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IL CASTAGNO IN CAMPANIA PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE DELLA FILIERA A CURA DI GENNARO CRISTINZIO E ANTONINO TESTA

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IL CASTAGNO IN CAMPANIA

PROBLEMATICHE E PROSPETTIVEDELLA FILIERA

A CURA DIGENNARO CRISTINZIO E ANTONINO TESTA

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3Il castagno in Campania

Hanno curato il volume:

Gennaro Cristinzio

Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale,Università di Napoli Federico II;

Antonino Testa

Programma MIUR “Rientro dei Cervelli”Istituto di Biotecnologie Biochimiche, Università Politecnicadelle Marche.Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale,Università di Napoli Federico II.

Hanno contribuito alla stesura del presente volume:

- Bianco Michele: Regione Campania, SeSIRCA;

- Brandolani Ada: Dipartimento di Economia e Politica agra-ria, Università di Napoli Federico II;

- Casillo Emilia: Regione Campania, SeSIRCA;

- Cristinzio Gennaro: Dipartimento di Arboricoltura, Botanicae Patologia Vegetale, Università di Napoli Federico II;

- Damiano Carmine: Istituto Sperimentale per la Frutticoltura,S.o.p. di Caserta;

- Danise Bruno: Regione Campania, SeSIRCA;

- de Franciscis Emiddio di Casanova: Regione Campania,SeSIRCA;

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- Grassi Gennaro: Regione Campania, Settore Foreste, Cacciae Pesca;

- Grassi Giorgio: Istituto Sperimentale per la Frutticoltura,S.o.p. di Caserta;

- Pomarici Eugenio: Dipartimento Economia e Politica agraria,Università di Napoli Federico II;

- Raia Silvia Dipartimento Economia e Politica agraria, Uni-versità di Napoli Federico II;

- Rinaldi Agnese: Regione Campania, Settore Interventi per laProduzione Agricola;

- Rocco Letizia: Dipartimento Economia e Politica agraria,Università di Napoli Federico II;

- Santangelo Italo: Regione Campania, SeSIRCA;

- Testa Antonino: Programma MIUR “Rientro dei Cervelli”,Università Politecnica delle Marche;

- Viggiani Gennaro: Dipartimento di Entomologia e Zoologiaagraria “Filippo Silvestri”, Università di Napoli Federico II.

4 Il castagno in Campania

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SOMMARIO

Presentazione

I - INTRODUZIONE E ASPETTI AGRONOMICI

Cenni storici e diffusione 14 � Nel mondo 17 � In Italia 21

Tecnica colturale 36� Impianti di tipo tradizionale 39� Ricostituzione dopo taglio raso 41� Nuovi impianti 43� Potatura 50� Raccolta 56

Germoplasma e biodiversità del castagnoda frutto in Campania 62

II - ASPETTI ECONOMICI

Utilizzazione e commercializzazione dei frutti del castagno 76� Il commercio internazionale 81

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La castanicoltura in Campania: aspetti strutturali e problematiche di filiera 92� Estensione della castanicoltura

in Campania, dimensioni aziendali, formedi conduzione, specificità provinciali 92

� La castanicoltura in provincia di Avellino 96� La castanicoltura in provincia di Salerno 99� La castanicoltura nelle provincie di

Caserta, Benevento e Napoli 99� Struttura aziendale e caratterizzazione

tecnico-economica degli impianti 101� Organizzazione e problematiche

economiche della filiera 110� Considerazioni di sintesi 117

Strategie e politiche di marketing per la valorizzazione del castagno in Campania 122� Qualificazione dello scenario competitivo

e della posizione della filiera castanicolacampana 122

� Il prodotto, le sue destinazioni, ilsuo sistema di produzione e le opportunità di marketing 127

� Lineamenti di un approccio integratoalla valorizzazione del prodotto 133

� Considerazioni conclusive 145

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Le denominazioni europee regolamentate, una leva di sviluppo e valorizzazione del territorio 148� Le strade della valorizzazione del tipico 148� La valorizzazione istituzionale delle DOP

e IGP 159

Caratteristiche aziendali e potenzialità: risultati di una indagine statistica 168� Struttura produttiva 170� Caratteristiche della cultivar Palummina 173� Mercato e le forme associative 175� Considerazioni finali 177

I cedui castanili da problema a risorsa 180

III - ASPETTI FITOPATOLOGICI

Fitofagi del castagno 188

Malattie crittogamiche del castagno 202� Il Cancro della corteccia 202� Il Mal dell’inchiostro 206� Altre malattie crittogamiche 213

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Controllo biologico del cancro della corteccia del castagno in una foresta demaniale in Campania 220

Prove di lotta al Mal dell’inchiostro del castagno 225

Malattie e danni di natura non parassitaria 230� Malattie da cause pedoclimatiche 230� Malattie causate da fanerogame 236� Danni causati da animali 237

Le azioni dell’Amministrazione Regionale e per contrastare le avversità del castagno più diffuse in Campania 240� Azioni divulgative per il controllo del

Cancro della corteccia e del Maldell’inchiostro 241

� Azioni sperimentali per il controllodel Balanino 243

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PRESENTAZIONE

Nel comparto castanicolo, a livello produttivo, laCampania ha il primato assoluto in Italia, con 28.000 ton-nellate circa di castagne prodotte ogni anno. Di queste, ben16 mila appartengono alle categorie commerciali “marro-ni” o “castagne di pregio”.

L’analisi di questi dati dimostra l’importanza del com-parto per l’economia non solo agricola della Campania,anche per l’indotto che esso genera fino all’immissione alconsumo. E’ una produzione molto diversificata, quellacampana, in quanto accanto al tradizionale mercato del“fresco”, vi è una quota sempre più ampia di prodotto essic-cato e di derivati industriali ed artigianali di qualità.

Se accanto a questa importanza economica, soprattuttoper molte delle aree interne svantaggiate, consideriamoanche la funzione che la coltura del castagno assume nelsettore boschivo e più in generale nella tutela e nella con-servazione del territorio, ci accorgiamo come essa rappre-senti una “risorsa” di importanza strategica per l’interacollettività regionale.

Purtroppo, però, la castanicoltura in Campania è conno-tata ancora da aspetti produttivi e mercantili alquanto con-traddittori, sia in relazione alle aree di produzione, che alleattività e capacità imprenditoriali che sono andate consoli-dandosi sul territorio. A fronte di situazioni di punta, comenel Montellese e nel Serinese, sia per la qualità del prodot-to esitato che per le strutture di produzione e commercializ-zazione esistenti, sussistono realtà produttive che presenta-no ancora ampi margini di sviluppo e di ammodernamento.

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I buoni risultati della politica di valorizzazione e promo-zione commerciale sostenuta dagli operatori del settore edalle istituzioni territoriali, che hanno consentito di poterampliare la commercializzazione del prodotto campano diqualità su molti mercati anche internazionali, non deve fardimenticare i punti di debolezza che ancora permangononel comparto.

Lo sforzo dell’amministrazione regionale dovrà pertantoconcentrarsi soprattutto per rimuovere le cause strutturaliche impediscono a molte realtà produttive locali di potercompetere sul mercato.

I risultati del POP Campania 1994-99 e dell’applicazionedel Reg. 2078/92 e quelli più recenti del POR confortano intal senso, in quanto vanno nella direzione auspicata e cioè diun ammodernamento complessivo del tessuto produttivo estrutturale del comparto e di una qualificazione del prodottocommercializzato. Accanto all’elevato numero di impiantiriconvertiti, va citata anche la strategica diffusione di nuoviimpianti di lavorazione e trasformazione del prodotto e il pri-mato assoluto, in Europa, di castagne biologiche.

Ma ancora molto occorre fare per consentire agli opera-tori della filiera castanicola di poter reggere la sempre piùagguerrita concorrenza mondiale. Soprattutto, accanto agliinterventi di sostegno pubblico, rimane strategico il ruolodei servizi di sviluppo agricolo, dagli interventi di forma-zione professionale e di divulgazione, alla promozione deisistemi di certificazione del prodotto di qualità, sia esso a

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marchio DOP/IGP, biologico ed integrato, e soprattuttodiviene strategico il collegamento con Istituti di ricerca e leUniversità per favorire il trasferimento delle innovazionitecnologiche.

Il presente volume rappresenta il risultato congiunto diuno sforzo che ha visto coinvolti la Regione Campania e gliIstituti di ricerca per informare gli operatori agricoli sul-l’intera dinamica del comparto, sulle innovazioni tecnichee sulle opportunità che loro vongono offerte dai nuovi sce-nari nazionali ed internazionali.

Andrea CozzolinoAssessore regionale all’Agricoltura

e alle Attività produttive

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I

Introduzionee aspetti

agronomici

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Il castagno è certamente una delle specie forestalipiù antiche. Probabilmente originario dell’Europaorientale e dell’Asia minore, grazie all’intervento del-l’uomo si è diffuso in Italia e in tutta l’Europa centro-meridionale. Esistono prove che già nell’età del bron-zo (2000-1000 a.C.) questa pianta era presente inmolte regioni italiane. Notizie del castagno si rinven-gono negli scritti di molti autori dell’antichità. Plinionel XV e XVI libro della Naturalis Historia ne fa unadescrizione elencandone anche le principali razze.Virgilio nella I e VII Egloga delle Bucoliche si riferisceal castagno come un albero comune e ben coltivato,già prima della nascita di Cristo, le cui foglie veniva-no utilizzate per comporre ciacigli e le castagne eranoconsiderate frutti di pregio. Gli antichi Romani diede-ro un contributo decisivo alla diffusione del castagnodi cui apprezzavano sia i frutti che il legname, le cuicaratteristiche di durezza lo rendevano idoneo allarealizzazione di opere strutturali come ricordato invari scritti di autori tra cui Teofrasto e i già citati Pli-nio e Virgilio.

Fin dal Medioevo la coltivazione del castagno harappresentato una scelta fondamentale per l’econo-mia e la sopravvivenza nelle aree montane. Il casta-gno, da molti considerato “albero della vita”, ha,infatti, rappresentato la principale fonte di sostenta-mento delle popolazioni montane nei periodi inver-nali e nei periodi di carestia, e ha avuto un ruolo fon-damentale nella vita familiare delle popolazioni rura-

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Cenni storici e diffusioneAUTORI:

Testa AntoninoMIUR “Rientro dei Cervelli”

Università Politecnica delle Marche

Rinaldi AgneseRegione Campania,

Settore Interventi per la Produzione Agricola

Cristinzio GennaroDipartimento di Arboricoltura,

Botanica e Patologia VegetaleUniversità di Napoli Federico II

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li. Infatti, con il suo legno si costruivano le travi deitetti delle case, i mobili, gli utensili e si alimentava ilfuoco delle stufe e dei camini.

Questi motivi, unitamente alle caratteristiche dellapianta, tra cui, l’elevata longevità, la rapidità di accre-scimento, l’alta capacità pollonifera hanno contribuitoallo sviluppo della coltivazione del castagno che, neiprimi decenni del 1900, ebbe la sua massima espansio-ne. I castagneti venivano curati e gestiti con moltaattenzione e per facilitare la produzione e la raccolta deifrutti si procedeva periodicamente a ripulire il suolodalle erbe e dagli arbusti. Ma di fatto il declino dellaspecie era già iniziato. Lo sviluppo economico, nuovistili alimentari, un’agricoltura più evoluta basata suicereali e, non per ultimo, l’abbandono lento e progres-sivo delle aree montane e collinari ha determinato nel-l’arco di un cinquantennio una forte contrazione dellesuperfici castanicole e della produzione di castagne.Ulteriori e ben più marcate contrazioni sono state, poi,legate all’insorgere di gravi fitopatie, tra cui il Mal del-l’inchiostro causato dalla Phytophthora cambivora e, intempi più recenti, dalla Phytophthora cinnamomi e il Can-cro della corteccia causato dalla Cryphonectria parasiticache hanno contribuito alla decadenza della coltura.

Negli ultimi anni si sta assistendo ad una nettaripresa della castanicoltura da frutto, determinatasostanzialmente da due fattori. Da un lato la crescen-te richiesta del mercato sia per le castagne che per i

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marroni destinati sia al consumo frescoche per l’industria dolciaria, e dall’altrodal miglioramento delle tecniche dicontrollo fitopatologico che hanno con-sentito al’attenuarsi dei danni causatidalle principali patologie. Un segnale diripresa sembra provenire anche dallacastanicoltura da fusto che soddisfa la

richiesta di assortimenti legnosi di castagno, oltre chedi paleria media per usi vari ed in modo particolareper gli interventi di ingegneria naturalistica.

Ma la riscoperta del castagno, ad oggi, appare lega-ta oltre che ad un interesse di mercato, alla riscopertadelle innumerevoli funzioni che i castagneti assolvo-no. Prima tra tutte una funzione paesaggistica, ricrea-tiva ad ambientale. In molte aree del Paese il paesag-gio montano e collinare è modellato attorno alle selvecastanili, che rappresentano un richiamo intenso alletradizioni e alla cultura delle aree rurali e che, spesso,rappresentano l’occasione sociale per la riscopertadelle origini e delle antiche usanze delle comunitàlocali. Il castagneto ben curato svolge, poi, un’impor-tante funzione protettiva contro frane e smottamentidi terra e una difesa indiretta ma efficace sull’insorge-re e sulla diffusione e propagazione degli incendi.

La ricerca e la riproduzione di varietà locali rappre-sentano un contributo alla difesa della biodiversità,intesa in questo caso come funzione biologica di con-

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servazione del germoplasma. Anche la possibilità diricavare pregiate produzioni secondarie come funghiporcini, ovuli e miele di castagno possono contribuirealla riscoperta del castagneto. Infine, la possibilità diaccedere a finanziamenti pubblici per il risanamentodei castagneti da frutto, per le coltivazioni biologiche,per l’imboschimento, e per la destinazione a fini ener-getici dei cedui castanili sta rappresentando uno deifattori di stimolo per la riscoperta e il recupero deicastagneti nelle aree montane e collinari.

Nel mondoIl castagno appartiene al genere Castanea della

famiglia delle Fagacee. Studi sulla filogenesi del gene-re indicano la presenza di un progenitore comune atutte le specie in Cina. In seguito due eventi di migra-zione intercontinentale, dall’Asia al Nord America edal Medio Oriente all’Europa avrebbero dato origineal castagno americano (Castanea dentata) e al castagnoeuropeo (Castanea sativa). In particolare la specie C.sativa si sarebbe separata precocemente dal progeni-tore comune, mentre un altro ramo avrebbe dato ori-gine alla specie Castanea crenata (castagno giappone-se), che risulterebbe la più ancestrale, e alla Castaneamollissima (castagno cinese) (Paffetti et al., 2001).

Il castagno ad oggi è presente in tre grandi areegeografiche: l’Asia, luogo di origine, l’Europa doveprevale la specie europea, coltivata sia per i frutti cheper il legno e l’America dove, dopo aver dominato

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nelle foreste di latifoglie dell’est del Continente per laproduzione di legname, ora la specie, quasi estinta acausa degli attacchi di cancro corticale, si concentra inSud America (Bolivia). Solo piccolissime superfici diCastanea sp. sono presenti in Africa (Camerun eZimbabwe) (graf. 1 e tab. 1).

Nell’ultimo trentennio si è assistito ad una crescitacostante della produzione castanicola mondiale che,sempre secondo le stime della FAO, nel 2004 ha supe-rato le 112 milioni di tonnellate (graf. 2).

La crescita è legata prevalentemente all’aumentodelle produzioni asiatiche ed in particolare di quelleprovenienti dalla Cina, che oltre a rappresentare il paesecon le maggiori superfici investite a castagno ha conse-guito anche le maggiori rese per ettaro (tab. 2). Seguonole produzioni Coreane (69.000 tonnellate), e quelle dellaTurchia e del Giappone. Nel 2004, l’85% dell’intera pro-duzione mondiale è stato di provenienza asiatica.

Graf. 1: Ripartizione percentuale della

produzione mondiale dicastagne (anno 2004)

Fonte: Stime FAO, FAOSTAT Settembre 2005

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Fonte: Stime FAO, FAOSTAT Settembre 2005

Graf. 2: Andamento della produzione mondiale di castagne (1960-2004)

Tab.1: Produzione mondiale di castagne 1995-2004

Fonte: Stime FAO, FAOSTAT Settembre 2005

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Tab.2: Rese (Hg/Ha) della produzione di castagne nel mondo 1995-

L’Europa, seconda area produttrice mondiale(12,3%), con una produzione complessiva nel 2004 dioltre 138 mila tonnellate ha evidenziato nell’ultimodecennio un lieve incremento delle produzioni. L’Italiaresta il primo Paese produttore in Europa, con una pro-duzione stimata pari al 42% della produzione conti-nentale. Seguono il Portogallo (28%), la Francia (11%),la Grecia (10%) e la Spagna (8%), ma piccoli areali diproduzione cominciano ad essere presenti anche inSvizzera, e nell’Europa centro-orientale (Bulgaria,Slovacchia e in Albania) dove da qualche anno sono inatto interventi di miglioramento delle tecniche coltura-li e di specializzazione delle produzioni (graf. 3).

Le dinamiche produttive dell’ultimo trentennio

Fonte: Stime FAO, FAOSTAT Settembre 2005

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evidenziano due tendenze contrapposte. Da un latoquella della castanicoltura asiatica che vede un conti-nuo incremento quantitativo delle produzione e unacontemporanea specializzazione degli impianti e dal-l’altro quella della castanicoltura europea che, nono-stante una ripresa delle coltivazioni avutasi alla metàdegli anni 90, si presenta complessivamente in unafase di stasi se non addirittura di lento declino.

Graf. 3: Ripartizione percen-tuale della produzione euro-pea di castagne (anno 2004)

Fonte: Stime FAO, FAOSTAT Settembre 2005

In ItaliaLe principali utilizzazioni del castagno si possono

ricondurre da un lato alla produzione dei frutti, casta-gne e marroni, e dall’altro all’utilizzo del legnameproveniente da boschi sia cedui che da frutto.

Negli ultimi anni le superfici interessate dal casta-gno, stando alle statistiche disponibili, si sono stabiliz-zate attestandosi nel 1999 a 275.671 ettari per le super-fici a fustaia e a 75.984 ettari per i castagneti da frutto(tab.3 e tab.4). La produzione di castagne nello stessoanno ha raggiunto i 521.581 quintali per un valore com-plessivo pari a 41.82 milioni di euro (tab. 5 e tab. 7).

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Tab.3: Superficie a fustaia di castagnoper zona altimetrica

e regione (anno 1999)

Tab. 4: Aziende con casta-gneti da frutto e relativa

classe di superficie utilizzata e superficie

investita totale Fonte: ISTAT, Statistiche forestali, 1999

Fonte: Istat, V Censimento generale dell'agricoltura, 2000

(superficie in ettari)

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Le statistiche agroforestali sul castagno seguonotalvolta logiche differenti e per tale motivo i risultatidelle rilevazioni devono essere letti tenendo contodelle modalità di rilevazione.

I dati relativi alle superfici investite a fustaia dicastagno e quelli relativi alla produzione di castagnee marroni e al loro valore, derivano dalle rilevazionieffettuate dall’Istituto Nazionale di Statistica, attra-verso il Corpo Forestale Italiano. Esse stimano lasuperficie complessiva a fustaia di castagno, indipen-dentemente dalle aziende agricole, e la quantità dicastagne e marroni raccolta complessivamente sia neiboschi che nei castagneti situati fuori foresta.

Il V Censimento Generale dell’Agricoltura rileva

Tab. 5: Produzione dicastagne e marroni

per regione (anni 1994-97-98-99)

Fonte: Istat, Statistiche Forestali, annate varie

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invece la superficie aziendale investita a castagnetoda frutto in impianti che fanno parte di aziende agri-cole, che sono coltivati ad alto fusto e destinati princi-palmente alla produzione da frutto. Le superfici abosco di castagno vengono invece rilevate insieme adaltre specie e sono comprese tra le fustaie di latifoglie.

Il Censimento del 2000 ha rilevato complessivamenteuna superficie di 75.984 ettari investiti a castagneto dafrutto in 66.213 aziende, che rispetto ai censimenti prece-denti evidenzia un costante calo sia delle superfici chedel numero di aziende (tab.6). La superficie media delleaziende a livello nazionale si attesta intorno a 1,15 etta-ri, anche se al livello regionale la situazione si presentapiuttosto diversificata con una maggiore dimensionemedia delle aziende nelle regioni in cui anche la produ-zione di castagne è più consistente (tab. 4).

aziende(numero)

superficie(ettari)

Dimensione mediadelle aziende

(ettari)

Censimento 1970 136.000 145.000 1,07

Censimento 1990 98.000 108.000 1,10

Censimento 2000 66.213 75.984 1,15

Tab. 6: Confronto intercensuario aziende concastagneti da frutto e relativa superficie

Fonte: Censimenti generali dell’agricoltura, annate varie

Le fustaie di castagno occupavano nel 1999 una super-ficie complessiva di 275.671 ettari, di cui il 71.7% localiz-zati nelle regioni del centro Nord ed il rimanente 28,3%al Mezzogiorno. La ripartizione per zona altimetrica evi-denzia che la maggior parte delle fustaie di castagno

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sono localizzate in montagna (77%) e in collina (22%).Tra le regioni con la maggiore superficie a fustaia predo-minano la Toscana, con circa il 30% della superficie tota-le nazionale, la Calabria (17,5), il Piemonte (13,9%) e laLiguria (10,6) (tab. 3). In Campania la superficie a fustaiadi castagno è di 23.152 ha (8,4% della sup. totale naziona-le) localizzata prevalentemente in montagna e in collina.

Il confronto tra le superfici a fustaia e quelle utilizza-te per i castagneti da frutto evidenzia una netta preva-lenza delle prime, e ciò sia per le già citate differentimodalità di rilevazione adottate sia per le caratteristi-che stesse di tali coltivazioni. Le fustaie di castagno,sono spesso superfici abbandonate o semi abbandona-te, che hanno perso l’originario indirizzo frutticolo esono destinate prevalentemente all’utilizzazione legno-sa e solo secondariamente alla produzione di castagne.

In Italia il castagno è presente pressoché in tutte leregioni, tuttavia i dati sulla produzione raccolta dell’Isti-tuto Nazionale di Statistica indicano una concentrazionedella produzione in solo 5 regioni italiane che nel loroinsieme raggiungono oltre il 90% della produzionenazionale. Tra queste predomina la Campania che con260.178 mila quintali di prodotto rappresenta da solaoltre il 50% della produzione nazionale. Seguono laCalabria, il Lazio, il Piemonte e la Toscana (graf. 4).

Come già fatto rilevare da Adua (Adua, 1999) i datisulla produzione, di fatto, si riferiscono alla quantità diprodotto che viene raccolta, cioè asportata dagli alberie dal terreno sottostante, che nel caso del castagnorisulta notevolmente inferiore rispetto a quella prodot-

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ta dalle piante; infatti, mentre per le altre colture arbo-ree la variazione percentuale tra le due produzioni èpoco rilevante, nel caso del castagno questa differenzapuò essere talvolta consistente. Fino agli anni 50 la rac-colta delle castagne prevedeva passaggi successivisullo stesso terreno, fino a tre o quattro volte, e la rac-colta di tutti i frutti prodotti tra cui si selezionavanoquelli destinati all’alimentazione degli animali. Sempresecondo alcune stime, la produzione lasciata sul terre-no ammonterebbe a circa il 50-60% della produzionetotale, con una sottostima consistente delle reali poten-zialità delle produzioni castanicole nazionali.

Fonte: Istat, Statistiche Forestali, 1999

Graf.4: Ripartizione percentuale della produzione castanicola per regioni (anno 1999).

Dal confronto tra le produzioni e le superfici investi-te a castagno emerge pure come non esista proporzio-nalità tra le due variabili considerate: a regioni con una

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vasta superficie spesso non corrisponde un’elevataproduzione come nel caso dell’Emilia Romagna (tab.4e graf.5). I livelli produttivi che si raggiungono nellediverse regioni appaiono, invece, collegati al tipo dicoltivazione presente e alle cure che vengono praticate.

Graf.5: Aziende con castagneti da frutto e superficie investita totale per regione

Fonte: Istat, V Censimento generale dell'agricoltura, 2001

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Analizzando i dati regionali disponibili, relativi al1999, si evidenzia una prevalenza delle regioni delMezzogiorno, che contribuiscono per il 64,3% alla pro-duzione totale nazionale, contro il restante 35,7% con-seguito nelle regioni del centro Nord, che però spunta-no mediamente dei prezzi più alti al chilo (1,06 €/kgcontro 0,66 €/kg del Mezzogiorno). Ciò vale in parti-colare per il Trentino, il Veneto e l’Umbria (tab.7).

29Il castagno in Campania

Tab. 7: Produzione e valo-re di castagne e marroniper regione (anno 1999)

Fonti: Statistiche forestali,1994-1997. Coltivazioni agricole, foreste e caccia ,1998-1999

Le motivazioni di ciò possono essere ricondotte daun lato alle differenti condizioni dei mercati e dellarete di raccolta e distribuzione del prodotto e dall’al-tro alla pratica diffusa in alcune regioni di raccoglieresolo il prodotto migliore.

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Dal punto di vista strutturale, le aziende castanicolesono aziende di piccole dimensioni e ciò vale in parti-colare per le aziende del Mezzogiorno. La distribuzio-ne per classi di ampiezza delle aziende (tab.4) rilevatadal V Censimento dell’Agricoltura, mostra una mag-giore concentrazione delle aziende nelle classi fino a 5ettari che nel Mezzogiorno rappresentano l’88% delleaziende, mentre al centro Nord il 25% delle aziende hauna superficie superiore ai 5 ettari. In Toscana e inEmilia Romagna questa percentuale tende a crescere.

L’evoluzione storica delle superfici, i cambiamentistorici e culturali, l’abbandono di molte aree hanno por-tato alla coesistenza sul territorio nazionale di diversetipologie produttive che rappresentano ciò che resta delruolo economico e sociale che la castanicoltura ha avutoe continua ad avere nell’economia agricola.

Tali tipologie, sulla base degli studi effettuati(Grassi, et al., 1992), possono essere ricondotte a :

� Castagneto tradizionale estensivoCastagneto estensivo che per condizioniambientali e/o di conduzione esprime bassilivelli di produttività e di remunerazione.

� Castagneto tradizionale razionaleCastagneto tradizionale che per condizioniambientali e/o di conduzione si inserisce significa-tivamente nell’economia delle aziende interessate.

� Castagneto da conversione di ceduoCastagneto derivante da un intervento di conver-sione da ceduo la cui validità è subordinata allecondizioni ambientali e alle scelte di mercato.

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� Castagneto di nuovo impianto con cv di tipo europeoCastagneto impiantato ex novo utilizzando cul-tivar di tipo europeo, che in condizioni ambien-tali favorevoli può costituire una valida alterna-tiva alle altre coltivazioni legnose, e garantire laremuneratività dell’intervento.

� Castagneto di nuovo impianto con cv di tipo euro-giapponeseCastagneto impiantato ex novo utilizzando culti-var di tipo euro-giapponese, che in condizioniambientali favorevoli, in aree pianeggianti ed irri-gue può garantire dei buoni risultati economici.

La conoscenza delle tipologie produttive presentisul territorio nazionale rappresenta un elemento digrande interesse per la messa a punto di una strategiadi rilancio della castanicoltura e ciò soprattutto allaluce dei rinnovati ruoli che l’agricoltura può svolgerenelle aree rurali. Come verrà detto più diffusamentenel seguito, in quanto ciò costituisce un obiettivo del

volume, il miglioramento dell’eco-nomia dei territori rurali apparesempre più legata alla capacità del-l’agricoltura di queste aree di svol-gere un ruolo polifunzionale. Inquest’ottica il castagno può rappre-sentare, in molte aree del nostropaese, una risorsa di grande rilievoe ciò non solo per l’interesse econo-mico connesso alla produzione del

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legno e del frutto, ma anche per ilruolo svolto dal castagno nel modella-re il paesaggio rurale, nel manteni-mento e nella salvaguardia dell’am-biente e del territorio.

Il rilancio della coltivazione delcastagno appare, dunque legata, da inlato ad un intervento di rafforzamen-to della filiera produttiva attraverso il sostegno e l’in-troduzione dell’innovazione tecnologica nelle azien-de per migliorarne la competitività sui mercati e, dal-l’altro, appare legato alla diffusione di un nuovomodello di sviluppo locale delle aree rurali che puòvedere nella coltura e nella cultura del castagno ilmotivo di caratterizzazione e di valorizzazione del-l’identità territoriale.

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Bibliografia consultata

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Marradi 25-27 ottobre, Firenze.

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Castagno 2001, Marradi 25-27 ottobre, Firenze.

35Il castagno in Campania

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La tecnica colturale applicabile ai castagneti dafrutto si differenzia notevolmente a seconda dellatipologia di impianto che si considera.

