IL CONCERTO PER TROMBA E ORCHESTRA DI J.N. HUMMEL
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1
CONSERVATORIO STATALE DI MUSICA
“NICCOLÒ PAGANINI”
GENOVA
IL CONCERTO PER TROMBA ED ORCHESTRA IN MI MAGGIORE DI JOHANN NEPOMUK HUMMEL:
cenni storici, analisi e considerazioni stilistiche
TESI DI DIPLOMA ACCADEMICO
BIENNIO DI II LIVELLO IN DISCIPLINE MUSICALI – SCUOLA DI TROMBA
Relatore: Prof. Roberto IOVINO Co – relatore: Prof. Elia SAVINO
Gianpiero LO BELLO Matricola n. 2037
ANNO ACCADEMICO 2005/2006
2
INDICE
INTRODUZIONE
1
CAPITOLO 1 – JOHANN NEPOMUK HUMMEL: NOTE BIOGRAFICHE
5
CAPITOLO 2 – CENNI STORICI SULL’EVOLUZIONE DELLO STRUMENTO
9
CAPITOLO 3 – LA TROMBA A CHIAVI: NASCITA, SCOMPARSA E
RINASCITA
16
CAPITOLO 4 – ANALISI DEL BRANO
23
CAPITOLO 5 – PROBLEMATICHE E CONSIDERAZIONI DI PRASSI
ESECUTIVA
31
BIBLIOGRAFIA
37
APPENDICE – DISCOGRAFIA
40
RINGRAZIAMENTI
46
4
Da un punto di vista assolutamente oggettivo e generale, il sapere umano è una
classica “arma a doppio taglio”, che può dare grandi soddisfazioni ma anche grandi
frustrazioni. Da questa regola non si esime la Musica: questa nobile Arte, oggigiorno così
bistrattata e poco riconosciuta, possiede una precisa e circostanziata ambivalenza
genetica; quella, cioè, che unisce, compenetrandole, due componenti fondamentali: la
prima, di tipo teorico – speculativo, contrapposta e complementare alla seconda, di tipo
più marcatamente pratico – esecutivo.
Un musicista, ad un tempo solo, è (o dovrebbe essere…) smaliziato artista ma
anche coscienzioso artigiano; approfondito cultore ma anche gioioso neofita; energico e
spavaldo maestro ma anche umile e timido apprendista; mente aperta e libera di
esprimersi al di sopra di tutto e di tutti ma anche cocciuto e banale esecutore materiale di
suoni, i quali, come diceva Stravinsky, sono dappertutto tranne che sulla carta. L’elenco
potrebbe prolungarsi a dismisura, con grande gioia dei seguaci del Tao…
In altre parole, laddove e quando il background culturale di un musicista dovesse
essere scarso, superficiale o nullo, il suo proprio valore artistico risulterà piuttosto basso,
così come risulterebbe decisamente impoverito nel caso in cui egli si dovesse perdere
nella spirale dei sofismi fini a loro stessi. Se è vero che “in medio stat virtus”, il bisogno
principale di un musicista è un intelligente, oculato e funzionale mix delle due cose,
prescindendo dal carattere, dalle inclinazioni, dall’esperienza acquisita, dai gusti, da tutti
quegli aspetti appartenenti alla sfera del personale.
Sembra un obiettivo difficile da raggiungere: in realtà non lo è, o quantomeno
non nella misura in cui molti lo immaginano. D’altronde, a ben vedere, le maggiori
difficoltà sono esterne al musicista, e ascrivibili all’ambiente circostante in cui egli opera,
e lo stesso musicista, sebbene spesso animato dalle migliori intenzioni, ben presto viene a
trovarsi in una sorta di ragnatela. Uscirne, ecco la vera difficoltà!
Purtroppo, il mondo musicale moderno sta vivendo, nostro malgrado, un periodo
di recessione conoscitiva: in Italia specialmente, un qualsiasi concerto è visto e vissuto
come un happening, un evento nel quale si dà la precedenza alla componente
spettacolare, relegando la qualità artistica al ruolo di comprimario, per la serie “se c’è
tanto meglio, se non c’è va bene uguale, tanto i biglietti li abbiamo venduti tutti”. Una via
di salvezza potrebbe arrivare dalla didattica: in parte essa arriva, ma solo ad un certo
livello, quello più alto. La riforma dei Conservatori ha effettivamente elevato il livello
5
culturale dei futuri musicisti, e chi vi scrive ne è testimone diretto; purtroppo, però, tutto
ciò che viene prima (scuole medie ad indirizzo musicale, scuole private in grado di
fornire titoli riconoscibili e riconosciuti in sede di ammissione agli Istituti Superiori, i
Licei Musicali) è ancora avvolto nella nebbia più totale, e la legislazione vigente ora in
materia permane in uno stato di disorganicità a dir poco imbarazzante. Speriamo nel
futuro…
Riportando il discorso al di fuori dell’ambito didattico, va detto, ad onor del vero,
che buona parte dei cosiddetti “addetti ai lavori” sta pagando il prezzo della profonda
frattura tra musicisti e pubblico, provocata dalle correnti artistiche dell’immediato
dopoguerra. E’ inutile negarlo, e la Storia lo dimostra: due conflitti di portata devastante
patiti nel giro di trent’anni – le due Guerre Mondiali – hanno inciso pesantemente sulla
società del XX secolo, in tutti gli ambiti; gli animi più sensibili, cioè gli Artisti, hanno
sofferto molto di più delle persone comuni, e lo possiamo vedere, ascoltare e, volendo,
anche toccare con mano in molte delle loro opere d’arte. Inoltre, la sempre più massiccia
diffusione di mass media di contenuto tecnologico anche elevato, se da un lato ha reso
possibile la fruizione personale “differita” di un fenomeno musicale (cioè non legata
all’evento live e gestibile a proprio piacimento; si pensi ai moderni lettori mp3…),
dall’altro ha soggiogato il medesimo fenomeno alle ciniche leggi della Domanda e
dell’Offerta.
Le conseguenze sono ben note, e non è questa la sede adatta per elencarle; quel
che più dovrebbe spaventare è la creazione spontanea di un vero e proprio popolo di
ascoltatori passivi, i quali evitano accuratamente di approfondire le proprie conoscenze al
fine di essere in grado di valutare meglio – quindi, forse, di apprezzare di più – quanto
stanno ascoltando. Da questo aberrante fenomeno di appiattimento, spiace dirlo, non si
esimono alcuni musicisti: per queste persone, la superficialità si paga in termini di
incompetenza, e quello che dovrebbe essere un divertimento (suonare) si trasforma in una
gara a “chi fa tutte le note giuste nel minor tempo”, con conseguenti crisi depressive e
frustrazioni.
Ma suonare non è una corsa ad ostacoli, né tantomeno una condanna ai lavori
forzati…
Sia chiaro, chi scrive non ha assolutamente tempo, voglia e possibilità oggettive
per cambiare le cose, ma soltanto un fortissimo rammarico per la perdita di quella
6
dimensione artigianale della musica, caratteristica che ha costituito la spina dorsale del
“sistema – musica” per secoli (si pensi al Rinascimento, al Barocco, o agli inizi del jazz),
e che potrebbe essere oggi recuperata e sfruttata per riuscire a dire qualcosa di personale
anche in tempi come questi, in cui troppe persone insistono nel sostenere, a torto, che
ormai non c’è più nulla da inventare.
Questo lavoro nasce come documento didattico, essendo richiesto per la Prova
Finale del Corso di Laurea Specialistica Biennale di II Livello in Discipline Musicale, e
si prefigge di offrire una disamina storica, stilistica e tecnico – esecutiva del Concerto in
Mi maggiore per Tromba ed Orchestra di Johann Nepomuk Hummel, a coronamento di
un percorso di studi nel quale la dissertazione storica ed analitica ha viaggiato di pari
passo all’applicazione strumentale, secondo un mix equilibrato ed esaustivo: la mia
speranza è che queste pagine possano essere considerate un umile strumento di
approfondimento per coloro che volessero saperne di più su questa composizione, o
eventualmente un supporto di studio oppure ancora un mezzo per elaborare un’opinione
personale.
Gianpiero Lo Bello
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LA VITA
Nato a Bratislava (Boemia) il 14 novembre 1778, Johann Nepomuk Hummel
(nome boemo Johan Nepomuka) riceve le prime lezioni di musica dal padre Johannes, il
quale all’epoca aveva già avuto diversi incarichi, anche di un certo prestigio: violinista
della cappella viennese del principe Grassalkovic; direttore musicale del Collegio
Militare Wartberg, nei pressi di Bratislava; direttore del Theatre auf der Wieden (quello
che poi diventerà il Theatre an der Wien) di Vienna, ove l’impresario è Schikaneder . La
famiglia Hummel si stabilisce in questa città nel 1785, e il piccolo Johann viene notato da
Mozart, il quale lo ospita in casa, dandogli lezioni di pianoforte per 2 anni; nel 1787, fa
probabilmente il suo debutto in pubblico, in un concerto diretto dallo stesso Mozart: la
carriera concertistica ha inizio ufficialmente due anni dopo.
Accompagnato dal padre, Johann Nepomuk si esibisce in diverse tournées in
quasi tutta Europa, stabilendosi prima ad Edimburgo e poi a Londra, nel 1790: nella
capitale britannica ha modo di prendere alcune lezioni da Muzio Clementi.
Il ritorno a Vienna risale al 1793: qui si perfeziona con musicisti come
Albrechtsberger e Salieri, perfino con Haydn, il quale lo inizia alla tecnica organistica;
gli anni viennesi sono pieni di soddisfazioni, sia economiche che personali, per Hummel:
9
già nel 1799, egli è infatti considerato uno dei migliori pianisti del tempo, specialmente
per le sue doti improvvisative. Sfrutta rapidamente e nel modo migliore la sua fama: è
noto che il giovane Franz Liszt diventa allievo di Czerny solo perché suo padre non
poteva permettersi le esorbitanti richieste di Kummel, in qualità di insegnante.
