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di Marta Cerioni Assegnista di ricerca in Diritto pubblico
Università Politecnica delle Marche
Il cittadino-utente delle informazioni pubbliche.
Linee di tendenza dal D.lgs. n. 33/2013 sino alla “Riforma Madia”
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Il cittadino-utente delle informazioni pubbliche. Linee di tendenza dal D.lgs. n. 33/2013 sino alla “Riforma Madia”*
di Marta Cerioni
Assegnista di ricerca in Diritto pubblico Università Politecnica delle Marche
Sommario: 1. Il cittadino e l’utente tra il “purismo teorico” e la “prassi opacizzante”. 2. Il
cittadino come titolare del diritto al rispetto dei principi democratico e di trasparenza. 3. L’utente
diviene il soggetto che esercita i diritti di cui è titolare il cittadino. 4. Il primo effetto dell’osmosi:
la responsabilità politica diffusa ed i feed-back per gli utenti. 5. Lo strumento - grimaldello
dell’accesso civico per rendere effettivo un controllo diffuso e costante dei cittadini-utenti su
politica e P.A. 6. Il Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti elevato a parte
istituzionale. 7. Alcune riflessioni (critiche) conclusive sui paradossi della democrazia degli utenti
1. Il cittadino e l’utente tra il “purismo teorico” e la “prassi opacizzante”
L’ordinamento giuridico italiano presenta, almeno in teoria, la distinzione tra le figure di
“cittadino” ed “utente”, quest’ultima emersa solo recentemente.
Nella definizione di cittadinanza, malgrado le diverse accezioni, è possibile individuare due
elementi fondamentali: quello relativo alla “soggezione”, tendenzialmente stabile e permanente,
ad un’autorità statale (la cosiddetta “sudditanza”); e quello della partecipazione ad una comunità
politica organizzata in uno Stato; tale partecipazione comporta in linea di principio l’essere
destinatari di diritti e doveri tendenzialmente distinti rispetto a quelli degli stranieri1.
* Articolo sottoposto a referaggio. 1 Per un esame delle teorie che considerano necessari entrambi questi elementi si rinvia ad A. MAKAROV, Allgemeine Lehren des Staatsangehörigkeitsrechts2, Stuttgart, 1962, 21 s.; per gli opportuni riferimenti alle diverse teorie che considerano essenziale solamente il c.d. status activae civitatis ancora A. MAKAROV, Allgemeine Lehren des Staatsangehörigkeitsrechts2, Stuttgart, 1962, 24 ss.; Quadri, «Cittadinanza», «Cittadinanza», in NN.D.I., III, Torino, 1967, 315. Nella letteratura manualistica di diritto costituzionale si sottolinea spesso come «la posizione di cittadino non possa mai esaurirsi in un puro rapporto di sudditanza»: così testualmente MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975, 122 ss., e in termini analoghi MARTINES, Diritto costituzionale4, Milano, 1986, 169 ss.; inoltre, ad una «sudditanza permanente»
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Secondo parte della dottrina, la posizione giuridica dell’utente – inteso come colui che fruisce di
servizi statali o parastatali – può essere ricondotta a quella di “cittadino”, purché quest’ultimo sia
«inteso come soggetto che vive stabilmente in una certa parte del territorio nazionale e lì vi ha
costruito il centro dei propri affari ed interessi lavorativi, indipendentemente dal fatto che sia
titolare o meno, dello status di “cittadino” tecnicamente inteso, ossia secondo l’accezione di
cittadinanza politica»2.
Questa posizione si basa sul fatto che nel nostro Paese, a causa dei considerevoli fenomeni di
immigrazione, anche i soggetti privi di cittadinanza possono accedere ai servizi pubblici essenziali
assumendo la qualità di utente.
Secondo questa impostazione, l’evoluzione del concetto di cittadinanza verso una nozione
atecnica ma più aderente alla realtà rappresenta l’esito del mutamento del complesso rapporto fra
Stato (inteso come potere amministrativo) e cittadino, laddove quest’ultimo ricopriva la mera
condizione di «amministrato» o perfino di «suddito» sottoposto a decisioni politico-
amministrative. Quel modello di amministrazione e di Stato aveva come obiettivo l’interesse
pubblico in virtù del quale l’interesse dell’amministrato poteva essere sacrificabile anche
interamente in quanto «mero beneficiario passivo di prestazioni». Si pensi alle parole pronunciate
da De Valles che, nel discorso inaugurale dell’anno accademico dell’Università di Urbino, tenuto
ma qualificata da diritti politici si riferisce VIRGA, Diritto costituzionale, Palermo, 1979, 39 ss. Cfr. anche CAPALOZZA, La cittadinanza nell'odierno ordinamento giuridico, Torino, 1913; Gemma, L. 13-6-1912 sulla cittadinanza, Roma, 1913; MORAGLIA, La Cittadinanza Italiana secondo la l. 13-6-1912, n. 555, Forti, 1913; Buzzati, La legge sulla cittadinanza, 13-6-1912, Milano, 1914; DE DOMINICIS, Commento alla legge sulla cittadinanza del 13-6-19122, Torino, 1916; DEGNI, Della cittadinanza, Napoli-Torino, 1921; BOSCO, Nationalité en Italie, in Répertoire de droit international publié par. A. De Lapradelle et J. P. Niboyet, t. IX, Paris, 1931, 670 ss.; GATTESCHI, Commentario delle leggi sulla cittadinanza, Bolzano, 1958; H. DOERNER, H. HECKER, Das Staatsangehörigkeitsrecht Italiens (Sammlung geltender Staatsangehörigkeitsgesetze, XXVIII), Frankfurt am Main-Berlin, 1967; Kojanec, La cittadinanza italiana nei suoi riflessi interni ed internazionali3, Roma, 1978; CLERICI, «Cittadinanza», in NN.D.I. App., I, Torino, 1980, 1265 ss.; BALLARINO, Diritto internazionale privato, Padova, 1982, 525 ss. e Appendice, 1983; BARIATTI, Droit de la nationalité, Italie, in Juris-Classeur. Nationalité. Commentaire des traités internationaux et des législations nationales, sous la direction de Ch. L. Closset et M. J. Verwilghen, Paris, 1983; ARENA, La cittadinanza italiana. Nuova disciplina della cittadinanza dopo le pronunce della Corte Costituzionale e dopo l'entrata in vigore della l. 21-4-1983, n. 123, Bologna, 1984; BALLARINO (a cura di), Disposizioni in materia di cittadinanza, NLCC, 1984, 969 ss.; PANETTA, Commento alla nuova legge sulla cittadinanza, Rimini, 1984; PAGANO, Commento alla l. 13-6-1912, n. 555, sulla cittadinanza italiana, in La legislazione civile annotata con la dottrina e la giurisprudenza a cura di Perlingieri, 1, Napoli, 1985; Id., Commento alla l. 21-4-1983, n. 123, ibidem, 2, Napoli, 1985; SACCHETTO, La cittadinanza. Nuova problematica alla luce della l. 21-4-1983, n. 123, Milano, 1985; BAREL, L. 15-5-1986, n. 180, NLCC, 1986,1171. 2 R. RINALDI, La posizione giuridica soggettiva dell’utente di servizi pubblici, Padova, 2011, 2 ss. Sull’utente, cfr. M. CAMMELLI, Per un nuovo statuto dell’utente, in Pol. Dir., 1983; G. ALPA, Contratti di utenza pubblica, in Nuova giur. civ. comm., 1986; G. ARENA, Valori costituzionali e ruolo della amministrazione, in Studi in onore di V. Ottaviano, I, Milano, 1993; ID., Proposte per una riforma della amministrazione, in Pol. Dir., n. 3/1993; ID., «L’utente-sovrano», in Studi in onore di F. Benvenuti, Modena, 1996.
