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Valeria Purcaro, Luciano De Sanctis, Mariangela Furlani e Michele Pierboni L’area ipogea sotto il complesso di Sant’Agostino

Questi portici o corridoi, che debbono considerarsi come avanzi pregevoli di antichi edifi zi, con tut-to fondamento hanno pure a reputarsi di essere in un tempo appartenute a qualche grandiosa opera, della quale fi no ad oggi ne rimangono sepolte le tracce qualunque.

Nel 1841 ripresero gli scavi che continuarono le ricerche all’interno del complesso mettendo in evidenza prevalentemente i resti tuttora visibili. Testimonianza di questi lavori è una nuova rela-zione redatta da Torello Torelli e Stefano Amia-ni4 che così conclude:

I rinvenimenti avvennero: E nell’orto interno del convento di Sant’Agostino; e nella cantina della fa-miglia Masetti, ed in altra di proprietà Amiani; e specialmente nel contiguo orto e cantina apparte-nente alla Pia Amministrazione Nolfi . I quali trat-ti bastano, noi crediamo, ad indicare quanta area occupasse l’antico fabbricato, e in qual parte princi-palmente si estendesse. E qui ne giova avvertire come in tutte le accennate costruzioni noi rincontrammo sempre la istessa regolarità di costruzione, la mede-sima confi gurazione alle pietre di tufo, fi nalmente natura e tenacità di cemento uguale a quello già avvisato nella prima redazione.

Mentre nel primo sopralluogo non furono tro-vati oggetti, il secondo scavo ha restituito “un tronco di colonna scannellata, senza listello, […] una sfi nge o cariatide in marmo pario”, frustuli di marmi utilizzati per pavimenti, de-corazioni architettoniche e come supporto di iscrizioni. La relazione si conclude con una de-scrizione della scultura:

Alla cariatide, in marmo pario, manca la testa e gli arti inferiori delle braccia, come pure la parte estrema del corpo che piegasi in giro quasi forman-do una voluta. Rappresenta essa una fi gura femmi-nile ignuda il petto ed anche gli arti superiori. Un panneggiamento formato da una pelle di caprone le scende dalla spalla destra fi n oltre la metà del

STORIA DEGLI SCAVI DALL’800 AD OGGIdi Valeria Purcaro

Al di sotto del complesso costituito dalla chiesa e dal convento di Sant’Agostino sono conservati resti imponenti di costruzioni romane e di epo-che successive che occupano ampli spazi, anche se non è possibile allo stato attuale delle cono-scenze ricostruire la originaria monumentalizza-zione dell’area e gli sviluppi cronologici avvenuti nel corso dei secoli. In parte nota fi n dal 15641 quando venne ristrutturato il chiostro del con-vento, l’area fu per la prima volta indicata con il n. 29 nella pianta del 1663 del Blavius (vedi saggio di Franco Battistelli sempre in questo vo-lume) in uno spazio verde a monte della Chiesa di Santa Lucia2 e distinta dai resti della Basilica di Vitruvio che pure viene segnalata con il n. 74 curiosamente in un luogo diverso, e precisamen-te in un’area gravitante tra il “convento di San Daniele” e il “Palazzo del Magistrato” nei pressi dell’attuale Via Montevecchio; ma i ruderi furo-no oggetto di più specifi ca attenzione nella prima metà dell’800 quando, in seguito a lavori eff ettua-ti nel 1840 nel giardino di proprietà Maccheroni adiacente al convento, emersero cospicue rovine che furono indagate e documentate con disegni e una relazione fi rmata da Stefano Tomani Amia-ni, Torello Torelli e Giulio Montevecchio, com-ponenti della commissione incaricata di sovrin-tendere ai lavori.3 In questa circostanza vengono descritte le murature riportate alla luce all’ester-no del complesso di Sant’Agostino, nell’orto in oggetto, a mezzogiorno, oggi non più visibili, e quelle esistenti nei sotterranei delle strutture reli-giose. La commissione così conclude:

Raff rontandosi quindi le disposizioni, le direzio-ni, i sistemi di costruzione e di materiali posti in opera in tutti gli accennati lavori, ne risulta con tutta certezza che tanto i sotterranei esistenti nell’orto Maccheroni, che gli altri di Sant’Agosti-no provengono da un’epoca stessa e possano di più comunicare tra loro, attesa la visibile prossimità.

A fronteVeduta dell’area ipogea sotto il complesso di Sant’Agostino (particolare delle strutture radiali)

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Pianta rilevata in occasione degli scavi di Sant’Agostino

del 1840-1842comprendente tutte

le emergenze presenti nell’area

Pianta degli scavi di Sant’Agostino

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corpo, mentre per l’altra metà si distende a rilevati risalti un fogliame di acanto.

Le rovine emerse in occasione dei suddetti scavi e di altre indagini eff ettuate alcuni anni dopo ma di cui non restano relazioni, furono riportate in alcune piante: la prima, redatta negli anni 1840-1842 e fi rmata da F. Morolli, documenta tutte le emergenze presenti nell’area;5 la seconda attribui-ta a E. De Poveda evidenzia le strutture antiche6 la terza fi rmata da G. Monti nel 1849 riporta il particolare della zona più orientale dello scavo.7

Nei decenni successivi e ancora in varie circo-stanze nel secolo scorso8 furono realizzate ulte-riori campagne di scavo che non rilevarono nul-la di particolarmente signifi cativo eccetto che il rilievo eff ettuato nel 1927 dal Bartolucci e dai suoi allievi9 che aggiunge ulteriori particolari a quanto già si conosceva relativamente all’area sudorientale. Nel 1996 in seguito agli ultimi in-terventi vennero prodotti nuovi rilievi ad opera

del professore Paolo Clini e dell’ingegnere Paolo Taus dell’I.D.A.U. di Ancona completi di tutti i particolari rilevabili10 e di un’ipotetica ricostru-zione dell’intero complesso.Le strutture esistenti mostrano una compagi-ne architettonica estremamente articolata; cer-tamente il resto più imponente è costituito da un grande muro conservato per un’altezza di m 5,10 e per una lunghezza di m 40 circa: costrui-to in opus vittatum, vi si appoggiano ad interval-li regolari sei poderose paraste che inquadrano cinque fi nestre strombate verso l’esterno. È chiaramente quindi un muro perimetrale che defi nisce un complesso chiuso; infatti delimita due lunghi ambienti all’interno, paralleli, ma resi comunicanti da una serie di archi; all’estremità del muro più occidentale si apre una prima esedra e una seconda esedra esiste in un altro ambiente situato all’estremità meridionale del muro con paraste, all’interno di questo, mentre all’esterno è presente una struttura radiale che si appoggia

Particolare degli ambienti presenti sotto la scalinatadi Sant’Agostino

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su questo ed è costituita da setti di muri dispo-sti a raggiera e coperti da volte. In anni recenti, in occasione di sondaggi eff ettuati nell’adiacente teatro, sono emersi i resti di una struttura radiale appoggiata ad un muro fi nestrato del tutto simili a quelli già conosciuti, e in posizione opposta e simmetrica, già ipotizzati da Taus. I muri perimetrali e le strutture architettoniche a questi connesse sembrano costituire un insieme coerente e unitario dal punto di vista strutturale. Meno chiara è la lettura degli ambienti che si tro-vano nell’area più orientale e quindi all’esterno del complesso delimitato dal muro sopra descrit-to: ad un primo ambiente rettangolare, all’interno del quale sono presenti alcune colonne allineate, seguono altri vani a livelli diversi e con presenza di canalette. Le colonne presenti nel primo am-biente, oggi in numero di tre, erano già state viste dai primi scavatori in numero di quattro. Quelle oggi visibili, seppur allineate, non sem-

brano appartenere ad una giacitura primaria in quanto diverse sia nei fusti che nelle basi, delle quali una sola è pertinente al frustulo di colon-na che sorregge. Tornando al complesso unita-rio, la collazione di tutte le tesimonianze viste dai primi scavatori con quelle oggi visibili e con quelle di cui si è venuti a conoscenza, restituisce la pianta di un edifi cio rettangolare di cui sono conservate le strutture semi-ipogee. Già Taus nel suo lavoro su quest’area aveva ricostruito un edifi cio templare di cui riconosce e descrive più fasi costruttive; la rilettura delle murature eff et-tuata da De Sanctis confermerebbe interventi eff ettuati in momenti diversi.L’edifi cio nella versione in cui ci viene traman-dato è costituito da una sostruzione a pianta ret-tangolare i cui muri esterni sono scanditi da una teoria di paraste sistemate a distanze regolari; due strutture radiali vennero costruite alle estremità dei lati lunghi con la funzione di sorreggere uno spazio superiore trasversale all’edifi cio e disposto quindi normalmente a questo. All’interno un criptoportico diviso in due campate da una serie di archi, e che prendeva luce dalle fi nestre strom-bate, doveva correre su tre lati:11 la sua funzione era quella di sostenere le strutture superiori ma anche quella di ricoprire un ruolo importante nell’economia delle funzioni (culto) praticate nell’edifi cio. Della sistemazione dell’area sopra-stante si ignora tutto. [Tralasciando le grandi rea-lizzazioni presenti al disotto delle piazze di Aosta, Arles ecc. criptoportici a tre bracci12 sottostanti a edifi ci di superfi cie a destinazione generalmente pubblica sono documentati a Capua, ad Alife, a Vicenza (forse pertinente ad un edifi cio pri-vato)], ma l’associazione criptoportico-tempio trova confronti più diretti a Urbs Salvia; è però imprudente procedere con confronti stilistici es-sendo ancora irrisolti notevoli problemi struttu-rali e sconosciute perché interrate gran parte delle strutture pertinenti all’intera area che potrebbero gettare nuova luce sulla organizzazione della stes-sa e sull’evoluzione cronologica delle varie fasi del complesso.

Particolare degli ambienti presenti sotto la scalinata

di Sant’Agostino

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LE VESTIGIA ROMANE SOTTO SANT’AGOSTINO IN RELAZIONE ANCHE ALL’URBANISTICA DI FANUM FORTUNAEdi Luciano De Sanctis

Siamo intorno alla metà del ‘600: uno storico locale, Pietro Negusanti, in una breve storia di Fano, nella quale esalta le origini romane della città, aff erma:

Non è gran tempo ancora che parimente si miravano le vestigia di quella Basilica descritta da Vitruvio e del Tempio di Giove e di Augusto, siccome anco del Tempio di Fortuna.

Questa prima considerazione testimonia che è molto probabile che il Negusanti conoscesse le vestigia alle quali fa riferimento soltanto attra-verso memorie trasmesse oralmente; in ogni caso testimonia che lo storico conosceva bene il tratta-to vitruviano. Ma ciò che qui particolarmente ci interessa è quanto, più avanti, egli annota:

stupende vestigia [il riferimento è sempre a quelle romane ndr] sono al presente assai confuse nelle mo-derne fabbriche delle Chiese e Conventi di San Do-menico e di Santo Agostino e nel giardino de Signori Rinalducci e quasi totalmente annichilate.1

Ambedue le annotazioni sopra riferite rivestono straordinario interesse ed in particolare la secon-da, perché redatte in un’epoca in cui non è da supporre che la presenza di “stupende vestigia” fos-sero “al presente” visibili anche se “assai confuse”, vestigia che non dovevano essere frutto di scavi, ma soltanto, anche se parzialmente, ancora visi-bili come lascia supporre quel “quasi totalmente annichilate”: il riferimento al “giardino de Signori Rinalducci”, giardino confi nante con il comples-so di Sant’Agostino, successivamente proprietà Maccheroni, ora “Montanari Navigazione”, fa pensare, pertanto, che in questo affi orassero, nel ‘600, fuor di terra, resti di murature romane.

