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www.judicium.it IL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO E LA TUTELA RISARCITORIA: LA LEZIONE DI UN’OCCASSIONE MANCATA Gian Domenico Comporti Università degli Studi di Siena SOMMARIO: 1-La genesi dell’idea: una delega sorta quasi per caso. 2- L’attuazione delle delega. 3- L’ideologia del codice e i limiti culturali dell’operazione. 4- Il cuore del problema: le azioni colte in un’ottica appropriativa. 5- La pregiudizialità mascherata. 6- Il risarcimento nel cono d’ombra dell’ottemperanza. 7- La metafora energetica come via di uscita da una giustizia amministrativa in perenne transizione, all’insegna di una nuova “stella polare”: la satisfattività. 1- La genesi dell’idea: una delega sorta quasi per caso Si sostiene da più parti che l’idea di una codificazione delle regole del processo amministrativo venga da lontano e che, soprattutto, sia il frutto consapevole del mutato ruolo della giustizia (e, segnatamente, di quella amministrativa) nell’attuale contesto socio-economico e sia, non a caso, maturata in coerenza con riforme che riguardano lo sviluppo economico, la semplificazione e la competitività del Paese, da una parte, ed il processo civile dall’altra. Nessun dubbio circa la prima parte del discorso: l’idea non è nuova 1 e il codice appare il coronamento di un tentativo, più che di un progetto 2 , sperimentato più volte nei decenni passati. 1 Indicazioni in tal senso sono fornite da A. PAJNO, La giustizia amministrativa all’appuntamento con la codificazione, in Dir. proc. amm., 2010, 122. Se intorno alla metà degli anni ’60, la presentazione in Parlamento di due disegni di legge sull’ordinamento e le attribuzione del Consiglio di stato e sull’istituzione dei tribunali amministrativi regionali, costituiva occasione per discutere dei problemi del processo amministrativo al IX° Convegno di Varenna, in occasione del quale veniva notata con soddisfazione l’assenza di una istanza riformista drastica e radicale, a vantaggio di “rimedi ad inconvenienti piuttosto limitati”, “specifiche migliorie per alcuni istituti”, congegni messi a punto per ovviare al principale difetto del processo amministrativo, individuato nella sua lentezza (E. GUICCIARDI, Relazione… sulle relazioni, in Problemi del processo amministrativo, Milano, 1964, 140-141), sul finire degli anni ’80 si giudicava ormai indifferibile “un sostanziale e innovativo intervento di riforma legislativa”, perché “solo con la legge è possibile canonizzare le conquiste, ascrivibili in gran parte alla stessa giurisprudenza ed alla dottrina, e nel contempo imprimere un impulso nuovo e più chiaramente orientato a quel fenomeno di trasformazione endogena che storicamente contraddistingue…l’evoluzione del processo amministrativo” (M. NIGRO, Crisi del giudizio di annullamento, prospettive e linee di tendenza del processo amministrativo, in Prospettive del processo amministrativo, a cura di L. MAZZAROLLI, Padova, 1990, 17; ancor prima, sulla stessa lunghezza d’onda si muoveva la Presentazione del tema del XXXI° Convegno di Varenna, curata da F. LONGO, in Processo amministrativo: quadro problematico e linee di evoluzione. Contributo alle iniziative legislative in corso, Milano, 1988, 9). Nel meditare sulle ragioni degli insuccessi registratisi a fare data dalla sollecitazione formulata da Scialoja nel 1909 alla costituzione di regolari tribunali amministrativi capaci di rendere una giustizia in linea con “la più elevata coscienza giuridica”, F. MERUSI, nella Premessa al volume curato con

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IL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

E LA TUTELA RISARCITORIA:

LA LEZIONE DI UN’OCCASSIONE MANCATA

Gian Domenico Comporti

Università degli Studi di Siena

SOMMARIO: 1-La genesi dell’idea: una delega sorta quasi per caso. 2- L’attuazione delle delega. 3-

L’ideologia del codice e i limiti culturali dell’operazione. 4- Il cuore del problema: le azioni colte in

un’ottica appropriativa. 5- La pregiudizialità mascherata. 6- Il risarcimento nel cono d’ombra

dell’ottemperanza. 7- La metafora energetica come via di uscita da una giustizia amministrativa in

perenne transizione, all’insegna di una nuova “stella polare”: la satisfattività.

1- La genesi dell’idea: una delega sorta quasi per caso

Si sostiene da più parti che l’idea di una codificazione delle regole del processo amministrativo

venga da lontano e che, soprattutto, sia il frutto consapevole del mutato ruolo della giustizia (e,

segnatamente, di quella amministrativa) nell’attuale contesto socio-economico e sia, non a caso,

maturata in coerenza con riforme che riguardano lo sviluppo economico, la semplificazione e la

competitività del Paese, da una parte, ed il processo civile dall’altra.

Nessun dubbio circa la prima parte del discorso: l’idea non è nuova 1 e il codice appare il

coronamento di un tentativo, più che di un progetto 2, sperimentato più volte nei decenni passati.

1 Indicazioni in tal senso sono fornite da A. PAJNO, La giustizia amministrativa all’appuntamento con la codificazione, in

Dir. proc. amm., 2010, 122. Se intorno alla metà degli anni ’60, la presentazione in Parlamento di due disegni di legge

sull’ordinamento e le attribuzione del Consiglio di stato e sull’istituzione dei tribunali amministrativi regionali,

costituiva occasione per discutere dei problemi del processo amministrativo al IX° Convegno di Varenna, in occasione

del quale veniva notata con soddisfazione l’assenza di una istanza riformista drastica e radicale, a vantaggio di “rimedi

ad inconvenienti piuttosto limitati”, “specifiche migliorie per alcuni istituti”, congegni messi a punto per ovviare al

principale difetto del processo amministrativo, individuato nella sua lentezza (E. GUICCIARDI, Relazione… sulle relazioni,

in Problemi del processo amministrativo, Milano, 1964, 140-141), sul finire degli anni ’80 si giudicava ormai

indifferibile “un sostanziale e innovativo intervento di riforma legislativa”, perché “solo con la legge è possibile

canonizzare le conquiste, ascrivibili in gran parte alla stessa giurisprudenza ed alla dottrina, e nel contempo imprimere

un impulso nuovo e più chiaramente orientato a quel fenomeno di trasformazione endogena che storicamente

contraddistingue…l’evoluzione del processo amministrativo” (M. NIGRO, Crisi del giudizio di annullamento, prospettive

e linee di tendenza del processo amministrativo, in Prospettive del processo amministrativo, a cura di L. MAZZAROLLI,

Padova, 1990, 17; ancor prima, sulla stessa lunghezza d’onda si muoveva la Presentazione del tema del XXXI°

Convegno di Varenna, curata da F. LONGO, in Processo amministrativo: quadro problematico e linee di evoluzione.

Contributo alle iniziative legislative in corso, Milano, 1988, 9). Nel meditare sulle ragioni degli insuccessi registratisi a

fare data dalla sollecitazione formulata da Scialoja nel 1909 alla costituzione di regolari tribunali amministrativi capaci

di rendere una giustizia in linea con “la più elevata coscienza giuridica”, F. MERUSI, nella Premessa al volume curato con

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Quanto invece alla pretesa organicità della manovra ed al valore simbolico del parallelo con la

riforma del processo civile, occorre fare alcune precisazioni.

La delega non era prevista nell’originaria versione del disegno di legge recante «Disposizioni per lo

sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile»,

A.C. n. 1441-bis approvato dalla Camera il 2 ottobre 2008 e trasmesso al Senato il 6 ottobre 2008,

che già a sua volta costituiva lo stralcio (avvenuto il 5 agosto 2008) della più complessiva manovra

contenuta nel d.d.l. Tremonti, recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione,

al competitivià, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» e presentato

alla Camera dei Deputati il 2 luglio 2008 (A.C. n. 1441). Essa compare quando il disegno di legge

era già all’esame del Senato (A.S. n. 1082), grazie ad un emendamento (il n. 26.0.7, recante l’art.

26-bis rubricato: «Delega per il riassetto della disciplina del processo amministrativo presentato dal

Governo») presentato ed illustrato dal Governo nella seduta del 26 novembre 2008, in sede

referente, dinanzi alle Commissioni 1° (Affari Costituzionali) e 2° (Giustizia) riunite. L’esame di

detto emendamento, accantonato nella seduta del 17 febbraio 2009, riprende nella medesima sede

referente in apposita seduta che si tiene il 18 febbraio 2009. In quella occasione, il Senatore Bianco,

tra gli altri, contesta subito la scelta dell’esecutivo di ricorrere all’istituto della delega legislativa,

prevista oltre tutto da un emendamento, per la disciplina della delicata materia del processo

amministrativo; rileva come la materia sia stata oggetto, ormai da anni, di interventi operati con

legge ordinaria; sottolinea la genericità dei criteri direttivi ed invita il Governo a procedere quanto

meno al coinvolgimento dei soggetti destinatari della riforma e delle Commissioni parlamentari

competenti nella fase di elaborazione del testo. Si tratta di giudizi critici condivisi da altri Senatori

(es. il Senatore Casson), i quali lamentano anche “l’assenza di un’adeguata istruttoria su tale

riforma” (Senatore Carofiglio). Nella seduta del 24 febbraio 2009 l’emendamento è alfine

approvato come art. 26-bis del disegno di legge (poi confluito nell’art. 45, collocato non nel capo

sulla giustizia ma in quello dedicato al piano industriale della p.a., del testo approvato dal Senato il

4 marzo 2009 e trasmesso alla Camera il 7 marzo 2009; quindi riformulato dalla Camera ed

approvato come art. 44 della legge 18 giugno 2009 n. 69).

Da questi cenni di cronaca parlamentare si trae, dunque, l’impressione che la spinta alla odierna

codificazione sia sorta quasi in modo estemporaneo, per opera di “anonimi redattori” 3 e nel corso

G. SANVITI, L’ingiustizia amministrativa in Italia. Per la riforma del processo amministrativo, Bologna, 1986, 7, annotava

sconsolato che “il maggior ostacolo alle riforme è…l’acquiescienza dei sudditi…che talvolta deriva anche da oppio

culturale…”. Un compiuto esame dei vari tentativi di riforma del processo amministrativo dopo l’istituzione dei TAR

può leggersi in V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1994, 30; G. ABBAMONTE – R.

LASCHENA, Giustizia amministrativa, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. SANTANIELLO, XX, Padova, 2001,

40.

2 Così, invece, R. CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo alla ricerca dell’effettività della tutela, in

www.giustamm.it, 7/2010, che costituisce l’Introduzione del volume dello stesso A., Il codice del processo

amministrativo. Commento a tutte le novità del giudizio amministrativo (D. lgs. 2 luglio 2010 n. 104), Milano, 2010, 1.

3 Come sono definiti da A. PAJNO, Il codice del processo amministrativo tra “cambio di paradigma” e paura della tutela,

in Giornale dir. amm., 2010, 886.

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di una più ampia ed articolata operazione riformista, a cui non si è sufficientemente raccordata 4.

Appare inoltre chiaro che la relativa regia è stata curata da ambiti del Governo con la vicinanza del

Consiglio di stato 5; che il medesimo Consiglio di stato si è riservato il preminente controllo della

stesura dell’elaborato, affidato, dopo le modifiche apportate dalla Camera , non più al meccanismo

delega al CdS+parere dello stesso 6 ma a quello

7: avvalimento del CdS+commissione a

composizione mista e con limitati e selettivi apporti esterni 8 dallo stesso nominata e diretta.

La delega sembra più che altro il frutto di un’esigenza endogena al sistema della giustizia

amministrativa, come tale sensibile più alle voci ed alle problematiche interne che non alle esogene

aspirazioni di giustizia dei cittadini.

2) L’attuazione della delega

Dopo che il Governo ha deciso di avvalersi del Consiglio di Stato per la redazione del Codice, il

Presidente del Consiglio di stato ha istituito una commissione speciale a composizione mista di cui

hanno fatto parte: 14 magistrati del Consiglio di Stato, oltre al Presidente (Paolo Salvatore) ed al

Presidente Coordinatore (Pasquale de Lise); 8 magistrati dei Tar; 2 magistrati della Corte di

Cassazione; 1 Avvocato dello Stato; 14 Professori universitari e 3 Avvocati del libero foro, per un

totale di 44 componenti 9.

La commissione si è insediata presso il Consiglio di stato il 29 luglio 2009 e, dopo avere sottoposto

una prima bozza all’esame anche di alcuni organismi rappresentativi (Consiglio di Presidenza della

Giustizia amministrativa, associazione dei magistrati amministrativi, CNF, Organismo unitario

avvocatura, AIPDA, Associazione studiosi processo amministrativo, Società italiana avvocati

4 Oltre tutto, come notato giustamente da E. FOLLIERI, La natura giuridica dell’articolato provvisorio denominato codice

del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 367, appare singolare e certo non ottimale che nel corso della

stessa legislatura, a poca distanza di tempo, siano state approvate tre manovre incisivie di riforma della giustizia

amministrativa che non appaiono tra loro raccordate entro una visione organica e coerente (la legge n. 15 del marzo

2009 sull’azione collettiva per assicurare la correzione del malfunzionamento degli apparati; la legge n. 88 del luglio

2009 per il recepimento della direttiva ricorsi 2007/66/CE; la legge 69 del giugno 2009 che oltre alla delega in esame

contiene anche un’inedita azione risarcitoria del danno da ritardo).

5 Di vicenda “domestica” ha parlato anche L. VIOLANTE, Magistrati, Torino, 2009, 132.

6 Sulle cui particolarità avevano espresso riserve critiche F. BIONDI – L. PLATANIA, Ma chi fa i decreti legislativi? Sui

legami tra Consiglio di Stato ed esecutivo, in www.forumcostituzionale.it.

7 Non privo di particolarità subito segnalate da A. CORPACI, La delega per il riassetto della disciplina del processo

amministrativo: opportunità e criticità, relazione al Convegno di studi organizzato dall’Associazione nazionale

magistrati amministrativi su “La codificazione del processo amministrativo: riflessioni e proposte”, Siracusa, 30-31

ottobre 2009.

8 Sulla cui gradazione gerarchica, si veda M. OCCHIENA, Processo amministrativo: al via la mini-riforma, in Diritto e

pratica amm., Il Sole-24 ORE, n. 7/8 - 2009, 13.