Haydn, nel 1804, lo raccomanda personalmente al principe Esterhàzy, il quale lo
assume come maestro di cappella a Eisenstadt. La sua maggiore inclinazione alla
composizione e alle lezioni private, però, gli fanno perdere questo incarico nel giro di
sette anni, per cui, alla fine del 1811 rientra a Vienna: qui vive per alcuni anni, dando
lezioni e concerti (alcune cronache affermano che partecipa come timpanista ad una
esecuzione del Wellington’s Sieg di Beethoven, nel 1814).
Nel 1813 sposa la cantante Elisabeth Röckel, sorella di un cantante molto vicino
a Beethoven piuttosto apprezzata all’Opera di Vienna; due anni più tardi è nominato
Hofkapellmeister a Stoccarda, carica dalla quale si dimette nel 1818 a causa dei contrasti
con l’impresario del Teatro di Corte, non prima di aver preso posizioni a favore di
Mozart, Salieri, Beethoven e Cherubini; allora, accetta la nomina a maestro di cappella
presso la corte del Granducato di Weimar, conservando il posto fino alla morte. Qui, il
generosissimo trattamento economico, che prevedeva tra l’altro tre mesi di vacanza
all’anno, gli permette di mantenere un’intensa attività concertistica, anche al di fuori
dell’Impero Asburgico: Germania, Belgio, Inghilterra, Francia, Polonia (è della fine del
1818 l’incontro con Chopin), Russia (fa parte della delegazione della Granduchessa di
Weimar a Pietroburgo, nel 1822).
Muore a Weimar il 17 ottobre del 1837.
La sua carriera artistica inizia con una forte influenza stilistica di Mozart. Gli
storici sono concordi nel dividere tra Kummel e Ignaz Moscheles la discendenza diretta
del panismo mozartiano, così come sono concordi nel definire la scrittura hummeliana
per pianoforte un “anello di congiunzione” tra il Grande Viennese e Chopin da una parte
e Liszt dall’altra, specialmente per quello che riguarda l’uso degli abbellimenti.
I critici a lui contemporanei gli attribuirono una musicalità piena di “grazia,
purezza e raffinatezza classica” (1823); oggi, col senno di poi, si può notare qualche
pecca a livello di profondità dei contenuti, con un ricorso talvolta eccessivo agli
abbellimenti proprio per nascondere questa superficialità.
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Generalmente, Johann Nepomuk Hummel si colloca, per ragioni cronologiche ed
artistiche, tra Classicismo e Romanticismo, come testimonia, ad esempio, l’uso poco
spinto del pedale nelle composizioni pianistiche; questa, insieme ad altre concezioni
nuove, incisero piuttosto profondamente anche nel suo metodo didattico: la sua
Anweisung zum Pianofortespiel si pone allo stesso livello dei lavori d’insegnamento di
Czerny e Kalkbrenner, ed offre soluzione di estrema semplicità; purtroppo, però, l’opera
si pone in ritardo per i suoi tempi, in quanto il pubblico dell’epoca ha già cominciato ad
apprezzare di più uno stile più patetico, “alla Liszt”.
LE OPERE
La produzione di Hummel è enorme, tutta concentrata in un lasso di tempo
relativamente breve; come il suo maestro e mentore Mozart, ma anche secondo una prassi
consolidata per il tempo in cui visse, gli ambiti nei quali il musicista boemo si cimenta
sono eterogenei, e classificabili come segue:
• COMPOSIZIONI PER IL TEATRO: 8 opere teatrali complete e 7
Singspielen; arie, pezzi d’insieme e ouvertures per opere a nome di altri
compositori (tra questi, Gluck, Auber, Mozart, Weigl, Gyrowetz, Kanne e
Beethoven); numeri di balletti; musiche di scena.
• COMPOSIZIONI PER ORCHESTRA: marce, ouvertures, minuetti, trii,
polacche, valzer, danze varie.
• COMPOSIZIONI PER STRUMENTO E ORCHESTRA: 8 concerti, rondò,
concertini, tema con variazioni, fantasie per pianoforte ed orchestra; un potpourri
per viola; un tema con variazioni per oboe; un concerto per fagotto. Non ha
numero d’opera il Concerto per tromba ed orchestra.
• COMPOSIZIONI VOCALI: 6 cantate per solista, coro ed orchestra, 5
messe complete, numerosi pezzi sacri sciolti, un oratorio, cori, Lieder.
• MUSICA DA CAMERA: numerosissimi trii, quartetti, quintetti, sestetti e
settimini (organici variabili, con o senza pianoforte), sonate, rondò, notturni,
potpourris, capricci, danze.
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CAPITOLO 2
CENNI STORICI
SULL’EVOLUZIONE DELLO STRUMENTO
SOMMARIO
FASE 1: LA TROMBA A TIRO
11
FASE 2: LA TROMBA NATURALE
11
FASE 3: TROMBE BAROCCHE A TIRO, TROMBE A MANO, TROMBE CON POMPE E RITORTE INTERCAMBIABILI E TROMBE A CHIAVI
12
FASE 4: LE TROMBE A MACCHINA
14
CONCLUSIONI
15
12
Il Concerto per Tromba ed Orchestra in Mi bemolle Maggiore di Franz Joseph
Haydn è stato scritto nel 1796, quello in Mi Maggiore di Johann Nepomuk Hummel 6
anni più tardi; potrebbe essere utile, se non indispensabile, fare qualche considerazione di
carattere storico sugli strumenti utilizzati all’epoca per l’esecuzione di quelle musiche.
E’ ben noto che nel 1813 Heinrich Stoelzel, cornista di corte a Pless (Slesia
settentrionale), introdusse le valvole al corno, dotando della scala cromatica una
categoria di strumenti che, fino ad allora, era in grado di riprodurre esclusivamente i
suoni armonici della tonalità in cui erano costruiti. Quattordici anni più tardi, nel 1827, il
nuovo e rivoluzionario brevetto fu applicato anche alla tromba, da Friedrich Blühmel,
anch’egli cornista, giovane collaboratore di Stoelzel e membro di una banda di minatori
.E’ altrettanto noto che il passaggio dalla tromba naturale alla tromba a macchina non fu
improvviso, ma frutto di un processo evolutivo, costellato di continui perfezionamenti e
governato da regole artigianali, artistiche e tecnologiche ad un tempo solo. Questa
evoluzione si può sostanzialmente riassumere in quattro fasi ben distinte:
Fase 1: la tromba a tiro;
Fase 2: la tromba naturale;
Fase 3: tromba barocca a tiro, tromba a mano, tromba con pompe e ritorte
intercambiabili, tromba a chiavi;
Fase 4: la tromba a macchina.
Per ragioni di sintesi e coerenza della presente trattazione, verranno esclusi gli
strumenti per i quali le notizie storiche si mescolano, perdendo veridicità, con la
mitologia, benché il cammino del progresso non possa prescindere da essi: è infatti
pressoché impossibile immaginare la tromba moderna senza gli illustri antenati di epoca
egiziana, siriana, assiro – babilonese, romana, scandinava, ma neanche senza tutti quegli
strumenti usati in epoca medioevale. Nondimeno, da un punto di vista più strettamente
tecnico – esecutivo, è impossibile non considerare, anche se in semplice forma di
citazione, l’esperienza rinascimentale del cornetto: questo strumento non appartiene alla
famiglia degli ottoni in quanto ligneo con il fusto curvo e forato, e veniva suonato con
una diteggiatura simile a quella del flauto dolce; il cornetto compare sulla scena quasi
all’improvviso verso la fine del Trecento e, altrettanto repentinamente, scompare poco
13
più di due secoli più tardi, eppure ha modo di lasciare un segno profondo nella prassi
esecutiva, facendo in modo che, per la prima volta, per gli strumenti d’ottone a bocchino
si parli di virtuosismo.
Esaurite le premesse, le fasi evolutive di cui si parlava possono quindi essere ora
sinteticamente descritte.
FASE 1: LA TROMBA A TIRO
Dando per assodato che il Rinascimento sia stato caratterizzato dal dominio del
cornetto sugli altri strumenti a bocchino, è altrettanto vero (e abbondantemente
documentato) che gli ottoni, in quel periodo, abbiano avuto numerose applicazioni
musicali, e non solo militari come è lecito pensare, tant’è vero che già alcune
composizioni religiose a tre voci di autori franco – fiamminghi risalenti alla prima metà
del ‘400, nonché numerose musiche per la danza dello stesso periodo (note col nome di
basse danses ed eseguite dai menestrelli durante banchetti o feste) recano la scritta
“trompetta” o “tuba” per la parte più grave, e l’andamento diatonico della melodia
assegnata lascia intendere la possibilità di ottenere delle vere e proprie scale; inoltre,
molte fonti iconografiche coeve suggeriscono l’esistenza e l’effettivo utilizzo di “trombe
da tirarsi”. Il primo pensiero va al trombone, con la coulisse formata da due porzioni
estraibili parallele; in realtà le trombe a tiro rinascimentali sono strumenti piegati a forma
di S con un unico ramo estraibile, pertanto, le note ottenibili erano limitate da un
semplice fattore anatomico: la lunghezza del braccio dello strumentista. Per questo
motivo, ma anche a causa dell’intervento della Gilda Imperiale1 il trombone sopravvive e
viene usato in maniera sempre crescente, a differenza della tromba a tiro, il cui utilizzo si
esaurisce dopo un periodo relativamente breve.