Del resto è proprio da questo giardino Macche-roni, vedi caso, che duecento anni dopo l’aff er-mazione del Negusanti prende l’avvio, in seguito ad uno sterro occasionale, un vero e proprio scavo “archeologico” anche se

disordinatamente e senza le necessarie cautele ese-guito che, a dir vero, sembra piuttosto diretto a di-struggere che ad ammirare ed investigare insieme una qualunque opera, conservandola.2

Venne, tra l’altro, scoperto un muro spesso m 1,27, lungo m 18, alto m 3,60 fi no al pavimento di pietre squadrate di tufo: nell’estremo superiore del muro si notò l’imposta di una volta ma non si vide il suo parallelo. Chi volesse pertanto scrivere una storia delle ricer-che archeologiche e degli scavi nella nostra città non può non cominciare che da quelli eff ettuati proprio nel giardino Maccheroni risultando i più antichi eff ettuati a Fano. Queste prime ricerche, siamo nel 1840, furono di incentivo per l’isti-tuzione di una Deputazione agli scavi costituita da tre cittadini i quali nel settembre dello stesso anno, diedero inizio ai primi veri e propri scavi sotto Sant’Agostino, non occasionali, quindi, bensì specifi catamente organizzati con l’intento di indagare vestigia romane. Di questi restano detta-gliate relazioni che accompagnano accurati rilievi. La storia di questi scavi è illustrata esaurientemen-te da Valeria Purcaro, mentre il regesto dei relativi documenti d’archivio si deve a Giuseppina Boiani Tombari: ambedue i contributi sono presenti in questo volume a cui rimandiamo il lettore. In questa nota prenderemo in esame i singo-li ambienti visibili oggi come ipogei per tentare successivamente di interpretare la probabile de-stinazione del complesso di cui dovevano far par-te, nonché delle varie fasi costruttive attraverso le quali sembra essere passato: tratteremo in altra sede del verosimile rapporto esistente tra questo e il vicino teatro del quale si vanno riscoprendo i resti per concludere con alcune considerazioni circa la collocazione dei due edifi ci nell’ambito

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A Ambiente costituito da due corridoi affi ancati comunicanti (a-b)

B Ambiente con esedra

C Corridoio porticato

D Struttura radiale

E Grande muro con fi nestre e pilastri

F Ambiente con colonne

G Ambiente sopraelevato e lastricato, sottopassato dal cunicolo fognario

H Ambiente con cunetta

I Frammento di cunetta

1 Traccia di esedra occultata nella muratura

2 Scala che conduce ai cunicoli ad uso di cantina

3 Grande pilastro ellittico in muratura

4 Esedra

5 Frammento di iscrizione di recupero inseritoin un pilastro

6 Scala che conduce al piano superiore

7 Cunetta

8 Frammento di cunetta

9 Moderna scala di uscita

Pianta degli scavi sottostanti l’area di

Sant’AgostinoRilievo I.D.A.U. – Ancona

(Ing. Paolo Clini – Arch. Paolo Taus, 1996)

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dell’urbanistica romana di Fanum Fortunae. Il rilievo più recente, che qui si torna a pubblica-re, dei soli resti visibili sottostanti al complesso conventuale di Sant’Agostino si deve all’I.D.A.U. di Ancona ed è opera del Prof. Paolo Clini e del-l’Arch. Paolo Taus. Per tentare una ricostruzione dell’intero edifi cio lo integreremo con i più an-tichi rinvenimenti ai quali aggiungeremo i più recenti, ma molto importanti, comparsi in un limitato sondaggio eff ettuato nell’adiacente edi-fi cio ex fi landa Bosone. Dopo un periodo di abbandono, in anni recen-ti, nell’ambito di una vasta opera di recupero e valorizzazione denominata “Progetto Vitruvio” elaborata dal locale Archeoclub, è stato eff ettuato un radicale intervento per rendere fruibile questa importante area archeologica sotterranea, conte-stualmente al restauro delle seicentesche lunette aff rescate nel sovrastante chiostro. Mediante la creazione di un passaggio, gli scavi, già da tem-po precariamente visibili – ai quali si accedeva scendendo una scala a partire da una piccola co-struzione a forma di edicola posta in via Vitruvio – sono stati messi in comunicazione con l’adia-cente cantina dell’ex seminario, anch’essa ricca di avanzi, venendosi a realizzare, in tale modo, la prescritta seconda uscita.Prima di aff rontare la descrizione degli avanzi ro-mani sotterranei si impone un chiarimento cir-ca la morfologia del settore urbano in cui sono dislocati. La posizione così elevata del comples-so conventuale di Sant’Agostino rispetto a tutto il pianoro su cui è sorta la città, può far pensare che, in origine, il terrazzo fosse, in quel settore, rialzato. Anche se in minima parte forse lo era, tuttavia la posizione così elevata si deve al fatto che tutto il complesso religioso è sorto al di sopra di poderose strutture romane, esse stesse rilevate sull’antico piano di campagna, strutture che per la loro solidità hanno resistito alle distruzioni per fatti naturali e alle spoliazioni dell’uomo fi nendo completamente sepolte.I resti oggi visibili sono soltanto parte di quelli portati alla luce a partire dagli anni ’40 dell’Otto-

cento e sono distribuiti in diversi ambienti via via messi in sicurezza con particolare cura mediante la realizzazione di muri di contenimento e di so-stegno predisposti a protezione delle strutture che si andavano dissotterrando e di volte a salvaguar-dia di quelle sovrastanti, talvolta ben riconoscibi-li, talaltra un poco meno. Diciamo subito che, se nel suo insieme, sembra possibile alla fi ne tentare una ricostruzione in pianta del grande complesso che ci accingiamo ad illustrare, pur tuttavia, anche se la tecnica muraria appare omogenea, alcuni aspetti architettonici re-stano, al momento, inspiegabili, se non conside-rati come il risultato di successive modifi che il cui signifi cato, a causa anche della limitatezza dei re-sti individuati, ancora ci sfugge. Nella descrizione che ci accingiamo ad eff ettuare di questi scavi se-guiremo un percorso che ricalca, in un certo sen-so, il susseguirsi temporale della escavazione dei medesimi. Scendendo nel sottosuolo per circa 3 metri at-traverso l’ingresso posto nel cortile dell’ex Semi-nario, si entra in un primo grande ambiente, ex cantina del convento di forma rettangolare (A). Si tratta in realtà di due lunghi corridoi affi an-cati (a e b) lunghi m 10 e larghi m 2,70, coperti ciascuno con volta a botte in opus caementicium in cui è possibile vedere l’impronta delle tavole delle centine servite per il getto, separati da un muro in cui oggi si aprono tre passaggi voltati, ad uno dei quali è addossato un grosso pilastro a base ellittica, anch’esso in muratura. Due dei tre archi mostrano chiaramente di essere stati am-pliati (successivamente uno di essi rimpicciolito per garantire la stabilità degli edifi ci sovrastanti) forse per consentire il passaggio di ingombranti attrezzature da cantina quali botti o tini. Ciascu-no dei due archi maggiori, fra i quali è presente uno più piccolo, questo originale, è il risultato dell’accorpamento di due minori, d’ampiezza pari a quella del varco originale: i passaggi, in origine, erano pertanto 5. All’inizio del muro di sinistra del corridoio in cui si entra, è possibile leggere l’arco della semicupola di una prima esedra, tam-

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Corridoi paralleli con volta a botte in opera cementizia

separati da un muro nel quale si aprono archi

poggianti su piccoli pilastri. Nella immagine in basso

due fi nestre da cui i corridoi prendevano luce

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ponata in epoca moderna, inglobata in un trat-to di muratura chiaramente recente, muratura che, proseguendo, si collega a quella originaria in blocchetti di arenaria che mostra evidenti segni di consunzione (forse dovuti a lunga esposizio-ne agli agenti atmosferici?). Diciamo subito che tutti i paramenti dei muri pertinenti agli edifi ci romani presenti negli ambienti che illustreremo, sono realizzati con la tecnica dell’opus vittatum consistente in blocchetti quadrangolari di pietra della stessa altezza disposti su fi lari orizzontali. L’esedra è anche parzialmente interrata come lo è, ove più ove meno, tutto l’ambiente che stiamo descrivendo. Il corridoio di destra (b) prendeva luce da piccole fi nestre con architravi spioventi verso l’interno, ampiamente strombate dalla par-te interna; la luce, anche se di molto ridotta, do-veva fi ltrare attraverso gli archi del muro divisorio e raggiungere il corridoio di sinistra. Tutto il vano che stiamo descrivendo era, fi no ad anni recenti, fi no a quando cioè tutto il complesso fu sede del

Seminario Diocesano adibito, come abbiamo det-to, a cantina del medesimo. È probabile che que-sti corridoi affi ancati siano rimasti sempre agibili senza fi nire completamente interrati come tutti gli adiacenti che visiteremo. Verso la metà del cor-ridoio di sinistra, sporge dal pavimento un basso muro a L che funge da parapetto ad una scala che si apre nel pavimento e che scende notevolmente al di sotto dei sovrastanti ambienti romani che abbiamo descritto. Scendendo si penetra in cuni-coli lungo i quali si aprono piccoli vani ad uso di cantina, localmente denominati “grottini”. Dopo pochi gradini nel muro a sinistra si vede l’antico piano di calpestio e il pilasro del sovrastante arco centrale.Tornando ai due corridoi paralleli, fra loro comu-nicanti con archi, essi sono stati trovati, fi n dalla prima ispezione, interrotti all’altezza del grande pilastro a base ellittica. Nelle planimetrie più antiche, riprodotte nel contributo che precede, i setti divisori che interrompono i corridoi, non

Resti di un grande pilastro a base ellittica nel muro che separa i due corridoi

Cunicoli ad uso di cantina al disotto dei resti romani

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fi gurano: infatti due corridoi proseguono, divisi in pianta da piccoli pilastri disposti a distanze re-golari, evidenti sostegni degli archi che dovevano congiungere.Fino al 1840, cioè fi no a quando non cominciaro-no le ispezioni al di la del muro fi nestrato, di cui diremo, la cantina del convento era l’unico am-biente romano visibile. Lo scavo degli ambienti posti al di la della cantina fu eff ettuato scendendo nel sottosuolo attraverso una trincea aperta nel chiostro. La realizzazione di una scala a parti-re da una edicola posta su via Vitruvio rendeva successivamente autonomi questi ambienti: nelle due fi nestre, attraverso una della quali entrarono i primi esploratori, vennero poste inferriate per evitare l’eventuale passaggio alla cantina.Infatti nell’ispezionare gli ambienti che successi-vamente via via verranno portati a luce a partire dal 1840 posti al di la del muro fi nestrato, non esistendo alcun altro passaggio, in una relazione che illustra questa primo intervento, si dice che

