Il costo della salute materna in Sierra Leone

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YERIE MARAH Yerie Marah aveva 22 anni quando è morta vicino la sua casa, nel villaggio di Sokralla, distretto di Koinadugu, il 5 novembre 2008. La sua bambina è morta 40 giorni dopo. Yerie Marah e Mahmoud Sawaneh sono stati insieme per sei anni, da quando erano adolescenti. Entrambi Mandingo, uno dei 16 gruppi etnici della Sierra Leone, appartenevano alla stessa comunità. Nessuno dei due era andato a scuola. Yerie, che aveva cinque fratelli, e Mahmoud vivevano in una piccola abitazione, composta da una sola stanza, nel centro del villaggio di Sokralla, vicino alle loro famiglie. Mahmoud, come molti in Sierra Leone, pratica un’agricoltura di sussistenza che non gli permette di avere un reddito. Durante la stagione delle piogge (da maggio a ottobre), è più difficile guadagnare del denaro per mancanza di raccolti. Il COSTO DELLA SALUTE MATERNA IN SIERRA LEONE

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Testimonianze di donne della Sierra Leone

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YERIE MARAH

Yerie Marah aveva 22 anni

quando è morta vicino la sua casa, nel villaggio di Sokralla, distretto di Koinadugu, il 5 novembre 2008. La sua bambina è morta 40 giorni dopo.

Yerie Marah e Mahmoud Sawaneh sono stati insieme per sei anni, da quando erano adolescenti. Entrambi Mandingo, uno dei 16 gruppi etnici della Sierra Leone, appartenevano alla stessa comunità. Nessuno dei due era andato a scuola. Yerie, che aveva

cinque fratelli, e Mahmoud vivevano in una piccola abitazione, composta da una sola stanza, nel centro del villaggio di Sokralla, vicino alle loro famiglie. Mahmoud, come molti in Sierra Leone, pratica un’agricoltura di sussistenza che non gli permette di avere un reddito. Durante la stagione delle piogge (da maggio a ottobre), è più difficile guadagnare del denaro per mancanza di raccolti.

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IN SIERRA LEONE

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2 Settembre 2009

Yerie aspettava la seconda figlia. Mahmoud ha raccontato ad Amnesty International: “La sua prima gravidanza è stata normale e nostra figlia, che ora ha cinque anni, è nata in casa”. Il 4 novembre 2008, Yerie è entrata in travaglio. “Erano le 8 del mattino quando Yerie ha avuto le prime contrazioni. Alle 11 ho affittato una moto per portarla in una clinica (la struttura sanitaria periferica di Heremakono) e ha partorito subito dopo essere arrivata” – ha riferito Mahmoud. Secondo la levatrice tradizionale, che era presente al parto, la placenta era stata completamente espulsa, ma Yerie ha iniziato a sanguinare subito dopo. Rebecca, l’assistente della clinica che si occupava di salute materna e infantile, le ha somministrato l’ergometrina, che provoca una contrazione dei muscoli uterini e riduce le perdite di sangue placentari, per fermare le perdite e farle espellere il sangue coagulato. L’assistente ha raccontato ad Amnesty International che “dopo aver partorito, Yerie ha iniziato a sanguinare moltissimo. L’ho sollecitata ad andare all’ospedale di Kabala, ma sia Yerie sia Mahmoud si sono rifiutati, credo perché non avevano soldi. Ero davvero preoccupata, ho anche detto alla levatrice che ha assistito al parto, che avrebbero avuto dei problemi se non l’avessero portata in ospedale”. Rebecca avrebbe avvisato Yerie, sottolineando che “se c’è un problema, lui sposerà un’altra donna, ma tu non ci sarai più”. Ha detto, inoltre: “Credo che Yerie non volesse essere un peso e sapeva che il marito non aveva denaro, per questo non ha insistito per andare in ospedale. Capita spesso da queste parti”. I colloqui di Amnesty International coi familiari di Yerie e col personale di Care, un’organizzazione di aiuti internazionali, hanno confermato che in questi casi il denaro è un serio problema. Subito dopo il parto, Mahmoud è partito per comprare qualcosa per la bambina e fare in modo che Yerie trovasse un pasto al suo ritorno a casa. “Yerie voleva accompagnarlo, ma ho protestato e le ho detto di rimanere in clinica” – ha raccontato Rebecca. Quando Mahmoud è ritornato in clinica, qualche ora dopo, “Yerie mi ha chiesto di nuovo di poter uscire” – ha proseguito Rebecca. “Ho notato che aveva una normale secrezione post parto che contiene sangue e muco (lochia). Yerie era molto pallida e debole, aveva perso tanto sangue, ma era ansiosa di tornare a casa. Immagino volesse semplicemente che tutto tornasse alla normalità al più presto. Poi ho saputo che si è alzata e ha detto che andava tutto bene. Erano le 3 del pomeriggio e ho detto loro che potevano andare a casa”. Secondo il racconto di Mahmoud “dopo che Yerie è stata dimessa dalla clinica, siamo tornati a piedi a casa. Tutto sembrava andare bene. Arrivati a casa, Yerie si era addormentata e, quando si è svegliata, abbiamo parlato e scherzato sul nome da dare alla bambina, che abbiamo deciso di chiamare Mariama”.