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il 5 novembre 1923, era giunto ad osservare che «all’utente, dunque, nella gran parte dei casi, non
resta che la magra soddisfazione del reclamo: che è certamente il più popolare degli istituti di
controllo, in quanto ognuno può muoverlo: ma è il meno serio, perché l’amministrazione o non
risponde, o, quando risponde, risponde quello che vuole. Ed il reclamante, soddisfatto o no, si
deve accontentare»3.
L’attività amministrativa dello Stato, inoltre, ha continuato ad espandersi anche verso delle
“attività sociali” secondo la celebre formula di V. E. Orlando4. Da questa semplice constatazione,
l’illustre giurista ne ha dedotto che «l’idea del servizio non precede, ma segue quella della pubblica
amministrazione»5 e, continuando nel ragionamento, è approdato alla considerazione secondo cui
l’intera attività amministrativa è volta al rendimento di pubblici servizi e, dunque, questi ultimi
non possono essere considerati come categoria giuridica e figura giuridica vera e propria bensì
come formula riassuntiva degli scopi sociali dell’amministrazione. In questa prospettiva, la
posizione dell’utente è identificabile con quella di un semplice destinatario dell’erogazione dei
servizi da parte dello Stato: egli è semplicemente «il punto finale di un’azione di altri –
l’Amministrazione, appunto – a cui egli non prende parte se non come ricevente e percettore»6.
Come è stato argutamente osservato, i rapporti tra Amministrazione e privati erano «meno
garantiti rispetto a quelli di cittadinanza, che pure esistono. Ciò determina una sorta di scissione,
nel soggetto privato (persona), tra la posizione di cittadino e quella di amministrato, e, dunque, un
doppio rapporto stato/cittadino, amministrazione/amministrato»7. Su questa linea era assestata
anche la precedente giurisprudenza che, almeno fino agli anni ottanta, riteneva che nei contratti
predisposti unilateralmente dal soggetto pubblico, il contraente-utente non aveva ragione di
temere l’applicazione di clausole vessatorie, in quanto l’operato della pubblica amministrazione
3 A. DE VALLES, I pubblici servizi e gli utenti. Verso nuove forme di esercizio. Il testo è stato ripubblicato, di recente, in Relazioni dei rettori e discorsi inaugurali dei docenti nella libera università di Urbino, III (1917-1946), Arti grafiche editoriali, Urbino, 1997, 1571 ss. 4 V. E. ORLANDO, Introduzione al diritto amministrativo, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, diretto da V. E. Orlando, I, Milano, 1900, secondo il quale «l’amministrazione può essere attuazione della sovranità dello Stato, può essere mezzo al fine della tutela del diritto; ed in tal caso essenzialmente giuridico è il contenuto. Ma quando l’amministrazione si applica alla tutela economica, alla cura fisica degli individui, al loro sviluppo intellettuale, il presupposto della sua attività è non più lo Stato, ma bensì la società che non è un organismo giuridico» (p. 275). 5 V. E. ORLANDO, Primo trattato, op. cit., 58. 6 Così U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica e Costituzione, Padova, 1996, 233 ss. 7 R. RINALDI, La posizione giuridica soggettiva dell’utente di servizi pubblici, op. cit., 22. Si simile avviso anche S. CASSESE, Il cittadino e l’amministrazione pubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, 1018. Si discosta parzialmente la posizione di G. Napolitano il quale ritiene che il rapporto di utenza sia assorbito «nel più generale rapporto di cittadinanza», (ID., Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, 2005, 2).
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era, per definizione, caratterizzato da finalità di interesse generale, e, quindi, intrinsecamente, di
imparzialità e giustizia8.
La svolta a questa fase è rappresentata dalla Carta costituzionale, specie con l’introduzione dei
principi personalista, solidarista e di uguaglianza (artt. 2 e 3 Cost.) che hanno consentito di
mutare il punto di vista approdando ad una concezione secondo la quale l’Amministrazione ha il
compito di «servire gli uomini» 9 come imponeva anche l’ordine del giorno Dossetti 10 . Di
conseguenza, i servizi resi al cittadino-utente devono essere intesi come degli strumenti volti ad
accrescere l’autodeterminazione, la libertà e quindi «il pieno sviluppo della persona e l’effettiva
partecipazione alla vita del Paese»11.
Per assistere alla mutata consapevolezza del “nuovo cittadino”12, si è dovuto attendere l’ingresso
nel nostro ordinamento giuridico di altre novità legislative, a partire dalla legge n. 241/1990, che
hanno introdotto il modello della amministrazione partecipata in cui il cittadino è co-responsabile
dell’azione amministrativa e contemporaneamente “giudice” della stessa.
Pertanto si può ammettere che l’utente e il cittadino siano due figure non coincidenti poiché
attengono a rapporti differenti. La cittadinanza è un rapporto stabile e duraturo con lo Stato di
appartenenza e che presuppone dei requisiti molto precisi, al contrario del rapporto di utenza che
è più relativo poiché si instaura volta per volta mediante una scelta (talvolta obbligata) dell’utente
stesso. Infine, non tutti i cittadini sono utenti e non tutti gli utenti sono cittadini, anche se questi
ultimi sono normalmente anche utenti (specialmente di servizi pubblici essenziali). Pertanto i due
insiemi presentano un’intersezione laddove l’utente sia anche un cittadino ma divergono, ad
esempio, nel caso in cui sia utente uno straniero regolarmente soggiornante. Da un lato, quindi, la
cittadinanza attiene al rapporto uomo/Stato quale entità politica, dall’altro, l’utenza attiene al
rapporto uomo/Stato inteso come ente erogatore di servizi. Il punto di congiunzione tra le due
categorie è che i servizi pubblici (in particolare quelli essenziali) non possono essere ricondotti
tout court a meri contratti fra cives. L’utente è il fruitore di un servizio, mentre l’utente di un servizio pubblico è
fruitore del servizio che lo Stato in qualità di entità politica ha deciso di erogare direttamente o perché trattasi di
8 Così, A. BENEDETTI, Profili evolutivi della tutela dell’utenza, in Quaderni del pluralismo. Pubblico- privato. I servizi pubblici, Torino, 1998, 288 s. 9 U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica, op. cit., 11 10 Atti della Commissione per la Costituzione, prima sottocommissione, 9 settembre 1946, in http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/i_sottocommissione/sed003/sed003nc.pdf, 21 s. 11 G. ARENA, Proposte, op. cit., 506. Sull’istituzione al servizio della libertà, cfr. G. SILVESTRI, Intervento al Convegno “Carceri, immigrazione, diritti umani nello spazio costituzionale europeo”, svoltosi il 15-16 ottobre 2013 presso l’Università degli Studi di RomaTre, disponibile su www.radioradicale.it. 12 F. BENVENUTI, Il nuovo cittadino, Venezia, 1994.