FASE 2: LA TROMBA NATURALE
E’ lo strumento che dominò il periodo barocco, come testimoniano numerose ed
autorevolissime fonti bibliografiche. Gli strumenti migliori erano quelli di fabbricazione
tedesca e inglese, mentre il più grosso contributo al repertorio per tromba e i primi 1 La Gilda Imperiale dei Trombettisti era una specie di “sindacato”, una corporazione alle dirette dipendenze dell’aristocrazia. Ai suoi membri, verso la fine del Cinquecento, venne proibito l’uso della tromba a tiro, in quanto essa veniva considerata come una aberrazione della tromba utilizzata tradizionalmente nei campi di battaglia.
14
trattati furono di provenienza italiana: si vogliono qui citare “Tutta l’arte della
trombetta” di Cesare Bendinelli (1614) e “Modo per imparare a sonare di tromba” di
Girolamo Fantini (1638).
La caratteristica fondamentale di questo tipo di strumento è quella di avere un
canneggio decisamente lungo, in funzione della tonalità in cui sono tagliate: riferendosi
al diapason moderno e agli strumenti utilizzati a corte – quelli che vengono definiti
“cammerton”, cioè “corista da camera”, per distinguerli da quelli “chorton” ossia “corista
da cappella” e dalle trombe utilizzate dai reparti di cavalleria – gli esemplari più usati
erano in Fa (lunghezza del tubo pari a circa166 centimetri), Mi bemolle (ca. 200 cm), Re
(ca. 212 cm) e Do (ca. 238 cm). Questa maggior lunghezza degli strumenti antichi,
rispetto a quelli moderni, trova una spiegazione di carattere fisico – acustico: un tubo più
lungo ha gli armonici superiori (dal 6° in avanti) più vicini, e gli eventuali difetti di
intonazione potevano essere corretti per mezzo di “aggiustamenti” di labbro
dell’esecutore, il quale era facilitato in questo da un bocchino dotato di appoggio largo e
piatto, diametro interno della tazza piuttosto largo e confortevole e foro ben più largo in
confronto a quello dei bocchini usati oggi.
L’esperienza della tromba naturale non avrebbe potuto lasciare il segno che ha
effettivamente lasciato se, a monte, non ci fosse stata la felice parentesi del cornetto, la
quale lasciò una quantità impressionante di informazioni preziosissime a livello di prassi
esecutiva e di interpretazione; la vicinanza degli armonici superiori, infatti, richiedeva
una tecnica strumentale decisamente avanzata per ottenerli con l’eleganza e lo stile
richiesti dai compositori.
FASE 3: TROMBE BAROCCHE A TIRO, TROMBE A MANO, TROMBE CON
POMPE E RITORTE INTERCAMBIABILI E TROMBE A CHIAVI
L’esistenza di trombe barocche a tiro è testimoniata dalle indicazioni nelle
partiture (Zugtrompeten) delle cantate che Bach e Kuhnau scrissero a Lipsia nei primi
decenni del XVIII secolo, mentre in Francia ed in Inghilterra si hanno notizie di
strumenti con parti mobili chiamati flat trumpet (il termine flat, letteralmente “bemolle”,
indica la possibilità di suonare in tonalità minore). Questi esemplari si rifacevano alle
esperienze maturate nel campo dell’esecuzione con la tromba naturale, impreziosite dalle
15
potenzialità diatoniche fornite dalla coulisse, ma nonostante ciò trovarono scarso
successo: forse perché si rivelarono come una sorta di “doppione” del trombone soprano,
di sicuro perché, nel frattempo, erano state introdotte le valvole negli ottoni.
Sempre nel tentativo di ovviare alle lacune degli strumenti naturali, negli ultimi
anni del ‘700 molti “addetti ai lavori” (dai semplici appassionati ai professionisti)
profusero i loro sforzi alla ricerca di sistemi sempre nuovi e perfezionati.
« […] Fra loro vi erano dei suonatori di tromba che sperimentarono
l’introduzione di fori laterali e di chiavi, nonché l’uso della tecnica della mano nella
campana. Non meraviglia quindi il constatare come nello stesso tempo la vecchia musica
per clarino2 apparisse sempre più inadeguata e come i compositori e gli esecutori
mostrassero un crescente disinteresse nei confronti dei suoi temi stereotipati e fuori
moda. Fu infatti solo grazie al registro di principale3, con il suo linguaggio fresco ed
evocativo, che la tromba naturale conservò un proprio ruolo nell’orchestra classica. […]
Altenburg4 auspicava un ampliamento degli orizzonti della tromba […]5»
Pertanto, la tecnica del corno a mano venne utilizzata sperimentalmente anche
sulla tromba, la quale doveva però avere una forma adatta al nuovo tipo di utilizzo: venne
così brevettata, ad esempio, la trompette demilune, una tromba a forma di mezzaluna di
canneggio corto, spesso e volentieri dotata di ritorte intercambiabili, vagamente
imparentata con il corno segnale a mano. Questa tecnica, sperimentata su modelli diversi
per fattura ed intonazione che in quel periodo vennero brevettati, si dimostrò più
funzionale agli usi orchestrali: in quel contesto, il suono chiuso risultava gradito, e i
cambi di ritorta relativamente comodi da eseguire. Non è poi così difficile pensare che
l’idea di ritorte addizionali fu il passo decisivo verso l’introduzione delle valvole, così
2 Col termine “clarino” si sottintendono tutte quelle parti scritte nel registro sovracuto, ad esempio quelle nelle messe di Bach, o nel concerto per Tromba e Archi di Michael Haydn. Il parallelo con la “chiarina” medievale non è così immediato. 3 Il “principale” è la parte derivata dalla quinta (detta anche “sonata”) delle antiche fanfare di cavalleria. E’ la parte che permise le prime evoluzioni della tecnica dello staccato (semplice, doppio o triplo). 4 Ernest Johann Altenburg (Weissenfels, 1736 – Bitterfeld 1801), notissimo compositore, organista e concertista, nonché appassionato studioso degli strumenti d’ottone. Al loro perfezionamento si dedicò per quasi tutta la durata della sua attività professionale, scrivendo anche il trattato “Arte di sonare la tromba ed i timpani, con accenni storici, teorici e pratici, arricchito da esempi” 5 Anthony BAINES, “Brass Instruments”, 1976. Edizione italiana: “Gli Ottoni”, 1991 E.D.T. Torino.
16
come è alquanto semplice notare in questo modus operandi un primo esempio di
intercambiabilità degli strumenti, oggi prassi riconosciuta in orchestra.
Parallelamente alla tecnica della mano, si sviluppa la consuetudine di praticare
dei fori laterali nel canneggio delle trombe. A dire il vero, questa prassi era stata
sperimentata dapprima nei corni e poi nelle trombe, e nonostante i nobili tentativi di
Haydn e Hummel, questa tipologia di strumenti non prese campo, principalmente a causa
del fatto che i fori laterali (e gli espedienti usati per la loro apertura e chiusura)
smorzavano, e di conseguenza snaturavano, il suono prodotto da uno strumento concepito
senza interruzioni nel canneggio.
Una disamina più approfondita della tromba a chiavi è presente nel capitolo
successivo.
FASE 4: LE TROMBE A MACCHINA
La conclusione del processo evolutivo sintetizzato nelle pagine precedenti trova
la sua conclusione con il brevetto della tromba munita di pistoni che aprono e chiudono
delle pompe aggiuntive: in questo modo, si concretizzarono tutti i tentativi di dotare con
la gamma cromatica uno strumento diatonico, per giunta limitato in estensione. Il
ritrovato di Bluhmel e Stölzel si rivelò così geniale da dare il via a tutta una serie di
famiglie di nuovi strumenti: molti di essi ebbero vita breve, e rimangono sui libri di storia
e nelle leggende metropolitane dei musicisti, molti altri sopravvissero e si diffusero,
trovando utilizzi che perdurano tutt’oggi.
E’ ovvio che una soluzione del genere, decisamente compromissoria, aveva un
prezzo da pagare, in termini di “bontà acustica”: la perdita del suono puro ed originario
della tromba naturale a causa delle curvature del tubo principale e delle porzioni di tubo
aggiuntive: fattore, questo, imputabile ad un fenomeno di fluido – dinamica per il quale
più il percorso di un fluido all’interno è tortuoso, più elevate saranno le turbolenze, con
ripercussioni piuttosto negative a livello acustico, ma soprattutto tecnico – esecutivo.
Inoltre, una maggiore compressione dello strumento dotato di macchina obbligava ad
usare bocchini con misure di molto inferiori rispetto a quelli usati negli strumenti senza
pistoni, con le conseguenze che verranno meglio spiegate nel capitolo 5.
17
CONCLUSIONI
Franz Joseph Haydn e Johann Nepomuk Hummel, come si può evincere dai
paragrafi precedenti, scrissero i loro concerti in un’epoca in cui grande era il fermento
artistico e tecnico intorno agli strumenti d’ottone.
I due musicisti recepirono i gusti del pubblico e le esigenze degli esecutori,
lasciando ai posteri due composizioni molto pregevoli sotto il profilo dei contenuti
stilistici: la loro analisi è riportata nel capitolo 5. Nondimeno, è universalmente
riconosciuto che questi concerti siano piuttosto difficili da eseguire: pertanto, un
personale contributo analitico delle difficoltà esecutive congenite è invece presente nel
capitolo 6.