Nel corridoio (b in planimetria ndr) si ravvisano due aperture nel muro laterale di fi gura quadri-lunga, all’esterno di una dimensione più grande dell’interno, e forse per comunicazione di lume da uno all’altro ambiente. Una di esse chiusa con inter-rimento dalla parte interna, e l’altra aperta con un pertugio suffi ciente ad introdurvisi persona. Animati dal proponimento di qualche oggetto interessante, e molto più dell’amore della verità nel poter descrivere le cose vedute, due dei tre componenti la commissione entrarono senza esitanza in un ambiente alquanto alzato dal riempimento di terra.3

In verità in epoca romana un passaggio esisteva ma era rimasto ostruito dal deposito di riempi-mento. In anni recenti è stato rimosso l’ostacolo che l’ostruiva: attualmente, quindi, si può ac-cedere ad un ambiente rettangolare (B) nella cui parete, a destra per chi entra, è presente una seconda esedra, questa totalmente in vista, del tipo dell’altra di cui resta traccia nel precedente ambiente, ma ben conservata. È realizzata fi no

all’imposta della semicupola, con un accurato paramento in blocchetti rettangolari di arenaria mentre la semicupola stessa presenta una mura-tura in opus caementicium. Nel muro antistante all’esedra esi stono le tracce di due fi nestre: una completamente occlusa e l’altra ridotta di luce, in antico, a poco più di una feritoia. Lasciato l’ambiente con esedra, si entra in uno stretto corridoio (C) a destra del quale si apre un varco ancora ostruito da detriti, mentre la parete posta a sinistra è costituita da un muro di rinforzo ma-lamente realizzato in cemento che non consente di vedere l’originaria parete spessa m 0,77, alla quale è addossato, che più avanti avremo invece modo di osservare nella facciata opposta. Ver-so la fi ne del corridoio, prendendo a sinistra si entra, passando attraverso un ingresso ad arco a tutto sesto ampio m 1,50, in una struttura radia-le (D), addossata all’avancorpo quadrangolare che racchiude l’esedra. Questa struttura è costituita da sei setti murari radialmente disposti a formare nell’insieme un settore circolare pari ad ¼ di circonferenza. Cia-scun setto ha pianta trapezoidale che va rastre-mandosi verso il punto di convergenza passando da uno spessore di m 0,90, pari a 3 piedi, fi no al pilastro quadrato di m 0,60 di lato, pari a 2 piedi: in ognuno di questi setti si apre un pas-saggio ad arco ampio m 1,70. L’insieme di tutti i passaggi costituisce un corridoio, ovviamente anulare. Anche questi setti sono realizzati con blocchetti rettangolari di arenaria disposti in fi lari ben allineati e presentano su ambedue le facciate della parte più spessa, verso la sommità, archivolti di archi di scarico la cui imposta è sot-tolineata da due ricorsi estremamente accurati di conci disposti allo stesso livello dell’imposta degli archi di passaggio. Nella relazione di scavo del 1841 fra le tante varietà di marmi recupe-rati, pertinenti in prevalenza a cornici e accu-ratamente descritti e raffi gurati in una tavola, opera dell’ingegner Morolli, fi gurano anche due varietà di brecce “il fi or di pesco” e “l’occhio del pavone”,

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Esedra nel vano (B)

Tre archi di un probabile loggiato nel corridoio (C)

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D’ambo le quali breccie tagliate a lunghe lastre era senza alcun dubbio lastricato il pavimento dei primi due archi scoperti in semicircolo.4

Nella stessa relazione si fa rilevare

come in alcuni marmi perfettamente levigati in su-perfi cie, osservammo nel loro rovescio una velatura di mastice tenacissimo consimile a quello che noi ac-cennammo vedersi rivestita la lunetta aperta nel suo archivolto. Da che può argomentarsi, con sicurissi-mo indizio, che molti punti di quell’edifi zio fossero ricoperti da questo rimarchevole abbellimento.

Riprendendo a parlare dell’ambiente in cui ci troviamo si può notare come, nel muro, che nel corridoio (C) abbiamo visto coperto da una re-cente, brutta, parete in cemento, si aprono altri due passaggi arcuati, questi tamponati in antico, del tutto uguali a quello attraverso il quale sia-mo entrati, varco questo, al momento degli scavi, rinvenuto occluso. Nelle piante redatte dal Mo-rolli e dal De Poveda5, infatti, tutti e tre i varchi

risultano chiusi. L’apertura di uno di essi è quindi intervento relativamente recente operata forse per mettere in comunicazione fra loro le parti scavate. Nel pilastro del primo setto radiale che si incontra entrando, è inserito, evidentemente riutilizzato, un blocco squadrato di pietra arenaria recante un’iscrizione onoraria databile probabilmente ad età repubblicana, in cui è ricordato un magistrato municipale [/CALDAI.D / IIII VIR P / PUBLIUS SCANTIU(S)].6 Percorso il corridoio circolare, procedendo verso nord, si accede a un lungo e stretto ambiente largo poco più di m 1,30. A sini-stra corre il poderoso muro a cui in precedenza si è più volte accennato (quello a destra è recente), muro che a partire dall’estremo in cui appoggia la struttura radiale fi no al termine oggi visibile, misura oltre 40 metri ed è alto m 5,10. Lungo questo, a distanza regolare, sporgono 6 robusti pilastri larghi m 1,60 e sporgenti m 0,36 infram-mezzati da 5 fi nestrine a doppia strombatura, no-tevolmente più ampia verso l’interno; le piccole fi nestre sono poste a m 2,50 da un muro di base alto 50 cm, più largo dei pilastri dei quali costitui-sce la base, muro ben visibile lungo tutta l’esten-sione del poderoso muro con fi nestre: queste sono collocate in corrispondenza delle aperture voltate che compaiono, all’interno, nel muro che divide i due corridoi voltati a botte del vano (A). Possiamo qui osservare come i grandi pilastri, e anche il lungo e basso muro sul quale appoggia-no, non sono incorporati nella parete ma realiz-zati, pur usando la stessa tecnica edilizia, forse in un secondo momento, per raff orzare il muro a cui aderiscono. Lo si desume da due aspetti: una di-versa dimensione dei conci d’arenaria dei pilastri mediamente maggiori rispetto a quelli del muro a cui aderiscono, nonché per l’assenza di ammor-samento fra pilastri e muro. L’ultimo pilastro, alla base, risulta distaccato dal muro.Sia sul grande muro che sui setti radiali sono pre-senti a varie altezze, allineati sugli stessi piani oriz-zontali, serie di fori (per mancanza di uno o due blocchetti del rivestimento): tali fori sono i pro-babili alloggiamenti dei travicelli costituenti l’im-

Frammento di iscrizione riutilizzato in un pilastro

della struttura radiale (D) in cui è menzionato un magistrato municipale

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Ingresso al complesso radiale. A destra le tre aper-ture voltate che si aprono nel corridoio delle quali due ancora tamponate (C)

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Corridoio anulare che attraversa i setti

del complesso radiale addossato al grande

muro fi nestrato e con pilastri (D)

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Poderoso muro fi nestratoe con pilastri (E)

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palcatura, del tipo a incastro, servita per la loro costruzione. A terra è visibile parte di una grande colonna (è forse parte del pilastro ellittico visto nell’ambiente (A)?), realizzata con blocchetti di arenaria legati da malta cementizia e ciottoli. Tornati indietro e rientrati nuovamente nel cor-ridoio (C), saliti due o tre gradini dei quali resta solo l’imposta, nei muri laterali, del più elevato, attraversata un’apertura praticata a fi anco di una poderosa fondazione, probabilmente medievale e verosimilmente pertinente alla torre campana-ria della sovrastante chiesa, si accede in un am-biente all’incirca quadrangolare (F) in cui sono presenti tre frammenti di colonne di diversa na-tura litologica poste su basi quadrate, collocate a disuguale distanza fra loro: solo in una è presente la base attica. Il loro allineamento risulta paral-lelo a quello del grande muro a pilastri e fi nestre e si spinge a sud oltre a questo (potrebbero aver costituito, in origine, parte di un portico: nelle planimetrie antiche fi gurano quattro colonne

poste ad uguale distanza fra loro (cfr. Purcaro). Dal vano (F), salendo pochi gradini e attraversa-ta un’apertura, praticata probabilmente in anni recenti, in un muro che presenta identiche carat-teristiche struttive di quelli che fi n qui abbiamo incontrato, si perviene in un piccolo vano (G) nel quale è ancora presente l’originario piano di calpestio realizzato con grandi e spesse lastre calcaree. Fra il piano di appoggio delle colonne e questo piano rialzato esiste una diff erenza di quota di 50-60 cm. Proseguendo ancora ed ol-trepassato un muro del quale restano pochissimi frammenti originari, muro parallelo ed uguale a quello incontrato salendo i gradini per passare da (F) a (G), mediante una moderna passerella in-clinata, si torna a scendere e si raggiunge l’ultimo ambiente (H) sbarrato al termine con una pare-te di recente realizzazione. Alla base di questa è presente una cunetta per scolo di acque piovane, realizzata con massicci conci di pietra calcarea: l’andamento di questa cunetta risulta parallelo sia

Fondazione della torre campanaria, non più

esistente.A destra l’ingresso

al vano con colonne

L’AREA IPOGEA SOTTO IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

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alle colonne che abbiamo descritto che ai muri che racchiudono il vano rialzato (G), posta alla stessa quota. Un frammento di cunetta è presente anche nel piccolo passaggio (I) ed il suo orien-tamento risulta perpendicolare e forse alla stessa quota di quello della cunetta del vano (H). Al di-sotto degli ambienti (F) (G) (H) corre un cuni-colo fognario coperto alla cappuccina e anche in piano che sembra dirigersi verso la fogna romana sottostante all’attuale via Nolfi , importante e for-se ultimo cardine verso mare. E’ da rilevare che nei medesimi ambienti è possibile vedere notevo-li tracce di poderose fondazioni da attribuire alla sovrastante chiesa. Tornati indietro e oltrepassato l’ambiente colonnato (F), si raggiunge la moder-na scala di uscita che conduce in via Vitruvio: a destra dei primi gradini di questa uscita e ad essa normali, sono visibili tre gradini realizzati in pie-tra di forma parallelepipeda, resti di un’originaria scalinata, spoliata in antico, che doveva, in ori-gine, condurre al piano superiore del complesso che siamo venuti descrivendo. Per quanto riguarda l’accuratezza e la perizia con cui sono realizzate tutte le murature fi n qui de-scritte, concordo con quanto Luigi Sensi, che all’argomento ha dedicato, anni orsono, un inte-ressante contributo:

Omogenea è la tecnica edilizia; si tratta di una muratura a sacco, con rivestimento esterno in para-mento di blocchetti di pietra arenaria di forma qua-drangolare. In piccoli conci di arenaria sono anche le armille degli archi che articolano la superfi cie mura-ria e gli architravi delle piccole fi nestre strombate.7

