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Pentateuco e libri storici. Appunti di introduzione 2012-13 1 Introduzione al corso "Antico Testamento/Pentateuco" Anno Acc. 2012-13 Appunti sulle lezioni introduttive Il corso AT/Pentateuco È richiesta la lettura previa dei libri del Pentateuco dalla traduzione CEI. La conoscenza del contenuto di questi libri, sarà considerata già acquisita durante le lezioni. Bisognerà anche scegliere un volume di "Storia di Israele", argomento affrontato solo occasionalmente durante il corso. È bene sapere che l'argomento (storia di Israele), sarà anche oggetto di esame. Non posso indicare un unico volume come manuale per il corso di Pentateuco, diventa perciò necessaria la presenza alle lezioni. Per l'esame sarà richiesto: - Lo studio di uno dei libri di "Storia di Israele" indicati durante il corso; - Lo studio dell'introduzione e degli approfondimenti esegetico-teologici proposti in classe (ho già indicato alcuni possibili riferimenti bibliografici sui fogli del "programma") - La lettura dei testi o degli studi esplicitamente indicati durante le lezioni. Per il nostro corso potremmo seguire diversi approcci alla materia. La via della tradizione: il racconto biblico letto come inizio della storia salvifica. Molte questioni nate negli ultimi secoli di approfondimento, ci sfuggirebbero, o ci terrebbero impegnati tanto a lungo da interrompere ben presto il nostro percorso (per esempio la storicità di racconti come i primi undici capitoli della Genesi); La via monografica: un libro del pentateuco da analizzare nel dettaglio evitando di prolungarci su questioni introduttive, scegliendo inoltre un taglio specifico nella lettura del testo. Ma questa via, che pure presenta il grande vantaggio dell'approfondimento, lascerebbe fuori questioni estremamente importanti per chi studia la Sacra Scrittura come Rivelazione divina alla base dell'edificio teologico e della vita cristiana. La nostra scelta: scegliamo un'impostazione classica che passerà da una introduzione generale a premesse ermeneutiche a saggi di esegesi e di teologia biblica. Se solo si prova ad osservare il panorama che fa da sfondo ai libri biblici, pur limitandolo ai soli primi cinque libri, si nota la quantità di considerazioni previe e di conoscenze scientifiche necessarie per compiere una lettura almeno corretta dei testi. Né si può pensare di approfondire ciascun ambito in maniera specialistica come pure non si potrà per questo rinunciare del tutto all'impresa, almeno per rendersi conto delle diverse problematiche di cui tener conto.

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Pentateuco e libri storici. Appunti di introduzione 2012-13

1

Introduzione al corso "Antico Testamento/Pentateuco"

Anno Acc. 2012-13

Appunti sulle lezioni introduttive

Il corso AT/Pentateuco

È richiesta la lettura previa dei libri del Pentateuco dalla traduzione CEI. La conoscenza

del contenuto di questi libri, sarà considerata già acquisita durante le lezioni.

Bisognerà anche scegliere un volume di "Storia di Israele", argomento affrontato solo

occasionalmente durante il corso. È bene sapere che l'argomento (storia di Israele), sarà anche

oggetto di esame.

Non posso indicare un unico volume come manuale per il corso di Pentateuco, diventa

perciò necessaria la presenza alle lezioni.

Per l'esame sarà richiesto:

- Lo studio di uno dei libri di "Storia di Israele" indicati durante il corso;

- Lo studio dell'introduzione e degli approfondimenti esegetico-teologici proposti in

classe (ho già indicato alcuni possibili riferimenti bibliografici sui fogli del "programma")

- La lettura dei testi o degli studi esplicitamente indicati durante le lezioni.

Per il nostro corso potremmo seguire diversi approcci alla materia.

La via della tradizione: il racconto biblico letto come inizio della storia salvifica. Molte

questioni nate negli ultimi secoli di approfondimento, ci sfuggirebbero, o ci terrebbero

impegnati tanto a lungo da interrompere ben presto il nostro percorso (per esempio la storicità

di racconti come i primi undici capitoli della Genesi);

La via monografica: un libro del pentateuco da analizzare nel dettaglio evitando di

prolungarci su questioni introduttive, scegliendo inoltre un taglio specifico nella lettura del

testo. Ma questa via, che pure presenta il grande vantaggio dell'approfondimento, lascerebbe

fuori questioni estremamente importanti per chi studia la Sacra Scrittura come Rivelazione

divina alla base dell'edificio teologico e della vita cristiana.

La nostra scelta: scegliamo un'impostazione classica che passerà da una introduzione

generale a premesse ermeneutiche a saggi di esegesi e di teologia biblica.

Se solo si prova ad osservare il panorama che fa da sfondo ai libri biblici, pur

limitandolo ai soli primi cinque libri, si nota la quantità di considerazioni previe e di

conoscenze scientifiche necessarie per compiere una lettura almeno corretta dei testi. Né si

può pensare di approfondire ciascun ambito in maniera specialistica come pure non si potrà

per questo rinunciare del tutto all'impresa, almeno per rendersi conto delle diverse

problematiche di cui tener conto.

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Molteplicità di approcci allo studio dell'AT

Se è evidente che lo studio della Bibbia in una Facoltà Teologica non è lo stesso che si

può fare in una facoltà di letteratura antica, è altrettanto evidente (cfr. Introduzione generale

alla Sacra Scrittura) che non si possono ignorare quelle questioni che hanno a che fare con il

Pentateuco in quanto frutto dell'attività umana, perciò condizionata nel tempo e nello spazio.

Si pone così la necessità di considerare problemi che vanno dalla composizione letteraria dei

nostri testi, alla storia della composizione del testo, alle epoche storiche di cui essi parlano, al

contesto storico-geografico in cui questi testi nacquero, alle influenze letterarie con altri scritti

dell'Oriente Antico (Cronologia, Geografia, Storia, Archeologia, Ambiente culturale-letterario

dell'Antico Oriente ecc.).

Sono perciò molteplici le prospettive che possono regolare il nostro studio.

Le questioni che affronteremo in concreto sono:

Pentateuco/Torah, tradizione greca e tradizione ebraica; tradizione ebraica e tradizione

cristiana.

Cosa è il Pentateuco, come si colloca all'interno dell'AT e dell'intera Bibbia. Perchè

parlare di un Pentateuco e non di un tetrateuco o di un esateuco o enneateuco così come

propongono alcuni studiosi (il problema è di natura essenzialmente storico-ermeneutica).

Quale è lo stato attuale degli studi storico-critici sul Pentateuco. Quali le sue

caratteristiche teologico-letterarie?

Quale rapporto tra la storia narrata dal Pentateuco e la storia come realtà verificabile.

Quali sono gli approcci scientifici al Pentateuco come parte della Bibbia ebraico-

crisitana.

Parlare del Pentateuco dal punto di vista scientifico, come faremo espressamente nella

prima parte del corso è utile ma, tenendo fede all'interesse che ci ha condotto ad occuparci di

questi libri, tenteremo una lettura esegetica di alcuni testi dai diversi libri, per aprire degli

orizzonti di riflessione teologica. Saranno così lette alcune parti dei cinque libri e studiati

esegeticamente con l'intenzione di fornire una metodologia, se possibile ricca, non ridotta ad

un unico metodo di lettura, di alcuni brani scelti.

Con queste premesse è ovvio che non tutto potrà essere svolto nelle lezioni. Si tenga

inoltre presente che come primo corso biblico, vi è da sopportare una fatica maggiore

relativamente, ad es. alla storia e geografia di Israele; archeologia; critica testuale e così via.

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Tutti sforzi che faciliteranno, ed è questa la ricompensa, uno studio approfondito delle altre

parti della Bibbia.

La parte relativa ai libri storici sarà affrontata negli incontri seminariali.

IL TESTO E LA CRITICA TESTUALE DELL'AT

L'argomento é stato già affrontato nel trattato generale di Introduzione alla Sacra

Scrittura per cui qui si riprenderanno le principali nozioni relative all'AT.

Come é noto non possediamo scritti autografi degli autori biblici. Questo sarebbe

problematico anche solo supporlo dato il carattere di composizione per accrescimento proprio

degli scritti biblici, non confrontabili, per es., con un romanzo composto da un autore

moderno. Il principale testo critico su cui leggiamo o da cui traduciamo la parte maggiore

dell'AT é la Biblia Hebraica Stuttgartensia (= BHS) da integrare in parte (per noi cattolici)

con la Bibbia dei LXX diffusa soprattutto nell'edizione del Rahlfs per quanto concerne i libri

della Sapienza, 1-2 Maccabei, Giuditta, Tobia e le parti deuterocanoniche di Daniele e di

Ester.

Le edizioni ebraica e greca sopra citate, sono dette edizioni critiche, nate cioé da un

lavoro di ricerca e di confronto tra i diversi manoscritti, più o meno antichi, che ci sono stati

trasmessi nel tempo in diverse copie. Alla base dei testi che noi abitualmente leggiamo in

traduzione, vi sono dunque edizioni critiche che forniscono un testo ricavato dal confronto tra

i diversi manoscritti che talvolta presentano tra loro varianti più o meno rilevanti. Il lavoro

della critica testuale é appunto quello di confrontare tra loro le diverse varianti per stabilire,

sulla base di criteri scientifici, un testo che per quanto possibile sia il più vicino a quello che

doveva essere il testo originale. Nel campo biblico il lavoro, pur complesso e minuzioso per la

peculiarità del testo in questione, é facilitato rispetto ad altri scritti antichi per la qualità dei

manoscritti sempre molto accurati. Nonostante ciò vi é un certo numero di "varianti", casi in

cui i manoscritti non concordano tra loro, che bisogna analizzare per la proposta di quella

ritenuta migliore.

Come si diceva il cammino all'indietro, verso un ipotetico testo originario, si complica

per il lungo processo di formazione e di stabilizzazione a cui i testi sono andati incontro nella

loro evoluzione.

Per il testo ebraico distinguiamo solitamente in tre periodi:

1. fluttuazione del testo: fin verso la fine dell'epoca veterotestamentaria si ha

testimonianza (per es. confrontando i testi ebraici con quelli della LXX) di una certa

fluttuazione del testo nei diversi manoscritti. Ciò risulta, per esempio da alcuni casi di

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trasposizione di passi; per es. i vaticini di Geremia nel TM (= Testo Masoretico) si trovano

nei cc 46-51 mentre nei LXX si ritrovano da 25,14ss.

Non solo trasposizione: il testo di Geremia dei LXX è di un ottavo più breve del TM. Vi

sono anche divergenze nei vocaboli. I testi ritrovati a Qumran, dopo la famosa scoperta

archeologica che portò alla luce manoscritti biblici che vanno dal II-III sec. a.C. al I d.C., pur

confermando l'antichità del TM presentano in qualche punto maggior vicinanza con il testo

dei LXX.

2. fissazione del testo consonantico: dal I sec. a.C. al VI d.C. si impone un tipo testuale

ebraico, un testo autorevole che sarà utilizzato sia come base per nuove versioni in greco

(Simmaco, Aquila, Teodozione), che dal TM come pure dalle citazione dei rabbini e nelle

traslitterazioni delle exapla origeniane.

3. fissazione del testo vocalico: dal 500 al 900 d.C. Opera dei Masoreti (da

MSR=tramandare) che svolgono un'opera accuratissima, curando sin nel dettaglio i propri

manoscritti, sino a conservare anche l'errore di trascrizione fatto da predecessori e riportato

nel testo (Ketib), con l'indicazione laterale della correzione (Qeré). In basso ed in alto rispetto

al testo posero dei commenti, anch'essi utili per la critica testuale: masora grande; ai margini

del testo la masora piccola e alla fine la masora finale.

In questo modo le varianti si ridussero a poca cosa.

Tra le migliaia di codici esistenti si è scelto, come testo base delle edizioni critiche

moderne (Kittel, Stuttgartensia), il Codice di Leningrado del 1008-1009 d.C.. Si tratta di un

TM vocalizzato dalla famiglia di ben Asher (l'altra famiglia di vocalizzatori Ben Naphtali,

ebbe poco seguito).

Qualche informazione sulla MASORA per l'uso dell'AT ebraico:

MASORA FINALIS: liste al termine di ciascun libro della Bibbia Ebraica, che

solitamente presentano un conto dei versetti del libro, ma possono includere anche

informazioni addizionali sul libro o su sezioni del testo. Così, per il Deuteronomio ci viene

riferito che il libro ha un totale di 995 versetti; che il suo punto centrale si trova inin 17,10;

che ha 31 sedarim e che nella Torah ci sono in tutto 5.845 versetti, 167 sedarim, 79.856

parole e 400.945 lettere. Queste informazioni costituiscono una sorta di controllo generale del

testo.

