sia stato acquistato con strumenti leciti, è un’interpretazione rigoristica che si

scontra con un diverso indirizzo che reinterpreta il 12sexies in maniera

costituzionalmente orientata cioè come causa di una presunzione relativa di illecita

accumulazione patrimoniale superabile con l’allegazione di elementi giustificativi

della lecita provenienza del bene anche privi di valenza probatoria civilistica in tema

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di diritti reali, dunque è onere del PM dimostrare la provenienza illecita salvo l’onere

delle allegazioni gravante sul soggetto.

12.3.Una negatività condivisa

Riguardo i punti di contatto tra le misure patrimoniali con gli obblighi di

collaborazione attiva entrambe sono finalizzate all’accertamento di situazioni

patrimoniali rilevanti prescindendo dalla commissione di un reato o dalla

qualificazione di un provento, la disciplina preventiva è inoltre una legislazione che

sfrutta la leva antiriciclaggio per impiantare obblighi su una prospettiva di moral

suasion a largo spettro, è un metodo articolato su un sistema di delazione anonima

cioè accusare senza assumersi le responsabilità delle conseguenze, si è di fronte

allora a uno scopo etico perseguito con mezzi di certo non etici per cui si può

ritenere che il vero obbiettivo sia solo un’estetica dell’etica, e non possono non

segnalarsi le carenze di appeal di tale sistema, infatti l’etica ha bisogno di libertà e di

autonomia non di uno Stato che la imponga.

13.Punibilità: l’irrilevanza delle condizioni di procedibilità del reato

presupposto

Sempre presente nella norma è stato il riferimento all’applicazione all’ultimo

comma del 648 una norma che però non è stata altrettanto statica, nella sua

formulazione odierna configura la quasi totale estraneità alle vicende del delitto

matrice del riciclaggio distinta in 3 momenti

- imputabilità

- punibilità

- procedibilità

il riferimento è al reato presupposto nell’ultimo caso o al suo autore nei primi due,

la sua identificazione può essere più semplice come in un riciclaggio non strutturato

in cui si identifica con reato base o più complessa come in un riciclaggio strutturato

in cui si pone il dubbio se sia il reato base o il precedente riciclaggio, il discrimine

può essere la capacità della condotta di generare proventi in base alla teoria del

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moltiplicatore della ricchezza; individuato il reato matrice vi è l’impermealizzazione

delle sorti del riciclaggio rispetto a questo che non risente della cause di esclusione

della pena o dei vizi di capacità di intendere e di volere o dei profili di procedibilità

(querela o richiesta i procedimento o autorizzazione a procedere; quindi è punito

per riciclaggio anche se il reato base è commesso all’estero, controverso il punto

della necessità o meno della doppia incriminazione, tali conseguenze discendono

dalla lettura sistematica della locuzione sulla condizione di procedibilità che va

calata nel conteso di ratifica della Convenzione di Strasburgo che intende proprio

colpire il riciclaggio transazionale); vi è dunque emancipazione del riciclaggio pur se

tale assunto va contestualizzato perché continua il reato a monte a essere prius

necessario del money laundering.

Parte della dottrina richiamandosi al 1701 sostiene l’insensibilità del riciclaggio

rispetto all’estinzione dell’illecito base e alla sua irrilevanza penale, sono conclusioni

basate sulla negazione di un riconoscimento formale al reato presupposto privato di

un ruolo strutturale nella fattispecie di riciclaggio restando vincolante come fonte

del provento; la posizione non è condivisibile da un punto di vista politico criminale

perché sarebbe assente ogni interesse a perseguire condotte di ostacolo

all’identificazione di una provenienza che non è più illecita, e da un punto di vista

dogmatico in virtù del rispetto della struttura normativa dell’illecito che richiede la

provenienza sia illecita, dunque l’estinzione del reato presupposto a seguito di

abolitio criminis estingue anche il riciclaggio, parimenti la scriminante per il reato

fonte, contrariamente si violerebbe il principio di legalità e tassatività,

analogamente deve dirsi per i casi di novazione legislativa e declaratoria di

incostituzionalità del prius; la conferma di ciò si ricava a contrario dal 648 uc che fa

riferimento solo a imputabilità e punibilità e procedibilità cioè situazioni che a

differenza delle precedenti non sono in grado di escludere l’esistenza del reato base.

13.1.Profili critici

Problemi aperti rimangono cosa il giudice debba accertare a fondamento del

riciclaggio e quale sia il minimo standard per poter parlare di provenienza da delitto

(è sufficiente il nomen? se no come coniugare l’accertamento col riferimento al

648? e in caso vi sia una pronuncia del tenore del “fatto non sussiste” o “non

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costituisce reato”?), in base a quanto detto in taluni casi il delitto di riciclaggio

dovrebbe degradare a condotta penalmente irrilevante con l’utilizzo dello

strumento della revisione processuale.

Del resto vi è un’esigenza di riformulazione verso la chiarezza normativa per evitare

conseguenze paradossali come il riciclaggio di Stato in caso di fondi acquisiti tramite

l’erario, tutto ciò sia pure di natura sostanziale ha grandi riflessi processuali in

quanto l’attuale formulazione della norma ha creato un processo in cui alla ricerca

della prova si sostituisce il sospetto incentivando la prova logica e la prova indiziaria.

14.Ampliamento degli spazi di non punibilità per l’agente provocatore

Sulla convinzione che l’informazione sia un bene pubblico sono stati elaborati diversi

impianti normativi fra cui la causa di non punibilità speciale per l’agente provocatore

in tema di riciclaggio, inizialmente norma di riferimento era il 12quater l 356/1992

che non puniva la condotta di riciclaggio di tale soggetto finalizzata ad acquisire

elementi di prova in merito a tali delitti, questa norma lasciava immutato quanto

disposto dal 51 cp ponendosi in rapporto di specialità sia da un punto di vista

soggettivo che finalistico, la norma puntava infatti a colmare il gap fra crimine e

Stato e raggiungere una simmetria informativa; la formula però aveva prestato il

fianco a critiche innanzitutto non si fa espresso riferimento al trasferimento che

resta comunque implicitamente compreso nella formula che non è variata con la

norma odierna cioè il 9 l 146/2006 (pag 229) una disposizione che si inserisce nel

quadro di potenziare la figura dell’agente provocatore estendendo lo strumento in

esame anche ai privati che cooperano con gli inquirenti.

Pure negli ampi spazi di manovra che la norma lascia all’anticrimine restano dubbi

sulla sua efficacia, questi afferivano alla formula ambigua del verbo “procedere”

anteposto alla condotta di sostituzione:

- se ricomprendeva condotte consumate l’inutilità della norma deriva dal 49 cp

che impone la non punibilità di condotte in difetto di un autentico lavaggio

- se viceversa si fosse voluto limitare l’attività degli ufficiali ai soli atti

prodromici il lavaggio sarebbe risultata pleonastica in quanto sono operazioni

già non punibili per carenza di dolo da consumazione

51

oggi nonostante il superamento della formula ambigua continuano ad esservi

incertezze come riguardo agli effetti della scriminante nei confronti di tutti i correi in

applicazione del 1992 cp in quanto si considerano oggettive le clausole di esclusione

dell’antigiuridicità (se il fatto è lecito devono considerarsi lecite anche le attività dei

partecipi), e non serve neanche evidenziare che la condotta dell’agente è

antagonista alla nota modale del reato e quindi a difettare sarebbe la configurabilità

del tipo in quanto configurando il fatto come reato impossibile si estenderebbe

anche ai correi.

15.La difficile convivenza delle fattispecie affini col delitto di riciclaggio

Le fattispecie di cui al 648 648bis 648ter hanno forti analogie e frequenti

sovrapposizioni in cui spesso prevale il riciclaggio, ciò specie a seguito della

dilatazione di tale reato che finisce col coprire ipotesi delle altre due norme la cui

applicazione diviene residuale, dal punto di vista psicologico mentre la ricettazione è

orientata al profitto (dolo specifico) riciclaggio e impiego si allineano al dolo

generico, l’unico criterio in grado di favorire la comprensione dei confini fra norme è

la lettura oggettiva dell’idoneità della condotta a cagionare ostacolo

all’identificazione della provenienza, per cui si preferirà il riciclaggio alla ricettazione

quando il comportamento non si limita all’acquisizione del bene ma lo manipoli per

ostacolare l’indagine, inoltre il riciclaggio potrebbe anche non includere la materiale

ricezione della res che sarà sottratta alla ricettazione in caso la condotta abbia

modalità decettiva (un meccanismo che rischia di assorbire condotte al riciclaggio

come nel caso di taroccamento dei veicoli).