9 Più dettagliati dati e i nominativi dei componenti sono riferiti da R. CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo, cit.,

39-40.

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amministrativisti), ha concluso i lavori in data 8 febbraio 2010, rimettendo al Governo un elaborato

finale con nota del Presidente del Consiglio di stato del 10 febbraio 2010.

Il Governo ha fortemente rivisto il testo finale della commissione “d’intesa con il Ministro

dell’economia e delle finanze, al precipuo fine di non introdurre istituti che, anche indirettamente o

mediatamente ed in prospettiva temporale di medio periodo, potessero essere suscettibili di

determinare incrementi di oneri per la finanza pubblica” 10

e, il 16 aprile 2010, ha approvato una

versione nuova di codice trasmessa poi in data 30 aprile 2010 al Parlamento (atto del Governo n.

212) per il parere delle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali.

In Commissione Giustizia della Camera dei Deputati l’esame è iniziato il 9 giugno con la

presentazione di una proposta di parere favorevole con condizione (differimento di 6 mesi

dell’entrata in vigore) ed osservazioni che si incentravano su vari aspetti, tra cui quelli relativi alle

azioni: introduzione della azione di accertamento, estensione dell’azione di condanna “anche al fine

di ottenere la verifica della fondatezza della pretesa del ricorrente all’emanazione di un atto

amministrativo”, rimodulazione dei rapporti tra impugnazione e risarcimento, con aumento del

termine di decadenza da 120 a 180 gg. ed aumento del potere di valutazione del giudice in ordine

alla circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti. Il 9 giugno è stata presentata

dal gruppo del PD una alternativa proposta di parere e il 16 giugno è stato, infine, approvato un

parere molto critico in cui si invoca l’introduzione delle azioni di accertamento, di quella alla

condanna all’emanazione di un provvedimento favorevole “rispetto al quale sia stata accertata la

fondatezza della pretesa, e non sussista la necessità di alcuna ulteriore attività valutativa da parte

dell’amministrazione”, nonché il detto aumento dei termini per l’azione di risarcimento e

l’incremento dei poteri di valutazione del giudice ai sensi dei principi generali dell’art. 1227 c.c. che

impone di tenere conto di ciò che si sarebbe potuto evitare “usando l’ordinaria diligenza anche

attraverso l’esercizio di ogni mezzo di tutela”. Significativamente, poi, nel dibattito è emersa la

senzazione che si sia trattato di una occasione mancata (deputati Capano e Cavallaro) e che vi sia

stata “un’inadeguatezza strutturale e un preordinato disegno di emanare…un combinato e non

virtuoso disposto di norme «manifesto» che, nell’autoaffermazione della propria decisiva epocalità,

si pongono in realtà come meri rappezzi o riordini, destinati ad effimera durata, di temi che

meriterebbero ben altro incisivo e coraggioso intervento” (Cavallaro).

Dinanzi alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati l’esame è iniziato il 20

maggio e terminato il 16 giugno con la formulazione dei seguenti rilievi: riconoscere

“espressamente la possibilità di proporre azioni idonee a soddisfare la pretesa fatta valere”; elevare

a 180 gg. la decadenza per l’azione di risarcimento e “fare riferimento all’esperimento degli

strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, anziché alla sola impugnazione… Ciò al fine di non

ampliare eccessivamente la differenziazione – suscettibile di tradursi in vizio di costituzionalità –

rispetto al regime ordinario della responsabilità civile”. Nella stessa data, la 1° Commissione

permanente del Senato della Repubblica, all’esito di un dibattito nel corso del quale sono state

sottolineate (dal senatore Sanna) la “eccessiva cautela” dello schema ed il “sostanziale arretramento

nella tutela degli interessi legittimi rispetto alla delega e alla proposta elaborata dalla commissione”,

approva un parere con osservazioni critiche circa il superamento della sistematica delle azioni, “più

aderente al principio di effettività della tutela giurisdizionale”, contenuto nello schema della

commissione, suggerendo altresì l’eliminazione della impugnazione nel termine decadenziale degli

10

Come si legge nel comunicato del Consiglio dei Ministri n. 89 del 16 aprile 2010.

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atti lesivi illegittimi valutabile ai fini dell’esclusione del risarcimento per concorso di colpa del

danneggiato, “al fine di assicurare la piena esperibilità dell’azione di risarcimento in via autonoma”.

Il 15 giugno ha pronunciato un parere critico anche il Comitato per la legislazione (relatore

Zaccaria).

Ciò nonostante, il testo originario è stato definitivamente approvato con lievi modifiche il 24 giugno

2010 ed emanato in data 2 luglio 2010 con il n. 104 (pubblicato nel supplemento ordinario della

G.U. n. 148 del 7 luglio 2010 ed in vigore dal 16 settembre 2010).

I dati relativi alla vicenda attuativa della delega, rivelano dunque un atteggiamento di preordinata

chiusura del Governo ad ogni apporto critico e costruttivo alla manovra: si consolida l’impressione

di un’affrettata operazione elitaria e corporativa 11

e si affaccia l’ipotesi di una occasione mancata,

accompagnata però da una consistente ed autorefenziale dose di celebrazione retorica.

3) L’ideologia del codice e i limiti culturali dell’operazione

Il nuovo Codice è stato definito come:

- un ponte tra le giurisdizioni, idoneo ad assicurare un più duraturo assetto a quel dialogo che

ha avuto il più costruttivo momento di emersione nella pax concordata del 2006 12

;

- un “vero e proprio spartiacque tra un passato di grande generosità ma anche di pesanti

carenze e un futuro che vedrà sicuramente la Giustizia Amministrativa protagonista di

rapporti indispensabili per uno sviluppo equilibrato e socialmente avanzato del Paese” 13

;

- una “pietra miliare” di significativo “valore simbolico”, in quanto idoneo a conferire alla

disciplina del processo amministrativo – dopo oltre 120 anni – “la stessa dignità formale

degli altri rami dell’ordinamento processuale” 14

.

Considerati i problemi sul tappeto ed il travagliato iter di approvazione, è da chiedersi se tali giudizi

enfatici 15

, espressi da autorevoli soggetti istituzionali che sono stati protagonisi della vicenda in

esame, siano appropriati e comunque quale ne sia il significato.

11

C. E. GALLO, Il Codice del processo amministrativo: una prima lettura, in Urb. e app., 2010, 1015, parla di “opacità”

del percorso attuativo delle delega, che ha addensato sul testo finale “critiche e diffidenze… che si sarebbero potute

evitare se si fosse prescelto un andamento più trasparente e formalmente partecipato”.

12 V. CARBONE, Relazione sull’amministrazione della Giustizia nell’anno 2009 del Primo Presidente della Corte di

Cassazione, Roma, 29 gennaio 2010; Id., Un ponte tra le giurisdizioni, in Verso il codice del processo amministrativo, a

cura di G. PELLEGRINO, Roma, 2010, 219.

13 P. SALVATORE, Relazione sull’attività della giustizia amministrativa del Presidente del Consiglio di Stato, Roma,11

febbraio 2010.

14 P. de LISE, Insediamento del Presidente del Consiglio di Stato, Roma, 22 settembre 2010; lo stesso Presidente ha

parlato di “svolta epocale” in occasione del suo intervento al 56° Convegno di Varenna, La gestione del nuovo processo

amministrativo: adeguamenti organizzativi e riforme strutturali, 23-25 settembre 2010, in www.federalismi.it, n.

18/2010.

15 Più moderato è apparso il tono della prima manualistica: cfr., per esempio, C. E. GALLO, Manuale di giustizia

amministrativa, Torino, 2010, Premessa alla quinta edizione, ove si parla di un “momento importante” e di “un’opera

meritoria”, non priva però di un’impronta notevolmente riduttiva delle ambizioni ed aspettative iniziali; A. TRAVI,

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L’impressione è che simili testimonianze individuino la causa più prossima della manovra e la sua

ratio: si tratterebbe, infatti, di un percorso che ha tratto origine dal serrato confronto tra

giurisdizioni iniziato alla fine degli anni ’90 per effetto delle riforme del d.lgs. 80/98 e della

sentenza n. 500/99 e che, dopo momenti di tensione vissuti a colpi di Sezioni Unite e Adunanze

Plenarie ed alcuni tentativi neoconcordatari 16

, vorrebbe elevare una certa visione delle forme di

tutela nei confronti della pubblica amministrazione al rango di “diritto processuale” e consolidare il

ruolo di protagonista assunto dal giudice amministrativo nell’attuale sistema socio-economico

“quale elemento di sviluppo e di competitività” 17

. Con la conseguenza di sottrarre l’originario

assetto procedurale del rito alla mutevole (ma anche non più controllabile) dialettica tra

giurisdizioni ed isolarlo e rinchiuderlo in una fonte legislativa speciale che, per un verso, vale ad

assicurare al processo amministrativo la sua “peculiarità nell’ambito delle discipline processuali” 18

, per altro verso, si sottrae al controllo delle Sezioni Unite in punto di giurisdizione e si presta ad

essere sindacata soltanto dalla Corte costituzionale.

Sotto questo profilo, se è vero che è allo scontro tra le giurisdizioni 19

che occorre risalire per

comprendere appieno le ragioni della codificazione, appare chiaro che la stessa sembra segnata da

un decisivo condizionamento di carattere ideologico e culturale 20

. Del resto, come insegnano gli

storici del diritto, scegliendo la via del codice non si fa mai qualcosa di innocuo, di puramente

formale e limitato al piano tecnico delle fonti del diritto 21

, ma si compie una scelta che ha precise

motivazioni ed implicazioni ideologiche e culturali. Così, a fronte delle imbarazzanti domande della

dottrina circa l’attualità della sottrazione al giudice ordinario di una giustizia amministrativa che,

Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2010, il quale nella Avvertenza che apre la 9° edizione, oltre a notare “il

beneficio rappresentato, per lo studio del processo amministrativo, dalla possibilità di disporre finalmente di una

normativa più organica e puntuale”, sottolinea come il codice “appare ispirato a ragioni di continuità con la disciplina

pregressa”; ; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, 12° ed., Milano, 2010, 754-755; G. CORSO, Manuale di

diritto amministrativo, 5° ed., Torino, 2010, 472.

16 Suggellati dalle ordinanze delle Sezioni Unite, 13 giugno 2006 nn. 13659, 13660 e 15 giugno 2006 n. 13911.

17 P. de LISE, La gestione del nuovo processo amministrativo, cit.

18 P. de LISE, Verso il codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 28 aprile 2010.

19 Per una chiara enunciazione del carattere ideologico della contrapposizione, si veda da ultimo P. CARPENTIERI,

Risarcimento del danno e provvedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 881, il quale giunge ad imputare

alla Cassazione un pregiudizio di fondo costituito dalla “non compiuta metabolizzazione del superamento storico…del

sistema della legge abolitrice del 1865…la non completa digestione della «morte» del sistema a giudice unico”

previsto da tale legge.

20 Sulla rilevanza di tali profili nell’approccio alle tematiche processuali, ha richiamato l’attenzione M. TARUFFO, Cultura

e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 70.

21 Il codice “non è la scelta occasionale di un legislatore più zelante”, ricorda P. GROSSI, Valore e limiti della

codificazione del diritto (con qualche annotazione sulla scelta codicistica del legislatore canonico), in Jus, 2005, 350.

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per quanto più effettiva, appare ormai poco coerente con il disegno costituzionale 22

, e del sindacato

sub specie di difetto di giurisdizione minacciato dalle Sezioni Unite 23

, pare proprio che si sia

cercato l’abbraccio della legge al duplice scopo:

a- di dimostrare a tutti, anche rispetto alle ripetute sollecitazioni provenienti dalla Corte

Costituzionale e di Cassazione, il raggiungimento di una perfectio in termini di giurisdizione

con piena parificazione al modello del giudice ordinario, che così perde di centralità 24

;

b- di rafforzare le mura della propria cittadella domestica e difenderla con lo strumento dotato

di maggiore rigidità formale rispetto alle consuete fonti dei dottori e giudici che appaiono

meno controllabili, perché rispettivamente immerse in scuole e correnti o nell’atomismo

delle fattispecie particolari.

Per riprendere le parole dello storico del diritto, l’operazione codificatoria appare “segnata da un

sentimento di paura e da una necessità di difesa” 25

, e si risolve nel chiudere entro una rigida

“armatura giuridica” un dibattico ultrasecolare.

Più che guardare al futuro, gettando le basi per lo sviluppo di una giurisprudenza in linea con

l’evoluzione in atto del sistema pubblico (amministrazione e giustizia) e con le effettive aspirazioni

di giustizia dei cittadini, sembra pertanto che si sia voluto in realtà chiudere i conti con il passato,

compiendo la consolidazione 26

ed il salvataggio di un sistema che appariva ormai seriamente

minacciato 27

.

22

A. PROTO PISANI, Appunti sul giudice delle controversie fra privati e pubblica amministrazione, in Foro it. 2009, V, 371

ss.

23 Dopo la nota sentenza 23 dicembre 2008 n. 30254, in Foro it., 2009, I, 731, da ultimo le stesse Sezioni Unite, con

ordinanza 2 luglio 2010 n. 15689, hanno cassato una sentenza del Consiglio di stato che aveva respinto una domanda

di risarcimento sul presupposto che il relativo diritto avrebbe potuto prendere corpo concreto soltanto nel caso

dell’annullamento in sede giurisdizionale dell’atto lesivo, ribadendo il seguente principio: “il giudice amministrativo

rifiuta di esercitare la giurisdizione, e la sua decisione, a norma dell’art. 362 cod. proc. civ., comma 1, si presta a

cassazione da parte delle Sezioni Unite quale giudice del riparto della giurisdizione, se l’esame del merito della

domanda autonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati

chiesti l’annullamento dell’atto e la consguente rimozione dei suoi effetti”.

24 Nella Relazione introduttiva generale all’atto governativo (A.S.) n. 212 si è esplicitato il proposito di realizzare un

codice destinato “a collocarsi a fianco dei quattro codici fondamentali dell’ordinamento italiano”. Nel riprendere simili

notazioni, il Presidente de Lise (nella citata relazione di Varenna) ha osservato che il Codice “intende sancire

positivamente il nuovo ruolo della giustizia amministrativa, affermandone anche a livello simbolico la pari dignità

rispetto a quelle civile e penale” (corsivi aggiunti).