Il complesso di ambienti, oggi ipogei, che via via abbiamo indagato sembrano appartenere a due distinti edifi ci immediatamente adiacenti e forse, anche in antico, fra loro comunicanti: in ogni caso ambedue coerenti con la trama viaria urbana ed inclusi nella stessa insula che ha oggi come confi ni le vie De Amicis, Nolfi , Ceccarini e, lungo il quarto lato, forse separata dall’insula in cui è sistemato il vicino teatro, da un passaggio

coincidente probabilmente con un tratto del car-do massimo. Abbiamo fi n qui descritto ciò che è possibile vedere scendendo al disotto del comples-so monastico di Sant’Agostino. Avvalendosi degli antichi rilievi in cui fi gurano muri visti e rimessi sotto terra, nonché dei recenti, interessantissimi, rinvenimenti venuti a luce nell’adiacente area ex fi landa Bosone durante i sondaggi per meglio individuare il teatro, il grande edifi cio romano viene ancor meglio defi nito nella sua forma che risulta rettangolare allungata nel senso nord-sud e prospiciente sull’antistante decumano. Immediatamente a est, verso mare, in aderenza a questa grande struttura, costituita, come abbia-mo visto, essenzialmente da corridoi voltati di-sposti probabilmente ad U, sembra ravvisarsene un’altra a pianta forse quadrangolare, di dimen-sioni decisamente minori. Sembrano restituire una tale forma i due resti ortogonali di cunetta, sempre che il frammento in (I) risulti in posto (vedi pianta) per scolo di acque piovane, del tipo

Due delle tre colonne del vano (F)

IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

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Il vano (F). I due gradini consentono di salire sul

vano rialzato (G) con pavimento originale(immagine in basso)

L’AREA IPOGEA SOTTO IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

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L’ambiente (H) con cunetta. Il muro di fondo, quelli laterali e la volta sono moderni

Tratto di cunicolo fognario sotto gli ambienti (G) e (H)

Tre gradini in pietra della scala che conduceva al piano superiore del complesso

IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

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di quelle che bordano i peristili. Il rinvenimento in questi ambienti di frammenti di sedili di latri-na ha fatto supporre che tali vani fossero adibiti a servizi igienici. È questa, ovviamente, una sem-plice ipotesi tutta da verifi care e che soltanto un futuro ampliamento degli scavi potrebbe o meno confermare.

Ma tornando al grande complesso, oggi ipogeo, sembra abbastanza evidente come questo costitu-isca un imponente podio-criptoportico, in origi-ne rilevato sul piano di campagna, sopra al quale doveva essere sistemato un edifi cio notevolmente importante: il pensiero corre ad ipotizzare che, con una certa probabilità, si tratti di un tempio. Se così fosse si verrebbe a formare un vero e pro-prio complesso santuariale con i sottostanti ed adiacenti, indispensabili annessi. La notevole ele-vazione del complesso assolveva ad un’altra im-portantissima funzione: quella di far si che esso fosse facilmente avvistato – prossimo come era al bordo del terrazzo quaternario su cui sorgeva – dai naviganti che veleggiavano in Adriatico. Si aggiunga che la città quasi sicuramente era priva, in questo settore, di mura di difesa. L’alto podio-criptoportico, faceva inoltre ben fi gurare il com-plesso santuariale anche nei confronti del vicino teatro la cui scena e la retrostante porticus post sca-enam dovevano innalzarsi sensibilmente. Credo pertanto di concordare con quanto asseri-sce De Angelis D’Ossat secondo il quale

Si può aff ermare che i criptoportici vengano sempre a costituire […] nei contesti architettonici romani, un basamento visibile all’esterno […] sia quando il criptoportico è impiegato come una sostruzione per contenere e regolarizzare un terreno […] oppure – nella maggioranza dei casi – quando, sorgendo su un’area pianeggiante, costituiscono la base, si potreb-be dire il podio, di altre strutture soprastanti, sempre fi gurativamente correlate alla parte visibile del crip-toportico stesso.8

Abbiamo accennato all’inizio alle diffi coltà che si

incontrano nell’interpretazione di certe soluzio-ni architettoniche e nella disposizione reciproca di alcune parti dell’edifi cio. Chi, per primo, più puntualmente si è interessato a questi scavi, mi riferisco a Luigi Sensi, non ha prudentemente azzardato alcuna ipotesi ricostruttiva. È invece a Pao lo Taus, recentemente scomparso, cui va il merito di aver proposto una ricostruzione, che sembra alquanto condivisibile, attraverso succes-sive fasi, del grande edifi cio.9 Volendo tentare, anche in questa sede, una sua ipotetica ricostruzione anche se di poco variata ri-spetto a quella precedente, questa sembra potersi intravedere in una successione di interventi tesi sia ad ampliare il monumento sia fi nalizzati ad aumentarne la sua monumentalità. Ovviamente le soluzioni che qui si propongono vanno consi-derate quali semplici tentativi interpretativi, non certo risolutive del problema che resta pertanto aperto. Le interpretazioni possono variare, a se-conda di come si considerano, solo per fare un esempio, le esedre, se poste all’interno o, vicever-sa, all’aperto. Ciò premesso, una plausibile storia delle vicende attraverso le quali è passato l’edifi cio cui facevano parte i ruderi fi n qui descritti, quelli trovati in an-tico aggiunti a quelli, importantissimi, trovati di recente, sembra restituire un grande complesso a pianta rettangolare allungata nel senso nord-ovest sud-est. Questo, nel suo insieme, può essere il ri-sultato di successive aggiunte e modifi che che qui riassumiamo per grandi linee, di diffi cile decifra-zione, che soltanto un ampliamento degli scavi, potrebbe meglio defi nire. L’impianto originario sembra possibile riconoscersi nell’edifi cio rettan-golare delimitato dal poderoso muro con absidi e fi nestre (a). Queste ultime consentono di dare aria e luce ai due corridoi interni paralleli, volta-ti a botte e disposti ad U attorno ad un nucleo centrale rettangolare anch’esso absidato, privo però di fi nestre (senza escludere, come propone il Taus, che questo “nucleo” rappresenti, in realtà, il primitivo edifi cio). Un primo ampliamento è ravvisabile nel piccolo avancorpo quadrangolare

267267

Probabili fasi evolutive dell’ipotizzato complesso podio-criptoportico sotto il convento di Sant’Agostino.(Elaborazione grafi ca Nicola Paolinelli)

Pianta di Fano romana con i principali monumenti e la probabile collocazione del Foro (rielaborazione di Luciano De Sanctis, Fano)

PIAZZA P.M. AMIANI

per RomaVia Flaminia

4 - Macellum (mercato)(?)per Pisaurum

porto-approdo?

d

cb

e

a

Muri sia visibili che rilevati in antiche e recenti indagini

a - Probabile iniziale impianto con esedre

b, c, d - Realizzazione del muro antistante le esedre, dei corridoi porticati e delle scale per accedere al piano superiore

e - Aggiunta delle strutture radiali e dei pilastri di rinforzo a partire da una lunga base, addossati al muro perimetrale fi nestrato

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IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

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antistante alle esedre (b) nel quale si aprivano due fi nestre, avancorpo sporgente dal grande muro con fi nestre e pilastri. Normalmente a questo pic-colo ambiente viene realizzato anche un corridoio porticato (c), affi ancato da una scala per salire al piano sovrastante (d). L’intervento di cui sopra avrebbe procurato l’allargamento della fronte del complesso. Successivamente un’ulteriore aggiun-ta, questa fi nalizzata ad ampliare il piano sopra-stante è ottenuta con la realizzazione dei comples-si radiali (e), impostati, per buona parte, a fronte del precedente ampliamento, che viene pertanto inglobato in esso e verso il quale convergono i setti che li costituiscono. La soluzione architet-tonica attuata, a pianta arcuata, rivela un chiaro intento di monumentalizazione dell’edifi cio che doveva sorgere al di sopra. Questo intervento ha portato alla chiusura sia delle fi nestre che davano luce alle esedre sia degli archi del corridoio porti-cato (c); chiusure ancora ben visibili nei vani (b) e (c). Tutte le suddette aperture, del resto, con la creazione della struttura radiale non assolvevano più alla loro funzione. Quest’ultimo intervento di ampliamento riduce, infatti, defi nitivamente al buio sia le esedre che i corridoi porticati con tre aperture.È in questa fase più recente che probabilmente vengono realizzate generali opere di rinforzo tra le quali quella rappresentata dai pilastri poggianti su un basso muro che corre alla base di quello fi -nestrato, e a questo addossati con regolarità, quali paraste, a partire da dove termina la struttura ra-diale. In corrispondenza del primo pilastro posto subito a fi anco di tale struttura radiale, è presente, nel muro che, all’interno, divide i due corridoi, il grosso pilastro a base ellittica (3). Tale pilastro è anche in asse con un muro posto al di la del corri-doio più interno, muro oggi non visibile. La circostanza che tutti i muri, nelle diverse suc-cessive fasi di ampliamento probabilmente avve-nute, nel tempo, ad una certa distanza le une dalle altre, si presentano con la stessa tecnica costrutti-va (è ben visibile la “freschezza” dei paramenti dei setti del complesso radiale), cioè dell’opus vitta-

tum, può essere dettata dalla volontà di mantenere inalterato lo stile architettonico del monumento dal momento che, considerata l’accuratezza con la quale è realizzato il paramento, questo poteva essere lasciato a vista.L’ipotesi più sopra avanzata, e cioè che ci si tro-vi di fronte ai resti di un podio-criptoportico sul quale sorgeva un edifi cio di culto deriva anche da possibili raff ronti con analoghi edifi ci santuariali presenti nel mondo romano, soprattutto laziale anche se monumentalmente, quelli fanesi sono del tutto più modesti. Rimanendo in ambito marchigiano, sono possibili molti raff ronti con il complesso santuariale di Urbs Salvia.Considerata l’imponenza e la ricercata monu-mentalità dei ruderi e tenuto conto della tradi-zione antica, sembra prendere sempre più corpo l’ipotesi che le vestigia romane sotto Sant’Agosti-no siano proprio gli avanzi del podio-criptoporti-co sul quale insisteva il complesso santuariale de-dicato alla divinità fanese eponima, Fortuna, dalla quale la città deriva il nome stesso. Tanto antica è questa ipotesi se si dà credito ad un’iscrizione redatta in latino e risalente al 1446 murata nel sovrastante chiostro agostiniano che un appassio-nato studioso della romanità di Fano, don Guido Berardi, così rese in italiano: “Viaggiatore chiun-que tu sia fermati, se desideri spegnere l’arsura della gola. Qui San Nicola da Tolentino, ove era il tempio della bugiarda Fortuna, il pozzo che vedi edifi cò da fondo, per, con le acque scorrenti a me-dicina del corpo, disporre un benefi cio perenne. Qui venga chi ha sete e con le labbra e col cuore l’autore di questa proprietà medicinale veneri in terra mentre Nicola è glorifi cato in cielo”.10

A proposito degli attributi, fra i numerosi, at-tinenti alla Fortuna che si venerava nel santua-rio fanestre, rimandiamo il lettore ad un inte-ressantissimo studio di Domenico Musti. Egli osserva, nelle conclusioni, come la Fortuna di Fano, raffi gurata nella statua acefala rinvenuta sotto l’episcopio, sia di carattere agrario, che reg-ge con la sinistra una cornucopia […] il che […] non esclude aff atto che con essa convivesse, nella