Il vero problema è impedire che anche nella più tradizionale ipotesi di ricettazione

sia colta un’ontologica idoneità ingannatoria in grado di farla trasmigrare nel

riciclaggio, d’altra parte la semplificazione di una modalità ingannatoria in re ipsa

metterebbe in crisi le potenzialità discretive del disvalore oggettivo, seguendo tale

criterio la ricettazione prevarrà solo dove la condotta non presenti l’idoneità a

ostacolare la provenienza delittuosa del bene con una espansione incontrollata del

riciclaggio ove si ritenga l’idoneità ostativa implicita nella condotta; risultati migliori

non li raggiunge chi rinviene elemento specializzante del riciclaggio nella funzione di

lecito-vestizione, al rapporto con il circuito dei beni leciti si riferisce anche la

52

dottrina che distingue il dinamismo del riciclaggio dalla staticità della ricettazione,

neanche il riferimento all’oggetto materiale è definitivo essendo analogo il concetto

di “denaro beni o altre utilità” a quello di “denaro o cose” della ricettazione.

L’attenzione va allora concentrata sulla provenienza delittuosa dei beni che per cui

si ha ricettazione per ogni delitto in ricettazione e impiego e invece limitata nel

riciclaggio, ciò che rimane è allora solo il tratto modale che svela l’apparente

conflitto fra le norme quando in realtà si può ipotizzare un concorso materiale dei

dure reati quando all’azione del ricevere i beni per ottenere un profitto consegua

una sostituzione, data comunque la frequente sovrapposizione tra riciclaggio e

ricettazione spessa dovuta alle potenzialità di nascondimento della provenienza

insiste in quest’ultima restano dubbi sul concreto spazio operativo del 648 specie di

fronte a condotte in cui vi è unità di azione.

Nel micro-sistema legislativo a progressione specializzante viene ora in rilievo il

delitto di impiego una fattispecie in rapporto di specialità rispetto al riciclaggio che è

integrata qualora:

- non vi sia staticità acquisitva

- l’attività a seguito dell’acquisizione sia specificamente impiegare in attività

economiche o finanziare il provento illecito

come il riciclaggio in tale delitto vi è una rigorosa qualificazione del termine finale

della condotta che prevede appunto l’impiego in tale attività, è questa una

distinzione in teoria valida ma sul piano pratico il reimpiego ne postula sempre (a

differenza del riciclaggio) la preventiva ricezione e tale prius logico implica

matematicamente la configurazione della ricettazione destinata a prevalere per la

clausola residuale in apertura del 648ter (si è parlato di irrazionalità sistematica), e

infatti la funzione residuale della norma ne fa discendere l’assoluta simbolicità.

Altro orientamento cerca invece di recuperare uno spazio operativo alla norma

ritenendola applicabile ai casi di ricezione di proventi sin dall’inizio finalizzate

all’impiego in attività economiche o finanziarie, tale tentativo non trova però

riscontro nella pratica in cui si scontra con le difficoltà del profilo psicologico oltre

che con un atteggiamento decettivo probabilmente presente in chi riceve il denaro,

per cui l’autore del 648ter agirà di sicuro in modo da non far trapelare l’origine

illecita integrando così il riciclaggio; altri sforzi di autonomia della norma sono

53

fondati sulla ratio legis che però finiscono con la differenziazione tipologica

dell’autore del reato in quanto l’autore del 648bis è il riciclatore professionista

invece quello del 648ter è l’imprenditore che si mette in affari con la malavita

utilizzandone i proventi.

Dunque in fin dei conti rimarrebbe fuori dal 648bis solo l’impiego di proventi da

delitto colposo, tuttavia occorre interrogarsi se davvero il legislatore abbia voluto

estendere i casi di impiego ai proventi casualmente derivanti da reato, cioè se sia

ipotizzabile un provento da delitto colposo o il concetto per sua natura sia

naturalisticamente doloso, e tale barriera naturale finirebbe con annullare

l’operatività della norma.

Da quanto affermato si può appoggiare certamente un’eliminazione della norma,

oppure una sua conservazione sotto forma di aggravante speciale del riciclaggio pur

con alcuni accorgimenti in quanto in molti casi l’impiego è una tecnica finalizzata al

nascondimento della provenienza specie nel riciclaggio strutturato in tali ipotesi

quindi rileverebbe come autonoma fattispecie di riciclaggio e non semplice

circostanza quindi mettendo in dubbio la soluzione prospettata o almeno

imponendole la formulazione di un criterio distintivo oggettivo.

Le complicazioni derivanti dall’espansione del riciclaggio non si fermano alle norme

vicine ma si estendono a ipotesi quali:

- favoreggiamento reale (379 cp) � la clausola di riserva con cui si apre la

norma rende tale figura sussidiaria a riciclaggio e impiego che hanno

precedenza applicativa, la specifica direzione finalistica della condotta darà

luogo al reato solo quando l’autore si attivi per assicurare il prodotto il

profitto o il prezzo del reato a chi lo ha commesso senza generare ostacolo

all’identificazione della provenienza, ciò potrebbe avvenire in caso di aiuto a

riciclaggio consumato tuttavia in tal caso da un lato il provento è già al sicuro

dall’altro non risulta integrata la condotta che consistere nell’aiutare a

rendere definitivo il vantaggio delittuoso, salvo voler distinguere i due reati in

funzione della finalità soggettiva permangono i rischi di assorbimento nel

riciclaggio

54

- incauto acquisto (712 cp) e omessa denuncia di cose provenienti da delitto

(709 cp) � unica differenza col riciclaggio risiederebbe nell’elemento

psicologico

- trasferimento fraudolento di valori (12quinquies l 356/1992) � la norma

colpisce i negozi indiretti, fiduciari ovvero tutte le transazione opache in cui vi

è un dolo specifico alternativamente di eludere le disposizioni in tema di

misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando ovvero di agevolare la

commissione del 648 o 648bis o 648ter; la fattispecie riecheggia il

favoreggiamento e infatti c’è chi la qualifica come favoreggiamento di

favoreggiamento per recuperare spazi operativi al 379, tale interpretazione è

però destinata all’insuccesso per l’espansione del riciclaggio per cui

un’agevolazione della condotta che lo integra finisce per ricadere in esso,

dunque parte della dottrina considera simbolica la norma in esame, altra

parte invece limita i casi di applicazione alle ipotesi in cui il 648bis sarebbe

inapplicabile per il beneficio di autoriciclaggio o difficoltà probatorie sulla

provenienza delittuosa; tutto ciò evidenzia lo scarso coordinamento

sistematico per cui la condotta in esame si rivela una forma di manifestazione

del riciclaggio, a nulla rileverebbero le distinzioni da un punto di vista

cronologico per cui la norma sarebbe antecedente o contemporanea ai reati

di cui al 648 e ss laddove invece il delitto di riciclaggio non può essere che

successivo rispetto al reato presupposto, tuttavia non resisterebbe comunque

alla forza attrattiva nel riciclaggio

- impiego di carte di pagamento (12 DLgs 231/2007) � la norma si applica

all’indebito utilizzo, falsificazione, alterazione, possesso, cessione,

acquisizione tese al conseguimento di un profitto (dolo specifico) di carte di

credito o di pagamento o documento analogo, l’interprete si trova in difficoltà

in quanto gli illeciti di cui al 559 dello stesso decreto possono fungere da prius

del riciclaggio e che l’illegittimo impiego delle carte di pagamento può nello

stesso tempo generare illecitamente un provento e trasferirlo in modo da

ostacolare la provenienza, l’apparente concorso di norma viene risolto allora

col beneficio di autoriciclaggio che escluderà il 648bis in caso del singolo

comportamento con doppia qualificazione da parte del medesimo autore

- usura � vi può essere un concorso fra usura e riciclaggio ove la prima abbia

un ruolo servente ovvero sia praticata in modo da ostacolare l’identificazione

della provenienza delittuosa del denaro prestato, tale concorso è possibile

55

però solo se il denaro prestato origini dall’illecito altrui, infatti inquadrando

l’usura come tecnica di riciclaggio vi sarà un concorso formale di reati, invece

se il riciclaggio usuraio ha ad oggetto gli interessi usurai stessi o coinvolga

proventi generati dallo stesso riciclatore l’autoriciclaggio escluderà

l’applicazione del 648bis

16.Il bilancio di un trentennio

L’espansione dalla originaria previsione del 1978 ha allontanato la norma dal

referente criminologico, occorre interrogarsi sul perché punire il riciclaggio, la

prospettiva penalistica è evitare la cancellazione del paper trail, in caso invece di

riciclatore/autore del reato presupposto lo si punirebbe per preservare le ragioni

della vittima e impedire che tragga profitto dal crimine, ma per ciò è sufficiente il

sequestro e la confisca ed è inutile il reato di riciclaggio al più potrebbe rilevare

come aggravante, a nulla valgono le illusioni di un maggior rigore punitivo per

contrastare il fenomeno criminoso visto che con l’espansione della norma di

riciclaggio sono crollate le condanne; vi deve essere dunque uno sforzo normativo

teso al recupero dell’efficacia della norma migliorandone la determinatezza

servendosi anche di analisi criminologiche fin qui scarsamente considerate.