MASORA MARGINALIS: si tratta di note che i masoreti hanno inserito al margine del

testo. Quella ai margini laterali viene chiamata Masora Parva (Mp), mentre quella che si trova

nell'alto e nel basso del testo viene detta Masora magna (Mm). Le note contenute

commentano il testo, preservano tradizioni non-testuali, identificano infrequenti parole o

combinazioni di parole, identificano il punto centrale di un libro o di grandi sezioni del libro,

forniscono alcune informazioni statistiche e contengono liste di concordanze. Va notato che la

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Mm non é contenuta nello stesso volume della BHS ma é pubblicata in un volume a parte

"Masora Gedolah". Questo consiste in liste di termini, assomiglia ad una concordanza.

Del Testo Ebraico esisteva una pluralità di forme nel I sec. a.C;. Certamente nel 100

d.C. esisteva la forma che poi sarà quella del TM insieme ad altre. Esistevano fino a

quell'epoca testi (o un testo) proto-masoretico (ne sono testimonianza, per es. il Pentateuco di

Qumran o i manoscritti di Wadi Murabba’at come pure quelli di Nahal Hever. Dopo lunghe

vicende il Testo proto-masoretico divenne il testo tipo dei masoreti, sottoposto, a partire dai

primi decenni dell'era cristiana, a un dettagliato lavoro di fissazione.

Per le forme testuali ebraiche non-masoretiche

1) Manoscritti di Qumran: vi sono forme masoretiche e forme non masoretiche. Con

Qumran siamo andati a testi più antichi di 1000 anni! In questo sito sono stati ritrovati

molteplici tipi di testo ma il TM viene sostanzialmente confermato nella sua validità.

2) Pentateuco Samaritano: molto antico (tra il I e il IV a.C.). Si allontana dal TM in

6.000 casi; in 1.900 di questi casi concorda con la LXX. Esistono versioni antiche del PS:

greco Samaritikon. Il codice più antico per il PS risale al 1115 d.C., Cambridge.

3) Frammenti della Genizah del Cairo (scoperti nel 1890), circa 200.000, in una

edizione curata dal Kahle. Seguono il TM con poche varianti.

4) Papiro Nash: II sec. a.C; . È il più antico che possediamo. Contiene il Decalogo e lo

Shemà (Dt 6,4)

Aggiungiamo infine che il lavoro critico che si è fatto per l'edizione del Kittel e poi per

quella Stuttgartensia non è una novità in assoluto. Già nell'antichità si avvertiva la necessità di

un testo su cui basarsi. Per la BH (Bibbia Ebraica) Textus Receptus fu la Bibbia rabbinica

scoperta a Venezia nel 1518 contenente il testo dell'AT assieme alla Masora e al Targum ed

una selezione di commenti giudaici medievali. Fu la norma per tutte le Bibbie Ebraiche

stampate, fino ai testi più recenti.

TRADUZIONI

LXX. La prima traduzione e la più importante per il ruolo che avrà nella formazione del

canone cristiano. La sua formazione è leggendariamente descritta dalla lettera dello Pseudo-

Aristea (II a.C.). Il Pentateuco é molto fedele al testo Ebraico. Così pure i libri storici. Per altri

testi vi é qualche problema in più. Su circa 350 citazioni dell'AT nel NT, 300 sono prese dai

LXX, considerato testo ufficiale nella Chiesa cristiana dei primi secoli. Solo per il libro di

Daniele venne utilizzato Teodozione. A tale uso si adeguarono i Padri come pure la liturgia.

Revisioni e traduzioni giudaiche in greco furono originate dall'imperfezione del testo ma

soprattutto per il suo uso cristiano (portata messianica dei brani sfruttati dai cristiani).

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Revisione giudaica anonima, ritrovata nel 1952 nel deserto di Giuda, forse quella citata

da Origene e Girolamo.

Aquila (130-140 d.C., traduzione pedissequa di cui possediamo solo scarsi frammenti);

Teodozione (180 d.C., somiglianza con i LXX, preferito dalla Chiesa per il testo di

Daniele).

Simmaco (200 d.C., convertitosi, in seguito, al cristianesimo). Riproduzione letterale del

TM, utilizzata da Luciano e S.Girolamo.

Esaple: opera origeniana della prima metà del III secolo distrutta nel VII secolo,

presenta in sei colonne parallele i testi Ebraico - Ebraico traslitterato - Aquila - Simmaco -

LXX rev. - Teodozione. L'opera andò perduta. Possediamo solo riferimenti in autori che la

citano e diverse trascrizioni della V colonna.

Bisogna inoltre dire che esistono diverse versioni antiche dell'AT greco (Vetus Latina,

Copta sahidica (sud), Copta boarica (nord), Armena, gotica, georgiana (V sec. nel Caucaso),

ecc., importanti testimoni per la ricostruzione critica del testo.

Targumim: dall'aramaico targum = interpretazione. Si tratta di traduzioni in aramaico

per i giudei che progressivamente abbandonarono l'ebraico a favore del più universalmente

conosciuto aramaico, fatte dapprima solo oralmente, poi messe per iscritto. Esistono

Targumim più o meno completi che riguardano tutti i libroi dell'AT. Segnaliamo il Targum

Palestinese del Pentateuco: esemplare completo nel Codex Neofiti I del Vaticano, I sec. d.C.

Abbiamo pure il Targum di Gerusalemme, sempre per il Pentateuco, chiamato anche Pseudo-

Gionata, con un particolare sviluppo di angeologia e demonologia. Infine il Targum di

Onkelos (Babilonia).

Pescittà (siriaco) = comune, semplice. Si tratta della traduzione siriaca. Il siriaco è molto

simile all'aramaico. Già dal II sec.d.C.. Influenza della LXX e del TM.

Antiche traduzioni latine:

Vetus Latina. Denominazione convenzionale che indica qualunque traduzione latina

antica della Bibbia (A + NT), anteriore allla Volgata di S.Girolamo. Deriva da un testo dei

LXX più un testo greco del NT vicino al gruppo D.

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Da molte tradizioni parziali si formano tradizioni più complete (una di tipo africano ed

una di tipo europeo). Girolamo ed Agostino verso il 400 si lamentavano del grande numero di

esemplari della Bibbia diversi l'uno dall'altro. Risale almeno in parte al II sec. d.C. (ideata

soprattutto per la plebe che non conosceva il greco). La Vetus Latina è importante soprattutto

per la critica del testo biblico. E' stata ampiamente impiegata per la formazione della Volgata.

Il salterio ed altri libri (Sapienza, Ecclesiaste, Baruq, 1 e 2 Maccabei) sono entrati nella

Vulgata dalla Vetus Latina revisionata da Girolamo. Così pure per il NT

La Vulgata è la traduzione latina di tutti i libri biblici usata dalla Chiesa latina come suo

testo ufficiale. Vulgata Editio (edizione popolare) così denominata in modo definitivo da

Trento nel 1546. Per la maggior parte si tratta della traduzione di S.Girolamo (390-405).

Baruq, Ecclesiasticus, Sapienza, 1 e 2 Maccabei dalla Vetus Latina

Salterio gallicano revisionato da S.Girolamo

Vangeli: correzione di Girolamo dalla Vetus Latina

Altri libri del NT forse ad opera di Girolamo.

Per l'AT Girolamo si è servito di un testo H (= ebraico) molto simile al TM. Traduzione

a senso, non servile (cerca di rendere in latino il pensiero espresso in H). Si cerca una certa

eleganza. Per il NT egli prese, a base della sua traduzione, un testo molto vicino al codice B.

Non volle cambiare, ordinariamente, il vocabolario della Vetus Latina.

Per i problemi sull'autenticità della Volgata e sulla storia della Volg., cfr. Corso di

introduzione generale alla S.Scrittura.

Pentateuco è una parola greca, significa "le cinque teche" (contenenti i cinque rotoli). È

una denominazione semplicemente indicativa della forma materiale sotto la quale si

presentano questi scritti. La denominazione degli stessi cinque libri è in ebraico Torah (=

insegnamente, preferito rispetto alla traduzione abituale in "Legge").

Tra i primi problemi che si pongono a chi affronta questa parte dell'AT è perchè i primi

cinque libri della Bibbia costituiscano una parte a sé stante. Una domanda, questa, che

riceveva nella tradizione giudaica e cristiana una risposta semplice: sono i libri di Mosé. Mosè

è il grande legislatore, così come ne parla sia la tradizione giudaica che quella

Neotestamentaria e cristiana. Non v'è dunque problema nel ritenere che questi libri, composti

da Mosè, fossero considerati nell'insieme come il grande, fondamentale patrimonio della fede

di Israele e della Chiesa consegnatoci da Mosè.

La cosa può apparire non tanto ovvia se si legge in successione il pentateuco, i primi

cinque libri, con il sesto libro dell'AT, Giosuè. La narrazione che va dall'inizio della storia

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umana alla morte di Mosè, e che ha come parte centrale e predominante il cammino del

popolo ebraico verso la terra promessa, si interrompe proprio alle soglie di quella terra. La

promessa resta incompiuta, a compierla sarà Giosué e dal libro omonimo in poi si continuerà

a descrivere la storia di Israele nella terra promessa senza soluzione di continuità fino alla

caduta di Gerusalemme sotto i colpi del babilonese Nabucodonosor.

Questo primo problema in cui ci si imbatte è meno strano di quanto si possa

immaginare. Perchè il Pentateuco è considerato una unità? Diciamo subito che la risposta

offerta dalla tradizione sarà probabilmente l'unica valida ma, per comprendere che la faccenda

non è così semplice come sembra, bisognerà passare attraverso le fasi della ricerca storico-

critica che è più volte arrivata a porre questa stessa domanda (perchè è una unità), offrendo

diverse soluzioni.

Il problema dell'unità del Pentateuco ha anche un risvolto propriamente letterario. Si

può dire un testo letterariamente uniforme?

Già ad una prima lettura dei libri del Pentateuco, si osserverà come in un quadro

narrativo che va dall'inizio della storia del mondo (Gen 1-11) alla morte di Mosè alla vigilia

dell'entrata nella Terra promessa (Deuteronomio) vengono presentati materiali di tipo

legislativo. Più rare invece sono le sezioni poetiche.

Il materiale di tipo narrativo non si presenta come "storico" nel senso moderno della

parola. La descrizione della storia salvifica si apre infatti con un prologo sulla storia dei

primordi (Gn 1-11) con caratteristiche particolari che permettono accostamenti ai racconti

cosmogonici antichi o anche a miti di ambiente mesopotamico ed anche più diffusi.

Naturalmente, al di là della forma dei racconti bisognerà soprattutto osservare i punti di

originalità di questi racconti. Di tipo decisamente diverso è la storia patriarcale che si estende

dal capitolo 12 al 50 della Genesi (ricordo che qui stiamo solo dando un quadro generale, di

tipo fenomenologico, gli approfondimenti saranno successivi e distingueranno ulteriormente

le cose). Una successione genealogica che passa attraverso Abramo, Isacco, Giacobbe,

Giuseppe e i suoi fratelli, per concludersi con l'ambientazione di Israele in Egitto, fase che

precede immediatamente la vicenda dell'esodo. La storia patriarcale ha caratteri diversi dalla

storia delle origini. Qui prevale un tipo di racconto che ha a che fare con tradizioni tribali e

familiari. Scene di vita, promessa e adempimenti (benchè parziali) scandiscono le fasi della

successione patriarcale. La vicenda esodica occupa gran parte del Pentateuco, andando ben

oltre il libro dell'Esodo. Qui parti narrative di tipo abbastanza vicino all'epopea di eroi storici

dell'antichità, si alternano a parti di tipo legislativo, tanto ben rappresentate da occupare

persino l'intero libro del Levitico.

Il materiale legislativo appare innanzitutto in due ampi blocchi:

1. in connessione con la rivelazione del Sinai (Es 19-40 + Lev + Nm 1,1-10,10)

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2. in connessione con l'arrivo a Moab, alla vigilia dell'ingresso nella terra promessa (Nm

22-36 e Dt).

3. materiale legislativo sparso, legato a contesti narrativi diversi (comandi, leggi,

ordinanze cfr. Gn 1,28-29; 9,1-7; 17,9-15; Num 10,10-21,35).

Più ancora di questa diversità di materiali, spesso ben connessi dal punto di vista della

narrazione, hanno sempre suscitato interrogativi e provocato varie risposte, alcune

contraddizioni, anacronismi, differenze stilistiche...