25 P. GROSSI, op. cit., 358.

26 Così R. CAPONI, La riforma del processo amministrativo: primi appunti per una riflessione, in Foro it., 2010, V, 267. Di

“riordino… con aggiustamenti” si è pure parlato in Senato della Repubblica, Servizio per la qualità degli atti normativi,

Il codice del processo amministrativo. Cenni introduttivi, Roma, 2010, 3.

27 Come sostenuto da L. MARUOTTI, Commento alle Disposizioni generali, in G. LEONE - L. MARUOTTI - C. SALTELLI, a cura di,

Codice del processo amministrativo. D.lvo 2 luglio 2010, n. 104. Commentato e annotato con giurisprudenza, Padova,

2010, 13-14, l’attribuzione al giudice amministrativo della cognizione su ogni domanda risarcitoria consente l’esercizio

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4) Il cuore del problema: le azioni colte in un’ottica appropriativa

Che quella appena indicata non sia solo una maliziosa impressione, o una anacronistica lettura

frutto di dietrologia 28

, può desumersi proprio con riferimento alla nuova disciplina delle azioni in

generale e della tutela risarcitoria in particolare.

E’ noto che, in linea con il criterio direttivo 29

che prescriveva il riordino delle azioni “prevedendo

le pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte

vittoriosa” (art. 44, comma 2, n. 4, legge n. 69/2009), le maggiori aspettative della riforma erano

riposte proprio nella articolazione delle forme di tutela esperibili dinanzi al giudice amministrativo,

nella consapevolezza della “ineffettività di un sistema imperniato sulla sola tecnica rimediale

dell’azione di annullamento” 30

e della necessità di percorrere fino in fondo il cammino verso un

processo capace di volgere la pure necessaria azione di verifica della legittimità dell’atto impugnato

in effettivo “strumento di tutela del rapporto, di accertamento della spettanza del bene della vita al

cittadino leso dalla azione amministrativa illegittima” 31

. Rispetto alla, pure prudente 32

, proposta di una funzione nomofilattica da parte del Consiglio di stato, senza “il rischio che vi siano due diritti viventi in

potenziale o permanente conflitto tra loro…e senza timore si essere smentita dalla Corte di Cassazione”.

28 Come ipotizzato da P. de LISE, La gestione del nuovo processo amministrativo, cit., il quale peraltro adduce a

sostegno di possibili diversi significati dell’operazione: per un verso, l’insufficienza ormai raggiunta dai tradizionali

approcci ermeneutici e concordatari, così però dando ragione a chi, appunto, sostiene che la via del Codice sarebbe

servita a uscire dalla prassi della dialettica tra giurisdizioni che era ormai arrivata ad un punto morto e non lasciava

prefigurare possibili evoluzioni positive per soluzioni domestiche della giustizia amministrativa (es. la pregiudizialità);

per altro verso, fatti quali il contributo autorevole e condiviso manifestato con spirito istituzionale dai vari componenti

della commissione speciale, contributo di cui nessuno ha motivo a dubitare ma che, anche a non volere considerare

che a prevalere rispetto al contesto è pur sempre il testo in quanto dato oggettivo destinato a ricevere un significato

da parte della comunità dei fruitori, oltre ad apparire meno condiviso di quanto non si voglia fare apparire (si ricordino

almeno i severi giudizi critici espressi da F. MERUSI, In viaggio con Laband, in Giornale dir. amm., 2010, e dallo stesso

Presidente Carbone , dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera, contro l’assetto finale della pregiudizialità, che

pure non pare molto distante dalla proposta originaria della Commissione), non è comunque riuscito a svincolare il

disegno più modernista della giustizia amministrativa dai condizionamenti operati da una resistente élite conservatrice

(ne dà atto M. CLARICH, Un corpus normativo dai contenuti innovativi che controbuisce alla certezza del diritto, in Il Sole

24 ORE – Guida al Diritto, n. 32/2010, 10).

29 Giudicato “il criterio di delega più importante” da R. CHIEPPA, Il codice, cit., 6. Sottolinea altresì l’importanza

dell’esplicito riferimento alle “azioni” ed alla “pretesa della parte vittoriosa”, quale “segno eminente del primato del

principio di effettività della tutela”, A. PAJNO, Il codice del processo tra “cambio di paradigma” e paura della tutela, cit.,

886-887.

30 P. de LISE, Verso il codice, cit. Problematica non nuova ben segnalata, nella seconda metà degli anni ’80, tra gli altri

da: M. NIGRO, Crisi del giudizio di annullamento, prospettive e linee di tendenza del processo amministrativo, in

Prospettive del processo amministrativo, cit., 18, e da F. MERUSI, Per una maggiore e migliore tutela di situazioni

giuridiche soggettive mediante il processo amministrativo, ibid., 21.

31 P. SALVATORE, Relazione, cit..

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della Commissione che prefigurava in modo un po’ didascalico ed illuministico un catalogo di

cinque azioni (accertamento, silenzio, annullamento, condanna, adempimento; a parte venivano

enunciate anche l’azione esecutiva e quella cautelare), il testo finale appare fortemente riduttivo, a

seguito dell’espunzione delle azioni di mero accertamento e di adempimento 33

.

In sostanza, il codice pare rimasto fedele al canone della tipicità delle azioni, seppure “moderata”

attraverso la previsione di alcuni correttivi che si innestano sull’assetto precedente introducendovi

misurati elementi di elasticità 34

. In questi termini può essere letto, per esempio, il delicato capitolo

delle tutele in materia di contratti pubblici. Le azioni volte alla declaratoria di inefficacia del

contratto ed al conseguimento dell’aggiudicazione e del contratto, più che eversive del sistema

appaiono, infatti, come specificative della portata degli effetti ripristinatori e conformativi che sono

propri dell’annullamento 35

. La prima, più che di accertamento, assume natura costitutiva 36

, in

quanto si pone in linea di necessario collegamento e completamento con il pregiudiziale

annullamento dell’aggiudicazione, provvedendo alla rimozione degli effetti già prodotti ed essendo

soggetta ad una pluralità di parametri di apprezzamento da parte del giudice 37

, al quale è in

definitiva riservato il potere di modellarne l’incidenza sulla concreta vicenda negoziale 38

. La

32

In questi termini M. CLARICH, Un corpus normativo dai contenuti innovativi che contribuisce alla certezza del diritto,

cit., 10, ricostruisce l’atteggiamento prudente assunto sin dall’inizio dalla Commissione: “mantenere il tronco e i rami

vitali del processo, con gli innesti necessari per rendere più incisiva la tutela”. A parere di chi scrive, peraltro, tali

innesti si risolvevano in realtà in una serie di strumenti ancillari con funzione di supporto e specificazione di effetti di

un’azione di annullamento che finiva per essere elevata a novello simbolo indefettibile del processo amministrativo.

Così, per fare degli esempi, l’azione di accertamento e quella di condanna generica erano sussidiarie, cioè esperibili

solo per ottenere una tutela non conseguibile con il tempestivo esercizio di altre azioni; quella di adempimento era

contestuale all’annullamento o al ricorso contro il silenzio, e quindi presupponeva il previo esercizio del potere o la

formazione del silenzio; quella, infine, di risarcimento appariva impraticabile senza l’annullamento, come meglio sarà

infra chiarito.

33 Drastico il giudizio a caldo di F. MERUSI, Intervento al Seminario su “La sistematica delle azioni nel nuovo processo

amministrativo, Università Bocconi di Milano, 6 maggio 2010, in www.giustamm.it, 6/2010: “le azioni non esistono

più”.

34 Cfr. in questi termini A. TRAVI, La tipologia delle azioni nel nuovo processo amministrativo, relazione al 56° Convegno

di studi amministrativi su “La gestione del nuovo processo amministrativo: adeguamenti organizzativi e riforme

strutturali”, Varenna, 23-25 settembre 2010.

35 A. TRAVI, ibid.

36 Tar Toscana, sez. I, 11 novembre 2010 n. 6579, chiarendo che l’annullamento dell’aggiudicazione “determina solo il

sorgere del potere in capo al giudice di valutare se il contratto debba o meno continuare a produrre effetti”.

37 Secondo Cons. stato, sez. VI, 15 giugno 2010 n. 3759, “occorre in particolare tener conto dello stato di esecuzione

del contratto, della possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione e subentrare nel contratto, degli interessi

di tutte le parti”.

38 M. LIPARI, Il recepimento della “direttiva ricorsi”: il nuovo processo super-accelerato in materia di appalti e

l’inefficacia “flessibile” del contratto nel d.lg. n. 53 del 2010, in Foro amm. – TAR¸ 2010, XCI; A. BARTOLINI, S. FANTINI, F.

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seconda, esclusa la valenza sostitutiva che avrebbe richiesto (il mantenimento del)la sua

qualificazione espressa in termini di giurisdizione di merito (ex art. 34, comma 1, lett. d, c.p.a.), si

palesa come specificazione dell’effetto conformativo di un più articolato contenuto decisorio della

sentenza di annullamento, destinata ad operare in due direzioni. Per un verso, come potenziamento

delle capacità satisfattive dell’interesse pretensivo del ricorrente, ottenuto sottraendo alla

disponibilità del giudice la fissazione delle regole per la riedizione del potere ed anticipando la

concretizzazione della pretesa, per l’innanzi affidata al giudizio di ottemperanza, al giudizio di

cognizione 39

. Per altro verso, invece, come delimitazione della sua operatività nei limiti della

domanda di parte e sempre che il vizio sanzionato non comporti l’obbligo della rinnovazione totale

o parziale della gara 40

.

Per il resto, la sistematica del codice, pur facendo intravedere una “sequenza che muove dalle

situazioni giuridiche, ai bisogni di tutela ad esse correlati, alle azioni ammissibili, ai corrispondenti

tipi di sentenze”, continua a ruotare intorno al rimedio impugnatorio 41

e, al posto della disponibilità

una effettiva pluralità di rimedi, presenta soltanto gli “indizi” 42

ed i “germi” 43

del loro possibile

esercizio per via interpretativa. Germi che gran parte dei primi commentatori va tentando di

depurare delle scorie patogene e di valorizzare in senso fisiologico, come previsioni in nuce di

possibilità accennate e suscettibili di sviluppo grazie all’opera della dottrina ed all’attivismo della

giurisprudenza amministrativa 44

. Si sostiene così che non possa dirsi interrotta la strada per lo

FIGORILLI, Il decreto legislativo di recepimento della direttiva ricorsi: il nuovo rito in materia di appalti, lo standstill

contrattuale e l’inefficaia del contratto, in Urb. app., 2010, E. FOLLIERI, I poteri del giudice amministrativo nel decreto

legislativo 20 marzo 2010 n. 53 e negli artt. 120-124 del codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it.,

6/2010, esclude possa parlarsi di pregiudizialità in senso tecnico, perché l’inefficacia è effetto dell’annullamento e non

può costituire un’autonoma domanda, e chiarisce bene che “il giudice conosce dell’esecuzione del contratto come

fatto che gli consente una valutazione della fattispecie per stabilire le conseguenze dell’annullamento

dell’aggiudicazione… La cognizione del contratto non è autonoma, è strettamente consequenziale all’annullamento

degli atti amministrativi di scelta del contraente”. Tale legame di stretta dipendenza con l’annullamento implica,

secondo i citati Autori, la non necessità di apposita domanda di parte in tal senso, essendo sufficiente chiedere

l’annullamento e allegare i relativi motivi. Viceversa, un incidentale accenno alla necessità della domanda, seppure in

relazione ad una vicenda anteriore all’entrata in vigore del d. lgs. n. 53/2010, è fatto da TAR Calabria, Catanzaro, sez.

II, 9 agosto 2010 n. 2234.

39 E. FOLLIERI, I poteri del giudice amministrativo, cit.

40 A. TRAVI, La tipologia delle azioni nel nuovo processo amministrativo, cit.

41 M. CLARICH, Azione di annullamento, Commento all’art. 29 del Codice del processo amministrativo, in www.giustizia-

amministrativa.it, 15 luglio 2010.

42 Colti soprattutto da M. CLARICH, Le azioni, in Giornale dir. amm., 2010, 1124, al fine di valorizzare alcuni dati

normativi testuali nella direzione del principio di atipicità delle azioni.

43 Come notato da R. CHIEPPA, Il codice, cit., 15.

44 Secondo M. CLARICH, op. ult. cit., 1128, “la disciplina incompiuta delle azioni e delle pronunce del giudice potrà

essere ricondotta a sistema e valorizzata… ad opera della dottrina e della giurisprudenza”.

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sviluppo del principio di atipicità delle azioni di recente affermato dalla giurisprudenza 45

,

apparendo probabile che l’azione di accertamento, “una delle pietre angolari su cui si è costruita

l’autonomia disciplinare” del processo, continui a sopravvivere nel diritto vivente 46

oltre alle

ipotesi codificate della declaratoria di nullità generale e speciale, cioè per violazione o elusione del

giudicato (artt. 31, comma 4, e 114, comma 4). Si aggiunge anche che l’azione di adempimento può

ritenersi in parte ammissibile ancora oggi come variante specifica di sentenze di condanna ammesse

senza alcuna qualificazione restrittiva dall’art. 30, comma 1, ed idonee ad accogliere tutte le misure

idonee a tutelare la situazione giuridica dedotta in giudizio ai sensi dell’art. 34, lett. c, c.p.a.47

.

Si tratta però di notazioni che appaiono condivisibili più per la nobile ratio ispiratrice che non nel

merito, essendo indubbio che il segnale trasmesso dall’intera vicenda è, oltre che equivoco 48

, anche

preoccupante per almeno due ordini di motivi. In primo luogo, perché un riassetto normativo

operato per mezzo di frammenti normativi, indicazioni indirette e tracce nascoste, suscettibili di

essere colte soltanto all’esito di complesse analisi ermeneutiche, appare di problematica

compatibilità con il principio del giudice (e del giudizio) precostituito per legge posto dall’art. 111

cost. 49

ed è destinato a tradire anche l’obiettivo minimo della chiarezza e certezza delle forme di

tutela 50

, che pure si continua a declamare come l’unico allo stato pienamente conseguito. In

secondo luogo, perché comunque si ha consapevolezza della forza e del radicamento delle tesi che

ancora oggi si oppongono alla evoluzione in senso moderno di un processo amministrativo che

stenta a fuoriuscire dalla originaria matrice di tipo impugnatorio e cassatorio. Estremamente

rivelatrice appare in proposito la circostanza che la principale azione di accertamento sopravvisuta,

cioè quella di nullità, risulti assoggettata ad un termine di decadenza (di centottanta giorni).

