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IL COLLOQUIO EFFICACE URBINO 30-01-2015 Paola Cangini Antonella Scalognini Le slide sono liberamente tratte dai saggi del Prof. Franco Nanetti

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IL COLLOQUIO

EFFICACE

URBINO 30-01-2015

Paola Cangini

Antonella Scalognini

Le slide sono liberamente tratte dai saggi del Prof. Franco Nanetti

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…io e l’altro

Il processo non è unidirezionale, da chi

parla a chi ascolta, ma è interattivo,

dove il dire e il fare di ogni individuo

influenza e nello stesso tempo è

influenzato dal dire e il fare dell’altro

Formazione alla competenza

relazionale

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Competenza relazionale

Comprensione degli effetti che il nostro

mondo interno produce sul nostro

abituale modo di comunicare e rapportarci

agli altri

Non c’è atteggiamento comunicativo che non

sia influenzato dalle nostre intenzioni, dalle

rappresentazione che abbiamo di noi stessi

del mondo e degli altri…e delle emozioni che

ci allietano o ci affliggono (F. Nanetti, 2006, 2012)

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Competenza relazionale

La competenza relazionale dunque si

fonda su due capacità di monitoraggio:

1. centrato sulla comunicazione

interpersonale

2. sul monitoraggio intrapsichico La competenza relazionale è in altre parole un

impegno metacomunicativo

finalizzato alla comprensione dei codici e delle

differenze che agiscono durante l’interazione

(data anche la presenza di messaggi impliciti che

rendono opaca la comunicazione)

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Il colloquio non direttivo Atteggiamento rispecchiante e non direttivo:

(coinema materno) attraverso l’accoglienza e

l’accettazione incondizionata (alla persona e

non al comportamento).

Posizione non giudicante come sospensione di

un giudizio assolutizzante.

Ascolto dei messaggi verbali e non verbali.

Osservazione anche su se stessi nella relazione

con l’altro (autenticità e congruenza)

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Il colloquio non direttivo

(coinema paterno) posizione attiva che

accompagna, pedina, affianca e non

dirige (con qualche eccezione) ma

domanda per aiutare la persona ad

ampliare itinerari di senso e di azione e

promuove l’avvio all’azione

Counseling come Arte del domandare

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Il colloquio non direttivo

Operativamente l’accoglienza inizia

mettendosi in sintonia con il

comportamento verbale e non verbale,

ricalcando così l’esperienza del mondo

che l’altro sta vivendo.

Tale passo prende il nome di

rispecchiamento.

“E’ importante entrare nel mondo dell’altro, se lo si

vuole portare nel nostro” (M. Erickson)

“E’ importante entrare nel mondo dell’altro, se lo si

vuole portare nel nostro” (M. Erickson)

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Tipologie di rispecchiamento

Il rispecchiamento può avvenire:

-a livello non verbale, quando si riproducono la

posizione, i gesti, i movimenti, la respirazione, la

mimica.

-a livello paraverbale, quando si riproducono il

tono, il volume, il timbro, la velocità della voce

dell’altro;

-a livello verbale, quando ad es. si utilizzano i

predicati verbali di uno stesso sistema

rappresentazionale dell’interlocutore.

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IL RISPECCHIAMENTO VERBALE:

PARAFRASI E VERBALIZZAZIONE

La PARAFRASI è una forma di supporto

verbale caratterizzata da una riformulazione

sintetica e chiarificatrice dei contenuti

essenziali della comunicazione dell’altro, al

fine di aiutarlo ad ampliare la comprensione

cognitiva in merito al problema che vuole

risolvere e di offrirgli la consapevolezza di

essere stato capito.

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IL RISPECCHIAMENTO VERBALE:

PARAFRASI E VERBALIZZAZIONE

La VERBALIZZAZIONE, o rispecchiamento dei

sentimenti, è una forma di supporto verbale

che riformula gli stati d’animo contenuti nel

messaggio del cliente, al fine di aiutarlo a

mettersi in contatto con gli aspetti emozionali

del suo discorso e a porre in risalto il

significato soggettivo che egli attribuisce alle

proprie esperienze, in modo tale che possa

acquisire una maggiore consapevolezza dei

sentimenti che prova.

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Significato

Il significato è un costrutto

fondamentale che usiamo per

organizzare la nostra esperienza, i

nostri comportamenti, per esprimere i

nostri valori, per raccontare come li

realizziamo, per definire ciò che è

importante per noi e come costruiamo la

nostra vita (F. Nanetti, 2006)

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un inizio di frase che si concentra su un’ipotesi

di comprensione, attraverso locuzioni del tipo:

“se ho capito bene...”