56

Capitolo IV:

OBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E

SORVEGLIANZA SUI SITEMI DI PAGAMENTO: I

LINEAMENTI DELLA DISCIPLINA INTERNA E

INTERNAZIONALE DI PREVENZIONE DEL

RICICLAGGIO

4.Premessa

La prevenzione del riciclaggio costruita dagli obblighi di collaborazione attiva ha nel

DLgs 231/2007 uno strumento di riorganizzazione e sistematica, questo recepisce la

Direttiva 2005/60/CE (III direttiva antiriciclaggio) codificando raccomandazioni del

GAFI e del FMI al fine di prevenire l’utilizzo del sistema finanziario ed economico a

fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo con misure volte a tutelarne

l’integrità e la correttezza dei comportamenti, gli obblighi che si impongono sono:

- verifica della clientela (in luogo della mera identificazione)

- registrazione

- segnalazione di operazioni sospette

la sensibilità riconosciuta ai destinatari insieme alle informazioni possedute nel

corso della loro attività conferisce alla collaborazione attiva un aspetto più vicino a

quello preventivo che investigativo, incidi cono i principi generali nella misura in cui

prospettano un’impostazione modulare degli obblighi di riciclaggio in relazione al

caso concreto (tipo di cliente, di rapporto..); la norma si rivolge a categorie sempre

57

più ampie e diversificate di destinatari distinti per classi in base all’omogeneità

dell’attività svolta:

- intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attività finanziaria

- professionisti

- revisori contabili

- altri soggetti

4.1.Identificazione e registrazione alla luce del (nostro) approccio

differenziale su base consensuale

Aspetto innovativo della disciplina concerne l’identificazione del cliente per cui si

impone una “verifica adeguata” che assorbe e fortifica l’obbligo, pare che il

legislatore abbia modellato il vecchio obbligo di identificazione seguendo l’approccio

differenziale su base consensuale (cap 2 para 1) cioè modulare gli adempimenti

antiriciclaggio in ragione del destinatario con strumenti a penetrazione soggettiva

variabile, momenti fondamentali sono:

- passaggio dal semplice al complesso � racchiude il principio portante della

collaborazione attiva improntata sul know your client (KYC), riguardo la figura

del professionista il contenuto degli obblighi di verifica si ricava dal 18:

o identificare il cliente e verificarne l’identità in base a documenti dati o

informazioni ricavati da una fonte affidabile e indipendente

o identificare l’eventuale titolare effettivo e verificarne l’identità

(beneficial owner)

o ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto

continuativo o della prestazione professionale

o svolgere un controllo costante nel corso del rapporto

- nuova filosofia del risk based approach

vi è un aumento degli obblighi del professionista con un ruolo quasi investigativo,

l’obbligo dell’identificazione è infatti esteso dal momento genetico all’intero arco

della relazione e si impone l’identificazione del beneficial owner ma soprattutto si

impone di ottenere informazioni sullo scopo e natura della relazione; la previsione

ha senso solo se riferita a particolari figure professionali come l’avvocato d’affari ed

58

è tesa a ricostruire scopo e natura ulteriori dell’operazione ovvero la reale

fisionomia di una condotta; il professionista dovrà dimostrare di aver chiesto al

cliente informazioni supplementari per quegli elementi che presentano tratti di

anomalia e quindi in mancanza di segnalazione dimostrare di aver avuto una

giustificazione plausibile.

Va segnalato il dispendio di risorse per il professionista per lo svolgimento di compiti

che esulano dalla normale attività e spesso la intralciano, al sovraccarico di oneri si

tenta di porre rimedio con la graduazione offerta dal risk base approach in virtù del

quale vi sono tre livelli di attenzione:

- standard

- semplificato

- rafforzato

commisurati alla quantificazione del rischio che dovrà effettuare il professionista,

sono criteri già richiamati in precedenza dal dm 141/2006 ma qui rilevano non come

ricondotti al sospetto di riciclaggio ma in funzione preselettiva del grado di

adeguatezza da rispettare nella verifica della clientela; nonostante le potenzialità

deflattive della norma risulta ancora molto sbilanciata in quanto tralascia l’aspetto

consensuale che è fondamentale per l’approccio differenziale in quanto il benefit

perseguito dallo Stato non è apprezzabile dall’obbligato, inoltre vi è grande

timidezza legislativa nell’attuare tale approccio con una pericolosa disposizione al

255 per cui non si applicano gli obblighi semplificati quando si abbia motivo di

ritenere che l’identificazione così operata non sia attendibile, ciò comparato al 20

per cui i soggetti obbligati devono dimostrare all’autorità che la portata delle misure

è adeguata al rischio si carica di tale onere il professionista che voglia adottare

l’approccio semplificato rendendo tale opzione meramente teorica finché le autorità

non indichino una casistica in cui la verifica semplificata sia astrattamente adeguata.

Al contempo andranno ripensati anche i meccanismi sottesi alla procedura

semplificata che oggi impongono un’istruttoria comunque particolareggiata e

dispendiosa con obblighi di conservazione documentale risolvendosi in sostanza in

un’eccezionale esenzione dagli obblighi di registrazione e tenuta dell’archivio unico;

è probabilmente negli obblighi di registrazione che si verifica invece una reale

diversificazione degli oneri in linea con la ratio di semplificazione e proporzionalità

59

che dovrebbe sottendere l’approccio differenziale, la regolare ottemperanza di tali

obblighi ben scandita anche da un punto di vista temporale (30 giorni) impone

l’istituzione e la tenuta di un archivio unico informatico (AUI), la regola è stemperata

però da soluzioni alternative in ragione della diversità degli obbligati (registro della

clientela, sistemi informatici, custodia dei documenti); anche le singole opzioni sono

modulabili con forme di attuazione particolareggiata come quella di avvalersi di un

autonomo centro di servizio per l’AUI degli intermediari finanziari.

Alternativa all’archivio è il registro della clientela a fini antiriciclaggio per cui i dati

andranno conservati nel fascicolo di ciascun cliente, cosa molto funzionale agli studi

di piccole dimensioni, nonostante però tale alternatività di soluzioni è unico il rigore

nella conservazione per assicurare la consultazione dei dati (per l’archivio si impone

chiarezza completezza immediatezza unicità dei criteri di tenuta; per il registro si

richiede numerazione firma), ciò è funzionale alle finalità degli obblighi di

registrazione che sono utilizzati per qualsiasi indagine su operazioni di riciclaggio o

finanziamento del terrorismo ma soprattutto per corrispondenti analisi della UIF o

qualsiasi altra autorità competente, ciò rivela i segni di un’incompleta realizzazione

dell’approccio differenziale su base consensuale, base che risulta antagonista a

questo immenso database che ha le forme a volte del rapporto client-server altre

del peer-to-peer, un programma molto complesso i cui costi sono interamente a

carico del privato, e se ciò non bastasse si aggiunge la contaminazione dell’obiettivo

anti riciclaggio cagionata dall’utilizzabilità dei dati a fini fiscali.

5.Segnalazione di operazioni sospette: certezza del diritto, evidenza

probatoria e dubbio come virtù

Il massimo della collaborazione attiva è l’obbligo di segnalazione delle operazioni

sospette (SOS), il tema è anche quello dei luoghi comuni e dell’approssimazione che

rischiano di trasformarlo in un rebus concettuale, occorre dunque ragionare in

modo da restituire prevedibilità alla norma perché solo la certezza del diritto

consente l’impiego della forza; il dubbio è però il fulcro della norma infatti il 41

impone ai soggetti obbligati di inviare alla UIF una segnalazione di operazione

sospetta quando sanno o sospettano o hanno motivi ragionevoli di sospettare

riciclaggio o finanziamento del terrorismo, dunque ad eccezione di coloro che sanno

60

è innegabile che alla base della segnalazione vi sia lo stato dubitativo, sorprende poi

la qualificazione dell’operazione come sospetta stante la neutralità che la

contraddistingue e dunque può essere compreso ciò solo contestualizzandola come

già il legislatore del 1991 aveva suggerito analizzando le caratteristiche del caso

concreto; la locuzione “induca a ritenere” incarna lo stato di dubbio su cui poggia il

sospetto, un’interpretazione della norma indurrebbe a riordinare le posizioni

“sanno, hanno motivi per sospettare, sospettano” creando un climax discendente e

una scala che va dal dubbio alla certezza, tale lettura dilaterebbe la casistica delle

operazioni anticipando la segnalazione al livello del dubbio che confligge con la

stessa norma che nel comma successivo menziona “evidenze probatorie” come

supporto indefettibile di un sospetto, cioè le caratteristiche dell’operazione in

concreta su cui il dubbio è elevato a sospetto ponderato irrigidendo i confini

dell’aspetto psicologico che oggi sono esasperati dal mero sospetto di un tentativo

di riciclaggio; si registra allora una maggiore libertà nel percorso indirizzato alla

segnalazione che abbandona il rigore della rigida sequenza legata al convincimento

della provenienza illecita del bene tanto da ammettere che ad essere segnalata sia

un’operazione diversa e distinta rispetto a quella materialmente richiesta di

compimento.

