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Il copione insabbiATo Una proposta analitico transazionale per il gioco della sabbia

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Il copione insabbiATo

Una proposta analitico transazionale per il gioco della sabbia

A LEONE WERTH

Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a

una persona grande. Ho una scusa seria: questa persona grande

è il migliore amico che abbia al mondo. Ho una seconda

scusa: questa persona grande può capire tutto, anche i libri per

bambini; e ne ho una terza: questa persona grande abita in

Francia, ha fame, ha freddo e ha molto bisogno di essere

consolata. E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò

questo libro al bambino che questa grande persona è stato.

Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi

se ne ricordano). Perciò correggo la mia dedica:

A LEONE WERTH

Quando era un bambino

Da Il Piccolo Principe, di Antoine De Saint - Exupéry

La rilevanza del gioco in psicoterapia infantile

La riflessione sul gioco e sul significato che esso riveste per il bambino ha da sempre costituito area di interesse per

studiosi di varie discipline, in particolare la psicoanalisi. Il gioco è infatti un elemento decisivo per lo sviluppo

intellettuale del bambino, e caratterizza gran parte dell’infanzia rispetto alla quale è unanimamente considerato

un’attività fondamentale.

E’ stato merito della psicoanalisi l’aver riflettuto sul valore del gioco quale espressione

dell’intreccio tra sentimenti, desideri, rappresentazioni ed emozioni e della loro interazione con la

realtà:

“… il gioco, i sogni e le fantasie sono determinati dai desideri. Il bambino distingue il gioco dalla realtà, ma si serve di

oggetti e situazioni presi dal reale per creare un mondo suo, nel quale può ripetere le esperienze piacevoli quanto vuole

e può ordinare e alterare gli eventi come preferisce. Il bambino vorrebbe essere grande e fare ciò che fanno gli adulti:

nel gioco questo è possibile”. (S.Millar, 1968, p. 24)

La radicale importanza del gioco nell’infanzia è legata al fatto che esso permette l’espressione dei propri desideri in

forma simbolica e al di fuori di una loro manifestazione cosciente. Inoltre, nel contesto del gioco il bambino può

sperimentare situazioni angoscianti – quali l’assenza o la separazione dalla madre – e può padroneggiarle attraverso

un’elaborazione attiva delle corrispondenti esperienze di frustrazione.

In questa direzione, il gioco si propone indubbiamente come scenario privilegiato di osservazione; tale caratteristica

appare evidente se consideriamo che la modalità espressiva primaria del bambino è l’azione: essa costituisce lo

strumento maggiormente utilizzato per esprimere pensieri, desideri, sentimenti ed emozioni. In quanto modalità

spontanea d’azione, il gioco costituisce quindi il tramite privilegiato attraverso cui il bambino esprime sé stesso ed entra

in rapporto con gli altri: è il mezzo elettivo di espressione e comunicazione di contenuti inconsci.

E’ infine opportuno ricordare che, per il bambino, il gioco è un bisogno elementare, come il nutrirsi e il contatto

rassicurante e protettivo.

Gioco e simbolo: un accenno alla psicologia analitica

In ambito psicoterapeutico, la funzione creativa del gioco e dell’immaginazione è stata certamente sottolineata a più

riprese. In particolare, importante per il nostro discorso, si è orientato in questa direzione il fondatore della psicologia

analitica C.G. Jung : “…tutto il lavoro umano trae origine dalla fantasia creativa, dall’immaginazione; come potremmo

averne una bassa opinione? Inoltre la fantasia normalmente non si smarrisce; profondamente e intimamente legata

com’è alla radice degli istinti umani e animali, ritrova sempre, in modo sorprendente, la via. L’attività creatrice

dell’immaginazione strappa l’uomo ai vincoli che l’imprigionano al nient’altro che, elevandolo allo stato di colui che

gioca. E l’uomo, come dice Shiller, è completamente umano solo quando gioca”.

Il bambino gioca, disegna, dipinge e si esprime utilizzando un linguaggio simbolico antico di millenni.

Tale linguaggio simbolico è per Jung connotato in forma “immaginale”, ovvero si esprime

attraverso immagini in cui la dimensione archetipica che è propria dell’umano trova la propria

“umana” rappresentazione. Come accade nel sogno, in cui – per esempio – il simbolismo onirico

propone incessantemente – e in molte forme diverse – i motivi del cerchio e del quadrato (il cerchio

è considerato come “simbolo della perfezione e della perfetta sapienza, espressione ingigantita del

cielo, del sole, di Dio e dell’immagine originaria dell’uomo e dell’anima”).

In questo senso i simboli sono espressione di immagini interne, dotate di energia, e nello stesso tempo comunicano

disposizioni universali dell’uomo, e il loro manifestarsi visibile incide in modo sempre nuovo sullo sviluppo dell’essere

umano. La simbologia cui si fa riferimento è dunque per Jung una sorta di trascendentale comune a tutta l’umanità, che

si esprime con simboli collettivi e che si manifesta poi diversamente in relazione agli sviluppi delle diverse culture e –

più nel particolare – dei singoli individui.

Il Gioco della sabbia

Conformemente a quanto accennato, il simbolo ha un ruolo centrale nella terapia del gioco della sabbia, metodo di

psicoterapia improntato sulla concezione junghiana della psiche e sviluppato dalla sua allieva Dora Maria Kalff sulla

base di un’intuizione della dottoressa Margareth Lowenfeld, la quale utilizzava il “gioco del mondo” quale strumento

psicologico di espressione e rappresentazione diretta del mondo dei bambini. Nell’ottica della psicologia analitica,

questo metodo nasce e si sviluppa a partire dall’osservazione e dall’analisi delle potenzialità terapeutiche che il giocare

ha per la psiche, e si pone quale mezzo nuovo per stabilire un rapporto costruttivo tra io e inconscio.

Ma di cosa si tratta, precisamente?

E’ innanzitutto opportuno osservare che il metodo del Gioco della sabbia trova utilizzo sia nella terapia con i bambini

che nella terapia con l’adulto. In questo contesto intendo però limitare le mie osservazioni all’ambito della psicoterapia

del bambino.