“è questo che lei sta dicendo...”

“lei si domanda in parole povere...”

l’essenza di ciò che ha detto il cliente

una verifica conclusiva che consiste in una

breve domanda (esempio: “Ho capito bene?”,

“Ho correttamente inteso quanto stai

dicendo?”, “Ti corrisponde?”, “Che cosa pensi

in merito a ciò?”)

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Verbalizzazione

La verbalizzazione, assomiglia ad una parafrasi, che

anziché concentrarsi sui contenuti e sui fatti raccontati

si focalizza sulle parole emotive richiamando la

dimensione affettiva ed emozionale del racconto.

La verbalizzazione permette a noi e all’altro di:

comprendere l’origine delle proprie emozioni

di dare un nome alle proprie emozioni

di gestire consapevolmente i propri stati d’animo

di esprimere e condividere i propri sentimenti

di riportare l’attenzione dell’emozione in una parte

del corpo

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La verbalizzazione può avvenire attraverso:

il rispecchiamento diretto delle parole “emozionali” del cliente,

allorché si ripete ciò che il cliente ha affermato in termini

emotivi.

un sinonimo, ossia un termine che esprime lo stesso significato.

Ad esempio: il cliente dice”Mi sento leggermente depresso”, il

counselor che usa un sinonimo risponde: “Ti senti giù di tono?”

una antinomia, ossia un termine usato per esprimere uno stato

emozionale opposto. Ad esempio il cliente dice: “Sono un essere

infelice”, il counselor risponde: “Tu non ti senti contento?”

un optativo, ossia un termine usato per esprimere l’emozionalità

desiderata. Ad esempio il cliente dice: “Mi sento infelice”, il

counselor risponde: “Desideri essere più felice?”

una domanda aperta e diretta, del tipo: “Che cosa prova in

questo momento?”, “Può descrivere come si sente?”

attraverso la formulazione di una frase direzionale

Le frasi direzionali più frequenti sono:

Cosa accade quando ti senti ...?

Puoi descrivere la sensazione di ...?

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Franco Nanetti, “ Counseling ad orientamento transpersonale” ed. Mylife, Rimini

2010

Cosa ne pensi rispetto a quanto ci siamo

detti, a quanto ho osservato? Tu come

la vedi, faresti? Quale è la tua

opinione?”

Sono domande che non impongono una

risposta si-no

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consiste in un intervento verbale che mira ad indagare

in modo aperto aspetti significativi del discorso e

fissare alcune informazioni per poterci tornare

successivamente.

Esempi:

“a quale episodio si riferisce…?”, in quale ambito, con

chi, quando…?

In linea generale:

Le domande

con il COSA chiedono informazioni e fatti

con il COME, processi ed emozioni

con il PERCHE’ motivazioni e spiegazioni

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consiste in un intervento verbale che

rivela eventuali incoerenze, discrepanze,

conflitti, messaggi di doppio legame

Esempio

“ lei sostiene che non desidera più

accettare lavori extra, ma se nessuno si

propone si sente in dovere di farlo lei!

Può dirmi qualcosa in merito? Cosa

accade?”

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La tecnica del laddering nasce nell’ambito

della teoria dei costrutti personali di George

Kelly (1955).

Per Kelly, l’individuo non é un trasformatore

automatico di stimoli, ma un

COSTRUTTORE attivo di significati i cui

contenuti cognitivi (costrutti) sono

organizzati secondo criteri gerarchici di

importanza.

Come ci sentiamo non deriva da ciò che ci

succede nella vita, ma da come lo

interpretiamo

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L’operazione di elicitazione degli alberi gerarchici dei

costrutti fu battezzata da Hinkle laddering.

Laddering verso l’alto (up), in cui convinzioni

sopraordinate e più astratte giustificano secondo

regole o concetti più generali e ampi una certa idea

dell’individuo;

Laddering verso il basso (down), in cui le stesse

convinzioni sono giustificate ricorrendo a

esemplificazioni concrete o comunque concetti più

ristretti.

La domanda up: cosa c’è di importante per te in…?

La domanda down: che significato ha per te

questo…?

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Le domande di laddering utilizzate nella pratica del counseling sono:

Di significato o di senso: “ Che significato ha per te

essere….?”

Di valore: “Perché essere…… è così importante per te?”