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servizio connaturato alla sovranità stessa (ad es. giustizia, ordine pubblico e così via) o perché ritenuto essenziale
all’esistenza e sviluppo della persona umana (ad es. sanità, educazione e così via). Se quindi l’utente è l’abitante
del mercato, l’utente dei servizi pubblici è un abitante esclusivo di quel mercato anzi l’abitante per cui quel mercato
è stato creato al fine di essere maggiormente tutelato come persona e cittadino13.
Per tali motivi, le commistioni fra la cittadinanza e l’utenza sono molto frequenti e seppur
teoricamente distinguibili, spesso concretamente confondibili.
2. Il cittadino come titolare del diritto al rispetto dei principi democratico e di
trasparenza
Recentemente il legislatore ha fatto un altro passo in avanti, utilizzando il termine “utente” anche
nel senso di “cittadino che vanta dei diritti di prestazioni positive – persino di natura
genericamente politica – verso lo Stato (istituzioni elettive, Pubbliche Amministrazioni e persino
partiti) anche azionabili in giudizio”.
Si pensi all’introduzione del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 recante il “riordino della disciplina
riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle
pubbliche amministrazioni” che ha di fatto ufficializzato l’osmosi in corso tra le due figure
dogmatiche.
L’obiettivo di tale testo normativo è quello di affermare con forza il principio di trasparenza
inteso come «accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle
pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento
delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche»14.
Più precisamente la trasparenza viene indicata come uno strumento che concorre ad «attuare il
principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento,
responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel
servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive,
nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e
concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino»15.
In una prospettiva costituzionalmente orientata, il diritto alla conoscibilità dell’azione dei pubblici
poteri da parte dei cittadini – corollario del principio generale di trasparenza che valorizza la
13 Su questo punto, mi sia consentito rinviare alla mia monografia, Diritti dei consumatori e degli utenti, Napoli, 2014 e ivi ampia bibliografia citata. 14 Art. 1, comma 1 del d.lgs. n. 33/2013. 15 Art. 1, comma 2, d.lgs. n. 33/2013.
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posizione costituzionale del cittadino nello Stato di democrazia pluralista – rappresenta
l’emersione di un “nuovo diritto”16.
I principi citati, di cui la trasparenza ne è a servizio, chiariscono in modo puntuale come il
problema centrale delle democrazie contemporanee stia nella circolazione delle informazioni, dal
momento che è proprio dalla «trasparenza delle decisioni che consegue da tale circolazione» che è
possibile misurare la «realizzazione del principio di sovranità popolare»17.
Ad iniziare dagli arcana imperii di tacitiana memoria18, nelle diverse forme di Stato che si sono
avvicendate, il principio della segretezza dell’azione pubblica e delle decisioni politiche è stato
sempre un imperativo collegato all’esercizio dei poteri pubblici.
Il segreto è stato concepito in funzione strumentale all’azione unilaterale della Pubblica
amministrazione 19 ed alla immagine molto limitativa dell’amministrazione, che si riteneva
chiamata «a dare mera attuazione alle scelte compiute dal legislatore»20, non consapevoli che nello
Stato contemporaneo la P.A. non è più soltanto mera esecuzione, ma è divenuta soprattutto
gestione, con ampi margini di scelte discrezionali21: «non esegue, ma interpreta, sceglie, decide»,
esercitando «un potere largamente autonomo e sempre più difficilmente controllabile con gli
strumenti tradizionali»22.
Nella concezione classica, infatti, il rapporto tra amministrazione e cittadini era espresso dal
binomio “autorità-libertà”, sulla base dell’argomentazione che soltanto mediante «l’esercizio
autoritativo del potere fosse possibile all’amministrazione realizzare […] gli obiettivi affidatale
16 C. COLAPIETRO, Trasparenza e democrazia: conoscenza e/è potere, in L. CALIFANO , C. COLAPIETRO (a cura di), Le nuove frontiere della trasparenza nella dimensione costituzionale, Napoli, 2014, 17. 17 E. CHELI, Informazione, decisione politica, controllo sociale: spunti per un’analisi comparata, in Dir. inf., 1987, 813, il quale trova nell’esistenza delle democrazie contemporanee un complesso intreccio di flussi informativi che si legano «tanto all’attività conoscitiva dello Stato, quanto all’attività informativa dello Stato e sullo Stato, i quali condizionano tanto la decisione politica quanto il controllo sociale». 18 La locuzione si deve all’opera di P.C. TACITO, Annali, libro II, 36, che definisce come arcana imperii l’astuta politica di Tiberio, ed è stata poi ripresa prima da A. CHAPMAR, De arcanis rerum publicarum libri, VI, Bremen 1605, per elaborare una teoria generale dell’arcano (distinguendo tra arcana imperii e arcanum dominationis) e poi da C. SCHMITT, La dittatura. Dalle origini dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria (1921), Roma-Bari 1975, 26 ss. (cfr. G. CORSO, Potere politico e segreto, in AA.VV., La trasparenza amministrativa, a cura di F. Merloni, Milano 2008, 278). 19 Cfr. in proposito I.M. MARINO, Giudice amministrativo, motivazione degli atti e “potere” dell’amministrazione, in Foro. amm. Tar, 2003, 360. 20 A.G. OROFINO, Profili giuridici della trasparenza amministrativa, Bari 2013, 17, a cui si rinvia per un’attenta analisi dei profili evolutivi del principio di trasparenza. 21 Sul punto cfr. C. COLAPIETRO, Governo e amministrazione. I: La dirigenza pubblica tra imparzialità ed indirizzo politico, Torino 2004, spec. 1 e 13. 22 G. ARENA, Trasparenza amministrativa e democrazia, in AA.VV., Gli istituti di democrazia amministrativa, a cura di G. Berti e G.C. De Martin, Milano 1996, 16.
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dalla legge»23. Così, per secoli «lo Stato ed il diritto pubblico sono stati dominati dal conflitto
Stato-cittadino, due poli irriducibili ed in contrasto tra di loro […] a causa della superiorità di uno
sull’altro24 , che ha fatto sì che la nostra amministrazione, al pari di quella di molti altri Paesi
europei, si sviluppasse sulla base di quel fondamentale paradigma bipolare teorizzato da Santi
Romano»25 , nell’ambito del quale amministrazione e cittadini costituiscono i due poli «di un
rapporto asimmetrico, conflittuale, fondato sulla separazione e la divergenza degli interessi»26 .