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3 Settembre 2009

Più tardi, in serata, quando Yerie è andata in bagno, sua mamma, Sirrah Gibateh, si è accorta che stava sanguinando abbondantemente. Sirrah ha raccontato, piangendo: “Sapevo che qualcosa stava andando storto. Ha sanguinato per tutta la notte. Le abbiamo suggerito di allattare perché spesso riduce l’emorragia. Dopo aver allattato la bimba ha insistito per andare al fiume a lavarsi”. Mahmoud ha riferito: “Le ho detto di lavarsi a casa, ma Yerie ha insistito per andare al fiume. Ed è andata da sola. Appena arrivata, un vicino l’ha notata e ha detto di averla vista piangere e lamentarsi per il mal di testa e le vertigini. Pochi minuti dopo è arrivato suo zio, cui ha chiesto di andare a cercare la madre e la sorella”. Le donne sono corse in suo aiuto. Sirrah ha detto: “L’abbiamo trovata collassata per terra, il corpo rigido. Quando l’abbiamo portata a casa, era completamente rigida”. Secondo la levatrice tradizionale: “Yerie ha perso molto sangue, era disidratata, pallida e debole. Il fratello di Mahmoud ha mandato una moto per prelevare l’assistente per la salute materna e infantile, che ha detto ‘Quando sono arrivata, Mahmoud era isterico. Ho trovato Yerie morta. Yerie è stata sepolta più tardi nel villaggio’”. Un’altra tragedia ha colpito la famiglia 40 giorni dopo, quando la piccola Mariama è morta, sembra a causa della malnutrizione. Mahmoud ha detto: “Sono ancora a lutto per la morte di Yerie e di mia figlia. È colpa della povertà se tutto questo è successo. Ora devo occuparmi della bambina che è ancora viva e assicurarmi che vada a scuola”.

EMMAH BANGURA Emmah Bangura è morta di

setticemia dopo un blocco del travaglio, nell’ospedale di Kambia nell’aprile del 2008 (nella foto la sua sepoltura). Il bambino è nato morto.

Emmah ha incontrato il suo secondo marito, Hassam Kargbo, dopo la guerra. La donna aveva già avuto tre bambini dal precedente matrimonio. I suoi familiari non

avevano grande stima di Hassam perché non riusciva ad avere un lavoro stabile.