18
CAPITOLO 3
LA TROMBA A CHIAVI:
NASCITA, SCOMPARSA E RINASCITA
SOMMARIO
ANTON WEIDINGER: IL PIONIERE, L’INVENTORE
17
IL DECLINO
18
LA RINASCITA
18
PER SAPERNE DI PIU’
19
ILLUSTRAZIONI IN QUESTO CAPITOLO
20
19
ANTON WEIDINGER: IL PIONIERE, L’INVENTORE
Nella seconda metà del XVIII secolo, come accennato in precedenza, la tromba
naturale conosce un periodo di declino. Solamente l’invenzione della tromba a chiavi
rende possibile l’esecuzione di una scala cromatica intera da parte di un suonatore di
tromba.
Il trombettista (anche se sarebbe più corretto dire trombista) della corte di
Vienna, Anton Weidinger (Vienna, 9 giugno 1767 – 20 settembre 1852), entra a far parte
del Corpo Imperiale dei Trombettisti di Corte nel 1799; proprio in quel periodo, progetta
– e successivamente, brevetta – una tromba dotata di chiavi, che aprono e chiudono fori
(in numero variabile da 3 a 5) praticati ad arte lungo il tubo dello strumento stesso. La
sua invenzione, probabilmente, va oltre le sue stesse aspettative, in quanto il suo progetto
originario prevede la costruzione di uno strumento in grado di suonare cromaticamente,
basandosi sui primi esempi di trombe, o meglio, di corni a chiavi.
Il 28 marzo del 1800, il Concerto scritto da Franz Joseph Haydn viene eseguito
per la prima volta nel Teatro di Corte di Vienna: il musicista lo aveva scritto quattro anni
prima proprio per Weidinger, come atto di amicizia nei suoi confronti ma anche (e, forse,
soprattutto…) come forma di interesse per l’innovazione strumentale. Fino a quel
momento, la scrittura trombettistica di Haydn aveva mostrato caratteri di supporto
armonico o, talvolta, sottolineatura di un particolare effetto o “emozione”: quasi mai
qualcosa di superiore o diverso. Con questa decisa presa di posizione a favore del nuovo
potenziale fornito dallo strumento che lo stesso Weidinger chiama “organisierte
Trompete” (“tromba organizzata”), si realizza qualcosa di totalmente innovativo, nel
quale il materiale sonoro è fatto di passaggi cromatici e melodie diatoniche, al posto delle
tradizionali triadi spezzate e motivetti “da fanfara”.
L’opera di “proselitismo” di Weidinger non si ferma qui, però, tant’è vero che,
intorno al 1803, si rivolge anche a Johann Nepomuk Hummel: quest’ultimo cede alle sue
lusinghe, e gli scrive un brano per tromba a chiavi che riceve un’accoglienza molto
positiva durante un concerto della tournèe che il trombettista stava effettuando, in quel
tempo. Il risultato è la composizione del “Concerto a Tromba Principale”, quello di cui
si parla in questo lavoro monografico: la prima esecuzione pubblica è datata 1° gennaio
1804, presso la corte degli Esterhàzy. Molti storici sono concordi nel sostenere che, con
tutta probabilità, lo stesso Weidinger, prima della prima esecuzione, elabora la parte
20
solistica, più che altro per adattare la scrittura allo strumento e rendere eseguibile il
brano.
IL DECLINO
La tromba a chiavi sparisce dalla scena musicale intorno agli anni ’40
dell’Ottocento: al suo posto, per i motivi già trattati nel capitolo precedente, trova una
grande diffusione la tromba a pistoni; solo alcune opere teatrali di Rossini e Meyerbeer
prevedono in organico lo strumento a chiavi, in funzione delle qualità acustiche più
funzionali allo scopo. L’ultima composizione degna di essere qui citata, scritta
appositamente per il vecchio esemplare è, senza ombra di dubbio, il “Concertone per
Flauto, Clarinetto, Tromba a Chiavi, Corno e Orchestra” di Michele Puccini (1838).
LA RINASCITA
Grazie al lavoro di alcuni artigiani, che hanno studiato gli strumenti antichi
conservati nei musei e, di conseguenza, iniziano a produrne delle copie, è oggi possibile,
ai musicisti, cominciare a studiare e riscoprire la tecnica esecutiva delle trombe a chiavi.
Questo rinnovato interesse perla filologia strumentale rende nuovamente udibile, ed in
maniera molto fedele rispetto all’originale, la musica di compositori come Giovanni
Gabrieli (per quanto riguarda il cornetto), Johann Sebastian Bach (nell’ambito della
tromba naturale e barocca) e, ovviamente, Haydn e Hummel.
Il trombettista americano David Hickman, nella primavera del 1972, esegue in
pubblico il II ed il III Movimento del Concerto di Haydn con una tromba a chiavi in Mi
bemolle, costruita da Gerald Endsley, accompagnato da un pianista, presso l’Università
Statale di Wichita (Kansas, U.S. A.). Presso la Biblioteca è ancora disponibile alla
visione una ripresa audiovisiva dell’intero recital: a detta dello stesso Hickman, la qualità
della ripresa è scarsa, ma abbondantemente bilanciata dal suo valore artistico e storico. In
una intervista dopo il concerto, il solista esprime il suo vivo interesse per la tromba a
chiavi, e la sua volontà di rendere pubblici i suoi risultati, come dimostra una lezione –
concerto del 1975, presso l’Università dell’Indiana, in occasione di una delle prime
conferenze dell’International Trumpet Guild (I.T.G.).
L’anno successivo, il 1973, vede altre due esecuzioni pubbliche del Concerto di
Haydn, ad opera di due allievi di Edward Tarr con uno strumento fabbricato da Egger. Il
21
primo di questi, il finlandese Åke Öst, si esibisce il 24 marzo, con l’Orchestra Sinfonica
di Motala, mentre invece il norvegese Bearne Volle, sempre in primavera ma un paio di
mesi più tardi tiene prima un concerto e, successivamente, una lezione illustrativa sullo
strumento e la sua prassi esecutiva presso il Conservatorio di Oslo.
Il cosiddetto “revival” della tromba a chiavi continua tutt’oggi, e tra tutti quei
musicisti che hanno preso parte a questo fenomeno artistico – culturale si possono
distinguere due distinte generazioni:
1 – Prima Generazione: sono i “coraggiosi”, e tra loro vi si annoverano il tedesco
Walter Holy (dai più ritenuto come un pioniere), gli statunitensi Don Smithers e il già
citato Edward Tarr e l’inglese Michael Laird;
2 – Seconda Generazione: è composta da musicisti che, prima di cimentarsi con
lo strumento a chiavi, si sono misurati con la tromba barocca. Tra di loro, ricordiamo i
tedeschi Friedemann Immer (forse il primo ad eseguire il Concerto Brandeburghese n°2
di Johann Sebastian Bach con la tromba naturale6) e Reinhold Friedrich, e gli inglesi
Mark Bennett (allievo di Michael Laird) e Crispian Steele – Perkins.
PER SAPERNE DI PIU’
Le fonti bibliografiche sulla tromba a chiavi, se si escludono i capitoli a lei
dedicati sui grandi trattati di teoria e interpretazione del XVIII secolo, sono composte per
lo più da opere monografiche scritte da insegnanti o studenti di Conservatori o
Accademie, o talvolta articoli pubblicati sulle riviste specializzate sugli strumenti in
ottone (quali, ad esempio, Brass Bulletin e Brass Quarterly). Coloro che fossero
intenzionati ad avere maggiori informazioni sull’argomento specifico, possono cercare e
consultare le pubblicazioni indicate qui di seguito.
Reine Dahlqvist:
The Keyed Trumpet and Its Greatest Virtuoso, Anton Weidinger. Articolo
pubblicato su “The Brass Press”, 1975 ;
6 L’esecuzione di quel brano è molto difficile con la moderna tromba piccola in Si bemolle acuto, e per molto tempo considerata addirittura impossibile con la tromba naturale.
22
Bidrag til trumpeten og trumpetspelets historia. Tesi finale di un Master
organizzato dall’Università di Gothenburg, 1988;
William Greene:
The Haydn Concerto in Performance. Tesi di fine corso presentata alla San José
University, Dipartimento di Musica, 1985;
Edward Tarr:
J. Haydn Trumpet Concerto, Universal Edition. Prefazione al Concerto.
ILLUSTRAZIONI IN QUESTO CAPITOLO
Pag. 21: Tromba a chiavi in Sol con ritorte addizionali e cannello d’imboccatura
intercambiabile, fabbricata da John Webb, Londra, 1988 (copia). Esemplare conservato
al Museo Nazionale della Musica, Università del Sud Dakota, n° di catalogo NMM 6909.
Pag. 22: Tromba a chiavi in Sol, Fabbrica Fratelli Hoyer, Vienna, 1835 circa.
Esemplare conservato al Museo Nazionale della Musica, Università del Sud Dakota, n° di
catalogo NMM 10786.
25
CAPITOLO 4
ANALISI DEL BRANO
SOMMARIO
PRIMO MOVIMENTO – ALLEGRO CON SPIRITO
24
SECONDO MOVIMENTO - ANDANTE
27
TERZO MOVIMENTO – RONDO’ (ALLEGRO)
28
26
Prima di procedere all’analisi del concerto, è necessario fare una premessa.
La partitura di riferimento è quella ridotta per pianoforte e tromba7, trasposta un
semitono sotto (da Mi maggiore a Mi bemolle maggiore) per facilità di esecuzione con
strumenti in Si bemolle. Le conseguenze acustiche ed esecutive di questo abbassamento
di tonalità verranno esposte nel successivo capitolo.
Lo schema formale della composizione si rifà, in linea generale, a quello del
concerto classico per strumento solista ed orchestra: un Primo Movimento, Allegro con
spirito, con cadenza finale, nella tonalità d’impianto (Mi maggiore); un Secondo
Movimento, Andante, alla sottodominante con cambio di modo (La minore); infine, il
Terzo Movimento, in forma di Rondò, Allegro, nuovamente in Mi Maggiore. Le novità di
questa composizione possono essere trovate nei contenuti, più che nella forma: l’analisi
che segue si propone di evidenziare queste novità stilistiche.