Alcuni casi più evidenti:

- L'uso dei nomi di Dio: in Gn 1,1-2,4a "Elohim", in Gn 2,4b-3,24 "YHWH Elohim"

- Nel racconto del diluvio certe contraddizioni sono particolarmente evidenti: in Gn

6,19 Dio dà ordine a Noè di introdurre una coppia di animali per ogni specie; in 7,2 si parla di

sette coppie di animali puri ed una di animali impuri;

- di Sara si racconta due volte l'episodio della sua "cessione", da parte di Abramo, al

faraone (Gn 12,10-13,1) e ad Abimelek (Gn 26,6-11)

- in Gn 20,1 si dice che Abramo levò le tende di là... senza però aver fatto riferimento

ad Abramo in precedenza

- in Es 19,25 si dice che Mosè scese dal monte verso il popolo per parlargli, in 20,1,

senza accennare a risalite, Mosè detta il decalogo dal monte;

- si notano spesso ripetizioni, qualche volta doppioni. Così per la creazione, per il

diluvio, per il rapimento di Sara, per l'espulsione di Agar. Due volte si parla dell'Alleanza tra

YHWH ed Abramo (Gn 15,1-21 e 17, 1-27);

- talvolta per lo stesso nome di luogo si danno etimologie diverse: Bersabea in Gn 21,

31 è il "pozzo del giuramento", in 26, 26-33 è "il pozzo dell'abbondanza";

- si registrano cambiamenti bruschi di stile: da uno stile vivace, attento ai particolare

(Gn 2,4b-3,24) a quello più sobrio di Gn 22,1-14, a quello più schematico e teologizzante di

Gn 1,1-2,4a.

- si registrano, inoltre, diversità di vocabolario: "io" lo si trova nella forma ’ani oppure

’anoki;

- diversi nomi per lo stesso luogo: il caso più noto è proprio per il monte Sinai (Es

19,11.18) altrove Oreb (Es 3,1; 17,6);

Non sono mancati, sia nella tradizione giudaica che in quella cristiana tentativi per

spiegare di volta in volta tali differenze o incongruenze. In particolar modo le letture

midrashiche da parte ebraica e quelle allegoriche da parte cristiana, hanno superato tali

problemi invitando ad andare al di là della lettera del testo.

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L'idea che il Pentateuco fosse l'opera di Mosè, il grande legislatore di Israele, il profeta

più grande, nell'antichità e fino a qualche secolo fa non veniva messa in dubbio. Abbiamo

testimonianza di questa idea già nella Bibbia stessa: Dt 1,1: "Parole di Mosè presso il

Giordano"; Esdra 3,2 "legge di Mosè, l'uomo di Dio"; 2Cron 25,4 citando Dt 24,16 ne parla

come di un passo del libro di Mosè; così pure nel NT: Lc 24,44 "il libro di Mosè", Mt 8,4;

19,8; Mc 7,10; Rom 10,5 "si legge Mosè); e Filone (Sulla vita di Mosè II 291) e Giuseppe

Flavio (Antichità IV 326). Questa idea resisterà a lungo, sia pure con qualche variante, come

per es. l'intuizione di quel grande conoscitore cristiano della Bibbia che fu S.Girolamo il quale

riteneva che il Pentateuco fosse stato scritto da Esdra sulla base di note di Mosè.

LO STUDIO MODERNO DEL PENTATEUCO

Su questo argomento cfr. Albert de Pury (édité par), Le Pentateuque en question, Labor et

fides 19912 qui utilizzato.

Per chiarezza seguiamo qui le principali tappe storiche. Si tenga presente che possiamo

distinguere innanzitutto in due grandi periodi: il primo pre-critico, in cui il commento e lo

studio della Bibbia avveniva a partire solo dalle sue indicazioni interne (la Bibbia cioè era

assunta a norma di verità in senso complessivo); e periodo critico. Per il periodo della critica

alla Bibbia, vi è un grande momento di sintesi rappresentato dalla teoria di Wellhausen che

perciò fa un po' da spartiacque, dal punto di vista storico, tra un prima e un dopo. Oggi ci

troviamo decisamente in un periodo in cui è avvertita da più parti l'esigenza di un

superamento (completo o parziale) della teoria Wellhausiana.

Ma andiamo con ordine:

Con l'evo mederno, ma soprattutto con l'illuminismo si diffonde un atteggiamento più

scettico verso la tradizione e i suoi contenuti e più aperto all'apporto della ragione umana, anzi

la fiducia nelle possibilità di questa, finirà per negare, in un apparente aut-aut, il dato

tradizionale.

Anche nel campo religioso, ed in particolare nei confronti della Bibbia questo

atteggiamento nuovo non tardò a farsi sentire.

La situazione precedente a Graf-Wellhausen

Già Jean Astruc (1684-1766), medico di Luigi XIV, H.B.Witter e J.G.Eichhorn (1752-

1825) avevano notato che diverse tensioni interne al Pentateuco dovevano essere spiegate per

l'esistenza di documenti distinti. Ma che l'origine, lo sviluppo e la crescita del Pentateuco

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ponessero un problema in sè non l'avevano ancora veramente capito. Collocare l'edizione o la

redazione all'epoca di Esdra (Spinoza, Richard Simon) poneva inevitabilmente la qustione di

spiegare la "preistoria" dell'opera letteraria, ricostruire il ponte esistente tra gli avvenimenti

narrati e la redazione finale all'epoca di Esdra. Nasceva la questione delle fonti. R.Simon,

autore di una nota Histoire critique du Vieux Testament (1678), in 3 volumi, aveva proposto

un processo di composizione graduale che avrebbe condotto dagli appunti di Mosè alla

redazione del testo finale. Vi furono naturalmente reazioni energiche alle nuove proposte di

Simon, tanto che la sua opera, quattro anni dopo, fu messa all'indice. Nascevano,

inevitabilmente le domande su come fosse avvenuto tale processo. Durante i due secoli

successivi furono sviluppati tre modelli teorici:

a) L'ipotesi documentaria suppone alla base dell'attuale Pentateuco due, tre o quattro

trame narrative continue (dei documenti, appunto, o fonti) che, redatte in epoche e luoghi

differenti, sarebbrero state giustapposte, talvolta integrate le une alle altre da redattori

successivi.

b) l'ipotesi dei frammenti suppone l'esistenza di un numero indeterminato di racconti

sparsi e di testi isolati (senza continuità narrativa). Questi testi sarebbero stati uniti da uno o

più redattori.

c) l'ipotesi dei complementi ammette l'esistenza iniziale di un'unica trama narrativa

continua. Nel corso dei secoli tale trama avrebbe ricevuto numerose aggiunte e complementi.

Per l'antica ipotesi documentari bisogna citare Karl-David Ilgen (1736-1834) che,

riprendendo l'idea di Astruc e Eichhorn, e restringendo come i due predecessori le sue

osservazioni alla Genesi, riconobbe ben 17 documenti differenti che attribuì a tre diversi

scrivani: due "élhoisti" e un "jahvista".

Per l'ipotesi dei frammenti, in particolare Alexander Geddes (1737-1802) e Severin

Vater (1771-1826), a partire dalla difficoltà di estendere l'ipotesi documentaria alle altri parti

legislative del Pentateuco, proposero che fosse più giusto ridursi a parlare di frammenti,

anzicchè di "documenti". In maniera diversa i due autori spiegarono le fasi redazionali,

lasciando però irrisolti alcuni problemi, come quello dei passi paralleli o la parentela di certi

passi dispersi del Pentateuco.

L'ipotesi dei complementi fu un tentativo di uscire dall'impasse delle due precedenti

proposte. Heinrich Ewald (1803-1875), propose di prendere in considerazione il Pentateuco e

anche Giosué (gli inizi dell'ipotesi dell'esateuco). Vi è, sostenne il professore di Gottinga,

un'unica trama narrativa che va dalla creazione all'ingresso in Canaan. Questa trama,

caratterizzata dal nome di Elohim e riconoscibile in alcuni avvenimenti e codici legislativi

maggiori, fu arricchita a mano a mano da complementi tra i quali è possibile riconoscere dei

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pezzi di un documento "jahvista". Friedrich Tuch vedrà nel documento "jahvista" non uno

scritto andato perduto, ma un semplice carattere redazionale.

Le ricostruzioni erano ancora incomplete e presentavano lati oscuri. Bisogna soprattutto

considerare quale tipo di Storia di Israele si prendeva in considerazione nei secc. XVIII-XIX.

Il problema della differenza tra fatti crudi e storia biblica verrà posto gradualmente a

partire dal XVII sec. Ma solo con Reimaurus il problema assume tuta la sua virulenza. Più

pacatamente un autore inglese, H.Prideaux farà iniziare la sua "Storia di Israele" (1716-1718)

dall'VIII sec. a.C., sostenendo che fino a quel tempo le fonti bibliche non fossero degne di

fede.

W.M.L. De Wette (Manuale di introduzione critico storica alla Bibbia, 1817) segnò una

svolta nelle ricerche storiche sul Pentateuco, stabilendo, per primo, un legame preciso con un

fatto storico: il libro ritrovato nel Tempio da Giosia nel 621 a.C. (cfr.2Re 22-23) era il

Deuteronomio! Vi era così almeno un punto di riferimento, un libro composto un po' prima o

durante quella riforma. Tuttavia lo studioso sosteneva che sugli avvenimenti narrati dal

Pentateuco, la ricerca storica aveva ben poco da sperare, trattandosi di "Miti". Viene così

avviata una riflessione più approfondita sul rapporto tra critica letteraria e critica storica.

Mentre la critica letteraria cercava di stabilire i limiti testuali e di accertare i generi e le

caratteristiche delle fonti sottostanti attraverso tre punti di vista: linguaggio, composizione ed

origine dei testi, la critica storica tenterà di determinare il valore degli scritti biblici come

documenti storici, sia per quanto riguarda i fatti narrati che per l'insegnamento ed il contenuto.

Heinrich Ewald (Storia del popolo d'Israele, 5 voll. I ed. 1843-1855) accentuerà la distanza

tra storia santa e storia reale. L'esateuco presenta la storia come l'evoluzione verso la vera

religione, con progressioni e regressioni. Primo punto culminante dell'evoluzione è Mosè e

l'Alleanza del Sinai. Non sempre questi studiosi furono guidati da un rifiuto di posizioni

teologiche; talvolta, come nel caso di De Wette, i nuovi metodi venivano applicati con

l'intento di verifica delle posizioni dogmatiche.

Come si è visto la maggior parte dei problemi fondamentali sul Pentateuco furono posti

già prima di Graf e Wellhausen:

• il problema dell'autore o degli autori con il problema dell'"autenticità"

• il problema delle "fonti"

• il problema delle tradizioni (orali o scritte) e della loro trasmissione

• il problema del legame tra le fonti e la storia

• il problema del divenire del Pentateuco e della datazione delle tappe fondamentali.

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Bisogna notare che non mancarono stimoli equilibratori rispetto all'esigenza critico-

scientifica che ormai guidava gli studiosi di Bibbia. Segnaliamo in particolare la personalità di

Herder (1744-1803), poeta maestro di Goethe, che sviluppò un tipo di esegesi intuitiva a base

razionalistica, priva cioè dei contenuti teologici e dogmatici, ma aperta ad una lettura

spirituale.Quest'atteggiamento, che influenzerà studiosi come J.G.Eichhorn (1752-1827), ha in

comune con l'altro il rifiuto di vincoli teologico-dogmatici ritenuti vincoli per una ricerca

seria, ma restava aperto ad una lettura anche spirituale del testo. L'opera di Eichhorn

Einleitung in das Alte Testament (1780-1783) divenne in tal senso un modello di tale

approccio.

Die «neuere Urkundenhypothese»

La "nuova ipotesi documentaria"

Nel 1853, Hermann Hupfeld (1796-1866), presentò, in reazione alle ipotesi dei

frammenti e dei complementi, una versione riveduta e corretta dell'ipotesi documentaria. Fu

conosciuta come "nuova ipotesi documentaria". Il Pentateuco sarebbe stato composto a partire

da tre documenti indipendenti e paralleli:

1. «elohista» di base (E1) poi P (sacerdotale)

2. secondo documento «elohista» (E2) la futura fonte E

3. un terzo documento che utilizzava il nome YHWH, futura fonte J .

Le tre fonti furono riunite con grande abilità da un redattore ulteriore un po' alla maniera

delle armonie evangeliche.

Secondo Hupfeld l'ordine cronologico era: 1.P; 2.E; 3.J; 4.D. (quest'ultimo sarebbe un

documento non parallelo). Si trovano già i tre pilastri della teoria di Graf - Wellhausen:

a) il riconoscimento della validità dei criteri della critica letteraria (in particolare

attraverzso l'uso dei nomi divini);

b) l'esistenza di tre documenti paralleli più uno non-parallelo (il Deuteronomista);

c) la datazione di D (De Wette)

Ma per Hupfeld come per tutti i suoi predecessori era il documento E1 (P) a contenere

l'essenziale della Legge, documento collocato alla base dell'edificio. Precisamente la messa in

questione di questo ultimo elemento costituirà il punto di partenza per la "rivoluzione

wellhausiana".