D’altronde, è stato rilevato come persino la Costituzione del 1948 fosse incline ad una visione
“statica” della posizione costituzionale del cittadino nei confronti dei poteri pubblici, nell’ambito
della quale non era possibile che «la più ampia messa a disposizione delle informazioni detenute
potesse divenire un’attività obbligatoria per i soggetti pubblici», a cui far corrispondere «un
preciso diritto ad ottenere quelle informazioni»27.
Con l’entrata in vigore della Costituzione italiana, d’altro canto, la trasparenza è divenuta un
obbligo per l’Amministrazione imposto proprio dal principio democratico.
Considerato che l’unica azione davvero incisiva che poteva esperire il cittadino era il diritto di
voto, è evidente che per esercitarlo correttamente fosse necessario avere tutte le informazioni
disponibili al fine di promuovere quella nozione di democrazia come «potere in pubblico» tale da
«indicare tutti quegli espedienti istituzionali che costringono i governanti a prendere le loro
decisioni alla luce del sole e permettono ai governati di “vedere” come e dove le prendono»28.
Pertanto, dapprima si è passati dall’iniziale teorizzazione astratta di un diritto all’informazione,
che similmente al precedente statunitense del Freedom of Information Act del 1966 riconosce il
diritto diffuso ad accedere a documenti amministrativi, non necessariamente collegato ad una
specifica legittimazione derivante da un dimostrabile interesse all’accesso, per poi aderire ad una
concezione, se si può dire, continentale del diritto di accesso, innestato in Italia dagli esempi della
23 A. BONOMO, Informazione e pubbliche amministrazioni. Dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, Bari 2012, 52. 24 S. CASSESE, L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 602 ss., secondo cui questo rappresenta «il paradigma fondamentale del diritto pubblico nel XX secolo», ed è fondato sulla separazione tra Stato e comunità, tra autorità e libertà, secondo l’insegnamento di M.S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano 1950, 71. 25 Cfr. S. ROMANO, Corso di diritto amministrativo, Padova 1930, 83, che distingueva tra «soggetti attivi e passivi della potestà amministrativa», contrapponendo, «da un lato, i soggetti che amministrano e che, nel loro insieme, costituiscono […] la pubblica amministrazione, e, dall’altro lato, gli amministrati». 26 G. ARENA, Trasparenza amministrativa, in AA.VV., Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. CASSESE, vol. VI, Milano 2006, 5953 27 P. MARSOCCI, Gli obblighi di diffusione delle informazioni e il d. lgs. 33/2013 nell’interpretazione del modello costituzionale, in Ist. fed., 2013, 692. 28 N. BOBBIO, La democrazia, in ID., Teoria generale della politica, a cura di M. Bovero, Torino 1999, 339.
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Francia e della Spagna, arrivando a prefigurare prima con il D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, e ad
affermare finalmente con il D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, un modello di accessibilità totale.
Un ancoraggio più solido è stato tracciato dalla Corte costituzionale che ha individuato nel primo
comma dell’art. 97 il fondamento della pubblicità e della trasparenza, ed in particolare nel
principio del buon andamento. Tuttavia, non si può non rimarcare come non manchino anche
nella giurisprudenza costituzionale oscillazioni riguardo alla relativa qualificazione dei due istituti29
, essendo stati definiti a volte come «obiettivi» derivanti dalla loro ontologica natura di «valori
essenziali in un ordinamento democratico»30, oppure come «criteri»31 o, ancora, come «principi
costituzionali»32 o persino «con copertura costituzionale»33, ancorata ai «principi del patrimonio
comune dei paesi europei»34.
Pertanto, proprio basandoci sullo stretto rapporto fra trasparenza e democrazia, si possono
ipotizzare «forme nuove di esercizio della sovranità popolare e, quindi, di tutela della dignità della
persona»35 ed osservare il cittadino di fronte ai nuovi orizzonti dello Stato e del mercato.
3. L’utente diviene il soggetto che esercita i diritti di cui è titolare il cittadino
È lapalissiano che la nuova concezione di trasparenza presupponga un diverso modo di intendere
i rapporti tra amministrazione e cittadini che superi il tradizionale binomio “autorità-libertà”,
polarizzandosi intorno al binomio “funzione-interesse” (funzione dell’amministrazione ed
interesse del cittadino fruitore del servizio)36. Ciò deve essere inteso nel senso che «non è più la
coppia “potere-soggezione” che caratterizza l’agire amministrativo, ma piuttosto la coppia
“funzione sociale-diritti della persona”»37.
Il principio di trasparenza è, infatti, inteso in endiadi con il principio democratico, poiché nelle
odierne democrazie rappresentative – fondate sulla necessaria distinzione tra il popolo, quale
«soggetto permanentemente detentore della sovranità» e le istituzioni, quali «soggetti
temporaneamente esercenti la sovranità stessa» – è proprio il principio di trasparenza «a reggere
29 Come esaustivamente ha evidenziato P. MARSOCCI, Gli obblighi di diffusione delle informazioni e il d.lgs. 33/2013 nell’interpretazione del modello costituzionale di amministrazione, in Ist. fed., 2013, 699 ss. 30 Tale definizione è stata fornita per la prima volta in Corte cost., sent. n. 262/1997, in www.giurcost.it. 31 Corte cost., sent. n. 104/2006, in www.giurcost.it. 32 Corte cost., sent. n. 372/2004, in www.giurcost.it. 33 Corte cost., sent. n. 175/2011, in www.giurcost.it. 34 Corte cost., sent. n. 104/2006, in www.giurcost.it. 35 G. ARENA, Trasparenza amministrativa e democrazia, in AA.VV., Gli istituti di democrazia amministrativa, a cura di G. Berti e G. C. De Martin, Milano 1996, 13 ss. 36 Così G. ARENA, L’«utente-sovrano», in AA.VV., Studi in onore di Feliciano Benvenuti, vol. I, Modena 1996, 156. G. ARENA, Trasparenza amministrativa e democrazia, op. cit., 22 s. 37 U. ALLEGRETTI, Pubblica amministrazione e ordinamento democratico, in Foro it., n. 5/1984, 17.
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l’intero sistema sia in fase (ascendente) di delega e legittimazione all’esercizio del potere, sia in
fase (discendente) di controllo sulle forme e sui risultati di tale esercizio»38.
Il sistema viene invaso dal concetto dirompente che esiste un cittadino-utente che
l’amministrazione deve soddisfare, non solo secondo i canoni costituzionali ovvero in modo
imparziale ed efficiente, ma anche secondo logiche aziendalistiche ed economiche che
necessariamente devono tenere conto della soddisfazione dell’utente39.
4. Il primo effetto dell’osmosi: la responsabilità politica diffusa ed i feed-back per gli
utenti
Le relazioni causa ed effetto, nel settore amministrativo e politico, sono state le seguenti.