L’importanza di una valutazione critica dei motivi a sostegno del sospetto di

riciclaggio connesso all’operazione segnalata è ricavabile dall’intero sistema che

scandisce i diversi momenti dal sorge del dubbio alla segnalazione:

- indicatori di anomalia � favoriscono lo sviluppo del sospetto sono elaborati

da Banca d’Italia ministero della giustizia e quello dell’interno secondo una

ripartizione dei compiti, sono criteri ad alta definizione in base ai quali le

categorie coinvolte possono orientare l’iter valutativo dell’operazione, tale

valutazione pur non implicando attività investigativa necessita della

conoscenza del cliente usando tutto il patrimonio informativo che garantisce

la necessaria contestualizzazione degli indici di anomalia, in tale prospettiva

sono fondamentali le indicazioni del Decalogo della Banca d’Italia e le

istruzioni operative della UIF che fanno riferimento alle caratteristiche

dell’operazione, sono linee guida non vincolanti o esaustive ma indirizzano

l’esame dei fatti il cui esito e responsabilità restano sul soggetto, si ricava

allora la centralità del processo valutativo

61

- iter interno � il modello per gli intermediari finanziari è su un duplice livello

di valutazione:

o segnalazione al responsabile aziendale dell’antiriciclaggio: l’operatore

segnala a questo soggetto che di norma è il legale rappresentante

dell’azienda

o segnalazione all’UIF: il responsabile non ha un mero compito notarile

ma procede ad una rivalutazione funzionale alla segnalazione all’UIF

sfruttando i maggiori elementi conoscitivi rispetto all’operatore

(processo valutativo a rafforzamento progressivo); a sostegno della

valutazione vi è il potente software GIANOS che però esalta il ruolo

soggettivo nel processo critico-valutativo, il programma si compone di

tabelle decisionali strutturate per consentire l’interpretazione

dell’operatività della clientela e individuarne comportamenti atipici, tali

tabelle sono costituite da operazioni correlate tradotte in algoritmi,

esse non risultano leggibili nei programmi informatici in modo da

rendere indispensabile una rivalutazione ad opera del segnalante,

invece la misura e il peso delle fasce di rischio sono in chiaro e

personalizzabili garantendo un aiuto all’operatore che non viene

ridimensionato ma resta il cardine del sistema

- trasmissione della segnalazione alla UIF � anche questa fase ribadisce

l’essenza del giudizio sotteso alla segnalazione in quanto lo schema della

segnalazione nel relativo modulo comprende un riquadro in cui indicare la

descrizione dei motivi del sospetto riportati in relazione agli indicatori di

anomali, la compilazione del quadro è essenziale a riprova di ciò vi sono le

segnalazioni risultate infondate perché prive della valutazione dell’operazione

e descrizione dei motivi del sospetto

Della norma può offrirsi una lettura alternativa considerando i motivi ragionevoli per

sospettare in modo autonomo come un tertium genus, infatti tali motivi sono gli

input che il soggetto avrebbe dovuto cogliere attraverso un’istruttoria adeguata,

una terza categoria in grado di elevare i compiti di vigilanza a livelli d’attenzione

superiore in cui rileva anche la colpa lievissima in relazione alla particolare

competenza che il legislatore ha scorto nell’obbligato, l’estensione della punibilità a

condotte superficiali o negligenti è insito nei ragionevoli motivi avallato da una

posizione normativa che evidenzia il climax senza stavolta ricorrere al correttivo

62

della postergazione di grado; anche tale interpretazione non sembra condivisibile

infatti non è plausibile pretendere dal privato l’assunzione di ruoli di intelligence così

tecnici e svincolati da un riferimento normativo certo.

Si riaffaccia allora il dubbio come una virtù in grado di gestire un sistema di rischio

con l’approccio di matrice anglosassone e la sanzione di stampo romanista

difficilmente conviventi, ciò evidenzia il conflitto tra giustizia e certezza del diritto,

nonostante si segnalano le disfunzioni di questo sistema non sono affrontate per la

prevalenza del diritto comunitario, ritorna allora la formula di Radbruch per cui il

diritto positivo conserva il suo predominio anche quando ingiusto e inadeguato a

meno che il contrasto tra legge e giustizia divenga intollerabile.

5.1.Il sesto senso dell’avvocato/professionista tra speciale attitudine e

conoscenza causale superiore

In un processo di interpretazione di segni così mutabili fondamentale è essere abile

a prendere decisioni, alla base di ciò vi sono delle sovrastrutture mentali frutto delle

conoscenze ed esperienze del decisore, le conseguenze pratiche si riflettono in una

soggettivizzazione del rischio generando un warning potenziato o al contrario una

sottovalutazione dell’anomalia, è qui che può esprimersi l’intuizione quale approccio

immediato in grado di guardare alla realtà senza costrizioni aprioristiche, è la sede

del sesto senso; il DLgs 231/2007 anticipa l’obbligo di decisione all’insorgere del

dubbio, essa si può fondare:

- sesto senso: quando vi è poco tempo per decidere è molte informazioni

- ragionamento: quando c’è molto tempo e va giustificata la propria scelta

L’avvocato che assiste il proprio cliente in operazioni finanziarie dovrà in breve

tempo valutare molte informazioni e procedere se del caso a segnalare senza ritardo

ove possibile prima di eseguire l’operazione, questo schema richiama la decisione

per intuizione, tuttavia la decisione intuitiva è per definizione inspiegabile

ponendosi in contraddizione con l’obbligo del segnalante di giustificare e descrivere

i motivi del sospetto, più appropriato sarebbe invece il modello analitico che

assicura la ricostruzione del processo decisionale che media il giudizio (euristica); i

richiami normativi al sospetto e al dubbio evidenziano l’importanza che da il

63

legislatore al sesto senso per cui possiamo affermare che la decisione è figlia

dell’interconnessione tra intuizione ed euristica del giudizio.

L’attività valutativa del professionista non si risolve in un percorso standardizzato

ma vi è una forte connotazione psicologica, ciò rende la disciplina preventiva

precaria per:

- asimmetrie socio-epistemologiche prodromiche alle segnalazioni: il fenomeno

della percezione selettiva fornisce un’ulteriore spiegazione alla resistenza

opposta dagli avvocati, in quanto non si potrebbe colmare il gap di questa

categoria con gli intermediari finanziari per il loro patrimonio conoscitivo

specifico

- disfunzioni concernenti lo standard oggettivo del dovere di diligenza: mettono

in crisi i tentativi di conciliazione delle esigenze di generalizzazione e di

personalizzazione dell’agente modello, , per cui il sesto senso dell’avvocato è

nella disciplina un elemento che concorre a delineare una figura differenziata

di agente modello traslando una particolare attitudine personale dalle

“speciali capacità” alle “maggiori conoscenze causali”, vi è dunque uno

stravolgimento dello standard di diligenza imponendo lo sfruttamento

integrale di una dote eccezionale sotto la minaccia della sanzione

In quest’ottica le deviazioni sistematiche (bias) dalle scelte corrette sul dovere di

segnalazione saranno considerate errori colposi dell’obbligato dotati di rilevanza

penale a prescindere dalla verifica della capacità del soggetto agente di uniformare il

proprio comportamento alla regola violata, vi è una vanificazione degli sforzi di

personalizzazione del giudizio di colpa e il risorgere della preoccupazione di evitare il

rischio di una strumentalizzazione dell’agente concreto per fini di difesa sociale e

tutela di beni giuridici.

5.2.La responsabilità professionale e principio deontologico vs delazione

Un sistema che ha al centro la delazione è sicuramente instabile, la dilatazione dei

soggetti obbligati ha ampliato formalmente la fonte di SOS cui non è seguito un

aumento delle segnalazioni come evidenziato dal governatore Draghi per cui i

professionisti sono restii a ciò, questo per una cultura professionale fondata su

64

principi deontologici che fanno prevalere la riservatezza sull’obbligo di delazione

nonostante la clausole di deresponsabilizzazione da ciò; si confrontano sul tema due

blocchi di norme:

- norme che blindano il segreto professionale: 622 cp 200 cpp 118 249 cpc che

combinate con quelle dell’ordinamento professionale non si limitano a

disciplinare il segreto professionale ma ne evidenziano le diverse nature per

cui l’avvocato deve rispettare il proprio status anche quando è chiamato a

collaborare con l’amministrazione della giustizia

- norme antiriciclaggio: individuano nei destinatari degli obblighi di

collaborazione agenti al servizio della legalità vedendo l’avvocato come un

ausiliario della polizia giudiziaria

il Consiglio nazionale forense ha preso posizione evidenziando la necessità di

rispettare il segreto professionale che trova fondamento direttamente nella

Costituzione nel diritto di difesa, dunque una normativa antiriciclaggio efficace e

ragionevole deve raccordarsi con la disciplina professionale dell’avvocato a

cominciare dal segreto professionale.