Fu Eduard Reuss (1804-1891 ad avere l'intuizione che le leggi cultuali del Pentateuco

appartenevano ad una fase più tardiva della storia di Israele. Il suo allievo Karl Heinrich Graf

(1815-1869) fornirà la prova di questa intuizione: né il Deuteronomio, né i profeti né i libri

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storici (da Giosué a 2Re), conoscevano le leggi sacerdotali (GRAF, Die geschichtlichen

Bücher des Alten Testament, 1866). Per il quadro narrativo in cui erano inserite bisognava

senz'altro spostarne la datazione al periodo dell'esilio babilonese. A.KUENEN, (in La religione

di Israele, testo olandese del 1869-70), il primo che introdusse la sigla P per l'autore

sacerdotale, definì i caratteri di questa fonte: continua, composta in Babilonia durante l'esilio.

Graf fece sue queste conclusioni. Così la cronologia delle fonti veniva completamente

rovesciata.

Ad operare una sintesi di quanto fino a quel punto osservato dai diversi studiosi, fu

Julius Wellhausen (1844-1918) nella sua opera Die Composition des Hexateuchs und der

historischen Bücher des Alten Testament apparso già in quattro articoli dal 1876 al 1878 e poi

in un unico volume .

Divide innanzitutto in tre le fonti del Pentateuco: Jehovista (J/E), Deuteronomista (D) e

Sacerdotale (P che egli indicherà con Q). Wellhause diceva già, come poi sarà confermato da

tanti studiosi, che è difficile distinguere tra le due fonti J ed E, ciascuna delle quali avevano

subito almento una triplice edizione successiva. La fonte J/E viene datata all'VIII sec. ed è

difficle risalire oltre. D è dell'epoca di Giosia (VII sec.) e P appartiene all'epoca post-esilica.

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Schema della teoria di Wellhausen:

J1 E1

J2 E2

J3 E3

VIII sec. J+E

fine VII sec. D

VI sec. JED

fine VI-V sec.

composizione di

Pg (materiale storico)

+Ps (materiale legislativo

= P

V secolo JED+P

Redazione definitiva del Pentateuco, in

relazione alla riforma di Esdra

Il racconto delle fonti JE e P si estende, per il Wellhausen, fino alla storia della

conquista. Per questo lo studioso parla non di Pentateuco ma di Esateuco.

Naturalmente queste conclusioni sono strettamente connesse alla visione della Storia di

Israele. Individua i tre periodi maggiori che fanno da sfondo alla composizione delle fonti del

Pentateuco: l'epoca monarchica (JE), la riforma di Giosia (D) e il periodo post-esilico, quello

della ricostruzione di Israele (P). Queste tre tappe fondamentali possono essere verificate

facendo attenzione all'evoluzione di alcune istituzioni visualizzate nella seguiente griglia:

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SANTUARIO SACRIFICIO FESTE CLERO

TASSE

JE Molteplicità di

altari e santuari

Assunto ma

spontaneo e di

tipo naturale

Feste di tipo

agricolo;

celebrazioni

gioiose

Nessuna

distinzione tra

clero e laici

Quote per le

offerte non

stabilite

D E' comandato un

unico luogo di

culto

Generalmente

come JE.:

Ezechiele

mostra qualche

tentativo di

regolamenta-

zione

Generalmente

come JE

(Pasqua ed

Azzimi sono

combinate)

Tutti i Leviti

sono ministri

dell'altare

Qualche regola

sulle tariffe da

parte del

popolo

P Centralizzazione

E' presupposto un

unico luogo di

culto

Regolati;

sottolineata la

propiziazione;

ci si occupa del

come, quando e

per chi

Regolate dal

calendario; non

più festa del

raccolto; viene

aggiunto il

Giorno

dell'Espiazione

I Leviti sono un

ordine

inferiore. solo

gli Aronniti

sono sacerdoti

Regolazione

estrema dei

sacrifici,

decime e altre

imposte

sacerdotali.

La legge perciò non è alla base dell'Israele antico, ma alla base del giudaismo, dall'epoca

post-esilica. L'epoca dell'autore Sacerdotale caratterizza l'inizio del giudaismo.

La storia di Israle descitta dal Wellhausen risente dell'influsso hegeliano:

1. Epoca monarchica (JE), religione naturale Tesi

2. Prima dell'esilio (D) emergenza del particolare Antitesi

3. epoca post-esilica (P) culminazione dell'idea specifica Sintesi.

Si nota, rispetto all'evoluzione Hegeliana verso lo spirito assoluto, una sorta di

involuzione finale, verso la sclerotizzazione e la decadenza. Si nota altresì una predilezione

del periodo antico rispetto a quello più recente, in linea con il romanticismo tedesco ereditato,

in questo, anche da autori come Alt, Noth, von Rad.

Sviluppi della teoria di Graf-Wellhausen

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Un primo problema tra gli studiosi che accolgono la teoria, è quello della datazione

delle fonti. Per J le datazioni oscillano tra il X e il VII sec.; per E tra il 900 e il 700; per P

durante o dopo l'esilio.

Un secondo problema riguardava l'individuazione e quindi l'estensione delle fonti.

Un terzo problema, più ampio, fu relativo all'origine e alle caratteristiche delle fonti.

Inizia un processo di distinzione all'interno stesso dei documenti per individuare le fonti

originarie, gli sviluppi successivi e le redazioni finali.

I tentativi di riconoscere all'interno della stessa fonte gli strati più antichi, le successive

redazioni... (cosa che già Wellhausen aveva introdotto con il suo J1,J2, J3 ecc.) costituiranno

l'occupazione di tutti quei critici, la maggioranza, che riterranno sostanzialmente valida la

sistemazione wellhausiana come punto di partenza per successive limature della teoria

documentaria. Di fatto, questo tipo di ricerca porterà ad una sorta di dissezione dei testi con

un numero non precisabile di proposte alternative. Si entra in un impasse che mostra il limite

vero della cosiddetta teoria wellhausiana: non è possibile risolvere definitivamente quei

tentativi di classificazione sulla sola teoria letteraria delle fonti. Per quanto riguarda il

problema dell'estensione (soprattutto di JE e di P), sempre più diffusa fu l'opinione che tale

lavoro comprendesse anche la storia della conquista, una conclusione peraltro logica alla

lunga storia esodica del Pentateuco. Si parlerà così di Esateuco. Ma anche qui i pareri non

furono unanimi: vi fu chi intravide le due fonti anche in Giudici (dunque: Eptateuco), o fino a

Samuele (Ottateuco) o al libro dei Re (Enneateuco, per es. Hölsher, nel 1952).

Gunkel e la "Formgeschichte"

L'aiuto ad uscire dall'impasse, come si diceva, doveva giungere dall'esterno.

Già contemporaneamente al lavoro di Wellhausen, altri studiosi studiavano per altri

versi, l'origine della Bibbia. In particolare quegli autori che formarono la cosiddetta scuola

della "Religionsgeschichte" (Wolf Graf Baudissin /1874-1927/, Albert Eichhorn /1856-1926/,

Hermann Gunkel /1862-1932/ e Hugo Gressmann /1877-1927/). Bisogna andare al di là della

determinazione delle fonti letterarie dei testi biblici, arrivare fino alle tradizioni, alle idee, alle

radici sociologiche religiose e culturali, lo studio del contesto. Contrariamente ai

"panbabilonisti" che nel confronto con il mondo del medioriente antico vedevano

nell'ebraismo un semplice sottoprodotto , di qualità inferiore, della civiltà babilonese,, gli

sutori sopra citati intendevano retrocedere nella ricerca, dalle fonti letterarie al contesto

storico in cui si erano formate, fino ad individuarne i nuclei primitivi. Gunkel fu precisamente

colui che riuscì a trasferire le idee della Religionsgeschichte agli studi di Antico Testamento.

Il processo all'indietro è sostanzialmente possibile giacchè le singole forme letterarie non sono

individuali, ma costituiscono forme tipiche. Definendo bene le diverse forme letterarie

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attraverso elementi linguistici, di contenuto ecc. è possibile individuare un determinato

genere, una forma tipica. Applicando le sue intuizioni alla Genesi e ai Salmi, Gunkel fonda la

scuola della "storia delle forme". Proprio nell'introduzione alla Genesi, il grande studioso

espone il suo programma: «La Genesi è una raccolta di leggende» indicando, con queste

parole certo forti (III ed. di Genesi, nel 1910) che gli Autori delle fonti del Pentateuco sono in

realtà raccoglitori di racconti che provengono da cicli di leggende e di tradizioni orali.

Con il suo approccio nuovo Gunkel pone due questioni nuove rispetto a Wellhausen:

1. La questione della storia preletteraria del Pentateuco e del ruolo della tradizione orale;

2. La questione del radicamento delle tradizioni, il cosiddetto Sitz im Leben, con

l'individuazione dei diversi contesti sociali e storici. Per la maggior parte delle leggende della

Genesi, bisogna pensare alle riunioni serali delle famiglie antiche intorno al fuoco. Adulti, e

soprattutto bambini, ascoltavano intensamente gli anziani che raccontavano storie sull'alba del

mondo. Il lettore odierno si unisce a quel gruppo di ascoltatori, tendendo con essi l'orecchio.

Così le domande, nello studio dei testi, diventano: chi parla? A chi? In quali circostanze

storiche, politiche, sociali, religiose? Le stesse domande vanno poste non solo alle fonti, ma

ad ogni stadio di raccolta successiva e rielaborazione di quelle fonti in redazioni successive.

Così, per quanto riguarda le Genesi, Gunkel ritiene che punto di partenza furono racconti

isolati, leggende che circolavano in diversi contesti familiari. Raccolte e narrate da narratori di

tipo più "professionale", cominciarono a formare delle unità maggiori, cicli di leggende che

poi saranno collegate tra loro. L'incoerenza, le ripetizioni ecc. che spinsero a formulare le

ipotesi di elaborazioni di documenti, si giustificano, ancor più semplicemente in questa

varietà di provenienza delle singole "leggende". Se Gunkel non contesta la teoria

Wellhausiana, non sembra nemmeno che essa abbia un ruolo necessario di supporto alle sue

tesi. Infatti J, E, P, per Gunkel non sono personalità individuali, ma piuttosto "scuole di

narratori". Per il libro dell'Esodo il lavoro di Gunkel sarà continuato da Gressmann, Moses

und seine Zeit, Göttingen 1913.

Anche se non fu considerata particolarmente, in questi studi, il problema della storia di

Israele (interessavano più le situazioni tipiche che quelle specifiche, queste teorie ebbero

riflessia anche sugli studi storici. L'interesse alle epoche più antiche, pre-monarchiche,

coinvolse gli studiosi di storia. Così, verso gli anni 30, Albrecht Alt (1883-1956) e Martin

Noth (1902-1968) si occuparono particolarmente dell'epoca pre-monarchica.

Alt identifica il dio di cui parlano i patriarchi, con quelle divinità venerate

particolarmente nei clan nomadici. Un dio che non ha nome proprio, ma è designato come il

dio di... e il nome dell'avo a cui si rivelò per primo. La Genesi porta dunque le tracce di una

religiosità pre-israelitica. I patriarchi, eroi folcloristici del passato, diventano i fondatori del

culto e per conseguenza «personaggi storici della preistoria d'Israele». Così gli avvenimenti

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esodici e l'installazione in Canaan si iscrivono come processo di sedentarizzazione, in un

contesto "storico".

M.Noth, più reticente rispetto all'Esodo e a Mosè, ricostruisce il "sistema delle dodici

tribù di Israele" e l'ufficio dei "giudici", le istituzioni premonarchiche. La lega sacra delle

tribù, sul modello delle anfizionie greche, fornisce il quadro storico in cui rintracciare l'origine

di Israele.

W.F.Albright e i suoi allievi, contribuirono non poco, con le loro ricerche archeologiche,

a consolidare il clima di fiducia nel rintracciare le origini più lontane di Israele.

Avvenne un ri-orientamento degli studi sull'Israele antico che conferiva interesse nuovo

alla storia pre-monarchica di Israele.

Studi relativi al materiale legislativo avevano condotto a collocare in epoca preesilica

molto del materiale legislativo. Per il decalogo, o per un decalogo primitivo, si intravedeva la

effettiva possibilità di un collegamento a Mosé. Insomma la legge diventa, dopo tutti questi

studi, una componente riconosciuta come antica, nel materiale del Pentateuco, all'opposto

della proposta wellhausiana.