Una approfondita indagine (Santangelo et al. 1992),effettuata in Campania dai locali Uffici agricoli e foresta-li, definì le seguenti nove tipologie colturali, distinte inrelazione all’ambiente, al livello di evoluzione dell’agro-tecnica attuata, all’età e alla produttività dei castagneti:

- 1 - Castagneti di oltre 40 anni, degradati, non infitti-ti, che ricevono poche attenzioni colturali. Sonogeneralmente impianti di tipo tradizionale esten-sivo, con livelli di produttività piuttosto bassi,che caratterizzano in buona parte le fasce altime-triche montane o di alta collina e che sono andatidegradandosi in relazione all’esodo della popola-zione agricola di quelle zone ed alla virulenza delcancro corticale.

- 2 - Castagneti di oltre 40 anni, non degradati e chericevono buone cure colturali. Trattasi di impian-ti tradizionali ma condotti in modo abbastanzarazionale, ubicati nelle aree generalmente piùvocate di media e bassa collina, su terreni ricchidi sostanza organica e ad erosione superficialecontenuta.

- 3 - Castagneti di oltre 40 anni, in ottime condizionicolturali. Si differenziano dai precedenti in virtùdel livello di capacità imprenditoriale che èmediamente buono, per la razionalità della con-duzione e per le cure appropriate che ricevono.

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Tecnica colturaleAUTORI:

Damiano CarmineGrassi Giorgio

CRA - Istituto Sperimentale per laFrutticoltura, S.o.p. di Caserta

Santangelo ItaloRegione Campania,

SeSIRCA

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Generalmente sono riferibili ad aziende diretto-coltivatrici ed a quelle a conduzione in economia,di medie o grandi dimensioni, con viabilità inter-poderale sufficiente ed in generale con una sod-disfacente remunerazione dei fattori impiegati.

- 4 - Castagneti relativamente giovani (20-40 anni)tenuti in condizioni colturali di degrado. Rispettoagli impianti del primo tipo, si differenziano perl’età e talvolta per la maggiore virulenza degliattacchi del cancro da Cryphonectria parasitica che,unita all’esodo dalle campagne, ha portato allecondizioni di degrado oggi riscontrabili. In gene-rale può considerarsi un sottotipo della primacategoria di impianti.

- 5 - Castagneti relativamente giovani (20-40 anni)tenuti in condizioni colturali buone. Sono ricon-ducibili, generalmente, agli impianti del secondotipo che però presentano la maggior parte dellepiante in stato giovanile in virtù di rimpiazzi, fal-lanze, infittimenti e ricostituzioni.

- 6 - Castagneti relativamente giovani (20-40 anni)tenuti in condizioni colturali ottime. Rappresen-tano, ancor più degli impianti del tipo preceden-te, il risultato di uno sforzo notevole del condut-tore nel ripristinare castagneti con ogni possibilerazionalità. In generale sono impianti, che, sep-pur non ancora giunti ai livelli di produttivitàottimale, si presentano in buon stato vegetativo eproduttivo in virtù delle cure attente ed assidueche ricevono.

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- 7 - Castagneti riformati o ristrutturabili. Si riferi-scono a quegli impianti che hanno subito, piùo meno di recente, drastiche potature sopra ilpunto di innesto con ricostituzione della chio-ma e ripristino dell’aspetto vegetativo origina-rio, riferito a prima dell’avvento del cancroe/o di un degrado colturale seguito all’abban-dono della coltivazione per un certo lasso ditempo.

- 8 - Castagneti di nuovo impianto ottenuti attraver-so conversione o riconversione di cedui in fusta-ie da frutto, negli ultimi 15-50 anni. A questatipologia di impianti sono stati riferiti sia casta-gneti originariamente da frutto, ceduati a segui-to della moria da cancro e successivamenteripristinati a fustaie da frutto (riconversione),sia quelli nati come boschi cedui, generalmenteper produrre pali, ubicati in aree idonee allaproduzione del frutto che, anche a seguito degliincentivi pubblici ed alla diminuita virulenzadella C. parasitica, sono stati trasformati in fusta-ie da frutto (conversione).

- 9 - Castagneti di nuovo impianto, realizzati negliultimi 15-20 anni mettendo a dimora piantonigiovani su terreno nudo. Ci si riferisce cioè agliimpianti ex novo istituiti con moderni concetti ditecnica colturale anche in zone in passato desti-nate ad altre colture agrarie. Nella letteratura tec-nica oggi tali impianti vengono anche definiti“frutteti di castagno”.

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Ognuna delle suddette tipologie produttiverichiede specifici interventi che, essendocostosi, rendono necessaria una preliminareanalisi della locale situazione, che definisca laeffettiva convenienza economica dell’impresa.

Impianti di tipo tradizionale

Tra i molteplici fattori da considerare,facendo riferimento alle tipologie dominanti inCampania, che sono i castagneti di tipo tradizionale,si segnalano i seguenti:

� componenti naturali dell’ambiente (clima, ter-reno, morfologia),

� accessibilità, � distanza dal centro di lavorazione, � varietà coltivate nell’impianto, � rese unitarie, � stato sanitario, � possibilità di meccanizzare, � richieste di mercato, � utilizzo del sottobosco (funghi, ecc.), � utilizzo agrituristico,� valutazione finale relativa alla possibilità di modi-

ficare i fattori rilevati quali “non favorevoli” in“favorevoli” e ai contributi pubblici disponibili.

Terminata l’analisi, potrà talora risultare opportu-no convertire o trasformare gli impianti in castagne-ti da legno ma se l’ambiente è vocato, la quota non

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eccessiva, le condizioni nutrizionali del terreno favo-revoli e le cultivar hanno mercato, gli interventi direcupero avranno facile successo.

Per effettuare il recupero dei castagneti di tipotradizionale è necessario integrare tra loro gli inter-venti al suolo e quelli alle piante, programmandoliin modo che eventuali deceppature e potaturepesanti precedano la creazione di lunette e la siste-mazione più superficiale del terreno, ad evitare didanneggiarlo. Si interviene sul terreno, mirando aripristinare la viabilità e il corretto sgrondo delleacque superficiali per evitare erosione e ristagni idri-ci, consolidare il suolo, accumulare terreno attornoalle piante per nutrirle meglio con gradoni, ciglioni,lunette, ed altro, compresa la particolare tecnica disistemazione detta “penta” nel forinese (AV).

Sulle piante già innestate con cultivar di pregio, enon troppo deperite, si interviene con la potatura(di cui si dirà più avanti) che può essere più o menointensa a seconda che sia di ricostituzione, di ringio-vanimento, di sfrondatura, di rimonda, di produ-zione, ecc., valutando la sinergica interazione che lapotatura ha, con gli effetti di una eventuale fertiliz-zazione. Si infittisce infine l’impianto, per portarlo adensità ottimale (150-110 p/ha a seconda di cultivare suoli), ricorrendo all’innesto dei selvatici “selvag-gioni” nati spontaneamente nel bosco, o trapiantan-dovi astoni innestati precedentemente in vivaio.

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Ricostituzione dopo taglio raso

Nei casi di maggior degrado colturale, in condizio-ni però favorevoli di struttura aziendale, vocazioneambientale e di mercato, si può effettuare il taglio rasodi tutte le piante e il successivo innesto dei polloni,quando avranno un anno di età. Il tipo di innesto piùindicato è il doppio spacco inglese: esso, come quelloa spacco diametrale pieno, si può effettuare in un arcodi tempo più lungo rispetto a quello dello zufolo tra-dizionale, e rispetto allo spacco lascia aperte minorisuperfici ai patogeni.

Ove possibile, anziché effettuare il taglio raso, con-viene tagliare i fusti di 10-14 anni di età a 1,5-2,0 m daterra e l’anno successivo innestare 3-5 rami vigorosiscelti tra la vegetazione emessa.

Nel fare gli innesti è indispensabile usare alcuniaccorgimenti, necessari ad evitare l’ingresso diparassiti attraverso le ferite causate dai coltelli:stringere bene i due bionti con il nastro da innesto(la plastica ha soppiantato quasi ovunque, ormai, laraffia e l’elastico) e alla fine verificare che il nastrocopra ogni ferita; spennellare poi con mastici protet-tivi da innesto tutta la parte. Va ricordato, in propo-sito, che l’uso di catramina a freddo è più economi-co, ma richiede controlli nel corso dell’estate perchéquesto materiale tende a fessurarsi col caldo, e cosìa perdere l’efficacia protettiva. (Per la protezionesolo naturale e biologica si rimanda al capitolo“aspetti fitopatologici”).

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E’ bene, nel primo anno successivoall’innesto, controllare che i germoglinon rischino di rompersi, sia assicuran-doli a eventuali tutori morti, sia effet-tuando tagli di spuntatura quando laloro lunghezza supera i 60 cm.

Negli impianti tradizionali, la ferti-lizzazione gioca un ruolo molto importante, sia per laeventuale correzione del pH del suolo, sia per la nutri-zione che apporta alle piante.

Nei castagneti adulti, il pH del terreno va tenutosotto costante controllo, per evitare che scenda sotto ilvalore di 5 (limite sotto il quale sono immobilizzatialcuni elementi minerali); all’occorrenza si può ammen-dare in un unico intervento con apporti di calcari in pol-vere (sino a 3 t/ha), oppure procedere alla correzioneprogressiva distribuendo negli anni fertilizzanti alcali-nizzanti (nitrati di sodio, di potassio, fosfato bicalcico).

L’apporto dei fertilizzanti in un castagneto di tipoeuropeo deve essere relativamente basso, ad evitareche le micorrize naturalmente presenti attorno alcapillizio radicale si deprimano. E’ consigliabilerispettare un rapporto azoto: potassio compreso tra1:1,5 e 1:1,2; infatti, un eccesso di azoto inciderebbenegativamente sulla fruttificazione.

Valori orientativi, proponibili per castagneti adultiin condizioni medie campane, si aggirano, qualeapporto annuo, tra 0,15 e 0,30 t/ha di nitrato ammo-nico (pari a 50-100 Unità fertilizzanti /ha), 0,1 e 0,2 di

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solfato potassico (50-150 U/ha), integrabili ogni 10anni con 0,2-0,3 di perfosfato minerale (40-110 U/ha).

L’apporto di letame maturo è prezioso specie sedifetta la sostanza organica: ogni 3 anni si possonoapportare da 20 a 35 t/ha a seconda dei casi. L’IstitutoSperimentale per la Frutticoltura di Caserta ha incorso una ricerca che studia la possibilità di effettuareil compostaggio dei residui della pulizia del castagne-to adulto, al posto della loro bruciatura.

Nuovi impianti

Discorso a parte, più completo, vafatto per i nuovi impianti. Saranno con-siderati prima quelli di castagno euro-peo poi quelli di ibridi euro-giapponesi,procedendo dalla scelta del luogo allagestione dell’impianto adulto.

Castagno europeo (Castanea sativa Miller).E’ importante effettuare i nuovi

impianti là dove sia accertata la vocazio-nalità ambientale: temperature invernalinon inferiori a –18°C, estive non supe-riori a 42°C, piovosità superiore a 900mm, terreno non calcareo ma, anzi, ten-denzialmente sub-acido, fertile e ricco disostanza organica (superiore a 2%), asso-lutamente senza ristagni d’acqua.

Una volta effettuata la sistemazione del

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suolo (eventuale sistemazione idrogeologica, livellamen-to e regimazione idrica), si procede all’eventuale scasso,a non più di 0,8 m di profondità.

Allo scasso si preferisce oggi la ripuntatura (a 1-1,2m di profondità) perché smuove meno il terreno eassicura comunque lo sgrondo delle acque; ad essasegue una sola aratura poco profonda (30-50 cm), oaddirittura, nelle condizioni di minor compattezzadel suolo, dall’apertura diretta delle buche in cuieffettuare la piantagione.

La piantagione va preceduta dalla concimazione difondo, guidata dalle preventive analisi chimico-fisi-che del suolo.

Si ritiene far cosa utile ai lettori fornendo alcunetabelle, valide in generale per ogni coltura arborea,che permettono di interpretare i dati forniti dalle ana-lisi di laboratorio (Regione Campania, 2000).

44 Il castagno in Campania

Tab. 1: Valutazione delle analisi del terreno per le colture arboree

Tipo di terreno ValutazioneSost org.

(g/kg = ‰)N-Totale (‰)

K2O scambiab.

(mg/kg = ppm)

P2O5 assimil.

(mg/kg =ppm)

Terreno con oltreil 60% di sabbia

BassaNormaleElevata

< 1212 – 15

> 15

< 0,80,8 – 1,2

> 1,2

< 102102 – 144

> 144

< 1616 – 25

> 25

Terreno franco(medio impasto)

BassaNormaleElevata

< 1414 – 21

> 21

< 1,01,0 – 1,6

> 1,6

< 120120 – 180

> 180

< 2020 – 39

> 39

Terreno con oltreil 35% di argilla

BassaNormaleElevata

< 1717 – 26

> 26

< 1,21,2 – 1,6

> 1,6

< 144144 – 216

> 216

< 2121 – 48

> 48

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A seconda del tipo di terreno e della dotazione diminerali indicata dalle analisi, la concimazione difondo potrà portare i fertilizzanti seguenti (i valorisono crescenti dalle dotazioni naturali del terreno ele-vate a quelle scarse): solfato potassico: t/ha da 0,2 a0,6; anidride fosforica: kg/ha da 1 a 3; perfosfato mine-rale: t/ha da 0,4 a 1,6; letame maturo: t/ha da 30 a 50.

45Il castagno in Campania

Tab. 2: Alcuni valori di riferimento per l’interpretazione delle analisi del terreno

Giudizio di valutazione

pH in acqua1:2,5

Calcare totale(%)

Calcare attivo(%)

Rapporto (C/N)

Ca scambiabile(mg/kg = ppm)

Basso 6,0 – 6,7 1 – 4 1,0 – 2,5 7,0 – 9,0 < 1000

Normale 6,8 – 7,2 5 – 15 2,6 – 5,0 9,1 – 11,0 1000 - 2000

Alto 7,3 – 8,1 16 - 25 5,1 - 10 11,1 – 20,0 > 2000

Tab. 3: Alcuni valori di riferimento per l’interpretazione delle analisi del terreno

Elemento Basso Normale Alto

Magnesio scambiabile (Mg) mg/kg 60 – 100 101 – 150 > 150

Boro solubile (B) mg/kg 0,20 – 0,40 0,41 – 1,00 1,01 – 1,50

Rame assimilabile (Cu) mg/kg < 1,00 1,00 – 6,0 > 6,0

Ferro assimilabile (Fe) mg/kg < 5,0 5,0 – 13,0 > 13,0

Zolfo (S) mg/kg 5 - 10 11 – 15 16 - 25

Molibdeno assimilabile (Mo Index) < 6,5 6,5 – 8,2 > 8,2

Sali solubili totali (%) ——- < 1,50 1,50– 3,50

Capacità Scambio Cationico 6,0 – 12,0 12,1 – 20,0 20,1 – 25,0

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46 Il castagno in Campania

Se lo scasso è fatto a buche, ovviamente si concimalocalmente con dosi proporzionate alla superficiemossa dalle buche medesime.

La piantagione rispetterà i sesti determinati dallapossibilità di meccanizzazione delle operazioni, soli-tamente si preferiscono quadrato e rettangolo, altri-menti quinconce e distanze definite soprattutto dallavigoria delle cultivar e dalla fertilità del suolo (da 7x8a 10x11 metri).

Gli impollinatori (10-15% del totale piante)vanno posizionati ben distribuiti all’interno dellecultivar fruttifere, al fine di migliorarne la fecon-dazione.

La messa a dimora delle piante avverrà preferibil-mente in autunno, ponendo nella buca una dose sup-plementare (20-30 grammi) di concime fosfopotassi-co, in quanto tende ad essere trattenuto dai colloididel suolo, mantenendo le radici non a contatto dei fer-tilizzanti. E’ importante che, dopo la piantagione, ilcolletto della piantina non risulti approfondito nelterreno, perché questa è una delle principali cause dimoria nei nuovi impianti.

Alle nuove piante devono essere assicurati già nelprimo anno l’irrigazione di soccorso (più necessariain anni caldi e aridi), eventuali tutori, protezione daanimali (capre, bovini, cavalli), potatura di alleva-mento e concimazione azotata. La fornitura di questoelemento salirà negli anni, da 20-50 grammi di p.a. apianta sino a 100-250 al 5° anno; la fornitura di potas-sio salirà da 60-80 grammi a pianta del primo anno a

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300-400 del 5° anno; è importante distribuire non acontatto del fusto, ma a distanze che da 1 m salgono a3 al 5° anno.

La gestione del castagneto consisterà poi nellapotatura di allevamento, nella difesa, nelle irrigazio-ni di soccorso (va assicurata in luglio e agosto nei 30-50 gg successivi alla fioritura), nella conservazionedella sistemazione del terreno, nelle concimazioni(che si avvicineranno a quelle già indicate a proposi-to degli impianti adulti tradizionali, ma corrette inbase alle analisi fisico-chimiche ripetute periodica-mente), e nelle lavorazioni al terreno. Queste ultime,volte soprattutto a controllare le erbe infestanti,devono badare a non favorire l’erosione del suolo,cioè essere superficiali quel tanto che consente l’in-terramento dei concimi e dei residui vegetali. E’ pre-feribile rimandare alla primavera le lavorazioni difine inverno, così da favorire la crescita e la diffusio-ne degli insetti predatori utili che sono ospitati nellaflora del sottobosco.

L’inerbimento controllato è consigliabile solo làdove l’impianto non sia effettuato in area vocata allatradizionale castanicoltura, ma in area più calda dota-ta di irrigazione.

Ibridi eurogiapponesi (Castanea crenata Sieb. etZucc. X C. sativa Miller).

Le cultivar ibride attualmente disponibili per lacoltivazione sono nettamente meglio rispondenti allerichieste di mercato del frutto (fresco e lavorato)

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rispetto a quelle che in Italia erano coltivate negli anni’80. Rispetto al castagno europeo sono pur semprepiù sensibili alle brinate tardive (entrano in vegeta-zione precocemente) alla siccità (hanno apparatoradicale più superficiale), richiedono oltre 1200 mmannui di pioggia, ma mantengono il vantaggio diessere più resistenti al calcare attivo e di tollerare ter-reni un po’ pesanti. Mediamente richiedono, rispettoall’europeo, tecniche colturali più attente, applicabiliin quote un po’ inferiori a quelle della castanicoltura

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tipica italiana e in giaciture per lo più meccanizzabili.Nei nuovi impianti, essendo gli ibridi meno vigo-

rosi dell’europeo, si può adottare anche il sesto a fila-re; se gli impollinatori sono posizionati lungo un fila-re, viene facilitata la raccolta di frutti, tra loro omoge-nei quanto a epoca di caduta e qualità merceologiche.

Le distanze di piantagione variano da 7 a 9 metritra le file, e 6-7 lungo la fila, con densità di impiantidunque variabili da 140 a 200 piante/ha, rispetto alle90-170 dei nuovi impianti di europeo.

Scasso e successiva gestione del terreno sono effet-tuati in condizioni idrogeologiche solitamente stabili,perciò possono essere effettuati con macchine dibuona potenza che agiscono anche a livelli relativa-mente profondi.

La fertilizzazione deve essere più abbondante, conapporti che si avvicinino a un rapporto azoto: potas-sio prossimo a 1:1, e considerino che i giovani ibridisono più sensibili alle carenze di manganese.

Si consiglia di effettuare una concimazione difondo secondo le dosi già dette per il castagno euro-peo, e la successiva concimazione di allevamento chesalga da 200-300 g di nitrato ammonico nel 1° anno a600-800 nel 5°. Poi, annualmente, mediamente si pos-sono distribuire 100 U azoto (pari a 0,4 t/ha di nitra-to ammonico), da 60 a 80 U di potassio (pari a 0,3 t/hadi solfato di potassio). L’apporto di fosforo va ripetu-to ogni 5-7 anni (a seconda dei risultati delle analisi),intensificandolo nei terreni sciolti (es.: 60 U/ha, pari a0,3 t di perfosfato minerale che è relativamente più

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solubile di altri fosfatici). Conviene poi tenere sottocontrollo la sostanza organica, e all’occorrenza appor-tare ogni 3 anni 4 t/ha di letame.

L’inerbimento favorito da irrigazione localizzata,può consentire un minor impatto ambientale rispettoad altre tecniche di gestione del suolo (diserbo, pac-ciamatura).

Potatura

In arboricoltura la potatura viene spesso consi-derata come semplice lavoro di taglio e asportazio-ne di parti di una pianta. Essa va invece vista comeun insieme di interventi che devono mirare, conragionevolezza, a modificare, in maggior o minormisura, l’equilibrio naturale esistente al fine di con-seguire gli obiettivi che inizialmente ci si è prefissa-ti e che possono essere: la produttività, il migliora-mento della qualità dei frutti, l’abbassamento del-l’altezza dell’albero, l’asportazione delle partimalate e così via.

Per il castagno da frutto in particolare, la potaturaassume una rilevanza strategica e non a caso, insiemealla raccolta, è l’operazione colturale che incide mag-giormente sui costi della sua coltivazione, anche per-chè è difficilmente meccanizzabile.

Gli interventi di potatura vanno però realizzati,non solo con la consapevolezza degli obiettivi che cisi è posti, ma anche sulla base di una reale conoscen-za della pianta e della sua attività fisiologica.

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Attraverso la potatura del castagno si è in grado diintervenire e quindi di influire:

‚ sulla produzione ordinaria, sia in termini quan-titativi che qualitativi;

‚ sullo stato vegetativo di una pianta in situazio-ne di degrado;

‚ sul recupero delle piante in situazioni fitosanita-rie compromettenti;

‚ sulla destinazione produttiva del castagneto.A monte di tutto, come si è già anticipato, occor-

re conoscere il ciclo produttivo e vegetativo dell’al-bero di castagno, nonché la sua conformazione ana-tomica. Questo perché nel dosare e distribuire gliinterventi cesori, l’operatore deve avere già la con-sapevolezza di quello che potrà succedere a seguitodel suo lavoro.

Ecco perché oggi la potatura degli alberi da frutto equindi anche del castagno è affidata a veri professioni-sti i quali intervengono in modo corretto, scegliendo leepoche di taglio più opportune e limitando gli inter-venti solo a quelli necessari. Essi devono ben conosce-re anche le malattie che colpiscono la chioma, e le tec-niche che garantiscono la sicurezza dell’operatore.

Fatta salva quindi la conoscenza delle basi dellafisiologia del castagno, vediamo in dettaglio qualisono gli obiettivi della potatura, con riferimento aipunti sopra individuati.

Gli interventi che puntano ad influire sulla fruttifi-

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cazione iniziano già al momento della scelta dellaforma di allevamento delle piante. E’ ovvio infattiche, soprattutto nel caso di nuovi impianti, la potatu-ra si indirizza a favorire da subito l’equilibrio tra atti-vità vegetativa e produttiva in modo da abbreviareanche la stazione di improduttività.

La potatura cosiddetta di produzione è indispensa-bile per favorire una fruttificazione elevata masoprattutto equilibrata.

Essa mira soprattutto a dare luce alla chioma, a eli-minare le branche esaurite, a rimuovere i rami secchio troppo deboli. Gli esperti sanno dosare tale potatu-ra in funzione della cultivar sulla quale intervengono,in relazione al diverso comportamento, vegetativo eproduttivo di ciascuna varietà.

La prima funzione, si è detto, è quella di assicurarealla chioma una buona illuminazione e il massimoarieggiamento interno. Dare maggiore luce alle fogliesi traduce di fatto in più elevata funzionalità fotosin-tetica che per il castagno, specie eliofila, significamaggiore differenziazione a frutto delle gemme equindi maggiore produzione.

L’altra funzione prioritaria di tale potatura è quelladel rinnovo costante delle branchette e dei rami fruttife-ri, il tutto sempre assicurando un equilibrio tra attivitàvegetativa e produttiva della pianta. I rami cosiddettiesauriti vanno asportati per far sì che naturalmente se nesviluppino altri destinati alla funzione produttiva. Taleintervento sulla pianta ingloba anche l’eliminazione deirami secchi o di quelli visivamente troppo deboli.

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L’intensità di tale operazione è in funzione dellamaggiore o minore necessità di ringiovanimento dellapianta. Interventi di potatura annuali o biennali pre-vedono quasi sempre solo tagli di diradamento e diraccorciamento poco intensi in quanto la chioma dellapianta è gestita dall’uomo in maniera continua edequilibrata. Se, viceversa, la potatura avviene ogni 4-5 anni (ed oltre), si dovrà procedere il più delle voltea tagli piuttosto sostenuti e all’eliminazione di bran-che, anche primarie, nell’obiettivo di ripristinarequell’equilibrio vegeto-produttivo che l’incuriapotrebbe aver generato.

Un altro elemento che è andato sempre più adacquistare importanza nella potatura è quello del-l’epoca degli interventi. Anche nella moderna castani-coltura oggi si parla di potatura invernale ed estiva,alla pari della frutticoltura intensiva. Laddove è tecni-camente e economicamente possibile, senza turbaretroppo l’organizzazione aziendale che vede general-mente quest’operazione posizionata esclusivamentein pieno inverno, è consigliabile di effettuare la pota-tura di produzione nel periodo primaverile-estivo,soprattutto in presenza di piante giovani per le qualisi è impegnati ad assicurare la struttura definitiva del-l’albero.

Gli interventi in verde permettono, infatti, di dosa-re in maniera opportuna la carica produttiva dellapianta e riescono ad influire anche sulla qualità e pez-zatura dei frutti. Alcuni potatori esperti valutano peròrischiosa tale pratica, specie se fatta in maniera errata

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o fuori tempo, in quanto essa puòprovocare nel castagno nuove emis-sioni vegetative indesiderate nonchél’insorgere di cancri letali.

Nel castagno da frutto la potaturaassume rilievo fondamentale anchenel recupero vegeto-produttivo dellepiante in situazioni di degrado.

Per recuperare un vecchio castagneto abbandonatoo deperito a causa di precedenti attacchi di cancro èbuona norma osservare pianta per pianta per stabili-re gli interventi da porre in essere, in quanto questisono correlati ad una serie di fattori che solo l’occhioattento dell’esperto potatore può cogliere.

In generale, gli interventi dovranno mirare: ad eli-minare le branche e i rami secchi, a ringiovanire lachioma, a rinvigorire la pianta mettendola in condi-zione di generare nuove emissioni vegetative, a ripu-lire il tronco dai polloni e dai getti indesiderati, adimpostare la futura chioma andando a selezionare lebranche e i rami utili a tale scopo.

Anche per le potature di riforma vale il concetto didare all’albero il massimo della luminosità alle partiinterne della chioma. Diradando i rami più vecchi emal distribuiti si stimolerà, inoltre, la futura fruttifica-zione delle branchette selezionate.

Il recupero della pianta verrà completato ripassan-do ogni anno, per circa 3 anni di seguito, a seleziona-re i ricacci e a dare un’impostazione razionale alla

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chioma, procedendo nel contempo a verificare che suitagli fatti non si sia insediato il cancro della corteccia,che andrà eventualmente asportato.

A volte, per il recupero del castagneto degradatopuò occorrere reinnestare le piante, per sostituire lavarietà precedente ovvero per ricomporre alcuneparti della chioma.

La potatura è pratica fondamentale anche nellesituazioni di recupero dei castagneti compromessi daattacchi parassitari ed in particolare dal cancro corti-cale. Ma la corretta potatura è anche uno dei metodipreventivi più idonei per mantenere la pianta in buonstato sanitario, soprattutto se si è in grado di “gestire”la presenza del parassita sull’albero in modo da evita-re che esso possa diventare aggressivo e deleterio.

Basilare è la conoscenza del ciclo evolutivo delparassita (Cryphonectria parasitica) e del suo riconosci-mento attraverso i sintomi sulla pianta. Capire i mec-canismi dell’ipovirulenza, della compatibilità traceppi, dell’evoluzione, consente infatti al potatore dipoter intervenire per tempo a salvaguardia dellapianta e quindi della produzione.

E’ scontato, altresì, che nell’esecuzione della pota-tura del castagno, proprio per il pericolo incombentedel cancro corticale, si dovrà porre la massima atten-zione nell’evitare di contaminare gli attrezzi con leparti infette, onde evitare che gli stessi fungano davettori del parassita.

Come è altrettanto ovvio che i tagli sulle branche,soprattutto quando sono di una certa dimensione,

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vanno eseguiti a regola d’arte: conla giusta inclinazione evitando cosìdannosi ristagni d’acqua e in manie-ra netta in modo da preservare lazona del collare.

Altre avvertenze sono: protegge-re la superficie del taglio con fungi-cidi, disinfettare continuamente gliarnesi, allontanare e bruciare i resi-dui della potatura.

Infine, un cenno sulla cosiddetta “potatura in sicurez-za”, che è stata concepita proprio per chi svolge questomestiere nei castagneti da frutto su piante adulte. Oggi letecniche che mirano a salvaguardare gli operatori agrico-li nello svolgimento di pratiche come la potatura sonodiverse e sempre più raffinate man mano che l’innova-zione tecnologica mette a punto nuovi metodi masoprattutto nuovi materiali ed arnesi sempre più evoluti.

La più recente è la tecnica del tree-climbing, mutuatadalla pratica sportiva dell’arrampicata sulle pareti roc-ciose che consente all’operatore, addestrato e che siavvale dell’ausilio di imbracature di sicurezza, di gesti-re gli interventi sulla pianta, anche ad altezze notevoli,nel modo meno rischioso per la propria incolumità.