Una tipica descrizione – ricavabile dalla letteratura in merito - di quanto occorre per utilizzare il

gioco della sabbia in psicoterapia potrebbe essere la seguente: chi inizia “il gioco” dispone di due

cassette fatte di zinco aventi precise dimensioni (cm 57x72x7) e fondo azzurro: una contenente

sabbia bagnata, l’altra asciutta.

Nella stanza della terapia sono presenti scaffali contenenti un gran numero di oggetti; alcuni semplici oggetti “naturali”,

come sassi, vegetali, conchiglie e terre colorate, altri rappresentazioni in miniatura di elementi appartenenti alla vita

quotidiana, come uomini, donne, edifici, animali, alberi, ecc. Possono esservi inoltre immagini del sacro il più possibile

rappresentative dei diversi contesti religiosi e figure appartenenti al mondo fantastico, quali streghe, gnomi, fate, ecc.

Servendosi di questa ricca collezione di oggetti, il bambino può costruire una rappresentazione

utilizzando quello che desidera.

Le dimensioni della sabbiera non sono prive di scopo: sono infatti tali da permettere all’osservatore di percepire l’intera

scena in un solo colpo d’occhio, “senza bisogno di ruotare la testa”, il che dovrebbe favorirne l’interpretazione.

L’utilizzo di una cassetta avente tali dimensioni, inoltre, favorisce – secondo la Kalff – il processo proiettivo. Ancora: la

limitatezza delle dimensioni del vassoio ha lo scopo di delimitare la fantasia di chi gioca e agisce anche come fattore di

ordine e protezione: è condizione indispensabile perché il contatto tra io e inconscio avvenga in modo protetto e possa

dar luogo ad un prodotto “gestibile” dal paziente e interpretabile dal terapeuta.

Dal punto di vista del terapeuta, il gioco della sabbia è essenzialmente una tecnica proiettiva: la sabbia e gli oggetti

citati sono elementi attivatori di proiezioni attraverso i quali trovano espressione i contenuti psichici profondi del

paziente. Il vassoio di sabbia e la rappresentazione che in esso si sviluppa sono dunque il luogo della proiezione di

contenuti inconsci per mezzo di una serie specifica di attivatori.

Il significato della proiezione – quando non la si consideri unicamente un meccanismo di difesa – risiede nel suo

rappresentare un primo passo nella distinzione tra inconscio e Io, a partire dalla considerazione per la quale, proprio nel

momento in cui si trasferisce su un oggetto un processo soggettivo, ci si comincia a distinguere dalla propria realtà

interna. Il bambino che gioca il gioco della sabbia , allora, scegliendo oggetti e rappresentando situazioni in qualche

modo significativi per lui comincia a distinguere sé stesso dal proprio inconscio, condizione preliminare ad un

confronto effettivo con esso.

Secondo la Kalff: “Il quadro di sabbia” così costruito “può essere inteso come una rappresentazione

tridimensionale di una situazione psichica”. E ancora: “un problema inconscio viene riportato nel

vassoio di sabbia come un dramma”.

L’obiettivo di questo percorso, che si snoda attraverso diversi quadri di sabbia, è infine il raggiungimento della

consapevolezza dell’inconscio proiettato.

Nelle intenzioni della fondatrice di questa metodologia, il gioco della sabbia è un approccio

specificamente non verbale e – dovremmo dire – “immaginale”. Come tale, naturalmente, esso non

si propone quale strumento alternativo all’analisi tradizionale o in qualche modo posto al di fuori di

quella, ma come elemento di completamento e tecnica attivante. Grazie al suo carattere figurativo /

immaginale e rappresentativo (in modo dinamico: il gioco dopotutto è un processo) esso permette

l’espressione, attraverso le immagini che via via vengono realizzate e scomposte nella sabbiera, dei

livelli più profondi della personalità, di contenuti che non possono ancora essere verbalizzati perché

ancora lontani dalla consapevolezza del paziente. Proprio in quanto approccio basato

sull’espressione simbolica per immagini, dunque, il gioco della sabbia costituisce una modalità

espressiva più diretta, spontanea e immediata rispetto alla verbalizzazione (e particolarmente adatta

dove la verbalizzazione possiede minore efficacia, come nella terapia infantile) e permette il

superamento di difese e riserve.

Ne Il segreto del Fiore d’Oro Jung esprime molto bene l’atteggiamento necessario per considerare propriamente la

rappresentazione per immagini dei contenuti psichici, ovvero – in sintesi - quello del lasciar scorrere indisturbato il

fluire dello sviluppo psichico: “Il lasciar fare, l’azione nell’inazione, l’ abbandonarsi del maestro Eckart, è stata per me

la chiave con cui son riuscito ad aprire la porta in quella via in cui bisogna essere capaci di lasciar fare all’anima”.

Questo processo di immersione nelle immagini psichiche, e di rivelazione del loro potere e

significato attraverso il gioco, è per Jung quello che permette il processo di integrazione della

psiche (nel bambino come nell’adulto, che attraverso il gioco può contattare il “bambino dentro di

sé” che è stato dimenticato o svalorizzato).

Da questo punto di vista, è evidente che i bambini – che in quanto immediati, spontanei e diretti hanno un facile

approccio al gioco – sono i pazienti ideali per proporre il gioco della sabbia.

Dal punto di vista del paziente, in quanto tecnica proiettiva la terapia del gioco della sabbia opera dunque su due

versanti:

1. consente, grazie ad un momentaneo allentamento dei controlli dell’io, di esprimere dimensioni più profonde

della psiche. E questo rappresenta di per sé un elemento di indubbio valore terapeutico;

2. permette al paziente di divenire consapevole delle proprie immagini interiori inconsce proiettate nella sabbiera

e del significato che esse hanno nella genesi del disagio psichico.

Uno spazio “libero e protetto”

Nella terapia con i bambini, secondo la Kalff è opportuno che lo psicoterapeuta crei “uno spazio libero e al tempo stesso

protetto”, che impedirà al bambino di sentirsi solo, sia nei momenti di difficoltà sia nei momenti di gioia, nel senso di

permettergli di sentirsi libero e al tempo stesso protetto nelle proprie espressioni e manifestazioni.

La conseguente condizione di fiducia è importante in quanto ricalcherebbe la prima fase di unità madre-bambino. Essa

può quindi creare, in un clima mentale di tranquilla concentrazione, le condizioni per uno sviluppo intellettivo e

spirituale del bambino.