Di contrasto: “Dici di essere buono, se fossi cattivo cosa faresti?”

Di ipotetica soluzione: “Se ti comportassi diversamente cosa accadrebbe?”

Di elastico: “Questa tua affermazione cosa ti fa venire in mente del tuo passato?” “C’è qualche situazione del passato che corrisponde a quella attuale?”

Di specificazione: “Quando, con chi e in quale contesto ti sei comportato così?”

Di confrontazione, per evidenziare incoerenze e paradossi

Di resistenza al cambiamento: “Cosa ti impedisce di…?”

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E’ un superamento del conflitto

interpersonale attraverso l’apertura al

dialogo autentico.

È riprendersi la responsabilità delle

propri pensieri, comportamenti ed

emozioni

Un atto di coraggio

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Fasi del feedback fenomenologico

1. Fase descrittiva (azione)

2. Fase emotiva (sento, provo)

3. Fase cognitiva (penso, immagino,

ricordo…)

4. Fase reperimento bisogno (ho

bisogno…)

5. Fase della richiesta

6. Comunicazione spirituale

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Riprendere la responsabilità dei

nostri sentimenti e bisogni, non di

quelli altrui

Quindi quando ci dicono o diciamo

“mi fai arrabbiare, mi fai sentire in

colpa, mi fai vergognare di te…” non

ci assumiamo in prima persona la

responsabilità dei nostri sentimenti e

dei nostri bisogni sottesi

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SI CONCENTRA SUL COMPORTAMENTO

CONCRETO E NON SULLA PERSONA

SI CONCENTRA SULLE OSSERVAZIONI

PIUTTOSTO CHE SULLE INFERENZE

SI CONCENTRA SULLA DESCRIZIONE PIUTTOSTO

CHE SUL GIUDIZIO

NON IMPONE O PRETENDE ALCUN

CAMBIAMENTO

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1) COMUNICAZIONE DESCRITTIVA O

CONSTATATIVA O FENOMENOLOGICA.

Educa a discriminare i fatti dalle

interpretazioni senza che i fenomeni

descritti vengano interpretati e valutati.

Es. “ Sembri triste trasformato in vedo la fronte aggrottata e la mascella

contratta

“ Fai movimenti nervosi con il piede diventa fai ballare il piede, ne sento

le vibrazioni

“ Sei pieno di entusiasmo diventa sento che parli in fretta e sorridi

“ E’ sempre in ritardo diventa è arrivato in ritardo sei volte in questo

mese”

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2) COMUNICAZIONE ESPRESSIVA O

EMOTIVA.

Permette di esprimere ciò che si prova

in termini emozionali: si parla di sé e di

ciò che si sperimenta senza avere la

pretesa di parlare in nome di altri, di

giudicare o colpevolizzare

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Le nostre emozioni inespresse talora si

manifestano sotto forma di stili inefficaci,

interrompendo il flusso comunicativo

anziché agevolarlo

Questo capita perché alcune situazioni

provocano in noi delle reazioni emotive

(paura, ansia, rabbia, insicurezza,…) che

trapelano dalla nostra risposta e dal

nostro atteggiamento.

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3) COMUNICAZIONE VALUTATIVA O

RIFLESSIVA O IMMAGINATIVA.

si riferisce in termini cognitivi

(penso, immagino…) il proprio

punto di vista in merito ai propri

stati d’animo percepiti.

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4) COMUNICAZIONE INTENZIONALE

O TEOLOGICA.

Si riconosce l’effettivo bisogno

insoddisfatto che porta a vivere uno

stato di personale disagio.

“in certe occasioni sento forte il bisogno di essere visibile,

riconosciuto, coccolato, amato…”

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5) COMUNICAZIONE AFFERMATIVA O

ASSERTIVA O DELLA RICHIESTA

ESPLICITA E CONCRETA.

Si riferisce all’interlocutore una richiesta

chiara, concisa e concreta, espressa

in positivo in riferimento al bisogno

che desidera venga soddisfatto,

senza esercitare pretesa

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Richiesta o pretesa?

Davanti ad una pretesa più facilmente

possiamo fare due scelte: ci sottomettiamo o

ci ribelliamo

Come si fa a capire se facciamo una richiesta o

una pretesa? Guardiamo la nostra reazione

quando gli altri non fanno ciò che

desideriamo…imparare a comunicare i propri

bisogni non equivale a riuscire ottenere

“obbedienza” ma a lasciar perdere!!!