Affinché il cittadino possa giudicare correttamente i propri governanti e l’amministrazione, egli
necessita di informazioni complete anche con lo scopo di instaurare un regime compiutamente
democratico. E’ pertanto necessario bandire per sempre la segretezza e «dove un superiore,
pubblico interesse non imponga un segreto momentaneo, la casa dell’Amministrazione dovrebbe
essere di vetro»40. Solo in questo modo, sarà possibile creare un sistema di controllo diffuso sulle
azioni degli organi elettivi e della P.A.
Un ulteriore esempio di ciò è stato confermato dall’adozione del decreto-legge 28 dicembre 2013,
n. 149 sull’ “abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la
democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione
indiretta in loro favore”, convertito in legge con modificazioni dalla legge n. 13 del 2014.
Nel preambolo, troviamo le cause sociali che hanno dato origine a questo provvedimento
individuate nel contenimento della spesa pubblica e nel malcontento dei cittadini per l’impiego
38 D. DONATI, Il principio di trasparenza in Costituzione, in AA.VV., La trasparenza amministrativa, a cura di F. Merloni, Milano 2008, 129, il quale, ripercorrendo il ruolo avuto dal principio di trasparenza nell’evoluzione degli Stati liberali e democratici, rileva che dapprima ha rappresentato il valore-guida sia nella configurazione dell’organizzazione «razionale» (ossia secondo logiche visibili ed intellegibili) dei poteri pubblici, quale strumento fondamentale «per la comprensione e la valutazione dell’esercizio del potere nelle sue diverse forme», sia nella costituzionalizzazione (con relative garanzie) delle cd. libertà dallo Stato, quale strumento «dell’affermazione e della conoscenza dei diritti»; in una seconda fase, invece, la trasparenza ha concorso all’ampliamento ed al consolidamento di quei diritti di partecipazione politica (le cd. libertà nello Stato) che segnano il passaggio al modello democratico, quale strumento «per la partecipazione consapevole alla formazione delle scelte politiche». 39 In tema A. MARGHERI, La rilevazione della customer satisfaction nelle amministrazioni pubbliche, in Informator, 2009, 9 ss. 40 F. TURATI, Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, sess. 1904-1908, seduta del 17 giugno 1908, 22962.
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troppo disinibito delle risorse pubbliche dei partiti in un momento di grave situazione economica
del Paese41.
Più significativamente, il decreto ritiene rilevante «altresì l’ineludibile esigenza di assicurare il
passaggio ad un sistema fondato sulle libere scelte dei contribuenti, che attribuisca ai cittadini un
ruolo centrale sul finanziamento dei partiti, attesa la loro natura di associazioni costituite per
concorrere con metodo democratico a determinare le politiche nazionali, ai sensi dell’articolo 49
della Costituzione».
In questo passo si può scorgere come nel circuito cittadinanza-partiti politici-rappresentanza
elettorale entrino anche i “contribuenti” intesi come coloro che pagano per un determinato
servizio ovvero degli utenti finali cui anche la politica si deve confrontare, in particolare
attraverso meccanismi di feed-back che assicurino a questi ultimi che il servizio è stato reso con
standard di qualità ed efficienza. In questo caso, si deve intendere nel senso che non ci siano stati
sprechi e corruzione o malaffare da parte della politica al fine di «favorire forme diffuse di
controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche» (art.
1, comma 1, d.lgs. 33/2013).
Il cittadino-utente, in una democrazia che vuole essere effettiva e controllata in modo continuo
da chi detiene la sovranità popolare, aspira così a diventare giudice dell’operato delle
amministrazioni e della politica. La fase attuale di grave crisi economico-finanziaria incancrenisce
tale aspetto, spesso eccedendo nelle pretese con forme di populismo anche violento.
Costituzionalmente, vi è un ampliamento della sfera appartenente alla responsabilità politica
come species di responsabilità che non appartiene al genere della responsabilità giuridica. La
responsabilità politica, infatti, può essere fatta valere secondo situazioni non tipizzate (e non
tipizzabili), non esistendo criteri di valutazione dei comportamenti dei responsabili, in quanto è
mancante «il collegamento predeterminato dalle norme tra un certo (nominato e specifico) fatto e
una certa (nominata e specifica) conseguenza»42.
41 «Considerato che la grave situazione economica del Paese impone con urgenza l'adozione di misure che intervengano sulla spesa pubblica, in linea con le aspettative dei cittadini di superamento del sistema del finanziamento pubblico dei partiti ed in coerenza con la linea di austerità e di rigore della politica di bilancio adottata in questi ultimi anni». 42 G. U. RESCIGNO, Responsabilità (diritto costituzionale), in Enc. dir., Milano 1988, 1342.
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5. Lo strumento - grimaldello dell’accesso civico per rendere effettivo un controllo diffuso
e costante dei cittadini-utenti su politica e P.A.
In aggiunta a ciò, il livello di qualità delle informazioni stabilito dallo Stato non può essere
derogato in peggio poiché rappresenta l'individuazione del livello essenziale delle prestazioni
erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della
corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera m),
Cost. Proprio nella legge infatti, la trasparenza viene concepita come valore che fonda tutta la
Pubblica Amministrazione la quale deve essere al “servizio del cittadino”.
Di conseguenza, tutta la legge pone una fitta maglia di norme volte a rendere gli obblighi della
Pubblica Amministrazione più stringenti e al tempo stesso trasparenti.
Un caso esemplificativo è rappresentato dell’istituzione dell’accesso civico.
Il legislatore italiano ha modificato la prospettiva del diritto di accesso; all’accesso procedimentale
classico di cui gli artt. 22 e ss. l. n. 241 del 1990, necessariamente collegato alle specifiche esigenze
del richiedente (need to know), si è aggiunto il cd. accesso civico - mutuato anche dall’esempio degli
ordinamenti anglosassoni 43 e da specifici settori dell'ordinamento 44 - che garantisce all’intera
collettività il diritto di conoscere gli atti adottati dalla pubblica amministrazione in funzione di
controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena realizzazione del principio
trasparenza (right to know).
L’accesso civico può essere azionato da chiunque, senza motivazione ed è gratuito, a differenza
dell’accesso procedimentale che può essere chiesto solo da chi vanta una posizione differenziata,
motivandolo e pagando i diritti di segreteria per le copie. Tuttavia, l’accesso civico è uno
strumento ulteriore anche per chi può esercitare l’accesso tout court.
L’accesso tradizionale di cui alla l. n. 241 del 1990 continua ad operare con i propri diversi
presupposti e disciplina, ma la circostanza che un soggetto possa essere titolare di una posizione
differenziata tale da essere tutelata con tale tipologia di accesso, non impedisce certo al medesimo
soggetto di avvalersi dell’accesso civico, qualora ne ricorrano i presupposti. Per gli atti compresi
negli obblighi di pubblicazione di cui al d.lgs. n. 33 del 2013, quindi, potranno operare
cumulativamente tanto il diritto di accesso ‘classico’ ex l. n. 241 del 1990 quanto il diritto di
accesso civico ex d.lgs. n. 33 del 2013, mentre, per gli atti non rientranti in tali obblighi di
pubblicazione, opererà, evidentemente, il solo diritto di accesso procedimentale ‘classico’.