L’atteggiamento terapeutico “libero e protetto” viene dalla Kalff esplicitamente associato alle raffigurazioni del

Mandala tibetano, quella sorta di disegno rituale (sul quale ritornerò più avanti) che viene inteso come rappresentazione

di un “mistico” cerchio “protettivo” ( la parola “mandala” significa appunto “cerchio”) che impedisce agli agenti esterni

di turbare la meditazione, la pace del luogo sacro.

Nell’intenzione della proposta di Dora Kalff, la metodologia del gioco della sabbia renderebbe possibile l’ideazione di

una sorta di “Mandala individuale” composto appunto da quadri di sabbia, in cui il bambino sceglie gli oggetti da cui è

particolarmente attratto e costruisce immagini e situazioni che sono significativi per la sua storia personale.

Proprio come avviene per il fenomeno della proiezione di fronte a stimoli ambigui, nel gioco della sabbia si verifica che

la mancanza di forma nella sabbiera stimola la mente del bambino alla ricerca di una sua propria espressività.

Particolare rilievo ed enfasi assume l’atteggiamento intuitivo di contemplazione delle immagini che nascono dal “vuoto

della sabbiera” e dal “vuoto della mente”; tale atteggiamento è sincronico al vuoto e al silenzio interiore del paziente e

del terapeuta.

Il termine “vuoto” fa qui riferimento all’attitudine del terapeuta ad accogliere ogni espressione e rappresentazione del

piccolo paziente all’interno della sabbiera, senza manifestare giudizi o attese verbali o non verbali.

Dice infatti la Kalff: “Per riuscire a creare uno spazio libero io cerco di liberarmi dall’atteggiamento

giudicante e dalle idee preconcette. Mi piace stare in uno spazio di apertura e ricezione

dell’inaspettato”. E ancora: “Ciò che io comprendo dello spazio che definisco libero è una completa

apertura al paziente, che permetta alle sue espressioni di fluire in maniera naturale. Penso anche a

Jung che diceva che nel momento in cui siamo con il cliente dobbiamo dimenticare tutto ciò che

abbiamo imparato per poter essere aperti ai suoi bisogni”.

Per “silenzio” si intende l’astenersi da parte del terapeuta dall’interpretare direttamente al paziente le scene da lui

costruite nella sabbiera: secondo la Kalff l’interpretazione precoce potrebbe risultare intrusiva e turbare il processo in

atto provocando la caduta di spontaneità del paziente.

Come accennato, i quadri di sabbia di uno stesso paziente esprimono un decorso particolare al

termine del quale si manifesta un io nuovo e più ampio. L’analisi del decorso di tale processo

consente di affermare che i primi vassoi, in genere il primo di una serie costruita dal bambino,

esplicitano la tematica del conflitto che verrà poi affrontato e risolto durante il processo. In un

secondo momento la rappresentazione esprimerebbe la polarità del conflitto che va via via

approfondendosi. Nei successivi quadri di sabbia ad emergere è l’attività simbolica della psiche che

tende al superamento del conflitto attraverso una nuova sintesi: dagli elementi antitetici delle prime

composizioni si passa alla comparsa di elementi nuovi, sia sotto forma di oggetti singoli sia di

associazioni di più oggetti che simboleggiano lo sviluppo di una nuova sintesi.

In questa fase si verifica un netto cambiamento sul piano clinico rappresentato dal miglioramento delle condizioni

psicologiche del paziente.

Relazione terapeuta-paziente nel Gioco della sabbia

Mi pare utile evidenziare alcune riflessioni sugli aspetti della relazione paziente-terapeuta quali si sviluppano all’interno

del setting del gioco della sabbia.

Sia il paziente che il terapeuta sono coinvolti nel dispiegarsi di questo processo e sono attenti e

interessati all’evoluzione dell’“opera”. Questo aspetto connota la relazione terapeutica di

caratteristiche peculiari e il rapporto terapeutico assume ancor di più le sembianze di un cammino

particolare “percorso insieme”, in cui il terapeuta diventa il compagno di viaggio che, con la sua

presenza attiva e partecipante, ha una funzione stimolante, può dare una mano e instaura uno

scambio diretto e alla pari, pur restando all’interno di un rapporto di tipo analitico.

Nella relazione analitica classica sono in gioco il conscio e l’inconscio del paziente e del terapeuta e

questi utilizza contenuti ed emozioni inconsci attivati in lui dalla relazione terapeutica restituendoli

poi al paziente in un modo che sia per lui comprensibile. Nella terapia del gioco della sabbia, con i

bambini in particolare, è la sabbia il tramite tra paziente e terapeuta: il transfert si sviluppa quindi

tra il bambino e il suo gioco.

La terapia del gioco della sabbia consente dunque l’espressione diretta della realtà interna del bambino. E’ indubbio che

essa fornisca elementi diagnostici e prognostici derivanti soprattutto dall’osservazione delle immagini che compaiono

nella prima costruzione della sabbiera.

Rispetto ad altri strumenti di espressione dell’immaginazione - come il disegno - la terapia del gioco della sabbia pone

chiari limiti formali: le dimensioni precise della cassetta della sabbia, gli oggetti di cui il bambino dispone, le qualità

intrinseche del materiale (la sabbia), il tutto necessita di tempi e modalità propri.

La presenza di queste limitazioni obiettive – che si profilano e sono accolte dal bambino come regole del gioco –

sembra rappresentare la vera forza del gioco della sabbia, imponendo impegno e adattamento dell’io al materiale: il

bambino deve così operare una certa definizione e canalizzazione delle sue vicende interne per poterle esprimere.

Egli è pienamente libero di rappresentare ciò che vuole e nella scelta e nell’uso delle figure che ha a disposizione, “ma

come la vera libertà non è pensabile senza confini, così la cassetta di sabbia con la sua misura riferita all’uomo prepara

una frontiera alla raffigurazione entro cui il mutamento si compie. Il bambino vive questo in modo del tutto

inconsapevole, come ho indicato parlando dello spazio libero e al tempo stesso protetto”.