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4 Settembre 2009

Secondo sua zia, Beatrice Bangura, Emmah chiedeva in continuazione soldi e riso perché l’uomo non aveva mai abbastanza denaro. Nonostante tutto Emmah era innamorata di Hassam e faceva di tutto per piacergli, compreso avere rapporti sessuali ogni volta che lui voleva, anche subito dopo la nascita dell’ultimo bambino. Sebbene Hassam fosse musulmano, Emmah, che era cristiana, era la sua unica moglie, e perciò secondo Beatrice Bangura: “Lui voleva molto sesso… non riusciva mai ad aspettare che lei finisse di allattare”. Secondo i costumi della Sierra Leone, i rapporti sessuali durante l’allattamento sono proibiti. Il primo figlio di Hassam ed Emmah non aveva neanche un anno quando la donna è rimasta incinta di nuovo. All’inizio ha negato la gravidanza “perché voleva proteggere suo marito”. Le infermiere dell’ospedale di Kambia, dove lavora un’altra sua zia, Isatu Turray, e nel quale Emmah aveva partorito in precedenza, l’hanno rimproverata per aver deciso di avere un altro bambino così presto. Emmah Bangura era una donna minuta. Il suo soprannome era “Kinkini”, proprio perché era esile. Al contrario il marito è molto alto (circa 1,80 m). Già il precedente parto della donna era stato difficile a causa delle dimensioni del bambino. Durante la gravidanza lamentava dolori alla schiena e ai fianchi ma, durante i controlli prenatali, non le era mai stato riferito di alcun problema né le era stato detto che il feto era particolarmente grande.

MAFEREH KAMARA Mafereh Kamara, è morta all’età di 33 anni, nell’ospedale di Kambia il 20 novembre 2008. Quando Mafereh è arrivata in ospedale, aveva già perso molto sangue e, secondo il personale in servizio quel giorno, era molto pallida e debole. Le è stato praticato un cesareo il giorno stesso e il bambino era morto. Le è stata fatta una flebo, ma in realtà aveva bisogno di una trasfusione di sangue. Secondo i dati dell’ospedale, il suo tasso di emoglobina era a sei, sintomatico di una grave anemia. In ospedale non c’era sangue del suo gruppo e quello dei familiari presenti in quel momento non era compatibile. A mezzogiorno, la famiglia ha mandato qualcuno a cercare sua sorella gemella, che viveva in un villaggio nelle vicinanze, perché le donasse il sangue. Sfortunatamente, Mafereh è morta prima che lei arrivasse.

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5 Settembre 2009

HAWA DABOR

Hawa Dabor è morta il 19 marzo 2008 mentre dava alla luce due gemelli, nel centro di salute materna e infantile di Lengekoro, nel distretto di Koinadugu.

Hawa era alla sesta gravidanza. Durante la quarta aveva avuto un parto cesareo, mentre la quinta era stata normale e aveva partorito senza alcun problema. Sfortunatamente, i numerosi problemi sorti durante la sesta gravidanza

hanno causato la sua morte. Hawa ha avuto le prime contrazioni la sera del 18 marzo 2008. Dopo diverse ore è arrivata al centro di salute materna e infantile, dove le è stato subito detto di recarsi immediatamente all’ospedale di Kabala per il parto. La famiglia (nella foto il marito e il figlio) ha iniziato immediatamente a raccogliere denaro per pagare il viaggio in ospedale, ma a quell’ora della sera c’erano poche macchine in strada. Hanno cercato disperatamente un modo per portarla in ospedale, ma il centro non disponeva di alcun sistema di comunicazione (né radio né telefono), e l’assistente sanitaria non ha potuto fare altro che somministrarle una flebo, nella speranza che passasse qualche macchina. Ma questo non è accaduto e Hawa è morta alle 2.30 del mattino, insieme ai suoi gemelli nati morti.

BINTA BARRIE

Binta Barrie ha quasi rischiato di morire di parto nel gennaio 2009. Solo l’intervento di un “buon samaritano”, che ha pagato il taxi e le tariffe dell’ospedale, le ha salvato la vita.