A parte la questione storica, le posizioni degli autori sopra indicati, portarono alla

formulazione di nuovi contributi sullo studio del Pentateuco.

I contributi maggiori di M.Noth, possono essere riassunti in tre punti principali:

a. Nel suo libro su Giosué lo studioso non riscontra l'esistenza delle fonti JEP. D'altra

parte l'impostazione stessa di quelle fonti, lascia supporre che si concludessero con la storia

dell'ingresso in Canaan. Dunque quella parte dovette essere soppressa per far spazio all'attuale

storia della conquista. L'esateuco, di cui parlava Wellhausen, ridiventa Pentateuco, anzi,

«Tetrateuco». Il Deuteronomio infatti, ad eccezione del cap. 34, fu attaccato alla storia

precedente, solo da quando l'opera storiografica deuteronomista (DtrG, da Dt a 2Re), scoperta

da lui stesso, è stata attaccata al Pentateuco.

b. P, al contrario di quanto detto sino ad allora, per Noth è una fonte piuttosto narrativa

che legislativa.

c. Come Gunkel, Noth (Überlieferunsgeschichte des Pentateuch, 1948) punta la sua

attenzione sugli stadi preletterari delle tradizioni del Pentateuco, ma diversamente da quegli,

che si occupò delle piccole unità alla base delle tradizioni, Noth intese studiarne il divenire

fino alla forma letteraria. Tutte le tradizioni del Pentateuco, secondo Noth, s'iscrivono in una

prospettiva decisamente pan-israelitica, il che significa che queste tradizioni, nella forma in

cui ci sono accessibili, presuppongono l'esistenza dell'entità storica di Israele, ovvero la

federazione delle dodici tribù. Si tratta dunque del periodo che va dai "giudici" all'epoca

monarchica, coesistendo sia la tendenza pan-israelitica, che l'autonomia e le istituzioni

confederali tribali. È in quel periodo che si formano le tradizioni, mentre gli autori del

Pentateuco (J, E, P) operano soprattutto una rilettura delle tradizioni già formatesi

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Pentateuco e libri storici. Appunti di introduzione 2012-13

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precedentemente. Cosa ha potuto condurre, dallo stadio di tradizioni eterogenee, alla

formazione di tradizioni pan-israelitiche? Rifacendosi a von Rad, Noth individua la prima

concezione di una tradizione pan-israelitica nelle celebrazioni cultuali della lega sacrale

dell'Israele premonarchico. A fare da catalizzatori, alcuni grandi temi, forse contributi di

differenti gruppi. I temi più antichi, intorno ai quali il materiale si va a strutturare, sono la

storia dell'uscito dall'Egitto, e l'ingresso in Canaan. Lateralmente a questi due temi principali,

Noth indica il tema della «promessa fatta ai partriarchi», «la condotta nel viaggio nel deserto»

e «la rivelazione al Sinai». Questi temi, originariamente indipendenti, sono stati collegati tra

loro attraverso itinerari, genealogie e transfert di eroi, in maniera da formare una trama

narrativa continua. Tutto ciò già prima della messa per iscritto.

La sintesi di Noth, insieme ai contributi di Von Rad, si imporrà alla maggioranza degli

studiosi almeno fino agli anni 70 e ne sono un riflesso i commenti, le storie, i testi

comunemente utilizzati nei nostri studi sul Pentateuco. Oggi è proprio questa visione di una

tradizione israelita già costituita in tutti i suoi elementi normativi prima dell'avvento della

monarchia, che viene messa ampiamente in questione.

Gerard von Rad (1901-1971) e M. Noth si sono influenzati reciprocamente.

In Das formgeschichtliche Problem des Hexateuch, 1938, von Rad parte dall'Esateuco

nella sua forma finale per ritrovare la sua origine e le sue caratteristiche originarie. Il «nucleo»

dell'Esateuco è preservato nei "credo storici" di Dt 26,5b-9; Dt 6,20-24; Gs 24,2b-13. Il primo

di questi, il più antico è il «piccolo credo storico». Al centro di questo è l'esodo e il dono del

paese. La storia patriarcale non appare che nel brevissimo ricordo del «padre arameo»

(probabilmente Giacobbe-Israele). Storia delle origini e dono della Legge al Sinai, sono

completamente assenti. Questi credo si svilupparono nel contesto del culto, la festa delle

Settimane e, all'epoca premonarchica, la "festa dell'alleanza di Sichem", che von Rad ritiene

essere la celebrazione annuale dell'anfizionia israelitica. A partire da questi credo e

aggiungendo la tradizione del Sinai, radicata nella festa delle Tende, lo J ha costruito la trama

fondamentale dell'Esateuco. Così, diversamente da Noth, il ruolo delle fonti e particolarmente

di J, torna ad essere fondamentale.

J è più un autore, dunque, che un redattore, come invece per Gunkel. È il primo a dare

alle antiche tradizioni una forma letteraria, aggiungendo del suo. Aggiunge un prologo

(patriarchi) e un prologo al prologo (origini Gn 2-11). Il suo scopo è soprattutto teologico: la

monarchia davidica costituisce il compimento di una volontà divina. il «Kérygma» dello

Yahvista è ben rappresentato nella promessa di Gn 12,1-3. J rappresenta quell'epoca

illuminata che fu l'epoca salomonica «salomonische Aufklärung». E e P fanno la figura dei

parenti poveri di J, rappresentano tendenze retrograde. Studiosi successivi tenteranno di

individuare il kérygma proprio all'elohista (H.W.Wolff) e al sacerdotale (W.Zimmerli).

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Le introduzioni della fine anni ‘60 e anni ‘70 davano l'impressione di un consenso

fondamentale alle principali questioni sulla formazione del Pentateuco (così G.Fohrer,

O.Kaiser, H.Cazelles). In particolare J datata X-IX sec., E fine dell'VIII, D tra la fine dell'VIII

e l'inizio del VI, P tra il VI. e il V. Sulla formazione delle tradizioni si erano imposte le idee di

Noth e di von Rad. Eppure osservando da vicino i lavori esegetici della stessa epoca, si nota

una certa varietà di opinioni circa l'estensione, l'origine, l'intenzione, la datazione e l'ordine

cronologico delle fonti, segno che ad una concordanza di superficie, tra gli studiosi, non

corrispondeva una vera unanimità di sostanza.

I segni di un disaccordo possiamo rintracciarli già a partire dall'epoca di Wellhausen:

J.W.Colenso, per es. insisteva già nel 1865 su una edizione deuteronomista dell'Esateuco, una

posizione che oggi riscuote vivo interesse. Colenso si avvalse di criteri stilistici per mostrare

la presenza della mano deuteronomista in testi tradizionalmente attribuiti a J ed E, come per

es. Gen 15 e 22. Vernes, già nel 1891 considerava il Pentateuco come un prodotto dell'età

postesilica, un programma di restaurazione della comunità giudaica tra il V e il III sec. Altri

contestarono, ben presto, il criterio dei nomi divini come guida per la distinzione delle fonti

(1903 Dahse). A.Klostermann, nel 1893, insisteva che punto di partenza per l'analisi del

Pentateuco doveva essere il Deuteronomio, e non l'opera Jehowista: il Pentateuco è

cristallizzazione di racconti intorno alla legge.

Un problema particolarmente discusso, sin dal principio, è stato quello della fonte

Elhoista. Per questo lo stesso Wellhausen aveva preferito parlare della fonte Jehowista. Dalla

constatazione della difficoltà a rintracciare i frammenti di questa fonte (O.Procksch), alla

conclusione che in realtà non era mai esistita (P.Volz e W.Rudolph). Lo stesso S.Mowinckel,

nel 1964, sosterrà che in effetti E è solo un Jahvista variata.

La scuola scandinava

Un'attenzione particolare va riservata a studiosi non-tedeschi (come la maggioranza di

quelli sin qui richiamati), che svilupparono la ricerca in altre direzioni. Gli esponenti di questa

scuola si ritrovarono su tre principi maggiori:

1. Le tradizioni veterotestamentarie hanno un'origine cultuale;

2. Prima dell'esilio la scrittura non giocava alcun ruolo nella trasmissione delle

tradizioni, tutte trasmesse per via orale;

3. La critica letteraria tradizionale sbaglia nell'occuparsi di tradizioni e redazioni

preesiliche scritte.

La teoria tradizionale dei documenti non può spiegare veramente le incongruenze e le

contraddizioni dei testi con la teoria delle fonti. Essi invece si spiegano a partire dalla

considerazione che differenti tradizioni orali erano state fedelmente conservate fino alla loro

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messa per iscritto (I. Engnell 1945). Lo stesso S.Mowinckel è esponente della scuola

scandinava, benchè su posizioni morbide rispetto alla teoria wellhausiana. Dai tedeschi queste

critiche furono pressochè ignorate, oggi vengono recuperate alcune riflessioni avvenute in

quel contesto.

Crisi della teoria wellhausiana e «Nuova critica»

Ragioni ed effetti delle critiche alla teoria wellhausiana

Riscoperta dell'importanza del fenomeno deuteronomio-deuteronomista (dt-dtr) nel

Pentateuco.

Già Noth a proposito dell'esateuco, segnatamente nei commenti a Esodo e Numeri, aveva

segnalato le caratteristiche dtr del tetrateuco. Ma soprattutto Lothar Perlitt, in La teologia

dell'Alleanza, cercò di dimostrare come i testi dell'AT che parlavano della berit non potevano

essere anteriori al movimento deuteronomico. Molti testi attribuiti a J o ad E venivano così

attribuiti a dtr, con una prospettiva storica del tutto diversa. Molti furono gli interventi di

specialisti in questo senso, fino a L.Rost, W.Richter, e J.Ph.Hyatt, (pubblicazioni negli anni

60) che sostennero che il cosiddetto credo storico di Dt 6; 26; Gs 24, considerato da von Rad

il nucleo del Pentateuco, furono frutto della teologia deuteronomista. Come si vede teologia di

von Rad e teoria wellhausiana furono messe profondamente in crisi già in questi studi.

Messa in questione della ricostruzione della storia premonarchica di Israele.

La ricostruzione dell'Israele premonarchico venne fondata dagli studiosi che accolsero

sostanzialmente la teoria wellhausiana, sull'antichità della fonte J. Mettendo in questione lo

schema, anche la ricostruzione storica viene messa in questione.

a. Il Dio dei padri, di cui aveva parlato Alt, è solo un modo per collegare tra loro i

racconti patriarcali. Riflettono una religiosità postesilica.

b. Le promesse ai patriarchi: reinterpretazione esilica della tradizione patriarcale.

c. L'epoca patriarcale non può essere ricostruita sulla base di racconti che riflettono

piuttosto la situazione della monarchia, qualcuno (Van Seters), ritiene addirittura che

riflettano l'epoca esilica.

d. Installazione a Canaan. Gottwald (The Tribes of Yahweh. A Sociology of Liberated

Israel. 1250-1050 B.C.E., 1979), in particolare, mostrerà come l'allevamento di piccolo

bestiame non indica un tipo di vita nomade, rappresenta piuttosto una attività specializzata

propria ad una popolazione sedentarizzata. Sviluppa così un nuovo modello per spiegare la

formazione, su suolo israelita, di una confederazione di tribù. Si è trattato di un processo

rivoluzionario interno alle tribù cananee: gli abitanti delle regioni montagnose sarebbero

insorti contro le città della pianura detentrici di un potere feudale.

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e. L'anfizionia delle dodici tribù, la nota tesi di M.Noth, fu attaccata su tutti i fronti. In

particolare Hermann, G.Fohrer, R.de Vaux e altri, hanno messo in dubbio la stessa esistenza

di una lega costruita secondo il principio dell'anfizionia.

Dell'Israele premonarchico di cui avevano parlato Alt, Noth, von Rad, rimase ben poco.

Il problema, come si è visto, è strettamente legato a quello delle fonti: con la messa in

questione dell'antichità e della consistenza della fonte J, ogni tentativo di giungere allo sfondo

storico premonarchico, rimane illusorio.

Lo studio sincronico della Bibbia.

Soprattutto con l'esegesi francofona, poi americana, le ricerche strutturaliste (soprattutto

Greimas) influenzeranno gli studi biblici a partire dalla fine degli anni ‘60. Ricordiamo in

particolare due riviste: Semeia e Semiotique et Bible (C.A.D.I.R., Lyon). Oggetto dello studio

è il testo nella sua forma finale, al termine di una evoluzione testuale che non entra in oggetto.