Un Gioco della sabbia analitico transazionale

Da questo breve excursus sul gioco della sabbia quale è stato teorizzato e utilizzato nell’ambito della psicologia

analitica (Jung, Kalff, Aite), penso risulti evidente la pertinenza del riferimento al gioco della sabbia per la psicoterapia

infantile [in generale], e dunque del tentativo di ipotizzarne un uso coerente quale strumento diagnostico (e terapeutico)

nell’ambito di una terapia analitico transazionale, in particolare se rivolta ai bambini.

Naturalmente, tale tentativo deve – ritengo – in larga parte prescindere dalla caratterizzazione simbolica che la

psicologia analitica attribuisce agli elementi del gioco della sabbia, per orientarsi verso l’identificazione di particolari

elementi significativi in grado di essere rivelativi di quegli altrettanto particolari aspetti che una terapia analitico

transazionale ricerca e promuove quali portatori di valore diagnostico e terapeutico.

Nello sviluppare tale tentativo, intendo non solo considerare alcuni degli oggetti, aspetti e caratteri

del gioco della sabbia quali sono già ampiamente utilizzati e praticati, ma anche procedere alla

definizione di elementi nuovi a misura che questi siano significativamente interpretabili in analisi

transazionale, in quanto coerenti con quegli aspetti centralissimi in AT che costituiscono il punto di

riferimento ineludibile della nostra pratica terapeutica (analisi degli Stati dell’Io, analisi delle

transazioni, analisi del copione).

E’ forse bene precisare che quello che qui propongo non vuole ovviamente essere in alcun modo

una “valutazione” critica di quanto teorizzato o utilizzato dalla psicologia analitica, né un tentativo

di piegarne e adattarne le tesi all’ambito propriamente analitico transazionale.

Intendo invece provare a rivedere lo strumento del gioco della sabbia alla luce di un suo ipotetico

elementare utilizzo in una psicoterapia infantile analitico transazionale. Tale tentativo, inoltre,

mentre – com’è ovvio data la natura del presente lavoro – non pretende di proporsi a partire da una

verifica sperimentale, nello stesso modo non aspira ad una applicazione pratica tale e quale viene

qui sommariamente esposto, ma intende offrirsi come spunto di riflessione su un utilizzo del gioco

della sabbia in analisi transazionale e come punto di partenza per un eventuale e più consistente

tentativo di – diciamo così – “formalizzazione” analitico transazionale.

Il Gioco della sabbia: un Mandala per i più piccini

Procedendo con ordine, mi sembra interessante soffermarmi brevemente su alcuni aspetti del gioco

della sabbia che la psicologia analitica ci ha presentato – accennati in precedenza - e sul nesso che

lo mette in relazione a quel particolare “crittogramma del Sé” – valido strumento psicoterapeutico

per Jung – rappresentato dal Mandala di sabbia.

Il Mandala è un elemento proprio di una lunga tradizione di tipo mistico, presente soprattutto in

Oriente in molte tradizioni religiose, e in gran parte - e per moltissimi secoli - di carattere

essenzialmente esoterico. Di fatto, un Mandala di sabbia è un disegno in cui sono rappresentate una

serie di immagini, in prevalenza complesse strutture geometriche, formate posizionando sabbia

colorata su una base orizzontale. Tra le principali caratteristiche di questo disegno, riscontrabili in

tutti i Mandala, è utile ricordare la simmetria delle immagini rispetto a un punto centrale o a un

elemento di riferimento, la struttura concentrica, la presenza di forme geometriche ricorrenti (per

esempio il cerchio o il quadrato).

Nella teorizzazione junghiana il Mandala è interpretabile come una vera e propria rappresentazione

del Sé, uno specchio della personalità, costituita mediante il riferimento a immagini e figure che

possiedono una precisa quanto universale valenza simbolica, legata alla natura archetipica che è

loro propria. Esso rappresenta quindi un vero e proprio “crittogramma” del Sé e dell’ininterrotto

processo con cui il Sé procede all’integrazione dei contenuti inconsci nella singolarissima

formazione della personalità (individuazione) in accordo con la tendenza della psiche ad esprimersi

con simboli collettivi e universali dotati di una propria ineludibile numinosità.1

L’universale archetipo dell’Integrazione con i suoi Simboli è ciò che quindi si esprime nel Mandala

e che consente al terapeuta junghiano di utilizzare il Mandala come strumento diagnostico e

terapeutico: del “qui e ora”, ovvero della personalità in un dato e preciso momento, e della sua

evoluzione alla ricerca di un equilibrio migliore per mezzo di simboli attivatori.

In Jung le immagini mandaliche sono dunque “creazioni genuine dell’inconscio” da analizzare

utilizzando quel simbolismo onirico (“Simboli della trasformazione”), soprattutto di derivazione

alchemica (“Misterium Coniunctionis”), che solo può riflettere l’organizzarsi della personalità in

relazione alla sua “vocazione” archetipica e misteriosamente destinale.

Anche una così superficiale disamina sull’utilizzo del Mandala quale strumento psicoterapeutico è

per questa trattazione fortemente significativa. L’utilizzo che Dora Kalff fa del gioco della sabbia in

psicoterapia infantile riprende infatti decisamente la modalità junghiana dell’analisi del Mandala, e

fornisce così la giustificazione del nesso che possiamo vedere tra la qualità “proiettiva” e espressiva

del Mandala di sabbia e quella che si esprime nel gioco della sabbia.

Sembra anche più che evidente come il gioco della sabbia proponga caratteristiche che ne

incoraggiano l’uso in psicoterapia infantile unitamente ad altre modalità proiettive (disegno, gioco)

laddove altri strumenti risultano improponibili, se non per la loro peculiarità almeno per

l’impossibilità di renderli allo stesso tempo accettabili da parte dei piccoli pazienti e

sufficientemente spontanei e espressivi (non troppo astratti o artefatti) da mantenere le loro qualità

diagnostiche.

Il gioco della sabbia appare in quest’ottica un vero e proprio Mandala per i bambini: l’equivalente

per la psicoterapia infantile di ciò che il Mandala è – nella psicoterapia junghiana – per la terapia

degli adulti, e capace di liberare i medesimi contenuti simbolici e espressivi.