Binta Barrie ha partorito il 6 gennaio 2009 a Crossing,

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6 Settembre 2009

zona vicino Freetown. Ha raccontato ad Amnesty International: “Avevo previsto di partorire in clinica, ma quando sono iniziate le contrazioni, ho chiamato la levatrice tradizionale perché era notte fonda e lei è venuta a casa. Soffrivo moltissimo. La levatrice mi ha detto di spingere. Così ho fatto e ho spinto fino a che ho partorito. Subito dopo, non mi sentivo bene e ho iniziato a sanguinare molto. La levatrice non sapeva cosa fare, così la mia famiglia mi ha portato subito in clinica e da qui immediatamente in ospedale”. Secondo Janet, l’assistente per la salute materna e infantile che si è occupata di Binta in ospedale: “Questo è quello che fanno alcune levatrici. Non sono competenti e convincono le donne a spingere; questo è molto pericoloso perché le donne spingono anche con una placenta ritenuta, esattamente come è successo a Binta. Quando la ragazza ha iniziato a sanguinare, la levatrice è andata via e la famiglia, presa dal panico, è corsa qui da noi. Ho dato loro una barella per trasportarla, nel frattempo ho sentito l’infermiera in servizio nel distretto che mi hanno detto di mandare lì la paziente. Dopo che la famiglia mi aveva riferito di non avere denaro a sufficienza, ho consigliato loro di andare comunque in ospedale altrimenti Binta sarebbe morta. Alle 18.30 Binta è arrivata all’ospedale di maternità Princess Christian. Prima era stata portata a Waterloo e da qui in macchina al Princess Christian. Di solito noleggiare un veicolo per questi spostamenti costa circa 45.000 leoni (12 euro), 15.000 per raggiungere Waterloo e 30.000 per arrivare da qui in ospedale. Grazie all’intervento di un “buon samaritano”, che ha pagato le spese del viaggio e dell’ospedale, quando Binta è arrivata è stata portata immediatamente in sala operatoria. La placenta ritenuta è stata rimossa e, dopo avere passato tutta la notte in ospedale, è stata dimessa il giorno dopo”.

ADAMA KAMARA

Adama Kamara aveva 25 anni quando è morta nella sua abitazione, il 27 dicembre 2008, nel villaggio di Kapairo, distretto di Kambia. Suo marito (nella foto) non è riuscito a trovare i soldi per pagare le medicine di cui aveva bisogno.

Adama era alla quinta gravidanza. Aveva avuto tre figli, mentre uno era nato morto, con Pa Abu Kamara, suo marito, a sua volta padre di sette figli avuti dalle altre due mogli. Il 24 dicembre, quando è entrata in travaglio prematuro, Adama era al sesto mese di gravidanza. Il giorno seguente, mentre era ancora a

casa sotto il controllo della famiglia, era chiaro che stava soffrendo per un travaglio prolungato. La sera, il marito l’ha portata nell’ospedale di Kambia, spendendo 40.000 leoni (circa 10 euro), chiesti in prestito a un vicino. Giunti in ospedale, Pa Abu Kamara ha dovuto pagare altri 2000 leoni (circa

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0.50 euro) per la registrazione e 10.000 (circa 3 euro) per il letto, oltre alle spese per le medicine. Durante la sua permanenza in ospedale di circa due giorni, non c’è mai stato un dottore e le infermiere le hanno fatto diverse flebo. Il secondo giorno, quando Pa Abu Kamara è tornato in ospedale, dopo diverse ore, Adama aveva partorito ma il bambino non era sopravvissuto. Nonostante Adama stesse sanguinando abbondantemente e malgrado la politica di cure gratuite del governo, non c’erano medicinali gratuiti. L’infermiera che era in servizio presso l’ospedale di Kambia ha detto a Pa Abu Kamara che doveva pagare le medicine per Adama o “sarebbe morta”. Pa Abu Kamara ha riferito ad Amnesty International: “Non avevo più soldi. Ho riportato Adama a casa. Era evidente che non stava bene, ma non volevo pagare le spese dell’ospedale per il corpo, che sono di 60.000 leoni (circa 18 euro)”. Quando è stata portata via dall’ospedale, Adama delirava e non riusciva a parlare. Adama è morta a casa il giorno dopo. Pa Abu Kamara soffre per la morte di Adama e del suo bambino. Sta ancora pagando i debiti contratti per portare Adama in ospedale e pagare le medicine.