PRIMO MOVIMENTO – ALLEGRO CON SPIRITO
Uno sguardo d’insieme lascia intendere che il Movimento ricalca la struttura
bitematica e tripartita tipica degli Allegro di Sonata, sperimentata con successo da
Beethoven nelle composizioni per piano solo: questo dimostra l’influenza stilistica che
quest’ultimo esercitò su Hummel, come anticipato nel capitolo dedicato alla sua
biografia, e anche la datazione del Concerto per Tromba ed Orchestra (1803) ne è prova.
Il concerto si apre con un’introduzione orchestrale piuttosto lunga, nella quale
vengono anticipati gli spunti tematici principali del solista, intercalati da figurazioni
ritmiche e melodiche che si riveleranno essere proprie dell’accompagnamento
orchestrale: in totale 65 misure (nella riduzione per pianoforte, c’è l’indicazione di un
taglio opzionale da misura 29 a misura 59 comprese). Ovviamente, questo episodio
introduttivo inizia nella tonalità d’impianto, ma già dopo 21 battute si modula alla
dominante: la conferma del nuovo centro tonale, sebbene passeggero, dura 9 battute,
dopodichè un breve spunto omoritmico a crome col punto e semicrome (misure 31 – 34),
di sapore vagamente orientale con il sesto grado abbassato, prepara ad un pedale di Si
maggiore il quale va ad esaurirsi con la corona di misura 42.
7 Riduzione per pianoforte a cura di Karl Heinz Fuessl, Edizioni International Music Company, New York 1959
27
La ripresa avviene con il richiamo (o, meglio, con l’anticipazione…) del secondo
tema della parte solistica, dapprima alla tonica e poi sul secondo grado; un passaggio al
basso della melodia principale, concluso da un’armonia di sottodominante, apre la strada
alla frazione conclusiva dell’introduzione orchestrale, nella quale tutto ruota intorno al
quinto grado, ora con funzione di tonica, ora di pedale vero e proprio.
La tromba solista esordisce col primo tema a misura 66: è un tema chiaramente
trombettistico, maschile, fiero e risoluto nella prima frase, più delicato nella seconda, per
poi ritornare battagliero nella terza. Da notare l’elemento di novità ritmica, costituito
dalla figurazione terzinata delle misure 82 e 83.
L’esposizione del primo tema si può considerare conclusa alla battuta 90,
momento in cui inizia il ponte modulante: un disegno melodico iniziale a valori
relativamente larghi si infittisce via via, mentre la progressione armonica scorre fluida,
con una successione ben bilanciata di II – V – I che portano al secondo tema, in tonalità
di Si maggiore (misura 111, quarto movimento). Anche in questo caso, il corpus
tematico può essere scisso in tre frammenti: i primi due sono pressoché simili,
sostanzialmente diatonici, mentre il più interessante è il terzo, in quanto c’è una
modulazione di passaggio a Sol maggiore, il sesto grado minore (!). Un espediente
inusuale, fino ad allora, dove si osserva un andamento decisamente cromatico del basso:
difficile riscontrare qualcosa di simile nelle composizioni per strumento ed orchestra
precedenti, a ulteriore testimonianza della relativa vicinanza (stilistica e geografica) di
Hummel a Ludwig Van Beethoven.
Una figurazione a salti sempre più ampi, a crome, seguita da due chiari arpeggi
discendenti Si maggiore – Fa# maggiore e da una loro successiva elaborazione a terzine,
aprono la strada all’ultima parte dell’episodio solistico, che segna un “ritorno alla
tradizione”, con quel trillo Do# - Re# a chiudere sul Si maggiore di arrivo di misura 146.
A questo punto, per dar modo al solista di “tirare il fiato”, nel vero senso della
parola, il compositore prevede un interludio orchestrale8 che richiama molto
l’introduzione, specie nella sua parte finale; una decisa virata la si avverte a misura 170:
nello spazio di sei battute, si passa dal Si maggiore di prima al Do maggiore della ripresa
del primo tema, passando di nuovo attraverso il Sol maggiore: alla luce della nuova
8 Anche in questo caso, nella riduzione pianistica è presente un taglio opzionale, da misura 157 a misura 169 comprese.
28
tonalità, quel Sol maggiore descritto poche righe innanzi si può considerare
un’anticipazione del discorso che si sta preparando.
Sull’ultimo movimento della misura 175, dunque, inizia la ripresa nella tonalità
di Do maggiore: una sorta di “riassunto” di quanto ascoltato fino a quel momento, dove si
ha modo di sentire i due spunti tematici principali (il primo finisce sul primo movimento
di battuta 182, il secondo, invece, sul primo movimento di 186), ed un passaggio
modulante di carattere melodico nella prima frase (ultimo movimento di 189 – levare di
197) e nuovamente a salti nella seconda frase, con un disegno simile ma presentato
dapprima per crome e poi per terzine; tutto ciò sfocia in un pedale di dominante,
nuovamente in Si maggiore (misure 201 – 210), il quale porta direttamente alla ripresa
del tema nella tonalità d’origine.
Da un punto di vista stilistico, questo episodio appena descritto potrebbe avere
una sua spiegazione col fatto che, con tutta probabilità, il compositore abbia inteso di
mostrare le potenzialità cromatiche dello strumento, il quale, con l’ausilio delle chiavi,
era in grado di suonare cromaticamente e in tonalità anche piuttosto lontane tra loro.
Inoltre, la ripresa dei due temi della prima parte, che inizia a misura 210, richiama
vagamente la pratica dell’”aria col da capo”, tanto in uso nel melodramma del ‘700 e dei
primi dell’’800.
Fino alla misura 220, dunque, il tema iniziale viene riproposto tale e quale,
dopodichè prende forma un episodio caratterizzato dalla modulazione di passaggio in La
maggiore, che porterà nuovamente al Mi maggiore d’impianto passando attraverso le
tonalità di Fa# (prima minore, poi maggiore) e di Si; il tutto compreso nelle misure da
221 a 240. Qui, la parte solistica non fa altro che riproporre frammenti tematici già
ascoltati in precedenza, ovviamente trasposti nella nuova tonalità: la medesima cosa
accade da 241 a 247, dove l’andamento melodico e ritmico richiama quasi fedelmente
quello delle battute da 100 a 106.
Il procedimento delle “riproposizioni” continua, essenzialmente, fino alla
cadenza, posta a misura 286: dopo la libertà lasciata al solista, il Primo Movimento va a
concludersi in maniera piuttosto tradizionale con uno “stretto” costruito su un’armonia di
dominante (i cromatismi del basso si possono intendere come note di passaggio, la
costruzione è sostanzialmente sulla dominante) e da un moto melodico agitato, dapprima
terzinato, poi a quartine di semicrome, infine con un classico trillo Fa# - Sol# a chiudere
29
poi sul Mi. Le 13 battute che portano alla fine sono prese quasi tali e quali
dall’introduzione.
SECONDO MOVIMENTO - ANDANTE
La prima cosa che spicca, nell’edizione consultata, è l’indicazione ritmica: il
tempo è “a cappella”, con accordi battenti a terzine per quasi tutto il movimento (da
misura 1 a 52, su un totale di 71), e le parti gravi a sottolineare l’armonia ad accordi
spezzati (nella versione orchestrale, questa linea è eseguita da violoncelli e contrabbassi).
Le prime tre misure servono da introduzione al tema solistico: l’unisono di misura 1
lascia brevemente nel dubbio “maggiore/minore”, toccando i gradi primo, quarto e quinto
i quali, per definizione, sono costanti nei due modi: la conferma del La minore
d’impianto arriva con le misure 2 e 3.
L’esordio del solista lascia intendere la maggiore espressività del Secondo
Movimento rispetto al primo, nonché una chiara volontà di esaltare la conquista di un
cromatismo strumentale impraticabile con gli antenati della tromba a chiavi: un esempio
è il trillo Mi – Fa, lungo ben due battute (4 e 5, su armonie di dominante e diminuita). Ma
non solo: tutti gli abbellimenti disseminati qua e là, e le note toccate durante tutto il
movimento; non va infatti dimenticato, a costo di essere ripetitivi, che il solista qui suona
alla sottodominante minore di Mi maggiore… Questo primo episodio si esaurisce a
battuta 12, con la modulazione a Do maggiore: qui inizia il tema vero e proprio, in cui si
può osservare che, a fronte di un accompagnamento pressoché statico dal punto di vista
ritmico, il disegno melodico del solista si fa più fitto. I valori larghi delle prime misure
lasciano infatti il posto alle terzine di crome, per poi giungere al culmine con la scala
cromatica e successivo trillo di misura 27.
L’orchestra prosegue per altre tre misure, a chiudere il discorso sul Do maggiore,
interrompendo temporaneamente il disegno terzinato; poi, d’improvviso, un Mi
maggiore con indicazione agogica “forte” riporta il centro tonale verso il La minore,
anche se in realtà, nelle misure da 32 a 40, questa tonalità viene toccata solo una volta
(battuta 33): le nuove possibilità dello strumento risultano così rafforzate dal fluire
dell’armonia delle suddette misure, che porta ad un cambio di modo (da La minore a La
maggiore) passando attraverso una progressione di settime con i bassi cromatici
discendenti; espediente, questo, dotato di un sapore vagamente pre – romantico.
30
Le misure 41 e 42 fungono da breve interludio orchestrale alla ripresa del tema di
misura 43, dove il materiale già ascoltato in precedenza viene riproposto a distanza di
una terza minore discendente, con qualche elaborazione più o meno “spinta”,
specialmente dal punto di vista degli abbellimenti e degli accorgimenti virtuosistici, come
ad esempio le scale diatoniche veloci delle misure 60 e 619.