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stessa Fano antica, una Fortuna di carattere ma-rino, con tutte le caratteristiche pertinenti […] ravvisando inoltre una […] affi nità intrinseca e il rapporto speculare e simmetrico tra la tirrenica Anzio e l’adriatica Fano, e riproposto il problema di una funzione oracolare e augurale della Fortuna di Fano, in analogia con quella di Anzio”.11 La presenza a Fanum di un culto oracolare vie-ne da molti Autori collegata anche alla sors di Fortuna che si conserva al Museo di Fiesole al quale è giunta per donazione con l’indicazione di una sua provenienza dalle Marche.12 A questa si può anche aggiungere la vignetta con la quale, nella Tabula Peutingeriana è individuata Fano Furtunae che viene interpretata come tempio o santuario.13 Potrebbero, infi ne, riferirsi a questo edifi cio anche le stampiglie a forma di tempio raffi gurate nel rovescio di tre lucerne che si con-servano nel Civico Museo di Fano e provenienti sicuramente dal territorio. A questo punto, tuttavia, non può non tacer-si l’ipotesi formulata da chi ha voluto vedere in questo complesso di vestigia i resti della basilica forense che l’architetto Marco Vitruvio Pollione dice di aver costruito a Fano tanto che ancor oggi è diff usa l’abitudine di indicarli, sbrigativamen-te, “scavi di Vitruvio”. È soprattutto a comincia-re dagli scavi ottocenteschi, infatti, che ha inizio a diff ondersi tale ipotesi in base alla quale molti studiosi di storia locale si sono cimentati in una ricostruzione dell’edifi cio vitruviano adattando le misure fornite dall’architetto ai resti ipogei.Azzardare una datazione dei resti sotto Sant’Ago-stino sopra esaminati, non è cosa facile. Una supposizione, che però vien data come ipotesi di lavoro, è che la fase iniziale di questi possa essere messa in relazione all’intervento di generale ri-strutturazione della Colonia Iulia Fanestris che da taluni si fa risalire all’età augustea.

Rimangono ora da avanzare alcune considera-zioni, a mio avviso indispensabili, relativamente alla dislocazione, nell’ambito del regolare im-pianto urbano di Fanum Fortunae, del teatro14

che si va scoprendo e dell’adiacente edifi cio che abbiamo supposto essere il santuario di Fortuna disposto questo su elevato podio-criptoportico, nonché del peristilio colonnato (macellum?) con l’adiacente podio di un tempio, presenti sotto l’ex scuola “Luigi Rossi”, ora Mediateca Montanari (MeMo). I primi due monumenti, ma anche un fi anco del peristilio colonnato, prospettavano su un importante decumano, il I a sinistra del mas-simo. Nelle insulae antistanti il fi anco del teatro ove era la parodos, l’accesso di destra del medesi-mo, la fronte dell’ ipotizzato tempio e il peristilio colonnato, si pensa che fosse il Foro di Fanum. Si può qui osservare come i criptoportici, in genere, da un punto di vista urbanistico generale sono connessi con il Foro. In un certo tipo di Foro (“tripartito”) “sembrano fare parte integrante inse-rendosi nel settore per così dire ‘religioso’ di esso”.15 Tornando al decumano, questo doveva rivestire notevole importanza considerato che si collegava alla via proveniente dalla Porta urbana detta della Mandria, attraverso la quale entrava in città la via Flaminia. Da questa Porta la strada procedeva in città con un percorso, in un primo tratto, anoma-lo perché disposto in diagonale rispetto a quello urbano ortogonale per poi immettersi, all’incon-tro col cardo (attuale Corso Matteotti), nel primo decumano a sinistra. Questo asse, oggi rappre-sentato dalle vie Lanci, De Amicis, Vitruvio ter-minava a Piazza Grimaldi da dove, scendendo il declivio rappresentato dal dislivello tra il piano in cui sorgeva la città e il litorale, conduceva molto probabilmente all’antistante approdo.16 Potrebbe essere testimonianza di un tale accesso al mare, la presenza al piede della scarpata, di un tratto di muro romano di controscarpa in opus quasi reti-culatum, lasciato a vista in un piccolo vano rica-vato nel muro malatestiano, nel quale una cate-na d’angolo accuratamente realizzata con conci parallelepipedi, variamente ammorsati, sembra contrassegnare l’apertura di un varco.17 Mi auguro che questo lavoro possa essere da sti-molo per future e profi cue ricerche volte ad una migliore conoscenza del nostro passato.

IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

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LA SISTEMAZIONE DELL’AREAARCHEOLOGICAdi Mariangela Furlani e Michele Pierboni

Intorno al 1990 il dottor Luca Fabbri, all’epoca Presidente della Sezione di Fano dell’Archeoclub d’Italia con il sostegno e l’appoggio del profes-sor Luciano De Sanctis e del dottor Claudio Giardini, diede l’avvio ad un concerto di colla-borazioni e fi nanziamenti per la valorizzazione e il restauro del chiostro e di altri ambienti dell’ex convento di Sant’Agostino. Questo progetto, denominato “Progetto Vitruvio”, comprendeva anche i lavori di sistemazione necessari per ren-dere accessibili e visitabili le imponenti struttu-re dei resti di edifi ci pubblici di epoca romana che si trovano sotto questa area, comunemente noti come “basilica di Vitruvio”.Al “Progetto Vitruvio”, approvato dalla Soprin-tendenza Archeologica e dalla Curia vescovile (proprietaria degli immobili) parteciparono nu-merosi enti e ditte tra cui, in primis, la Fondazio-ne Carifano.1 I soci della Sezione di Fano dell’Ar-cheoclub d’Italia, tra cui molti giovani studenti e neolaureati in archeologia, contribuirono al pro-getto prestando la loro manodopera volontaria per la ripulitura e la sistemazione dell’area arche-ologica sottostante il convento.2

Così a partire dal 1994, mentre nell’ex convento di Sant’Agostino si avviavano i restauri del chio-stro e della sala capitolare, i soci dell’Archeoclub aff rontavano il lavoro di sterro e pulitura dell’area archeologica sottostante.La terra rimossa di volta in volta veniva control-lata e setacciata in modo che eventuali reperti e materiali frammisti non andassero perduti. Nel contempo, sotto la guida della Soprintenden-za Archeologica delle Marche, nell’area ipogea furono eff ettuati anche alcuni saggi di scavo al fi ne di valutare se il suolo presentasse successioni stratigrafi che e al fi ne di individuare il livello di calpestio e la presenza di eventuali pavimentazio-ni. Questi saggi non diedero però risultati tali da giustifi care la prosecuzione di ulteriori scavi.

Infatti l’area archeologica di Sant’Agostino poi-ché si caratterizza per la presenza di robustissi-me strutture murarie di epoca romana è stata diversamente riutilizzata nel tempo e, se da un lato questo ha fatto sì che mantenesse integra la sua maestosità e imponenza fi no ai giorni nostri, tanto che in alcuni ambienti è ancora possibi-le camminare sotto i soffi tti a volta di duemi-la anni fa, d’altro lato, il continuo riutilizzo di questi ambienti non ha dato luogo al formarsi di una stratigrafi a coerente. Infatti alcuni ambienti dell’attuale area archeologica sono stati cantine e magazzini del convento di Sant’Agostino e ad-dirittura sotto di essi sono stati scavati dei grot-tini mentre altre zone probabilmente sono state impiegate come butti, ovvero come cavità sotter-ranee ove gettare detriti e materiali di scarto di vario genere.Il succedersi dei vari utilizzi di questa area, uni-tamente al fatto che sopra di essi si è continuato a costruire, l’accumularsi nel tempo di detriti e terra ha compromesso la possibilità di dare una lettura coerente dei materiali rinvenuti che, oltre a non essere più riconducibili ad un preciso con-testo potrebbero addirittura provenire, anche se non nella loro totalità, da altri edifi ci vicini.Infatti se si rifl ette sul fatto che la maggior parte dei reperti riportati in luce erano già mischiati a terra e detriti e che nel sito in questione in più di un caso questo “miscuglio” è stato utilizzato per tamponare e chiudere alcuni passaggi da un ambiente all’altro si può supporre che i reperti qui rinvenuti erano in uno stato frammentario (oggetti ormai da buttare) già al momento in cui sono in qualche modo pervenuti nell’area arche-ologica in questione.Per avere un’idea del rimescolamento che que-sti materiali hanno subito si pensi, per fare un esempio, che rimuovendo una piccola porzione di terreno ci si poteva imbattere con facilità in alcuni frammenti di ceramica di epoca medievale frammisti a pezzi di tegole di epoca romana e ad elementi da costruzione moderni o, ancora, po-teva accadere che si ritrovassero parti diverse di

L’AREA IPOGEA SOTTO IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

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uno stesso oggetto in settori dell’area archeologi-ca anche lontani tra loro.I lavori di sterro e pulitura dell’area archeolo-gica sottostante il convento di Sant’Agostino si protrassero dal 1994 al 1996 e tra le migliaia di frammenti raccolti i reperti ancora integri o ritenuti più interessanti furono subito ripuliti e catalogati mentre il resto dei materiali fu con-servato in cassette custodite nella stessa zona archeologica.Conclusa la parte del lavoro necessaria a liberare la zona archeologica dalle ostruzioni di terra e a mettere in comunicazione gli ambienti presenti nelle cantine dell’ex convento con quelli sotto-stanti la gradinata antistante la chiesa di Sant’Ago-stino proseguirono tutte le operazioni necessarie a mettere in sicurezza l’area (controlli statici, ri-pristino di alcune piccoli porzioni di murature). Si passò quindi a provvedere all’illuminazione di questi ambienti e a al posizionamento di griglie metalliche per proteggere il suolo dal calpestio dei visitatori e per permettere un percorso agevo-le anche in presenza di alcuni dislivelli.Così fi nalmente dopo diversi anni di lavoro,3 i resti romani presenti sotto l’ex convento di Sant’Agostino divennero un’area archeologica visitabile. A questo punto occorreva anche or-dinare e inventariare tutti i materiali in giacenza presso l’area archeologica.Nel 2007 con una borsa lavoro della Provincia di Pesaro-Urbino la dott.ssa Eleonora del Sorbo diede l’avvio alla sistemazione dei reperti giacenti nei “magazzini” impostando il lavoro in modo da consentire poi la prosecuzione del riordino anche ai volontari dell’Archeoclub che hanno concluso le operazioni di prima ripulitura dei reperti in giacenza nell’estate del 2011 e ne hanno ora av-viato il riordino e l’inventario.4

Allo stato attuale non si dispone quindi ancora dell’inventario totale dei materiali rinvenuti ma si può già dare un’idea generale di quanto recu-perato nell’area archeologica di Sant’Agostino.Nel fare ciò ci teniamo a precisare che il nostro lavoro ha il solo scopo di far conoscere le trac-

ce che il passato ha lasciato in questo luogo e fare in modo che non vadano perdute. Qualsiasi approfondimento o studio specifi co dei mate-riali ritrovati esula invece dai nostri obiettivi e dalle nostre competenze, tuttavia speriamo che quanto sin qui fatto sia di qualche utilità per chi in seguito voglia approfondirne lo studio o semplicemente operare dei confronti con altri ritrovamenti avvenuti nella città di Fano.