43 Si veda il Freedom of Information Act, cd. FOIA statunitense. 44 Per la materia ambientale, v. la Convenzione di Aarhus, recepita con L. n. 195 del 2005.
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«A ragionare diversamente, si giungerebbe al risultato che il cittadino privo di interesse specifico
potrebbe far ricorso all’accesso civico, mentre il soggetto portatore di un interesse specifico
dovrebbe dimostrare i più stringenti presupposti sottesi all'interesse procedimentale di tipo
tradizionale (art. 22 L. n. 241 del 1990)»45.
Di conseguenza, la trasparenza viene ancorata al circuito sovranità-rappresentanza e pertanto alla
categoria dogmatica del cittadino.
Un ulteriore passo in avanti è stato compiuto con l’approvazione della legge n. 7 agosto 2015, n.
124 recante “deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni
pubbliche” (c.d. Riforma Madia) al cui art. 7 si delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla
data di entrata in vigore della suddetta legge, uno o più decreti legislativi che contengano
disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
A prescindere dagli specifici contenuti, ciò che è interessante sottolineare è l’introduzione di
ulteriori principi e criteri direttivi volti ad aumentare l’estensione dei dati pubblicabili anche
attraverso la previsione di apposite “misure organizzative” preordinate alla funzione di
pubblicazione e valutabili come perfomance. Ciò implica, in altri termini, che ciascun ente sia dotato
di una sorta di “Piano” che consenta celermente di assolvere a tale compito. Tale programma
deve almeno contenere una serie specifica di informazioni che il cittadino-utente deve conoscere
ovvero:
1) le fasi dei procedimenti di aggiudicazione ed esecuzione degli appalti pubblici; 2) il tempo
medio di attesa per le prestazioni sanitarie di ciascuna struttura del Servizio sanitario nazionale; 3)
il tempo medio dei pagamenti relativi agli acquisti di beni, servizi, prestazioni professionali e
forniture, l’ammontare complessivo dei debiti e il numero delle imprese creditrici, aggiornati
periodicamente; 4) le determinazioni dell'organismo di valutazione.
Tutti questi dati sono accomunati dal fatto che rappresentano o terreno fertile per la corruzione
(come gli appalti pubblici) o per i disservizi e la cattiva gestione (come il tempo medio di attesa
per le prestazioni sanitarie). Similmente lo stesso discorso può essere fatto per gli adempimenti
previsti dal 3 comma dell’art. 7 predetto.
La legge di delega, inoltre, all’art. 7, lett. h), sancisce il «riconoscimento della libertà di
informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque,
indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti
detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione
45 Cfr. T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, Sent., 05-11-2014, n. 5671, Punto 5.1.3, in www.iusexplorer.it.
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previsti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati».
Tale principio al quale si devono ispirare i futuri decreti legislativi ha come obiettivo palese quello
di «di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e
sull’utilizzo delle risorse pubbliche», già individuato nel precedente decreto n. 33 del 2013.
A fortiori, sono individuati dei meccanismi sanzionatori con previsioni di sanzioni, di valutazione
negativa della performance, di ricorso all’ANAC e di tutela giurisdizionale ex art. 116 c.p.a. (art. 7,
lett. b, g, h) proprio per accrescere l’auspicato rispetto delle norme da parte delle Pubbliche
amministrazioni.
Pertanto, sembra che l’indirizzo vada verso una “conoscibilità totale” degli atti salvo specifiche
deroghe, individuando nel cittadino-utente delle informazioni pubbliche un “valido custode e
controllore dei servitori dello Stato”.
6. Il Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti elevato a parte istituzionale
Il salto logico verso l’osmosi della figura del cittadino con l’utente, arriva all’art. 10 del d.lgs. n.
33/2013, qualora si obbligano le P.A. ad adottare il programma triennale per la trasparenza e
l’integrità, sentito il parere del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti.
Innanzitutto, occorre chiarire che il Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU)
è l’organo rappresentativo delle associazioni dei consumatori e degli utenti a livello nazionale,
istituito con la legge 30 luglio 1998, n. 281, confluita nel Codice del consumo (d. lgs. n.
206/2005). I compiti assegnati dal legislatore al Consiglio sono finalizzati a contribuire al
miglioramento e al rafforzamento della posizione del consumatore/utente nel mercato. Il
Consiglio ha sede presso il Ministero dello Sviluppo Economico (Dipartimento per le imprese e
l’internazionalizzazione – Direzione Generale per il Mercato, il Consumatore, la Vigilanza e la
Normativa Tecnica) ed è presieduto dal Ministro o da un suo delegato. Ad oggi, è composto dalle
associazioni dei consumatori riconosciute secondo i criteri stabiliti dall'art. 137 del Codice del
Consumo (d.lgs. n. 206/2005) e da un rappresentante designato dalla Conferenza unificata di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Il Consiglio invita alle proprie riunioni rappresentanti delle associazioni di tutela ambientale
riconosciute e delle associazioni nazionali delle cooperative dei consumatori. Può altresì invitare
rappresentanti di enti e organismi che svolgono funzioni di regolamentazione o di normazione
del mercato, di categorie economiche e sociali interessate, di pubbliche amministrazioni
competenti, nonché esperti delle materie trattate.
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Chiarito ciò, risulta evidente come il legislatore individui tale organo rappresentativo dei
consumatori e degli utenti come l’organo che rappresenta anche gli interessi dei cittadini.
Recentemente la “legge di delega Madia” ha tentato di porre rimedio a questo paradosso
prevedendo come principio direttivo aggiuntivo l’individuazione della «definizione, in relazione
alle esigenze connesse allo svolgimento dei compiti istituzionali […], dei diritti dei membri del
Parlamento inerenti all’accesso ai documenti amministrativi e alla verifica dell’applicazione delle
norme sulla trasparenza amministrativa, nonché dei limiti derivanti dal segreto o dal divieto di
divulgazione e dei casi di esclusione a tutela di interessi pubblici e privati» (art. 7, lett. f).
In attesa dell’attuazione della norma attraverso il decreto legislativo, non si può non rilevare come
questa disposizione, da un lato, sia da accogliere con favore perché aumenta il potere di controllo
del singolo parlamentare ma dall’altro, proprio per questo aspetto limitato, rappresenti uno
strumento di contrasto e di verifica meramente ex post dei singoli atti amministrativi adottati dalle
P.A. e, pertanto, non incida nelle scelte amministrative o nei meccanismi di prevenzione, come,
invece, accade con i pareri preventivi in sede “concertativa” del CNCU.