Raccolta

La maturazione delle castagne è scalare e la raccol-ta procede dalla seconda metà di agosto (cultivar pre-

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coci euro-giapponesi) e da inizio settembre (cultivarprecoci europee) sino alla prima decade di novembre(cultivar tardive europee). La maggior parte delle cul-tivar apre i ricci quando ancora sono sospesi in pian-ta, alcune però fan cadere a terra i ricci che serrano ifrutti, e vanno aperti con “forchette” di legno fabbri-cate dai raccoglitori stessi. Un tempo si “bacchiava-no” con pertiche i ricci in pianta, ma la pertica (chedanneggia i rametti e facilita l’ingresso del cancro)non è oggigiorno economicamente conveniente.

La resa alla raccolta, varia da 5 a 15 e più kg/ora,a seconda della pezzatura dei frutti, delle condizionidel castagneto (giacitura, pulizia del sottobosco).Poiché la raccolta manuale incide, nei castagneti tra-dizionali, per circa la metà del costo di produzione, siè cercato di agevolarla con sistemi e macchinari vari.

L’uso di andanatrici (a pettini rotanti) è applicabilein situazioni di pianura e permette di accumulare frut-ti e ricci in strisce dalle quali si estrarranno i soli frutti(manualmente o mediante aspiratrici o raccattatrici).

In situazioni collinari e montane di suolo sconnes-so, sono impiegate talvolta aspiratrici a spalla (es.:quella della Cifarelli) che però affaticano e hannocapienza ridotta, o soffiatrici (es.: Stihl) che spingonoricci e frutti in andane da cui saranno raccolti inseguito. Macchine aspiratrici di buona o grossa poten-za consentono di raccogliere sino da 20 m di distanzacon tubi leggeri: ricci e frutti sono convogliati a sepa-ratrici per lo più interne alla macchina stessa; la lororesa dipende soprattutto dalla quantità di prodotto

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accumulatosi a terra. Ottime macchineturboraccoglitrici (aspiratrici e raccatta-trici a spazzola con separatori) trainate osemoventi sono costruite in Italia, hannopotenza da 30 a 60 kW ma all’occorrenzaanche superiori, il cantiere impiega perlo più due sole persone, le rese sono ele-vate (sino a 800 kg/ora, se il prodotto èabbondante e la giacitura è pianeggian-

te): citiamo, ad esempio, le ditte Facma, Agrintem,Monchiero, Tonutti, Rotair.

La Regione Campania e l’Istituto Sperimentale perla Frutticoltura di Caserta hanno effettuato (congiun-tamente e separatamente) giornate dimostrative eprove di verifica, in castagneti di più province, conesiti molto favorevoli.

Poco diffuso in Campania è l’impiego di reti per laraccolta, da posizionare sotto le piante in strisce lar-ghe 4-8 m. A fine caduta ricci, sollevando le reti si con-vogliano frutti e ricci in cumuli, da cui si colgono consecchi e si versano in leggere macchine separatricicalibratici. Le reti possono essere adagiate al suolo osollevate (a 40-80 cm) per agevolare la raccolta. Il loroimpiego è limitato dal costo di acquisto e di messa inopera, ma l’efficacia è già stata sperimentata e ricono-sciuta in aree declivi, in cui le reti evitano la perdita diprodotto per rotolamento.

Per salvaguardare al meglio la qualità dei frutti èbene rispettare alcuni accorgimenti: evitare che ifrutti ricevano colpi (battendo su sassi, o tra loro, o

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nei condotti metallici delle macchine raccoglitrici)perché l’amido della polpa imbrunirebbe facilmente;raccoglierli da terra presto, per evitare infezioni dacrittogame e perdita di peso (molto favorite da ele-vate temperature dell’aria); non lasciarli accumulatiin massa (fermentano e subiscono attacchi di tortri-ci) e repentinamente lavorarli (calibratura, eventua-le trattamento in acqua e conservazione per le variedestinazioni di mercato).

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Il patrimonio vegetale castanicolo presente inCampania è costituito in massima parte dalla specieCastanea sativa Miller.

La tassonomia botanica inserisce all’interno delGenere botanico Castanea tre Sezioni e numeroseSpecie (tab. 1): esse si sono differenziate e diffusesoprattutto in Asia e nel Nord America; invece la C.sativa appartiene alla sola Europa.

Il castagno europeo, originario dell’Asia Minore, fuoggetto di una rapida iniziale “diffusione primaria”conseguente a fattori naturali, cui è seguita una ancorpiù rapida “diffusione secondaria” causata da fattoriantropici.

La coltivazione della C. sativa è stata diffusa nelcontinente europeo soprattutto dai primi popoli colo-nizzatori provenienti dal vicino Oriente e poi daiRomani, data la grande importanza che l’albero ha dasempre assunto per gli insediamenti collinari e mon-tani, fornendo sostentamento alimentare (di prontouso ma anche serbevole), legnami (da costruzione, dalavoro, da ardere) e sottoprodotti di utilizzo vario(utensili, usi zootecnici, ecc.).

In Campania, in particolare, la coltivazione delcastagno ha costituito sin da tempi antichi e tuttorarappresenta risorsa forestale, alimentare, zootecnicaed economica, gestita spesso secondo i buoni usi e lasaggia cultura del passato: ad esempio, la vecchiapratica del “baratto” di prodotti agricoli è ancora inuso in alcune aree del beneventano, ove le castagnedei monti sono scambiate con il grano delle pianure.

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Germoplasma e biodiversità del castagno dafrutto in CampaniaAUTORE:

Grassi GiorgioCRA - Istituto Sperimentale per la

Frutticoltura, S.o.p. di Caserta

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Il germoplasma castanicolo campano del passatoera presumibilmente tra i più ricchi e differenziatid’Italia, per la concomitanza di alcune peculiarità diquesta regione. Vi è infatti diversità netta di condizio-ni pedoclimatiche tra le diverse aree del territorio, eciò costituisce importante elemento discriminatorionella selezione naturale degli ecotipi adattabili allesituazioni ambientali locali; pertanto col passare deisecoli la biodiversità castanicola formatasi spontanea-mente per spinte naturali era già di per sé ampia.Entro questa diversità, l’azione umana di selezioneportò a distinguere, e poi a coltivare (dapprima persemina e poi per innesto), i tipi che mostravano lemigliori caratteristiche di produzione e di qualità, siadel frutto che del legno.

Al primo, ricco germoplasma, così disponibile incoltivazione, via via crescente a seguito della continuaazione di selezione umana entro le popolazioni selva-tiche, se ne aggiunse nel tempo dell’altro, a seguito diuna inveterata abitudine agricola specifica campana:non si effettua l’innesto di un giovane selvatico o ilsovrinnesto di una pianta già innestata, si preferisceinvece attendere la prima fruttificazione del selvaticoper valutare la bontà dei suoi frutti, e si conservacomunque il germoplasma che prima è stato già sele-zionato per una qualche buona caratteristica.

Ulteriore arricchimento del germoplasma era infi-ne causato dall’apporto di nuove varietà, non autoc-tone, importate a seguito degli scambi commerciali,intensi per via dei grossi porti regionali.

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Tanta ricchezza di germoplasma esistette probabil-mente sino al tardo medioevo, fino a quando cioè iniziòuna incisiva azione di razionalizzazione delle coltiva-zioni agricole e forestali ad opera dell’ordine monasti-co dei Benedettini, nei territori delle attuali province diAvellino e di Salerno, azione le cui conseguenze sonoben evidenti anche ai nostri tempi. I Benedettini, infat-ti, avevano aziende e boschi sia nel Principatus citra sianel Principatus ultra (cioè sia al di qua che al di là)rispetto alle Serrae Montorii (cioè dei monti che separa-no l’avellinese e il salernitano); il loro ordine ha comeregola “ora et labora” (prega e lavora), così lavoravanoal miglioramento agronomico, agricolo e forestale delterritorio selezionando e diffondendo i migliori insertidel tempo (“insertus” significa innestato, innesto, culti-var innestata, da cui deriva la denominazione localeattuale delle cultivar dette “Nserta”). Furono seleziona-te poche varietà ben rispondenti alle condizioni pedo-climatiche locali; tra queste risultò ottima quella checostituisce oggi la base produttiva, molto ampia e rela-tivamente omogenea, del cosiddetto “Marrone avelli-nese”; esso è diffuso soprattutto in Irpinia, nell’alto emedio salernitano, nel beneventano, in provincia diNapoli e, meno, nel casertano, con i nomi “Santoman-go”, “Montemarano”, “Marrone “ e altri.

L’azione ora descritta, di “standardizzazione” col-turale estesa nella Campania meridionale, con il con-seguente appiattimento di germoplasma e perdita dibiodiversità locale, non ha interessato la Campaniasettentrionale. Lì, anzi, la castanicoltura casertana

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mostra peculiarità che non trovanoanalogia in alcuna altra area castanico-la italiana: il territorio conserva unaquantità particolarmente elevata divarietà diverse tra loro sia per le carat-teristiche morfologiche (dei frutti, dellefoglie, ecc.), sia per le qualità merceolo-giche del prodotto, sia per la tolleranzaalle avversità di natura fitopatologica. Così, accantoalle più diffuse “Tempestiva”, “Mercogliana” e“Napoletana” che costituiscono le produzioni piùimportanti dal punto di vista commerciale, troviamola varietà “Olefarella” che dà frutti piccoli e perciò dif-ficilmente commerciabili, ma ottimi di sapore permangiarli in famiglia; la “Pacuta” dà frutti bellissimiche, seppur non ottimi di sapore, somigliano molto aquelli del marrone viterbese e trovano facile mercato;la “San Pietro” che resiste meglio ai freddi ed è menoattaccata dal parassita balanino; e così via: la “Strac-ciasacchi”, la “Pezzutella”, la “Rossolella”, ed altre.

Evidentemente i castanicoltori locali avevano inpassato individuato sul posto differenti ecotipi dotatidi caratteristiche positive i quali, differenziandosi tradi loro e rispetto alla massa della produzione domi-nante, potevano garantire il raccolto riducendo ilrischio di perdere il prodotto a causa delle avversitàdi natura climatica o parassitaria: così facendo, icastanicoltori si assicuravano sia il cibo, sia una inte-grazione economica del reddito aziendale. I castani-coltori del casertano, inoltre, avevano importato nel

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passato da altre province e regioni le migliori varietàesterne, per saggiarne le possibilità di coltivazione edi mercato. Iniziativa, questa, autonoma e utilissima,che perdura ai tempi nostri: in luogo, infatti, è inizia-ta la coltivazione di alcune varietà ibride francesi e diuna ottima varietà di marrone piemontese.

Come il “marrone di tipo avellinese” rappresentala forza economica della miglior castanicoltura “dareddito” delle province di Avellino, Salerno, Beneven-to, e Napoli, così la “Tempestiva del Vulcano di SantaCroce” (detta anche “Primitiva”, o “Tempestiva”, o“Precoce di Roccamonfina”, Precoce di Teano”, ecc.),lo è per la provincia di Caserta.

La composizione del germoplasma castanicolodella regione Campania, distribuita per provincia eper destinazione prevalente, risulta dalla tabella 2.

Per effettuarne una valutazione più corretta in ter-mini di principali caratteristiche produttive, morfolo-giche e merceologiche, è opportuno rapportare que-sto germoplasma al più ampio quadro delle varietipologie costituenti la produzione nazionale com-plessiva, che ora descriviamo brevemente.

Le cultivar italiane di castagno da frutto possonoessere distinte, per la qualità del prodotto, nelleseguenti 4 categorie:(1) Marrone fiorentino, o casentinese, o toscano (e, secon-do le norme ICE, “marrone”).

E’ il rappresentante tipico della categoria deimarroni tradizionali italiani, ben studiato e descrit-

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to da Breviglieri (1955) nei suoi aspettibiologici, pomologici, agronomici. E’molto apprezzato per le caratteristicheorganolettiche della polpa (che hasapore delicato) e per quelle tecnologi-che (buona pelabilità, polpa che resistealla cottura senza sfaldarsi, contenutapercentuale di semi doppi) che lo ren-dono idoneo, con ottimi risultati, a un’ampiagamma di utilizzi che vanno dal consumo allo stato“fresco” alla canditura. La farina, fine e molto dolce,ma poco serbevole, è utilizzabile per dolci speciali.

La pezzatura media (cioè il numero di frutti in 1kg) varia da 55 a 65; ed è superiore (50-55) in annatein cui prevale il frutto unico dentro il riccio.

Il frutto ha forma ovale o ovale ellittica. Il pericar-po, di color variabile da marrone bronzato chiaro arosso avana, ha tipiche striature scure rilevate. L’iloha forma più rettangolare che ellittica.

La pianta è autosterile, perché astaminea o brachi-staminea. Assicurando impollinazione incrociata lafertilità è buona, ma la fruttificazione è spesso alter-nante. La produzione ad ettaro varia da 0,5 a 3 t, aseconda delle cure colturali che la pianta riceve. La cul-tivar è alquanto esigente in fatto di terreno e di clima.

In Campania è coltivato nel napoletano; c’è il“Marrone di Susa” nel salernitano; recentemente, unmarrone cuneese è coltivato nel casertano.(2) Marrone avellinese, o campano (e, secondo le normeICE, “castagna-marrone di Napoli”).

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Così definito già dal Breviglieri (op. cit.), è il mar-rone che alimenta la maggior corrente di “marroni”lavorati dall’industria italiana, che lo apprezza perchéha elevate caratteristiche tecnologiche: percentuale disettato molto contenuta, buona pelabilità, pezzaturaidonea a diverse lavorazioni, polpa di buone caratte-ristiche merceologiche e organolettiche, seppur infe-riore per sapidità e dolcezza a quelle del M. fiorenti-no, forma emisferica che ben consente di pelare alvapore le pezzature più grosse.

La pezzatura media varia da 50 a 75, ma facilmen-te è maggiore.

Il pericarpo ha color marrone fulvo, con striatureevidenti ma meno fitte e rilevate rispetto al Marronetoscano. L’ilo ha forma più ellittica che rettangolare.

Le piante sono generalmente autosterili costituzio-nalmente, per malformazione o incompleta evoluzio-ne dell’androceo. La fertilità è elevata, la fruttificazio-ne è meno alternante rispetto al Marrone fiorentino.

La produzione ad ettaro è elevata, può variare da 1a 5 e oltre t. La cultivar è meno esigente del Marronefiorentino in clima e terreno, ma solo sui terreni ferti-li e sani esprime il meglio delle sue molte qualità. InCampania è coltivato con la denominazione“Marrone” in quasi ogni provincia.(3) Castagne.

Al Marrone fiorentino e al Marrone avellineseseguono, per importanza economica mercantile, alcu-ni tipi di castagne, che raggruppiamo nelle seguenticlassi di pregio:

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Castagne “marrone simili”. Hannofrutti di buona o elevata attitudine tec-nologica, unita a idonea pezzatura.Simili al Marrone avellinese sono, adesempio, alcune “Napoletane” e “Mer-cogliane” del casertano e beneventano.Nel Centro e Nord Italia la qualifica“marrone simili” fa riferimento al“Marrone” di tipo casentinese.

Castagne che maturano in epoca precoce. Le primiziesono molto quotate sui mercati specialmente se confrutto di buona pezzatura e dolce. Sono destinate almercato del fresco la cui domanda, però, non si attiva senon con i primi freddi autunnali. In Piemonte è ottimala “Castagna della Madonna”, in Campania la “Rossadi S. Mango” (entrambe marrone-simili); ma commer-cialmente la più forte è la “Primitiva di Caserta”.

Castagne utilizzabili in modo polivalente. Hanno disolito elevata produttività e buona pezzatura condiscrete caratteristiche organolettiche e tecnologiche.Ad esempio: la “Napoletana” del casertano, la“Verdole” dell’avellinese.

Castagne con buona attitudine a utilizzi specifici. Per cal-darroste: sono apprezzate per aver frutti particolarmentegustosi, sapidi, dolci, pur potendo difettare in pezzatura.Es. “Napoletanella” e “Olefarella” del casertano. Percastagne secche: hanno frutti di solito molto dolci. Es.“Castagna di Montella” dell’avellinese. Per farina: hannosapore gustoso e sono serbevoli. Castagne di elevata ser-bevolezza. Es. “S. Pietro” del casertano.

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(4) Ibridi euro-giapponesi e castagni orientali.I castagni orientali, Castanea crenata Sieb. et Zucc.

(giapponese) e Castanea mollissima Blume (cinese)furono introdotti in Europa nei primi decenni del ’900per essere impiegati quali portinnesti in grado di con-ferire, alle piante innestate con le cultivar europee,una maggior resistenza al mal dell’inchiostro ed alcancro della corteccia, con esito però negativo. A par-tire dagli anni ’70 furono importate varietà da fruttogiapponesi per valutarne la validità sotto il profiloeconomico e le capacità di adattamento alle condizio-ni pedo-climatiche italiane, ma i risultati della speri-mentazione condotta in Italia, per quanto peculiaresoprattutto del Piemonte, inducono a ritenere che siada scartare la diffusione su ampia scala di alcune cul-tivar giapponesi quali produttori diretti.

Gli ibridi euro-giapponesi, ottenuti all’inizio soprat-tutto in Francia e introdotti in Italia dal 1974, presenta-no parziale resistenza al cancro della corteccia ed almal dell’inchiostro, sviluppo più contenuto delle culti-var europee, discreta produttività, precoce entrata inproduzione (3°-5° anno), epoca di maturazione preco-ce, frutti di elevata pezzatura e con le caratteristichedel marrone (bassa percentuale di frutti doppi o setta-ti) ma devono essere impiantati in terreni fertili, nonsoggetti a ristagni di umidità, con pH a reazione prefe-ribilmente sub-acida e privi di calcare attivo, irrigui,ad altitudine non superiore ai 500-600 m e richiedonole stesse cure colturali necessarie per le specie da frut-to diverse dal castagno.

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Sono coltivati soprattutto nel cuneese; in Campaniasi sono diffusi soprattutto nel casertano. Le cultivar piùimpiegate sono “Precoce Migoule”, “Marsol”, “Bour-nette”.

A fine anni ’90 sono state importate nel cuneesevarietà cinesi, a frutto piccolo e molto dolce, ora allostudio in Piemonte. Sembra associato ad esse l’intro-duzione di un insetto molto pericoloso anche per laspecie di castagno europeo, il Dryocosmus kuriphilus.

Nome Sezione e Specie comune inglese Diffusione

EUCASTANONC. sativa Miller European Chestnut S. Europa, Asia Minore, N. AfricaC. crenata Sieb. et Zucc. Japanese C. Giappone, CoreaC. mollissima Blume Chinese C. CinaC. dentata [Marsh.] Borkh. American C. N-U.S.: da Maine a AlabamaC. seguinii Dode Seguin Chinkapin CinaC. davidii Dode Cina

BALANOCASTANONC. pumila var. pumila (L.) Mill. Allegany Chinkapin SE- U.S.: VirginiaC. pumila var. ozarkensis Ashe Ozark Chinkapin Arkansas, Missouri, OklaomaC. ashei (Sudw.) Ashe Ashe Chinkapin da N. Carolina a FloridaC. alnifolia Nutt. Trailing Chinkapin Florida, AlabamaC. floridana Ashe (Sarg.) Florida Chinkapin Georgia, da Florida a TexasC. paucispina Ashe S- U.S.: Texas, Louisiana

HYPOCASTANONC. henryi Rehd. et Wils. Henry Chinkapin SW- Cina

Tab. 1: Genere Castanea: tassonomia e diffusione (elab. da Rutter et al. 1990)

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Provincia Denominazione cultivar Destinazione di mercatoFresco Industria

AV Verdole *AV C. di Montella * *AV M. Serinese * *AV Montemaranese * *AV M. di Cervinara * *AV M. di S. Martino * *AV Rossa S. Mango *AV Forino *AV Montefortese *AV Altre *

BN Giallinella *BN Napoletana * *BN Liurita *BN Paccuta *BN Lenzeta *BN Chiusano * *BN Santo Mango * *BN Altre *

CE Tempestiva *CE Napoletana * *CE Mercogliana * *CE Marzatica *CE Paccuta *CE Altre *

SA M. di Roccadaspide * *SA M. di Susa * *SA Montemarano * *SA Nzerta * *SA Altre *

Tab. 2: Principali cultivar diffuse in Campania per Provincia, e destinazione prevalente(elaborazione ISF)

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75Il castagno in Campania

II

Aspetti economici

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Il frutto del castagno, un achenio secondo alcuniautori, una noce secondo altri, presenta una parteesterna detta pericarpo di un colore che varia dalrosso mattone al marrone scuro, al di sotto della qualevi è una sottile pellicola di colore rosato detta episper-ma che contiene il seme, la parte edule del frutto.

Il numero dei frutti per chilogrammo indica la pez-zatura o il calibro, che, nella Castanea sativa (castagnoeuropeo), può variare da meno di 30 ad oltre 200. I cali-bri che vengono commercializzati vanno da 40 a 120.

Ai fini commerciali viene operata una distinzionetra castagne e marroni. Questi ultimi secondo la defini-zione dell’ICE (Istituto per il Commercio Estero) devo-no presentare “forma ovoidale, con apice poco rileva-to, occhio piccolo di forma tendente al rettangolo, buc-cia piuttosto chiara con striature scure, vicine, e spessoin rilievo, polpa lievemente solcata e facilmente sepa-rabile dalla pellicola”. Sono, invece, definite castagne ifrutti “a forma rotondeggiante, generalmente appiatti-ta da un lato, con apice prevalentemente conico, occhiogrande con forma tendente all’ovale, buccia piuttostoscura, polpa profondamente solcata e molto aderente

alla pellicola”.Secondo alcune stime (Alvisi e Gajo, 1983)

circa l’80% della produzione italiana è avviataal consumo fresco; in particolare il mercatointerno ne assorbirebbe circa il 50%, poco piùdel 25% è destinato all’esportazione mentreall’industria dolciaria ne arriva il 10-15%. Larimanente parte sarebbe destinata ad usi zoo-

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AUTORE:

Rinaldi AgneseRegione Campania,

Settore Interventi per laProduzione Agricola

Utilizzazione e commercializzazione dei fruttidel castagno

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tecnici (5-10%). Tale distribuzione, pur se valida alivello nazionale, può diversificarsi anche notevolmen-te a livello locale, e ciò in relazione sia alle caratteristi-che del prodotto che alla presenza in loco di imprese diconservazione o di lavorazione del prodotto.

Gli usi a cui le castagne sono destinati sono moltepli-ci. I frutti allo stato fresco vengono consumati abbrusto-liti, come caldarroste, o vengono cotti e utilizzati per lapreparazione di minestre, contorni, creme, dolci e mar-mellate, oppure si prestano ad essere sciroppati o confe-zionati sottospirito o all’acquavite e, previa glassatura,ad essere trasformati in marrons glaces. Anche le prepa-razioni industriali che si ottengono sono innumerevoli:creme, purea, marroni al naturale e marroni canditi e, daquesti ultimi, marrons glaces e specialità sottospirito(cognac e grappa). Il trattamento industriale prevedeanche l’essiccazione del prodotto da cui si ottengono lecastagne bianche (per la preparazione di zuppe e mine-stre) e la farina di castagne (elemento base per la prepa-razione di molti dolci tipici, pani, polente e castagnacci).Dal prodotto essiccato, tramite processi farmaceuticispecifici, si possono ottenere anche integratori alimenta-ri, acido citrico e vitamina B12. I frutti non sgusciati pos-sono anche essere essiccati con specifiche procedure perdiventare viette, castagne del prete, vecchioni.

In anni recenti si sta tentando anche l’applicazionedi nuove tecnologie al fine di ottenere nuovi prodotti abase di castagne non ancora presenti sul mercato. Inparticolare si sta sperimentando il processo di cotturaestrusione della farina di castagne per la preparazione

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di cereali da prima colazione o di snacks e unanuova tecnologia per la produzione degli sci-roppati a basso contenuto zuccherino. Le carat-teristiche organolettiche e nutrizionali dellecastagne, come si vedrà in seguito, offrono unaserie di opportunità di valorizzazione comercia-le del prodotto che unitamente ad una politica

agricola al settore possono contribuire al rilancio dellacastanicoltura italiana e regionale (Adua, et al. 2001).

Le fasi che caratterizzano generalmente la trasfor-mazione del prodotto sono sintetizzate nel prospetto 1.

La campagna di commercializzazione delle casta-gne si svolge in un arco di tempo compreso di normatra ottobre e marzo, con una domanda consistente incorrispondenza delle prime fasi di raccolta del pro-dotto e delle festività natalizie.

Le castagne vengono solitamente commercializza-te dopo essere state suddivise in base alla pezzatura eaver subito alcuni trattamenti (pulitura, selezione,calibratura, curatura, asciugatura, confezionamento)che garantiscono una migliore conservabilità del pro-dotto e quindi un periodo di commercializzazionepiù lungo. Altri trattamenti specifici (sterilizzazione esurgelazione) possono essere applicati in relazionealla destinazione finale del prodotto nel caso di unsuccessivo utilizzo da parte dell’industria di trasfor-mazione per i prodotti destinati al mercato estero.

La curatura consiste di solito nell’immergere lecastagne in vasche contenenti acqua a temperatura

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79Il castagno in Campania

(Spellatura)

ambiente per un periodo variabile dai 4 ai 9 giorni,dopo i quali si estraggono e si pongono ad asciugare.La permanenza delle castagne in acqua ha il duplicescopo di eliminare gli agenti delle muffe che per vive-re richiedono ossigeno e favorire nel contempo lo svi-luppo di microrganismi anaerobici che determinanouna leggera fermentazione dei frutti che gli fa acqui-stare una particolare serbevolezza.

Prospetto 1: Principali fasi di lavorazione delle castagne

Tra parentesi sono indicate le fasi opzionali

Raccolta

Pulitura

Selezione

Calibratura

Curatura/ steriliz-zazione

Consumo diretto

Scarti di lavorazione

Essiccazione

Produzione di farina

Vendita

Esportazione

Mangimi

Concime

Asciugatura

(Cernita)

Confezionamento

Stoccaggio

Esportazione

Surgelazione

Uso industriale

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La sterilizzazione può avvenire attraverso l’utiliz-zo di acqua calda o attraverso o di prodotti chimiciimmessi in camere a chiusura ermetica. Si tratta diuna pratica indispensabile per i prodotti destinati adalcuni mercati esteri che bloccano le importazione incaso di presenza di frutti bacati.

Le castagne fresche, non surgelate, sono conservabiliin cella frigorifera (a temperature intorno a 0°C , umidi-tà intorno all’80-90% e ventilazione continua) per unminimo di 3-4 settimane, oppure in celle ad atmosferacontrollata (al 10-20% di anidride carbonica , al 2% diossigeno e a temperature intorno a 0°C) per circa 6 mesi.

La surgelazione è applicabile sia ai frutti con labuccia che ai pelati. I frutti sono portati a temperatu-re di –35, -40°C e poi conservati a –20°C in celle a ven-tilazione continua. Il prodotto surgelato è conservabi-le per molti mesi senza difficoltà.

La fase di curatura è una fase fondamentale neltrattamento del prodotto perché una parte significati-va di valore aggiunto del prodotto finito si può rag-giungere solo attraverso una appropriata curatura. Inquesta fase, infatti, si creano le premesse perché ilfrutto si mantenga morbido e flessibile, diventi recet-tivo allo sciroppo di zucchero, per le fasi di successi-va canditura ed, in sintesi, offra una buona resa nelleoperazioni successive. L’utilizzazione e la destinazio-ne finale del prodotto dipendono sostanzialmentedalla qualità della materia prima e dal valore aggiun-to di filiera legato al prodotto.

La filiera castanicola spesso non è strutturata in

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maniera definita e il prodotto raccolto in aziendaprima di giungere agli acquisti finali (consumatore eindustrie di trasformazione) subisce una serie di pas-saggi intermedi (commercianti locali, grossisti, tra-sportatori ed intermediari) che ne condizionano sia ilprezzo che la qualità finale.

Il Commercio Internazionale

L’esportazione dei frutti del castagno verso i Paesiesteri ha origini lontane. In molti casi il flusso delleesportazioni ha seguito il flusso degli italiani cheimmigravano all’estero in cerca di fortuna. Questiultimi, infatti, spesso provenienti dalle regioni monta-ne e collinari portavano con sé le tradizioni e le abitu-dini alimentari della loro terra (Malanga, 1992).

Il commercio internazionale di castagne e marro-ni italiani ha avuto la sua massima espansione neiprimi anni del 900, con oltre 30.000 tonnellate diprodotto esportato. Da allora i quantitativi com-mercializzati sono andati via via riducendosi e ciòsia in relazione alle vicende che hanno caratterizza-to le economie dei Paesi nell’ultimo secolo,sia a seguito della recrudescenza di alcunepatologie che hanno fortemente compromes-so la produttività della specie.

Negli ultimi decenni, il nuovo interesse neiconfronti del prodotto da parte di alcuni mer-cati ha dato un nuovo impulso alla ripresa delcommercio del prodotto (graf.1).

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82 Il castagno in Campania

Nel 2002 le esportazioni mondiali di castagne emarroni hanno raggiunto le 24.000 tonnellate per unvalore di oltre 50 milioni di Euro.