NEINIE MANSARAY

Nienie Mansaray, 28 anni, di Kamanso nel distretto

di Koinadugu, ha bisogno di un intervento che non può permettersi. Sposata con un agricoltore, ha un solo bambino ancora in vita e ha avuto tre gravidanze difficili. Durante la seconda gravidanza arrivò all’ospedale di Kabala dopo cinque ore di viaggio su un’amaca. Qui, le hanno diagnosticarono una fistola, un’enorme fessura tra la vagina e il retto (e in alcuni casi la vescica) solitamente causata da un travaglio difficile e prolungato. Neine ha raccontato ad Amnesty International: “Sono dovuta andare a Freetown per un intervento per operare questa fistola. Mi dissero che se fossi

rimasta incinta di nuovo, avrei dovuto fare un cesareo”. Il suo terzo bambino è nato nell’ospedale di Kabala 16 mesi prima che Amnesty International la incontrasse. Neinie ha riferito ad Amnesty International: “Il dottore ha praticato un taglio cesareo e ci ha chiesto 995.000 leoni (300 euro circa). Non potevamo pagare la somma intera in una volta, pertanto oggi sto ancora pagando”. Il costo del cesareo di Neinie è

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stato molto più alto rispetto agli altri centri sanitari pubblici e ospedali citati da Amnesty International. Il suo taglio cesareo non è stato eseguito perfettamente e questo le ha provocato un’ernia ombelicale. Per Neinie adesso “è difficile lavorare”. “Devo operarmi all’ernia ma sto ancora pagando il cesareo e non possono permettermi un altro intervento” – ha riferito la donna.

ABIBATU COLE Abibatu Cole è morta il 24 luglio 2008 presso l’ospedale di maternità Princess Christian. Prima di morire, ha dato alla luce una bambina. Insieme a suo marito James, un guardiano, Abibatu aveva deciso di partorire presso la clinica Soroti, una struttura privata di Freetown dove la donna aveva ricevuto cure prenatali. Ma quando Abibatu è entrata in travaglio, sua sorella ha deciso di portarla al Princess Christian. James ha detto ad Amnesty International: “Abbiamo discusso se andare alla clinica Soroti perché lì conoscevano Abibatu e, se qualcosa fosse andato storto, potevano fornirle le cure giuste. Non volevo andare al Princess Christian perché costava troppo e perché non credo che curino bene i pazienti”. Quando Abibatu è arrivata all’ospedale, il 21 luglio, le hanno detto che aveva bisogno di un cesareo d’emergenza. James ha riferito ad Amnesty International: “Ho incontrato il dottore in servizio e mi ha detto che avrei dovuto pagare 700.000 leoni (circa 200 euro) per il servizio. Dopo avergli risposto che non avevamo una tale somma di denaro, mi ha proposto di pagarne 400.000 (circa 110 euro)”. Mentre la famiglia cercava di mettere insieme il denaro per il cesareo, Abibatu ha dato alla luce una bambina. James ha detto: “Sono rimasto stupito dal fatto che avesse avuto un parto naturale. Le infermiere mi hanno chiesto di pagare 200.000 leoni (circa 60 euro) per il parto e ho versato la somma. Dopo il parto, Abibatu è dovuta rimanere in ospedale per diversi giorni perché le sue condizioni di salute sembravano peggiorare”. Il 24 luglio le infermiere hanno chiamato James in ospedale perché la donna aveva bisogno urgente di un trasfusione. James ha riferito ad Amnesty International: “Sono corso in ospedale con il fratello di Abibatu, che ha il suo stesso gruppo sanguigno. Mentre le facevano la trasfusione, Abibatu ha guardato in alto verso di me e mi ha detto che non le piaceva come stavano andando le cose. Ha chiesto alle infermiere di rimuovere l’ago. Proprio in quell’istante si è arresa ed è morta”. Successivamente Amnesty International ha appreso che nella cartella clinica di Abitatu c’era scritto che era morta per un’anemia. “Non ci hanno mai detto la causa della sua morte. So solo che devo prendermi cura della mia piccola bambina”.