7. Alcune riflessioni (critiche) conclusive sui paradossi della democrazia degli utenti
Invero, se la disciplina è volta a tutelare i cittadini nella sfera più attinente alla democrazia e alla
loro rappresentanza, in teoria, i soggetti deputati a dare un parere dovrebbero essere i
rappresentanti dei cittadini stessi nelle istituzioni ovvero i gruppi parlamentari, proiezione dei
partiti politici nelle assemblee elettive.
Il fatto che i portatori di interessi contrapposti allo Stato siano stati individuati negli utenti
significa che lo Sato stesso ha riconosciuto che i cittadini non hanno strumenti sufficienti per
concorrere alla definizione degli standard in quanto possono esprimere la loro voce solo a fine
legislatura con l’esercizio del voto. Gli istituti di democrazia diretta come l’iniziativa popolare o di
referendum abrogativo e la petizione hanno, infatti, pochissima incisività, contribuendo a delineare
quella concezione “statica” di cittadino in Costituzione di cui si è già parlato.
Tale mancanza di strumenti efficaci per il cittadino era bilanciata dagli istituti di democrazia
rappresentativa grazie al lavoro dei partiti politici in Aula tramite i gruppi parlamentari.
Insomma, se la trasparenza è al servizio di una maggiore consapevolezza per i cittadini e quindi di
un migliore esercizio della democrazia, sarebbe dovuto essere sufficiente che la P.A. ascoltasse i
rappresentati dei cittadini stessi ovvero il Parlamento. Purtroppo in questa logicità si è inserita la
crepa della sfiducia della società civile per i propri rappresentati in Parlamento e questa si è
riverberata anche nella normativa. Pertanto, per tutelare dei diritti dei cittadini, sono preferiti i
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rappresentati delle associazioni dei consumatori e degli utenti ai rappresentati dei cittadini
medesimi.
Le associazioni dei consumatori e degli utenti divengono parti istituzionali anche per finalità della
categoria dogmatica dei cittadini.
Del resto, sin dalla legge n. 146/90 (recante le norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei
servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati)
si attribuiva alle associazioni degli utenti molti poteri al fine di tutelare i loro rappresentati. Fra i
più rilevanti, vi è la facoltà di attivare le procedure giudiziali previste dalla legge n. 281 del 1998
«anche al solo fine di ottenere la pubblicazione, a spese del responsabile, della sentenza che
accerta la violazione dei diritti degli utenti, oppure chiedere alla Commissione di Garanzia
l’apertura di procedimenti di valutazione del comportamento dei promotori dello sciopero (art. 4,
4°-quater comma); nonché la possibilità di esprimere il parere sugli accordi sulle prestazioni
indispensabili prima della valutazione di idoneità della Commissione di garanzia e sulle proposte
di regolamentazione provvisoria (art. 13, 1° comma, lett. a). In ultima analisi, i poteri conferiti agli
utenti erano già autentica “parte sociale”, parificata nella legge n. 146/90, ai sindacati.
Appare allora più ragionevole pensare a un concetto di cittadinanza più “atecnico” e più
“moderno” in quanto più la nostra società è diventata “società di servizi”, più la fruizione di
quelli considerati “essenziali” incide sulla partecipazione di ciascuno alla vita politica, economica
e sociale, nello svolgimento della propria personalità: finisce per essere, quindi, una delle
condizioni dell’effettività della cittadinanza di cui l’utente ne è forte protagonista.
Infine, le norme sull’elevazione del CNCU a parte istituzionale evidenziano anche che il rapporto
tra Stato e cittadino non è più ufficialmente basato sui valori di autorità-soggezione come si è
visto supra.
Questa situazione reale che si (im)pone come ulteriore forma di partecipazione anche politica e
che si intreccia con la sovranità, tuttavia, non è accolta con favore da parte della dottrina46.
46 In questo senso, cfr. anche M. LUCIANI, Unità nazionale e struttura economica, Unità nazionale e struttura
economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, relazione al Convegno annuale AIC su Costituzionalismo e Costituzione nella vicenda unitaria italiana, tenutosi a Torino il 28 ottobre 2011, in www.rivistaaic.it, 52, nt. 259 ove ritiene che sebbene alcune teorie sostengano esista una vera e propria “democrazia dei consumatori” in quanto questi ultimi orientano la produzione e i prezzi attraverso la domanda, (tutelati, peraltro, dall’art. 41, 2° comma, Cost.), la stessa non può sostituire la “democrazia dei cittadini”. Sul concetto di “democrazia dei consumatori” v. L. EINAUDI, La civitas humana di Wilhelm Röpke, in Riv. di storia econ., 1942 - con il titolo Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i secoli XVIII e XIX -, ora in F. FORTE e F. FELICE, (a cura di), Il liberalismo delle regole, Genesi ed eredità dell’economia sociale di mercato, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, 225.
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In particolare, è necessario soffermarsi sul “ruolo prodromico all’esercizio della sovranità” il quale
va guardato con spirito critico. L’azione delle associazioni dei consumatori ed utenti, infatti, non
è portata avanti tramite una dialettica democratica dentro le istituzioni parlamentari che devono
sintetizzare degli interessi configgenti ma tramite meccanismi di lobbying e di governance, «cioè fuori
dalle procedure costituzionali, dove però si incontrano con gli interessi economici organizzati che
da tempo lì si sono insediati»47. Il posto in cui la politica oggi si muove è dunque il “mercato” e il
«movimento dei consumatori è diventata l’élite dell’informe e generico aggregato dei cittadini, élite
che, sola, si ritiene legittimata a rivendicare diritti nel mercato e ad agire in esso. Le imperfezioni
del circuito democratico-rappresentativo e la sua riscontrata inefficienza accreditano alcune
avanguardie a rappresentare gli interessi popolari, ed in ciò le organizzazioni dei consumatori si
trovano normalmente alleate alle associazioni ambientalistiche. Il successo di tali organizzazioni
nasce dalla critica alla democrazia rappresentativa: esse si presentano come avanguardie composte
da persone legittimate non dal voto ma dalla bontà e purezza delle proprie convinzioni e dalla
promessa che si batteranno per gli ideali professati senza cedimenti e compromessi. Difendono
“valori non negoziabili” come tutti i fondamentalisti, e come tutti i fondamentalisti
presuppongono e alimentano – consapevolmente o meno – una cultura antidemocratica, proprio
perché antipolitica»48.