Naturalmente, al di là delle metodologie di tipo sincronico che si apriranno a partire da questi

stimoli, ne troverà beneficio la stessa critica storico-letteraria, utilizzando le osservazioni di

struttura testuale per approfondire la determinazione delle unità testuali (per es N.Lohfink sul

Deuteronomio e J.L.Ska sull'Esodo). Utile è la lettura di un classico dello studio narrativo: -

ALTER R., L'arte della narrativa biblica, Queriniana, Brescia 1990. Accanto a questi stimoli

nuovi, vi è quello di B.S.Childs con la nuova tendenza del "canonical criticism" (Introduction

to the Old Testament as Scripture, Philadelphia 1979): il Pentateuco non può essere compreso

se non a partire dai cinque libri di Mosè nella loro forma canonica.

Sulla formazione del Pentateuco, la prima metà degli anni 70 è caratterizzata da una gran

quantità di posizioni e messe in questione. La teoria wellhausiana messa fortemente in crisi,

ma senza l’alternativa di una teoria altrettanto generale.

Nuovi approcci della critica letteraria

Si tratta di proposte varie, sostenute da differenti studiosi. Sarebbe lungo entrare nei

dettagli. Basti ricordare alcune principali proposte:

- ridimensionamento della fonte Jahvista (Weimar, Zenger, Vermeylen);

-nuova teoria dei complementi con datazioni tardive (Van Seters, Schmitt):

reinterpretazioni successive.

A porre in questione l'insieme della teoria letteraria ricevuta, sarà H.H.Schmid, nel 1976

con la sua opera Der sogennante Jahwist. Lo studioso non propone un sistema alternativo, ma

mette in luce i punti deboli del precedente. Analizzando lo stile, il genere letterario e la

tematica di brani attribuiti normalmente allo J (prende a spunto M.Noth), dimostra che tale

attribuzione risulta impossibile. I testi più importanti attribuiti allo J presuppongono infatti,

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nell'analisi di Schmid, il profetismo dei sec. VIII e VII e si avvicinano alla teologia dtr. Queste

tradizioni attribuite allo J, inoltre, non sono mai presupposti nei testi di provenienza

preesilica, prova eloquente ne è il silenzio dei profeti dell'VIII e del VII secolo. Lo J è da

collocare all'epoca esilica. Ne risulta un rovesciamento della Geistesgeschichte israelita. In

tale concezione i profeti non hanno rivendicato un ritorno al periodo premonarchico (von

Rad), ma hanno messo in questione la religione nazionale e reale nel nome di una concezione

nuova tra Dio e Israele. Solo dopo questa messa in questione profetica della situazione di

Israele, si formano quei racconti sulla creazione, i patriarchi, l'Esodo. J, per Schmid,

contrariamente a von Rad, non è un teologo ben profilato, ma una sigla che indica un processo

redazionale e interpretativo (si avvicina, sotto questo profilo, a Gunkel).

Come si vede, si afferma sempre più l'importanza del dt/dtr. Un allievo di Schmid,

Martin Rose, ha prolungato le osservazioni del maestro, mostrando che i testi cosiddetti

Jahvisti, presuppongono la storia deuteronomista Dtr/G. L'intera narrazione J sarebbe stata

concepita in funzione della storiografia Deuteronomista, ne sarebbe stato il preludio. I

cosiddetti credo storici, del von Rad, sarebbero stati dtr, serviti allo J come modelli per la

composizione del tetrateuco. Si risponde insomma a quel problema sollevato dal M.Noth:

dove erano finiti i racconti della conquista di Canaan scritti dallo J, dal momento che quelli

attuali sono dtr? Rose risponde che in realtà bisogna rovesciare la prospettiva: il Tetrateuco è

stato composto così come è, e non ha mai previsto dei racconti della conquista, poichè è

esattamente per la storia della conquista di Canaan, quindi come preludio a dtr, che quei

racconti sono stati concepiti. La stessa opera di introduzione a Dtr/G sarebbe stata composta

da autori sacerdotali P. In secondo momento le due introduzioni a Dtr/G sarebbero state fuse.

Rolf Rendtorff (Das überlieferungsgeschichtliche Problem des Pentateuh, BZAW 147,

Berlin/New York, 1976) propone, in maniera più radicale, un superamento puro e semplice

della cosiddetta teoria documentaria, ricorrendo piuttosto al recupero di "temi" del

Pentateuco. Le grandi unità che formano il Pentateuco, per es. Gn 1-11; Gn 12-50... vissero

indipendentemente dall'insieme del Pentateuco e conobbero diversi processi redazionali. In

ciascuno di questi complessi, si riconoscono unità più antiche e unità aggiunte, tanto da

allargare le unità, per es. il ciclo di Abramo.

Il modello di BLUM

Discepolo di Rolf Rendtorff ne ha ripreso l’idea fondamentale1 circa un superamento

alquanto radicale della teoria documentaria, ricorrendo piuttosto che alle antiche elaborazioni

teologiche che quella teoria proponeva, al recupero di "temi" del Pentateuco. Le grandi unità

1 Cf. R. RENDTORFF, Das überlieferungsgeschichtliche Problem des Pentateuh, BZAW 147, Berlin/New York 1976.

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che formano il Pentateuco, storia delle origini, storia patriarcale, storia dell’esodo, vissero

indipendentemente e conobbero diversi processi redazionali. In ciascuno di questi complessi,

si riconoscono unità più antiche e unità aggiunte, che nel tempo estesero quelle unità

originarie, come è ben visibile per il ciclo di Abramo. È però solo nell'epoca postesilica, come

mostra il suo discepolo, E. Blum, che le diverse unità, verranno collegate nell'insieme che poi

costituirà il Pentateuco. In particolare Blum sostiene che la formazione del Pentateuco

dipende da due composizioni redazionali di epoca post-esilica: la composizione KD

(composizione Deuteronomistica) e la composizione sacedotale KP (priesterliche

Komposition), osservando peraltro che proprio tra la tradizione patriarcale e quella di Esodo-

Numeri si può constatare una cesura evidente, a conferma delle tesi di Rendtorff, tra la

tradizione patriarcale e quella esodica.2 L’idea di una tradizione indipendente del racconto

dell’uscita dall’Egitto (Es 1-15), alla base delle composizioni redazionali di epoca esilica o

post-esilica, viene comunque sostenuta da diversi studiosi, e con differenze specifiche

(P.Weimar, E.Zenger, E.A.Knauf, R.Albertz; W.Osvald). Su questa ipotesi, che suppone

dunque una fase tradizionale precedente al lavoro redazionale di epoca esilica o post-esilica

lavorano, con posizioni differenziate, diversi studiosi. In particolare E.Blum e E.Otto

sostengono l’esistenza di una “Vita di Mosè” di epoca Neoassira, concentrando l’attenzione

sul VII sec. a.C., un periodo sempre più indicato dagli studiosi come fondamentale per

comprendere la formazione delle tradizioni o se si vuole il contesto in cui si produce un

racconto mitico sulle origini di Israele a partire da antiche storie di fuoriusciti dall’Egitto.3 In

questo caso Mosè avrebbe in realtà costituito l’antitipo del feudatario neoassiro, cosa che

sembrerebbe confermata in particolare dal racconto della sua nascita (Es 2) per molti aspetti

confrontabile con la leggenda della nascita del re Sargon di Akkad risalente all’VIII sec. a.C.

Dunque nella ricostruzione letteraria di Blum le tradizioni su Esodo-Mosè potrebbero risalire

a prima della caduta del regno del nord (722 a.C.) ma solo dopo questa data entreranno a far

parte di un insieme narrativo più ampio che comprende, insieme al racconto dell’uscita, e a

quello della permanenza in Egitto, anche il viaggio nel deserto e il soggiorno al monte di

Dio.4 Sarà poi con il lavoro di KD presacerdotale che il racconto di Mosè-Esodo verranno

elaborati in maniera decisiva estendendosi da Es 1 a Dt 34. Per l’unione con la storia dei

patriarchi egli indica invece la fonte KP, posteriore, ma di non molto, alla redazione KD, il

cui piano ormai si estende dalla creazione di Gn 1 alla morte di Mosè Dt 34. In tale quadro il

2 Cf in particolare E. BLUM, Studien zur Komposition des Pentateuch, BZAW 189, Berlin/New York 1990. 3 Già nell'antichità numerosi autorevoli esegeti e teologi giudei e cristiani, hanno scelto di leggere il testo come “Vita di Mosè”: cfr Giuseppe FLAVIO, Ant. 2,201 - 4,321; Filone; GREGORIO DI NISSA, La vita di Mosè; ma anche, per es. M.BUBER, Mosè. La rivelazione e l'alleanza (1946); SEGRE, Mosè (1975)... Si ricordi anche l’ultima tormentata opera di S. Freud, Mosè e la religione monoteistica, 1930. Particolare, per l’interpretazione che si dà alla vicenda, spesso segnalata dai contemporanei mass-media, è la proposta di rilettura dell’egittologo Jan Assmann, professore di Egittologia all’università di Heidelberg che con il suo Moses the Egyptian. The Memory of Egypt in Western Monotheism, apparso per la prima volta in inglese nel 1997 (trad. It. dal tedesco: Mosè l’egizio, Adelphi, 2000): Il collegamento di Mosè con l’Egitto è ben più profondo di quanto la stessa Bibbia lasci immaginare. In realtà il vero padre del monoteismo fu il faraone Ekhnaton la cui memoria fu condannata dai suoi successori e oppositori all’oblio. Così che mentre Mosè è una figura della memoria ma non della storia, Ekhenaton sarebbe una figura della storia ma non della memoria 4 E. BLUM, Studien…, 216.

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rapporto di Dio con Israele viene collocato nel contesto ben più ampio della storia di Dio con

il creato, il che getta nuova luce, sotto il profilo teologico, sugli stessi avvenimenti della storia

di Israele.5 L’opposizione al faraone è opposizione al caos; la comunione con Israele, suo

popolo, è la comunione che Dio volle sin dalla creazione di Adam. Nello stesso tempo la

comunione di Yhwh con Israele è prolungamento e anzi realizzazione di quanto voluto sin dal

principio con la creazione del mondo e dell’uomo.6

Termine di questo processo compositivo, secondo Blum, è la redazione del Pentateuco

Sacerdotale, nella sua forma definitiva, quella che noi conosciamo, dove testi sacerdotali sono

uniti a testi non-sacerdotali in un processo compositivo che non ricerca l’armonizzazione dei

testi precedenti, ma che ne accetta anche le discontinuità in un complesso sostanzialmente

ibrido. Proprio questa caratteristica porta a ipotizzare un motivo storico contingente per la

composizione del Pentateuco proveniente dall’esterno piuttosto che dall’interno dello stesso

Israele. La spinta decisiva sarebbe cioè giunta dalla prassi imperiale persiana di riconoscere

leggi e regole cultuali locali ai paesi o alle etnie sottomesse. Si tratta della cosiddetta

autorizzazione imperiale, una autorizzazione cioè concessa sulla base di una proposta da parte

giudaica che avrebbe dovuto presentare le caratteristiche di un unico documento riconosciuto

da parte di tutte le componenti (o almeno delle principali) interne al giudaismo. È ciò che

spiegherebbe, stando all’ipotesi di Blum, la composizione “ibrida” del Pentateuco.

Un altro allievo di Rendtorff, Frank Crüsemann (siamo ormai negli anni 80), applicherà

le stesse considerazioni a Gen 2-12. Si tratta di una sorta di nuova ipotesi dei frammenti,

riveduta e corretta. Racconti antichi, talvolta anche molto antichi, uniti successivamente

insieme fino allo sforzo redazionale postesilico che condurrà alla formazione del Pentateuco.

Il modello detto di Münster (Zenger)

Nella proposta di Zenger (intr. AT 157), l’ambiente più propizio in cui collocare la prima

redazione di una storia patriarcale (Gn 12-50) sarebbe quello di Giuda, all’indomani del

disastro del 722 che vide la fine dello stato di Israele (del Nord) sotto i colpi dell’Assiria. In

questo momento critico si spiega bene il filo del discorso storico individuabile nella storia

patriarcale e cioè l’unità ancestrale di Giuda e Israele, dovuta ai comuni progenitori.

L’originaria, comune unità descritta attraverso le storie dei patriarchi fonda la coscienza di un

popolo unico in relazione ai popoli vicini e li distingue da essi.

Nella stessa epoca (VIII sec. a.C.) andrebbe collocata anche la formazione del racconto

dell’esodo dall’Egitto, altra maniera di spiegare l’originaria unità delle dodici tribù di Israele

condotte dal Dio guerriero Jahwh al possesso della Terra.