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9 Settembre 2009

ADAMA TURAY

Adama Turay, 33 anni, è morta il 4 dicembre 2008 mentre si trovava in un taxi, in un parcheggio, diverse ore dopo aver dato alla luce la sua bambina.

Il 3 dicembre 2008, quando iniziarono le contrazioni, Adama decise di andare da una levatrice tradizionale a Kroo Bay, Freetown, vicino casa sua. Il giorno dopo dette

alla luce una bambina ma, subito dopo il parto, le è salita la temperatura e ha iniziato a vomitare. Quando ha cominciato a perdere sangue, la famiglia si è attivata per cercare il denaro necessario a portarla in ospedale. Hassan, il marito di Adama, è un lavoratore precario che guadagna circa 10,000 leoni al giorno (due euro). Durante gli ultimi sei mesi di gravidanza della donna, Hassan si è ammalato e ha dovuto smettere completamente di lavorare. Neanche Adama aveva un lavoro stabile. Questa situazione ha impedito loro di mettere da parte dei risparmi per le emergenze. Sarah (nella foto), la sorella di Adama, ha raccontato ad Amnesty International: "Dopo diverse ore, abbiamo accumulato 200.000 leoni (circa 46 euro). All'inizio il taxi ci ha chiesto 70.000 leoni (16 euro) ma noi gliene abbiamo dati 40.000 (9 euro). Pensavamo di usare il resto per l'ospedale". Sia Hassan che Sarah hanno accompagnato Adama durante la corsa di 40 minuti in taxi fino all'ospedale, ma Adama è morta nel parcheggio alle 8 di mattina, tre ore dopo aver partorito. Hanno dovuto pagare altri 40.000 leoni (circa 9 euro) al tassista per portare il corpo in un obitorio. "Credo che sia morta perché non avevamo soldi e, quindi, non siamo arrivati in tempo in ospedale", ha raccontato Sarah ad Amnesty International. "L'abbiamo portata dalla levatrice tradizionale perché non avevamo i soldi per portarla in ospedale".

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10 Settembre 2009

SAFFIATU JALLOH Quando nel settembre del

2008 ha avuto diverse complicazioni durante la gravidanza, Saffiatu Jalloh è riuscita a ottenere un prestito dalla cassa di risparmio del villaggio per pagare la cure d’urgenza.

Dopo una visita in una clinica prenatale nel settembre 2008, le è stato detto che il bambino non era nella posizione giusta

ed è stata mandata nell’ospedale pubblico di Kabala. Ma, invece di andare in quest’ospedale, dove secondo Saffiatu non avrebbe ricevuto delle buone cure, si è recata presso l’ospedale cattolico St. John of God a Lunsar, nel vicino distretto di Bombali. Lunsar, che si trova lungo la strada principale tra Makeni e Freetown, dista circa tre o quattro ore di macchina dal villaggio e per arrivare hanno dovuto pagare 50.000 leoni (circa 14 euro). Saffiatu ha passato diversi giorni in ospedale prima di partorire ed è stata dimessa il giorno dopo il parto. Presso quest’ospedale, Saffiatu ha pagato 5000 leoni (1,50 euro) per la registrazione, 10.000 (3 euro) per l’iscrizione, 15.000 (4 euro) per le tasse amministrative, 25.000 (8 euro) per il parto, che è stato naturale, e 60.000 (18 euro) per le medicine. La famiglia ha raccontato di aver dovuto pagare una tassa aggiuntiva per la stanza, altri 300.000 leoni (80 euro). Saffiatu e suo marito alla fine hanno preso in prestito 600.000 leoni (circa 180 euro) dalla cassa di risparmio del villaggio. Quando le è stato chiesto cosa le sarebbe successo senza il prestito del villaggio Saffiatu ha riflettuto e ha detto: “Se non avessi avuto quel denaro, forse sarei morta”.

Le storie descritte sono state estratte dal rapporto di Amnesty International “Out of

reach. The cost of maternal health in Sierra Leone” (AFR 51/005/2009)