L’Unione Europea rappresenta il principale merca-to di destinazione del prodotto italiano (49,7%) conun valore delle esportazioni che nel 2002 ha raggiun-to i 21,79 milioni di Euro (tab.1, graf. 2).

I mercati esteri che più apprezzano il prodotto ita-liano sono la Francia (23%), gli Stati Uniti (16%), laSvizzera (16%), l’Austria (9%) e la Germania 8%).

In Francia le castagne e i marroni sono soprattuttoconsumati come prodotto ottenuto dalla trasformazioneindustriale, mentre in Austria e in Svizzera viene prefe-rito un prodotto di più elevata qualità, adatto al consu-mo fresco, che spunta prezzi mediamente più elevati.

Graf. 1: Andamento delle quantità di marroni e castagne esportate dall' Italia dal 1990 al 2003

Fonte: Stime FAO, FAOSTAT Settembre 2005

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Tab. 1: Esportazione di castagne e marroni per paese. Anni 1996-2003 (valori in migliaia di Euro)

Fonte: Dati elaborati dall'Ice su fonte Istat - 2003

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Una domanda crescente proviene anche da paesidell’Europa centro orientale (4%), Ungheria eSlovenia, che dal 1996 al 2002 hanno più che rad-doppiato i volumi di castagne e marroni importati.Anche i Paesi Asiatici, in particolare Giappone,Taiwan e Singapore, rappresentano dei buoni acqui-renti di prodotto italiano, soprattutto di elevataqualità, con una spesa che nel 2002 ha superato i 6milioni di Euro.

Le importazioni di castagne da parte dell’Italia simantengono molto al di sotto rispetto alle esporta-zioni anche se nell’ultimo decennio sono quasi rad-doppiate in termini di valore. Nel 2002 l’ICE rileva-va 8.835 tonnellate di prodotto importato per unvalore di oltre 12 milioni di Euro (tab.2, tab.3,graf.3).

Questo incremento è attribuibile soprattutto al cre-

Graf. 2: Ripartizionepercentuale del valore

delle esportazioni di castagne e marroni

(anno 2002)

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85Il castagno in Campania

scente flusso di castagne e marroni provenienti dallaTurchia che esporta nel nostro Paese oltre 4.209 ton-nellate di prodotto per 6,5 milioni di Euro (52% delvalore totale delle importazioni).Tab. 2: Importazione di castagne e marroni per paese. Anni 1996-2003 (quantità in kg)

Fonte: Dati elaborati dall'Ice su fonte Istat - 2003

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In crescita, sia pure inferiore, le importazioni daPortogallo e Spagna che rappresentano i principalipaesi Europei di acquisto del prodotto (25% e 17%rispettivamente in termini di valore).

Tab. 3: Importazione di castagne e marroni per paese. Anni 1996-2003 (valore in migliaia di euro)

Fonte: Dati elaborati dall'Ice su fonte Istat - 2003

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87Il castagno in Campania

I prezzi medi del prodotto importato si aggiranointorno a 1,5 euro/kg ad indicare un livello qualita-tivo delle produzioni importate inferiore rispetto aquello del prodotto italiano esportato.

Nel 2002 il saldo della bilancia commerciale relati-vo a castagne e marroni è stato positivo e pari a 15.228tonnellate per un valore di 37,6 milioni di Euro.

La ripresa delle esportazioni insiemead una politica di miglioramento dellaqualità del prodotto e della strutturacommerciale potrebbe rappresentare unulteriore strumento di rilancio del settorecastanicolo italiano attraverso l’acquisi-zione di nuove quote di mercato. Gli altriproduttori mondiali, infatti, non sembra-no in grado di competere con il prodotto

Graf. 3: Ripartizione percentuale del valore delle importazioni dicastagne e marroni (anno 2002)

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88 Il castagno in Campania

Tab. 4: Quantità e valore di castagne e marroni esportate e importate per Paese - Anno

ESPORTAZIONI IMPORTAZIONI

quantità valore quantità valore

MONDO 24.063 50.339,10 MONDO 8.835 12.662,43

UNIONEEUROPEA 11.955 21.790,90 UNIONE

EUROPEA 4.328 5.828,38

Francia 6.962 11.329,36 Spagna 2.379 3.178,67

Austria 1.999 4.535,15 Portogallo 1.319 2.151,08

Germania 1.864 3.544,67 Grecia 510 277,57

EUROPACENTRO ORIENTALE

3.690 2.260,99EUROPACENTRO ORIENTALE

74 39,21

Ungheria 2.964 1.534,85 Albania 74 39,21

ALTRI PAESIEUROPEI 2.875 8.475,52 ALTRI PAESI

EUROPEI 4.229 6.582,73

Svizzera 2.689 8.159,12 Turchia 4.209 6.533,76

AMERICA 3.769 11.326,89 AFRICA 2 6,58

Stati Uniti 2.670 8.198,16 AMERICA 187 193,33

Canada 1.099 3.128,73 Cile 187 193,33

ASIA ORIENTALE 1.629 6.152,05 ASIA ORIENTALE 14 12,19

Giappone 464 2.596,30 Cina 14 12,19

Taiwan 624 1.964,28

Singapore 360 1.070,12

(quantità in q.li, valori in migliaia di euro)

Fonte: Dati elaborati dall’Ice su fonte Istat - 2003

italiano di cui si riconoscono l’elevato livello qualitativoe il valore aggiunto.

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Estensione della castanicoltura in Campania, dimen-sioni aziendali, forme di conduzione, specificità pro-vinciali

Il castagno è una coltura che caratterizza profonda-mente alcune aree interne della Campania. Dopo annisegnati da difficoltà produttive legate alla diffusionedi due malattie fungine, il cancro della corteccia e ilmal dell’inchiostro, e alla trasformazione delle econo-mie locali, oggi grazie anche all’interesse per i prodot-ti tipici questa coltura sta trovando anche inCampania nuove opportunità di valorizzazione eco-nomica. Ciò richiede tuttavia uno sforzo di perfezio-namento delle tecniche di produzione, di lavorazionee distribuzione e delle strategie di marketing.

Attualmente, quindi, anche in Campania, emerge unanuova attenzione ed un crescente apprezzamento per ilcastagno che nascono, oltre che dall’interesse economicodella produzione frutticola o legnosa, dal riconoscimen-to dell’importanza del castagno nell’ecosistema agrofo-restale, nella difesa idrogeologica, nella funzioneambientale, nella vivibilità in montagna, nella dieta ali-mentare e nel più complessivo miglioramento della qua-lità della vita. Tutto ciò va legato intimamente al valoreaggiunto intrinseco delle castagne e del castagno rappre-sentato dalle sue radici, da profondi rapporti con il terri-torio, dai valori storici, culturali, antropologici, sociali edeconomici che hanno legato la presenza dell’uomo incerte aree all’esistenza del castagno (Bounous, 2003).

92 Il castagno in Campania

AUTORI:

Pomarici EugenioRaia Silvia

Rocco LetiziaDipartimento Economia

e Politica agrariaUniversità di Napoli Federico II

La castanicoltura in Campania: aspetti strutturali eproblematiche di filiera

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Una valutazione precisa dell’articolazione della casta-nicoltura in Campania non è agevole in quanto le fontidisponibili danno informazioni non direttamente con-frontabili. L’analisi delle statistiche ISTAT di tipo foresta-le assegna alla Campania una superficie complessivainvestita a castagno pari a poco più di 23.000 ettari, cor-rispondente a circa l’8% della superficie nazionale (Tab.1). L’Istat stima che di questi la superficie destinata allaproduzione frutticola sia il 91%, pari quindi a circa 21.000ettari. Il censimento dell’agricoltura dell’anno 2000 rilevainvece, nell’ambito delle aziende agricole una superficieinvestita a castagno da frutto pari a 15.916 ettari (Tab. 2).

Confrontando queste fonti si può giungere ad unquadro dell’articolazione della castanicoltura chevede la superficie complessiva destinata per un 69% aproduzione da frutto in aziende agricole, per un 22%a produzione da frutto in proprietà forestali e per soloun 9% destinata alla produzione di legno (Tab. 3).

In merito alla proprietà delle superfici a castagno sirileva che la superficie di proprietà privata, che a livellonazionale è del 92%, in Campania è solo dell’81% (Tab.1). Per quanto la quota privata sia nettamente prevalen-te, l’entità delle fustaie sottoposte a gestione pubblicaappare considerevole. Tale dato evidenzia la necessità ela possibilità di una maggiore attenzione delle autoritàregionali e locali nella determinazione di uno specifico“progetto castagno” nell’ambito delle linee di politicaforestale e di presenza dell’uomo nelle aree montane.

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Relativamente alla collocazione orografica, la tab. 1evidenzia che la castanicoltura campana si concentrasui rilievi distribuendosi uniformemente tra monta-gna e collina.

In Campania sono state censite 13.169 aziende agri-cole con appezzamenti a castagno (1/5 del totalenazionale pari a 66.213) che, complessivamentecoprendo 15.916 ettari, conducono più del 20% dellasuperficie agricola nazionale investita a castagno. I

Tab. 1: Superficie a fustaia di castagno per zona altimetrica e regione (Anno 1999)

Tab. 2 :Aziende e superficie investita (ha) inItalia e in Campania - 2000

Tab. 3: Ripartizione dellasuperficie a castagno in

Campania

Fonte: Istat (Statistiche delle coltivazioni agricole, foreste e caccia)

Fonte: Censimento Istat 2000

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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dati del Censimento consentono di rilevare anche ladistribuzione della castanicoltura da frutto nelle pro-vince campane (tab. 1; graf. 1 e 2). Questa interessaprincipalmente, in ordine di importanza in termini diaziende e superficie investita, le province di Salerno,Avellino e Caserta dove si concentrano il 93% dellasuperficie e il 97% delle aziende.

Graf.1: Distribuzione % delleaziende castanicole nelle pro-vince campane (2000)

Graf.2: Distribuzione % dellasuperficie castanicola nelleprovinci campane (200)

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La castanicoltura in provincia di Avellino

Benché solo seconda in termini di superficie castani-cola censita e numero di aziende interessate, la provinciadi Avellino è quella che mostra la più complessa articola-zione in termini di aree produttive e la più matura orga-nizzazione della filiera. Il comparto castanicolo del terri-torio irpino si articola in quattro comprensori: Montella,Serino-Montoro, Partenio, Vallo di Lauro-Baianese.

Montella è l’areale di maggioreestensione, con circa 3.000 ettari disuperficie di castagneto da frutto distri-buiti in sei comuni: Montella (ove siconcentrano i due terzi della superficietotale dell’IGP), Bagnoli Irpino, Cassa-no Irpino, Nusco, Volturara Irpina euna parte del Comune di Montemara-no (contrada Bolifano). La castanicoltu-

ra di quest’area ha resistito al flagello del cancro corti-cale che si ebbe a partire dagli anni ’50 e oggi rappre-senta la più importante risorsa agricola per l’intero ter-ritorio. Il castagno nell’area si identifica, a livello varie-tale, con la cultivar Palummina, di gran lunga predo-minante rispetto alle altre. La produzione media annuadi castagna nell’area di Montella si aggira sulle 7-8 milatonnellate, di cui quasi la metà destinata all’essiccazio-ne, a cura degli stessi produttori agricoli. A fronte di120 aziende iscritte al Registro regionale, per unasuperficie di circa 540 ettari, le quantità di prodotto cer-

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tificate nel 2002 hanno raggiunto circa 112 tonnellate dicastagne in guscio curate. Pertanto tale produzionerappresenta una quota ancora estremamente ridottadel potenziale produttivo totale dell’area che ricade neilimiti del disciplinare IGP. Esiste un Consorzio per lavalorizzazione del prodotto IGP, ma il Consorzio diTutela da costituirsi ai sensi del regolamento comunita-rio che istituisce le IGP, costituito nel 1999, non haancora ottenuto il riconoscimento dal MIPAF. L’organi-smo di controllo preposto alla certificazione dellacastagna IGP è l’IsMeCert.

La superficie interessata alla castanicoltura nel-l’area serinese è stimata in 2.400 ettari. La produzioneè di circa 20.000-30.000 quintali di castagne all’anno,di cui il 50% viene solitamente destinato all’esporta-zione, mentre l’altro 50%, in proporzioni più o menouguali, è ripartito tra le industrie di trasformazione eil consumo fresco. L’areale di elezione della castagnadi Serino è individuabile in quattordici Comuni inprovincia di Avellino e in otto in provincia di Salerno.Nella denominazione “Castagna di Serino” (in attesadel riconoscimento come IGP) si comprendono duecultivar locali: la Montemarano o Santimango e laVerdole. La produzione di Serino è caratterizzata dacastagne di pezzatura generalmente maggiore diquelle di Montella; questo determina una specializza-zione della produzione di quest’area verso la trasfor-mazione mentre la produzione di Montella è destina-ta prevalentemente al consumo dei frutti interi.

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Nelle aree del Partenio e del Vallo di Lauro-Baianese la coltivazione del castagneto da fruttoriveste un’importanza nettamente minore rispettoalle precedenti. In particolare, l’area del Partenio pre-senta problemi di natura orografica e di infestazioneda Balanino (70% del prodotto). Anche in queste areetuttavia sono in corso tentativi di valorizzazionedella coltura.

In provincia di Avellino si concentrano anche gliimpianti di trasformazione, caratterizzati da unbuon livello tecnologico. Operano in provincia 15imprese di trasformazione di capacità produttivamolto differenziata. Alcune di queste hannodimensioni operative che le collocano ai verticidell’attività nazionale di trasformazione dellecastagne (l’impianto di maggiori dimensioni lavo-ra mediamente circa 90.000 quintali di castagneall’anno). Le imprese avellinesi risultano differen-ziate anche per la tipologia del processo produtti-vo: due arrivano a realizzare prodotti finiti da des-tinare al consumo mentre le altre realizzano semi-lavorati per l’industria dolciaria o alimentare ingenerale; alcune producono caldarroste surgelateda destinare all’esportazione. L’avellinese si quali-fica come uno dei principali poli italiani nellatrasformazione (con impianti localizzati soprattut-to nel serinese) e alimenta la sua attività anche conmateria prima proveniente dall’esterno dellaregione.

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La castanicoltura in provincia di Salerno

La provincia di Salerno, nell’ambito della Campa-nia, presenta il maggior numero di aziende agricolecon castagneti (5420) e la più ampia superficieinvestita (5.681 ha). In provincia di Salerno la castan-icoltura si colloca in due aree ben distinte. Una anord, al confine con l’Irpinia dove, a parte gli 8comuni che ricadono nell’areale di produzione dellaCastagna di Serino, la coltivazione si estende intornoa Giffoni Valle Piana; un’altra in prossimità del Cilen-to, intorno al comune di Roccadaspide. Le varietà piùpregiate e maggiormente coltivate fuori dalle areedella Castagna di Serino sono il Marrone di Roc-cadaspide e il Marrone di Susa. Il Marrone di Roc-cadaspide è in attesa del riconoscimento IGP. Nonos-tante il notevolissimo potenziale produttivo la filieracastanicola della provincia appare meno sviluppatain termini di attività di trasformazione e rapportidiretti con il mercato rispetto a quanto avvenga nellavicina provincia di Avellino.

La castanicoltura nelle province di Caserta, Beneven-to e Napoli

Nella provincia di Caserta vengono coltivate pre-valentemente castagne e scarsa è quindi la produzio-ne di marroni. La coltura si estende sia in aree pianeg-gianti che in aree acclivi. La varietà più importante èla Primitiva o Tempestiva; le zone più vocate, su ter-

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reni vulcanici e freschi e ben esposti, sono ubicate neicomuni di Roccamonfina, Conca della Campania,Marzano Appio e Teano. E’ la castagna più precoce inassoluto e di difficile impollinazione con un’inciden-za di bacato molto elevata (da 50 al 30%) ma presen-tando il non trascurabile vantaggio economico dellaprecocità della raccolta e quindi di esclusività sulmercato, viene principalmente venduta per il mercatoestero e per il nord Italia. La Castagna Tempestiva delMonte Santa Croce è in attesa del riconoscimentocome IGP. Le altre varietà sono la Napoletana oRiccia, coltivata sul 50% della superficie provinciale,la Lucida o Lucente, coltivata solo nelle località diGarofali, Teano e Caianello e la Paccuta, coltivatanella sola Teano fino a 600mt slm. La Napoletana èconsiderata una castagna particolarmente pregiataper le caratteristiche del frutto molto dolce, di formaregolare e di buone dimensioni, con una percentualedi bacato inferiore al 15% del raccolto. La Paccuta èuna castagna molto bella, regolare e con frutti grossisimili ai marroni (60/70 frutti in un Kg).

In provincia di Benevento la coltura è limitata allezone di Vitulano e Tocco Caudio, sulle pendici delMonte Taburno. Le varietà coltivate sono Enzeta e lacastagna di Pannarano.

In provincia di Napoli le aree più interessate allacoltura si trovano sulle pendici dei Monti Lattari ma èda segnalare anche un’interessante presenza nell’Iso-

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la d’Ischia; gli impianti di notevole valore paesaggi-stico sono tuttavia collocati su terreni molto acclividove la coltivazione è conseguentemente difficile e lamovimentazione dei materiali deve avvenire a dorsodi mulo.

Struttura aziendale e caratterizzazione tecnico-eco-nomica degli impianti

Un’analisi di maggiore dettaglio dei dati delCensimento generale dell’agricoltura del 2000 con-sente di caratterizzare in modo abbastanza approfon-dito la struttura della produzione delle castagne dafrutto almeno per quanto riguarda le aziende agrico-le che comunque rappresentano quasi il 90% dellasuperficie.

La tavola 4 dettaglia i dati del censimento mostran-do come la superficie a castagno si ripartisca nellapopolazione delle aziende interessate alla coltura inragione della dimensione complessiva delle stesse eevidenzia quindi la dimensione media degli appezza-menti a castagno nell’aggregato e nelle diverse classidi dimensione aziendale.

La tavola evidenzia che la superficie media campa-na è pari a 1,21 ha, di poco superiore a quella italiana(1,15 ha), e un picco nella provincia di Caserta (1,63 ha)(Graf. 3). L’analisi della tavola evidenzia però che ildato aggregato deriva da una distribuzione della

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superficie che presenta, accanto ad una vasta popola-zione di aziende molto piccole con microappezzamen-ti a castagno, un gruppo abbastanza vasto di aziendedi maggiori dimensioni che gestiscono superfici acastagno di una certa rilevanza. Si osserva, infatti, chepoco meno del 47% della superficie castanicola rileva-ta dal Censimento ricade in aziende di meno di 5 etta-ri di SAU; queste conducono quindi appezzamenti acastagno di dimensioni molto ridotte e solo quelle conuna SAU compresa tra 2 e 5 ettari hanno appezzamen-ti che superano la dimensione di un ettaro. Il restante53% si suddivide per circa il 25% in aziende con unaSAU tra 5 e 10, con un appezzamento medio a castagnodi quasi tre ettari, e per il 28% in aziende con più di 10ettari di SAU con appezzamenti che hanno superficiragguardevoli e crescenti con la dimensione aziendale.

Confrontando i dati sulla dimensione media degliappezzamenti della Campania e di tutta l’Italia emer-

Graf. 3: Dimensionemedia degli appezza-

menti castanicoli (ettari)

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ge che in Campania è presente una maggiore specia-lizzazione rispetto a quanto avvenga in Italia.Nell’ambito della Campania la provincia di Casertaappare la più specializzata nell’ambito delle aziendedi piccole e medie dimensioni (fino a 50 ha); la pro-vincia di Avellino presenta una discreta specializza-zione delle aziende con più di 5 ettari mentre quella

Tavola 4: Ripartizione delle aziende e della superficie e dimensione appezza-menti per classi di ampiezza aziendale

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Censimento dell'Agricoltura 2000

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di Salerno presenta una specializzazione elevatasoprattutto nelle aziende con più di 100 ettari. La pro-vincia di Benevento concentra la sua superficie nelleaziende di dimensioni minori e con livelli di specializ-zazione bassi. La provincia di Napoli si segnala inve-ce per una forte incidenza della superficie castanicolanelle aziende tra 20 e 50 ettari.

La castanicoltura campana si presenta dal punto divista tecnico ed economico assai differenziata, poten-dosi ritrovare tutte e cinque le tipologie di castanicol-tura che sono state individuate in Italia sulla basedelle caratteristiche generali dell’ambiente fisico, dellivello di evoluzione dell’agrotecnica che viene appli-cata, dei livelli di produttività e di qualità ottenuti(Grassi et al. 1986):

� castagneto tradizionale estensivo: castagneto estensi-vo che per condizioni ambientali e/o per condu-zione esprime bassi livelli di produttività e diremunerazione dei fattori della produzione. Puòsvolgere una qualche funzione economica solo insituazioni di sottoccupazione strutturale dellamanodopera aziendale e di salari reali molto bassi;

� castagneto tradizionale razionale: castagneto tradizio-nale che per condizioni ambientali e/o per condu-zione si inserisce significativamente nell’economiadelle aziende interessate. La remunerazione deifattori avviene a livelli soddisfacenti con rese

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medio alte; negli ambienti in cui si trovano gliimpianti e a confronto con le alternative produttiveivi possibili, la coltura esprime una validissimafunzione economica;

� castagneto da conversione in ceduo: castagneto deri-vante da conversione di ceduo, in condizioniambientali favorevoli. L’intervento di riconversio-ne ha una validità solo nelle aree in cui possonoaversi rese per ettaro a livelli medio alti e che com-portano costi di trasporto contenuti;

� castagneto nuovo impianto con cultivar di tipo europeo:castagneto costituito ex novo con cultivar di tipoeuropeo in condizioni ambientali favorevoli, inalternativa economica ad altre colture agrarie. Lacoltivazione garantisce ottimi livelli di remunera-zione dei fattori, in situazioni di alte rese per ettaroe/o ottimali livelli dei prezzi, generando buoniprofitti per gli imprenditori;

� castagneto nuovo impianto con cultivar di tipo euro-giapponese: castagneto costituito ex novo con culti-var di tipo euro-giapponese, in aree pianeggiantied irrigue. Nelle situazioni di produttività e diprezzi osservati, la coltura garantisce buoni risulta-ti economici e regge il confronto con le alternativepossibili negli stessi ambienti.

Stime precise del peso di queste diverse tipologie

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nell’intera regione e nelle singole province non sonodisponibili; si è comunque in presenza di una dinami-ca piuttosto accelerata, sostenuta dalla politica agrico-la regionale, che vede un’evoluzione degli impianticon maggiore potenzialità produttiva verso la tipolo-gia del castagneto tradizionale razionale, mentre nellearee di minore produttività prevalgono fenomeni diabbandono e naturalizzazione degli impianti o ditransizione al ceduo.

Sotto il profilo della domanda di lavoro gli impian-ti si caratterizzano per un assorbimento di manodo-pera soprattutto in estate e autunno, essendo gli inter-venti di potatura invernale e estiva estremamenterari. Negli impianti di tipo razionale intensivo la col-tura assorbe quindi circa 49 giornate di lavoro/uomonel corso dell’anno:

� 15 giornate/uomo, dalla metà di luglio alla fine diagosto, per la preparazione del terreno (taglio, rac-colta e bruciatura dell’erba);

� 20 giornate/uomo, ad ottobre, per la raccolta e laselezione del prodotto;

� 7 giornate/uomo, a novembre o verso febbraio-marzo, per la raccolta dei ricci e delle foglie;

� 4-5 giornate/uomo per la manutenzione dei terraz-zamenti.

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La coltivazione del castagno si pre-senta pertanto non particolarmenteonerosa, tuttavia il contesto regionalesegnala alcune rilevanti problematichedi tipo tecnico-economico:

� la scarsità di manodopera, per cui lecastagne vengono raccolte soltantouna o due volte ad ottobre restando pertanto a terraper la quasi totalità del periodo di raccolta: ciò rendepossibile la trasformazione degli amidi in zuccherisemplici che costituiscono un substrato ottimale perl’attacco delle muffe durante la fase di curatura. Laraccolta viene, comunque, ancora effettuata preva-lentemente a mano e l’incidenza del costo è piutto-sto elevata (40%): un operaio raccoglie mediamente1.5-2 quintali e percepisce 35 € a giornata;

� l’elevata incidenza di castagne bacate nel raccoltodi molte aree;

� la mancanza di potatori specializzati, per cui lapotatura viene generalmente effettuata ogni 12-15anni essendo anche particolarmente onerosa (100€/giornata);

� la necessità in molti ambienti di mantenere siste-mazioni del terreno su terreni molto acclivi e checomportano quindi impegno fisico e capacità spe-cifiche.

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La meccanizzazione delle operazioni di raccolta sipresenta quindi come una prospettiva molto interessan-te; l’uso delle macchine raccoglitrici potrebbe infatti altempo stesso ridurre il costo della raccolta e aumentare laqualità del prodotto consentendo operazioni più tempe-stive. Dopo prove poco felici di utilizzazione delle mac-chine per la raccolta delle nocciole, attualmente sono infase di sperimentazione macchine ottimizzate per i casta-gneti sia semoventi che portate, caratterizzate da un’effi-cienza in termini di danneggiamento dei frutti soddisfa-cente e con notevoli possibilità di adattamento alle con-dizioni operative proprie anche degli impianti più accli-vi. Numerosi modelli ammettono dei tubi di aspirazionedel prodotto a terra molto lunghi e ciò consente il loroimpiego anche sulle pendici terrazzate operando daglistradelli che percorrono gli appezzamenti. Attualmentesono in prova modelli di vario genere: semoventi, porta-ti dall’attacco a tre punti della trattrice e sono allo studiomodelli adattabili a motocoltivatori reversibili. I produt-tori potranno dunque contare in breve su una moltepli-cità di soluzioni tecniche che dovrebbe assicurare solu-zioni efficaci in molte situazioni strutturali. Naturalmen-te, il costo effettivo della raccolta meccanica dipenderàdal costo che queste macchine avranno sul mercato edalle modalità di utilizzo; tra queste cruciali saranno leore di impiego nella stagione di raccolta.

La gestione delle sistemazioni richiede una rifles-sione sulle tecniche in modo da sviluppare, soprattut-to per i contesti più critici, tecniche che siano compa-

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tibili con i costi attuali della manodopera, i modernistili di vita agricoli e le esigenze di meccanizzazione.L’evoluzione del contesto sociale rischia per esempiodi rendere non più mantenibile la tradizionale siste-mazione dell’alta valle del Sabato, basata non sumuretti a secco ma su muri realizzati con zolle di terradette pente. Tale sistemazione richiede infatti un ciclodi manutenzione costante e complesso, a fronte tutta-via di una prestazione in termini di difesa idrogeolo-gica maggiore dei muri a secco o graticciate, cheimpone la riattivazione di processi di trasferimento diun sapere tradizionale che paiono in genere interrottie che devono anche prevedere la capacità di adattarele procedure tradizionali alle esigenze più moderne.

Le condizioni specifiche di coltivazione delle castagnein Campania e l’ambiente nel quale gli impianti sonoinseriti consentono agevolmente di attuare la coltivazio-ne biologica. In forza di ciò quasi un terzo della superfi-cie a castagno inserita in aziende agrarie è condotta conmetodo biologico certi-ficato. Il castagno biolo-gico rappresenta peral-tro l’82% dell’interasuperficie frutticola bio-logica regionale (tab.5).

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Tab. 5: Incidenza dellasuperficie investitaa castagno su quella frutticola (Anno 2000)

Fonte: Se.S.I.R.C.A., Regione Campania

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Organizzazione e problematiche economiche dellafiliera

La filiera castanicola risulta, come già evidenziato inaltri contributi, piuttosto articolata: la materia primaagricola ha molteplici destinazioni e sussistono fasiimportanti di lavorazione che riguardano anche il pro-dotto fresco (Tab. 6). Le castagne prodotte sono media-mente destinate per un terzo all’esportazione come pro-dotto fresco, per un terzo al consumo interno, per circail 20% alla produzione di semilavorati (castagne pelate esurgelate) per l’industria dolciaria (nazionale ed estera)e la restante parte va all’alimentazione zootecnica. Latavola evidenzia le molteplici possibilità di relazione tra

Tab. 6: Struttura generale della filiera castanicola e modalità di relazione tra le diverse fasi

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le diverse fasi produttive. Queste infatti possono esserecaratterizzate da un’integrazione tra fasi sotto un unicocontrollo imprenditoriale, oppure da relazioni commer-ciali dirette o mediate. Sotto questo profilo, l’organizza-zione economica della filiera in Campania presenta unamolteplicità di situazioni e di livelli di integrazione traproduttori agricoli, trasformatori, commercianti emediatori. Si tratta peraltro di una situazione in evolu-zione con una tendenza che appare caratterizzata dauna semplificazione delle relazioni di filiera che com-porta il crescere dei rapporti diretti tra gli operatori dellaproduzione e della trasformazione e una riduzione delruolo dei mediatori che in questo settore, così come ingenerale nel settore ortofrutticolo campano, sono statitradizionalmente assai numerosi. Più in particolare, intaluni casi, le operazioni tipiche della fase di prima tra-sformazione (cernita, calibratura, curatura, pelatura)vengono realizzate non da operatori commerciali ma daoperatori agricoli che, individualmente o radunati incooperative o consorzi di produttori, cercano di appro-priarsi di una quota maggiore del valore aggiunto che iltrasferimento del prodotto ai consumatori finali puògenerare. La cernita, per l’eliminazione del prodottoattaccato da insetti, e la calibratura che consente la sud-divisione delle castagne in quattro classi commercialisulla base della pezzatura: piccole (oltre 85 frutti/kg),standard (65-85 frutti/kg), grandi (48-65 frutti/kg) especiale (meno di 48 frutti/kg) sono le attività che piùspesso sono effettuate nelle aziende agricole. L’attivitàdi calibratura, infatti, dal punto di vista tecnologico, è

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relativamente semplice e richiede un inve-stimento nell’attrezzatura necessaria chesi aggira intorno ai 1.500 €, valore compa-tibile quindi anche con castagneti didimensione media. Si può peraltro rileva-re che la semplice operazione di selezionedel prodotto che comporta l’eliminazionedegli scarti, pulitura e calibratura può

determinare un incremento nel prezzo unitario percepi-to dagli agricoltori in genere superiore al 50%. Tuttaviamolte volte il prodotto viene conferito alle aziende ditrasformazione come massa indifferenziata: le castagnenon vengono sottoposte a calibratura né tanto meno aduna prima selezione. Nelle ultime campagne il prezzodelle castagne non selezionate si è aggirato intorno a 60-90 centesimi; le castagne selezionate invece hanno supe-rato 1,30 euro con punte di 2 euro.