Uno strumento, inoltre, che può essere facilmente proposto in psicoterapia infantile e facilmente

recepito e messo all’opera, senza quelle caratteristiche di astrattezza, formalismo o “estraneità” che

altri strumenti potrebbero esibire quando proposti a bambini, compromettendone quella libera

“espressività” che è per noi necessaria.

A che Gioco (della sabbia) giocare?

1 Con il termine “numinoso” Jung intende “una qualità... o influsso di una presenza invisibile che causa un particolare cambiamento nella coscienza”. Questo aggettivo accompagna le esperienze a sfondo archetipico, di incontro con il Sacro o con il senso non ancora – o non compiutamente - disvelato.

E’ evidente che l’indubbio valore che il gioco della sabbia ha quale strumento psicoterapeutico, nel

senso appena indicato, va considerato a misura che esso si adatta alle caratteristiche e alle

particolari esigenze di questo o quel particolare approccio. E dunque, per noi, a quanto ci

aspettiamo di cercare e di riscontrare, con gli strumenti interpretativi che abbiamo a disposizione, in

una psicoterapia analitico transazionale.

In tal senso, ritengo innanzitutto che una riflessione propedeutica ad un utilizzo coerente del gioco

della sabbia dovrà richiedere l’identificazione di precise caratteristiche, nell’ambito degli

elementi/oggetti che costituiscono il gioco della sabbia, significative per i nostri metodi e le nostre

procedure.

Intendo quindi suggerire una definizione dell’uso di tali oggetti/elementi e della loro funzione quali

elementi proiettivi prima e quali oggetti di interpretazione poi.

Procedendo in questa direzione, in primo luogo diverrà allora possibile proporre una particolare

configurazione del gioco della sabbia adatta al lavoro analitico transazionale, ovvero comprendente

certi particolari oggetti, che possano venire interpretati in un certo modo nell’ambito della

valutazione globale del gioco.

In secondo luogo, la riflessione può allargarsi alle modalità interpretative messe in atto dal

terapeuta (sulla base di quella particolare configurazione del gioco), a come questi potrebbe

efficacemente procedere allo scopo di garantire un valore diagnostico, o comunque conoscitivo, al

gioco della sabbia e alle stesse griglie interpretative che su quello intende applicare.

Infine, una riflessione sull’utilizzo del gioco della sabbia dovrà riguardare le forme e i modi in cui

questo può essere efficacemente proposto nel corso di una terapia analitico transazionale, in accordo

con gli altri strumenti utilizzati e con le esigenze sottese al corretto svolgimento di una seduta.

Riassumendo, ci possiamo domandare:

• come comporre l’ambito del gioco, con quali oggetti significativi, con quali forme

significative, con quali colori etc.. in accordo con le esigenze di una terapia analitico

transazionale;

• come interpretare correttamente quell’ambito, in accordo con le nostre specificità teoriche e

procedurali, e come utilizzare correttamente quella interpretazione in vista degli obiettivi

della terapia;

• come proporre praticamente il gioco della sabbia nell’ambito di una seduta, in accordo con

la strutturazione dei tempi, con gli altri strumenti, con le modalità relazionali che abbiamo

stabilito... insomma con quanto d’altro è compreso nel setting specifico.

Nota: piccola Liberatoria (per gioco) e Limiti del Gioco

Come detto, non pretendo certo di fornire qui una esposizione non dico accettabile, ma nemmeno

esaustiva di un qualche utilizzo del gioco della sabbia in analisi transazionale. Piuttosto, spero di

riuscire a produrre alcuni spunti (anche “di fantasia”... ma si tratta di un gioco) che potrebbero

essere oggetto di attenzione qualora quel tentativo fosse in qualche modo avviato, e nell’ottica di un

riferimento preciso a quelli che sono alcuni degli obiettivi di un analista transazionale: l’analisi

delle transazioni, l’analisi degli Stati dell’Io (egogramma), l’analisi del copione.

Per questo, rispetto a quanto accennato sull’utilizzo del gioco della sabbia in psicologia analitica

occorre naturalmente rinunciare a gran parte della dimensione simbolica che costituisce la

possibilità della lettura junghiana del Mandala e della interpretazione del gioco della sabbia di Dora

Kalff, per concentrarsi invece sulla specificità delle domande che ci poniamo, in quanto terapeuti

analitico transazionali, nel corso di una seduta.

Comporre un Gioco della sabbia significativo

Siamo così giunti alla nostra cassetta di sabbia, solida e materiale. Un punto di partenza, allora,

riguarda la proposta di una serie di elementi e/o caratteristiche significanti, che allo stesso tempo

condizionano la composizione fisica della cassetta della sabbia, determinano la modalità del nostro

agire interpretativo e strutturano il modo in cui il gioco viene proposto e si svolge, il tutto – almeno

nelle intenzioni - in ottica squisitamente analitico transazionale.

Gli elementi che propongo sono:

• Strutture

• Figure

• Punto centrale

• Orientamento (direzione)

Poiché ognuna di queste categorizzazioni mi sembra richiamare le altre nella definizione del proprio

uso e significato, intendo cominciare a descriverle senza un criterio preciso a partire da quella che

dà più problemi sul piano eminentemente pratico (di composizione della cassetta), fino a quella che

dà più problemi da un punto di vista – diciamo così – denotativo (del significato che rivestirebbe).

Strutture

Con il termine “strutture” voglio alludere alla possibilità che il bambino realizzi nella cassetta delle

forme – appunto – “strutturate”: dotate di possibili “confini” (con caratteristiche diverse), dotate di

possibile “forma” (anch’essa che può apparire diversissima), mutevoli nel corso del gioco,

interagenti tra loro e rivelative nell’analisi delle loro caratteristiche.

Sono “strutture” le definizioni di forme geometriche (per esempio cerchi o quadrati) “costruite” dal

bambino mediante oggetti messi a disposizione nella cassetta (per esempio bastoncini con

lunghezze diverse, o oggetti tendenzialmente simili ai mattoncini Lego) oppure tracciate dal

paziente sulla sabbia, come solchi o rilievi, che siano appena più che linee e diano luogo a vere

“forme” (“perimetri”, come la classica “pista” per le biglie tracciata sulla sabbia nei parchi giochi ).

In tal senso, saranno “strutture” quelle che si pongono come “cornici” di altre porzioni della

cassetta, in quanto “racchiudono” al loro interno altri elementi.