Il legislatore a tutela dell’avvocato delatore deresponsabilizza la segnalazione non

considerandola violazione degli obblighi di segretezza, l’uso del termine obbligo e

non di diritto evidenzia la prospettiva assunta di tutela del cittadino, si evidenzia

dunque un rapporto di proporzionalità inversa tra obbligo di segretezza e obbligo di

segnalazione, fondamentale è il riferimento al 12c DLgs 231/2007 che puntualizza la

limitazione del coinvolgimento degli avvocati ai casi di operazioni finanziarie o

immobiliari di trasferimento o gestione di denaro o di conti o società tratteggiando

l’ambito di competenza dei consulenti legali (business lawyer), a fare da contraltare

a tale disposizione vi è una riespansione dell’obbligo di segretezza per le

informazioni che l’avvocato ottiene dal cliente nell’espletamento del ministero

difensivo, la questione controversa è allora nella zona grigia fra attività di difesa

(sicuramente esclusa dalla delazione) e quella di consulenza para-giuridica, è

possibile distinguere allora 3 tipi di attività:

- legata al procedimento giurisdizionale in itinere con l’espletamento di difesa o

rappresentanza

65

- svincolata da un procedimento in itinere ma di natura strettamente giuridica

in cui possono rientrare l’esame della posizione giuridica del cliente e la

consulenza sull’eventualità di intentare un procedimento

- para-giuridica svincolata da un procedimento in itinere o in fieri, è l’attività del

business lawyer � solo in relazione a questa si pone l’obbligo di segnalazione

tale interpretazione è in linea con la posizione comunitaria e l’unica in grado di

stemperare lo sgretolamento del segreto professionale.

I pilastri della riservatezza e della fiducia che sorreggono il segreto professionale

come base del diritto di difesa non possono scivolare in secondo piano dinanzi una

politica criminale del sospetto, eppure la formula di chiusura del 41 ha proprio tale

tenore, escluso che le segnalazioni possano violare l’obbligo di segretezza non

portano responsabilità di alcun tipo se poste in essere in buona fede per le finalità di

legge, vi è così un vulnus al rapporto fiduciario sotto un duplice profilo:

- violazione della riservatezza delle notizie scambiate tra le parti

- libertà di comunicazione tra avvocato e cliente

infatti obbligare l’avvocato a mettere a disposizione dello Stato le notizie riservate

dell’assistito significa calpestare il rapporto fiduciario che gli ha consentito di

acquisirle; le preoccupazioni crescono se l’attenzione si sposta sugli obblighi di

creazione di database l’accesso ai quali non è neppure subordinatamente

condizionato al sospetto di riciclaggio; ma il colpo di grazia al legame fiduciario è la

compromissione della libertà di comunicazione tra professionista e cliente che si ha

col divieto di tipping-off ex 46 che vieta al primo di dare comunicazione

dell’avvenuta segnalazione al di fuori dei casi di legge e non si può comunicare

all’interessato o a terzi che è in corso o può essere svolta un’indagine in materia di

riciclaggio o finanziamento al terrorismo.

Si estromette il cliente dai flussi informativi sia in uscita ma ancor più discutibile

quelli di ritorno (48) infatti è fatto divieto anche di dare notizia a questi di

segnalazioni conclusesi con l’archiviazione, ma allora come può continuare un

rapporto di fiducia in queste circostanze? perché al cliente non è assicurato almeno

il flusso di ritorno consentendogli di sospettare della propria banca o cambiarla?

66

5.3.Financial Intelligence Unit interna e attori protagonisti del

palcoscenico della prevenzione

In un sistema dove la segnalazione alimenta la disciplina preventiva antiriciclaggio la

FIU ne rappresenta il cuore, concluso il livello di valutazione dell’obbligato la FIU

esercita le funzioni di ricezione approfondimento e trasmissione alla competenti

autorità di informazioni finanziarie, inizialmente le sue funzioni era dell’Ufficio

italiano cambi ora dell’Unità di Intermediazione Finanziaria (UIF) presso la Banca

d’Italia con un peculiare regime giuridico, questa non ha personalità giuridica è

regolata da un regolamento della Banca d’Italia che le attribuisce mezzi e risorse per

i propri fini, resta però l’autonomia sul piano operativo e gestionale, la sua attività si

distingue sia dall’analisi investigativa che dalla repressione del reato valorizzando la

funzione di collegamento e filtro.

La razionalizzazione del DLgs 231/2007 ha interessato l’intera prevenzione in

particolare i poteri delle autorità coinvolte affidate alla responsabilità del ministero

delle finanze tramite il Comitato di sicurezza finanziaria con funzione di

coordinamento, la UIF provvede a inoltrare le SOS agli organi investigativi (Direzione

Investigativa Antimafia e Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della GdF) ovvero

all’autorità giudiziaria, salvo decida l’archiviazione; quest’ultimo passaggio non è

fondato su basi solide ma su una sostanziale deregolamentazione anche se sono allo

studio linee precise.

La UIF sottopone le SOS a un’attività di analisi e apprendimento grazie a un vasto e

diversificato parco di fonti informative (dalle autorità di vigilanza alle UIF estere) che

consentono lo studio particolareggiato di ogni operazione segnalata confluendo in

una relazione tecnica che è allegata alla SOS, qualunque sia la destinazione di

quest’ultima la relazione fornisce un approfondimento e agevolazione per il

proseguo delle indagini o del procedimento giurisdizionale anche in caso sia disposta

l’archiviazione, questa è una forma sui generis in quanto è posta comunque in modo

da consentire la consultazione degli organi investigativi, non vi sono però criteri in

base ai quali decidere l’archiviazione e addirittura peggiorativa è l’intenzione

dell’UIF di operare la relazione solo per casi meritevoli di approfondimento

rendendo l’operato più efficace ma impossibile il controllo degli organi investigativi.

67

Il problema è generato dalla crescita delle segnalazioni che congestionano l’azione

di vigilanza, più opportuno sarebbe focalizzare l’attenzione sulla difficoltosa

selettività delle SOS, è discusso poi anche il modello prescelto per la UIF sarebbe

infatti preferibile una collocazione presso istituti giudiziari per valorizzare gli aspetti

collaborativi con la magistratura oppure presso le strutture di polizia coniugando le

funzioni di intelligence con quelle di rango investigativo riducendo l’esito

dell’istruttoria alla secca alternativa archiviazione/trasmissione all’autorità

giudiziaria smaltendo i tempi di una collaborazione tra UIF e PG sempre più intensa

con inutili duplicazioni di passaggi e perdite di tempo vista la distinzione netta fra i

due organi.

In realtà l’UIF svolge un’analisi tattica sulle segnalazione che può confermare la

fondatezza del sospetto o indurre a ravvisare un fumus di reato, nel primo caso

trasmette le SOS al NSPV o alla DIA che ne informano il Procuratore nazionale

antimafia qualora siano attinenti alla criminalità organizzata, nel secondo caso le

SOS sono trasmesse direttamente all’autorità giudiziaria che probabilmente

richiamerà in gioco l’UIF con compiti di consulenza tecnica; un sistema lento non

migliorato dalla recente introduzione della possibilità per l’UIF di sospendere

l’operazione sospetta a seguito di una specifica istruttoria convalidata da decreto

del giudice di durata massima di 5 giorni lavorativi, troppo breve per bloccare

l’ingresso dei proventi illeciti nel mercato ma abbastanza lungo da danneggiare

gravemente l’attività economica del segnalato, a ciò si aggiunga la

deresponsabilizzazione della UIF per segnalazioni infondate cui si cercato di porre

rimedio recuperando la responsabilità per danni cagionati con dolo o colpa grave.

Riguardo il sistema dei controlli in generale vi è un’imponente mole di soggetti che

sovraintendono ex art 7 al rispetto della normativa antiriciclaggio, una fitta trama di

flussi informativi che vedono affianco a interventi ispettivi generali approfondimenti

mirati rivolti anche a operazioni sospette non segnalate, che pecca però dove il

controllore non ha supervisione programmatica salvo gli insufficienti riferimenti al

controllo potenziale degli organi investigativi agevolato dalle modalità di evidenza

imposte all’UIF, e ai poteri ispettivi del Nucleo della GdF in funzione integrativa

dell’attività di verifica della UIF, strumenti poco penetranti che non riescono ad

assicurare un livello anche minimo di tutela al segnalato.