Previsione che appare difficilmente comprensibile se si tiene conto che la domanda è volta alla

45

Cfr. in particolare Cons. stato, sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 717, seguita da 15 aprile 2010 n. 2139; Cons. stato, Sez. IV,

4 maggio 2010 n. 2558 dà peraltro atto di un non ancora risolto contrasto giurisprudenziale (citando Cons. stato, sez.

IV, 13 gennaio 2010 n. 72). In dottrina, si leggano da ultimo: M. CLARICH – M. ROSSI SANCHINI, Linee evolutive del

processo amministrativo: il lungo cammino (nonn ancora concluso) dal giudizio sull’atto al giudizio sul rapporto, in I

tre assi, a cura di G. AMATO e R. GAROFOLI, Roma, 2010, 246; G. F. NICODEMO, La DIA è un provvedimento abilitativo a

formazione tacita, in Giornale dir. amm., 2010, 798.

46 Così R. CAPONI, La riforma del processo amministrativo, cit., 271.

47 Cfr. M. A. SANDULLI, Anche il processo amministrativo ha finalmente un Codice, in Foro amm. – TAR, 2010, LXVII; R.

CHIEPPA, Il codice, cit., 172-173; M. CLARICH, op. ult. cit.; A TRAVI, Osservazioni generali, cit.; più dubitativa la posizione

espressa dallo stesso A., La tipologia delle azioni nel nuovo processo amministrativo, cit.

48 R. CAPONI, La riforma del processo amministrativo, cit., 271.

49 Sulla portata della riserva di legge in materia processuale, ha richiamato l’attenzione A. TRAVI, La tipologia delle

azioni, cit., ritenendo che “i poteri creativi del giudice, ove siano ancora ammessi, non possono e non devono toccare

la disciplina del processo”.

50 Accenna giustamente a questi valori M. RAMAJOLI, Le tipologie delle sentenze del giudice amministrativo, in Il nuovo

processo amministrativo, commentario sistematico diretto da R. CARANTA, Bologna, 2010, 580-581.

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declaratoria della presenza di fatti impeditivi della efficacia che, ab origine e di diritto 51

, escludono

la effettività della fattispecie attizia 52

. In tale ottica, si spiega del resto la rilevabilità d’ufficio da

parte del giudice: trattandosi di fatti che operano in conseguenza di una previsione normativa, il loro

effetto (estintivo, modificativo o impeditivo) si produce senza che sia necessario l’esercizio di alcun

potere e, dunque, sul piano processuale, senza che la relativa rilevanza giuridica debbe essere

intermediata da alcuna dichiarazione delle parti 53

. Non si spiega, invece, anche in ragione della

equivalenza che sotto il profilo qualitativo si registra tra la prospettiva dell’azione e quella

dell’eccezione 54

, la disparità di trattamento creata tra la posizione del ricorrente e quella

dell’amministrazione resistente, che può chiedere senza limiti temporali la dichiarazione di

inesistenza della situazione soggettiva fatta valere dall’altra parte.

In definitiva, da questi esempi si trae l’impressione che si continui ad intervenire sul versante delle

tutele con lo sguardo rivolto al passato e che le poche aperture espressamente codificate siano il

frutto di un “intento annessionistico” 55

, risultando concepite per assicurare pienezza, cioè

intangibilità, al potere del giudice che le eroga, anziché satisfattività al potere delle parti di

postulare e strutturare giudizi in cui versare “un interesse concreto che aspira al suo

riconoscimento” 56

.

Cosìcché, alla fine, la principale novità veramente apprezzabile, sul piano però dell’economia dei

mezzi di tutela e della durata dei processi, appare l’ammissibilità del cumulo della domande

connesse e della conversione dei riti (art. 32). Previsione che, per i condizionamenti sopra indicati,

pare al momento destinata ad avere effetto solo con riferimento alle (in passato dibattute) ipotesi

della domanda di risarcimento introdotta in sede di ottemperanza (art. 112, commi 3 e 4) e

dell’impugnazione con motivi aggiunti del provvedimento sopravvenuto o dell’azione risarcitoria

avanzate nel giudizio avverso il silenzio (art. 117, commi 5 e 6).

51

Ricorda A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), in

Riv. dir. proc., 1991, 94, che “le cause di nullità operano secondo lo schema norma-fatto-effetto”.

52 R. CAPONI, Azione di nullità (profili di teoria generale), in Riv. dir. civ., 2008, 77. In generale, sull’accertamento come

“attività giuridica di carattere assertorio” la cui funzione fondamentale è “la determinazione della norma concreta

necessaria per risolvere un problema…di effettività dell’ordinamento giuridico”, si veda B. TONOLETTI, L’accertamento

amministrativo, Padova, 2001, 83-84.

53 Cfr. A. PROTO PISANI, Appunti, cit., 69-71, che definisce la rilevabilità d’ufficio della rilevanza giuridica dei fatti

modificativi impeditivo o estintivi allegati al processo come nient’altro “che la conseguenza del carattere di regola

generale dello schema norma-fatto-effetto”. Nello stesso senso, R. CAPONI, Azione di nullità, cit., 101-102.

54 Cfr. I. PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela costitutiva, Milano, 1998, 260 e

280 ss.

55 Per riprendere il giudizio critico formulato da F. LEDDA, La giurisdizione esclusiva del Consiglio di stato, in Scritti

giuridici, Padova, 2002, 156, con riferimento ad una vicenda vissuta più nell’ottica della “determinazione della

giurisdizione” che in quella della pienezza delle forme di tutela.

56 Secono la celebre, e sempre attuale, definizione di azione risalente a S. SATTA, Commentario al codice di procedura

civile, I, Disposizioni generali, Milano, 1959, 46.

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5) La pregiudizialità mascherata

Alla luce di quanto precede, la principale novità introdotta dal codice in tema di azione finisce per

essere rappresentata dalla previsione dell’azione risarcitoria pura 57

, legata all’impugnazione del

provvedimento lesivo da una relazione di rilevanza 58

.

Da più parti salutata come frutto di un “equilibrato contemperamento” tra le due opposte tesi

dell’indifferenza-autonomia e della reciproca subordinazione o del “superamento regolato” della

pregiudizialità 59

, la versione codificata viene presentata come il frutto dell’intento conciliativo

manifestato dai vertici delle due giurisdizioni superiori in occasione delle rispettive cerimonie di

apertura dell’anno giudiziario 60

e, per mutuare le parole di uno dei protaginisti del presunto

accordo, è in questi termini riassunta: “si ammette l’azione risarcitoria pura, cioè sganciata

dall’impugnazione del provvedimento lesivo, ma la si assoggetta ad un breve termine di decadenza

per non lasciare troppo a lungo l’amministrazione in uno stato di incertezza” 61

. Più o meno simili le

parole che si leggono nella relazione governativa allo schema di disegno di legge attuativo della

delega: “si è optato per l’autonoma esperibilità della tutela risarcitoria per la lesione delle posizioni

di interesse legittimo, prevedendo per l’esercizio di tale azione un termine di decadenza di quattro

mesi – sul presupposto che la previsione di termini decadenziali non è estranea alla tutela

risarcitoria, vieppiù a fronte di evidenti esigenze di stabilizzazione delle vicende che coinvolgono la

pubblica amministrazione – e affermando l’applicazione di principi analoghi a quelli espressi

dall’art. 1227 cod. civ. per quanto riguarda i danni che avrebbero potuto essere evitati mediante il

tempestivo esperimento dell’azione di annullamento”.

In realtà, quanto alla pretesa origine concordataria della disciplina versata nell’attuale art. 30 c.p.a.,

giova considerare che nella sua Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2009 il

Primo Presidente della Corte di Cassazione ebbe a ritenere naturale che anche la tutela risarcitoria

dell’interesse legittimo, come già quella demolitoria, fosse assoggettata ad una “specifica

disciplina”, avendo però l’accortezza di precisare che la stessa non ne avrebbe dovuto frustrare “la

stessa esperibilità e la necessaria autonomia” poiché, dinanzi al complessivo bagaglio di tutela

offerto dall’ordinamento, deve essere “il cittadino leso a poter scegliere quale attivare”. Lo stesso

Presidente, poi, in sede di audizione dinanzi alle commissioni parlamentari ha ritenuto inaccettabile

e poco comprensibile la norma approvata dal Governo, in quanto: a) risulta ulteriormente ridotto il

57

Così si esprime la circolare n. 52/2010 dell’Avvocatura Generale dello Stato.

58 In questi termini definita, sulla scorta dell’analisi comparata di altri ordinamenti, da G. FALCON, La responsabilità

dell’amministrazione e il potere amministrativo, in Dir. proc. amm., 2009, 264: “l’omissione dell’azione di

annullamento non impedisce che si ottenga… il risarcimento del danno subito, ma comporta che dalla misura del

risarcimento sia sottratta la quota di danno che il soggetto leso avrebbe potuto evitare… utilizzando il rimedio

specifico”.

59 R. GAROFOLI, La pregiudiziale: per un superamento regolato, in Verso il codice del processo amministrativo, cit., 79. Di

“tiepido superamento della pregiudizialità” ha parlato R. CARANTA, Le controversie risarcitorie, in Il nuovo processo

amministrativo, cit., 639.

60 Si veda quanto riferito da R. CHIEPPA, Il codice, cit., 190.

61 P. SALVATORE, Relazione, cit.

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termine di decadenza, a fronte di un’azione sottoposta nel diritto vivente all’ordinario termine di

prescrizione; b) si condiziona il riconoscimento della tutela “non già ad elementi di leale

collaborazione ma alla formale previa proposizione di una diversa azione di annullamento” 62

.

Quanto poi alla pretesa autonomia, pare che la stessa sia di facciata 63

e risulti in realtà

compromessa 64

da una serie di paradossi che colpiscono i vari elementi della rete di protezione 65

ideata in favore della parte pubblica.

Il primo si annida nella formulazione dell’ultimo comma dell’art. 30 cit.: «Di ogni domanda di

condanna al risarcimento di danni… conosce esclusivamente il giudice amministrativo». Si tratta di

disposizione (unitamente a quella contenuta nell’art. 7, comma 4) che, a dispetto di quanto precisato

dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004, trasforma il risarcimento degli interessi

legittimi da tecnica di tutela in materia di giurisdizione esclusiva. Operazione il cui unico effetto

positivo potrebbe peraltro ravvisarsi nell’attribuzione di senso all’altrimenti incomprensibile rinvio

testuale del principio dell’autonomia dell’azione di condanna, solennemente proclamato in apertura

dell’articolato (art. 30, comma 1), ad una serie tassativa di ipotesi (“nei soli casi”) che in realtà non

risultano enunciate, a parte quelle, appunto, figuranti nell’ambito della giurisdizione esclusiva 66

.

Ancora una volta, dunque, l’azione è colta nel cono d’ombra della giurisdizione e letta con le

categorie che sono proprie di un apparato concettuale sviluppato per difendere e legittimare ambiti

decisori più che per rispondere alla domanda di giustizia avanzata da chi ha subito un torto.

62

Così si legge l’intervento nel testo riferito dalla Senatrice Capano, nella seduta del 16 giugno 2010 della

Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.

63 Cfr. A. PAJNO, Il codice del processo amministrativo, cit., 889, nonché M. CLARICH, Azione di annullamento, cit.

64 I rischi per “una reintroduzione surrettizia della regola della pregiudizialità” ed i dubbi circa “un sicuro avanzamento

della tutela sul fronte del risarcimento dei danni da attività amministrativa illegittima” sono, da ultimo, evidenziati da

P. CHIRULLI, voce Pregiudizialità amministrativa, in Dig. disc. pubbl., Aggiornamento, IV, Torino, 2010, 441.

65 Invocata da più parti allo scopo di non caricare la p.a. “di oneri economici eccessivi” (cfr. da ultimo R GAROFOLI, La

pregiudiziale, cit., 94). Di segno diverso era il messaggio lanciato alla vigilia della sentenza 500 all’insegna della “rete di

contenimento”, alla cui costruzione si riteneva di poter fare fronte affidandosi “ai vecchi e collaudati arnesi della

disciplina codicistica” (F. D. BUSNELLI, Lesione di interessi legittimi: dal muro di sbarramento alla rete di contenimento,

in Danno e resp., 1997, 274). All’indomani della citata sentenza, la stessa dottrina, nell’evocare una strategia

adeguatrice dei suoi principi richiamava “la cernita degli interessi rilevanti ai fini risarcitori come un problema di

adeguamento della regola dell’ingiustizia del danno alla peculiarità di tali interessi” e avvertiva con preoccupazione il

rischio della formazione di un sistema differenziato autonomo di tutela risarcitoria (ID., Dopo la sentenza n. 500. La

responsabilità civile oltre il muro degli interessi legittimi, in Riv. dir. civ., 2000, I, 339, 353, ove si cita in senso adesivo F.

BILE, La sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, in Resp. civ. prev., 1999, 905, il

quale poneva il “problema dei limiti di tollerabilità di questa divaricazione”).

66 Non esistendo in effetti altri casi ipotizzabili, ed apparendo semmai il riferimento impreciso ai “casi” di cui allo

stesso art. 30 da intendere come richiamo delle condizioni previste dalla stessa disposizione (come suggerito, in sede

di esame dello schema di decreto legislativo, nel Dossier di documentazione n. 192 preparato dal Servizio Studi –

Dipartimento giustizia della Camera dei Deputati).