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6) COMUNICAZIONE SPIRITUALE

Cerchiamo di comprendere le ragioni

profonde che ci spingono a reiterare gli

stessi comportamenti, rivivere gli stessi

copioni

E nel silenzio del cuore ristrutturiamo in

positivo questo nostro copione

attraverso il per-donare e per-donarsi

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Critiche

Come farle

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Critica distruttiva (sminuisce l’altro)

Atteggiamenti di disapprovazione (non ne

posso più!)

Stigmatizzazione (sei cattivo, sei eccezionale!)-

posizione up-down

Sono rivolte alla persona e non al

comportamento

Atteggiamento da vittima

Atteggiamento oblativo coatto

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Complimenti aggressivi

Piccoli esempi…. Il complimento di “plastica”: valutazioni formalmente

positive, ma che vengono espresse in un modo così svilente

ed artificiale da trasformarle in oltraggio o quasi. Essi sono

formulati da chi ha potere su altre persone: genitori,

manager, dirigenti … espressi mentre l’emittente è occupato

a sbrigare altre faccende, concedendo in tal modo

un’attenzione del tutto fuggevole al destinatario

dell’apprezzamento.

Il complimento “al curry”, dolce all’inizio e intollerabile alla

fine. “ Hai svolto bene il compito. Davvero non

m’aspettavo tanto da te”. “Te la sei cavata piuttosto bene!

Per uno come te “ E’ una duratura e latente disistima nei

confronti dell’altro “non illuderti, oggi hai fatto bene, ma ai

miei occhi vali sempre poco.

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Critica costruttiva (indicano un

comportamento adeguato)

Sono rivolte al comportamento e non

alla persona

Non svalutano

Sono motivate

Offrono alternative

Es: “non apprezzo il lavoro fatto oggi vs

non posso contare su dite!”

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“NESSUNO Può FARTI SENTIRE INFERIORE

SENZA IL TUO CONSENSO”

Eleanor Roosvelt

“ Non è realistico aspettarsi un

cambiamento immediato soltanto

perché lo abbiamo a lungo sperato”

Quali convinzioni abbiamo sulle

critiche?

(dialogo interno: cosa diciamo di noi a noi stessi, cosa

ci attribuiamo come “oggetti” di una critica e a chi

ci critica negativamente)

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7 passaggi per la critica costruttiva o assertiva

1) Descrivere

2) Dichiarare (“io mi sento…”)

3) Motivare 1 (valutativo-cognitivo: “io immagino,

io penso”)

4) Motivare 2 (“ho bisogno di…”)

5) Specificare (il comportamento e chiedere

concretamente quello diverso in termini positivi)

6) Valorizzare le risorse dell’altro

7) Verificare con domande aperte (“cosa ne pensi?)

Tratto da “L’arte di comunicare” di F Nanetti ed Pendragon, Bologna, 2010

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Strategie di una comunicazione assertiva (F. Nanetti, Gli itinerari dell’amore e della passione. Pendragon, Bo- 2010)

Le tecniche di comunicazione assertiva spezzano il

collegamento tra emozioni e discussioni

Queste sono:

1. Preparare l’incontro

2. Inviare messaggi in prima persona

3. Ascoltare attivamente

4. Restare in argomento

5. Trovare soluzioni al problema

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Scegliere luogo e il momento più

opportuno

Verificare la disponibilità dell’altro

Assumere un atteggiamento corporeo

(CNV e paralinguistica) che esprima

desiderio, coinvolgimento, affettività

positiva

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Descrivo solo i fatti reali oggettivi (la

descrizione è fenomenologica e non

inferenziale o interpretativa)

Riportare i comportamenti e non le

opinioni sui comportamenti

Distinguere i fatti dalle interpretazioni

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Da non fare

Non accusare,

non offendere,

non biasimare,

non insultare,

non fare prediche,

non tenere il broncio,

non giudicare,

non interpretare,

non fare letture del pensiero

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Fare

Porre domande al fine di capire il punto

di vista dell’altro

Trasformare la lagnanza in una

specifica richiesta…aggiungendo “è

questo che mi volevi chiedere? Ho

compreso quanto mi stavi chiedendo?”