Saranno sempre interpretabili come strutture le forme “piene”, come quelle che potrebbero essere

realizzate (a puro titolo di esempio) unendo le mani “a coppa” e costruendo degli “ammassi” di

sabbia, oppure come quelle che potrebbero risultare dalla definizione della sabbia mediante una

tipica “formina” per bambini, o “solidi” realizzati con gli oggetti cui si è accennato sopra (come i

“mattoncini” accatastati gli uni sugli altri a formare una sorta di quadrilatero o un semplice

mucchietto).

Similmente a quanto accade nell’interpretazione junghiana del Mandala (che si sviluppa

necessariamente per forme geometriche concentriche e interagenti), per quanto caotica possa

risultare la rappresentazione sulla sabbia consideriamo valido il fatto che il bambino tenderà sempre

a definire “strutture”: a disegnare quadrati o cerchi o solchi e confini, che racchiudono qualcosa o

dividono una parte dall’altra, che evidenziano “porzioni” di spazio con precise caratteristiche, e che

queste strutture avranno sempre la tendenza (più o meno accentuata, informazione non da poco) ad

essere parte di una forma più grande, una forma “strutturata”.

La presenza di “linee” o forme geometriche avrà, penso, particolari caratteristiche che sono

direttamente interpretabili.

I “confini” che si definiranno potranno essere netti o leggeri, i solchi evidenti o “sfumati”.

Potremmo avere strutture con linee frastagliate o più definite, “forme” ben delineate e “piene” o

informi, “cadenti”, parzialmente disperse e indefinibili.

Le strutture identificabili potranno dare l’impressione di essere “complete” o “incomplete”, e la

rappresentazione globale della cassetta potrà mostrare maggiore o minore “variabilità”, maggiore

quando presenterà molte strutture e quindi una immagine caotica, minore quando mostrerà poche

strutture e quindi fornirà una impressione di maggiore uniformità.

Mi pare di poter riassumere la significatività di questi elementi nel seguente modo:

da una parte avremo linee nette, confini definiti, porzioni di spazio chiare, spazi – come dire –

maggiormente organizzati, figure “piene”, elementi ricorrenti, forme geometriche, strutture in

relazione tra loro, uniformità nella cassetta;

dall’altra potremo avere linee frastagliate, forme geometriche spezzate, forme caotiche o

prevalentemente indefinibili, figure totalmente asimmetriche e poco chiare, confini instabili e

indefiniti, porzioni di spazio confuse, mancanza di uniformità di fondo della cassetta.

Un elemento che mi sembra importantissimo legato alle “strutture” sarà il loro orientamento (o la

loro “direzione” relativa), verso l’esterno o verso l’interno, “centrifugo” o “centripeto” (come dire:

dall’esterno al centro del Sé o viceversa, da quel centro verso l’esterno).

Vediamo come:

Punto centrale e Orientamento

Nella teorizzazione junghiana (e quale risulta da una secolare tradizione) un Mandala di sabbia è

caratterizzato dall’espandersi di figure geometriche concentriche a partire da un punto centrale, in

qualche modo sviluppantesi “intorno” a quello. La rappresentazione più elementare del mandala,

scrive Jung, è appunto quella del punto circondato da un cerchio, di cui è il centro. Nella simbologia

ad essa connessa - semplificando molto - il punto centrale è rappresentativo della vera e propria

radice del Sé, il Lapis della tradizione alchemica (una rappresentazione immaginale dei contenuti

inconsci di natura archetipica), mentre il cerchio è in qualche modo riferito al Cosmo, all’esterno,

nonché a quella individuazione del Sé intesa come processo mai concluso di integrazione nel

conscio di contenuti inconsci (appunto, il “processo di individuazione”). L’orizzonte di riferimento

delle analisi del gioco della sabbia di Dora Kalff (sempre semplificando) è naturalmente lo stesso.

Questo riferimento è – per i nostri scopi – in varia misura interessante, e considerato insieme alle

“strutture” appare decisivo.

E’ indubbio che qualsiasi configurazione assuma la rappresentazione che il bambino realizza nella

cassetta della sabbia, sia per la rappresentazione “globale” che per i singoli elementi sarà

identificabile un “punto focale”, un punto centrale (naturalmente non per forza collocato

centralmente rispetto a quelli), in relazione al quale tutto ciò che è compreso nella rappresentazione

si struttura e in base al quale acquisisce quella che ho precedentemente chiamato orientamento (o

direzione). Ovvero “disposizioni” sul piano che appaiono come caratterizzate da movimento da o

verso il punto centrale.

L’insieme di punto centrale e orientamento della rappresentazione è – mi sembra, soprattutto

recuperando in parte l’interpretazione junghiana – inevitabilmente significativo: gli elementi del

gioco, le strutture e le figure (alle quali accennerò in seguito) che formano la rappresentazione sono

infatti connotate dall’orientamento che assumono rispetto a quel centro.

Un accenno interpretativo

E’ possibile a questo punto, considerando strutture, punto centrale e orientamento, azzardare degli

evidenti elementi interpretativi.

Mediante lo svolgersi degli elementi significativi della rappresentazione nella cassetta, sembra

possibile una sorta di analisi funzionale e strutturale degli Stati dell’Io (entro ovvi limiti) orientata

alla definizione di un egogramma.

In questo senso, si può per esempio assumere che la presenza di strutture sarà tanto più rigida, netta,

organizzata in strutture “chiuse” quanto più si evidenzierà una riduzione dell’espressività più

spontanea – o del BL - in favore di un fondamentale adattamento (BA). Allo stesso modo,

l’orientamento verso l’esterno opererà nel primo senso, mentre l’orientamento centripeto indicherà

una sorta di “chiusura” verso l’interno.

E’ evidente che si potrebbero ipotizzare varie descrizioni in cui il rapporto tra orientamento e

tipologia di strutture risulta indicativo in termini di analisi funzionale e strutturale degli Stati

dell’Io.