I reperti dell’area archeologicaNell’estate 2011, è stata fi nalmente conclusa la pulizia dei reperti archeologici in deposito presso gli scavi di Sant’Agostino. Questa operazione è stata necessaria perché i reperti sporchi di terric-cio e di polvere in alcuni casi non erano neanche identifi cabili come tipologia di materiale.Adesso, conclusa la pulizia dei reperti, possia-mo sapere che la maggioranza di essi è costituita da frammenti di manufatti in ceramica di vario uso e di diverse epoche.Sono state ritrovate in gran numero anche ossa di animali e alcune ossa umane. Questi “mate-riali” non sono però stati ripuliti e sono stati lasciati in giacenza presso l’area archeologica.Sono risultati abbastanza numerosi anche i re-perti di materiali per l’edilizia, mentre sono po-chi i frammenti di oggetti in vetro e veramente esigua la presenza di oggetti in metallo e mone-te. Sono stati rinvenuti infi ne anche alcuni og-getti personali di uso quotidiano quali spilloni per capelli, pettini, dadi e vaghi di collana.Per dare un’idea di massima di quanto ritrovato formuleremo un breve resoconto suddiviso in base al materiale di cui sono costituiti i reperti.

Materiali in ceramicaSino ad oggi dei frammenti in ceramica ne sono stati riordinati circa 4000; a questo punto consi-derando i pezzi ancora da sistemare, si può stima-re che complessivamente i frammenti di oggetti in ceramica provenienti dall’area archeologica di Sant’Agostino possano essere circa 8000.Per dare un’idea complessiva della situazione ine-

IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

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rente i reperti ceramici si consideri che al mo-mento i frammenti ritrovati hanno consentito di ricomporre nella loro interezza soltanto due og-getti (una lucerna e un altro oggetto che potreb-be essere un coperchio); questo non signifi ca che i frammenti siano tutti disparati, poiché di fatto ve ne sono diversi che tra loro si ricompongono, però senza restituire l’oggetto per intero.I frammenti di ceramica ritrovati, suddivisi in base all’impasto e al diverso uso che ne derivava, si distinguono in ceramica da fuoco (al momen-to ne sono stati riordinati quasi 2500 pezzi), ceramica da dispensa (anche questi frammenti sono molto numerosi e fi n qui se ne sono ri-ordinati circa 1500 pezzi) e ceramica da mensa (in questo caso si ha un numero di frammenti che rientra nell’ordine delle centinaia). Vi è poi anche un congruo numero di pezzi di anfore, mentre lucerne, incensieri e altri oggetti di uso domestico (bordi di pitali) nel complesso non sono neanche un centinaio.Datare frammenti di ceramica da fuoco e di ce-ramica comune quando sono estrapolati da un contesto ben preciso di ritrovamento (quale po-trebbe essere una tomba) non è facile in quanto le forme di questi oggetti essendo funzionali alla cottura, alla preparazione e alla conservazione di cibi e bevande si sono per lo più conservate simili nel trascorrere dei secoli.Tuttavia da quanto fi n qui osservato riordinan-do i vari frammenti è possibile dare alcune in-dicazioni, prima fra tutte il fatto che i reperti ceramici ritrovati ricoprono un arco temporale che va dal I secolo a.C. sino alla fi ne del medio-evo e, forse, anche oltre.Per quanto riguarda la ceramica da fuoco nume-rosi frammenti sembrano riconducibili all’epo-ca romana: si tratta di parti di olle, di coperchi, di marmitte e tegami con forme e decori fre-quentemente riscontrati in oggetti riferibili al periodo romano. Sono riconducibili al periodo romano anche alcune parti di tegami, in gene-re di forma larga e bassa, rivestiti all’interno di una vernice rossa “antiaderente”. Questi tegami,

molto diff usi tra la fi ne dell’età repubblicana e il II d.C., sono noti anche come cumanae testae o cumanae patellae in quanto uno dei primi centri di produzione era nel golfo di Napoli.Abbastanza numerosi anche i recipienti da cot-tura databili all’età altomedievale sia per la for-ma, riconducibile a paioli e catini-coperchi, sia per le caratteristiche dell’impasto ceramico e delle decorazioni che risultano molto più gros-solane rispetto agli impasti e ai motivi decorati-vi del periodo romano.Nell’antichità per conservare cibi, spezie, miele, olio, aceto e altri ingredienti da cucina si utiliz-zavano recipienti in ceramica. Questo tipo di ceramica, a diff erenza di quella destinata alla cottura dei cibi, è costituita da un impasto di argilla più depurata e omogenea. Le forme dei recipienti utilizzati per la dispensa potevano es-sere forme chiuse (cioè strette e alte) come olle, brocche, bottiglie e anforette o forme aperte e cioè ciotole e terrine di diverse misure che po-tevano essere utilizzate per miscelare gli ingre-dienti o per servire i cibi in tavola.Sui numerosi frammenti di ceramica da dispen-sa, per lo più privi di motivi decorativi, dare del-le indicazioni di carattere cronologico per noi risulta troppo azzardato. Comunque anche in questo caso riteniamo che l’arco temporale cui possono riferirsi questi pezzi sia molto vasto.Con buona sicurezza alcuni frammenti di cera-mica da dispensa caratterizzati da pareti costolate e diversi altri pezzi che presentano un impasto caratteristico detto “a cuore nero” sono collocabi-li nel periodo altomedievale. Vi è poi un discreto numero di pezzi che si distingue per la presenza di decorazioni dal colore bruno rossiccio stese con pennellate di vernice a colatura e che potreb-be collocarsi in ambito medievale. Nell’antichità una tipologia molto importante di contenitori in ceramica era costituita dalle an-fore che servivano per trasportare da un luogo all’altro (via terra o via mare) prodotti alimenta-ri di vario tipo (cereali, olive, vino, frutta secca, garum, ecc.). Dopo l’utilizzo le anfore venivano

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AREA ARCHEOLOGICA DI SANT’AGOSTINO IN FANO

reimpiegate come materiale per l’edilizia (nei conglomerati di calce, per le pavimentazioni in coccio pesto, nei pozzi di drenaggio) e, a volte, anche per deporvi le salme dei defunti (soprat-tutto bambini).Ripulendo dai detriti e dalla terra di riporto l’area archeologica di Sant’Agostino sono stati ritrovati numerosi puntali, bordi, anse e pareti di anfore. Queste non sono ancora state riordi-nate ma sono sicuramente di vari tipi e periodi e meritano uno studio attento in quanto, a dif-ferenza della ceramica da cucina, hanno forme diverse a seconda delle epoche di produzione.Una diversifi cazione di forme e motivi decora-tivi a seconda dei periodi di produzione si ha anche per la ceramica da mensa e per le lucerne ma purtroppo tra i materiali dell’area archeolo-gica di Sant’Agostino i frammenti di ceramica da mensa e di lucerne non sono tantissimi.Alcuni di questi pezzi erano già stati ripuliti e riordinati al momento dei lavori di sterro. Altri furono sistemati successivamente dalla dott.ssa Eleonora Del Sorbo5 ed altri ancora sono stati puliti solo di recente e debbono essere defi ni-tivamente riordinati. Tuttavia dei frammenti appartenenti alla ceramica da mensa è possibile eff ettuare una prima suddivisione che off re an-che dei riferimenti cronologici: vi sono pochis-simi pezzi in ceramica aretina (I sec. a.C. - I sec. d.C.), diversi pezzi in ceramica africana (II-VI sec. d.C.) e medio adriatica (III sec. d.C.).La ceramica da mensa, rispetto alla ceramica co-siddetta comune, si caratterizza per una maggio-re cura tecnica ed estetica in quanto è riservata alla tavola e appartiene in certo qual modo a quella categoria di piatti e stoviglie che noi oggi chiameremmo il “servizio buono”. La ceramica da mensa è costituita da un impasto di argilla di ottima qualità molto depurata e prima della cottura viene immersa in una soluzione di ar-gilla con l’aggiunta o meno di sostanze minerali (ferro, piombo, ecc.). Così l’oggetto in ceramica dopo la cottura avrà un rivestimento, detto an-che “vernice” che, oltre a renderlo più brillante,

lo renderà anche più impermeabile. Oltre a ciò, come accade ancora oggi, le mode delle stoviglie da portare in tavola cambiano spesso e ciò ovvia-mente consente per questi reperti delle datazioni più delimitate. Nel caso però dei pezzi in cerami-ca da mensa provenienti da Sant’Agostino alcu-ni di questi sono di dimensioni talmente piccole che risulta quasi impossibile capire se appartenes-sero a coppe, vassoi, piatti o ad altre delle nume-rose varianti di forme di stoviglie utilizzate per la tavola. Per quanto riguarda invece i frammenti di lucerne spesso anche una piccolissima parte può essere suffi ciente per risalire alla forma origina-ria infatti in questo caso si ha a che fare con un oggetto che nel tempo ha variato notevolmente modi di produzione e mode di decorazione ma che, sostanzialmente, avendo una sola ed esclusi-va funzione risulta più facilmente individuabile.Nell’antichità le lucerne si utilizzavano per illu-minare gli ambienti, ed erano dei piccoli reci-pienti in terracotta adatti a contenere olio com-bustibile. Questi recipienti, pur di varia forma, avevano sempre un beccuccio per la fuoriuscita dello stoppino che pescava olio nel recipiente e bruciando faceva luce. All’estremità opposta del beccuccio in genere si trovava una piccola ansa che permetteva di prendere la lucerna in mano senza scottarsi e nella parte superiore del recipiente vi erano un foro per l’immissione dell’olio e uno per l’areazione. Complessiva-mente nell’area archeologica di Sant’Agostino sono stati ritrovati una settantina di frammenti di lucerne riferibili a tipologie che vanno dal I sec. a.C. sino al VI sec. d.C.Tra le lucerne uno dei pochi pezzi in ceramica che è stato possibile ricostruire nella sua interez-za: è una lucerna del I sec. a.C di forma tron-coconica con beccuccio sporgente della stessa forma. Allo stesso periodo, appartiene anche un pezzo di lucerna con decorazioni globulari.Vi sono poi una decina di frammenti apparte-nenti al tipo di lucerne caratterizzate da volute intorno al becco e con tracce di decorazioni sul disco riferibili al I sec. d.C.