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Simile prospettiva si riflette immediatamente nella disciplina del computo del dies a quo del

termine di decadenza dell’azione che, nel tentativo di tenere insieme i provvedimenti e i

comportamenti amministrativi mediatamente riconducibili all’esercizio del potere che delimitano

l’ambito della giurisdizione amministrativa ai sensi dell’art. 7, rischia di accomunare nello stesso

meccanismo ipotesi assai diversificate come i danni discendenti direttamente dal(l’assetto di

interessi definito nel) provvedimento ed i danni derivanti dal comportamento che precede o segue il

provvedimento e spesso prescinde dal contenuto o dalla sorte dello stesso 67

. In questo modo, tutto

può essere ricondotto al provvedimento e si perpetua “il corto circuito logico-giuridico tra regole di

validità e regole di comportamento” che costituiva uno dei profili più problematici della teorica

della pregiudizialità 68

. Esito che non può dirsi legittimato dalle aperture verso un’interpretazione in

senso dinamico del criterio di riparto della giurisdizione che è dato leggere nella giurisprudenza

costituzionale (sent. 191/2006) e della Corte di Cassazione. Le ordinanze pronunciate dalle Sezioni

Unite nel giugno 2006, infatti, nel riconoscere che “spetta al giudice amministrativo disporre le

diverse forme di tutela che l’ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate

dall’esercizio illegittimo del potere”, e nel precisare che “tra queste forme di tutela rientra il

risarcimento del danno”, avevano operato nella convinzione del corretto bilanciamento del valore

della giurisdizione piena e quello “di una tutela sostanziale degli interessi legittimi non difforme da

ogni altra situazione protetta in rapporto alla tutela risercitoria”, avendo cura di avvertire che,

nell’esercizio di tale forma di giurisdizione, il giudice amministrativo avrebbe dovuto operare

“prescindendo dalle regole proprie della giurisdizione di annullamento” 69

. Non si trattava, dunque,

di una delega in bianco, ma di una sfida presidiata da ben precise condizioni operative. Sul

presupposto della pari dignità vantata in ordine alla capacità di assicurare tutela piena alle posizioni

soggettive vantate in riferimento alle manifestazioni del potere pubblico, si chiedeva al giudice

amministrativo di offrire tecniche rimediali differenti e complete, spettando ai cittadini, in ossequio

a noti principi costituzionali, “non solo di scegliere se chiedere tutela giurisdizionale, ma anche di

scegliere di quale avvalersi tra le diverse forme di tutela apprestate dall’ordinamento” 70

.

67

Si pensi ai vizi meramente formali o procedimentali, al comportamento scorretto che viola il legittimo affidamento

dei soggetti coinvolti nell’azione, al danno da ritardo ed agli effetti prodotti da un atto favorevole illegittimo o erroneo

(su cui si veda l’interessante sentenza di Cons. stato, sez. IV, 12 marzo 2010 n. 1467). Sulla necessità di tenere distinte

le ipotesi dei danni da provvedimento e danni indiretti concorda larga parte della dottrina da ultimo citata, in senso

adesivo, da P. CARPENTIERI, Risarcimento del danno e provvedimento, cit., 875, nota 20. Per lo sviluppo di tale

prospettiva, si rinvia alla parte finale del lavoro.

68 Così P. CARPENTIERI, op. ult. cit., 874, seppure nell’ottica della conservazione della pregiudizialità amministrativa per i

danni discendenti direttamente dagli effetti dell’atto.

69 Analogo avvertimento è dato leggere nella successiva ordinanza delle Sezioni Unite, 7 gennaio 2008 n. 35, che, nel

richiamare i precedenti del giugno 2006, ha precisato: “siccome si deve escludere la necessaria dipendenza del

risarcimento dal previo annullamento dell’atto illegittimo e dannoso, al giudice amministrativo può essere chiesta la

tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria completiva, ma anche la sola tutela risarcitoria,

senza che la parte debba in tale caso osservare il termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento”.

70 Come da ultimo chiarito, in linea di continuità con la pregressa citata giurisprudenza, da Cass., Sez. Un., 28 dicembre

2008 n. 30254, in Foro it., 2009, I, 731, con note e osservazioni di A. TRAVI, R. CAPONI e A. PALMIERI.

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Il secondo paradosso è legato al termine di decadenza. Non è in questione, si badi bene, la maggiore

o minore ampiezza del termine: 180 giorni, come in origine suggerito dalla commissione del

Consiglio di stato, o 120 giorni, come è previsto attualmente, con evidente allineamento 71

con

l’ultimo termine disponibile per l’impugnazione, quello cioè per il ricorso straordinario al

Presidente della Repubblica. Il problema riguarda l’assoggettamento della tutela risarcitoria, che in

linea di principio ha natura abdicatoria rispetto ad una pretesa specifica, puntando ad ottenere un

succedaneo della stessa, alla decadenza che normalmente si accompagna alle forme di tutela di tipo

realizzativo. Al di là della relatività della distinzione e dell’uso indiscriminato e spesso confuso

fattone dal legislatore e del comune denominatore rappresentato dalla combinazione di effetti

preclusivi e liberatori prodotta dall’azione del tempo 72

, può infatti sostenersi che la decadenza

appare per lo più funzionale ad assicurare certezza agli effetti prodotti dall’esercizio di un

potere/diritto potestativo 73

, precludendo l’attivazione di meccanismi volti a rimettere in discussione

gli interessi coinvolti 74

; mentre la prescrizione è essenzialmente volta a preservare la posizione del

soggetto passivo di un rapporto, evitando che il suo patrimonio resti troppo a lungo assoggettato

alle pretese patrimoniali altrui 75

. Connaturale all’azione di impugnazione è così la decadenza,

perché si tratta di salvaguardare la certezza legata alla stabilità degli efftti dell’atto annullabile. Se

invece si tratta di accertare una situazione giuridica, “l’unico limite temporale immaginabile è

quello della situazione giuridrica sostanziale dalla quale nasce la pretesa che si fa valere in giudizio,

cioè la prescrizione” 76

Come chiarito da autorevole dottrina, assoggettare vicende patrimoniali ad

71

Di “tendenziale ed opportuna corrispondenza del dies a quo del rimedio impugnatorio e di quello risarcitorio,

similmente a quanto previsto dall’art. 2377, comma 6, c.c. per le delibere societarie” ha parlato S. FANTINI, Sub art. 30,

in R. GAROFOLI – G. FERRARI, a cura di, Codice del processo amministrativo. Annotato con dottrina, giurisprudenza e

formule, I, Roma, 2010, 512. Un chiaro invito alla “unificazione” dei due termini nel termine unitario di 90 gg., allo

scopo di incentivare scelte serie e necessitate e attutire “in apice la stessa prospettiva di una proliferazione in funzione

risarcitoria di giudizi di legittimità sostanzialmente aggiranti il termine decadenziale di impugnazione”, era stato

rivolto dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, nella seduta straordinaria del 5 gennaio 2010.

72 Aspetti ben sottolineati dalla dottrina che si è occupata della tematica: R. ORIANI, Diritti potestativi, contestazione

stragiudiziale e decadenza, Padova, 2003, 132 ss.; F. ROSELLI e P. VITUCCI, La prescrizione e la decadenza, in Trattato di

diritto privato, diretto da P. RESCIGNO, Tutela dei diritti, II, Torino, 1985, 387 ss. e 482; B. GRASSO, Sulla distinzione tra

prescrizione e decadenza, in Riv. trim., 1970, 866.

73 Concetto chiave per comprendere la figura in esame secondo la teorizzazione di S. ROMANO, Decadenza, in

bFrammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953, 46, poi ripresa e sviluppata da A. ROMANO, Note in tema di

decadenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, 177.

74 Precisa R. CAPONI, Gli impedimenti all’esercizio dei poteri giuridici nella disciplina della decadenza, in Riv. dir. civ.,

1997, I, 47 che “il richiamo all’esigenza di limitare nel tempo l’esercizio della situazione giuridica soggettiva diventa più

concreto se inqudratao come un aspetto della tutela preferenziale di interessi diversi da quello del titolare”.

75 Si vedano : A. CANDIAN, Decadenza e prescrizione, in Temi, 1950, 6-9; P. TRIMARCHI, Prescrizione e decadenza, in Jus,

1956, 236; Id. Istituzioni di diritto privato, Milano, 1995, 629; G. IUDICA – P. ZATTI, Linguaggio e regole del diritto

privato, Padova, 2000, 142.

76 Così F. MERUSI, L’ingiustizia amministrativa in Italia, cit., 21.

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un termine di decadenza avrebbe poco senso, sia perché non vi è una situazione di incertezza

essendo normale che il soggetto attivo voglia esercitare la sua pretesa, sia perché se il soggetto

passivo non sopporta lo stato di sospensione o di dubbio può sempre attivarsi per eliminarlo. Tale

commistione è inoltre da evitare, stante la rigorosa previsione generale dell’art. 2964 c.c., “perché

presenta sempre l’inconveniente di dar modo alla parte meno scrupolosa di far scadere il termine in

proprio favore intavolando trattative, in prossimità della scadenza, senza intenzione di condurle a

termine” 77

: evenienza che rischia di dare luogo a non commendevoli tatticismi nel caso in cui sia

addiruttura richiesta al soggetto attivo del rapporto la sollecitazione della controparte a mezzo di

ricorsi, istanze o diffide ad adempiere 78

. In definitiva, scambiare l’una figura con l’altra induce a

confondere piani e nessi valoriali diversi e, soprattutto, proietta la responsabilità, che costituisce un

“fatto produttivo di obbligazione” 79

, in un ambiente arelazionale al crocevia con interessi estranei

alla sua funzione ed induce a ritenere che la stessa possa servire ad altro, o anche ad altro, che

riparare la vittima del pregiudizio sofferto e, scambievolmente, che altri strumenti di tutela siano

fungibili con gli scopi rimediali del risarcimento.

Il terzo paradosso rappresenta la summa delle problematiche fin qui rilevate e consiste nella

peculiare forma di rilevanza 80

che è stata ideata tra la tutela impugnatoria e quella risarcitoria. Alla

formulazione attuale della regola codificata nel terzo comma dell’art. 30 si è giunti all’esito del

componimento di una pluralità di tesi. Rispetto ad una prima bozza che prevedeva la facoltà del

giudice di escludere i danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, “anche

attraverso l’esercizio dell’azione di annullamento”, la proposta finale della commissione del

Consiglio di stato recava un più generico riferimento all’esercizio “dei mezzi di tutela” e

introduceva anche “l’invito all’autotutela”: ciò non solo per valorizzare l’esperimento di una più

vasta gamma di rimedi ed iniziative di tutela, ma anche al fine di responsabilizzare la parte pubblica

nell’adozione di decisioni autocorrettive a fronte di semplici segnalazioni del privato 81

. Il Governo

ha fortemente corretto simile impostazione, eliminando la facoltatività della valutazione giudiziale

(tramite l’impiego del tassativo “esclude il risarcimento”), e tornando a commisurare la diligenza

del danneggiato alla sola “impugnazione, nel termine di decadenza, degli atti lesivi illegittimi”. Le

osservazioni formulate dalle Commissioni parlamentari Affari costituzionali e Giustizia hanno

infine consentito di eliminare il limite dell’impugnazione di tornare alla più generale

contemplazione “degli strumenti di tutela previsti” dall’ordinamento. Nella progressiva

elaborazione del testo sono così scomparsi sia la riserva al prudente apprezzamento del giudice in

relazione alle circostanze di fatto rilevanti, sia l’invito al responsabile esercizio dei poteri di

autotutela da parte dell’amministrazione: elementi che, oltre a favorire atteggiamenti interpretativi

77

Cfr. P. TRIMARCHI, Prescrizione e decadenza, cit., 235-236.

78 Come argomentato ex art. 30, comma 3, c.p.a. da E. PICOZZA, a cura di, Codice del processo amministrativo. D. Lgs. 2

luglio 2010 n. 104 commentato articolo per articolo, Torino, 2010, 57.

79 M. FRANZONI, L’illecito, 2° ed., Milano, 2010, 6.

80 Così battezzata da R. CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo, cit., 17, 196.

81 Soluzione parallelamente introdotta nel rito degli appalti attraverso l’art. 243-bis del Codice dei contratti pubblici,

recante l’informativa in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale. Sul punto, si veda R. CHIEPPA, Il codice del

processo amministrativo, cit., 197.

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delle fattispecie più aperti e flessibili, avrebbero consentito di tenere in debita considerazione anche

la condotta tenuta dal danneggiante nell’ottica dell’equilibrata valorizzazione della dimensione

relazionale del rapporto con la vittima 82

. E’ rimasta invece la singolare imposizione di un

“rafforzato onere di diligenza” 83

a carico del danneggiato, che, a dispetto del principio di economia

dei mezzi di tutela declamato in apertura del codice, si risolve essenzialmente nell’onere di

promuovere impugnazioni (anche solo) per fini risarcitori 84

, con conseguente rischio di impiego

strumentale anche di domande cautelari e di esecuzione dei giudicati 85

, la cui violazione è

sanzionata dalla obbligatoria esclusione del risarcimento.

6) Il risarcimento nel cono d’ombra dell’ottemperanza

Il codice fa sostanzialmente proprio il ragionamento secondo cui il principio generale desumibile

dall’art. 1227 c.c., che al creditore non può imporsi l’obbligo di iniziare un’azione giudiziaria o

esecutiva, trattandosi di attività gravosa ed implicante rischi o spese, è ritenuto adeguato ai soli

rapporti privatistici, in relazione ai quali appare ragionevole che chi ha provocato il danno si attivi

per rimuovere le conseguenze del suo comportamento mentre la proposizione dell’azione da parte

del danneggiato ha la sola funzione di evidenziare siffatto obbligo del danneggiante. Non altrettanto

può invece dirsi per i rapporti amministrativi, nei quali campeggia l’esecutorietà del provvedimento

amministrativo e – come si legge in una recente sentenza che pare riflettere fedelmente il senso del

nuovo dato normativo 86

– “in forza della suddetta caratteristica l’amministrazione ha l’obbligo di 82

Su cui ha insistito in modo particolare F. FRACCHIA, Elemento soggettivo e illecito civile dell’amministrazione pubblica,

Napoli, 2009, 94.

83 Come viene definitivo da S. FANTINI, Sub art. 30, cit., 513.

84 Emblematica la posizione di R. CHIEPPA, op. ult. cit., 199, il quale, dopo avere salutato con favore il superamento

della pregiudiziale, conclude: “al ricorrente converrà quasi sempre impugnare il provvedimento lesivo, anche quando

intende poi indirizzare la sua azione verso la tutela risarcitoria”. Cfr. altresì G. LEONE, Elementi di diritto processuale

amministrativo, 2 ed., Padova, 2011, 136. Fortemente critica la posizione di P. CARPENTIERI, Risarcimento del danno e

provvedimento amministrativo, cit., 877, il quale si esprime in senso contrario all’autonomia dell’azione risarcitoria,

“anche in considerazione… dell’indesiderato effetto volano del contenzioso che verrà inevitabilmente svolto

dall’introduzione di tale novità, in contrasto con le prioritarie esigenze di garanzia della ragionevole durata del

processo”.