Le ultime nove misure del movimento hanno funzione di ponte modulante, per
riportare il centro tonale verso il Mi maggiore del Rondò finale.
TERZO MOVIMENTO – RONDÒ (ALLEGRO)
A titolo di anticipazione di carattere generale, l’attribuzione del nome “Rondò”
appare abbastanza discutibile, per un motivo molto semplice: si può notare una effettiva
struttura A – B – A – C fino a battuta 167, ma questa stessa struttura non trova una
oggettiva conclusione nella parte finale: infatti, considerare tutto il discorso delle battute
da 167 alla fine come una A’ può sembrare una costrizione eccessiva, data la complessità
non tanto del commento orchestrale quanto della parte solistica, che in quelle battute
conosce il culmine del virtuosismo. Ciononostante, è questa una semplificazione
accettabile, dati i fini accademici della presente trattazione e tenendo presente che si
tratta del Terzo ed conclusivo Movimento di un concerto per solista ed orchestra.
Ma analizziamo ora ognuna delle sezioni qui individuabili.
Il tema principale della A (misure 1 – 20) è tipicamente trombettistico, con quel
suo inizio quasi da fanfara ed uno sviluppo melodico scoppiettante fatto di articolazioni
staccate semplici e doppie; in questo frangente, l’orchestra si mantiene piuttosto dimessa,
accompagnando con armonie semplici (tonica, dominante, al massimo un secondo grado
– Fa# minore – alle misure 7 e 8) e con figure ritmiche ricalcanti la melodia della tromba,
eccezion fatta per il pedale di dominante delle misure da 9 a 12, decisamente di più
ampio respiro. La sezione A prosegue e si conclude con la risposta dell’orchestra (misure
20 – 31), di carattere non meno baldanzoso del precedente episodio: anche in questo caso
l’armonia è molto semplice, ridotta com’è ad un pedale di tonica degli strumenti di
registro grave a supporto del disegno sincopato delle parti acute.
Le misure da 32 a 58 vedono l’esposizione della parte B, caratterizzata dalla
modulazione a Si maggiore: la melodia solistica si fa decisamente più diatonica – anzi,
9 Nell’edizione consultata, sono indicate come decimine di semicrome.
31
verso la fine, sconfina nel cromatismo, in direzione ascendente – senza però perdere la
vena quasi battagliera della sezione precedente; allo stesso tempo, l’accompagnamento
orchestrale assume una fisionomia più sussurrata (non si arriva mai ad un vero “forte”),
poco invadente e quasi ballabile. La conclusione della melodia affidata al solista coincide
con l’inizio del pedale di dominante (misure 58 – 68) che porta dritti alla ripresa della A,
praticamente identica eccetto un paio di elaborazioni melodiche per diminuzione. Da
notare, nel pedale, la comparsa delle terzine di semicrome, sia nella parte della tromba
che in quella orchestrale: il triplo staccato entra di prepotenza nel ventaglio delle
possibilità di articolazione dei trombettisti…
Una improvvisa modulazione a Mi minore segnala l’inizio della C del rondò
(misure 100 - 166). Probabilmente, questa è la sezione strutturalmente più articolata,
dove un tema più melodico e cantabile si contrappone ad un altro tema, decisamente più
breve e di carattere più scoppiettante. Non pare di trovarsi nel torto se si suggerisce una
suddivisione della C nelle seguenti sotto – sezioni:
MISURE
Sotto – sezione “a” 100 – 118
Sotto – sezione “b” 118 – 133
Sotto – sezione “c” 133 – 149
Sotto – sezione “d” 150 – 156
Pedale di dominante 156 – 166
Anch’esse, nella loro globalità, sono contraddistinte da un flusso armonico
piuttosto semplice: una serie di progressioni II – V – I, modulazioni alla relativa
maggiore (La maggiore), sottodominanti, e poco di più (progressioni cromatiche
discendenti del basso con accordi diminuiti, misure 136 – 145). Per la precisione, va
detto che:
• “a” e “c” iniziano in modo molto simile, ma trovano conclusioni
nettamente opposte: la prima va stringendosi sempre più con un disegno
discendente, mentre la seconda ascende per valori larghi fino al Si sopra il
rigo;
32
• la “b” inizia come una fanfaretta sugli accordi di tonica (La maggiore) e
dominante in primo rivolto, per poi trasformarsi in uno spunto tematico
sulla scala minore armonica;
• la “d” riprende, intensificandolo, l’andamento “a squillo” della “b”, e si
può considerare un’anticipazione della ripresa della sezione finale.
Quella che, in precedenza, è stata definita A’ inizia con sporadici commenti della
tromba al discorso dell’orchestra: tutti questi primi interventi riecheggiano del carattere
di fanfara che permea tutto il Movimento, ma a battuta 193 l’atmosfera vira decisamente
verso il virtuosismo, dapprima con figurazioni a semicrome e gruppetti, in seguito con
terzine di semicrome, infine (dopo una scala discendente in parte cromatica) con un
lungo trillo – misure da 218 a 232 – che parte dal Si e arriva cromaticamente al Fa#.
Il finale è una riproposizione, a mo’ di Stretto conclusivo, di spunti tematici già
ascoltati in precedenza.
34
Senza il benché minimo intento di fare della psicologia da quattro soldi, in
apertura di questo capitolo, riservato alla ricerca di una spiegazione (o quantomeno di un
tentativo di spiegazione…) del perché suonare il concerto di Hummel non è MAI cosa da
poco, per nessuno, sembra utile ricordare che il grado di difficoltà di un brano musicale,
intesa come difficoltà esecutiva del musicista che lo suona e tralasciando quella cognitiva
e di comprensione di coloro che lo ascoltano, si può valutare utilizzando diversi
parametri, la natura dei quali fa riferimento alla divisione in due emisferi del nostro
cervello. Alcuni di questi parametri, infatti, sono più marcatamente tecnico – strumentali,
e quindi appartengono alla parte razionale della mente umana (ci si riferisce, ad esempio,
a caratteristiche come velocità metronomica, articolazioni, fraseggi, registro, resistenza,
ecc.), mentre altri appartengono alla sfera irrazionale: l’espressività e le emozioni da
comunicare su tutti. Il vero problema non è tanto “fare tutte le note giuste”, perché il
rischio di proporre al pubblico un qualche cosa di freddo ed inespressivo è dietro
l’angolo; allo stesso tempo, enfatizzare la comunicazione dei sentimenti tralasciando la
tecnica dello strumento è altrettanto sconveniente, se non addirittura deleterio. Si ritorna,
sostanzialmente, a quanto esposto nell’Introduzione: la mediazione tra caratteri
dicotomici apparentemente inconciliabili.
La difficoltà di suonare il concerto per Tromba ed Orchestra di Hummel va
cercata proprio lì: nel tentativo di mediare le potenzialità strumentali con le emozioni che
si vogliono esprimere suonando proprio quelle note, secondo un processo creativo
musicale che sta a metà strada tra ragione e sentimento. In fin dei conti, il compositore
scrive quest’opera nell’anno 1800: in quell’epoca, l’Illuminismo è al tramonto, mentre
nel frattempo sta sorgendo il sole che guiderà il percorso dei Romantici.
Riportando il discorso ad un livello più pragmatico, invece, va detto che per i
trombettisti – compreso il sottoscritto – c’è un altro parametro che testimonia la maggiore
o minore difficoltà di un brano. Si tratta di un parametro molto più intuibile e palese: la
presenza nei repertori da eseguire in sede di audizione o di concorso, o nei programmi dei
recitals dei Diplomi di Virtuosità. Il Concerto per Tromba ed Orchestra di Hummel, per
inciso, è ai primi posti di questa speciale “hit parade”, richiesto com’è in quelle sedi…
A monte di tutto, banalmente, sta la diversità oggettiva dello stesso strumento, e
tutte le problematiche esecutive sono una conseguenza, per niente banale, di questo fatto.
Anton Weidinger suona il Concerto di Hummel, nel 1804, con uno strumento costruito
35
secondo modalità, dimensioni e diapason decisamente diversi rispetto agli strumenti con
cui lo stesso brano viene eseguito oggi, cioè le trombe a pistoni in Si bemolle e in Mi
bemolle. Gli strumenti a chiavi utilizzati nei primi anni del XIX secolo erano infatti
tagliati in tonalità più basse, per sfruttare la vicinanza dei suoni armonici nel registro
acuto e la pienezza e rotondità del suono in quello medio – grave, e le profonde
differenze costruttive ed acustiche influenzano, altrettanto profondamente, l’approccio
fisico allo strumento stesso.
Per cominciare, un canneggio conico ed uno cilindrico presentano caratteristiche
di resistenza al flusso dell’aria e, conseguentemente, rese acustiche decisamente
differenti, e antitetiche.
Le trombe a chiavi erano generalmente a canneggio conico o, addirittura, bi –
conico (cioè con gradi diversi di conicità lungo il tubo), e costruite con tubi di lunghezza
dell’ordine di 170 – 200 cm e diametro che i costruttori di oggi definirebbero “largo”
(dell’ordine dei 12 mm: a volta lievemente inferiori, spesso superiori…): un tale
dimensionamento longitudinale e trasversale offre un comportamento caratterizzato da
minore resistenza fluido – dinamica ed enfatizzazione degli armonici “scuri”; nelle
trombe moderne, il canneggio è cilindrico, più corto di qualche decina di cm e più stretto
di quasi 1 mm; logico, se non naturale, aspettarsi effetti esattamente opposti: resistenza al
flusso dell’aria lievemente maggiore ed esaltazione degli armonici che conferiscono
chiarezza al suono.