Solitamente, il prodotto fresco viene venduto dalproduttore al trasformatore senza alcun passaggiointermedio oppure tale operazione viene gestita da unagente dell’azienda di trasformazione che si occupadella scelta dei fornitori. Talvolta l’agente possiede unmagazzino nelle zone di raccolta delle castagne nelquale convoglia tutta la produzione destinata all’azien-da di trasformazione che, generalmente, la riceve a finegiornata. Il guadagno dell’agente è pari a 10 cent/kg.

La strutturazione delle filiere presenta comunquedei modelli locali abbastanza specifici.

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Iniziando dall’area meglio strutturata che è quellairpina, soprattutto nei comprensori di Montella e Seri-no, l’organizzazione della filiera vede un’integrazio-ne tra produzione, raccolta e prima trasformazione(attuata in forma individuale o attraverso cooperati-ve) e quindi cessione, diretta o attraverso dei media-tori, a grossisti per il consumo diretto o agli operatoridella seconda trasformazione.

Nella provincia di Caserta i produttori effettuano laraccolta e cedono il prodotto non selezionato, attra-verso l’opera di mediatori, a terzi operatori in provin-cia di Avellino o in Puglia. Un’organizzazione analo-ga si può riscontrare in provincia di Salerno nell’areacastanicola a ridosso dell’Irpinia dove tuttavia il pro-dotto viene indirizzato prevalentemente verso la vici-na Irpinia. Nell’area castanicola salernitana prossimaal Cilento, quella di Roccadaspide, è importante ilruolo della cooperazione nel concentrare il prodottoraccolto dai singoli castanicoltori al fine di effettuarela prima trasformazione e avviare il prodotto allacommercializzazione destinata al consumo fresco.

L’analisi complessiva della filiera castanicola cam-pana evidenzia una situazione di non completo sfrut-tamento delle potenzialità di questo sistema produtti-vo in termini di creazione e distribuzione di valore. Asoffrire di questa situazione è soprattutto la fase agri-cola che non appare in grado di valorizzare piena-mente le risorse impiegate nella produzione.

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La scarsità di forme associative (organizzazioni diproduttori, cooperative di raccolta e lavorazione,centrali ortofrutticole, ecc.), in presenza di una note-vole scarsità di manodopera e di proprietà castanico-le – in buona parte di piccole dimensioni - condotteda operatori non pienamente impegnati nell’attivitàagricola, spesso non consente di raccogliere i fruttitempestivamente e viene avviato al mercato un pro-dotto che non presenta un valore merceologico otti-male; questo risulta meno attraente per i consumato-ri finali e quindi il prezzo che possono spuntare i pro-duttori risulta basso (Adua et al., 2001). Inoltre, perquanto riguarda i produttori che non sono in gradodi curare il prodotto, incombe l’esigenza di cedere alpiù presto l’intera produzione che, una volta raccoltae non trattata, può, nel giro di pochi giorni, deterio-rarsi e non trovare più una remunerativa collocazio-ne sul mercato impedendo quindi la ricerca dellemigliori condizioni di vendita.

Uno sviluppo della cooperazione, o di altre formedi integrazione orizzontale, consentendo la realizza-zione di investimenti per l’acquisto in comune o ilnoleggio di mezzi meccanici per la raccolta e per ilsostegno delle attività di marketing, potrebbe risolve-re numerosi problemi legati alla fase agricola dellafiliera. Una maggiore organizzazione degli agricolto-ri può infatti migliorare la qualità e quantità (perriduzione delle perdite) dell’offerta, fare crescere illoro potere contrattuale nei confronti degli operatori a

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valle (grossisti o aziende di seconda trasformazione),aumentando e stabilizzando il reddito agricolo. Unamaggiore integrazione orizzontale dei produttoriagricoli potrebbe infatti determinare a loro vantaggio:

� una riduzione notevole dei costi di gestione;

� un aumento dei ricavi conseguente all’immissio-ne sul mercato di un prodotto maggiormentequalificato attraverso l’esecuzione in ambitoagricolo delle fasi elementari della prima tra-sformazione quali selezione, calibratura, spaz-zolatura e curatura;

� una maggiore utilizzazione di marchi per la pro-mozione e valorizzazione del prodotto.

Il ritardo con cui avviene il processo di integrazio-ne orizzontale, nonostante i vantaggi che porterebbe,sembrerebbe però legato ad altri problemi che l’anali-si della filiera fa emergere, oltre alla scarsa integrazio-ne dei produttori agricoli. Questi, anche se forsemeno percepiti all’interno della filiera stessa, sono lamancanza di integrazione verticale e una modestaattenzione alla differenziazione del prodotto.

La mancanza di integrazione verticale e quindi l’as-senza di meccanismi di coordinamento nelle sceltesulla produzione tra trasformatori e commercianti eproduttori primari non stimola infatti questi ultimi ad

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un miglioramento della qualità e quindi non stimola alsuperamento delle difficoltà cui si è fatto cenno.

Rispetto allo scarso interesse per la differenziazionesi osserva che i quantitativi di castagne commercializ-zate come IGP, dove questo è possibile, sono assaiinferiori a quelli che sarebbero possibili data la baseproduttiva. Le indagini di campo (cfr. in propositoanche l’indagine sull’area di Montella in questo volu-me) mostrerebbero che questo non dipende tanto dauna difficoltà che il prodotto differenziato avrebbe apenetrare il mercato, quanto da uno scarso interessedegli operatori commerciali di maggiore peso per lavalorizzazione del prodotto a denominazione (che siriflette in un ridotto o nullo differenziale di prezzoriconosciuto ai produttori agricoli), forse temendo l’in-staurarsi di un conflitto di immagine che determine-rebbe un deprezzamento del prodotto standard e unaumento del potere contrattuale della base agricola.

Una maturazione dell’approccio al mercato daparte degli operatori più influenti, quindi degli opera-tori commerciali, appare essenziale. Non sembrereb-bero infatti sussistere nella fase agricola stimoli suffi-cienti a superare un’inerzia degli operatori a valle checomunque ritengono di potere soddisfare le loro esi-genze di approvvigionamento. I redditi che derivanodalla produzione agricola risultano infatti, come giàosservato, ragionevoli in relazione al rischio che lacoltivazione comporta; non costituendo le castagne,

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nella maggioranza dei casi, la base reddituale degliimprenditori interessati modesta appare la convenien-za a modificare la situazione rispetto all’impegno cheinvece è necessario per farlo. A questo riguardo, sipuò calcolare che un ettaro di castagneto la cui produ-zione venga venduta non selezionata, e nel quale leoperazioni colturali vengano svolte dalla famiglia,può comunque rendere, mediamente, intorno ai 3.000euro. L’utilizzazione di manodopera esterna conpiena retribuzione farebbe invece quasi annullare, inmolti casi, il ricavo netto e potrebbe essere giustificatasolo da una certezza di collocazione del prodotto intermini di quantità e prezzo.

Tuttavia l’evoluzione del mercato, come analizzatocon maggiore dettaglio nel contributo sul marketing,impone l’adozione di politiche di qualità più severe ecoerenti, il che richiederà una maggiore compattezzae integrazione nella filiera, pena la perdita delle posi-zioni ora occupate. Questo richiede probabilmente diproseguire e intensificare gli specifici impegni di indi-rizzo e sensibilizzazione da parte della politica agri-cola regionale.

Considerazioni di sintesi

Il settore della castagna rappresenta circa l’1 % dellaPLV regionale e in termini di assorbimento di lavoro,con 740.000 giornate annue, assorbe meno dell’1% deltotale dell’agricoltura regionale (Pomarici e Rocco,

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2004). Tuttavia il peso economico della coltura è rile-vante nelle aree interessate e ancora di più potrebbediventarlo, grazie ad una maggiore valorizzazionedelle castagne già nella fase agricola e grazie alle pos-sibilità di manipolazione e trasformazione anche nellesingole aziende agricole, per la produzione di speciali-tà la cui vendita, in una prospettiva di crescita del turi-smo rurale, può consentire un significativo incrementodei redditi aziendali. Oltre a ciò la qualificazione del-l’offerta delle castagne potrà contribuire ad arricchire ilpaniere delle produzioni tipiche regionali aumentan-done quindi la forza e la capacità competitiva.

Certamente l’impostazione generale della politicadi settore dovrà essere incentrata sulla ricerca di unavera sostenibilità economica della filiera, ritrovandoquindi nel mercato le ragioni della sua evoluzione.Tutto ciò imporrà, forse, adattamenti degli impiantisignificativi e, verosimilmente, l’abbandono dellaproduzione di frutti in alcune aree non sarà arrestato.Tuttavia è evidente che la fase agricola della filiera haun importante ruolo di presidio ambientale, paesag-gistico e di testimonianza della storia sociale dellearee interessate. Considerato che tutti questi ruolicaratterizzano il valore multifunzionale dell’attivitàagricola, sarà opportuno che gli interventi di politicaagraria, oltre che a salvaguardare come necessario gliaspetti di presidio ambientale, siano in grado di con-servare le più significative testimonianze del modotradizionale di produrre.

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Riferimenti bibliografici

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ra da frutto e da legno: produzione, trasformazione e

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luppo, in: Atti delle Giornate scientifiche SOI, Napoli,

maggio 2004.

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Ringraziamenti

Le informazioni di tipo qualitativo presentate inquesto paragrafo derivano in larga misura da contat-ti avuti con gli operatori delle aree castanicole campa-ne. Gli autori pur riconoscendo la loro completaresponsabilità di quanto scritto ringraziano quantihanno voluto discutere con loro: Gianfranco Albieri,dirigente cooperativa ortofrutticola in Sessa Aurunca;Eugenio Capuano, castanicoltore in Serino; EgidioCarfagni, funzionario della Coldiretti di Montella;Anna Cirino, castanicoltore in Serino; Umberto deAngelis, castanicoltore in Acerno; Cesare de Nicola,castanicoltore in Roccamonfina; Vincenzo de Pippo,funzionario Comitato promotore della DOP castagnadi Roccamonfina; Antonio de Vito, dirigente StapaCe-pica di Avellino; Aniello Ingino, castanicoltore e tra-sformatore in Montoro; Gianni Marano, castanicolto-re in Montella; Rosalia Passaro, responsabile commer-ciale della cooperativa di Montella; Salvatore Senato-re, consulente; Giuseppe Tedeschi, castanicoltore inSerino; Antonio Ziccardi, funzionario StapaCepica diAvellino. Ai già citati Antonio de Vito e Antonio Zic-cardi, appassionati civil servant regionali, un ringra-ziamento particolare per avere aiutato nello stabilirebuona parte dei contatti che hanno poi consentito disvolgere il lavoro.

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Qualificazione dello scenario competitivo e dellaposizione della filiera castanicola campana

Come già mostrato l’Italia e la Campania si presen-tano come attori importanti nel mercato internaziona-le delle castagne e le esportazioni sono uno sboccoimportante della produzione sia nazionale che regio-nale. I dati mostrano anche che tale posizione, in unmercato caratterizzato da un crescente dinamismo eda un’accresciuta facilità di trasporto e conservazionedelle merci, sta progressivamente diventando più fra-gile. Competitori vicini (la Turchia) e lontani (la Cinae il Sud America) appaiono infatti sempre più ingrado di minacciare le posizioni di mercato dei pro-duttori e esportatori italiani.

L’analisi dello scenario produttivo e commercialedelle castagne evidenzia che la Campania, comel’Italia, ha una prestazione produttiva in terminiquantitativi che non è costante, con oscillazioniannue della produzione molto elevate, che si riflet-tono anche sulle esportazioni. Tutto ciò, nel quadrocomplessivo dell’evoluzione dei mercati dei prodot-ti alimentari, determina una situazione di debolezzalatente nel sistema dell’offerta regionale di casta-gne. La saturazione dei mercati dei beni di consu-mo, e tra questi anche di quelli alimentari, ha infat-ti imposto nuovi paradigmi di marketing che trova-no un comune elemento di caratterizzazione nel-l’abbandono di un approccio transazionale a favore

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AUTORI:

Pomarici EugenioRaia Silvia

Brandolani AdaDipartimento Economia

e Politica agrariaUniversità di Napoli Federico II

Strategie e politiche di marketing per la valorizzazionedel castagno in Campania

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di un approccio di tipo relazionale. In sostanza l’en-fasi non è più nella ricerca di singole occasioni divendita con interlocutori che variano nel tempo manella costruzione di relazioni stabili e durature travenditori e acquirenti, basate sulla costruzione diun capitale relazionale che faciliti l’evoluzione posi-tiva nel tempo degli scambi, anche grazie ad uncostante adattamento qualitativo e di modalità ope-rative degli scambi stessi, comunemente ricercato(Christopher et al., 2002; Antonelli, 2004). La varia-bilità delle produzioni e quindi delle quantità com-merciabili sul territorio nazionale e disponibili perl’esportazione impedisce evidentemente una stabili-tà di rapporti commerciali che indebolisce la capaci-tà relazionale complessiva della filiera campana equindi la sua capacità competitiva, soprattutto neiconfronti di concorrenti che possono manovrare conmolto maggiore libertà la leva del prezzo. Sintomodi questa problematica sarebbe peraltro il fenomenodell’immissione di prodotto surgelato provenientedal Sud America nella filiera di distribuzione regio-nale del fresco, al fine di stabilizzare la capacità diofferta di singoli operatori commerciali. Tale prati-ca, che si qualifica comunque come una frode com-merciale, evidenzia le conseguenze negative in ter-mini di competitività di una scarsa integrazioneverticale nella filiera, che lasciando al caso piuttostoche ad una programmazione la produzione dellamateria prima, rende debole il sistema di offerta nelsuo complesso.

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Nella qualificazione della situazione competitivaoccorre però osservare che, a fronte di questi elemen-ti di debolezza dell’offerta campana, altri elementilegati alle caratteristiche strutturali della filiera eall’evoluzione del mercato si qualificano come ele-menti potenzialmente positivi e che delineano unospazio per sviluppare azioni di valorizzazione suscet-tibili di rafforzare la filiera castanicola campana,espandendo la sua capacità di creare valore e di distri-buire frazioni significative di questo nelle aree dove siconcentra la produzione della materia prima, e diconseguenza in grado di rinforzare la capacità com-petitiva complessiva dell’offerta agro-alimentareregionale.

Il primo elemento positivo, che costituisce un’op-portunità importante, è la ricchezza della base pro-duttiva, che appare largamente sotto-utilizzata in ter-mini qualitativi e quantitativi. Le ragioni strutturali diquesta sottoutilizzazione sono legate alla scarsità dimanodopera ma risulta anche evidente che l’innova-zione tecnologica mette ormai a disposizione gli stru-menti idonei a affrontare in modo adeguato la coltiva-zione, superando i vincoli che la scarsità e il costodella manodopera hanno determinato nel recentepassato e continuano a determinare.

Il secondo elemento positivo è dato dall’evoluzio-ne della domanda e delle esigenze del mercato e dellasocietà più in generale, che può determinare una cre-

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scita ed una diversificazione della domanda di casta-gne fresche e trasformate della quale la filiera castani-cola campana potrà, a certe condizionie approfittare.Le caratteristiche salienti di questa evoluzione sono,oltre al ben noto aumento di interesse per i prodottitipici, l’accresciuto interesse per:

a) prodotti privi di glutine destinati ai celiaci e adaltri soggetti affetti da altre intolleranze alimen-tari,

b) prodotti ipocalorici,

c) prodotti con caratteristiche di naturalità ad ele-vato tenore vitaminico,

d) cosmetici con caratteristiche di naturalità,

e) farmaci naturali,

f) prodotti provenienti da processi agricoli sosteni-bili.

Le castagne possono soddisfare, come si vedràmeglio in seguito, questi elementi della domanda maper approfittare delle opportunità che questi com-portano sarà necessario sviluppare, a livello di singo-le imprese, di filiera e di sistema territoriale di offer-ta un complesso insieme di azioni di breve e di lungoperiodo i cui caratteri essenziali si cercherà ora di

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delineare. Si deve sempre sottolineare che il mercatoglobalizzato è sempre più competitivo e il cogliere leopportunità che nel mercato si determinano richiedesempre più un comportamento proattivo e un orien-tamento alla qualità e quindi al cliente sempre piùcoerente ed efficacemente realizzato.

Il prodotto, le sue destinazioni, il suo sistema diproduzione e le opportunità di marketing

Le castagne e i marroni rappresentano uno degli ali-menti più completi che la natura offre in quanto con-tengono proteine, sali minerali, vitamine e zuccheri.Infatti, la loro composizione, oltre all’acqua, rivela laforte presenza di sali minerali, soprattutto di potassio,nonché di altri utili elementi come fosforo, zolfo,magnesio, cloro, calcio, ferro. Tra le vitamine sono pre-senti la vitamina C, B1, B2, PP. L’apporto calorico per100 gr. di castagne fresche è di 165 Kcal; nelle castagnesecche le calorie aumentano fino a oltre 300, maaumenta anche la presenza di sali minerali e di vitami-ne (tranne la C, che scompare durante l’essiccazione)(tab. 1). Nonostante questo quadro così interessante, lacastagna è spesso associata nella mente del pubblicoalla frutta secca e ciò determina una percezione negati-va deviata delle sue caratteristiche nutrizionali.Rispetto alla frutta secca infatti appare molto menoricca di glucidi e lipidi e quindi meno calorica.

Le modalità di consumo e utilizzazione di questo

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prodotto con caratteristiche nutrizionali tanto parti-colari e preziose sono molteplici, e ciò offre una riccaserie di opportunità di valorizzazione commercialedelle castagne che si articola su numerose tipologie diprodotto che determinano altrettante aree di business:

1. prodotto integro fresco (o surgelato) per il consu-mo diretto o utilizzazione domestica o artigianale,

2. prodotto integro essiccato per il consumo diretto(castagne del prete),

3. prodotto sgusciato essiccato a frutto intero omolito (farine) per preparazioni domestiche,nell’industria alimentare e in quella farmaceuti-ca e cosmetica,

4. semilavorati per l’industria dolciaria e pasticce-rie: castagne e marroni pelati o pelati e surgelatio trasformati in purea.

Tab. 1: Caratteristiche nutrizionali

delle castagne

Certamente il consumo del frutto fresco, come cal-darroste e castagne bollite (in acqua con finocchio,sedano e sale o nel latte) su un arco di tempo di circasei mesi dalla raccolta, con una forte domanda dal-l’inizio della raccolta (settembre-ottobre) fino alle

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festività natalizie, è una realtà diffusa. Altrettanto sipuò dire dei trasformati proposti dall’industria checomprendono prodotti conosciuti ed apprezzati dasecoli (marron glacés, creme di marroni, marroni can-diti o sotto alcol) che derivano dai semilavorati perl’industria dolciaria e le pasticcerie, delle castagnesecche e delle farine e dei frutti freschi nelle prepara-zioni domestiche. Tutti questi usi rappresentano ilmodo tradizionale di consumare castagne che potreb-bero comunque essere suscettibili di un’intensifica-zione, soprattutto per quanto riguarda l’uso domesti-co, artigianale e nella ristorazione dei frutti, valoriz-zando in primo luogo la natura di prodotto tipicodella castagna, l’elevata eco-compatibilità della suaproduzione, il suo valore nutrizionale e le utilizzazio-ni tradizionali. A questo proposito va riscoperta, inprimo luogo, una tradizione gastronomica che vantanumerosissime ricette (più di 120) per piatti gustosipoiché la castagna è estremamente versatile, perché siadatta a preparazioni culinarie sia salate che dolci,dall’antipasto al dessert, dai piatti di pesce alle carnie a liquori, grappe e birre, abbinandosi molto bene adalcuni prodotti particolarmente graditi ai consumato-ri come tartufo, cioccolato, pistacchio, ceci. Inoltre variportata all’attenzione del pubblico la tradizionedelle preparazioni domestiche di marron glacés ecastagne in sciroppo o in alcol.

Oltre agli impieghi tradizionali appena menzionatisi profilano per le castagne altri impieghi che, per le

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caratteristiche nutrizionali della materia prima, pos-sono soddisfare quelle esigenze dietetiche (assenza diglutine, ipocaloricità) che caratterizzano l’evoluzionedi segmenti ampi della domanda di prodotti alimen-tari: i marroni sbucciati pronti per la cottura e sottovuoto, marroni interi al naturale, castagne arrostite obollite sotto vuoto, fiocchi di polpa disidratata, pureapronta per successivi impieghi. La farina di castagne,in particolare, potrebbe essere vantaggiosamenteimpiegata anche nella preparazione industriale di ali-menti (pane, pasta, panettone, fette biscottate, meren-dine, crackers, pizza, fiocchi tostati per la prima cola-zione) per soggetti celiaci, o comunque poco tolleran-ti il glutine, e per soggetti che desiderano l’assunzio-ne di alimenti meno calorici di quelli preparati con icereali. Tali prodotti potrebbero comunque averecaratteristiche organolettiche di pregio ed essere quin-di di interesse anche per soggetti che non presentanorestrizioni dietetiche. Il pubblico nel suo complessoquindi, attraverso una diffusione capillare nella gran-de distribuzione di opportuni prodotti semilavorati,potrebbe accedere alla preparazione domestica diantipasti, primi piatti, contorni, salse, ripieni e snacks,oltre che di dolci, a base di castagne, consolidandouna modalità di “largo consumo” per i derivati dicastagne.

Già in passato la castagna non è stata solo un ali-mento. Essa è stata nel tempo ingrediente importantedi rimedi terapeutici (gotta, emicrania, problemi car-

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diaci, dolori di stomaco) di ampia diffusione popola-re. Oggi, pur non riconoscendo tutte le virtù terapeu-tiche attribuitele in passato, medicina popolare ecosmesi continuano a valorizzarne i benefici effetti. Inparticolare: la polpa schiacciata dei frutti bolliti inglo-bata in una maschera ha azione emolliente e schiaren-te da applicare al viso; l’acqua di cottura è un ottimoshampoo per esaltare i riflessi dei capelli biondi; l’in-fuso e il decotto sono indicati per affezioni bronchialie diarrea; l’infuso delle foglie di castagno è ottimaleper i gargarismi in caso di infiammazioni della boccae della gola.

Tutti questi usi, che sono in linea con una tendenzadei consumi che premia la cosmesi e i rimedi natura-li a vari disturbi, possono espandere l’uso delle casta-gne insieme agli altri usi industriali di derivazionedal prodotto essiccato di acido citrico, integratori ali-mentari, vitamina B12.

Riepilogando quanto sinora detto, si presenta unquadro nel quale vi sono aree di business maturesuscettibili di una rivitalizzazione, il consumo frescoe la preparazione di semilavorati per la pasticceriaindustriale e artigianale, e aree non ancora sviluppateche tuttavia presentano significative possibilità di svi-luppo.

Considerando comunque le prospettive di mediolungo periodo di sviluppo della domanda di casta-

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gne, si deve sottolineare che la valenza di queste, fre-sche o trasformate, come cibo con meno calorie rispet-to a quelli a base di cereali o di altre sostanze puòveramente essere un elemento di grande forza a ser-vizio di un’espansione dell’utilizzazione di questifrutti. Il problema della qualità della dieta è ormaiall’ordine del giorno delle istituzioni sanitarie inter-nazionali e locali. Nei paesi sviluppati, ma non solo inquelli, il problema dell’obesità e dell’eccessiva assun-zione di calorie nell’alimentazione è un problemasociale ormai grave cui si cerca di porre rimediomediando con gli interessi vastissimi delle multina-zionali alimentari. Il problema della “leggerezza” deicibi sta diventando quindi non più una questione dipreferenza individuale, legata a desideri di wellness emiglioramento dell’aspetto fisico, capace solo diindurre marginali estensioni della gamma dei prodot-ti offerti, ma una questione sociale che potrà mutarein modo strutturale le strategie di offerta dell’indu-stria e in generale i modelli di consumo alimentare.Chiaramente un’espansione della domanda di casta-gne su queste basi non necessariamente può rifletter-si sull’offerta campana in quanto costituisce un’op-portunità che si apre a tutti i competitor e che non pri-vilegia in modo particolare prodotti a forte tipicità.

Cogliere le opportunità che il mercato va delinean-do richiederà comunque significativi investimenti daparte dei privati, in forma singola e associata, e ancheun impegno di risorse pubbliche.

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Riflettendo quindi, in un’ottica di economia pub-blica, dell’opportunità di un impegno della politicaagricola regionale nel settore, si deve osservare cheuna castanicoltura attiva determina numerosi vantag-gi. In primo luogo lo sviluppo della filiera determinamaggiore occupazione e quindi maggiori redditidistribuiti che comunque, al di là dei benefici privati,hanno un effetto positivo su un’ economia delle areeinteressate a rischio costante di marginalizzazione.Inoltre vanno evidenziati vantaggi che si determina-no in modo indiretto: per il territorio in senso fisico intermini paesaggistici e quindi di attrazione turistica edi presidio idrogeologico; per il tessuto economicograzie all’attivazione di altre produzioni minori(miele, funghi, carbone) e di attività indotte nell’am-bito dei servizi reali alle imprese, soprattutto quandoa valle della produzione agricola si sviluppa anchel’attività di trasformazione, con effetti positivi sul red-dito distribuito e sull’occupazione (Bounous, 2003). Siè dunque in presenza di una situazione nella quale ibenefici sociali dell’intervento sono molto diversifica-ti e certamente ampi.

Lineamenti di un approccio integrato alla valorizza-zione del prodotto.

Il paragrafo precedente mostrando la molteplicitàdelle aree di business connesse alla produzione dellecastagne e la loro articolazione induce a due osserva-zioni di carattere preliminare.

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La prima è che la valorizzazione della castanicoltu-ra campana dovrà avere un approccio integrato, nelsenso che dovrà tendere a valorizzare tutte le possibi-li destinazioni del prodotto con uno sforzo su piùfronti che può determinare sul mercato un efficacegioco sinergico tra i diversi prodotti e sul territorio unarmonico ed equilibrato sfruttamento del potenzialeproduttivo disponibile. Giusta è l’attenzione allavalorizzazione della castagna come prodotto tipico adelevatissimo valore sensoriale e cognitivo, che siesplica nell’attivazione e promozione delle diverseIGP. Tuttavia ciò non deve andare a discapito di un’at-tenzione alla valorizzazione di tutta la produzione, intutte le possibili destinazioni, evitando soprattutto,nel caso del fresco, che si creino pericolose competi-zioni tra prodotti.

La seconda è che la valorizzazione della castanicol-tura campana non potrà, come nel caso della maggiorparte dei prodotti agroalimentari, essere affidata soloall’indipendente azione di singoli operatori lungimi-ranti; l’entità degli sforzi e degli investimenti necessa-ri richiederà che all’azione individuale si affianchiun’azione integrata degli operatori privati e delle isti-tuzioni. Della legittimità dell’intervento di questeultime già si è detto. Circa l’indirizzo generale chel’azione integrata di valorizzazione dovrà avere sipuò affermare, alla luce della prima osservazione, chel’azione da svolgere deve essere un’azione di ampiaportata e a favore della penetrazione sul mercato

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delle castagne, fresche o trasformate, in generale.Occorre creare però un contesto favorevole ad un’ac-celerazione dei consumi e ad una razionale e consape-vole diversificazione qualitativa, così come avvienegià per altri prodotti, per esempio il vino e i formag-gi, dove ormai i consumatori dividono le scelte diconsumo, a seconda delle circostanze, tra prodottistandard, per i quali comunque si esige un livelloqualitativo via via crescente, e prodotti di eccellenzadi particolare tipicità.

Responsabilità individuali e collettive Dopo avere sottolineato che la valorizzazione dellacastanicoltura campana richiede un’azione integratacon anche un forte ruolo di istituzioni pubbliche èora necessario chiarire la natura delle diverseresponsabilità.