68

5.4.La collaborazione attiva e la deriva internazionalistica

Se il giudizio sulla disciplina preventiva si focalizzasse sul numero di segnalazioni

sarebbe sicuramente positivo, questo dato isolato però non è decisivo in quanto non

è la segnalazione lo scopo ultimo della collaborazione attiva, invece un’analisi

attenta dimostra l’esito fallimentare del sistema causato dagli eccessi, un quadro in

cui anche l’aumento esponenziale di segnalazioni si rivela dannoso quasi un

ostacolo, ciò favorito dalla disciplina di matrice comunitaria che ha generato pecche

evidenziate anche dalla Banca d’Italia, fra queste la dilatazione della nozione di

riciclaggio a fini preventivi che ingloba anche l’autoriciclaggio, poi l’aumento delle

categorie di soggetti tenuti alla segnalazione; difetti cui le proposte della UIF di

sostituire la relazione tecnica con forme meno complesse non risolvono e anzi

peggiorano infatti il carico si scaricherebbe sugli organi investigativi costretti a fare

un lavoro ulteriore.

I tempi di gestione delle SOS sono quindi molto elevati, al 2008 in media 70 giorni, e

inoltre ben il 90% di esse sono state trasmesse agli organi investigativi, dunque una

funzione praticamente inutile per la UIF e anzi dannosa perché genera un ritardo

che poi si riflette sulle indagini, il trend è comunque quello dei paesi con un analogo

sistema come Germania e USA; tali risultati evidenziano l’annullamento dei benefici

della segnalazione cioè immediatezza della reazione e fattore sorpresa, in un

sistema lento in cui le azioni sono falciate dalla prescrizione e che da preventivo non

può che trasformarsi in repressivo però privo delle garanzie di civiltà giuridica per il

segnalato; l’Unità va dunque soppressa non ottemperando ai suoi fini di filtro tra

segnalato e anticrimine e separazione della fase preventiva da quella repressiva,

auspicabile è invece un sistema judical model o law enforcement model che ha

come unici due sbocchi l’archiviazione o la trasmissione all’autorità giudiziaria.

5.5.Criticità sistemiche ignorate: l’aspetto sanzionatorio

L’apparato sanzionatorio del DLgs 231/2007 si compone di 6 delitti 2

contravvenzioni 15 illeciti amministrativi, senza dubbio imponente all’opposto delle

esigenze di depenalizzazione, dove l’anticipazione della punibilità fino alla messa in

pericolo non sempre risulta agganciata al principio di offensività, certo sono ovvie le

ragioni di politica criminale ma le sanzioni dovrebbero tener conto delle incertezze

69

dell’accertamento e finiscono per perdere la loro forza repressiva nella scarsa

determinatezza della fattispecie, vi è poi grande confusione per l’abuso del rinvio e

la genericità nell’individuare condotte e soggetti.

Le sanzioni penali sono al 55 mentre quelle amministrative al 56 e ss, emerge una

gerarchia degli obblighi in quanto le sanzioni più gravi riguardano gli obblighi di

acquisizione informativa su cui si regge il KYC per cui sanzioni penali sono per

l’identificazione e registrazione, invece la segnalazione riceve una sanzione

amministrativa pecuniaria dall’1% al 40% dell’operazione ed eventuale

pubblicazione della pena; tuttavia la norma penale colpisce anche condotte di scarsa

offensività come l’omessa o falsa identificazione e registrazione anche in casi fortuiti

ovvero le irregolarità di tipo organizzativo degli organi di controllo delle persone

giuridiche; paradossalmente invece l’omessa istituzione dell’archivio unico

informatico è un illecito amministrativo.

Il 55 punisce innanzitutto con la multa da 2.600 € a 13.000 € l’inosservanza degli

obblighi di adeguata verifica, pari pena si ha per chi omette la registrazione o è

tardiva o incompleta, aggravante a effetto speciale si ha con l’uso di mezzi

fraudolenti e raddoppia la pena nei casi di:

- violazione dell’obbligo di identificazione della clientela

- omessa tardiva o incompleta registrazione delle informazioni

- omessa o falsa indicazione delle generalità del soggetto per conto del quale è

eseguita l’operazione

a sua volta è sanzionato il cliente che omette o dà falsa indicazione delle generalità

del beneficial owner con reclusione da 6 mesi a 1 anno e multa da 500 € a 5.000 €,

invece in caso di ostacolo all’acquisizione delle informazioni la pena è arresto da 6

mesi a 3 anni e ammenda da 5.000 € a 50.000 €; è sanzionata per il cliente anche

l’omessa o falsa informazione sullo scopo o natura del rapporto continuativo o della

prestazione professionale riflettendo il 181c

che impone tra gli obblighi di adeguata

verifica del cliente proprio quello di ottenere informazioni sullo scopo e natura, tale

sanzione però è connotata da un’eccessiva anticipazione della punibilità fino alla

colpa e oblitera la tutela di beni giuridici fondamentali come la privacy, inoltre è una

norma molto confusionaria perché accanto a rapporto e prestazione manca il

riferimento all’operazione ovvero alla movimentazione di mezzi di pagamento,

70

inoltre dubbi applicativi investono il generico obbligo di dire la verità alla base della

forma di manifestazione commissiva del reato cioè l’aver l’esecutore delle

operazioni fornito informazioni false, tuttavia la contravvenzione è ristretta dalla

condotta di falso al solo profilo intenzionale che insieme alla clausola “salvo il fatto

costituisca più grave reato” finisce col vanificare l’efficacia della norma.

Sul piano amministrativo gli illeciti sono distinti in 2 categorie:

- relativi agli obblighi di prevenzione

- relativi la violazione delle basilari limitazioni all’uso del contante e dei titoli al

portatore

a viziare anche questo impianto sanzionatorio è la confusa convergenza tra

responsabilità del soggetto e delle persone giuridiche, ma soprattutto un incongruo

meccanismo di quantificazione della sanzione pecuniaria inspiegabilmente

agganciata a una percentuale delle operazioni divenendo eccessiva in caso di

operazioni finanziarie di alto valore aumentando il dilemma se segnalare o meno, se

poi si aggiungono i dubbi sul momento in cui scatta l’obbligo di segnalazione e che a

rilevare siano principalmente omissioni dovute a negligenza o disattenzione del

segnalante crescono le preoccupazioni.

5.6.Test empirici di inefficienze congenite

Dai grafici si evidenzia una crescita esponenziale del numero delle segnalazioni che

però al contrario è indice del fallimento del sistema che viene sovraccaricato, e

infatti la quasi totalità delle SOS è trasmessa agli inquirenti ma solo una piccola

parte arriva al giudice e una parte minima a condanna; dal punto di vista soggettivo

il segnalatore principale resta la banca seguita da Poste invece i professionisti in

particolare gli avvocati sono coinvolti in maniera praticamente nulla, sia per ragioni

di deontologia professionale che li legano al cliente sia per situazioni sociali esterne

di pressioni che distolgono dalla segnalazione, infatti esaminando la distribuzione

geografica delle segnalazioni ricalca in negativo la mappa del crimine; altro

confronto infine va fatto tra segnalazioni geograficamente distribuite e PIL delle

singole regioni evidenziando un maggior numero di segnalazioni dove il PIL è più

elevato proprio per il legame economico del reato; il sistema delle segnalazioni si

71

rivela funzionante solo nelle realtà geografiche dove la criminalità è meno pervasiva

e invece è inapplicato nelle regioni ad alto rischio.

Capitolo V:

LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEGLI

ENTI DA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITI

72

1.Un’esigenza di diritto interno maturata alla luce del diritto

internazionale

La progressiva organizzazione del crimine è alla base della deindividualizzazione

della criminalità economica e da ciò derivano esigenze di incriminazione collettiva

anticipate da risposte internazionali e poi recepite a livello interno; riguardo

l’aspetto fenomenologico va registrata la graduale penetrazione dell’ente nella

criminalità economica per cui l’impresa è elevata a soggetto inconsapevolmente

strumentalizzato dal riciclatore (colpa di organizzazione) o soggetto attivo di

riciclaggio (politica d’impresa); tale ruolo dell’ente è stato compreso da convenzioni

internazionali già alla fine degli anni ’90 invece in Italia è stata la legge 146/2006 a

far rispondere l’ente per fatti di riciclaggio o reimpiego attuati con modalità

transnazionali, vi è dunque una doppia condizione per il reato presupposto cioè che

abbia i requisiti del cp e che sia punito con reclusione non inferiore nel massimo a 4

anni e che sia commesso con modalità transnazionali; ciò ha generato una

pericolosa incongruenza perché non si puniscono fatti dello stesso tipo ma interni, e

non ha rilievo osservare come l’apparato organizzativo sia necessario per fatti

transnazionali perché può ritrovarsi anche in fatti nazionali; il vuoto legislativo che

aveva depotenziato la forza repressiva è stato colmato dal decreto delegato

231/2007 che ha esteso la responsabilità a fatti interni.