Altra caratteristica importante: le imboccature.
I bocchini da usare sulle trombe a chiavi non potevano avere dimensioni troppo
piccole, altrimenti sarebbero risultati sproporzionati rispetto al canneggio, con effetti
dannosissimi a livello di attacco, sostegno ed articolazione dei suoni: i costruttori,
pertanto, le dotarono di bocchini a tazza piuttosto larga e profonda, con un appoggio
piatto e largo. Manco a dirlo, la situazione si capovolge con l’avvento dei pistoni:
canneggi più stretti e corti necessitavano di imboccature con tazze più piccole e strette ed
appoggi più arrotondati e contenuti in diametro (esterno ed interno).
Con differenze oggettive così profonde, viene ora da chiedersi quali siano le
modificazioni fisiche ed acustiche. Come già accennato in precedenza, l’introduzione dei
pistoni costituisce un compromesso tra le seguenti prerogative dello strumento:
36
• maggiore agilità nel registro acuto: l’innalzamento del suono
fondamentale innalza di conseguenza tutti i suoni ottenibili, e la tessitura
acuta risulterà più agevole, in funzione della nuova distribuzione dei
rapporti tra le note;
• perdita di profondità acustica del registro grave: come nella proverbiale
“coperta corta”, ci si copre la faccia e si scoprono i piedi. L’acquisizione
di una maggiore precisione sugli acuti si paga in termini di
assottigliamento acustico nei bassi, e i suoni dalla metà del rigo in giù
risultano impoveriti;
• conquista di possibilità cromatiche da parte di uno strumento nato
diatonico: l’argomento è già stato analizzato nei capitoli antecedenti.
Da qualunque punto di vista si analizzi il problema, è inevitabile constatare che
ci si trova in presenza di due tipologie di strumenti assolutamente diversi, oggettivamente
e soggettivamente. Per questa ragione, sebbene non sia minima intenzione di questo
lavoro monografico quella di fare dissertazioni filologiche a tutti i costi (un simile
approccio alla musica, ad opinione di chi scrive, ha un’utilità piuttosto scarsa, che si
nobilita soltanto ad altissimi livelli: si pensi, ad esempio, a Ton Koopman e la
Amsterdam Baroque Orchestra), né tantomeno quella di diventare uno spot pubblicitario
per i costruttori di trombe a chiavi, eseguire il Concerto per Tromba ed Orchestra di
Hummel oggi, con uno strumento moderno, sarà sempre una forzatura anacronistica.
Per come è stato scritto ed adattato, ci si accorge quasi subito che fraseggi,
abbellimenti, articolazioni, passaggi cromatici disseminati un po’ ovunque, nelle pagine
del Concerto, hanno una resa acustica ed espressiva enormemente superiore con uno
strumento a chiavi.
(Paradossalmente, può succedere anche questo: una volta, per scherzo, ho
provato a suonare le prime battute del Primo Movimento con un flicorno contralto a
cilindri in Mi bemolle, usando un bocchino a tazza piccola e poco profonda, quindi
teoricamente adatto per il registro sovracuto. Con grande stupore, la resa che ne sortiva
era, per alcuni aspetti, migliore: il fraseggio risultava più fluido, inoltre il canneggio
conico ed il diapason più basso di una quinta, rispetto alla tromba in Si bemolle, facevano
in modo che la sonorità non fosse troppo squillante. Tutto ciò a fronte di un piccolo
37
sacrificio: un maggiore controllo dell’emissione e delle articolazioni, a causa della
vicinanza degli armonici nella tessitura acuta.)
Le trombe di oggi, siano esse in Si bemolle, Mi bemolle – le tonalità più usate
per l’esecuzione del Concerto – o addirittura in Do, sono state progettate e costruite in
maniera radicalmente diversa, e secondo il criterio delle “tante tonalità in un solo
strumento”; la loro nascita e successiva, rapida diffusione, sposava molto bene le
esigenze di compositori, direttori d’orchestra e musicisti che volevano ridurre al minimo i
problemi dei cambi di strumento nel momento in cui il brano che si stava eseguendo
cambiava tonalità. Tutto ciò, però, rimase circoscritto ad un ambito sostanzialmente
orchestrale: i solisti, spesso e volentieri, continuarono ad usare gli strumenti che non
appartenevano alla neonata categoria degli “ottoni a macchina”, proprio perché
percepivano l’antinaturalità dell’esecuzione di un brano, scritto in origine per un dato
strumento, con un altro strumento.
Questo spiegherebbe, anche se in maniera parziale e forse grezza, i cento e più
anni di oblio ai quali fu costretta la composizione di Hummel10: durante i primi decenni
dell’Ottocento, il quadro storico – musicale si trovava, in sintesi, in queste condizioni:
• le richieste musicali erano fortemente dominate dai Teatri dell’Opera, con
grossi capitali investiti in questo settore;
• il sinfonismo classico stava decisamente virando verso gli stilemi
romantici;
• gli strumenti privilegiati come solisti erano il violino ed il “giovane”
pianoforte.
Pertanto, gli spazi disponibili per uno strumento come la tromba,
tradizionalmente destinato ad un ruolo di comprimario o poco più, si restrinsero
ulteriormente: si dovranno attendere i grandi autori del tardo Romanticismo (Brahms,
Çaikovsky, Mahler, e i loro “discendenti”, in linea più o meno retta) per poter apprezzare
una scrittura trombettistica qualitativamente e quantitativamente più cospicua, ma non
troppo… Soltanto il Novecento, principalmente col jazz ma anche con tante
10 Una sorte poco più fortunata toccò all’analogo concerto di Franz Joseph Haydn, ma solo grazie alla maggiore altisonanza del nome del compositore.
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composizioni cameristiche11, restituì nobiltà e spessore alla tromba, la quale però aveva
già intrapreso l’irreversibile cammino dei pistoni.
Personalmente, ritengo che suonare oggi il concerto di Hummel (o quello di
Haydn) con uno strumento moderno sia un fatto da valutare da un punto di vista
esclusivamente virtuosistico fine a sé stesso, ed in questo processo risulta poco utile
ricercare un certo tipo di suono per il quale gli epiteti sono numerosissimi ma nessuno
centrato e calzante. E’ una fatica inutile, quasi come cercare l’Eldorado: pensare di
ottenere nuovamente il suono della tromba a chiavi con uno strumento così diverso da
questo è assurdo.
Nondimeno, cimentarsi in un brano scritto per uno strumento presente, oramai,
quasi soltanto nei musei, con uno nettamente diverso può sicuramente dare delle
gratificazioni artistiche e strumentali, non fosse altro che per lo spirito della sfida che
abbatte le barriere del tempo e dei pregiudizi.
Tra questi due atteggiamenti, dove sta la verità? Ovviamente in una “generica via
di mezzo”, che va costruita seguendo i criteri del buon senso e della misura: in altre
parole, è giusto che qualunque trombettista segua le regole (non scritte) che impongono
di studiare il Concerto di Hummel per le audizioni ed i concorsi, ma è altrettanto giusto
che egli non perda troppo tempo a cercare quello che non si può trovare, accontentandosi
di inserire questo brano nel proprio repertorio giusto per dimostrare che è in grado di
suonarlo al meglio senza perdersi in vani ed intricati sofismi, come accennato
nell’Introduzione.
Ed il cerchio si chiude.
11 Si pensi alle “Sonate per Tromba e Pianoforte” dei vari Paul Hindemith, Jean Hubeau, Halsey Stevens, Jan Peeters, a “Intrada” di Honegger, alla “Serenata” di Alfredo Casella, “Octandre” di Edgard Varèse, e via dicendo
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Per la stesura del lavoro che avete tra le mani, oltre alla riduzione per tromba e
pianoforte del Concerto (International Music Company, edizione a cura di Roger Voisin)
sono state effettivamente consultate le seguenti pubblicazioni:
ARFINENGO Carlo, “La Tromba e il Trombone” – Edizioni Bérben, Ancona,
1973;
BAINES Anthony, “Gli Ottoni” - Ed. Italiana: E.D.T. Edizioni, Torino 1991;
SACHS Curt, “Storia degli Strumenti Musicali”, W.W. Norton & Co, 1940 –
Ed. Italiana : A. Mondadori Editore, Milano, 1980;
CARDONI Alessandro, “Le Promiscuità Estetiche della Tromba e del Cornetto
– Contributo Critico agli Studi sulla Strumentazione” – Ricordi, Milano, 1914.
Inoltre, nel capitolo 3, sono presenti riferimenti a pubblicazioni riguardanti la
tromba a chiavi e gli strumenti antichi in generale; per correttezza e coerenza editoriale, li
riportiamo di seguito:
DAHLQVIST Reine, “The Keyed Trumpet and Its Greatest Virtuoso, Anton
Weidinger”. Articolo pubblicato su “The Brass Press”, 1975;
DAHLQVIST Reine, “Bidrag til trumpeten og trumpetspelets historia”. Tesi
finale di un Master organizzato dall’Università di Gothenburg, 1988;
GREENE William, “The Haydn Concerto in Performance”. Tesi di fine corso
presentata alla San José University, Dipartimento di Musica, 1985;
TARR Edward“J. Haydn Trumpet Concerto”, Universal Edition. Prefazione al
Concerto.
Infine, per reperire qualche informazione aggiuntiva sull’uso degli strumenti in
orchestra, si possono consultare i seguenti testi:
BERLIOZ Hector, “Grande Trattato di Strumentazione e d’Orchestrazione”,
Copyright 1998 by B.M.G. Casa Ricordi, Milano;
RIMSKY-KORSAKOV Alexander, “Principi di Orchestrazione” – Ed.