85 Iniziative che, al momento, la giurisprudenza del giudice di appello tende a non valutare alla luce di un possibile

concorso di colpa del danneggiato. Sul primo fronte, cfr. Cons. stato, sez. V, 22 giugno 2010, in Foro amm., C.d.S.,

2010, 1284, che sottolinea il “concreto pericolo di dare la stura ad un uso indiscriminato e distorto dell’istanza

cautelare, eventualmente presentata pur nella consapevolezza dell’insussistenza dei requisiti, unicamente al fine di

mettersi al riparo dal rischio di vedersi addebitati danno che si sarebbero potuti evitare con la proposizione di detta

istanza”. Sul secondo, si veda Cons. stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, secondo cui la scelta della bonaria composizione in

luogo di quella del giudizio di ottemperanza non è “fattore ascrivile a colpa del danneggiato”, in quanto la logica stessa

sottesa alla previsione del termine decennale di prescrizione dal giudicato è quella di consentire una soluzione

compormissione anziché l’instaurazione del processo di esecuzione.

86 Cons. stato, sez. VI, 17 marzo 2010 n. 1555, in Giurisd. amm., 2010, I, 1555.

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dare esecuzione agli atti dotati di tale forza giuridica; l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti

illegittimi non costituisce affatto un obbligo, ed anzi presuppone la valutazione discrezionale dei

diversi interessi implicati; di conseguenza, è caratteristica propria del rapporto amministrativo il

fatto che solo l’iniziativa del danneggiato possa far cessare l’effetto pregiudzievole; e quanto

all’eccessiva onerosità dell’adempimento, occorre osservare che l’ordinamento amministrativo

consente di porre in discussione i provvedimenti amministrativi anche mediante lo strumento del

ricorso straordinario, che non presuppone la necessaria assistenza di un avvocato ed è esperibile con

adempimenti tributari di minore impegno”.

Generazioni di studi e di riforme sembrano, dunque, inutilmente passate da quando Umberto Borsi,

impegnato ai primi del ‘900 nella messa a punto degli schemi formali di manifestazione del potere,

proponeva la teoria dell’esecutorietà quale “intima forza giuridica insita nell’atto amministrativo in

virtù della quale esso, per sé solo, impone ed assicura il suo eseguimento” 87

. L’evocazione di

simile “energia di effetto” si fondava, all’epoca, su una ben avvertita esigenza di “certezza morale”,

rappresentata dalla presunzione di giustizia di un potere che si riteneva dovesse svolgersi “pel bene

comune della collettività” senza possibilità di porre ostacoli da parte di chi, incurante dello stesso

bene sociale, voglia “far prevalere a questo, artificiosamente, il proprio interesse” 88

, ed implicava

una precisa scelta di campo che sarebbe apparsa decisiva e condizionante per gli sviluppi successivi

del diritto amministrativo: la ricostruzione dei relativi rapporti intorno agli atti anziché alle pretese

soggettive delle parti, che avrebbero richiesto inammissibili concessioni alla “idea della resistibilità

e quindi della necessità della previa ricognizione della (loro) fondatezza” 89

. Anche i giudizi si sono

andati così popolando di atti, dalla cui deformante prospettiva soltanto è stato consentito al giudice

assumere cognizione delle sottostanti pretese.

E’ in singolare linea di continuità con tale risalente impostazione culturale che si assiste al

paradosso conclusivo della novella versione “mascherata” 90

della pregiudizialità, impiegata per

riproporre al centro del giudizio amministrativo quella visione attizia che non trova più riscontro sul

piano dell’attività procedimentalizzata dell’amministrazione 91

. In questo contesto, la pregiudiziale 87

Come si legge nel celebre saggio U. BORSI, L’esecutorietà degli atti amministrativi, in Studi senesi, 1900-1901, 128.

88 Ibid., 276, 284, 288-290.

89 Cfr. A. ALBINI, Presentazione, in U. BORSI, Studi di diritto pubblico, I, Padova, 1976, XVIII. Sulla problematica, sia

consentito rinviare per approfondimenti a G. D. COMPORTI, L’atto complesso di Umberto Borsi e il coordinamento

procedimentale: ovvero il nome e la cosa, in Dir. amm., 2005, 275.

90 In questi termini definita da G. SORICELLI, Il punto sulla disciplina legislativa della pregiudiziale amministrativa alla

luce del Codice del Processo Amministrativo, in www.giustamm.it, n. 8/2010.

91 Paradosso messo radicalmente in luce da Mario Nigro sin dagli anni ’60, allorché notava provocatoriamente come,

“mentre gli ordinamenti speciali pubblici si aprono… verso l’ordinamento generale, e c’è un avanzato tentativo del

superamento della differenza tra i regimi ad atto amministrativo ed i regimi a diritto comune, l’esistenza di un

processo amministrativo contrasta questo processo, lo blocca, cristallizza una situazione sostanziale in via di

invecchiamento” (Intervento, in Problemi del processo amministrativo, cit., 120-121). Il decennio successivo lo stesso

Autore tornava sull’argomento evidenziando l’isterilimento di un sindacato “costretto negli schemi dell’accertamento

di conformità dell’atto alle regole di legittimità e vietatosi l’accesso alla freschezza e multiformità dell’intera azione

mediante la quale la potestà si esercita” (Il giudice amministrativo oggi, in Foro it., 1978, V, 166).

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impugnazione dell’atto lesivo non si pone quale presupposto dell’azione risarcitoria, ma quale

condizione della sua fondatezza. Come chiarito, infatti, da recenti pronunce del Consiglio di stato,

“è ammissibile, ma infondata nel merito, la domanda di risarcimento danni che non sia stata

preceduta dall’annullamento dell’atto asseritamente illegittimo, che tale danno avrebbe provocato,

atteso che la sua mancata impugnazione gli consente di operare in modo precettivo dettando la

regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone

l’osservanza ai consociati ed impedisce così che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita

la condotta tenuta dall’amministrazione in esecuzione dell’atto inoppugnato” 92

.

Al fondo di simile costrutto vi è l’idea che l’interesse di chi ha subito la violazione della propria

sfera personale e patrimoniale per opera di scelte operate dall’amministrazione debba essere

strumentalmente impiegato per attivare rimedi volti a rinnovare la valutazione degli interessi in

gioco operata per mezzo di dette scelte. L’illecito che cade entro un rapporto plurisoggettivo non

confinabile nei limiti della relazione bipolare vittima-danneggiante, rappresenta così occasione per

promuovere azioni non volte a riparare il pregiudizio subito ma ad incidere in modo specifico su

precedenti decisioni distributive di beni e risorse al fine di rivederne l’assetto. In questo contesto, la

compensazione per equivalente assume una funzione minimale nell’economia dei rimedi esperibili 93

, non già nel senso indicato dalla Corte di Cassazione, cioè in quanto “misura minima e perciò

necessaria di tutela di un interesse” 94

, ma in quella divisata dal Consiglio di Stato di misura

residuale, entro un sistema che consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando

l’interesse legittimo sia stato utilmente impiegato quale strumento di conformazione dell’attività

amministrativa 95

.

La vera e propria norma di chiusura di tale sistematica rimediale va allora individuata nell’art. 112,

commi 3 e 4, c.p.a. che, superando precedenti incertezze manifestate dalla giurisprudenza e

valorizzando al massimo il collegamento con la valutazione degli esiti dell’attività conformativa

svolta dall’amministrazione, proietta la tutela risarcitoria nel giudizio di ottemperanza anche in

92

Cons. stato, sez. VI, ord. 21 aprile 2009 n. 2436; Cons. stato, sez. IV, 31 marzo 2009 n. 1917; Cons. stato, sez. V, 13

luglio 2010 n. 4522.

93 Con esiti opposti a quelli che si registrano nel diritto privato, ove pure la diffusa tendenza a conservare il più

possibile l’assetto negoziale voluto dalle parti si realizza favorendo l’uso strumentale dei vizi in funzione

dell’attivazione di modalità correttive volte a riequilibrare le posizioni in gioco e di rimedi risarcitori. Cfr. la aggiornata

sintesi offerta da P. GALLO, Dai rimedi ablativi a quelli conservativi in materia contrattuale, in Studi in onore di Antonio

Palazzo, Diritto privato, 3, Proprietà e rapporti obbligatori, a cura di A. GARILLI e A. SASSI, Torino, 2009, 291; G. VETTORI,

Regole di validità e di responsabilità. La buona fede come rimedio risarcitorio, ibid., 874.

94 In questi termini Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008 n. 30254, cit., chiariva che a tale forma di tutela può aggiungersi

anche quella impugnatoria, che dunque assumerebbe natura accessiva a quella base di tipo risarcitorio, spettando

comunque “al titolare della situazione protetta, in linea di principio, scegliere a quale fare ricorso in vista di ottenere

ristoro al pregiudizio provocatogli dall’essere mancata la soddisfazione che è attesa attraverso al condotta altrui”.

95 Alla base dei vari tentativi di giustificazione della pregiudizialità pare vi sia l’idea ben esplicitata dall’Ad. pl., 22

ottobre 2007 n. 12, in Foro it., 2008, III, 1, che il “coinvolgimento” dell’interesse del singolo nell’interesse della

collettività impone la priorità dell’azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto è possibile “conformare l’azione

amministrativa affinché si realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio” tra i vari interessi.

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unico grado dinanzi al Consiglio di stato. Con il che, per un verso viene confermata, ed anzi

accentuata, la natura mista del giudizio di ottemperanza che, fuoriuscendo dal paradigma

processuale comune dell’esecuzione 96

, si vede significativamente arricchito di “spazi di cognizione

molto estesi” in funzione del principio della realizzazione integrale della pretesa dedotta in giudizio 97

. Per altro verso, si porta a compimento la trasformazione del danno da provvedimento illegittimo

in danno-differenza, che risulta cioè patrimonialmente apprezzabile soltanto all’esito della completa

restaurazione della legalità violata e, dunque, si configura in termini di danno da ritardata

acquisizione del bene della vita auspicato 98

.

Dal combinato disposto degli artt. 30, comma 3, e 112, commi 3 e 4, c.p.a. si ricava, dunque, la

reviviscenza della figura dell’«indennizzo di pregiudizio economico» che compariva nel “Progetto

preliminare di una legge per i giudizi avanti il Consiglio di stato”, redatto nel giugno del 1964 per

opera della Commissione di studio costituita dal decreto Lucifredi dell’anno precedente 99

, quale

misura compensativa delle “conseguenze pregiudizievoli prodotte dalla esecuzione dell’atto

illegittimo (che) permangano anche dopo l’annullamento di esso” 100

. Si trattava di un vero e

proprio diritto di credito, la cui creazione era affidata al Consiglio di stato “mediante un prudente

apprezzamento caso per caso” e la liquidazione riservata al giudice ordinario, avente ad oggetto una

riparazione che serviva a colmare il vuoto di tutela misurato in sede di ottemperanza relativamente a

misure risultanti inidonee “a ripristinare la situazione di fatto e di diritto antecedente all’esecuzione

o agli effetti impeditivi dell’atto annullato o del comportamento riconosciuto illegittimo” (come si

leggeva nell’art. 87 del progetto).

96

Il riferimento alle azioni esecutive, inizialmente presente nel testo elaborato dalla commissione del Consiglio stato,

è scomparso nella versione finale del codice.

97 Si veda, su questi profili M. LIPARI, L’effettività della decisione tra cognizione e ottemperanza, relazione al 56°

Convegno di Varenna, in www.federalismi.it, n. 18/2010.

98 Come ipotizzato da F. VOLPE, Nome di relazione, nome d’azione e sistema italiano di giustizia amministrativa,

Padova, 2004, 409-410; F. TRIMARCHI BANFI, La responsabilità civile per l’esercizio della funzione amministrativa.

Questioni attuali, Torino, 2009, 50. Ha parlato di tutela di “completamento…quale effetto consequenziale della

demolizione dell’atto illegittimo” anche A. DI MAJO, Profili della responsabilità civile, Torino, 2010, 154, il quale ha

riconosciuto al rimedio “più l’aspetto di un compenso di natura indennitaria che risarcitoria”.

99 Si tratta del decreto 21 settembre 1963, alla cui emanazione il Ministro per la Riforma dell’Amministrazione fu

indotto dall’andamento dei coevi lavori del citato IX° Convegno di Varenna. Il progetto preliminare redatto dalla

Commissione constava di 98 articoli e fu presentato al X° Convegno di Varenna, affinché “i qualificati esponenti della

scienza, della professione forense e della magistratura ordinaria e amministrativa, che vi partecipavano, potessero

discuterlo e proporre insieme su di esso le loro osservazioni, critiche e suggerimenti” (come si legge nella Relazione

allo schema di decreto legislativo concernente al «disciplina dei giudizi davanti al Consiglio di stato in sede

giurisdizionale», pubblicata in Appendice agli Atti del convegno Problemi del processo amministrativo, II, Milano, 1965,

257.

100 Così, in apertura del X° Convegno di Varenna, chiariva il senso della misura E. GUICCIARDI, Presentazione del progetto

preliminare di una legge per i giudizi avanti il consiglio di stato, in Problemi del processo amministrativo, II, cit., 47-48.