2.Le complicazioni fenomenologiche e gli spazi scoperti del societas

delinquere non potest

Per la criminalità economica il modello di riferimento del delinquente individuale

finisce col rivelarsi inservibile perché non adeguato alle connotazioni e prestazioni

superiori dell’organizzazione, la criminalità d’impresa ha una natura plurisoggettiva

e pluricentrica in cui centrale è il ruolo dell’ente, sarebbe dunque deleterio il

rispetto dell’antico principio societas delinquere non potest come già evidenziato

dal Bricola tempo fa; la massimizzazione dell’utilità perseguita dal crimine con

l’ottimizzazione delle risorse e il contenimento dei rischi di discovery spiega gli sforzi

della criminalità tesi al mantenimento dell’asimmetria informativa con l’anticrimine

e giustifica la criminalizzazione dell’ente, ciò è sostenuto da chiare esigenze legate a:

73

- superamento del modello weberiano

- peculiarità organizzative della corporate governante post industriale

- caratteristiche di autogestione flessibilità e decentralizzazione endo-aziendale

- parcellizzazione dei processi causali dell’ente

ed è consentito dall’abbandono del principio di umanità ad ogni costo e dal

riconoscimento della volontà sociale come consistente realtà per cui l’ente da pura

sintesi di relazioni interpersonali acquisisce soggettività reale e colpevolezza

autonoma dal dolo (politica d’impresa) alla colpa (colpa di organizzazione o di

reazione), e pur non volendo accettare l’idea di un’impresa redimibile comunque la

sanzionabilità funge da deterrente per cui il modello fondato sulle rational choices

troverà applicazione nella realtà imprenditoriale imponendo un adeguamento del

sistema repressivo ma soprattutto di quello preventivo; ancora una volta dunque

non si può prescindere da una base consensuale in quanto la prevenzione dipende

dall’autorevolezza delle norme che sia in grado di generare un rispetto per

convinzione, dunque solo in base a un modello consensuale si può auspicare

l’assunzione di ethics based programs endoaziendali in grado di generare protocolli

decisionali interni che riducano la necessità dei controlli penali esterni, si archivia

così definitivamente l’antico brocardo.

3.L’art 25octies DLgs 231/2001: ampliamento del numerus clausus e

riflessi sulla compliance aziendale

Il microsistema della responsabilità amministrativa dell’ente da reato delineato dal

DLgs 231/2001 fa si che l’ente risponda penalmente delle condotte integrate dai

soggetti che al suo interno rivestano anche di fatto una posizione apicale o

subordinata qualora tali condotte siano compiute nel suo interesse o a suo

vantaggio e siano sussumibili fra i reati presupposto, di queste il legislatore fornisce

un numero chiuso che risponde a esigenze di certezza e tassatività pur nel suo

ritmico ampliamento con il sistema della numerazione a seguire, ne consegue

l’auspicato coinvolgimento degli enti in ossequio a postulati di razionalità

criminologica, un’estensione accompagnata dall’eliminazione di una grave

disarmonia internormativa infatti il 641 d 2007 ha abrogato le norme che limitavano

la responsabilità dell’ente alla configurazione transazionale della fattispecie, per cui

74

anche su base nazionale la realizzazione ad assetto collettivo di 648 e ss cp genera

una responsabilità dell’organizzazione con applicabilità di una sanzione pecuniaria

da 200 a 800 quote, ovvero in caso il provento sia da delitto per il quale vi reclusione

superiore nel massimo a 5 anni la sanzione è da 400 a 1000 quote, in aggiunta vi

sono poi sanzioni interdittive per durata non superiore a 2 anni.

Il contrasto al riciclaggio risulta fondato sul sistema degli obblighi di collaborazione

attiva teso al superamento dell’approccio statico verso una gestione del rischio

dinamica e dall’interno, il DLgs 231/2007 si salda col DLgs 231/2001 creando un

unicum il cui centro non è più la mera conformazione passiva alla regola ma

l’assorbimento dei principi legali come tappa di un iter di centralizzazione etica

come aspetto reputazionale dell’azienda spendibile sul mercato; cosicché l’impresa

è indotta a sviluppare anticorpi in grado di preservarla dalla sanzione assicurando al

contempo un surplus economico grazie all’ottimizzazione dei processi interni e al

maggiore appeal sul mercato, l’ente è spinto all’adozione e attuazione di modelli

organizzativi e gestionali idonei a monitorare il rischio di riciclaggio (risk analysis) e a

eliminare o minimizzare le potenzialità di verificazione (risk assessment e risk

management); è una politica criminale allineata con gli obblighi di adeguata verifica

e segnalazione sulle persone fisiche e come in quest’ultima mancano schemi

normativamente predefiniti di un modello organizzativo standard, ma d’altra parte

si richiedono schemi personalizzati e flessibili per ogni azienda affinché la misura sia

efficace e non mero adempimento burocratico, e infatti il 73 DLgs 231/2001 lega la

corretta strutturazione del modello alla natura dell’ente per un’adeguata

predisposizione dei protocolli aziendali che saranno calibrati sui rischi che corre

l’ente; dunque tutto questo apparato normativo mira a costituire un monito alle

società per sensibilizzarle ad adempiere ai doveri di controllo.

3.1.Meccanismi di iscrizione del fatto all’ente: la dibattuta questione

dell’interesse e vantaggio

Il policentrismo della criminalità economica impone il confronto con forme di

imputazione che vanno necessariamente al di là della responsabilità individuale o

dei classici paradigmi concorsuali per approdare a modelli collettivizzati, si

inseriscono meccanismi ascrittivi oggettivi e soggettivi nuovi, vi sono infatti

75

fattispecie a struttura complessa nell’ambito delle quali la condotta del soggetto si

innerva su un tessuto organizzativo inadeguato alla prevenzione proiettandosi

nell’interesse o a vantaggio dell’ente, dunque perché un ente possa rispondere del

reato presupposto dimensione normativa (posizione qualificata dell’agente) e

naturalistica (proiezione del reato nell’interesse dell’ente) devono combinarsi tra

loro; l’ascrizione del fatto all’ente andrà tenuta distinta dalla sua colpevolezza (reato

imputabile alla mancata adozione di modelli organizzativi) e a maggior ragione dalla

realizzazione monosoggettiva di reati presupposto che nell’ente rinvengano solo

l’occasionale contesto espressivo.

Affinché la responsabilità dell’ente non si trasformi in responsabilità collettiva è

necessario un accertamento in concreto dell’interesse inteso quale perimetrazione

della condotta dell’ente in grado di confermarne il primo livello d’appartenenza, la

ricostruzione dell’interesse in termini oggettivi rivitalizza l’espressione “a suo

vantaggio” infatti è noto che l’ente non risponde se le persone indicate hanno agito

nell’interesse esclusivo proprio o di terzi che dunque è una circostanza interruttiva

del nesso di iscrizione oggettivo in ossequio al principio della personalità della

responsabilità penale; se si accettasse una connotazione soggettiva dell’interesse si

finirebbe con disattivare la funzione di responsabilizzazione societaria proprio nei

casi in cui come per le più complesse operazioni di riciclaggio di proventi illeciti si

assiste a una parcellizzazione del contributo causale in grado di mettere in crisi la

ricostruzione psicologica della condotta complessiva; in altri termini si finisce con

l’identificare l’interesse collettivo col motivo dell’azione criminosa e ciò renderebbe

problematica la capacità del criterio di agganciare il reato all’ente nel suo complesso

perché i fattori che si assumerebbero come rilevanti non si distinguerebbero

strutturalmente da quelli che costituiscono il rimprovero individuale; l’approccio

appena descritto dovrà indurre a una lettura dell’operazione di riciclaggio che non

prescinda dall’esame del suo contenuto, delle modalità esecutive e del risultato per

cui si dovrà investigare i connotati reali della condotta in grado di rivelarne le

potenzialità lucrative per l’ente (dalle anomalie finanziarie alle anomalie di rapporti

intersoggettivi), elementi che potranno segnare il coinvolgimento dell’ente in ogni

fase del riciclaggio con diverse modalità partecipative ed espressioni soggettive dalla

colpa di organizzazione alla politica d’impresa.

76

4.Organismo di vigilanza interno ex DLgs 231/2001: il riciclaggio da

“moltiplicatore di ricchezza” a moltiplicatore di posizioni di garanzia?