Il rapporto tra strutture “chiuse” e strutture aperte può forse dirci qualcosa sulla configurazione

degli Stati dell’Io e sull’intensità di meccanismi ingiuntivi, ma anche sulle spinte e sulle resistenze

in atto, anche – naturalmente – in relazione all’analisi in corso; una certa tipologia di struttura

(netta, rigida, molto marcata; orientamenti verso l’interno, la realizzazione di solchi profondi o di

rilievi – come piccoli muri) può indicarci un adattamento (BA) e una presenza di GN

preponderante, mentre una diversa tipologia di equilibrio tra le strutture (un orientamento verso

l’esterno, la presenza di strutture aperte, una configurazione meno caotica e più “lieve”) avvalorerà

l’ipotesi di un GA maggiormente energizzato e di una maggiore potenzialità del BL.

Frammentazione, linee spezzate e forme prive di confini e perimetri evidenti possono essere

considerate espressive di conflitto e quindi ugualmente indicative…

e – senza grande difficoltà, mi sembra – è possibile immaginare ipotetiche configurazioni della

cassetta di sabbia in grado di dirci molto e di orientarci a una valutazione strutturale e funzionale

degli Stati dell’Io, a una qualche comprensione della conflittualità, a una bozza di egogramma, a

una considerazione di meccanismi copionali in atto (e in fieri), e forse a molto altro.

Ma – facendo un passo indietro - alla nostra cassetta manca ancora un elemento interpretativo:

Figure

Con il termine “figure” – considerato quasi nel suo uso “teatrale” - intendo riferirmi a piccoli

oggetti con una immagine precisa, come pupazzetti, figurine umane o di animali o di piante quali

quelle che si possono trovare facilmente tra i giocattoli; miniature di alberi, di edifici, di animali,

casette, castelli, torri… o altri oggettini come teiere, piattini, sedie, automobiline, chiavi, eccetera.

Ma anche oggetti più “neutri”, come sfere di vetro o di legno, dadi, piccoli sassi, piccole forme

geometriche, e altre cose simili. Ma anche piccoli strumenti o oggettini singolari in grado di

suscitare curiosità, da utilizzare quali stimolo al gioco e alla fantasia (per esempio: una clessidra ).

Come ho fatto precedentemente per le “strutture”, non penso di dovermi soffermare qui

nell’identificare precisamente quali figure riterrei si debbano utilizzare. Vorrei invece tentare una

disamina delle caratteristiche che queste dovrebbero avere affinché siano elementi adatti al nostro

scopo, e del significato che le figure possono assumere in vista del nostro obiettivo.

Credo di poter assumere che avremo a che fare con figure dotate direttamente di un contenuto

simbolico non eludibile, e con altre che non avranno un tale contenuto diretto e che quindi si

presteranno ad essere “interpretate” dal bambino che le connoterà con contenuto variabile.

Altre figure potranno, mi sembra, essere utilizzate dal terapeuta affinché vengano investite di un

qualche significato nel momento in cui si “gioca”, e questo – anticipo – presume un intervento

diretto del terapeuta nel momento del gioco e una sua partecipazione nell’incoraggiare

l’assegnazione delle qualità e del significato a certe figure (per esempio, allo scopo di stimolare una

associazione con uno Stato dell’Io del bambino attivato in un particolare momento del gioco).

Alcune figure dovranno forse essere ancora più neutre, ed essere utilizzate dal terapeuta come se

fossero di volta in volta portatrici di un preciso significato simbolico che il terapeuta stesso si

preoccuperà di associare all’oggetto, “costringendo” il bambino a quella associazione come a un

dato di fatto.

Tra le figure, alcune avranno una funzione attivatrice, che nondimeno dovrà probabilmente essere

incoraggiata dal terapeuta. Penso in questo caso a figurine – potremmo dire – del “papà” o della

“mamma”, o del “bambino”. Tali figure non possono essere considerate direttamente simboliche

(come il drago, o la tigre, o il mostriciattolo di gomma o la torre di pietra scura) ma sono

indubbiamente, dopo quella sorta di “attivazione” che abbiamo ipotizzato, ancor più rivelative,

soprattutto in associazione con le altre figure.

Come accennato, altre figure dovranno servire soltanto a stimolare l’elemento fantastico e dare al

contesto la dimensione propria del gioco, in modo da facilitare l’esercizio del gioco della sabbia

impedendo che questo possa assumere un carattere astratto o di compito da svolgere, perdendo così

parte della potenziale espressività spontanea che il bambino può riversare nel gioco.

Da un punto di vista pratico, la determinazione delle figure da utilizzare nel gioco è, a mio parere,

molto molto difficile, e suscettibile di ampi fraintendimenti interpretativi.

Le modalità interpretative delle figure – nel contesto e in associazione con le altre figure – mi

sembrano inutili da sottolineare. Le figure, di per sé o opportunamente “guidate”, assumeranno in

modo diretto o indiretto le funzioni degli Stati dell’Io del bambino, rappresenteranno il conflitto ed

esibiranno le energizzazioni dei vari Stati, potranno alludere – al posto del bambino stesso – al suo

contesto di vita e alle decisioni copionali in atto.

Cosa c’è nella cassetta?

Ho cercato fin qui di chiarire alcune caratteristiche che ritengo essere significative e proprie del

contesto del gioco della sabbia, e di delineare i tipi di oggetti che dovremmo trovare nella cassetta -

oltre alla sabbia colorata, naturalmente – sulla base della corrispondenza con quelle caratteristiche.

Ma, certo, non si è detto nulla di definitivo sugli oggetti veri e propri che – a questo scopo –

dovremmo mettere a disposizione del bambino affinché la rappresentazione del gioco abbia la

forma che ci aspettiamo (meglio: abbia una forma coerente con i meccanismi interpretativi che

vogliamo applicare, e quindi utile). Vorrei qui di seguito aggiungere qualcosa agli esempi riportati

in precedenza.

Per quanto riguarda le strutture, penso che ci si debba orientare verso piccoli oggetti che possano

appunto essere “messi insieme”, accatastati o dispersi, usati per creare “limitazioni” o “recinzioni”

(proprio come piccoli muri) dello spazio o come “tratti” e porzioni di un disegno; che possano

essere nascosti nella sabbia in tutto o in parte e messi in relazione con oggetti simili. Direi di essere,

nel complesso, orientata a immaginare cose come bastoncini di diverse lunghezze e colori (della

forma di matite, più o meno), mattoncini di diversa grandezza e colore, abbozzi di elementi

strutturati (piccoli archi, angoli, porzioni di figure geometriche) o piccoli elementi strutturati

(triangoli o quadratini).