I singoli imprenditori della filiera hanno la respon-sabilità di fare evolvere la qualità dei processi orga-nizzativi e gestionali nelle loro imprese, il che com-porta sviluppare in modo efficace le attività di marke-ting, nella dimensione strategica e operativa, in un’ot-tica relazionale e quindi potenziando l’orientamentoalla qualità dell’impresa e la sua capacità di comuni-cazione. Gli stessi imprenditori dovranno esseredisponibili a ricercare le forme di integrazione oriz-zontale che possono condurre all’ottimizzazione delladimensione dei processi operativi rispetto alle oppor-tunità di innovazione, in campagna, nella trasforma-

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zione e nella distribuzione e dovranno essere dispostia inserirsi in catene dell’offerta, che integrino funzio-nalmente più operatori della filiera, in un’ottica disupply chain management (Nichols, 1998; Mariani1999). Infine, dovranno essere disponibili a inserirsiattivamente in un marketing di area.

Per adattare i comportamenti aziendali secondo lelinee appena indicate l’impresa ha bisogno però dicondizioni di contesto che nessuna delle imprese dellafiliera castanicola campana, a qualunque livello, perlimiti di dimensione, può autonomamente determina-re. Da ciò emergono le responsabilità dell’azione inte-grata tra le imprese e tra queste e le istituzioni (tab. 2).

Tab. 2: Responsabilità dell'azione integrata

Lo sviluppo di efficaci azioni di marketing da partedelle imprese presuppone una conoscenza dei merca-ti di sbocco e intermedi assai approfondita e continua-mente aggiornata, che contempli l’evoluzione delladomanda, dell’offerta e degli scambi internazionali el’evoluzione del comportamento di tutti i concorrentidiretti e di altri operatori in un’ottica di analisi delcontesto competitivo allargato. Questa conoscenza deimercati di sbocco, che consente di agire proattivamen-

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te sul mercato, può essere raggiunta solo attraversoun’azione coordinata di più imprese, data l’entitàdelle risorse che occorre mobilitare. Sempre in tema dianalisi del mercato, essenziale diventa la conoscenzadella segmentazione delle preferenze dei consumatorinei diversi mercati. Un prodotto molto apprezzatonell’area di produzione non necessariamente lo èall’esterno ovunque; l’offerta va quindi indirizzatapreferenzialmente verso quei bacini che si mostranopiù vicini in termini di preferenze sensoriali al prodot-to offerto. Oltre a ciò però le preferenze si articolanoanche in termini di pezzature (nel caso dei prodottifreschi), confezioni, tipo di informazioni veicolate,calendario di acquisto e altri elementi del prodotto; laconoscenza di tutti questi aspetti dei mercati di desti-nazione è essenziale per un marketing efficace.

L’esigenza di potenziare la capacità delle imprese diprodurre qualità, di adottare processi operativi semprepiù efficienti richiede uno studio delle tecnologie e unasperimentazione che le imprese non possono svolgereautonomamente. Urgenti in questa fase sono il perfe-zionamento di tutte le tecnologie che possono renderepiù efficace la meccanizzazione delle operazioni coltu-rali nei castagneti ma anche di quelle che possonoampliare lo spettro delle utilizzazioni industriali dellecastagne. L’industria alimentare sarà disponibile a pro-porre al mercato prodotti a base di castagne solo quan-do le tecnologie necessarie saranno mature e sicure e iprodotti stessi bene accetti al pubblico. Accelerare a

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questo fine la produzione di conoscen-ze è quindi un tema di responsabilitàdell’azione integrata. Sempre in tema diinnovazioni, assai importante è il favo-rire l’accesso delle imprese all’utilizza-zione dei supporti hardware e softwaree ai protocolli operativi di sistemi disupply chain management, questo al fine

di consentire alle imprese di inserirsi in sistemi di offer-ta integrati funzionalmente caratterizzati da una forteautomazione nella gestione delle informazioni, degliordini, delle consegne e dei pagamenti, sistemi chediventano sempre più diffusi nelle catene di approvvi-gionamento della distribuzione moderna. Infine,l’azione integrata dovrebbe favorire l’adozione di effi-caci modelli di tracciabilità.

Il potenziamento dell’orientamento delle impresealla qualità richiede anche un’azione robusta di svilup-po delle risorse umane. Le imprese singolarmentehanno naturalmente degli obblighi nei confronti del-l’addestramento e qualificazione del personale e delcoinvolgimento responsabile (empowerment) di questonel perseguimento degli obiettivi aziendali (Mercurio eTesta, 1999). Ma al di là di ciò che si può fare in aziendaemerge la necessità di favorire, accelerare e potenziarelo sviluppo delle risorse umane impegnate nella filieracon processi di formazione di maggiore portata, chepossono essere svolti solo in un ambito interaziendalema che per questa loro natura favoriscono lo sviluppo

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di quel tessuto di relazioni personali che è la condizio-ne essenziale per la crescita della coesione nella filiera.In un contesto come quello della castanicoltura la for-mazione delle risorse umane deve avere il dupliceobiettivo di riannodare la catena della trasmissione delsapere tradizionale, nella fase agricola e nella trasfor-mazione artigianale dei frutti, e di diffondere saperi ecompetenze innovativi, che possono avere a che farecon le materie economico gestionali, i processi di mec-canizzazione, i processi di trasformazione, la logistica.In questo quadro comunque appare importante contri-buire ad un processo più generale, la cui responsabilitànon può ricadere sulla sola filiera castanicola, di restitu-zione di dignità all’attività agricola, anche manuale, inmodo da favorire il ricambio generazionale soprattuttonella fase di produzione della materia prima.

La valorizzazione sul mercato delle politiche diqualità delle singole aziende richiede la possibilità digiovarsi di appropriati segni di identificazione e dif-ferenziazione del prodotto. L’istituzione di diverseIGP va certamente in questa direzione ma probabil-mente le caratteristiche specifiche e il volume com-plessivo dell’offerta campana determinano lo spazioper la creazione di un marchio più generale che carat-terizzi anche la maggior parte della produzione chenon ricade nell’IGP, determinando un sistema equili-brato di categorie qualitative che può dare la giustavalorizzazione a tutte le produzioni. Naturalmente lacreazione di una gerarchia di categorie qualitative

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richiederà un sistema adeguato di comunicazione etutela; dovrà essere l’azione degli operatori e delleistituzioni nel territorio a produrre le forme organiz-zative idonee allo svolgimento di quelle funzioni.

L’azione di marketing dei singoli operatori potràavere particolare efficacia solo in presenza di un’azioneintegrata di comunicazione che si può definire generale afavore delle castagne. Questa dovrà avere il compito diinfluenzare l’atteggiamento del pubblico in termini diconoscenza e apprezzamento delle castagne (consuma-tori e altri operatori esterni alla filiera castanicola) inmodo che l’offerta delle singole imprese della filieracastanicola trovi un campo cognitivo favorevole. Questaazione di comunicazione, in un’ottica di valorizzazioneintegrata della castagna, dovrà puntare a favorire il con-sumo del frutto di tutte le categorie e in tutte le modalitàe dovrà essere quindi articolata in termini di temi e desti-natari. Il pubblico sensibile al consumo dei prodotti tipi-ci dovrà essere raggiunto da una comunicazione chevalorizzi e comunichi le tipicità dell’offerta campananelle sue forme di maggiore pregio, il resto del pubblicodovrà essere raggiunto con una comunicazione chemodernizzi (anche attraverso una scelta appropriata deitestimoni e dei media) il prodotto, offrendo una ragioned’acquisto alle diverse categorie di acquirenti e spiegan-do, con forte impronta didattica, come questo può essereinserito nella dieta quotidiana. Il tema del valore nutri-zionale del prodotto dovrà certamente essere un temaimportante che accompagna sempre la comunicazione,

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così come il ruolo positivo per l’ambiente della coltiva-zione. In termini di media da utilizzare e ricercando ilmassimo rapporto tra efficacia e costo sarà opportunoprivilegiare, rispetto a costose campagne sui media gene-ralisti a carattere nazionale, le azioni capillari sulla stam-pa specializzata diretta al pubblico (in Italia vengonopubblicate circa 150 riviste di cucina), sui canali TV tema-tici e sulla stampa professionale. Nella progettazionedelle azioni di comunicazione sarà necessario tenere pre-sente che questa dovrà avere sia carattere pull che carat-tere push. La comunicazione dovrà avere come suo desti-natario sia il pubblico dei consumatori (comunicazionepull) al fine di attivare la loro domanda, sia gli operatoriprofessionali (comunicazione push), come la grandedistribuzione e gli operatori della ristorazione collettiva ecommerciale e dell’industria alimentare, per stimolarel’utilizzazione delle castagne nei loro processi produtti-vi/distributivi e nell’erogazione di servizi di ristorazio-ne. La comunicazione verso questi soggetti si avvantag-gerà anche di quella verso il pubblico finale ma dovràavere dei contenuti specifici di tipo razionale che dimo-strino la convenienza che possono ritrovare nell’usodelle castagne. Interlocutori privilegiati potrebbero esse-re peraltro gli operatori della ristorazione collettiva desti-nata a soggetti con particolari esigenze dietetiche (ospe-dali, case di riposo, asili e scuole) dove le castagnepotrebbero trovare un valido impiego.

Infine occorre osservare che una comunicazioneefficace dovrà avere un’adeguata differenziazione inbase alla localizzazione dei destinatari: occorrerà

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quindi sviluppare azioni di comunicazione specifi-che: una a carattere locale e regionale; una destinata,con opportune differenziazioni interne se necessario,al pubblico nazionale e, quindi, una specifica per idiversi mercati esteri. La necessità di essere moltospecifici nella comunicazione richiederà quindi, quasinecessariamente, di concentrarsi su alcuni mercatiselezionati.

La produzione delle castagne ha un forte legame coni territori dove si è sviluppata, anche se la consapevolez-za di ciò si va perdendo nelle nuove generazioni anchein questi stessi territori. Ciononostante le testimonianzedella tradizione castanicola (le sistemazioni tradizionali,i seccatoi e i mulini ad acqua per la produzione di farinadi castagne) nel territorio sono elementi preziosi nonsolo per il rafforzamento del senso di identità dei pro-duttori locali ma anche nell’azione di comunicazione.Queste testimonianze della tradizione vanno quindiconservate e restaurate quando necessario, e soprattut-to, rese accessibili e comprensibili attraverso pubblica-zioni, percorsi pedonali e ciclabili turistico didattici,azioni di coinvolgimento nelle attività produttive.L’interesse di segmenti significativi del pubblico per lemodalità di produzione dei prodotti alimentari anchenelle forme tradizionali di produzione è un fatto accer-tato, non solo per i cultori dei prodotti tipici intesi comeprodotti di eccellenza; pertanto la cura dell’ambientefisico di produzione diventa un elemento di marketingimportante, quando inserito in percorsi agrituristici di

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qualità (Strade del castagno), in grado di sviluppareimportanti sinergie con le altre forme di comunicazione.

Ipotesi per una strutturazione dell’azione collettivaL’azione integrata dei diversi soggetti collegati alla filie-ra del castagno ha evidentemente il compito di coordi-nare l’agire individuale e ha anche dunque la responsa-bilità di favorire le interazioni tra i soggetti che operanonella filiera castanicola e tra questi e le istituzioni avario titolo collegate al fine di sviluppare una rete spes-sa di relazioni tra tutti i soggetti che favorisca la diffu-sione delle informazioni e delle conoscenze e che facili-ti gli scambi di risorse e le relazioni commerciali. Perchéciò avvenga sarà necessario realizzare forme organizza-tive adeguate che poi abbiano la responsabilità direttadi tutte le azioni che sono state prima elencate.Esperienze analoghe di strutturazione di aree con fortevocazione per la produzione di prodotti di qualità conuno stretto legame con il territorio indicano che l’in-spessimento dell’azione integrata nel territorio richiedeprincipalmente tre forme organizzative:

a) forme di integrazione orizzontale tra i produttoriagricoli soprattutto di minori dimensioni che pos-sono avere la natura di cooperative o associazionidei produttori, che possano assicurare l’adozionedi tecnologie di campagna, gestione della qualità,programmazione della produzione;

b) consorzi di tutela per le singole IGP, che siano il

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luogo non solo dell’azione di tutela interna edesterna ma anche di riflessione sulla gestionedella produzione e della qualità; questi dovran-no fare emergere la domanda latente di innova-zioni che potrà poi essere da guida per le attivi-tà di ricerca e sperimentazione;

c) un consorzio di valorizzazione, con forte carattereinterprofessionale e valenza regionale, che possaessere il soggetto istituzionale che, in collegamentocon altre istituzioni pubbliche e private (UnioneEuropea, Amministrazione Regionale, Università,Centri di ricerca tecnologica e di mercato, Industriaalimentare), può essere responsabile delle azioni dinatura collettiva di carattere generale prima indica-te. La dimensione regionale del consorzio di valo-rizzazione appare opportuna e necessaria (rispettoa consorzi locali) per motivi funzionali e finanziari.Sotto il profilo funzionale si deve osservare chetutte le azioni prima indicate possono essere divantaggio per tutte le aree castanicole regionali eche quindi un’azione centralizzata può avere mag-giore respiro e quindi efficacia. Peraltro, anche sulpiano dell’efficacia in termini di marketing ha mag-giore possibilità di successo una promozione a van-taggio di una produzione consistente e chiaramen-te articolata, come potrebbe essere quella campana,piuttosto che singole produzioni locali. Sotto il pro-filo finanziario poi le risorse da mobilizzare sonoingenti soprattutto in termini di costi fissi e quindi

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è necessario operare a vantaggio di una massa diproduzione significativa sulla quale sia possibileripartirire in modo sostenibile l’impegno finanzia-rio dei privati e che giustifichi l’impegno pubblico.

Considerazioni conclusive

Nel paragrafo precedente sono state indicate alcunelinee sulle quali si dovrebbe muovere un’azione di valo-rizzazione integrata della filiera castanicola campana.Nell’ambito di queste linee generali le possibili azioniconcrete potranno essere molteplici e dovranno essere ilrisultato dell’interazione dei soggetti interessati, data laspecificità e l’unicità dei prodotti in gioco e la loro strettaconnessione con il luogo di origine. Certamente il proces-so di valorizzazione deve coinvolgere l’intero contestosocio economico culturale: in questo infatti i vari soggettioperano e in questo avvengono quelle interazioni cheinfluenzano le caratteristiche delle produzioni tipiche,attraverso un processo di negoziazione della qualità(Rossi e Rovai, 1999), e, allo stesso tempo, ne rappresen-tano il maggior punto di forza. Questa connessione traaziende produttrici e contesto locale determina un “siste-ma integrato della produzione tipica locale” che deveessere l’oggetto della pianificazione delle azioni integra-te per la valorizzazione della castanicoltura campana. Siintende pertanto sottolineare che lo sforzo di moderniz-zazione della filiera deve avvenire avendo cura che que-sta modernizzazione non spezzi ma anzi riannodi ovenecessario il legame tra produzione e comunità.

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Anche nel caso della castagna, come di molte altreproduzioni tipiche, l’adeguamento strutturale delleaziende (anche solo attraverso forme di integrazione),l’adozione di una rinnovata cultura della qualità equindi un maggiore orientamento al mercato, una mag-giore conoscenza, quindi, delle esigenze dei consuma-tori sono le sfide che per prime devono essere affron-tate; allo stesso tempo però impegno massimo dovràessere posto nel preservare le specificità e le unicità,intese come usi, tradizioni, cultura, biodiversità cherappresentano, per le produzioni tipiche, gli unicipunti di vantaggio competitivo su mercati sempre piùampi e sempre più lontani (Del Giudice, 2000).

L’azione di valorizzazione potrà essere resa com-plessa e ostacolata dalle difficoltà nel necessario coor-dinamento tra azione individuale imprenditoriale,azione congiunta dei privati, azione delle istituzioni.Andranno superati certamente problemi di comunica-zione e di mediazione tra interessi talvolta solo appa-rentemente in conflitto. Nel caso specifico della Cam-pania il problema è acuito da una forte disparità didimensione economica e cultura manageriale dei sog-getti interessati. Ciò tuttavia non va vissuto con fatali-smo e rassegnazione. Anche il problema dell’organiz-zazione locale può essere affrontato con strumenti ade-guati e non è quindi impossibile raggiungere un’orga-nizzazione della filiera che consenta coordinamento,efficienza nell’uso delle risorse ed efficacia nel raggiun-gimento degli obiettivi (Caroli, 1999).

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Le strade della valorizzazione del tipico

Leit motiv di media, fiere, manifestazioni e incon-tri politici o conviviali che si svolgono nel nostropaese, anche nei salotti o in ufficio non si fa altro cheparlare di prodotti e piatti tipici, di itinerari enoga-stronomici, di locande e ristoranti. Dilaga oramai lamoda di guardare luoghi, arte e storia della nostrabella Italia attraverso la lente a volte pericolosamentedeformante di un bicchiere.

Certo è che l’interesse intorno alla qualità dei prodot-ti agroalimentari, con particolare riferimento a quellitipici e tradizionali, ha avuto nell’ultimo decennio unaimpennata vera e propria, tanto che istituzioni ed entinon hanno potuto fare a meno di prenderne atto.

Siamo di fronte ad una presa di coscienza genera-lizzata dell’importanza che riveste indurre un sanocomportamento del consumatore per migliorare laqualità della vita e in particolare per riequilibrare e,ove necessario, correggere spinte consumistiche chenon tengano conto delle oggettive esigenze dell’uomoe della necessità di armonizzare il suo agire con l’im-prescindibile obiettivo di salvaguardare accettabililivelli di equilibrio delle comunità nel loro rapportocon l’ambiente.

Valorizzazione delle produzioni tipiche non signi-fica solo concentrazione e organizzazione dell’offertaper confrontarsi con la moderna distribuzione o addi-rittura con la GDO (grande distribuzione organizza-ta), ma sempre più spesso significa attivare interventi

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AUTORE:

de FranciscisEmiddio

di CasanovaRegione Campania,

SeSIRCA

Le denominazioni europee rego-lamentate: una leva di sviluppoe valorizzazione del territorio

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complessi che promuovano lo sviluppo economicointegrato delle realtà locali inducendo benefici effettisull’occupazione ed il reddito di queste aree. Cioèconiugare in maniera sinergica: risorse e sviluppo,conservazione e consumo, tutela e trasformazione,tradizione e innovazione, territorio e mercato.

In questo contesto il consumatore ha mostrato diapprezzare l’offerta che viene da una agricolturamoderna e sostenibile, ma occorre compiere ancoramolti sforzi sia nella fase della produzione che inquelle della distribuzione, commercializzazione eorientamento ai consumi per consolidare i risultati egarantire successo alle politiche del settore.

Sicuramente negli ultimi anni si è registrata unaforte evoluzione del concetto di qualità ed, accanto aiparametri più strettamente commerciali (calibro,forma, pezzatura, colore, ecc.), ha preso corpo l’esi-genza di qualificare il prodotto anche in base ad altrecaratteristiche come: sanità e salubrità, gusto, consi-stenza, aroma, requisiti nutrizionali e così via.

In questa direzione è oggi indirizzata la domandadei consumatori europei, in relazione, oltre che all’ac-cresciuto benessere delle popolazioni, anche alla cul-tura ambientalista e salutistica che va via, via semprepiù affermandosi ed alla riscoperta delle tradizionilocali.

L’agricoltura campana ricca di produzioni tipichedi pregio, fra cui numerose famose e prelibate casta-gne (Montella, Roccadaspide, Serino, Roccamonfinaed Acerno) può legittimamente ambire ad accrescere

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il numero di denominazioni d’origine (DOP) edindicazioni geografiche protette (IGP) registrate econsolidare il posto di rilievo che già occupa in que-sto segmento con 13 marchi registrati (12 fra DOP eIGP ed 1 STG) e 10 in protezione nazionale transito-ria. Nonché altre 20 richieste di registrazione sono inistruttoria, di cui 16 DOP, 3 IGP ed una 1 STG laPizza Napoletana.

E’ però da non sottovalutare che, al di là del ruolostrategico e di indirizzo dell’Amministrazione regio-nale e delle istituzioni scientifiche (le cui azioni dipromozione, sostegno e valorizzazione attivatedovranno far riferimento a questo complesso e stimo-lante quadro di riferimento) il successo e l’affermazio-ne sul mercato delle denominazioni regolamentate èfunzione da un lato dell’azione e determinazione deiproduttori, e dall’altro del comportamento del consu-matore, cui si richiede una sempre maggiore consape-volezza e competenza nella scelta degli alimenti,soprattutto quando si tratta di produzioni tipiche.

La crescente domanda di qualità intesa comegenuinità legata alle tradizioni gastronomiche, natu-ralità come rispetto dell’ambiente e dei consumatori,ha indotto le aziende -di produzione, lavorazione ecommercializzazione- che vogliono conquistare oconsolidare la propria posizione di mercato, adaccreditarsi come imprese che operano secondo lelogiche della qualità.

Certamente in questo senso tutte le produzioniderivanti da genotipi autoctoni come avviene per le

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castagne della Campania (Montella, Serino,Roccadaspide, Roccamonfina e Acerno), ma anche leproduzioni trasformate (formaggi, salumi, ecc), chepossono vantare una tradizione delle metodiche dilavorazione, diventano referenze di grande interesseper il segmento afferente la commercializzazione edistribuzione e, quindi, per tutte le aziende della filie-ra in quanto beni molto appetiti dai consumatori.

Si pensi ad esempio alle campagne di comunica-zione promosse dalla grande distribuzione nell’agro-limentare che -costruite fino a qualche tempo fa esclu-sivamente e quasi ossessivamente sull’affermazionedegli elementi di qualità e di sicurezza (produzionibiologiche, oasi ecologiche, ecc) dei prodotti offerti-oggi mettono al centro dell’attenzione del consumato-re le caratteristiche di tradizione, tipicità e rispettodell’ambiente (esteso anche al benessere animale) col-legate al concetto di tracciabilità come strumento diconoscenza e controllo di tutte le fasi del processoproduttivo e quindi di sicurezza.

D’altra parte sicurezza, elevata qualità e tradizioneerano già da tempo i cavalli di battaglia dei grandimarchi dell’agroalimentare; aziende affermate sulmercato mondiale, capaci di offrire prodotti indu-striali di elevatissima qualità, che hanno fondato lapropria affermazione sul mercato sull’evocazione dipresunte tradizioni culinarie e dolciarie legate ad unaqualche regione.

Le possibili strade da intraprendere per la valoriz-zazione delle produzioni tipiche intimamente legate

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all’ambiente ed alla cultura e tradizioni di un territo-rio come le castagne, possono essere riassunte nellequattro seguenti:

a) l’inserimento, ai sensi del DM MiPAF 350/99,nell’Elenco delle produzioni tradizionali per le quali èdimostrabile che la produzione nell’areale individua-to avvenga in maniera omogenea e costante da alme-no 25 anni;

b) la registrazione di una denominazione di origi-ne (DOP) o di una indicazione geografica protetta(IGP), ai sensi del reg. CEE 2081/92 (e succ. integra-zione reg. CE 692/03);

c) la registrazione di una attestazione di specifici-tà/specificità tradizionale garantita (STG) -reg CEE2082/92- per quelle produzioni caratterizzate da par-ticolari tecniche per la preparazione di piatti o dolciu-mi (“ricette”), o realizzate con materie prime tradizio-nali (ad es. pizza napoletana, cioccolato, ecc).

d) la tutela del prodotto attraverso la creazione diun marchio collettivo di impresa che ha la sua partequalificante in un dettagliato disciplinare di produ-zione, controllato e certificato ai sensi delle normevolontarie, da un organismo terzo. In questo ultimocaso molta importanza ha la ideazione e registrazionedi un marchio e di un logo evocativi della zona di pro-duzione, senza però fare uso di nomi geografici che lorenderebbero inutilizzabile, in quanto confliggentecon i regolamenti comunitari in materia.

Appare subito evidente che l’unica vera opportuni-tà di valorizzazione da poter cogliere per le produzio-

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ni castanicole campane di qualità sia quella relativaalla registrazione di una DOP o una IGP, ai sensi delreg. CEE 2081/92. Infatti il solo inserimento nell’elen-co delle produzioni tradizionali, oltre a rappresentareun risultato riduttivo per queste produzioni, non daluogo ad una denominazione spendibile del prodottocommercializzato, ma solo a segnalare quel prodottocome risorsa dell’area di origine.

La STG non risponde certamente al caso di un pro-dotto le cui peculiarità risiedano principalmente nel-l’unicità dell’ecotipo la cui differenziazione è legata aduna precisa area geografica, ma sicuramente a produzio-ni, per le quali la tipicità è legata alla metodica di prepa-raziale, come la pizza napoletana attualmente all’esamedella Connissione UE per la registrazione quale STG.

Limiti e opportunità di valorizzazione offerti even-tualmente da strumenti come un marchio collettivoprivato devono essere valutati di volta in volta, tenen-do in considerazione che un marchio collettivo priva-to tutela e valorizza solo parzialmente produzionicosì intimamente legate ad uno specifico territoriocome le castagne.

A questo proposito non è inutile sottolineare che iproduttori che già avevano la possibilità di fregiarsi delfamosissimo marchio “Melinda”, intendendo consegui-re un livello superiore di tutela dei produttori e consu-matori, ha richiesto ed ottenuto nel 2003 la registrazionedella denominazione “Mela della Val di Non (DOP)”.

La scelta di imboccare la strada della denominazio-ne regolamentata dal reg. CEE 2081/92 per le casta-

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gne della Campania è coerente da un lato con le par-ticolari caratteristiche organolettiche possedute daqueste ultime per il legame che vantano con il territo-rio di origine; e, dall’altro, con le loro potenzialità dicommercializzazione e di fama.

Si pensi ad esempio alle indubbie potenzialità di unaCastagna di Montella (IGP) con migliaia di ettari dicastagneti ed un nome con fama nazionale. Portare sottoil “mantello” della denominazione la maggior partedella produzione significherebbe poter offrire sul merca-to quantitativi interessanti di prodotto qualificato, spiaz-zando tutti quegli operatori che presentino prodottoindistinto, con il grande merito di riportare ai veri pro-duttori ed all’area di origine tutte le ricadute positiveconnesse con un marchio tutelato, prima fra tutte l’incre-mento di valore aggiunto e di margine economico.

Non bisogna però generalizzare obiettivi e strategieper tutte le produzioni, in alcuni casi infatti i produt-tori interessati e gli amministratori locali delle aree dielezione di una certa produzione si pongono l’obietti-vo di registrare una DOP o l’IGP non tanto puntandosui benefici economici diretti che questi marchi posso-no generare nella filiera, ma quanto a quelli indirettiche si possono innescare sull’intero territorio interes-sato. Questo significa non sentirsi condizionati daglieventuali limitati risultati ottenibili in termini di incre-mento di fatturato complessivo e di margini economi-ci delle aziende agricole, ma ragionare a 360° in termi-ni di sistema. In questo caso sia l’impostazione dellepolitiche promozionali che la lettura della ricaduta

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Castagna del vulcano di Roccamonfina DOP

Castagna di Montella IGP

Castagna di Acerno DOP

Marrone di Roccadaspide IGP

Castagna di Serino DOP

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economica vanno impostate diversamente.Sta poi alle capacità organizzative ed inventive dei

gestori di ciascuna denominazione regolamentata,cioè ai consorzi di tutela, mettere in campo azioninecessarie e sufficienti a valorizzare a pieno una DOPo una IGP, ovviamente con la collaborazione deglienti locali. Sicuramente, infatti, il primo passo è rap-presentato dalla costituzione del Consorzio di Tuteladi ciascuna denominazione che, ai sensi dell’art. 14della Legge 526/99, è il detentore e tutore pro tempo-re della denominazione. Strumento di cui tuttorasono prive sia l’unica castagna campana registrata, laCastagna di Montella (IGP), che il Marrone di Rocca-daspide (IGP) attualmente in protezione transitoria.

La qualificazione e l’organizzazione degli operato-ri, fattori indispensabili per concentrare l’offerta e for-mare quel minimo background culturale necessarioalla diffusione delle politiche della qualità, sono cer-tamente i passi successivi da fare sulla strada dell’af-fermazione del marchio sul mercato.

In questo percorso un ruolo chiave può essere gio-cato dal Consorzio di Tutela anche per le potenzialitàdi accesso ai fondi previsti dal Programma Interregio-nale Agricoltura e Qualità Misura 1 Azione 4, relativaalla promozione e avviamento dei consorzi stessi, edalla Misura 4.19 del POR Campania relativa alla com-mercializzazione dei prodotti di qualità.

La qualificazione, organizzazione e aggregazione deisoggetti della filiera devono svilupparsi insieme allacapacità e serietà degli operatori nella realizzazione del

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prodotto, crescita accompagnata dall’attività di vigilan-za sul mercato svolta dagli stessi consorzi in collabora-zione con l’Ispettorato Generale Repressione Frodi.