Fare solo critiche costruttive orientate a

definire ciò che si vuole e non quello

che non si vuole

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Non fare

Evitare l’accumulo di emozioni negative,

Evitare di nascondere la rabbia con altri

sentimenti (es paura, tristezza etc)

Non generalizzare ma restare in

argomento

Non fare richieste impossibili (smetti di

essere serioso, riflessivo, calmo etc)

Evitare spirali di violenza

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Fare

Fare complimenti sinceri come

apprezzamento anche per le differenze

che vi sono tra voi

Lasciare all’altro l’ultima parola

Trovare punti di accordo e

comprensione per una concreta

proposta di cambiamento con soluzione

soddisfacente per entrambi

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Regole per un confronto leale

(F. Nanetti, Gli itinerari dell’amore e della passione. Pendragon, Bo- 2010)

premessa: i conflitti sono inevitabili

Ognuno deve riconoscere che l’incomprensione

non dipende esclusivamente dall’altro ma da un

processo attivo di distorsione cognitiva che

coinvolge entrambi

Ognuno deve assumersi la piena responsabilità

di un miglioramento del rapporto a partire da un

cambiamento di se stesso e non dalla pretesa di

cambiare l’altro

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Regole per un confronto leale

Ognuno per sé deve assumere l’impegno di non

scaricare la rabbia sull’altro –la violenza genera

violenza

Ognuno si impegna ad accogliere l’ostilità dell’altro

senza necessariamente controreagire

I bisogni di entrambi sono naturali, ragionevoli e

comprensibili, e pertanto è opportuno siano posti

sullo stesso piano

Ognuno è impegnato ad ascoltare attivamente

Per la risoluzione del problema è utile pensare che

ognuno possa soddisfare in certa misura i propri

desideri e necessità (win-win)

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Verificare il feedback

Richiedere il parere

Uso di domande aperte, di

specificazione, di laddering…

Trovare soluzioni assieme

Rinforzare il rapporto e il desiderio di

collaborazione

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1) È libera da ogni forma di risentimento?

2) È formulata in modo tale che l’altro possa

replicare?

3) Si focalizza sul comportamento e non sulla

persona?

4) È controbilanciata da un apprezzamento?

5) Mi aspetto un cambiamento immediato?

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Evitare ….

1. Di fare domande chiuse (si o no?, perché?)

2. Di fare critiche quando siamo molto

arrabbiati o stressati

3. Quando abbiamo troppo potere sull’altro o

si trova in stato di precarietà fisica o

psicologica

4. Quando la persona non può fare nessuna

azione correttiva

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Saper rispondere alle critiche

L’altro ci ferisce dove noi siamo già feriti, dove ci

percepiamo più vulnerabili (desiderio di essere

perfetti, intolleranza verso il difetto, seguire

l’indicazione educativa del “sii perfetto”, “sii forte”,

“non sbagliare mai”)

o dove è più accentuato il nostro bisogno di essere

riconosciuti

o l’eccessiva dipendenza affettiva (“il capo come

Genitore…”)

Tratto da: “L’arte di comunicare” di F Nanetti ,ed. Pendragon, Bologna, 2010

e“Assertività ed emozioni” di F Nanetti, ed. Pendragon, Bologna, 2008

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Nel rispondere ricordati…

Tu non sei i tuoi errori, quindi

disapprova i tuoi errori e non te

stesso

Il tuo star male dipende dalla

valutazione che fai e dai sentimenti

che provi

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Tecniche di risposta assertiva alle

critiche

Spiazzare l’interlocutore: risposta non

prevista es. dandogli ragione,

rispondendo alle forme di

generalizzazione (sempre, mai..), uso

dell’autoironia

Ampliamento dell’accusa

Ammettere la verità

Chiedere un feedback specifico

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Come rispondere ad una critica fatta con

aggressività e colpevolizzazione

1. Non identificarsi con la sua critica

2. Rimanere fermi nella propria posizione (se la

riteniamo corretta) senza rispondere con aggressività

e senza entrare in alterchi ma eventualmente cercare

di rimandare a un momento con più calma

3. Chiedere di cosa ha bisogno e come possiamo

aiutarlo a superare la difficoltà

4. Se rimane a rimuginare sul passato, chiediamo

ancora cosa possiamo fare per il futuro

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Come rispondere ad una critica fatta con

invidia e manipolazione

Non identificarsi con la sua critica

Non reagire con aggressività

“stanare” l’invidioso: non dare troppa importanza ad eventuale

svalutazioni e/o critiche malevole dicendoci che è possibile e

legittimo che non tutti parlino bene di noi,

“è una battuta che hai fatto o mi dicevi la verità per farmi capire

qualcosa?”

Usare autoironia

Chiedere di ripetere una domanda in modo chiaro, fuori dalle

ambiguità del manipolatore che è maestro nell’utilizzare.