274274

IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

Materiali provenienti dall’area archeologica

di Sant’Agostino

Dall’alto in basso Frammenti di recipienti vari di epoca medioevale

e rinascimentale

Frammenti di due tegami in ceramica da fuoco

rivestiti all’interno di una caratteristica vernice rossa

Frammenti di olle e pentole in ceramica

da fuoco

Frammenti di anfore: da sinistra puntale, collo e

tre diversi tipi di anse

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Dall’alto in bassoFrammenti di ceramica da dispensa caratterizzata da una decorazione di vernice bruno rossiccia a colature

Due frammenti di incensieri: un fondo con le pareti interne annerite e parte del piede di appoggio

Frammenti di piatti in ceramica da mensa di tipo medio adriatica

Frammenti di ceramica da dispensa: parti di brocche

L’AREA IPOGEA SOTTO IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

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IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

Dall’alto in bassoFrammenti di decorazioni

architettoniche in pietra di varie tipologie

Tessere musive in pietra di varie dimensioni e in vetro

di vari colori

Frammento di decorazione architettonica in arenaria raffi gurante la testa di un

bue addobbato per il sacrifi cio

Frammento di tegola con bollo di produzione della fornace di Quinto Clodio

Ambrosio

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Dall’alto in bassoFrammenti di intonaci con varie decorazioni e colori

Frammenti di tubuli: sono visibili le striature che ne favorivano l’adesione a calce e intonaco

Tre vaghi di collana in pasta vitrea

Tre basi di calici in vetro di epoca tardo antica

Lucerna, (I secolo a.C.)

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L’AREA IPOGEA SOTTO IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

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IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

Risalgono invece al II-III sec. d.C. una venti-na di frammenti di lucerne appartenenti alla tipologia delle lucerne a canale. Tra questi fram-menti un fondo di lucerna reca parte del mar-chio FORTIS che sarebbe il bollo di una delle tante offi cine di produzione ceramica dell’area centro settentrionale.Questi marchi di fabbrica sul fondo delle lucer-ne, utilizzati in particolare tra II e III secolo dopo Cristo, sono un altro elemento distintivo delle lucerne di questo periodo che, proprio per que-sto motivo vengono denominate anche “Firma-lampen”. Al III sec. d.C. risalgono anche 6 pez zi di lucerne col becco rotondo e con varie decora-zioni di tipo geometrico impresse sulla spalla. Sono stati rinvenuti poi una decina di pezzi ap-partenenti alla tipologia di lucerne dette africane-cristiane, prodotte dal III al V sec. d.C. Queste sono riconoscibili per le decorazioni stilizzate di tipo vegetale o geometrico presenti sulla spalla del disco che, al centro, spesso è arricchito da raf-fi gurazioni a carattere religioso. Tra i pezzi ritro-vati si conserva la parte superiore di una lucerna con impresso il motivo del Chrismon. Tra i vari frammenti di lucerne ve ne sono comunque una ventina privi di caratteristiche tali da permetterne una sicura collocazione tipologica e cronologica.Tra i materiali ceramici sono stati ritrovati anche 4 pezzi di incensieri o bruciaprofumi. Si trattava di recipienti di forma troncoconica con ampia apertura e poggianti su un alto piede a calice. La vasca del recipiente all’esterno poteva essere decorata da tacche incise e da motivi a onda im-pressi a ditate sull’orlo. Le pareti degli incensieri sono abbastanza spesse e l’impasto ceramico è ricco di inclusi per resistere al calore prodotto dalla combustione di profumi e incensi.

Materiali in vetroSono stati ritrovati diversi frammenti di vetro e numerosi grumi di pasta di vetro. Per questi materiali deve essere ancora ultimato il riordi-no. Comunque la maggior parte dei frammenti è di dimensioni molto ridotte ed è quasi im-

possibile pensare di poterne dare una datazione o un’identifi cazione. Gli unici frammenti rico-noscibili sono 4 piedi di calici, di cui 3 integri e quasi certamente del periodo tardo antico. Tra i materiali in vetro anche 3 vaghi di collana in pasta vitrea di diverse dimensioni, di cui due con decorazioni a onda. Altri pezzi sono proba-bilmente parti di coppe e di unguentari.

Materiali per l’ediliziaTra i reperti provenienti dagli scavi di Sant’Agosti-no sono abbastanza numerosi anche i frammenti di materiali edilizi sia in pietra che in laterizio.Tra i materiali in pietra vi sono diversi elementi architettonici e decorativi, ad esempio alcune parti di cornici in marmo lavorato per lo più a modanature. Sono inoltre stati rinvenuti due frammenti di pietra rosso scuro uno con una decorazione raffi gurante una foglia e l’altro con una modanatura.Un frammento molto particolare è un blocco di arenaria scolpito ad altorilievo raffi gurante la testa di un toro addobbato per il sacrifi cio. Su questo frammento sono leggibili anche due let-tere [OL] scolpite in caratteri capitali. Inoltre vi sono diversi pezzi di lastre marmo-ree da parete e da pavimento e numerose tessere musive. Le tessere da mosaico sono di pietra per lo più di colorazione bianca e nera ma alcuni pezzi sono anche di colore rosso. Tra le tessere da mosaico ve ne sono diverse anche in pasta vitrea colorata e alcune di queste sono ricoperte da una sottile doratura.Tra i materiali in pietra occorre comunque precisare che quelli da noi ripuliti e sistemati sono quelli ritrovati durante i lavori di sterro e pulitura dell’area archeologica e che furono raccolti nelle cassette apposite. Va detto però che nell’area archeologica di Sant’Agostino si trovano anche altri elementi decorativi e archi-tettonici in pietra lasciati lì in deposito a seguito degli scavi più antichi.Tra i laterizi rinvenuti i più numerosi sono frammenti di tegole e coppi. La maggior parte

L’AREA IPOGEA SOTTO IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

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dei materiali in laterizio è di epoca romana e tra le tegole ne è stata ritrovata una recante par-te del marchio di fabbrica […] MBROS[…]. Questo laterizio faceva parte dei materiali già ripuliti ed è stato catalogato come parte di un tegolone dell’offi cina laterizia di Quinto Clodio Ambrosio di Aquileia.Molto interessante risulta il ritrovamento di di-versi frammenti di tubuli. Questi sono tubi di forma quadrangolare in laterizio che venivano posti tra l’intonaco e la parete per far passare l’aria calda prodotta da forni posti generalmen-te sotto gli edifi ci di tipo termale. La superfi cie esterna del tubulo è caratterizzata da linee incise orizzontali, verticali od oblique, che hanno la funzione di far meglio aderire l’intonaco sulla superfi cie del tubulo. All’interno i tubuli ovvia-mente presentano tracce di annerimento dovute al passaggio dei fumi dell’aria calda.Altrettanto interessante la presenza tra i vari materiali di numerosi frammenti di intonaci di-pinti. Si tratta purtroppo di pezzi estremamente fragili e delicati ma per la bellezza dei loro co-lori meriterebbero forse uno studio e un’anali-si attenta magari anche al solo fi ne di stabilire se questi pezzi possono provenire dalle volte a botte presenti nei soffi tti di alcuni ambienti dell’area archeologica in questione.

Materiali in metalloIl numero dei reperti in metallo dell’area ar-cheologica di Sant’Agostino è piuttosto scarso, inoltre la maggior parte di essi a causa del pes-simo stato di conservazione e della frammen-tarietà non risulta identifi cabile. Tuttavia sono stati recuperati due spilloni in bronzo con ca-pocchia sferica (probabili spilloni per capelli), una piccola fi bbia completa di ardiglione (pro-babilmente appartenente alla bardatura di un cavallo) e ventiquattro monete tutte in bronzo che vanno dal II al VI sec. d.C.La moneta più antica, in pessime condizioni, è un asse in bronzo del II sec d.C. Sono del terzo secolo un sesterzio di Caracalla (211-217) e un

antoniniano di Claudio II (268-270).Più numerosi i pezzi del IV secolo con una mag-giore concentrazione di monete della fi ne del regno di Costantino I il Grande (306-337) e, sempre per la seconda metà del IV sec., alcune monete degli imperatori Valentiniano I e Valente (364-378). Alcuni pezzi in cattivo stato di con-servazione sono comunque databili tra la fi ne del IV secolo e gli inizi del V, sono nummi.Una moneta da venti nummi dell’imperatore bizantino Anastasio I (491-518) e un decanum-mo del regno degli Ostrogoti emesso dalla zec-ca di Ravenna e risalente alla prima metà del VI secolo fanno supporre una frequentazione dell’area circostante anche negli anni successivi alla caduta dell’impero romano.

Regno degli Ostrogoti: Decanummo della zecca di Ravenna. Prima metà del VI sec. d.C.Diritto: busto concorona turrita rappresentante la città di Ravenna.Rovescio: monogramma di Ravenna entro una corona d’alloro

Impero Bizantino:Anastasio I (491-518 d.C.) Venti Nummi.Diritto: busto dell’imperatore.Rovescio: simbolo di valore in greco (K=20)

Impero romano: Costantino I il Grande (307-337 d.C.) Follis ridotto della zecca di Sirmio in Pannonia.Rovescio: la vittoria, con in mano la palma e l’insegna della legione, che avanza verso destra, calpestandoun Sarmata vinto a cui allude la legenda. (A destra)Impero romano: emissione di Costantino I il Grande per il fi glio Costanzo Cesare(317-337 d.C.). Diritto: busto di Costanzo con corazza e corona di alloro

IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

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Materiali in ossoDurante i lavori di ripulitura della zona arche-ologica di Sant’Agostino sono stati recuperati anche un discreto numero di oggetti di uso per-sonale in osso come pettini e aghi crinali, aghi per cucire e due dadi da gioco. Tutti questi pezzi furono ripuliti e catalogati al momento stesso del ritrovamento.I frammenti di pettini ritrovati sono a doppia fi la cioè con una serie di denti più fi tti da un lato e più radi dall’altro. I pettini, intagliati da un unico pezzo di osso tra le due fi le di den-ti sono rinforzati da una barretta rettangolare (sempre in osso) decorata con motivi geometri-ci e fi ssata con dei chiodini di ferro.Tra gli oggetti di uso personale ci sono anche una

decina di aghi crinali cioè spilloni in osso o avorio utilizzati per fermare i capelli. Di questi spilloni 7 sono integri e tra questi uno ha la capocchia fi nemente intagliata e decorata a pigna. Il ritrovamento dei due dadi da gioco in osso, di dimensioni molto più piccole rispetto ai dadi oggi in uso, ci dà l’idea di quanto sia stato dili-gente e attento il lavoro di coloro che a suo tem-po setacciarono tutta la terra e i detriti presenti nell’area archeologica di Sant’Agostino.

Ossa umane e animaliTra i reperti ritrovati vi è una grande quantità di ossa e la maggior parte sono di animali. Con ogni probabilità si tratta dei resti dei pasti della comunità dei frati per tanti secoli presente nel convento soprastante le strutture di epoca ro-mana. Infatti in epoche passate ossa e immon-dizia venivano spesso interrate.Oltre a ossa di animali sono state trovate anche alcune ossa umane e, tra queste, un cranio. For-se i resti umani provengono dalle demolizioni di vecchie sepolture e ossari della chiesa e del con-vento avvenuti nel corso dei vari rifacimenti e rimodernamenti. A suff ragare tale ipotesi anche il fatto che in una zona dell’area archeologica ri-sulta visibile parte di una lastra tombale capovol-ta (riferibile probabilmente alla sepoltura di un agostiniano perché reca il disegno di un cuore, con una fi amma e trafi tto da una freccia).

ConclusioniI reperti ritrovati nell’area archeologica di Sant’Agostino per lo stato frammentario in cui si trovano forse non possono dire molto però ciò non può costituire un motivo di disinteresse in quanto si tratta di materiali che hanno comun-que fatto parte della storia e della vita di tante persone e quindi si potrebbe iniziare a pensare ad una loro valorizzazione. In particolare i materiali ceramici una volta completamente riordinati po-trebbero risultare utili ai fi ni di attività didattiche di vario livello (esercitazioni di disegno archeolo-gico, di classifi cazione di vari tipi ceramici, ecc.).