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Per una coincidenza che potrebbe apparire singolare solo se non si tenesse conto della linea di

continuità con il passato sopra evidenziata, in assenza di interventi decisamente innovatori sul

fronte delle azioni 101

la problematica del risarcimento dei danni per lesione degli interessi legittimi

torna così a proiettarsi nella prospettiva dell’esecuzione del giudicato amministrativo di

annullamento dell’atto illegittimo, recuperando un legame che la Sezione campana del Centro

italiano di studi amministrativi aveva già tracciato all’inizio degli anni ’60 allorché, facendosi

interprete della generale aspirazione ad una più effettiva tutela del cittadino a fronte dei

provvedimenti amministrativi, organizzò due celebri congressi sulle convergenti tematiche 102

che

gettarono le basi per la loro parallela evoluzione. Non a caso, nella relazione di apertura del secondo

di tali eventi, la problematica fu in questi termini lucidamente colta da Miele: “nei limiti nei quali si

ritenga che nell’interesse legittimo la legge abbia di mira anche la tutela dell’interesse individuale,

sia pure solo indirettamente, pare logico concludere che siano ammissibili, e anzi doverosi, appositi

mezzi di ristoro dell’interesse individuale, come il risarcimento del danno, nella misura in cui non si

rivelino a ciò sufficienti i mezzi di restaurazione dell’ordinamento violato: in prima linea,

l’annullemento dell’atto lesivo” 103

. Sarebbe spettato poi allo scettico Guicciardi riprendere il

discorso per chiarire meglio che la questione della risarcibilità “di ciò che è seguito a carico del

cittadino dalla emenazione di un atto illegittimo… riguarda le offese al privato interesse che

possono persistere malgrado l’annullamento con efficacia retroattiva dell’atto (e ciò che può essere

stato fatto dall’amministrazione o da altri per l’esecuzione del giudicato amministrativo)” 104

.

7) La metafora energetica come via di uscita da una giustizia amministrativa in perenne transizione,

all’insegna di una nuova “stella polare”: la satisfattività

101

Problema che all’epoca fu segnalato da M. S. GIANNINI, Intervento, in Problemi del processo amministrativo, II, cit.,

116 ss., il quale, rivolgendo al progetto preliminare in esame la critica di fondo “di avere troppo guardato il passato” e

di “sovrapporre schemi teorici a problemi de jure condendo”, sottolineava l’insufficiente approccio al “modo di tutela

giurisdizionale dell’interesse legittimo”, ancora imperniato su una tutela di annullamento che, mentre nel diritto

privato “ha certamente una sua immediatezza conseguenziale”, nel diritto pubblico non è pienamente satisfattivo

perché non crea “nessuno spostamento patrimoniale”. Concludeva così l’Autore che l’annullamento “è una misura

molto meno efficace di quello che si possa pensare in sede teorica, ed è qui che risiede la carenza fondamentale della

giurisdizione amministrativa: essa una un’arma che ha l’apparenza di un’arma radicale ma in realtà spesso è una tigre

di carta, perché in molti casi serve a poco; quando… non incide sull’oggetto stesso del provvedimento, serve quasi a

niente”.

102 Si tratta del Convegno sull’adempimento del giudicato amministrativo, tenutosi a Napoli il 23-25 aprile 1960, i cui

Atti sono stati pubblicati per i tipi Giuffré, Milano, 1962; del Convegno nazionale sull’ammissibilità del risarcimento del

danno patromoniale derivante da lesione di interessi legittimi, tenutosi a Napoli il 27-29 ottobre 1963, i cui Atti sono

stati pubblicati per i tipi Giuffré, Napoli, 1965

103 G. MIELE, Introduzione al tema, in Atti del convegno nazionela sull’ammissibilità del risarcimento, cit., 19.

104 E. GUICCIARDI, Risarcibilità degli interessi legittimi ? Tentativo di impostazione del probkema… da parte di un

negatore, ibid., 219 e 225.

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Se è vero che “qualunque codice di procedura è veramente un grand malade, tali e tanti e così

disparati sono gli interessi che convergono nel processo” 105

, l’analisi fin qui condotta evidenzia il

tipo di patologia che affligge un codice che si presenta come “un’opera invecchiata” 106

sin dal

giorno della sua entrata in vigore. La nuova disciplina del processo amministrativo, infatti, lungi

dall’offrire al cittadino una mappa articolata ed aggiornata di possibilità di tutela, si risolve in una

serie di limitazioni e di vincoli che comprimono il diritto d’azione. In mancanza di incisivi

interventi sul fronte strutturale-organizzativo del processo e su quello dei poteri del giudice, la

riforma si concentra soprattutto sui poteri delle parti ricorrenti: per un verso, prevedendo ostacoli al

diritto di difesa (es. sinteticità degli atti, ex artt. 3, comma 2, e 120, comma 10; addizionale

condanna d’ufficio alle spese in caso di decisione fondata su manifeste ragioni o orientamenti

giurisprudenziali consolidati, ex art. 26, comma 2; condanna alle spese anche all’esito di singole

fasi del giudizio, come la fase cautelare e quella esecutiva delle misure cautelari ex artt. 57 e 59, o il

regolamento di competenza ex art. 15, comma 3, o l’incidente di ricusazione ex art. 18, comma 7;

perenzione annuale, ex artt. 71 e 81; perenzione straordinaria dei ricorsi ultraquinquennali, ex art.

82; perenzione dei ricorsi ultraquinquennali alla data di entrata in vigore del codice, in mancanza di

presentazione di nuova istanza di fissazione di udienza, ex art. 1 dell’All. 3), o complicazioni

processuali (come i meccanismi di risoluzione delle inderogabili questioni di competenza

territoriale, ex artt. 15 e 16; o la riduzione dei termini nei processi sugli appalti pubblici, ex art. 120,

comma 5, peraltro senza raccordo con l’onere della parallela informativa di ricorso di cui all’art.

243-bis del d. lgs. n. 163/2006, la cui mancata presentazione può essere, oltre tutto, sanzionata sul

piano delle spese, nonché ai sensi dell’art. 1227 c.c.); per altro verso, configurando limiti alla scelta

delle misure idonee a soddisfare in modo diretto le proprie pretese che inducono ad impiegare snodi

(come la fase cautelare per esigenze istruttorie o di verifica dell’integrità del contraddittorio ex art.

55, comma 12, o ancora come corsia preferenziale per una più veloce fissazione dell’udienza di

discussione, ex artt. 55, commi 10 e 11, nonché 119, comma 3) e mezzi processuali (come

l’impugnazione dell’atto lesivo, il ricorso avverso il silenzio o il giudizio di ottemperanza a scopi

risarcitori, per finire con la pubblicità della sentenza ex art. 90) per fini diversi e trasversali rispetto

a quelli tipici. All’insegna del preteso principio-guida della concentrazione, da cui si vorrebbe

desumere una direttiva 107

non già verso la articolazione degli strumenti di tutela ma nel senso di

rendere più “spediti ed efficaci quelli che già ci sono”, considerati “tanti e più che sufficienti”, si è

così ritenuto di potere introdurre per tale via “forti elementi di deflazione del contenzioso” 108

, senza

però considerare che continuare a caricare il classico strumentario del processo di annullamento di

oneri impropri può condurre, con ogni probabilità, a generare fattori di complicazione e

moltiplicazione del contenzioso che, in prospettiva, si risolveranno in costi occulti sotto forma di

risarcimenti per irragionevole durata dei processi. 105

S. SATTA, voce Codice di procedura civile, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 281.

106 In questi termini suonava il severo giudizio espresso da S. SATTA, op. ult. cit., 280, sul Code de procédure civile

francese del 1807.

107 Codificata dallo stesso art. 7, comma 7, c.p.a., che così prescrive senza mezzi termini: “Il principio di effettività è

realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela…” (corsivo aggiunto).

108 In questi termini, ha ritenuto di dover declinare il principio costituzionale di effettività, P. CARPENTIERI, Risarcimento

del danno, cit., 884.

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Un siffatto sistema, ancora visibilmente legato all’idea di giurisdizione come potere dello stato reso

per assicurare il rispetto del diritto obiettivo nel caso singolo, risulta di dubbia legittimità

costituzionale. Non tanto e non solo per violazione dei principi desumibili da divergenti

orientamenti delle magistrature superiori, cui faceva rinvio un generico criterio di delega (art. 44,

comma 1, della legge n. 69/2009), quanto soprattutto per contrasto con i veri principi cardine della

effettività e pienezza della tutela giurisdizionale 109

(art. 24 cost., richiamato dall’art. 1 c.p.a.) che,

unitamente al principio complementare del giusto processo (art. 111 cost., richiamato dall’art. 2

c.p.a.), implicano la “trasformazione dell’interesse legittimo nella pretesa alla piena

soddisfazione… delle aspettative conseguenti al rapporto instaurato o instaurando con la pubblica

amministrazione” 110

. E’ alla luce di questi valori, del resto, che si è registrata nei principali Paesi

europei una radicale riforma dei sistemi di giustizia amministrativa che, sospinti al di fuori della

nebulosa 111

in cui erano rimasti relegati per il combinato effetto condizionante delle tradizioni

storiche e delle connesse metafore concettuali 112

, hanno cessato di essere uno strumento in difesa

della mera legalità per divenire tecniche avanzate di tutela dello “spazio di libertà che il cittadino

contemporaneo ha conquistato in modo definitivo e, sulle cui fondamenta, soltanto, può edificare e

proteggere l’integrità della sua vita personale” 113

.

Il recupero di una visione soggettiva e satisfattiva della tutela giurisdizionale resa dal giudice

amministrativo può peraltro passare anche da una interpretazione costituzionalmente orientata del

nuovo dato normativo, che consenta di limitarne le eccessive rigidità in funzione della

valorizzazione degli elementi di compatibilità con i principi appena evocati.

In questa direzione, e limitando l’analisi al tema principale oggetto della presente riflessione,

potrebbe anzitutto muoversi la stessa Corte di Cassazione, la quale, avendo perduto ormai il

controllo della problematica sub specie della peraltro ormai inadeguata e sforzata tecnica del

conflitto di giurisdizione, potrebbe ricucire lo strappo operato nel 2006 in favore di una

interpretazione dinamica del criterio di riparto, recuperando la prospettiva della pretesa azionata

anziché di quella adiuvata dia risalto alla qualificazione della pretesa risarcitoria in termini di diritto

soggettivo. Simile operazione consentirebbe di scavalcare in un colpo solo la barocca architettura

dell’art. 30 c.p.a., che è circoscritta al risarcimento degli interessi legittimi, ed aprirebbe la via ad

azioni di danni proponibili nel termine ordinario di prescrizione dinanzi al giudice ordinario 114

, ad

eccezione di quelle afferenti a materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 109

Per una corretta lettura dei quali, rispetto al criterio accessorio ed integrativo della concentrazione, si rinvia a G. D.

COMPORTI, Il sindacato del giudice delle obbligazioni pubbliche, in Dir. proc. amm., 2010, 413.

110 F. MERUSI, Giusrisdizione e amministrazione: ancora separazione dopo il codice sul processo amministrativo?, cit.

111 Come viene, letteralmente, messo in evidenza per il sistema inglese da M. ADLER, Introduction, in Administrative

justice in context, edited by M. ADLER, Oxford and Portland, 2010, XVI.

112 Sulla cui analisi critica, si veda F. GALGANO, Le insidie del linguaggio giuridico. Saggio sulle metafore nel diritto,

Bologna, 2010; Id., I dogmi nel diritto, in Contratto e impresa, 2010, 921.

113 Come notato, con riferimento ai sistemi continentali, da E. GARCÍA DE ENTERRÍA, Las Transformaciones de la Justicia

Administrativa: de Exceptíon Singular a la Plenitud Jurisdiccional. Un Cambio de Paradigma?, trad. it. di S. R. MASERA,

con Presentazione di A. TRAVI, Milano, 2010, 77.

114 Come ipotizzato da F. Merusi, In viaggio con Laband…, cit., 659.

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Si tratta peraltro di un’opzione interpretativa radicale che appare, con ogni probabilità, difficilmente

percorribile al momento attuale senza che maturino le condizioni per (quello che si profila) un

deciso ripensamento dell’indirizzo giurisprudenziale che, partendo dal riconoscimento del giudice

amministrativo come giudice naturale della funzione pubblica, ha ritenuto legittimamente

percorribile una “scelta, che trascende la qualificazione sostanziale della pretesa risarcitoria, per

concentrare davanti ad un unico giudice l’intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio

di quella funzione” 115

.

Più plausibilmente, quindi, una ragionevole soluzione potrebbe essere trovata anche all’interno del

sistema delineato dal codice, valorizzando la prospettiva autonomista ivi in ogni caso formalizzata e

legando al principio della domanda conformazione ed esito dei giudizi.

Si tratterebbe di percorrere la via dell’illecito “in termini puramente oggettivi”, ipotizzata sin dalla

relazione introduttiva al convegno napoletano del 1963 116

e mai seriamente battuta. Per seguire

consapevolmente simile itinerario, occorrerebbe recuperare le concezioni oggettive e meccaniche

del potere che, elaborate sin dalle prime generazioni di giuspubblicisti nel tentativo, peraltro

fortemente segnato da inclinazioni volontaristiche e soggettivistiche di matrice pandettistica, di

mettere a fuoco gli elementi costitutivi della sovranità, sono state riprese ed affinate anche dalle

generazioni successive per guadagnare una nuova e più feconda dimensione di senso delle

dinamiche che presiedono alle scelte collettive 117

. Sulla scorta di queste prospettazioni, il potere

può essere rappresentato come energia giuridica 118

attribuita dall’ordinamento per affrontare

problematiche che sfuggono al preventivo ed astratto calcolo razionale del regolatore di turno: una

tecnica, dunque, di realizzazione decentrata di effetti voluti, o dovuti ma non tempestivamente

voluti, che si avvantaggia del contatto ravvicinato con la dimensione concreta delle vicende fattuali

su cui intervenire. Ambito naturale di svolgimento di simile tecnica è il procedimento, ove vengono

acquisiti, mediante apposite e formalizzate modalità, i fatti rilevanti e valutate le possibili opzioni

decisorie. Una volta maturata la decisione conclusiva del procedimento, o esaurito il tempo previsto

per la sua formazione, i soggetti interessati possono agire in giudizio per far valere le pretese tradite,

dando così avvio al processo, nel quale non campeggiano più gli interessi ma si confrontano, in

posizione di dialettica equivalenza, affermazioni giudiziali 119

circa la fondatezza o meno di “un 115

Così, sulla scia delle sentenze nn. 13659 e 13660 del 2006 e n. 30254/2008, Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010 n. 7160.

116 Ipotesi suggerita da G. MIELE, Introduzione, cit., 5, il quale invitando a prendere in considerazione la via “che pone

nella mera violazione di norme giuridiche la fonte dell’obbligo del risarcimento, abbia oppure no il fattio violatore

della norma leso un diritto soggettivo o una diversa posizione giuridica di vantaggio”.