La registrazione di una DOP o IGP rappresentasolo il primo passo di un lungo e difficile percorsosulla strada della valorizzazione di una produzionetipica. In realtà l’attivazione di tutto il sistema dicontrollo e certificazione garantisce il consumatoresolo del contenuto delle confezioni, ma non riposi-ziona automaticamente il prodotto sul mercatofacendogli spuntare prezzi e margini maggiori. Unmercato che, anzi in generale, per limitatezza didimensioni fisiche e di fatturato, spesso tende a nonriconoscere al prodotto a DOP/IGP una fascia diprezzo più elevata.

In effetti, all’avvio di una nuova avventura perottenere una registrazione DOP o IGP, gli operatorisono certi solo di andare incontro ad una probabilecontrazione dei margini, dovuta ai costi di controllo ecertificazione, salvo ad assistere in seguito ad un rie-quilibrio dei costi e un incremento dei margini.

E’ necessario pertanto che gli operatori della filie-ra, in questo caso della castagna, si organizzino perconcentrare l’offerta e coordinino per svolgere unaazione realmente incisiva sul mercato, offrendo oltread un prodotto di eccellenza anche garanzie di affida-bilità, rispetto degli impegni assunti; condizioni cheper poter operare sui mercati contano come e piùdelle caratteristiche intrinseche del prodotto.

La possibilità di identificare univocamente la pro-

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duzione, diradando negli intermedia-ri e consumatori incertezze e confusio-ni, sta producendo i suoi frutti anchenella filiera della frutta secca comemostra chiaramente l’azione di com-mercializzazione intrapresa dall’Asso-ciazione produttori di Nocciola di Gif-foni (IGP), prodotto vincitore del pre-mio Qualità Buonitalia 2005, che hafatto leva sull’interesse delle catene della GDO atrattare prodotto certificato anche in questo segmen-to; e grande impatto avrebbe anche per le castagnese si pensa al diffuso e spicciolo abuso delle denomi-nazioni castanicole tra cui Montella e Roccamonfina.

La valorizzazione istituzionale delle DOP e IGP

L’iniziativa di valorizzazione regionale non devemai essere concepita come limitata alle sole azioni dimarketing che possono essere messe in campo attra-verso le strutture operative regionali, come l’ERSAC,o in collaborazione con Camere di Commercio ol’Istituto per il Commercio con l’Estero (ICE), chepure rappresentano una fase importante dell’azionedi promozione sul mercato.

L’azione regionale si articola in maniera, diretta eindiretta, su diversi piani:

- registrazione delle denominazioni: dalla indivi-duazione delle produzioni suscettive di ottenereuna registrazione, allo studio e caratterizzazione

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delle stesse fino alla strutturazione dei disciplina-ri e delle documentazioni di supporto;

- sostegno all’ingresso degli operatori nelle filiereDOP e IGP;

- formazione e sostegno dei consorzi di tuteladelle DOP e IGP.

Azioni dirette

La promozione di nuove DOP e IGP si traduce inun costante lavoro di sensibilizzazione capillare deglioperatori potenzialmente interessati alle diversedenominazioni. Il percorso di registrazione è infattiaccompagnato passo, passo, dalle strutture centrali eperiferiche della Regione sin dalle fasi preliminari diindividuazione del prodotto da registrare ivi compre-sa la costituzione del Comitato Promotore, attraversola predisposizione delle documentazioni necessarie,fino all’assistenza nelle fasi di istruttoria ministerialee comunitaria. Un ulteriore sostegno agli operatori èrappresentato dalla erogazione di un contributo per ilsostegno delle spese vive di redazione delle docu-mentazioni stesse.

Uno dei fattori limitanti all’avvio e diffusione deisistemi di controllo e certificazione delle produzionicampane a denominazione e indicazione d’origine ècertamente rappresentato dai costi di controllo e dicertificazione a carico dei produttori.

Per ovviare a questo inconveniente e favorire l’av-vio dei sistemi di controllo e certificazione delle

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DOP/IGP campane registrate la Regione Campaniaha ritenuto strategico intervenire direttamente e indi-rettamente con una serie di azioni volte a creare lecondizioni necessarie e sufficienti ad una rapida cre-scita del numero di produttori e delle quantità certifi-cate dei prodotti.

Alla vigilia delle prime registrazioni di DOP o IGPitaliane, avvenute a partire dagli ultimi mesi del ’96,in assenza di un sistema autorizzativo compiuto etanto meno di organismi di controllo privati o pubbli-ci (OdC) che rispondessero ai requisiti richiesti dal-l’art. 10 del Reg. CEE 2081/92, il Ministero con decre-to n. 292 del 3.11.95 delegò in prima battuta il compi-to di controllo e di vigilanza all’Ispettorato CentraleRepressione Frodi.

Mentre, per scongiurare il rischio di soluzioni di con-tinuità nella certificazione di conformità al disciplinaredi produzione, per quei prodotti -ad esempio per laMozzarella di bufala campana, il Parmigiano Reggianoo il Grana Padano ecc.- che già godevano a quella datadella protezione in Italia quali denominazione d’origi-ne, prorogò provvisoriamente, con DM 24.06.97, airispettivi Consorzi di Tutela la delega al controllo giàrilasciata nel precedente sistema nazionale.

Per tutti gli altri prodotti che iniziarono ad ottene-re il marchio collettivo europeo, ma non disponeva-no di strutture consortili idonee, sorgeva l’oggettivoproblema di garantire ai produttori -che ne avesseroi requisiti- il diritto alla utilizzazione del marchiocollettivo ottenuto. Su questo punto l’interpretazio-

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ne della norma comunitaria e nazionale rimandavaalle Regioni ed alle Province autonome, competentisul territorio di origine di ciascun prodotto, l’oneredel controllo.

In quel periodo sia a causa dei tempi necessari perla messa a punto delle procedure di autorizzazionedegli OdC privati, sia spesso per la mancata segnala-zione da parte dei rappresentanti dei produttori, indi-viduati nei Consorzi di Tutela ove esistenti o piùgenericamente nelle associazioni e cooperative di pro-duttori che avevano richiesto ed ottenuto la registra-zione della DOP o IGP, la procedura di autorizzazio-ne non fu rapida.

Nel periodo, 97-98, la Regione Campania contavaben 9 prodotti registrati dei quali però solo laMozzarella di bufala campana (DOP), in virtù dellaproroga concessa al Consorzio di Tutela, risultavaavere un organismo certificatore. Gli altri 8 prodotti ecioè: Caciocavallo silano (DOP), Pomodoro S. Marzanodell’agro Sarnese Nocerino (DOP), Nocciola di Giffoni(IGP), Castagna di Montella (IGP), Vitellone biancodell’appennino centrale (IGP), ed i tre olii extraverginidi oliva Cilento (DOP), Colline Salernitane (DOP) ePenisola Sorrentina (DOP), risultavano privi di unorganismo di controllo autorizzato. I produttori di que-ste filiere si sarebbero trovati, pertanto, nella impossi-bilità di essere in qualche modo certificati e quindi diutilizzare il marchio collettivo europeo.

La nostra Regione Campana, perciò, unico caso inItalia, ritenne opportuno, ricadendo provvisoria-

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mente sull’Amministrazione la responsabilità diavviare il sistema, nelle more dell’autorizzazioneministeriale dei diversi OdC nel frattempo indicatidai produttori – e, precisamente, Certidop s.r.l. perla Mozzarella di bufala campana (DOP), il Parco Tec-nologico dell’Umbria 3A-PTA per il Vitellone biancodell’Appennino centrale (IGP) e l’Is.Me.Cert. (Istitu-to Mediterraneo per al certificazione dei prodotti edei processi dell’agro-alimentare – Napoli) per tuttigli altri prodotti, – si è fatta carico di attivare, con laDGR n. 6121 del 25.09.97, una specifica procedura dicontrollo che rendesse possibile la certificazione diconformità del prodotto, procedura rimasta in vigo-re per due anni.

Furono pertanto istituiti, per ciascuna DOP e IGP diinteresse regionale appositi Albi dei produttori e/otrasformatori che avessero richiesto di entrare nelsistema volontario di controllo; ed uno specifico pianodi controllo in grado di garantire la verifica del rispet-to dei punti critici del disciplinare di produzione.

L’attivazione di queste procedure di controllo ecertificazione regionale ha interessato anche prodot-ti a carattere multiregionale come il Caciocavallosilano (DOP) ed il Vitellone bianco dell’Appenninocentrale (IGP).

Lo sforzo organizzativo e tecnico messo in campodalle strutture dei Servizi di Sviluppo dell’Assessoratoregionale all’Agricoltura, che si è fatto carico del ruolodi organismo di controllo e certificazione, ha raccolto isuoi frutti nel ’98 consentendo ad alcuni produttori di

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Pomodoro S. Marzano dell’agro Sarnese Nocerino(DOP) e di Olio extravergine di oliva Cilento (DOP) eColline salernitane (DOP) di ottenere la certificazionedi conformità per le prime partite di prodotto.

Nel ’99 con il rilascio a Certidop s.r.l. per la Mozza-rella di bufala, al Parco tecnologico dell’Umbria 3A-PTA per il Vitellone ed all’Is.Me.Cert. per le altre pro-duzioni campane, delle rispettive autorizzazioniministeriali al controllo, la Regione è tornata a svolge-re il ruolo naturale, descritto dalla Legge n. 128/98art. 53 e dalla Legge n. 526/99 art. 14, che per la suanatura gli compete; e cioè quello di vigilanza sugliorganismi di controllo privati autorizzati dal MiPAFper ciascuna DOP e IGP. Sono stati, perciò, revocati iprovvedimenti riguardanti il controllo regionale delleproduzioni con i relativi Albi, ed istituiti -con finalitàdi studio del fenomeno economico e territoriale- iregistri dei soli produttori agricoli interessati alleDOP e IGP campane, i cui dati sono stati messi adisposizione degli OdC che ne volessero fare uso.

L’enorme sforzo di coinvolgimento degli operatoridi ciascuna DOP/IGP registrata, svolto dalle struttureregionali, ha ovviamente avuto in questi anni unadiretta influenza anche sull’abbattimento dei costisostenuti dai produttori per entrare nel sistema. Losvolgimento, da parte degli STAPA CePICA regionali,delle verifiche dei requisiti delle aziende aderenti e inalcuni casi delle fasi di produzione agricola ha, di fatto,comportato un concreto risparmio per gli operatori.

Tale azione di promozione del sistema, indispensabi-

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le soprattutto nei sistemi produttivi meridionali, che inItalia è stata voluta fortemente e realizzata solo dallanostra Regione, con l’andata a regime del sistema nazio-nale non è più sostenibile in quanto viene ad essereincompatibile con il ruolo di vigilanza sul sistema checompete alle Regioni. ai sensi del Decreto del Ministerodelle Politiche Agricole e Forestali del 27.08.04

Azioni indirette

Dovendosi revocare nel 2003 i registri per tutti i pro-dotti campani registrati ed essendosi già avviato per laMelannurca campana (IGP), anche se per il momentoancora in protezione transitoria, il sistema di controllo ecertificazione interamente gestito dall’Is.Me.Cert., si èritenuto di prevedere nell’ambito del Programma Inter-regionale “Agricoltura e Qualità” Misura 1 -oltre allaAzione 2 volta a sostenere i comitati promotori nell’alle-stimento delle documentazioni necessarie a presentare larichiesta di registrazione di una DOP o IGP, ed alla Azio-ne 4 dedicata a sostenere l’avviamento dei Consorzi diTutela delle DOP/IGP- una specifica azione di sostegno.

L’azione 6 dal titolo “Sostegno alle aziende agri-cole ed agroalimentari inserite in programmi di filie-ra di prodotti DOP, IGP, AS, il cui bando è statoapprovato con DRD n. 355 del 22.11.02, prevedeinfatti un contributo in conto capitale sulle spesecorrelate all’adesione delle imprese ai sistemi di con-trollo e certificazione previsti per le produzioni DOPe IGP della Campania.

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I soggetti beneficiari sono le piccole e medie impre-se della Campania che aderiscano ai sistemi di certifi-cazione previsti per le produzioni DOP e IGP.

Il contributo previsto copre i costi di inserimentonel sistema di certificazione limitatamente al primoanno di adesione.

Il regime di aiuti prevede: a) per le imprese agricole un contributo dal 40%

della spesa sostenuta elevabile al 50% se l’azien-da è sita in zona svantaggiata ai sensi della diret-tiva 268/75 e successive modifiche, elevabile diun ulteriore 5% nel caso l’impresa sia condottada un imprenditore di età inferiore a 40 anni;

b) per le imprese di lavorazione e trasformazioneun contributo pari al 50% della spesa sostenuta.Oltre alla documentazione comprovante la spesasostenuta dall’azienda per la certificazione, peraccedere al contributo è necessario dimostrare diaver certificato almeno il 50% della produzionepotenziale ottenibile con le superfici iscritte.

ConclusioniDa quanto esposto una incisiva azione regionale disostegno e valorizzazione delle denominazioni eindicazioni geografiche protette campane, e fra que-ste a maggior ragione di quelle castanicole, non puòprescindere dall’articolarsi su tre fronti:

a) il coordinamento delle azioni orizzontali dimarketing e comunicazione tese da un lato a

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trasferire alla opinione pubblica ed ai consu-matori i valori e i contenuti di qualità delle pro-duzioni e dall’ altro agli operatori i beneficireali che derivano, a loro ed all’area di originedelle singole produzioni, dal cogliere a pienol’opportunità offerta dai regolamenti comuni-tari relativi alla protezione delle denominazio-ni d’origine.

b) la pianificazione delle denominazioni da regi-strarsi e l'accompagnamento del loro riconosci-mento al fine di perseguire, non tanto un gene-rico incremento del numero delle denomina-zioni protette, ma la costruzione di un vero eproprio sistema regionale delle denominazioniin grado di ottimizzare -sui versanti commer-ciale, economico, oltre quello riguardante laricaduta sociale nei territori interessati- questaimportante leva di sviluppo territoriale.

c) una politica di sostegno economico che favori-sca l’adesione degli operatori alle filiere delleproduzioni certificate attraverso l’abbattimentodei costi di controllo e certificazione.

A nostro avviso, infatti, una efficace penetrazionedella cultura della qualità nel sistema produttivo èdiretta funzione di una accorta pianificazione delleiniziative adottate.

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Il Programma Interregionale “Ristrutturazione delsistema delle statistiche nazionali e regionali” promos-so dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali edalle Regioni e attuato in Campania congiuntamentedal Settore SIRCA dell’Assessorato all’Agricoltura edal Servizio Statistica Regionale dell’Assessorato allaRicerca Scientifica, ha permesso di realizzare indaginistatistiche in alcuni comparti di elevato interesse eco-nomico per l’agricoltura della nostra regione (agrituri-smo, settore apistico, produzioni agroalimentari tipi-che a marchio collettivo IGP/DOP).

L’indagine statistica “Superfici e produzioni DOP eIGP campane” (realizzata nel primo semestre del 2003)che ha interessato alcune produzioni tipiche, nasce daun’idea progetto proposta dai settori tecnici dei dueAssessorati e realizzata sotto la direzione scientifica delDipartimento di Scienze Statistiche dell’Università diNapoli Federico II, che ha provveduto all’elaborazio-ne statistica dei dati. E’ stata realizzata sulla popolazio-ne delle aziende produttrici della Castagna di Montellaed ha avuto l’obiettivo di ottenere un quadro conosci-

tivo esaustivo delle potenzialità di taleprodotto al fine di poter indirizzare leazioni attivate dalla Regione Campaniaa realizzare le condizioni strutturaliidonee allo sviluppo ed all’affermazio-ne sul mercato.

L’indagine è stata condotta sommi-nistrando un questionario agli impren-ditori agricoli impegnati nella produ-

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AUTORE:

Casillo EmiliaRegione Campania,

SeSIRCA

Caratteristiche aziendali epotenzialità: risultati di unaindagine statistica

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zione della castagna e le cui aziende ricadono nell’area delimitata dal disciplinare dell’IGP “Castagna diMontella”. Il questionario è stato somministrato alcapo dell’azienda mediante un’intervista diretta.

I dati rilevati attraverso le interviste, sono stati poiopportunamente codificati e trasferiti su supportoinformatico. Ad una fase preliminare di verifica evalidazione delle informazioni acquisite, ha seguito laproduzione delle statistiche.

Le aziende intervistate sono state più di 1.000, ilnumero dei questionari risultati validi è stato pari a907 (la differenza è dovuta ad interviste nulle per ces-sata attività, temporaneamente inattiva, ecc).

Successivamente, mediante intervista qualitativa atestimoni privilegiati, presso i Consorzi di Tutela, rap-presentanti delle Organizzazioni professionali e altrioperatori professionali sono state integrate le infor-mazioni ottenute con la rilevazione.

Il quadro così tracciato ha consentito di pervenirealla individuazione dei punti di forza e di debolezzadel prodotto oggetto di indagine, utili per pianificareeventuali politiche di intervento dirette al consolida-mento delle posizioni competitive ed al ridimensio-namento degli elementi penalizzanti per il relativosviluppo.

I dati prodotti con l’indagine hanno permesso didescrivere in modo dettagliato la realtà produttiva dellaCastagna di Montella IGP, in questo lavoro si riportanoi temi: struttura produttiva, caratteristiche della cultivarPalummina, mercato e forme associative.

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Struttura produttiva

Circa il 65% delle aziende intervistate, ha dichiara-to di possedere una superficie aziendale inferiore ai2,5 ettari, il 15,33% inferiore ai 5 ettari, la restantequota è composta da un numero esiguo di aziendeche superano tale valore. La conduzione diretta è pre-sente in circa il 95,75% delle aziende, di questel’80,67% fa esclusiva utilizzazione di manodoperafamiliare, il 12,96% ne fa un uso prevalente, soltantoil 2,12% fa ricorso a manodopera extrafamiliare (fig.1).

L’impiego di tale manodopera è concentrato solo inalcuni periodi dell’anno ed è impiegata nelle opera-zioni di potatura, pulizia del sottobosco e di raccolta.Essa proviene quasi esclusivamente da Montella eBagnoli Irpino, i comuni maggiormente rappresenta-tivi dell’intera area di produzione.

Fig. 1: Forme di conduzione

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Dalla figura 2, dove si riportano le percentualidelle forme di possesso dei terreni, emerge che lasuperficie agricola totale (SAT) pari a 5.254,12 ettari èper il 69,84% (cioè 3.669,29 ettari) di proprietà, per il22,32% (1.172,50 ettari) in affitto, mentre il rimanente7,85% (412,33 ettari) rientra nella voce “altre forme”.Anche la superficie agricola utilizzata (SAU), pari a4.439,35 ettari riflette le medesime percentuali con il67,65% di terreni in proprietà, il 23,4% in affitto, ecirca il 10% “altre forme”.

La quasi totalità delle aziende è condotta da perso-ne fisiche (98,33%). Il conduttore è capo dell’aziendanel 79,78% dei casi; nel 15,98% è un membro dellafamiglia diverso dal coniuge, quest’ultimo è titolaredell’attività solo nell’1,68%.

L’età media del capo azienda è di circa 57 anni .Il dato sulla dimensione aziendale si lega a quello del

Fig. 2: Titollo di possessodei terreni

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possesso o meno di alcune attrezzaturenecessarie allo svolgimento della attivi-tà, nonché alla disponibilità presso lapropria azienda di magazzini per lostoccaggio e/o per una prima lavorazio-ne del prodotto.

Per una lista di macchine agricole diutilizzo comune (trattrice, motocoltiva-

tore, macchine per la lavorazione superficiale del terre-no, per la distribuzione dei presidi sanitari, raccoglitri-ce) è stata chiesta la forma contrattuale utilizzata daiconduttori per acquisire tali strumenti di lavoro.

Dai risultati si evince la maggiore inclinazione deglistessi a dotarsi di tali mezzi ricorrendo alla forma con-trattuale che ne assicuri la proprietà, a ciò si contrap-pongono, con un grado di rilievo più basso, in primoluogo le forme contrattuali connesse al conto-terzi e,per ultime, quelle che si riferiscono alla comproprietà.

La disponibilità di attrezzature per una primalavorazione del prodotto interessa pochissime azien-de e solamente in due casi le percentuali di possessodiventano significative; in particolare, per l’essiccato-io, posseduto dal 21,03% delle aziende oggetto di stu-dio , e per la macchina calibratrice (19,85%).

Ridotto è anche il numero di aziende che dispon-gono di locali da adibire a magazzino; esse costitui-scono il 30% circa delle aziende intervistate e, laddo-ve vi sia la disponibilità di un magazzino, nel 78,44%dei casi il locale non supera i 55 mq e solo nel 17,10%raggiunge i 110 mq.

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L’assenza di locali per la trasformazione comporta,inoltre, la rinuncia a trattenere in azienda possibiliquote di valore aggiunto derivanti dall’integrazionedi fasi di prima lavorazione del prodotto agricolo.

Questi dati forniscono alcune indicazioni sullecaratteristiche delle aziende: si tratta, per la granparte di attività produttive condotte da personeanziane e poco disponibili ad introdurre innovazionitecnologiche.

Caratteristiche della cultivar Palummina

L’assortimento varietale della “Castagna diMontella” tutelata dal disciplinare IGP è costituita dadiverse cultivar le quali contribuiscono in percentualidiverse: la più importante è la Palummina (che contri-buisce per il 90% del prodotto tutelato IGP), mentre laVerdola, la Montemarano ed altre varietà minori rive-stono un ruolo complementare per il restante 10% delprodotto.

Nella tabella 1, si riportano le incidenze dellediverse varietà in termini di piante e di SAU: laPalummina rappresenta oltre il 92% delle piante ed il94% della superficie; la Verdola è seconda in ordine diimportanza, ma con quote pari al 5% delle piante e apoco più del 3% per quanto riguarda la superficie.

La tabella 2 riassume inoltre, alcuni indicatori disintesi che sono emersi dall’indagine relativamentealla cultivar Palummina.

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174 Il castagno in Campania

Numero di .piante (val.ass.)

Numero di .piante (val. %)

SAU(ha)

SAU(%)

Palummina 317.665 91,93 1.909,24 93,68

Verdola 17.220 5,20 59,22 3,06

Montemarano 3.130 0,94 14,28 0,74

Altre varietà 6.416 1,93 48,94 2,52

Totale 344.431 100,00 2.031,68 100,00

Tab. 1: Incidenza delle differenti varietà di castagna

Impianti IGP Impianti non-IGP

Numero impianti 355 866

Numero piante 156.559 156.521

Produzione media ad etta-ro (q) 13,20 13,80

Età media impianto 68,460 61,902

Numero aziende con alme-no 1 impianto 134 581

Media SAU aziende conalmeno 1 impianto (ettari) 12,36 3,51

Età media capi-azienda 54,939 56,057

Tab. 2: Caratteristiche salienti della cultivar Palummina

In particolare, mentre con riferimento alla produ-zione media unitaria non esistono differenze sostan-ziali tra impianti IGP e non IGP, la media della SAUdelle aziende con almeno un impianto di Palumminaed iscritto all’IGP è quasi quadrupla rispetto a quella

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delle aziende con almeno 1 impianto della stessa cul-tivar e non iscritto all’IGP. Si osservi, comunque, chetale divario è anche dovuto alla presenza di qualcheazienda la cui dimensione eccezionale apporta uncontributo esageratamente alto al valore di sintesi.

Il 66,39% della superficie dedicata a tale cultivar ècostituita da impianti in riconversione, il 17,82% è rap-presentata da nuovi impianti, l’8,32% riguarda impian-ti da reinnesto, e il 7,47% concerne impianti riformati.La maggior parte della superficie dedicata a tale colti-vazione è localizzata in aree acclivi non terrazzate(64,57% della superficie totale), mentre il 22% si posi-ziona in zone leggermente acclivi, il 6,8% in aree accli-vi con terrazzamento ed il restante 6,5% in aree pianeg-gianti. La forma di allevamento prevalente è la formalibera che è adottata per il 96,36% dell’intera superficie.

Se si considera la tipologia di coltivazione degliimpianti di Palummina in complesso, il 45,90% risul-ta convenzionale, per il 52,24% biologica, la restantequota, l’1,86%, risulta in conversione.

Per gli impianti iscritti all’IGP, si verifica una sensi-bile diminuzione della quota dedicata all’agricolturaconvenzionale (che passa al 27,84%) a favore di quel-la biologica (che sale al 68,73%); quest’ultima modali-tà assieme alla coltivazione in conversione supera il72% della superficie.

Mercato e forme associative

Le aziende intervistate hanno dichiarato che destina-

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no la maggior parte del prodotto alladistribuzione ed al commercio, il 97,83%delle aziende che si avvalgono di talecanale, vi indirizza più del 75% dell’inte-ra produzione aziendale. Una quotarelativamente più ridotta di aziende sce-glie di destinare la propria produzioneall’industria di trasformazione, un

numero molto limitato la trasforma un proprio. La struttura commerciale del produzione della

Castagna di Montella IGP è imperniata intorno allafigura dell’intermediario, a cui si rivolgono - anche sein via non esclusiva - l’85% delle aziende. Di queste, il96,4% convoglia, attraverso tale canale, una quantità diprodotto superiore al 75% della propria produzione.

Il ruolo degli intermediari nella commercializza-zione, appare come un elemento che disincentival’adesione all’iniziativa di tutela costituita dall’IGP.Infatti, l’indagine ha evidenziato che gli intermediariagiscono in una situazione di sostanziale monopolio,condizionano la determinazione del prezzo non diffe-renziandolo, come ci si attenderebbe, in funzionedella qualità-tipicità del prodotto proveniente daimpianti IGP. A ciò si aggiunge un generale atteggia-mento di sfiducia e scetticismo dei castanicoltori loca-li nei confronti dell’utilità del marchio IGP e delConsorzio di tutela, questo determina la prevalenzadelle iniziative individuali contro le opportunitàofferte dall’associazionismo.

Le aziende che scelgono come canali distributivi il

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dettaglio, la Grande Distribuzione e il consumatore fina-le rappresentano di conseguenza percentuali esigue.

La Grande Distribuzione richiede un prodotto con-fezionato che raramente i produttori sono in grado dioffrire, come è evidenziato dalla quasi totale assenzadi attrezzature e locali per la prima lavorazione delprodotto.

Considerazioni finali

Dall’analisi svolta circa l’iscrizione al marchio IGPCastagna di Montella è emerso un quadro preoccu-pante in relazione alle numerose azioni promozionalimesse in atto dall’Assessorato all’Agricoltura perfavorirne lo sviluppo.

E’ da tener presente che l’iscrizione delle superficiaziendali ai registri IGP rappresenta solo una primacondizione necessaria, ma non ancora sufficiente, affin-ché queste possano fregiarsi della indicazione geografi-ca protetta. Infatti, per fregiarsi del marchio, le aziendedevono aderire al sistema di controllo di ciascuna IGPaffinché venga garantito -insieme alla provenienza daaziende iscritte alla IGP- il rispetto del disciplinare diproduzione attraverso la certificazione dell’organismodi controllo, appositamente autorizzato dal MiPAF.

Dallo studio è emerso come alle carenze nella strut-tura produttiva si abbina una strategia commercialeancora tradizionale e poco innovativa.

Si è accertata la presenza di canali commercialirelativamente semplificati, con una figura, l’interme-

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diario, in grado di condizionare il comportamentodelle imprese e addirittura osteggiare l’adesione deiproduttori al marchio.

Il prodotto tende a mantenere evidenti le caratteri-stiche di prodotto agricolo al quale non viene appor-tato alcun tipo di valore aggiunto, sia nella fase di tra-sformazione che di commercializzazione.

L’adesione al marchio è frutto dell’azione diimprenditori innovativi e con dotazioni strutturali,si tratta di imprenditori con elevata sensibilità versole produzioni di qualità, non solo tipiche ma anchebiologiche.

Le aziende intervistate hanno dichiarato una bassaadesione a qualsiasi forma di associazionismo, addi-rittura irrisorie risultano quelle di adesione alConsorzio o all’organismo di tutela e una scarsa cono-scenza dell’esistenza dello stesso per la tutela del pro-dotto a marchio comunitario.

Emerge dunque la necessità di un corretto sistemadi comunicazione dell’iniziativa istituzionale che nonha ancora sortito gli effetti auspicati.

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I cedui castanili, meglio conosciuti come “selve”,sono la formazione vegetale arborea più estesa, dopoi cedui quercini, nella regione Campania.

Tale ampia diffusione su tutto il territorio regionaleè il risultato della costante azione dell’uomo tesa aindirizzare le produzioni legnose verso sistemi che for-nissero prodotti utili a soddisfare le esigenze sia delleattività agricole che quelle delle costruzioni in genere.

L’area di distribuzione è rappresentata dalla fasciacollinare e montana compresa tra i 400 ed i 1000 metridi altitudine.

Tale ampio aerale di distribuzione oltre che dalleesigenze proprie delle specie in relazione ai suoli ed alclima, è stata anche determinata dalle necessità cheavevano le aziende agricole di disporre di dispositividi sostegno per le coltivazioni sia ortive che frutticole.

Vere e proprie riserve di paleria, strategicamenteprossime alle aziende, hanno da sempre soddisfatto, acosti contenuti, le esigenze aziendali determinando nelcontempo un virtuoso assetto del territorio che coniu-gava felicemente le esigenze della pianura ricca con lastabilità idrogeologica della collina e della montagna.