Impero romano: fi ne regno Costantino I il

Grande (307-337 d.C.) Follis ridotto della zecca di Aquileia.

Diritto: fi gura femminile con corazza ed elmo che

rappresenta Costantinopoli, la nuova capitale dell’impero.

Rovescio: la vittoria, con in mano la palma e lo scudo, raffi gurata su prua di nave

Impero romano: emissione di Costantino I il Grande per il fi glio Crispo

Cesare (317-326 d.C.). Follis ridotto della zecca di

Tessalonica.Diritto: busto di Crispo con

corazza e corona di alloro.Rovescio: testo per la

commemorazione del decennale di Crispo in

qualità di Cesare

Impero romano: Caracalla (211-217 d.C.).

Sesterzio della zecca di Roma.Diritto: busto con corona

d’alloro

L’AREA IPOGEA SOTTO IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

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Dall’alto in bassoTre frammenti di pettini in osso di epoca tardoantica. In alto una barretta di rinforzo a decorazioni geometriche.I due in basso mostrano la doppia fi la di denti e la barretta di rinforzo fi ssata con chiodi

Due dadi da gioco in osso di epoca romana

Aghi crinali in osso.Il primo a destra con capocchia fi nemente decorata a pigna

Per il resto nel loro insieme questi reperti fanno supporre che il luogo sia stato utilizzato come discarica a servizio di questa area della città in un periodo in cui ormai l’edifi cio romano non assolveva più alle sue funzioni originarie.Da questo punto di vista i reperti dell’area ar-cheologica di Sant’Agostino non sembrano di grande aiuto per comprendere e interpretare le strutture degli edifi ci romani che vi si trovano, però non per questo vanno trascurati conside-rando anche il fatto che comunque nel sito po-trebbero essere eff ettuate ulteriori indagini e che altri ritrovamenti sono ancora possibili.In proposito una vicenda molto curiosa si verifi -cò l’estate scorsa quando, a seguito delle consuete operazioni di pulizia da cartacce e sporcizie che il vento trasporta, nell’area archeologica fu ritro-vato un bellissimo frammento di bassorilievo in marmo (forse di epoca romana) raffi gurante par-te di una fi gura umana con una sorta di drappo in mano.Questo può servire a non dimenticare che tutta l’area archeologica in questione necessita con-tinuamente di numerose cure e attenzioni e, anche se i soci dell’Archeoclub si preoccupano della manutenzione ordinaria del sito, ogni tan-to necessitano migliorie più consistenti.

IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO

282

Note

1. BFF, ms. Amiani - n. 27, c. 154: in questa circostanza vennero alla luce grossi muri, resti di colonne, bronzi, pavimenti e marmi secondo la testimonianza del Padre M. Sebastiano Amiani.2. È l’unica testimonianza che colloca i resti della Basilica in questa area. Non credo che si tratti di un’invenzione del Blavius; proba-bilmente all’autore della carta vennero segnalati resti in quell’area arbitrariamente attribuiti alla Basilica. In eff etti in epoche diverse sotto il Palazzo della Ragione sono venuti alla luce resti di mosaici.3. ASR, Camerlengato p.11, tit. IV AA.BB., b. 286, fasc. 3213; L. Sensi, L’area archeologica di Sant’Agostino a Fano, in Fano Romana, a cura di F. Milesi, Fano 1992, pp. 234-236. Tutta la vasta bibliogra-fi a relativa all’interpretazione di questi resti è prevalentemente im-perniata a riconoscere negli stessi i resti della Basilica descritta nel testo di Vitruvio, più raramente il Tempio della Fortuna. In que-sta sede l’attenzione è volta ad un primo tentativo di esame delle strutture partendo dalle relazioni dei primi scavatori fi no all’analisi puntuale – per quanto consente lo stato attuale delle conoscenze – delle emergenze visibili eff ettuata da Luciano De Sanctis e di seguito pubblicata.4. ASR, Carmerlengato, p. 11, tit. IV, AA.BB., b. 286; copia in Archivio Centrale dello Stato in Roma, MPI, AA.BB., b .77, 101-102, Fano 1862-1881; Sensi, cit., pp. 236-239.5. ASR, Camerlengato, p. II, tit. IV, AA.BB., b. 286, fasc. 3213; nello stesso documento e ad opera dello stesso Masetti vengono riportati disegni di particolari dell’alzato e dei frammenti architet-tonici; Sensi, op. cit, fi g.1 a pp. 222-223.6. Fano, Biblioteca Federiciana, Ms. B. 9, 17, già Mariotti 21 b; L. Sensi, op. cit., fi g. 5 a p. 226; vedi in questo volume il contributo di Giuseppina Boiani Tombari.7. ASR, Camerlengato, p. 11, tit. IV, AA.BB., b. 286. L. Sensi, op. cit., fi g. 4 a p. 226.8. L. Sensi, op. cit., p. 224 con relativa bibliografi a.9. G. Bartolucci, Il rilievo dei ruderi della Basilica di Vitruvio e il ripristino della Porta Romana in Fano, Fano 1929.10. L. De Sanctis, Quando Fano era romana, Fano 1998, pp. 121-133, Tav. 86; P. Taus, Nuove ipotesi sulla Basilica di Vitruvio nella “Colonia Iulia Fanestris”, Ancona 1999, fi g. 28 a p. 51 e Tav. X (pianta), Tavv. XI-XV (alzato, ipotesi ricostruttive, assonometrie); Id., Il Foro di Fanum Fortunae, Ancona 2000, pp. 109 ss., Tavv.VIII-XIII e Tavv. XVI, XVIII e XX.11. Sulla tipologia dei criptoportici, le funzioni e problemi connes-si vedi: Les Cryptoportiques dans l’architecture romaine, Rome 19-23 avril 1972, Roma 1973.12. P. Gros, L’architettura romana, Varese 2001, p. 128.

(VP)

1. P. Nigosanti, Compendio historico della città di Fano, Venezia 1640, rist. anast., Fano 1982, p. 78.2. L. Sensi, L’area archeologica di Sant’Agostino a Fano, in Fano Ro-mana, a cura di F. Milesi, Fano 1992, p. 234.3. Id. Appendice, Documento n. 1, p. 235.4. Id. Appendice, Documento n. 2, p. 238.5. Si veda in questo volume il contributo di Valeria Purcaro.6. R. Bernardelli Calavalle, Le iscrizioni romane del Museo civico di Fano, Fano 1983, n. 84.7. L. Sensi, op. cit., p. 226.

8. G. De Angelis D’Ossat, I criptoportici quali elementi basamentali nella tipologia compositiva dell’architettura romana, in Les cripto-portiques dans l’architecture romaine, Roma 1973, p. 45.9. Una ricostruzione, articolata in fasi successive, dell’ipotizzato complesso santuariale è opera di P. Taus, Il Foro di Fanum Fortu-nae, Ancona 2000.10. G. Berardi, Fano Romana, Fano 1968, p. 45.11. D. Musti, Il contesto cultuale e storico della Fortuna di Fano, in I Greci in Adriatico, vol. I, Roma 2002, p. 25.12. M. Guarducci, La Fortuna e Servio Tullio in una antichissima “sors”, in Rend. Pont. Acc. 14-16, 1951, pp. 23-32; Ead. , Ancora sull’antichissima “sors” della Fortuna e di Servio Tullio, in La Parola del Passato 15, 1960, pp. 50-53. G. Baldelli, Ciottolo iscritto (sors), in Fano Romana, Fano1992, pp. 27-28; L. De Sanctis, La sors di Fortuna da Fiesole, gli Strozzi e Fanum Fortunae: una semplice ipote-si, in Quaderni dell’Accademia Fanestre, 1, Fano 2002, pp. 21-30.13. L. Bosio, La Tabula Peutingeriana, Città di Castello 1983. La vignetta con la quale è indicata Fano Furtunae è inserita fra i “Cen-tri cultuali e Santuari”, p. 92 e seg.14. G. Baldelli, Per un a nuova carta archeologica di Fanum Fortu-nae. Primi dati su teatro e anfi teatro, in “Quaderni dell’Accademia Fanestre”, 1, Fano 2002, pp. 31-48. 15. R. A. Staccioli, in Les criptoportiques dans l’architecture romaine, in R. Martin, Rapport de syntèse, Roma 1973, p. 433.16. G. Frausini, Preesistenze romane lette nel tessuto urbano medio-evale, in F. Battistelli, A. Deli, Immagine di Fano Romana, Urbino 1989, pp. 69-72.17. L. De Sanctis, Documento inedito di urbanistica romana fane-stre, in “Quaderni dell’Accademia Fanestre”, Fano 2006; Id., San Domenico nell’urbanistica di Fano Romana, in La Chiesa di San Do-menico, a cura di G. Volpe, Fano 2007, pp. 11-19.

(LDS)

1. Alla sistemazione dell’area archeologica di Sant’Agostino con-tribuirono le seguenti ditte: Adar Calcinelli, Arredamenti De Blasi Fano, Canestrari S.r.l. Fano, Edil Giraldi S.a.s. S. Costanzo, Edil-mix S.r.l. Fano, Elettroidromeccanica Gns Fano, Gibam Shop S.r.l. Fano, G.P.E. Vendors Fano, ISA S.p.A. Fano, Minardi S.r.l. Fano, Mobili Berloni S.p.A. Pesaro, Nuova Lim S.p.A. Fano, Omar S.r.l. Fano, Petrucci Costruzioni S.r.l. Fano, Porfi ri Infi ssi S.r.l. Fano, Profi lglass Fano; Rema S.r.l. Pesaro, Saint Andrews S.p.A. Fano, Schnell S.p.A. Fano, Valmex Lucrezia di Cartoceto.2. Ai lavori di sterro e pulitura dell’area archeologica parteciparono i seguenti Soci: William Brunaccioni, Giovanni Ceccarelli, Paolo Clini, Federico Di Bari, Paolo Di Bari, Anna Maria Di Carlo, Pao-lo D’Errico, Luca Fabbri, Mirco Ferri, Francesca Lippera, Lorenzo Mariotti, Maria Adele Mariotti, Silvia Mattioli, Marco Piccinetti, Raff aella Piermattei, Alessia Polidori, Paolo Sgarzini, Mascia Ester Santarelli. Coordinatrice della parte archeologica del progetto è sta-ta la dott.ssa Mascia Ester Santarelli, Giorgio Stefanelli.3. L’incaricato alla direzione dei lavori è stato l’ingegnere Luciano Ceramicoli.4. Alle operazioni di ripulitura dei materiali archeologici hanno partecipato: Marika e Melissa Caldari, Giuseppina Cinti, Marian-gela Furlani, Michele Pierboni, Silvia Mattioli, Francesca Radici, Enrico Sartini, Paolo Sgarzini.5. In collaborazione con le dott.sse Giorgia Badiali e Martina Betti.

(MF-MP)

L’AREA IPOGEA SOTTO IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

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Pilastri dei setti radiali