117 Oltre ai citati riferimenti alla “energia di effetto” o “energia giuridica” reperibili in U. BORSI, L’esecutorietà, cit., 276

e 357, si consideri il quasi coevo lavoro di D. DONATI, Atto complesso, autorizzazione, approvazione, in Arch. giur.,

1903, 5. Per riferimenti alla dottrina successiva ed un inquadramento più generale della problematica, si rinvia a G. D.

COMPORTI, Il cittadino viandante tra insidie e trabocchetti: viaggio alla ricerca di una tutela risarcitoria praticabile, in

Dir. amm., 2009, 680.

118 Sulle opzioni valoriali che si celano dietro i vari richiami alla “metafora energetica del potere amministrativo”, si

veda di recente S. CIVITARESE MATTEUCCI, Funzione, potere amministrativo e discrezionalità in un ordinamento liberal-

democratico, in Dir. pubbl., 2009, 739.

119 Si segue l’impostazione di F. LEDDA, La giurisdizione amministrativa raccontata ai nipoti, in Jus, 1997, 319.

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interesse concreto che aspira al suo riconoscimento” 120

. Nel processo non entra il potere, ma solo la

storia retrospettiva che ne fanno le parti, onde mettere il giudice in condizione di riesaminarne

presupposti, condizioni ed esiti. Tali storie si prestano ad essere analizzate dal giudice sulla base di

giudizi di fatto (vero-falso) e non giudizi di valore 121

, che competono soltanto all’amministrazione

in sede di esercizio (o rinnovato esercizio, in esecuzione di un giudicato) della funzione. In esse il

potere viene esaminato in relazione agli effetti positivi e negativi prodotti, ai quali viene

eziologicamente ricondotta la pretesa azionata: la logica finalistica e funzionale, che presiede allo

svolgimento del potere nel procedimento, lascia così il posto a quella causale che meglio si attaglia

all’esercizio della giurisdizione nel processo.

Le affermazioni dedotte in giudizio possono essere teleologicamente orientate ad attingere al

risultato finale del potere, ovverosia alla utilità (da conseguire o ripristinare) che ne rappresenta il

compimento, oppure ad altre utilità o risultati, anche di tipo strumentale e parziale, che comunque

prescindono dalla acquisizione del bene della vita finale.

La prima prospettiva assume la veste della tutela in forma specifica, alla quale l’attore può decidere

di associare anche l’azione di danni al fine di colmare il divario che può manifestarsi in caso di

ritardata o non completa soddisfazione della propria pretesa. In tale ipotesi, le due iniziative

possono ben coordinarsi secondo le condizioni definite nel terzo comma dell’art. 30 c.p.a.,

assumendo comunque la domanda di risarcimento valore accessivo e di completamento dell’azione

di annullamento dell’atto lesivo o del ricorso avverso il silenzio, ai cui termini di decadenza può

dunque essere assoggetta per ragioni di coerenza sistematica.

La seconda prospettiva assume la connotazione della tutela obbligatoria, in quanto implica rinuncia

al perseguimento della utilità finale e fuga dal rapporto con l’amministrazione per conseguire il

ristoro per equivalente dei pregiudizi sofferti. La lesione denunciata può dipendere dall’adozione (o

mancata adozione) di un atto: nel quale caso, non avendo interesse l’attore alla contestazione-

realizzazione di un certo assetto di interessi, deve ammettersi l’esercizio della sola azione

risarcitoria, pur dinanzi al giudice amministrativo, specializzato per il sindacato della funzione

pubblica, ma nel termine ordinario di prescrizione che è proprio del diritto fatto valere. In siffatto

contesto, il principio del concorso in funzione della esclusione del risarcimento non va inteso, come

pure il dato letterale sia della norma di rinvio (art. 30, c. 3, c.p.a.) che di quella implicitamente

richiamata (art. 1227, c. 2, c.c.) indurrebbero a ritenere, come mera sanzione della mancata

impugnazione dell’atto lesivo, ma come esplicitazione e proiezione della regola della causalità

giuridica di cui all’art. 1223 c.c. sul fronte della scelta del mezzo di tutela. Mentre, infatti, l’art.

1223 c.c. opera limitatamente alla stima delle conseguenze economicamente pregiudizievoli

dipendenti da un evento dannoso, l’art. 1227 c.c. opera come fattore di determinazione del danno da

risarcire e non di esclusione o diminuzione dello stesso 122

, legando eziologicamente la liquidazione

120

S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Disposizioni generali, Milano, 1959, 46.

121 Per chiarezza, si veda sul punto L. VON MISES, Theory and History (1957), trad. it. Teoria e Storia, Soveria Mannelli,

2009, 59: “Mentre i giudizi di valore sono peronali, soggettivi e ultimi, i giudizi sui mezzi sono principalmente

conclusioni tratte da proposizioni che si limitano ai fatti e riguardanti il potere di questi mezzi di produrre dati effetti.

Sul potere di un mezzo di produrre un dato effetto, ci può essere disaccordo e controversia tra gli uomini. Per la

valutazione dei fini ultimi, non esiste alcun criterio interpersonale disponibile”.

122 Accenna al legame tra gli artt. 1223 e 1227 c.c., all’insegna del comune principio di causalità giuridica, M. FRANZONI,

Il danno risarcibile, II, Milano, 2010, 22. Più esplicito P. G. MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile,

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giudiziale alle potenzialità offerte dallo strumento di tutela in concreto scelto ed azionato dal

soggetto danneggiato. La combinata lettura delle due norme induce non già ad affermare

un’improbabile responsabilità di quest’ultimo verso se stesso o un suo concorso nella altrui

responsabilità per inadempimento, ma ad inquadrare l’illecito in un’unitaria sequenza causale che

muove dalla unica responsabilità per inadempimento del debitore e conduce ad un’unica posta

risarcitoria, dalla cui integrale consistenza, per il principio di autoresponsabilità che onera i soggetti

agenti della scelta di mezzi adeguati agli effetti avuti di mira 123

, dovranno essere matematicamente

sottratti i danni che lo strumento di tutela prescelto non consente di valutare e riparare. Ciò significa

che la mancata impugnazione dell’atto lesivo non rende di per sé lecita la condotta

dell’amministrazione, né impedisce l’autonoma esperibilità del rimedio risarcitorio. Lo stesso, però,

soprattutto a fronte di valutazioni discrezionali che condizionano il conseguimento del bene della

vita, e che non siano condotte ad esaurimento attraverso il circuito di controllo impugnazione-

ottemperanza, non permette di giungere al ristoro dell’intero pregiudizio dipendente dalla mancata

soddisfazione di una pretesa, ma deve limitarsi ai danni subiti per effetto di una illegittimità

procedimentale sintomatica di una modalità comportamentale non improntata alle regole di

correttezza e protezione delle altrui sfere personali e patrimoniali 124

.

diretto da R. SACCO, Le fonti delle obbligazioni, 3, Torino, 1998, 287-288, il quale in un’ottica di efficienza parla di

“corollario del principio della causalità giuridica di cui all’art. 1223 c.c. ed uno degli esempi più classici

dell’autoresponsabilità privata”. Cfr. altresì P. TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano, 1967, 129. Per ulteriori sviluppi, di

cui si è tenuto conto nel testo, si veda G. GRISI, Causalità materiale, causalità giuridica e concorso del creditore nella

produzione del danno, in I contratti, 2010, 620.

123 Per una lettura del principio, in un’ottica di libera scelta delle modalità di azione e quindi di onere, che implica “una

valutazione in lato senso economica della opportunità di tenere un determinato comportamento per il conseguimento

di un dato risultato”, si può ancora proficuamente fare capo a S. PUGLIATTI, voce Autoresponsabilità, in Enc. dir., IV,

Milano, 1959, 455.

124 Per similari considerazioni, si veda Cons. stato, sez. IV, 29 gennaio 2008 n. 248, in un caso di azione per danno da

perdita del valore edificabile di un terreno per effetto della ritardata approvazione di un piano particolareggiato di

iniziativa privata. Il giudice, attribuendo rilievo al principio cardine della domanda ed a quello dispositivo cui il

processo risarcitorio deve conformarsi, a fronte della richiesta di pieno ristoro dei danni subiti per la mancata

realizzazione dell’intervento insediativo connesso al piano di lottizzazione, la cui approvazione era comunque riservata

al potere discrezionale dell’amministrazione, ha ritenuto di non potere “attribuire autonomo rilievo risarcitorio alla

mera violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, indipendentemente dalla soddisfazione

dell’interesse finale” e ha pertanto rigettato la domanda. Ad analoghe conclusioni giunge la giurisprudenza del giudice

ordinario allorché, per esempio, in tema di licenziamenti individuali ammette l’esperibilità dell’ordinaria azione

risarcitoria, anche in caso di mancato esercizio dell’azione ripristinatoria di cui all’art. 18 della legge n. 300/1970,

precisando che ciò non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro e che è comunque preclusa la possibilità di

conseguire per via risarcitoria le retribuzioni non corrisposte (Cass., sez. lav., 10 gennaio 2007 n. 245, in Foro it., Rep.

2007, voce Lavoro (rapporto), n. 1359-1360; Cass., sez. lav., 12 ottobre 2006 n. 21833, ivi, Rep. 2006, voce cit., n.

1414; Trib. Salerno, 18 dicembre 2000, in Arch. civ., 2001, 605, e Cass., sez. lav., 17 dicembre 2008 n. 29485, in Foro it.,

Rep. 2009, voce cit., n. 1443, in ipotesi di impossibilità sopravvenuta di reintegrazione ex art. 1463 c.c. per cessazione

dell’attività aziendale).

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Nell’ottica appena indicata si posizionano, del resto, quelle fattispecie illecite che, per essere

svincolate dal tipo di decisione assunta (o non assunta) in esito ad un procedimento,

recupererebbero a questo punto una loro autonoma fisionomia per collocarsi “oltre” la disciplina

processuale di cui all’art. 30 c.p.a., in quanto aventi ad oggetto la violazione delle aspettative di

certezza, tempestività e correttezza che si formano in relazione allo sviluppo del rapporto

amministrativo e non ai possibili esiti dello stesso 125

. Si tratta delle note ipotesi del danno da

inerzia, da comportamento scorretto e da irragionevole durata del processo, che possono essere

azionate in modo del tutto autonomo entro gli ordinari termini di prescrizione e nelle quali il

rapporto tra potere e danni si trova esplicato nella dimensione puramente oggettiva e causale che si

è cercato sin qui di delineare.

Simile ipotesi di lettura si presta, pertanto, ad essere utilmente estesa a tutte le figure illecite la cui

cognizione spetta al giudice amministrativo 126

, consentendo a questi la risoluzione delle questioni

dedotte in giudizio senza il filtro deformante degli interessi in gioco e delle posizioni soggettive, e

dunque in chiave rigorosamente tipologica ed oggettiva anziché ideologica 127

.

Dalle risposte che dottrina e giurisprudenza saranno in grado di dare alle anzidette questioni si

capirà, meglio che dalle tante celebrazioni in atto, se l’entrata in vigore del codice si risolverà in un

effettivo mutamento della “stella polare” 128

della giustizia amministrativa (dalla tutela

dell’interesse pubblico alla tutela effettiva del cittadino), capace di orientare il passaggio verso la

logica della satisfattività ed offrire così finalmente risposta a chi, ancora alla metà degli anni ’80,

125

Per l’individuazione di simili ipotesi e della loro importanza, si rinvia a G. D. COMPORTI, La tutela risarcitoria «oltre» il

codice, in corso di pubblicazione.

126 Ed anche al fine di discernere le ipotesi spettanti alla giurisdizione del giudice ordinario, sub specie di “controversie

meramente risarcitorie” che siano relative a lesioni attinenti all’esercizio “mancato di poteri” (per un accenno in tal

senso, pure in un più ampio contesto, si veda la citata sentenza Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010 n. 7160). In tale

direzione pare muoversi la prima giurisprudenza applicativa del codice. Si consideri, per esempio, la già citata sentenza

Tar Toscana, sez. I, 11 novembre 2010 n. 6579, che, investita dell’annullamento di una gara ufficiosa indetta da un

ente locale per l’individuazione di un intermediario finanziario cui affidare la ristrutturazione del proprio debito, ha

ritenuto spettante alla giurisdizione ordinaria non solo la domanda di inefficacia del contratto medio tempore

stipulato ma anche la domanda di risarcimento del danno di immagine che trae origine da un’intervista rilasciata ad

un quotidiano dal legale rappresentante dell’ente, in quanto “appare causalmente legato al comportamento del

presidente provinciale che ha dato risalto alla vicenda de qua… cioè, non deriva dall’esercizio di un potere

amministrativo concretantesi nell’utilizzo di una potestà pubblicistica dell’ente, che rappresenta il perimetro della

giurisidizione di questo giudice”. Cfr. altresì A. DI MAJO, Profili della responsabilità civile, cit., 154.

127 Per gli sviluppi di simile prospettiva d’indagine, condotta avvalendosi del modello della responsabilità oggettiva di

cui all’art. 2051 c.c., si rinvia a ancora a G. D. COMPORTI, Il cittadino viandante tra insidie e trabocchetti: viaggio alla

ricerca di una tutela risarcitoria praticabile, cit., 676. Si tratta di una linea interpretativa destinata ad essere sviluppata

anche per effetto del superamento del principio della colpevolezza, anche in forma presunta, decretato da Corte di

Giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09, e, su tale scia, da alcuni giudici nazionali (per es. Tar Lombardia,

Brescia, sez. II, 4 novembre 2010 n. 4552).

128 Evocato, in singolare concomitanza con l’avvio della codificazione, dai Presidenti Salvatore prima (cfr. la sua

Relazione del febbraio 2010) e de Lise poi (cfr. il suo discorso di Insediamento del settembre 2010).

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evocando una sorta di permanente “giustizia amministrativa di transizione…densa di problemi e

praticamente priva di avvenire”, annotava: “Il libro delle tutele giurisdizionali nei confronti della

pubblica amministrazione è interamente da riscrivere e in esso il capitolo dedicato alla giurisdizione

di legittimità, se ci sarà, non sarà certo fra i capitoli più importanti” 129

.

129

M. NIGRO, E’ ancora attuale una giustizia amministrativa?, in Foro it., 1983, V, 256 e 258.