Il momento della formazione di vere e proprie ricostruzioni della storia del passato di Israele,

va collocato un secolo più tardi, in contrasto con la potenza Assira che domina non solo nel

Nord ma anche in Giuda, sottomessa, con l’eccezione di Gerusalemme. Si tratta dunque di

una letteratura di resistenza che oppone alla condizione attuale di prevalenza dell’Assiria e

5 E. BLUM, Studien…, 288. 6 E. BLUM, Studien…, 332.

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della sua fame conquistatrice, l’identità di un popolo (considerato nella sua totalità Nord e

Sud) e il suo legittimo diritto alla terra. Storia dei Patriarchi e storia dell’Esodo vengono così

unite a formare un unico ininterrotto racconto di origini funzionale alle pretese di identità

nazionale portate avanti da Giosia e dei suoi tentativi di estendere il regno includendo il

territorio del nord (in questo cf la ricostruzione storico archeologica di Finkelstein e Liverani,

pur con le loro differenze). Nasce così, attraverso il processo redazionale che cuce insieme i

diversi cicli narrativi anche attraverso il ricorso alla composizione di testi ponte, il complesso

letterario che va da Gn2 a Gs 24, un “esateuco” che descrive la storia delle origini del popolo

di Israele fino alla conquista della Terra Promessa. Costituisce quella fonte, già delineata da

Wellhausen, che si può definire JE, cioè il frutto della fusione delle tradizioni di Israele con

quelle di Giuda nello specifico contesto della resistenza antiassira, con la differenza che per

Wellhausen si trattava di fusione di fonti scritte, rispettivamente J ed E, e non solo di

tradizioni). Il mito di fondazione dell’Israele del Nord (l’esodo dall’Egitto) viene a formare

parte così di un’unica storia nazionale. Il centro teologico di questo progetto è nella

fondamentale nozione di “alleanza” che lega Israele al suo Dio (monolatria) che fa da

contrasto alla nozione di alleanza che si ritrova nella cultura Assira dove il rapporto è stabilito

tra il popolo (e i popoli vassalli) e il re. Nello stesso contesto della riforma di Giosia, con

origini ancora anteriori rintracciabili già nel contesto del regno di Ezechia (quindi dall’inizio

dell’VIII sec.a.C.), Zenger e la scuola di Münster collocano la composizione graduale del

Deuteronomio inserito definitivamente nel contesto del Pentateuco all’epoca dell’esilio

completando il grande quadro storico che va da Gn 2,4 a 2 Re 25 (Braulik G. ritiene invece

che l’inserimento sia avvenuto già precedentemente, sotto Giosia formando il complesso

narrativo Dt-Gs 21). È dunque nel tempo immediatamente successivo all’esilio che nasce

l’opera storica Deuteronomistica che ingloba la precedente opera JE nel quadro generale di

una descrizione della storia di Israele che va dalle origini (da Gn 2,4) alla caduta di

Gerusalemme (2Re 25) e che inquadra la situazione attuale e le storie precedenti, secondo lo

schema offerto dal centrale libro del Deuteronomio, nella dinamica fedeltà/infedeltà

all’alleanza con Jhwh. Con l’opera storica Deuteronomistica, sotto il profilo dunque della

composizione letteraria è evidente che non si è di fronte ad un Pentateuco, quanto piuttosto ad

un enneateuco, cioè ad una ricostruzione storico teologica che parte dalle origini (Gn 2,4) per

terminare con la caduta di Gerusalemme (2Re 25) comprendente nove “libri”.

In modo indipendente dal lavoro deuteronomistico, nel periodo della ricostruzione del

Tempio (520-515) si venne formando la terza fonte del Pentateuco, la fonte P (da

Priesterschrift) e cioè una descrizione della storia di Israele incentrata non sull’idea teologica

dell’Alleanza, quanto piuttosto sul culto di Jhwh e sulla centralità del tempio di

Gerusalemme. Anche qui si parla di un processo di formazione di cui si distinguono

sostanzialmente due fasi, la prima rispondente ad un abbozzo di storia sacerdotale (PG dove G

sta per Grundschrift, scritto di base) e l’integrazione progressiva con ampliamenti in relazione

al culto (PS dove S sta per Supplementum). Le due diverse opere si presentavano in origine

come concorrenti e alternative tra loro; a questa fase seguì quella della fusione delle due opere

storiche (probabilmente dovuta a Neemia nel contesto della erezione di Giuda a provincia,

dopo il 450 a.C. cf Zenger, introduzione, 162).

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È solo verso il 400 a.C. che verrà distinto, all’interno della grande opera storica che si

presentava come enneateuco (Gn, Es, Lv, Nm, Dt, Gs, Gdc, 1-2 Sam, 1-2Re) un Pentateuco,

come risulta dalla promulgazione fatta da Esdra dei cinque libri come Torah. Ciò richiederà

ancora (e fino all’epoca dei Maccabei) dei ritocchi dovuti in particolare alla mancanza,

nell’attuale struttura del Pentateuco, della conquista della Terra (cf per es. l’integrazione di

questo “arrivo” nella terra promessa con il trasferimento e seppellimento di Giacobbe

dall’Egitto a Canaan).

Il modello sopra esposto, detto di Münster (cf Zenger), riprende come si è visto alcuni aspetti

tipici della teoria documentaria, pur presentando diverse differenze: per J ed E non si può

parlare di documenti ma piuttosto di tradizioni riunite in un documento solo nell’esateuco

dell’epoca di Giosia. Del resto l’idea sembra corrispondere più fortemente proprio all’ipotesi

wellhausiana secondo cui si doveva parlare appunto di un documento JE. Nella teoria

documentaria sviluppata negli anni successivi a Wellhausen si attribuì a J e ad E la

consistenza di veri e propri documenti che riflettevano nel loro diverso ambiente di nascita, le

idee teologiche e politiche nate in periodi antichi della storia dell’Israele antico. Qui invece si

pensa ad essi come composizioni relative a singoli cicli e non a disegni unitari relativi al

quadro della storia di Israele in quanto popolo unitario, scelto da Dio sin dalle origini. È solo

all’opera di D da una parte e di P dall’altra che si attribuisce la paternità di un lavoro letterario

unitario, ispirato realmente ad una concezione teologica centrale (Alleanza per l’uno e Culto

per l’altra).

Per altre posizioni cf. Zenger.

Bilancio

Oggi è difficile sostenere la teoria documentaria nella sua proposizione classica,

wellhausiana, così come i suoi prolungamenti in Gunkel, Noth, von Rad. L'interesse si

concentra sempre più sulla fase della redazione. L'attenzione si concentra soprattutto sul

periodo esilico e postesilico. Non è però possibile riconoscere un consensus comune tra gli

studiosi contemporanei intorno alle questioni di fondo, se non su due punti:

1. La tradizione deuteronomista è diventata il punto di riferimento principale per il

Pentateuco.

2. Vi è convergenza nel riconoscere specificità ai testi detti "sacerdotali". Il disaccordo

rimane nel determinare se P è un'opera letteraria autonoma o solo una fonte redazionale.

Le questioni principali nella ricerca attuale sul Pentateuco:

1. Il Pentateuco si compone di parti legislative e parti storiche. Non a caso

l'interpretazione ebraica e quella cristiana si sono differenziate proprio per l'accentuazione

data all'una o all'altra: per i giudei Torah, Legge, per i cristiani storia. Proprio su questa

dicotomia nel campo dell'interpretazione, c'è forse qualcosa da approfondire anche in

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relazione alla formazione del Pentateuco. Il Pentateuco nasce come insieme di leggi a cui dare

un quadro storico, o come insieme narrativo in cui furono inserite sezioni legislative? In

questo quadro si inserirebbero le risposte di coloro che ritengono tardiva l'origine dell'insieme

narrativo del Pentateuco. Alcuni studiosi pensano al processo compositivo della Torah in

linea con la tradizione giudaica successiva: le sue parti narrative sarebbero nate come

midrashim alle parti legislative antiche.

2. La redazione finale e P

Il problema della redazione finale: si tratta di P o di un redattore diverso? La redazione P

è precedente o posteriore alla redazione dtr?

P è un documento continuo o solamente una fonte redazionale? E se è vera l'ultima

ipotesi, P intende scrivere una storia o introdurre la legge? Oggi molti autori pongono in

questione la datazione esilica, preferendone una postesilica.

3 La redazione finale e dtr

Testi dtr nel Pentateuco sono riconosciuti alquanto frequentemente. Che relazione con la

redazione dtr? Tale redazione è precedente o posteriore alla redazione P?

Il problema dell'origine del Pentateuco.

a. all'origine del Pentateuco così come ci è stato consegnato, esiste un progetto letterario

d'insieme? Interessante, tra le altre, la posizione di Van Seters (The Yahvist as Historian,

conferenza tenuta a Friburgo il primo febbraio 1986): il concetto nasce nello spirito Yahvista

postesilico che, alla maniera dei primi storiografi greci (Hellanikos, Erodoto), è visto come

uno "storiografo intellettuale". Come i suoi cugini greci lo Yahvista forgia una tradizione

nazionale facendo uso di miti e leggende locali, inserendole in un quadro cronologico

complesso che va da un tempo "mitico" ad un tempo "storico". Così il concetto d'origine del

Pentateuco sarebbe, in definitiva, il frutto, secondo Rose, della teologia deuteronomica e,

secondo Van Seters, della riflessione individuale di uno storiografo. Tutto ciò, sia se

concepito da una collettività (Rose) che da un individuo (Van Seters), è comunque da

collocare nel postesilio. Nasce spontanea l'obiezione posta da de Pury: è possibile pensare che

nel Regno di Israele o in quello di Giuda non sia mai nato il bisogno di proporre in una forma

o in un altra il discorso della propria origine? Ciò dovrebbe metterci in guardia dall'attribuire

la prima riflessione globale sulla storia di Israele a un gruppo esilico, e il primo tentativo di

dargli forma narrativa a un gruppo postesilico.

5. Unità maggiori dietro al Pentateuco?

Rendtorff ha tentato di dimostrare che il Pentateuco si componeva di unità maggiori

eterogenee, ciascuna proveniente da un contesto differente e dopo aver percorso ciascuna una

sua storia di trasmissione e redazione. Quali sarebbero queste unità maggiori? Se si percepisce

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con evidenza una rottura tra patriarchi ed Esodo, è più difficile stabilire demarcazioni

all'interno dell'Esodo.

È stato osservato come la maggior parte degli studi sulle fonti del Pentateuco abbiano

preso in considerazione il libro della Genesi. Rendtorff ha osservato, da parte sua, come il

carattere deuteronomico/deuteronomista si riveli più nettamente nei testi da Es a Nm che nella

Genesi. Ci si può domandare, a partire dalle osservazioni sin qui fatte, se Gn 12-35 e Es-Nm

non rappresentino due varianti concorrenti e indipendenti circa l'origine del popolo di Israele.

Os 12 sembra invitare i suoi uditori a scegliere tra le due storie di origine: quella di Giacobbe

(che presenta in maniera negativa) e quella dell'uscita dall'Egitto sotto Mosè, grandemente

valorizzata. La storia patriarcale costituirebbe un primo tentativo di progetto globale

attraverso cui Israele avrebbe tentato di rendere conto della sua identità. Resterebbe da

determinare quando e dove sarebbe nato e si sarebbe sviluppato il progetto totale che ingloba

storia patriarcale e uscita dall'Egitto. In tal senso ha grande importanza il romanzo di

Giuseppe, l'elemento di unione tra le due storie. Alla storia di Giuseppe è andata,

ultimamente, l'attenzione di molti studiosi (Whybray, Ruppert ecc.).

Resta il problema della storia delle unità maggiori. A partire da Gn 12-35, ma anche per

1-11 e per Es -Nm, sembra si affermi comunque l'idea classica della riunione di unità

precedentemente minori: storia di Abramo, storia di Giacobbe ecc.

6. Tradizioni del Pentateuco nelle altre parti dell'AT

È un altro settore su cui va l'attenzione degli studiosi, in particolare verso i profeti.

Rendtorff parla della non trasmissione dei temi del Pentateuco. Molti personaggi e temi sono

assenti nella letteratura preesilica: Abramo, Isacco, Giuseppe, la tradizione del Sinai. Si tratta

però di argumenta e silentio che portano a poco.

7. La tradizione orale

Osea 12 mostra come le tradizioni di Giacobbe e dell'Esodo erano conosciute nell'VIII

sec. a.C.: gli basta farvi allusione. Tali tradizioni dovevano circolare, indipendentemente dallo

loro messa per iscritto.

Sul genere: "Storia di Israele"

Abbiamo visto come lo studio letterario del Pentateuco si è evoluto negli ultimi due

secoli, passando attraverso la grande proposta wellhausiana che ancora oggi costituisce il

punto di partenza per teologie e divulgazioni, e superandola.