Questo aspetto è presente anche con riguardo al “ruolo sanzionatorio” 49 dei diritti dei
consumatori ovvero nel momento in cui sono esperite le class actions per perseguire finalità
attinenti al circuito cittadinanza-rappresentanza come nel caso delle tasse. E’ evidente
l’«emarginazione degli organi politici»50 a favore di quelli giudiziari assunti come luogo preferito
dai consumatori ed utenti per vedere tutelati dei diritti precedentemente “gestiti” in via preventiva
in Parlamento. I sociologi hanno già stigmatizzato il fatto che i movimenti dei consumatori siano
un sintomo della crescente sfiducia nella politica: «non c’è dubbio che la crescita dei movimenti
dei consumatori va di pari passo con il declino delle forme tradizionali di impegno sociale e
partecipazione politica»51. E inoltre, «se non rimane più nient’altro da fare, è probabile che i
cittadini abbandonino completamente l’idea di collettività e di società democratica per affidarsi al
47 R. BIN, I diritti di chi non consuma, Relazione al Convegno Diritti dell'individuo e diritti del consumatore - Milano, 14 dicembre 2007, in www.robertobin.it e in www.forumcostituzionale, 2 s. 48 R. BIN, I diritti di chi non consuma, cit., 2 che si basa sulle osservazioni del sociologo F. FUREDI,
Consuming Democracy: activism, elitism and political apathy, in www.geser.net/furedi.html. 49 Cfr. M. CERIONI, Diritti dei consumatori e degli utenti, cit., passim. 50 E. LAMARQUE, L’attuazione giudiziaria dei diritti costituzionali, in Quad. cost., 2008, 269. 51 F. FUREDI, op. cit., s.p.
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mercato e voglio aggiungere, alle proprie qualità e iniziative di consumatori per dirimere le
controversie»52.
E’ in questo senso che si sta producendo l’ultima mutazione della forma di stato, concepita
secondo il profilo di indagine del modo di configurare i rapporti fra governanti e governati per
quanto attiene alla formazione dell’indirizzo politico53.
Si assiste, pertanto al «populismo del mercato»54 ovvero alla concezione che solo in quest’ultimo
vi sia totale libertà di scelta e quindi democrazia. «In controtendenza rispetto al principio che ha
guidato l’epoca moderna, cioè l’espansione della partecipazione politica, il “populismo del
mercato” proclama la politica il nemico numero uno della democrazia e considera invece il
mercato come lo strumento democratico più affidabile (se non addirittura l’unico possibile)»55.
Anche in quella vastissima porzione di mercato che prima era affidata alla cura di enti locali o
comunque di organi pubblici vigono le stesse regole. L’utente è stato sostituito al cittadino poiché solo
il primo può vantare degli strumenti di controllo efficaci (customer satisfaction, carte dei servizi, class action
contro la p.a., autorità amministrative indipendenti e così via) mentre il circuito cittadinanza-
rappresentatività è stato sottratto della possibilità di controllo in quanto i consigli comunali o
provinciali non gestiscono direttamente i sevizi attribuiti a società private (in cui solo in pochi casi
sono partecipate anche da enti pubblici che tuttavia, per il loro numero elevato, non sono in
condizioni tali da poter esercitare il loro controllo tradizionale)56.
52 N. LAWSON, Dare More Democracy, London, The Compass, 2006, 18. Tra le parentesi quadre vi è un’aggiunta fatta da Z. BAUMAN, Homo Consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, edizioni Erickson, Gardolo (Trento), 2007, 38. 53 In questo senso, R. BIN, op. cit., 3, nonché M. CERIONI, Diritti dei consumatori e degli utenti, cit., passim. 54 T. FRANK, Marché de droit divin: capitalisme sauvage et populisme de marché, Marseille, Agone, 2003. 55 Z. BAUMAN, Homo Consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, edizioni Erickson, Gardolo (Trento), 2007, 39. 56 Nel medesimo senso v. R. BIN, op. cit., 5-6 il quale afferma che «la privatizzazione dei servizi pubblici
consente di immaginare una gestione di dimensione più vasta, meglio strutturata, più competitiva. Come osserva giustamente Merusi, i Comuni in genere non hanno però una dimensione di mercato. L’ingresso del capitale privato e l’innesto di cultura manageriale d’impresa hanno perciò un prezzo, quello della perdita del controllo democratico. Di fronte ad un servizio che per qualità e dimensione della gestione non corrisponde più alle dimensioni e alle regole dell’ente rappresentativo, chi esercita i controlli? Non più i cittadini, tramite il circuito rappresentativo, ma gli utenti. Il consiglio comunale e il suo obsoleto bagaglio di strumenti tradizionali (l’interrogazione, l’interpellanza, l’inchiesta) sono sostituiti dalla customer satisfaction, la vicinanza politica dell’ente ai cittadini dalla vicinanza psicologica del gestore all’utente: la protesta politica contro i disservizi si dissolve in un call center. Al posto delle vecchie e austere municipalizzate la pubblicità sfavillante ci mostra l’immagine accattivante del gestore privato e la figura attraente della top model che accoglie il pubblico, dato che la soddisfazione dell’utente – ci insegnano i manuali di strategia aziendale – si misura sulla qualità percepita del servizio, non su quella effettiva. Ecco che si è compiuta la sostituzione del cittadino con l’utente». Sul gigantismo dei servizi pubblici, v. l’esempio del medesimo A. su Hera Modena (p. 7)
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Per concludere, è pertinente ricordare il pensiero dello studioso più critico del consumerism in
relazione ai processi democratici il quale ci ammonisce che «per il momento, non esiste un
metodo alternativo alla democrazia e alla partecipazione democratica e in ogni caso il mercato e i
movimenti dei consumatori non possono sostituirli perché sono essi stessi i sintomi della caduta
d’impegno politico e della fiducia nell’azione politica e nell’autorità dello Stato nella vita pubblica.
Sono un segno di resa da parte dei cittadini»57.
Tuttavia, occorre rilevare che l’osmosi tra cittadino ed utente e l’elevazione del CNCU a parte
istituzionale vanno accolte positivamente nella misura in cui siano intese non come sostitutivi del
concetto di cittadino bensì aggiuntivi in quanto attribuiscono a quest’ultimo delle facoltà e dei poteri
ulteriori, dinamici e proattivi che il cittadino “statico” non aveva. Insomma, la figura dell’utente è la
risposta in termini di “resilienza” del cittadino al potere dello Stato inteso come erogatore di
servizi, anche politici. Come se ad un arciere (cittadino) venisse finalmente equipaggiato di arco e
frecce (grazie al rapporto di utenza) da scagliare per difendersi dall’autorità statale.
Abstract
Il saggio tratta del rapporto tra le figure di cittadino ed utente dopo l’introduzione del d.lgs. n.
33/2013 nell’ordinamento italiano. Dopo aver tratteggiato lo stato dell’arte, si prosegue
analizzando i principi di democrazia e trasparenza in quanto preordinati a un diverso modo di
intendere i rapporti tra amministrazione e cittadini che superi il tradizionale binomio “autorità-
libertà”, polarizzandosi intorno al binomio “funzione-interesse” (del cittadino fruitore del
servizio). Di conseguenza quest’ultimo diviene utente dotato di solide azioni da esperire e persino
di un organo istituzionale: il CNCU il cui parere è obbligatorio nell’adozione di molti atti. Infine,
ci si pone degli interrogativi critici sugli esiti di questo percorso.
57 Z. BAUMAN, op. cit., 42.