Ritengo che in qualche misura sia utile proporre al bambino oggetti che orientino o alludano – per

la loro forma – a forme geometriche, con rette, angoli, che facciano da contraltare alla “informità”

della sabbia.

Come già accennato, ancora più complessa appare l’identificazione di “figure” appropriate, sulle

quali occorrerebbe forse riflettere volta per volta, caso per caso, in qualche modo seguendo la

disposizione del paziente, soprattutto per le figure che vorremmo direttamente simboliche e per

quelle che vorremmo “attivatrici”, nel senso spiegato, e quindi di volta in volta indirettamente

simboliche.

Certamente non devono mancare le figure “fantastiche”, quelle che hanno lo scopo di stimolare il

gioco, la fantasia, l’espressività.

Tra le figure di questo tipo potremmo annoverare miniature di piante o animali, oggetti strani come

una clessidra o un sestante, o dei dadi, riproduzioni di fiori, rametti, piccole pietre e sassi, foglie,

palline colorate…

Tra le figure “attivatrici” ho già citato i pupazzetti del “papà”, della “mamma” e del “bambino”;

potremmo pensare a figure umane “neutre” (non caratterizzate, per esempio, dall’avere una

armatura o una pentola), casette, piccoli animali (come cagnolini o gattini)…

Tra le figure “simboliche” trovano facilmente posto draghi, castelli con torri, cavalieri in armatura,

animali aggressivi in posa aggressiva (la tigre con la bocca spalancata), figure ”rituali” come, per

esempio, Biancaneve o i nanetti…

La Relazione scritta nella sabbia

Occorre soffermarsi su un’altra importante circostanza: nel gioco della sabbia il bambino

rappresenterà anche la relazione con il terapeuta, la cui importanza è centralissima nel nostro

lavoro; vi immetterà le forme della propria possibilità di manifestare un “accordo” per la terapia, l’

“alleanza” di cui abbiamo bisogno; esprimerà la relazione con quelle figure che di fatto lo avranno

portato da noi e con le quali avremo stabilito realmente quell’accordo, manifesterà le resistenze alla

terapia e al lavoro terapeutico e aprirà così spazi di intervento possibile – da parte del terapeuta –

per comprendere e orientare la relazione.

Il gioco della sabbia allora costituirà per il terapeuta una chiave per valutare lo sviluppo della

relazione e le dinamiche transferali. Farà, nelle forme in cui è possibile, le veci di un Gioco (nel

senso berniano del termine) che il terapeuta può analizzare affinché la relazione terapeuta–paziente

si evidenzi, e i meccanismi transferali siano consapevoli.

Possiamo dire che in quest’ottica il gioco della sabbia come strumento assume il ruolo di presenza

dinamica nella relazione, e modifica il campo della relazione quando il lavoro analitico ne porta in

superficie le ragioni profonde. In tal modo si rende percepibile lo strutturarsi dinamico della

relazione stessa nei suoi aspetti transferali e controtransferali.

Proprio per questo la messa in scena del gioco della sabbia non deve essere affidata al caso – uno

strumento di tipo proiettivo affidato al paziente - e solo successivamente analizzata per estrarne

significati e contenuti, ma deve essere pianificata nella terapia e utilizzata anche per veicolare

significati e contenuti, soprattutto quelli di tipo eminentemente relazionale.

Opportuno infine considerare che l’aspetto di relazione, nell’ambito della terapia, sarà tanto più

rilevante quanto più l’età del bambino sarà bassa, la patologia importante e la terapia in fase

iniziale.

Uno “spazio libero e protetto” analitico transazionale

Si è accennato alla considerazione, da parte di Dora Kalff, del gioco della sabbia come di uno “spazio libero e protetto”.

Questa accezione mi sembra tanto più fondata quanto riferita all’ambito analitico transazionale: il gioco della sabbia

appare infatti propriamente come un luogo in cui il bambino sperimenta i permessi del terapeuta di esprimersi

liberamente, grazie alla protezione che questi può garantirgli mediante il riconoscimento della potenza che è in grado di

affermare nella relazione. Permessi, protezione e potenza hanno dunque nello spazio del gioco della sabbia una

particolare e efficace occasione di manifestarsi e connotare la relazione terapeuta paziente.

E’ evidente il fatto che il terapeuta abbia naturalmente il “controllo” di questo spazio, nondimeno riflettere sulla

rilevanza dell’elemento controtransferale aiuta a ricordare che la relazione è giocoforza sottoposta a reciproca

influenza, ed è – come dire – “alla pari”. Con il piccolo paziente è forse più facile, rispetto ad una terapia con l’adulto,

sviluppare un vissuto di “onnipotenza”, legato in particolare al fatto che il terapeuta esperisce l’effettiva possibilità di

avere un ruolo nella strutturazione del piano di vita del bambino. Considerare l’elemento controtransferale rende allora

possibile poter gestire quel rischio e fornisce al terapeuta un vero e proprio “strumento” in quella direzione.

Considerazioni finali

Credo di poter affermare, in conclusione, che il gioco della sabbia potrebbe trovare una valida

applicazione all’interno di una psicoterapia infantile analitico transazionale, ed anzi – correttamente

e sufficientemente formalizzato in ottica AT, in direzione simile a quella qui proposta - potrebbe

risultare uno strumento utile e ricco di possibilità sul piano terapeutico.

Sembra tuttavia che tale validità risulti in definitiva assai affine a quella di altri strumenti

particolarmente adatti a una psicoterapia infantile, mentre presenta in modo evidente più consistenti

difficoltà di tipo eminentemente pratico e applicativo, nonché probabili maggiori difficoltà

interpretative.

Nella consapevolezza che ogni psicoterapia è unica e si sviluppa in una relazione altrettanto unica

tra quel particolare paziente e quel terapeuta (ogni volta “unico” nella relazione), un gioco della

sabbia opportunamente pensato potrà allora trovare il suo spazio nella misura in cui quella

particolare relazione – nella sua tipicità - lo ritenga più adatto di altri strumenti, per quanto più

“semplici” da utilizzare e per questo indubbiamente più “consueti”.

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