Abbiamo pure considerato, naturalmente, la messa in questione, in maniera sempre più

radicale della "storicità" dei libri del Pentateuco, o, per esprimerci meglio, la rilevanza

scientifica delle testimonianze letterarie offerte dal Pentateuco.

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Se questo problema è profondamente connesso con le teorie letterarie, si pensi al Gunkel

e alle sue "leggende" sui patriarchi o alle tendenze più recenti che vedono nell'opera

deuteronomistica la vera mano che sta dietro la composizione dell'intero Pentateuco o

Tetrateuco, vogliamo qui affrontare più da vicino l'argomento specifico della disciplina che va

sotto il nome di "storia di Israele, e delle pubblicazioni di cui disponiamo.

L'argomento non è di secondaria importanza dal momento che parliamo di Rivelazione

Storica, di storia di salvezza. La tradizione cristiana elenca i primi cinque libri della Bibbia,

ricordiamolo, tra i libri storici della Bibbia (cfr. Il Mess. della Salv. 2, pp.15-30).

Non si tratta perciò solo di un interesse esterno, di recuperare un quadro di riferimento

verosimile, ma del riferimento ai fatti narrati e alla loro storicità.

Possiamo così definire gli ambiti a cui facciamo normalmente riferimento e che talvolta

confondiamo: la storia che interessa la composizione dei libri biblici, l'ambientazione cioè

della composizione dei libri (secondo la teoria documentaria dal X al V sec. a.C.) e la storia o

le storie raccontate in quei libri (dalla creazione del mondo al XIII sec. a.C.

Da oltre un secolo le conoscenze sul mondo del Vicino Oriente Antico, grazie alle

scoperte archeologiche, è molto progredita. Si tratta del mondo in cui ebbe origine la civiltà

occidentale.

URUK, antichissima città dell'Iraq meridionale è stato uno dei siti archeologici che ha

dato maggiori soddisfazioni agli studiosi, riportandoci a quell'ambiente antico (3.000 a.C.) in

cui la nostra civiltà imparò a scrivere, a edificare città, ad organizzare uno stato. Più di 5.000

anni fa!

Ma in generale su queste antiche civiltà orientali restano molte lacune.

La "storia di Israele" si presenta come un genere letterario moderno, nato in Germania

nel secolo scorso dall'incontro dello storicismo con la teologia.

Ricordiamo in particolare la Geschichte des Volkes Israel di H.A.Ewald (1843-1868) e

l'opera del Kittel, con lo stesso titolo (1888). Le opere dedicate alla storia di Israele nascevano

con un'impronta fortemente teologica da cui cercarono di liberarsi autori come J.Wellhausen

(Geschichte Israels 1881) e B.Stade (Geschichte des Volkes Israel 1887-8).

UN autore che diede un impulso nuovo alla ricerca storica su Israle fu senza dubbio il

già citato M. Noth con la sua Geschichte Israels del 1950 pubblicato in italiano dalla Paideia

nel 1975. SI ricorderà la sua intuizione di fondo: la teoria dell'anfizionia e la nascita di Israele,

come popolo, all'indomani dello stanziamento in Canaan. Anche questa storia risente molto

della prospettiva teologica dello studio biblico.

Con un impianto di tipo classico, dai patriarchi ad Alessandro Magno, veniva pubblicata

più tardi la Geschichte Israels in alttestamentlichen Zeit, 1973 (trad. it. Queriniana Brescia

1977).

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Con una ampiezza ancora maggiore la storia di G.Fohrer, Geschichte Israels. Von den

Anfängen bis zu Gegenwart, 1977 (trad. Paideia, Brescia 1980): arriva fino alla visita di Sadat

a Gerusalemme nel 1977.

In tutti questi testi citati sopra il dato biblico, anche se riconosciuto frutto di elaborazioni

teologiche e letterarie viene considerato, in diversa misura, testimonianza che tutto sommato

riporta un contenuto storico da riconoscere di volta in volta alla luce del contesto del Vicino

Oriente e dei fenomeni che lì si verificarono.

Giovanni Garbini, studioso italiano, ne fa una critica severissima nel suo Storia e

ideologia dell'Israele Antico, Paideia 1986 (cfr. pp.15ss.)

Intanto negli Stati Uniti si è andato sviluppando un filone più legato alle ricerche

archeologiche e meno a quelle letterarie. Di questo genere l'opera di J.Bright, The History of

Israel del 1958 in cui si manifesta un tono apologetico a base archeologica già inaugurato da

W.F.Albright, e dal quale prenderanno spunto autori minori per pubblicazioni di volta in volta

tese a dimostrare come nuovi dati dell'archeologia diano ragione alla storicità dei racconti

biblici.

Nello stesso filone, in quello naturalmente più serio, si colloca l'opera di De Vaux

Histoire ancienne d'Israël (1971-73) e quella in collaborazione di J.H.Hayes-J.M.Miller,

Israelite and Judean History del 1977.

Tali opere hanno ricevuto giudizi diversi non sempre molto positivi, anche se presentano

lati pregevoli.

È interessante in tale contesto, dare uno sguardo alle pubblicazioni italiane che,

naturalmente, hanno risentito fortemente dei grandi filoni sopra descritti.

L'accettazione del testo biblico come fonte storica caratterizza opere antiche come quella

di Cesare Balbo "Meditazioni storiche" del 1842 e ancora più l'opera del notissimo

G.Ricciotti, Storia di Israele Torino 1932. Proprio quest'ultimo autore, che conduce le sue

osservazioni contro le posizioni critiche per l'Antico come per il Nuovo Testamento,

relativizza la critica wellhausiana ma soprattutto il suo fondamento filosofico che portava ad

una messa in crisi della storicità della Bibbia. Accetta di discutere criticamente il materiale

biblico seguendo, come nelle opere di alcuni studiosi tedeschi già ricordati, il testo biblico.

A.Vaccari, nell'introduzione al II volume di "La Sacra Bibbia" del 1957 affermerà: "Per

gli scritti biblici la narrazione storica non è fine a se stessa... la loro è storia religiosa, non

civile... ma ci offrono eccellenti materiali per la ricostruzione anche della storia civile di quei

tempi (in "La Sacra Bibbia, Firenze 1957, pp. 9-10).

Le prospettive critiche lanciate dagli studiosi tedeschi saranno raccolte in Italia da A.

Soggin, lo stesso autore dell'Introduzione letteraria all'Antico Testamento. Lo studioso, nella

sua "Storia di Israele pubblicato dalla Paideia nel 1984 sancisce l'ingresso ufficiale della

storiografia tedesca nelle biblioteche italiane. La storia, sostiene con enfasi, comincia con

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Davide; la cosiddetta storia patriarcale va considerata piuttosto una proto-storia, nata negli

ambienti della corte Davidico Salomonica per illustrare le origini gloriose del popolo e della

monarchia di Israele. Certo la protostoria raccoglie, nell'attuale forma ampiamente

rimaneggiata dagli autori delle fonti del Pentateuco, tradizioni sostanzialmente valide, di cui

però è difficile, se non impossibile, descrivere il percorso tradizionale e l'effettività storica.

Il problema è sempre più, come sostiene Gian Luigi Prato in una recensione alla Storia di

Israele di Fohrer in La Civilità Cattolica 1981 v.III, p.610: "La questione di fondo è in realtà

non quella dei risultati aggiornati, ma dell'impostazione generale di una storia di Israele, per la

quale, almeno per il periodo pre-davidico, lo stesso materiale biblico non deve essere il punto

di partenza di una ricostruzione che in più punti non concorda con i dati della storia orientale"

e ancora: "È più che mai essenziale definire con chiarezza quale sia la natura delle fonti che si

possono utilizzare, e quale sia l'ottica storiografica specifica entro cui il materiale va

collocato. Altrimenti si è costretti a seguire il canovaccio biblico, riempiendolo di dati più o

meno consistenti a seconda delle epoche e soprattutto in base ad un criterio di verosimiglianza

applicato ai singoli blocchi del materiale biblico".

Riportiamo ancora un passo di Garbini: Sappiamo bene che non esiste una storiografia

ideologicamente neutra e che ogni narrazione storica riflette, più o meno velatamente, una

determinata visione del mondo. Ciò che contraddistingue la storia narrata dall'AT da tutte le

altre non è la presenza di una motivazione ideologica che guida l'esposizione degli

avvenimenti, ma il fatto che la motivazione ideologica ha un valore determinante e non di

rado condiziona e dirige la stessa narrazione storica, per questo parliamo di storia "sacra".

Questo forte carattere "sacro" della storia di Israele fa già dubitare della cosiddetta fonte

Deuteronomista (cronologia, imprese, parentele e dinastie potevano essere manipolate a

piacere). Quanto più si va indietro (conquista, giudici), più problemi ci sono.

Protostoria. Poi il periodo patriarcale senza tempo e senza storia: mito razionalizzato. La

"storia" dei patriarchi è una favola creata dagli studiosi tedeschi. L'autore biblico ha dato

indicazioni che pongono chiaramente questi uomini (che incontrano Dio e vivono centinaia di

anni) al di là della storia.

Quindi: necessità di fonti esterne (dirette). "La mancanza di iscrizioni storiche ebraiche

non può più essere considerata un caso: essa diventa un problema storico che deve essere

affrontato come tale".

Garbini insomma sostiene che si può parlare di storia probabilmente a partire dall'epoca

postesilica, e che tutto quanto precede è irrecuperabile ai fini di una corretta storiografia.

Dello stesso autore cf. Scrivere la storia d’Israele, Paideia, Brescia 2008.

Pure molto utile è la lettura del libro di M.LIVERANI, Oltre la Bibbia. Storia Anticha di

Israele, ed. Laterza, Bari 2003; esso si mostra chiaramente come tentativo di una descrizione

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della storia di Israele che assume la testimonianza dei libri biblici come la particolare

testimonianza che un popolo dà delle sue origini, lasciando aperti tutti gli interrogativi che

vengono da un atteggiamento da studioso della storia che cerca i dati su cui poter lavorare

indipendentemente dal peso che il testo biblico ha per un giudeo o un cristiano.

La prospettiva di fondo che, mi sembra, rimane valida, è guidata dalle seguenti

considerazioni:

1. che la Bibbia non è un libro di storia, ma descrive la storia della salvezza, cioè una

lettura dei fatti, degli avvenimenti che ne è già interpretazione. Che nella descrizione di questa

storia salvifica vengono anche utilizzati racconti mitici (Gn 1-11) e leggendari, trattati alla

stessa stregua del materiale storico. Si tratta cioè di una lettura teologica degli avvenimenti di

cui l'uomo biblico venne a conoscenza dai miti che circolavano nel suo ambiente, dai

racconti leggendari dei Patriarchi, i fondatori antichi di Israele, dalle storie della conquista e

dei re. Tale racconto tende a descrivere, sotto forma di racconto, il dispiegarsi del rapporto di

Dio con l'uomo nella preistoria, nella storia antica ed in quella più recente di Israele. È ovvio

che la verosimiglianza degli avvenimenti narrati aumenti quanto più ci avviciniamo ai periodi

in cui le fonti furono composte.

2. che la storia biblica può aiutarci, come una qualunque fonte antica, mai scevra da

elementi teologici (ed ideologici) che la storiografia deve verificare sulla base di dati

archeologici e letterari. In tal senso si tratta della storia come scienza positiva che tende a

stabilire la successione dei fatti, le loro cause, i loro effetti. Il materiale biblico va dunque

interpretato per questo genere di ricostruzione. Attenzione a considerare che nessuna storia

dell'antichità rispetta le caratteristiche oggi esigite da uno storiografo. Le avvertenze di

Garbini, inoltre, sull'ideologia di Israele, sfociano facilmente in quelle che noi definiamo le

prospettive di fede, la lettura teologica degli avvenimenti. Certamente se l'intento di chi studia

la Sacra Scrittura è quello di ricostruire la storia dei fatti, essa va sottoposta al tipo di esame

critico a cui va sottoposto qualunque altra fonte dello stesso genere.

3. Questo tipo di problematica non deve indurci a pensare che opera dell'esegeta corretto

sia quella di scartare ciò che non è verificabile storicamente. La Bibbia si presenta al credente

come Parola di Dio, chiede al lettore di assumere l'atteggiamento della fede, non a-scientifico

o a-storico, ma cosciente della natura e del significato complessivo dell'opera. In tal senso per

noi, come è ovvio, non è meno rivelativo un testo che assume elementi della mitologia

mesopotamica per esprimere il punto di vista del credente in Yhwh, come il racconto del

diluvio, rispetto ad avvenimenti più vicini a possibili ricostruzioni storiografiche (come, per

es., la storia della monarchia dei due Regni di Israele e Giuda).