L’introduzione del 25octies DLgs 231/2001 ha conferito ulteriore importanza agli

aspetti organizzativi in funzione dei controlli interni, si è voluto rafforzare il sistema

di blindatura dell’ente dalle ingerenze criminali incidendo profondamente sulla

governante aziendale per contrastare il processo di scivolamento irriflessivo verso la

decisione illegale imponendo una pausa di ponderazione che spinga verso la

decisione legale; questo è anche il restyling del 52 DLgs 231/2007 infatti la norma

non si riferisce esclusivamente al consiglio di sorveglianza o al comitato di controllo

di gestione ma richiama espressamente l’organismo di vigilanza (OdV) che sarà

tenuto agli obblighi di comunicazione e prima di vigilanza, tale organo risulta mutato

geneticamente su due punti:

- il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli trasmuta

nella osservanza delle norme di cui al DLgs 231/2007

- la esternalizzazione di un organismo fin ora contraddistinto da rilevanza

aziendale in conseguenza degli obblighi di comunicazione non solo diretti al

titolare ma ora anche alle autorità di vigilanza di settore e al ministero

dell’economia

perplessità sorgono ove tale organo sia sistemato in posizione di garanzia in grado di

determinare una potenziale responsabilità per riciclaggio commissivo mediante

omissione, ove si ritenesse configurabile una responsabilità del compliance office ex

402 cp dovremmo affermare che il riciclaggio da “moltiplicatore di ricchezza” diviene

“moltiplicatore di posizioni di garanzia” in virtù di tale estensione di responsabilità.

Analizzando il DLgs 231/2007 è possibile isolare una responsabilità penale dell’OdV

ex 555 che sanziona con reclusione fino a 1 anno e multa da 100 € a 1000 € chi

essendovi tenuto omette di effettuare la comunicazione di cui al 522, tuttavia il

reato proprio di omessa comunicazione da parte degli organismi di controllo non va

confuso con la responsabilità omissiva da posizione di protezione, se si ricostruisce

l’obbligo di garanzia secondo i principi penali costituzionalizzati questo è l’obbligo

giuridico gravante su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente

forniti di adeguati poteri giuridici di impedire eventi offensivi di beni altrui affidati

alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di proteggerli, si può dunque apprezzare la

77

differenza con l’obbligo di sorveglianza che è l’obbligo giuridico gravante su

specifiche categorie di soggetti privi di poteri giuridici impeditivi di vigilare su altrui

attività per conoscere dell’eventuale commissione di fatti offensivi e informare il

titolare del bene; proprio quest’ultima è la tipologia di obbligo dell’OdV cioè un

semplice obbligo di attivarsi non un obbligo di garanzia.

La struttura dell’OdV non comporta un mutamento del tipo di controllo che resta

incardinato sul monitoraggio del rispetto delle norme preventive ma al più dei

destinatari dell’eventuale comunicazione che ora sono anche esterni, ciò è

confermato dalle modifiche al 52 DLgs 231/2007 per cui il “decreto correttivi” ha

chiarito che lo specifico obbligo di vigilanza grava su tutti i componenti degli organi

di controllo delle società destinatarie della normativa antiriciclaggio che hanno

notizia delle eventuali violazioni realizzate specificando che la vigilanza compete a

ciascun componente secondo le proprie attribuzioni e competenze, vi è così un

rafforzamento del canale informativo sotto il profilo contenutistico (norme

antiriciclaggio) e dei destinatari (autorità esterne), non vi è nessuna trasformazione

dall’attività di controllo all’obbligo giuridico di impedire il laundering in azienda, non

vi è dunque responsabilità penale (ex 402 cp) per mancato impedimento del delitto

ma vi è punibilità per omessa sorveglianza.

Infine la netta demarcazione tra responsabilità per omessa comunicazione sul OdV e

responsabilità per riciclaggio commesso mediante omissione che non gli è ascrivibile

è in linea con la finalità della normativa antiriciclaggio di azzerare il gap informativo

in quanto la complessità dell’’economia impedisce alle istituzioni un’adeguata

conoscenza locale, che con tale sistema sembra garantita; dunque a una prima

lettura lo strumento penalistico diretto all’orientamento culturale dell’impresa, a un

arricchimento cognitivo delle situazioni locali sembra da plaudire.

Tuttavia la strategia normativa non è quella della piramide di Braithwaite (alla base

dialogo, al centro deterrenza in base a costi/benefici, all’apice coercizione) ma

quella che fa perno sul cardine penalistico senza considerare gli obiettivi di profit

aziendali, e infatti accogliere la normativa significa acquisire nuove e più specifiche

competenze i cui costi restano a carico del destinatario senza essere controbilanciati

da incentivi, inoltre a parte le resistenze della naturale lealtà fattuale (lega l’OdV ai

fini anche illeciti dell’azienda) il rischio di inottemperanza alla norma è aggravato

dallo sviamento di funzioni dell’OdV la cui costituzione è legata all’esistenza di un

78

modello ex 231 e dunque formalmente facoltativa una volta costituito sarà

penalmente obbligato al rispetto dei compiti dell’art 52 finendo col destinarvi la

maggior parte delle sue risorse essendo più rischiosa una svista sui profili

antiriclaggio e dunque tralasciando altri profili di sicurezza dell’azienda.

5.L’aspetto sanzionatorio e la confisca obbligatoria

La sanzione è l’unico strumento usato dal legislatore per raggiungere l’obiettivo e

diviene il debole propulsore di un sistema di collaborazione coattiva in cui deve

indirizzare l’OdV al difficile e innaturale compito di controllore antiriciclaggio indurre

l’imprenditore a schermare l’azienda con un modello organizzativo, fermare le

pulsioni criminose; l’esito è fallimentare per 3 motivi:

- consensuale � è difficile coinvolgere con la sola minaccia, servono dunque

altri strumenti di moral suasion

- strutturale � ove pure fosse approntato un modello organizzativo idoneo

non si potrebbe parlare di ethics based programs perché la società si

conformerà ai controlli senza interiorizzarne il valore di legalità ma vedendoli

solo come costi

- genetico � la sanzione è viziata da profonde disarmonie interne infatti la

forbice pecuniaria (100 1000 €) è sperequata rispetto a quella interdittiva,

inoltre da un punto di vista sistematico mentre l’omessa segnalazione di

operazioni sospette comporta una sanzione amministrativa l’omessa

comunicazione della medesima infrazione da parte dell’OdV fa scattare una

sanzione penale, per spiegare ciò si potrebbe riconsiderare il ruolo dell’organo

in un ottica di maggior rigore come titolare di una posizione giuridica di

garanzia, tuttavia soluzione scartata per i dubbi di costituzionalità in punto di

determinatezza e tassatività

si deve inoltre segnalare come la raffica di nuove incriminazioni sia in

controtendenza rispetto l’esigenza di depenalizzazione da più parti sollevata, si

investe infatti anche la persona giuridica di responsabilità solidale per violazioni ex

57 e 58 DLgs 231/2007 in quanto il 59 la prevede anche in caso di mancata

identificazione o non perseguibilità dell’autore delle violazioni; la disposizione è

completata dal 25octies DLgs 231/2001 che prevede sanzioni interdittive che

79

colmano le inefficienze sanzionatorie della pena pecuniaria pur non risolvendo la

sostanziale incongruità della scelta sanzionatoria che per molti aspetti non ricalca la

scala del cp e tradisce l’ordine imposto dalla natura dei delitti contro il patrimonio

mediante frode che già nell’inferno dantesco erano più gravi di quelli violenti perché

minavano la rete etica degli obblighi sociali.

Fra i molti difetti della disciplina vanno apprezzati i progressi in termini di maggiore

specificità e completezza degli obblighi di legge, da apprezzare è l’introduzione del

648quater cp che dispone in caso di condanna o applicazione della pena su richiesta

la confisca obbligatoria del prodotto o profitto del riciclaggio o dell’impiego,

nonostante il carattere cautelare la misura finisce ad avere connotati punitivi,

questa possiede alcune caratteristiche peculiari che la differenziano dal 12 sexies l

356/1992 che è rafforzata, ancora una volta il punto dolente è infatti la prova della

provenienza illecita su cui il legislatore lavora su 2 fronti:

- ampliare i poteri investigativi del PM che può compiere ogni attività

integrativa di indagine che si renda necessaria circa i proventi da sottoporre a

confisca

- assottigliare il comparto probatorio necessario, ciò grazie la sincronizzazione

tra 12sexies e 648quater mentre la prima consente di sequestrare e poi

confiscare i beni del condannato per riciclaggio e reimpiego

indipendentemente dal nesso di pertinenzialità con il reato ma previo

accertamento dell’esistenza di una sproporzione tra reddito dichiarato e

patrimonio disponibile la seconda postula il rapporto di pertinenzialità e

derivazione concentrandosi su prodotto o profitto del reato ma senza ulteriori

oneri probatori

ad affilare ulteriormente la confisca è il secondo comma del 648quater che prevede

la confisca per equivalente, per cui la ratio della norma è che il reato non deve

rendere e neanche l’occultamento del profitto, la confisca assume allora un ruolo

centrale grazie anche all’estensione della confisca di valore nel sistema di

responsabilità amministrativa dell’ente da reato ex 19 DLgs 231/2001; restano

comunque le perplessità di un sistema di controllo esclusivamente penalistico per

cui come scrive Luderssen è tempo di recuperare la responsabilità per i giuristi della

progettazione in materia politico-criminale.

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