Italiana: Rugginenti Editore, Milano, 1995;
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VESSELLA Alessandro, “Studi di Strumentazione per Banda”, con compendio
di Alamiro Giampieri, Ricordi, Milano, 1954.
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Come già detto nel corso della trattazione precedente, attorno al 1803 il
trombettista della Corte Viennese Anton Weidinger suggerisce a Johann Nepomuk
Hummel di scrivere un brano per lo strumento da lui suonato; questa composizione
risulta molto gradita, durante uno dei suoi concerti, al tal punto che Hummel viene
praticamente obbligato a scriverne un secondo, di più ampio respiro: il “Concerto a
Tromba Principale”, che troverà la sua prima esecuzione il 1° gennaio del 1804, presso il
palazzo della Corte degli Esterhàzy. Alcuni storici sostengono che Weidinger stesso,
prima della pubblicazione, mette mano alla musica, almeno in parte, con lo scopo di
adattare la prima stesura di Hummel alle potenzialità tecniche ed esecutive dello
strumento.
Più di un secolo e mezzo dopo, precisamente nel 1963, troviamo la prima
registrazione del concerto, ad opera di Armando Ghitalla. La cronaca dei fatti che
portano all’incisione dice che un allievo di Ghitalla, di nome Merrill Debski, durante una
ricerca, trova casualmente notizia del brano, fino ad allora quasi del tutto sconosciuto, e
ne richiede una copia al British Museum, programmandolo per il recital di fine corso.
Ciò, purtroppo per lui, non avviene, in quanto la risposta (positiva) del Museo arriva ben
dopo la data del suo esame finale. Il resto è storia: il concerto “ritrovato” viene eseguito
alla Town Hall di Londra nel 1958, la partitura completa viene pubblicata nel numero
801 di “Music For Brass” (1959), corredato da un esaustivo commento storico di Mary
Rasmussen e, finalmente, nel dicembre del 1963 a Cambridge (Massachusetts. U.S.A.), la
prima registrazione: oltre al già citato Ghitalla in qualità di solista (il quale usa una
tromba in Do per poter eseguire la parte nella tonalità originale di Mi Maggiore),
partecipano anche il “Boston Chamber Ensemble” ed il direttore Pierre Monteux12.
Ad oggi, numerosissimi trombettisti di tutto il mondo hanno registrato il concerto
di Hummel; può tornare utile fornire una lista dei loro nomi, sebbene incompleta.
• Agnas, Urban
Hummel: London Mozart Players, dir. Howard Shelley. Chandos #9925, 2001
12 L’etichetta è Cambridge, il codice CRS1819. Il disco LP contiene inoltre il “Concertino in Mi bemolle” di Albrechtsberger” ed il “Concerto in D” di Molter
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• André, Maurice
Plays Hummel/L.Mozart. MHS 515108, 1965
Classical Trumpet Concertos, Züricher Kammerorchester. EMI Classics, CDC 754086 2,
1974
L'art de Maurice André. EMI Classics, CMS 764100 2 (4CD), 1982
• Antonsen, Ole Edvard
English Chamber Orchestra, dir. Jeffrey Tate. EMI Classics (7 54897 2), 1993
• Black, Bibi
Philharmonia Orchestra, Claudio Scimone. Angel/EMI, CDC54620, 1990
• Basch, Wolfgang
Koch Schwann 11003,1984
• Berinbaum, Martin
English Chamber Orchestra. Vanguard C10098, 1992
• Brydenfelt, Michael
Odense Symphony Orchestra. CHANNEL CLASSICS, (11297)
• Christensen, Ketil
Boemia Chamber Orchestra, dir. Hynec Farkac. Rondo 8337, 1995
• Dokshizer, Timofei
Moscow Chamber Orchestra. Melodiya/Quintessence, (PMC 7135), 1979
• Eklund, Niklas
Swedish Chamber Orchestra, dir. Roy Goodman. Naxos 8.554806, 1999
• Friedrich, Reinholdt
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Academy of St.-Martin-in-the-fields, dir. Sir Neville Marriner. Capriccio (10598), 1992
Wiener Akademie, dir. Martin Haselböck, Capriccio (10 598), 1995
• Gansch, Hans
Trompetenkonzerte, Camerata Akademica Salzburg. Atemmusik Records, 1994
• Güttler, Ludwig
New Bach Collegium Musicum, Leipzig. Pro Arte Sinfonia, (SDS-602), 1981
• Hardenberger, Håkan
Academy of St.-Martin-in-the-fields, dir. Sir Neville Marriner. PHILIPS, (CD 420 203-
2), 1986
• Harjanne, Jouko
Finnish Radio Symphony Orchestra, dir. Jukka-Pekka Saraste. FINLANDIA, (CD 4509-
96868-2), 1994
• Head, Emerson
Anno dell’incisione: 1980
• Herseth, Adolph
Chicago Symphony Orchestra, Chicago Symphony Store,1983
• Kejmar, Miroslav
Czech Philharmonic Chamber Orchestra. Supraphon 10 4128-1, 1987
Camerata Istropolitana, Naxos 8.550243(CD), 1989
• Marsalis, Wynton
National Philharmonic Orchestra, dir. Raymond Leppard. CBS Masterwork, 1990
English Chamber Orchestra, dir. Raymond Leppard, Sony Classics, (60804), 1994
• Mellaerts, Manu
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Collegium Instrumentale Brugense, Aurophon Classics (CD), 1994
• Nagel, Robert
Solo III Movimento, Music Minus One 3818
• Nakariakov, Sergei
Orchestre de Chambre de Lausanne. Teldec, (94554), Febbraio 1993
• Romm, Ronald
Anno dell’incisione: 1989
• Sandoval, Arturo
Classical Album, London Symphony Orchestra, RCA 62661, 1993 (27 e 29 maggio, 16
giugno)
• Schlueter, Charles
Trumpet Concerto, Kyushu Symphony Orchestra. Kleos, KL5122, Aprile 2002
• Schwarz, Gerard
New York Chamber Symphony, dir. Gerard Schwarz. Delos Records, 1979
Chamber Symphony of New York, Delos 3001, 1983
• Smedvig, Rolf
Scottish Chamber Orchestra, dir. Jahja Ling, Telarc CD-80232 (80341), 1989 (3 e 4
luglio)
• Soustrot, Bernard
Concertos for Trumpet, Pierre Ver 788011, 1987 (15 e 16 settembre)
• Steele Perkins, Crispian
The Kings Consort, dir. Robert King. Hyperion CDA67266, 2001 (18-21 gennaio)
NB: registrazione effettuata con tromba a chiavi
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• Stevens, Thomas
Los Angeles Philharmonic Orchestra. London Records, (CS 6967), 1974
• Tarr, Edward
Trompetenkonzerte (Hummel, Hertel, L. Mozart), Consortium musicum, dir. Lehan.
Nonesuch, H-71270, 1965
Classical-Romantic Trumpet Concertos. Christophorus, 74557, 1972
• Thibaud, Pierre
Anno dell’incisione: 1965
• Touvron, Guy
Trumpet Playing Festival. Forlane 16569
• Vosburgh, George
Seattle Symphonic Orchestra, dir. Gerard Schwartz. JVC Classics (JVCCC-6509-2),
1997
• Wallace, John
The Philharmonia Orchestra, Nimbus Records Limited (NIMBUS 2141), 1984
• Wilbraham, John
Academy of St.-Martin-in-the-fields. EMI Records/Seraphim, (69140), 1971
Nessun italiano è annoverato nella lista precedente, ma è ben noto che, nel 2002,
Gabriele Cassone ha inciso il Concerto di Hummel con uno strumento a chiavi, e quella
incisione è stata distribuita assieme alla rivista musicale “Amadeus”: l’orchestra è la
“Accademia Montis Regalis” di Mondovì (Cuneo), ed il direttore
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A conclusione del percorso di studi del Biennio di II Livello in Discipline
Musicali da me seguito, e che si conclude con la discussione di questo lavoro e con il
recital, mi preme ringraziare in primis il Prof. Elia SAVINO, il quale, in questi due anni
di lezioni, mi ha fornito preziosi consigli tecnici, musicali e di vita.
Un ringraziamento va anche a tutti gli altri insegnanti dei corsi frequentati: in
ordine sparso, voglio qui citare i Proff. Roberto IOVINO, Cinzia FALDI, Luigi
GIACHINO, Fabio MACELLONI, Mauro BALMA, Piero ANDREOLI, Luca
CARDINALI, Massimo CONTE, Laura BRIANZI, Antonio TAPPERO MERLO.
Citazione a parte merita il Direttore del Conservatorio, Prof.ssa Patrizia CONTI, per la
smisurata pazienza dimostrata a me e a tutti gli Studenti dei nuovi Corsi Sperimentali a
carattere universitario attivati due anni fa. Sopportare ritardi, incomprensioni,
dimenticanze, di diverse centinaia di giovani musicisti, ognuno con i propri problemi e le
proprie aspettative non è cosa facile…
Esauriti i ringraziamenti per così dire “istituzionali”, passiamo a quelli
“affettivi”.
Innanzitutto, il mio primo insegnante: mio fratello NICOLANGELO LO
BELLO. A suon di metodi bucati con la matita, mi ha messo sulla buona strada della
musica, facendomi apprezzare uno strumento difficile e faticoso come la tromba.
Infine, ultimi ma non meno importanti, I MIEI GENITORI: l’aiuto a perseguire
sulla strada della musica che mi hanno dato (e che continuano a darmi) è fondamentale e
preziosissimo, specialmente se si tiene conto del fatto che, fino a sette anni fa, tutti – me
compreso – si aspettavano una fulgente carriera da ingegnere. Grazie, grazie, grazie.