Tale organizzazione produttiva, efficiente sino aglianni cinquanta è andata in progressiva crisi negli annisuccessivi, per svariate ragioni che non vengono ana-lizzate per la brevità della trattazione, che hannodeterminato un rapido decadimento del valore eco-nomico della coltivazione, fino al completo abbando-no di interi e vasti areali del territorio regionale,soprattutto quelli meno dotati di viabilità interna.

180 Il castagno in Campania

AUTORE:

Grassi GennaroRegione Campania,

Settore Foreste, Caccia e Pesca

I cedui castanili da problema a risorsa

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Le mancate utilizzazioni delle colture allo scaderedei turni previsti dalla legge ha determinato gravissi-mi fenomeni negativi su vasti comprensori. Fenomenidi dissesto, incendi di intere pendici, colate di detriti,intasamento di alvei, perdita dei suoli agricoli, ecc..hanno prodotto danni in alcuni casi irreversibili per ilpatrimonio ambientale regionale.

Secoli di attività umane finalizzate al migliore esicuro assetto territoriale sono stati messi in progres-siva crisi in poco meno di cinquanta anni.

In tale lasso di tempo, peraltro caratterizzato ancheda profonde trasformazioni sociali ed economiche,tutto il sistema produttivo forestale, più debole intrin-secamente, è stato quello che ha subito la crisi piùprofonda e che più lentamente sta recuperando unasua autonoma valenza economica.

Va altresì detto che le conseguenze talvolta tragichedell’abbandono hanno determinato l’affermazione divalori nuovi, di un approccio culturale diverso chehanno sicuramente elevato il livello di considerazionecollettiva per tale grande porzione di territorio regionale.

Le politiche di sostegno di tale settore soprattuttooperate dalla Regione dagli anni ’70 in poi hannosicuramente mitigato le conseguenze negative del-l’abbandono ma hanno richiesto un impegno finan-ziario crescente, anche ingente, ma pur sempre inade-guato alla vastità del territorio che aveva perduto lasua autonoma economia imperniata prevalentementesullo sfruttamento delle risorse forestali.

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Tale situazione nel suo insieme sicuramente nega-tiva ha di fatto determinato una potenziale riserva diricchezza che è oggi a disposizione della collettività eche assume di giorno in giorno crescente valoreambientale ed economico.

Stiamo sicuramente assistendo, ad una inversionedi tendenza che potrà generare buone prospettiveanche di carattere economico per la coltivazione deicedui castanili che possano essere così sintetizzate:

� la continua crescita del prezzo del petrolio e lasua sempre minore disponibilità sul mercatorenderà competitive le altre fonti energeticherinnovabili;

� la diffusione di piccoli impianti, anche unifamilia-ri, di riscaldamento domestico con alto coefficien-te di trasformazione del potere calorico ha biso-gno di sempre maggiori quantitativi di legname;

� l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, obbli-ga l’Italia a produrre energia da fonte rinnovabi-li per il 6% del suo fabbisogno e circa l’1,5%,secondo stima del Ministero dell’Ambiente,dovranno prevenire da biomassa prevalente-mente forestale;

� l’istituzione del Registro Nazionale dei “Creditidi Carbonio”, attribuisce grande importanzaalle formazioni forestali ai fini della capacità diaccumulo di carbonio per la riduzione dei gasche determinano l’effetto serra; il registro classi-ficherà i boschi in ragione della loro efficienzarispetto alla fissazione del carbonio e non vi è

182 Il castagno in Campania

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dubbio che il ceduo castanile, per l’entità dellamassa fogliare, risulta una delle formazionivegetali più efficaci;

� l’attribuzione del valore economico, commercia-bile, dei crediti e debiti di carbonio vedrà iGoverni impegnati al rispetto degli impegni sot-toscritti per non incorrere nelle sanzioni per chinon rispetterà i limiti fissati;

� la crescente domanda di paleria di qualità perl’impiego soprattutto in viticoltura, attività insicura crescita che vede la Campania tra leRegioni emergenti nello scenario mondiale viti-vinicolo;

� la crescente domanda di legname da opera dicastagno che trova nuovo impiego nell’industriadel mobile e nell’arredo rustico.

Cosa occorre perché le potenzialità diventino fatticoncreti e positivi:

a nostro avviso occorre una azione di informazionepuntuale su quanto sta avvenendo; far comprenderein primo luogo alle Istituzioni pubbliche la portatadei cambiamenti in atto e la necessità che tali cambia-menti vengano guidati in maniera corretta versosbocchi positivi per la collettività;

incentivare il ritorno alla “coltivazione” dei ceduicastanili sia di proprietà privata che del demaniopubblico e rendere obbligatorie le cure colturali e gli“sfolli” di metà turno;

183Il castagno in Campania

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incentivare la costituzione di cooperative, consorzied altre forme di gestione collettiva tra i proprietari, leimprese boschive ed altra imprenditoria locale per lacreazione di filiere sostenibili del legno che vadanodella coltivazione del bosco a tutte le fasi della utiliz-zazione del legno e delle sue lavorazioni;

individuare modelli di utilizzazione diversificantiche tengano conto delle potenzialità reali e non teori-che dell’accrescimento della biomassa;

favorire la creazione di una rete riservata di viabi-lità di servizio da utilizzare prevalentemente per leoperazioni colturali e di difesa dal fuoco;

rendere obbligatorio per i complessi boscati supe-riori a 10 ha, la creazione di apposite radure per laprima lavorazione del materiale legnoso;

incentivare la diffusione capillare di impianti diproduzione di calore anche a carattere familiare cheutilizzino come combustibile il legno sotto forma dicippato, pellets o tronchetti;

semplificare le procedure ed incentivare la creazio-ne di piccoli e medi impianti termici alimentati a bio-massa forestale per il riscaldamento ed il raffredda-mento di strutture pubbliche o di piccole comunità;

certificare tutta la filiera delle produzioni legnose,soprattutto quelle ottenute nei parchi regionali e neiparchi nazionali;

condurre una capillare azione di acculturamentonelle scuole di primo livello per far comprendere l’im-portanza e la ricchezza dei prodotti e delle funzionisvolte dal bosco e soprattutto, combattere la coltura

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del fuoco particolarmente radicata tra tutti i popolidel bacino del mediterraneo, che ritengono tale prati-ca la migliore per liberarsi di tutto ciò che è ritenutopoco utile.

La Regione Campania già nel ’96 con la leggeregionale n.11 aveva intuito tale problematica e datole necessarie indicazioni in una complessa normativaintegrata da quattro specifici regolamenti.

Purtroppo molte disposizioni sono rimaste sullacarta, forse i tempi non erano ancora i più favorevolie soprattutto, il valore mercantile delle concorrentiproduzioni di importazione non ne hanno favoritol’applicazione.

Il mutamento dello scenario mondiale del mercatodelle fonti energetiche in atto impone ai paesi la mas-sima valorizzazione delle proprie risorse energetiche.E’ da tutti gli esperti ritenuto che un non irrilevantecontributo dovrà essere dato dalle fonti energeticherinnovabili, la principale delle quali è sicuramentecostituita dai boschi ed in particolare, per laCampania, dal ceduo castanile.

Il nuovo piano decennale di forestazione ed econo-mia montana 2007-2016, in preparazione, dedicheràuna specifica sezione alla filiera della biomassa fore-stale.

185Il castagno in Campania

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III

Aspetti Fitopatologici

187Il castagno in Campania

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Numerosi sono gli acari e gli insetti che possonodanneggiare il castagno (Ferrantino et al., 1989;Arzone et al., 1993; De Cristofaro e Rotundo, 1993;Bellini, 1995; Pollini, 1998); le più comuni specie sonoriportate in tabella 1. Le loro infestazioni hanno inci-denza economica diversa in rapporto alle condizioniambientali e colturali. I danni maggiori sono princi-palmente quelli che interessano i castagneti da fruttoe che sono dovuti alle specie carpofaghe. Purtroppo,con limitate eccezioni, vari elementi (giacitura, com-plessità ambientale, dimensioni delle piante, ecc.)rendono gli interventi possibili per il contenimentodelle specie più dannose estremamente difficili ecostosi, sia in termini economici che ambientali. Sistudiano, quindi, metodologie d’intervento compati-bili con tale situazione e che riguardano essenzial-mente i castagneti da frutto di nuovo impianto.

Tortrici

Le tortrici sono tra gli insetti del castagno più stu-diati soprattutto in Italia. Ricerche morfo-biologichefondamentali su queste specie sono state effettuate daRusso (1947). Altri autori ne hanno approfonditoaspetti biologici e comportamentali (De Cristofaro,1995; De Cristofaro et al., 1997 ) e le possibilità di con-trollo (Rotundo e Rotundo, 1986; Antonaroli, 1992,2000; Angeli et al., 1997). Da tali ricerche si sintetizza-no le attuali conoscenze su questi insetti e le proble-matiche ancora aperte.

188 Il castagno in Campania

AUTORE:

Viggiani GennaroDipartimento di Entomologia e

Zoologia agraria“Filippo Silvestri”,Università di Napoli Federico II

Fitofagi del castagno

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189Il castagno in Campania

Tabella 1: Principali acari e insetti che danneggiano il castagno

Nome scientifico Nome comune Tipo di danno causato

Acari

Oligonychus bicolor (Banks)(Tetranychidae)

Ragnetto rosso dellaquercia

Declorofillazione dellefoglie

Panonychus ulmi (Koch)(Tetranychidae)

Ragnetto rosso dei frutti-feri

Declorofillazione dellefoglie

Insetti

Agrilus spp. (Buprestidae) Agrili

Incisioni irregolari pratica-te dagli adulti sul lembofogliare; gallerie larvalisubcorticali

Agrotera nemoralis Scop.(Pyraustidae) Piralide del castagno Scheletrizzazione delle

foglie ad opera delle larve

Chrisobothris affinis L.(Buprestidae) Buprestide affine

Incisioni irregolari pratica-te dagli adulti sul lembofogliare; gallerie larvalisubcorticali

Curculio elephas Gyll.(Curculionidae)

Balanino o punteruolodelle castagne

Fori di ovideposizionedegli adulti nei frutti;larve carpofaghe

Cydia fagiglandana Zell.(= grossana Hw.) (Tortricidae)

Tortrice intermedia dellecastagne Larve carpofaghe

Cydia splendana (Hb.)(Tortricidae)

Tortrice tardiva dellecastagne Larve carpofaghe

Dryocosmus kuriphilusYasumatsu (Cynipidae)

Cinipide del castagno Produzione di galle sugermogli, foglie e amenti

Epidiaspis leperii Signoret(Diaspididae)

Cocciniglia grigia delpero

Fitomizo su tronco, rami,foglie e frutti

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190 Il castagno in Campania

Eulecanium tiliae (L.)

(Coccidae)Lecanio del nocciolo Fitomizo su parti legnose epi-

gee e su foglie

Euproctis chrysorrhoea (L.)(Lymantriidae)

Euproctide o bombicecul dorato Fillofago da larva

Lachnus roboris (L.)(Lachnidae) Afidone delle querce Fitomizo su rami e foglie

Lepidosaphes (oMytilococcus) ulmi (L.)(Diaspididae)

Cocciniglia a virgoladell’olmo e dei frutti-feri

Fitomizo principalmente suparti legnose

Myzocallis castanicola(Baker) (Callaphididae) Afide del castagno Fitomizo su foglie

Pammene fasciana (L.) (=juliana Curt.)(Tortricidae)

Tortrice precoce dellecastagne Larve carpofaghe

Parthenolecanium corni(Bouché) (Coccidae)

Cocciniglia gobbo-striata del corniolo edella vite

Fitomizo su rami

Parthenolecanium rufulum(Cockerell) (Coccidae)

Cocciniglia gobbadella quercia Fitomizo su rami e foglie

Phyllobius pyri L.(Curculionidae) Fillobio del pero Adulti fillofagi

Phyllonorycter messianella(Zell.) (Gracillariidae)

Fillominatrice vesci-colosa Fillominatore

Platypus cylindrus(Fabricius)(Platypodidae)

Platipo cilindrico Gallerie nella corteccia e nellegno di piante deperite

Quadraspidiotus pernicio-sus (Comst.)(Diaspididae)

Cocciniglia di S. Josè Fitomizo principalmente suparti legnose

Scolytus intricatusRatzeburg (Scolytidae) Scolitide della quercia Gallerie larvali subcorticali

(segue)

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191Il castagno in Campania

La tortrice precoce o verme chiaro delle castagne,Pammene fasciana (L.) (= juliana Curt.)

L’adulto di questa tortrice (foto 1) ha il corpo lungo13-17 mm, di colore fulvo più o meno scuro, con le alianteriori caratterizzate da una macchia submedianabianco avorio e da tre macchiette nere ai lati dell’areaocellare. La larva neonata è biancastra, a maturità dicolore nocciola, con il capo e macchie sul pronotobruni (foto 2). Nell’Italia meridionale il volo degliadulti inizia in giugno e può protrarsi sino a settem-bre, con un picco nella seconda metà di luglio, perio-do che coincide con la fioritura della pianta ospite el’inizio dello sviluppo dei primi frutticini. L’attivitàdel lepidottero è crepuscolare. L’ovideposizioneavviene secondo alcuni autori (Bovey et al., 1975)

Spulerina simplonellaFischer von Rölerstamm(Gracillariidae)

Minatrice corticale deipolloni Minatrice corticale

Synanthedon vespiformis(L.) (Sesiidae) Seside dalle zampe gialle Gallerie larvali subcorti-

cali

Thelaxes suberi (DelGuercio) (Thelaxidae)

Afide delle querce e delcastagno Fitomizo su foglie e frutti

Xyleborus dispar (F.)(Scolytidae)

Scolitide o Anisandrodispari

Gallerie riproduttive pra-ticate dalla femminaadulta in parti legnosevegete o deperite (rami,branche e tronchi); possi-bile trasmissione di pato-geni

Zeuzera pyrina L.(Cossidae) Rodilegno giallo

Gallerie larvali in nerva-ture fogliari, ma soprat-tutto in parti legnose

Foto 1: Adulto dellatortrice precoce Pammene fasciana(da Rotundo e Rotundo,1986)

(segue)

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sulla pagina superiore delle foglie e secondo altri(Silvestri, 1943) isolate alla base del riccio. La larvaneonata penetra nel frutto dopo avere attraversato ilriccio, praticando una galleria nella quale abbandonagli escrementi. A causa di questa attività larvale si hal’imbrunimento delle parti infestate e la cascola. I riccicon i frutti infestati presentano all’esterno della galle-ria larvale dei gruppi di escrementi avvolti da fili seri-cei. Una larva può attaccare anche più di un riccio,determinando nel complesso perdite anche dell’ordi-ne del 45%. Sulle castagne mature, l’attacco causatodalle larve più tardive, determina danni meno gravirispetto a quelli causati nella prima fase, poiché lepercentuali di infestazione sono molto basse. In que-sto caso, però, il frutto viene danneggiato non solodall’attività larvale, ma anche da quella di batteri e difunghi che possono invaderne i tessuti. Dato il tipo diattacco, le tecniche di controllo del fitofago basatesulla raccolta, risultano inefficaci.

Le larve mature, abbandonati i frutti, si portano inanfratti sotto la corteccia, ove si tessono un bozzolo erestano in diapausa fino al maggio-giugno dell’annoseguente, per poi incrisalidarsi.

La P. fasciana, oltre i frutti del castagno, può attac-care anche quelli delle querce.

La tortrice intermedia, Cydia fagiglandana Zell. (=grossana Hw.)

Gli adulti di C. fagiglandana (foto 3) presentanostriature oblique a spina di pesce sulle ali anteriori; il

192 Il castagno in Campania

Foto 2: Larva di P. fasciana(Foto G. Rotundo)

Foto 3: Adulto della tortrice intermedia Cydia

fagiglandana(da Rotundo e Rotundo,

1986)

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maschio presenta due macchie biancastre nella regio-ne anale delle ali posteriori.

I voli di C. fagiglandana si verificano da fine luglioall’inizio di ottobre, con massima intensità in agosto,in corrispondenza della fine fioritura e dello sviluppodei ricci. Le larve rossastre (foto 4), dopo essere pene-trate nei frutti si nutrono del seme, per poi fuoriuscir-ne a maturità attraverso un foro subovale e portarsinel suolo ove svernare.

La tortrice tardiva, Cydia splendana (Hb.)L’adulto (foto 5) presenta le ali anteriori di colore

grigio-scuro, con una macchia subtriangolare di colo-re nero vellutato nel terzo distale del margine poste-riore. Le larve sono di colore paglierino.

L’attività di volo di C. splendana è più breve rispet-to a quella delle precedenti tortrici, svolgendosi dafine agosto a tutto settembre. Dopo l’accoppiamentociascuna femmina depone un centinaio di uova lenti-colari, leggermente più piccole di quelle della P.fasciana, lungo le nervature o sulla pagina inferioredelle foglie. Le larve neonate penetrano nei ricci e siportano nei frutti, alimentandosi del seme. I ricci infe-stati cadono prematuramente. Le larve mature dellatortrice (foto 6) ne fuoriescono a maturità (da ottobrea dicembre) attraverso un foro subcircolare per por-tarsi nel suolo e svernare.

Il danno prodotto da C. splendana può essere par-ziale o estetico, se limitato a erosioni esterne che inte-ressano il pericarpo, o totale, se interessa il seme. In

193Il castagno in Campania

Foto 4: Castagnadanneggiata da larva di C. fagiglandana(da Rotundo e Rotundo,

1986)

Foto 5: Adulto dellatortrice tardiva

Cydia splendana(da Rotundo e

Rotundo, 1986)

Foto 6: Castagna danneggiata da larva di C. splendana(Foto G.Rotundo)

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entrambi i casi esso ha riflessi economici, anche se inmisura diversa. Oltre ai frutti di castagno, questo lepi-dottero può attaccare anche quelli di quercia, di nocee di faggio.

Nemici naturali delle tortrici Tra i nemici naturali delle tortrici delle castagne

sono segnalate specie che attaccano anche altri lepi-dotteri dello stesso gruppo; tra di essi i più comuninei castagneti dell’Italia meridionale sono il parassi-toide ovo-larvale Ascogaster quadridentatus Wesm.(Braconide) e il fungo Paecilomyces farinosus (Holm.Gray) che attacca larve e crisalidi.

Controllo Il problema del controllo delle tortrici si pone in

frutteti che tendono ad avere una produzione quanti-qualitativa redditizia. Sino all’avvento degli insettici-di di sintesi le uniche misure suggerite per il control-lo degli insetti carpofagi del castagno, comprese letortrici, si basavano essenzialmente sulla disinfesta-zione con insetticidi delle “ricciaie”, aree dove eranoradunati i ricci caduti e ancora non aperti. In questearee infatti si concentravano anche le larve infestanti ifrutti. Purtroppo, queste misure si sono rivelate,quando praticabili, non risolutive.

Ove le condizione colturali e ambientali lo consen-tano, requisito attualmente non molto frequente, l’in-tervento con mezzi chimici permette di conseguire imigliori risultati. A tale scopo, per pianificare un con-

194 Il castagno in Campania

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trollo razionale ed efficace, è consigliabile acquisiredati territoriali sulla reale dannosità economica dellespecie presenti per potere almeno orientativamentefissare una soglia d’intervento. Quest’ultima andreb-be correlata alla intensità e all’andamento dei voli deimaschi adulti, rilevata con trappole innescate a fero-moni sessuali.

Nella scelta degli insetticidi sono da evitare prodot-ti acaro-stimolanti, come il carbaryl, che possono favo-rire le pullulazioni di acari (Russo e Viggiani, 1980).

Negli ultimi decenni le limitazioni che incontra lalotta chimica tradizionale nel castagneto ha stimolatodiverse ricerche, sia per approfondire gli aspetti bio-logici e comportamentali degli insetti bersaglio, cheper valutare l’applicabilità di mezzi a basso impattoambientale.

Per il controllo delle tortrici vi è attualmente la con-creta possibilità di utilizzare, ove le condizioni lo con-sentano, un metodo biologico inondativo con ceppispecifici di Bacillus thuringiensis Berliner. Per ottenererisultati efficaci con tale metodo è fondamentale latempestività degli interventi. Questi ultimi tendono acolpire le giovani larve delle tortrici appena fuoriusci-te dalle uova e prima che danneggino irrimediabil-mente i ricci. Tutto ciò comporta l’attuazione di unvalido monitoraggio.

Per superare difficoltà logistiche e ambientali, dadiversi anni è stato sperimentato l’impiego di feromo-ni con la tecnica della confusione sessuale e del “masstrapping”. Questa tecnica è stata sperimentata per

195Il castagno in Campania

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diversi anni in Emilia Romagna (Antonaroli, 2000)per il controllo di C. fagiglandana e C. splendana. I risul-tati ottenuti sono stati soddisfacenti, nonostante alcu-ne limitazioni sperimentali (superficie trattata mode-sta e non isolata). Le catture degli adulti sono statepraticamente annullate e si è avuta una significativariduzione dei frutti bacati.

Balanino o punteruolo delle castagne, Curculio ele-phas Gyll.

L’adulto (foto 7) è grigiastro, lungo 6-10 mm, e conil capo molto allungato, in una sorta di becco o rostro,nella femmina lungo quanto il corpo e nel maschiopiù corto, all’estremità del quale si rinviene l’appara-to boccale masticatore tipico.

Gli adulti sono presenti nel castagneto da settembrea ottobre, allorquando si trovano ricci ancora chiusi ein parte già aperti. Le femmine forano, per la oviposi-zione, il riccio e il pericarpo dei frutti, o solo quest’ul-timo, se esso è già aperto, e al fondo di questa cameravi depongono un uovo, raramente di più. Le larve,biancastre, arcuate, macrocefale e apode, si alimentanodel seme (foto 8). Raggiunta la maturità, esse ne fuorie-scono attraverso un foro circolare e si portano nelsuolo, ove a profondità varia, anche di diverse decinedi cm, si preparano a svernare in una celletta terrosa,per trasformarsi in pupa solo nell’estate successiva.

Alla raccolta, le castagne attaccate sono più legge-re di quelle sane, ma l’infestazione si manifesta chia-ramente solo in magazzino. La dannosità del balani-

196 Il castagno in Campania

Foto 7: Adulti di Curculioelephas, a sinistra la

femmina, a destra ilmaschio (Foto G.

Rotundo)

Foto 8: Castagna danneggiata da larve di

C. elephas (Foto G. Rotundo)

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no è molto variabile negli anni e nelle diverse località.Come indicato per le tortrici, il controllo del bala-

nino è problematico; qualche possibilità e convenien-za vi può essere in castagneti a frutto ricostituiti. In talcaso si potranno utilizzare esteri fosforici (es. feni-throtion) o altri prodotti similari consentiti nel perio-do di massima presenza di adulti sulle piante (metàsettembre-metà ottobre).

E’ in corso di sperimentazione per il controllo delbalanino l’impiego del fungo Beauveria bassiana appli-cato come geodisinfestante.

Il cinipide del castagno, Dryocosmus kuriphilusYasumatsu

L’adulto, lungo 2,0-2,5 mm, ha il corpo di colore nerocon le zampe giallo-brune. Questa specie (foto 9) risulta-va finora diffusa e dannosa al castagno in EstremoOriente (Corea, Cina, Giappone) e negli Stati Unitid’America. Di recente (Brussino et al., 2002) il cinipide èstato segnalato per la prima volta in Europa. Infestazio-ni sono state rilevate in Italia, nel Cuneese, sia su ibridieuro-giapponesi, che su castagno europeo selvatico ocoltivato. L’insetto depone le uova nelle gemme e deter-mina la formazioni di galle di varia forma.

Gli adulti di D. kuriphilus fuoriescono dalle galle afine primavera – inizio estate. Le femmine depongo-no gruppi di 3-5 uova all’interno delle gemme. Laschiusura delle uova e lo sviluppo larvale sono moltolenti; quest’ultimo continua durante l’autunno e l’in-verno. L’infestazione alle gemme si evolve nella for-

197Il castagno in Campania

Foto 9: Adulto del cinipide Dryocosmuskuriphilus(da Brussino et al., 2002)

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mazione rapida delle galle in primavera, in corrispon-denza della ripresa vegetativa della pianta ospite. Legalle si rinvengono su germogli laterali o terminali,talvolta su singole foglie (foto 10). Esse risultano diforma variabile, di colore verdastro o rossiccio e didimensioni di qualche centimetro. All’interno di cia-scuna galla si rinvengono 7-8 celle nelle quali avvienelo sviluppo larvale e si ha l’impupamento. Gli adultiabbandonano le galle praticando dei fori di uscita.

L’attività galligena di D. kuriphilus può compro-mettere gravemente lo sviluppo delle piante e la loroproduzione di frutti, per la limitata o mancata forma-zione dei fiori femminili e degli amenti.

Il controllo del cinipide galligeno, come quello diquasi tutti i principali fitofagi del castagno, non è age-vole, per la giacitura, la dimensione delle piante e lacomplessa situazione ambientale. Queste condizioniescludono, tranne in particolari situazioni, la possibi-lità d’impiego di insetticidi. Attualmente si studianomezzi di controllo biologico, quali fattori di resisten-za al fitofago presenti in alcune Castanea spp. (C.pumila, C. henryi, C. crenata) e l’impiego di entomofa-gi. In quest’ultimo caso, si spera nell’ImenotteroCalcidoideo Torymus sinensis Kamijo, che ha datobuoni risultati in Giappone, ma non negli USA.

Considerazioni conclusive

Le attuali conoscenze sconsigliano interventi gene-ralizzati, in particolare con mezzi chimici, per il con-

198 Il castagno in Campania

Foto 10: Galle prodottedal cinipide D. kuriphilus(da Brussino et al., 2002)

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trollo degli insetti dannosi al castagno. Vi sono condi-zioni colturali e ambientali che rendono tali interven-ti inefficaci per le specie bersaglio e potenzialmentedannosi per il complesso faunistico. Costituisconouna possibile eccezione i castagneti da frutto ricosti-tuiti o di nuovo impianto, in aree molto limitate, per iquali è possibile una gestione fitosanitaria impostatacon criteri e con mezzi abbastanza simili a quelli adot-tati in altre colture arboree. Anche in questo caso saràbene acquisire dati più approfonditi, in riferimentoagli specifici territori interessati, sulla reale dannositàdei singoli fitofagi, su una definizione più precisa deiperiodi nei quali eventuali trattamenti andrebberoeffettuati per dare maggiore efficacia e sulla scelta disostanze o di biotecniche a basso impatto ambientale.

199Il castagno in Campania

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Il Cancro della corteccia

Una tra le più gravi malattie parassitarie delCastagno a livello mondiale è il Cancro della cortec-cia. Questa fitopatia, d’origine asiatica, fu segnalataper la prima volta nel 1904 nello Stato di New York edattribuita a Diaporthe parasitica (Murril,1906), successi-vamente chiamata Endothia parasitica (Anderson eAnderson, 1912) ed oggi Cryphonectria parasitica(Murr.) Barr.

Negli Stati Uniti la malattia si estese rapidamente econ estrema virulenza, poiché la specie locale diCastanea, (C. dentata) si rivelò suscettibile al punto chenell’arco dei primi decenni del secolo la quasi totalitàdel patrimonio castanicolo era stato distrutto. In tuttoil continente Nord Americano, in poco meno dimezzo secolo, la C. parasitica ha provocato la perditadi milioni di ettari di castagneti. In Europa e in Italiala malattia ha avuto decorso meno violento per laminore suscettibilità del Castagno europeo (C. sativa).La prima segnalazione in Italia risale al 1938, quandoil fungo venne ritrovato su alcune piante in Liguria(Biraghi,1946). In Campania, fu segnalato da Trotternel comune di Baiano in provincia di Avellino(Trotter, 1942). Attualmente il cancro è presente intutte le principali aree castanicole italiane.

Il fungo colpisce tutte le parti epigee della piantaad eccezione delle foglie, penetra attraverso ferite divaria natura, sia biotiche che abiotiche. Non è ingrado di penetrare attraverso tessuti integri. Il primo

202 Il castagno in Campania

AUTORE:

Cristinzio GennaroDipartimento di Arboricoltura,Botanica e Patologia Vegetale.

Università di Napoli Federico II

Malattie crittogamiche del castagno

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sintomo che si osserva è un cambiamento di coloredella corteccia con aree depresse di colorazione rossa-stra, che poi si fessurano più o meno profondamenteed evolvono in cancri (foto 1). Sulle zone alterate siformano delle piccole pustole rosso-aranciate, costi-tuite dalle fruttificazioni del fungo (foto 2).Sollevando la corteccia in corrispondenza dei cancri,sul legno sottostante, ai margini delle aree colpite, siosserva il micelio disposto in caratteristici e diagno-stici “ventagli” (foto 3). Quando il cancro arriva adinteressare l’intera circonferenza del ramo o del pollo-ne tutta la parte superiore muore (foto 4). Un altrosintomo tipico di questa malattia è l’emissione di unnumero elevato di rami epicormici alla base del can-cro (foto 5a e 5b).

La diffusione del parassita avviene tramite sporeagamiche e gamiche, conidi o picnoconidi e asco-spore. I primi, contenuti in corpi fruttiferi a forma difiasco (picnidi) fuo-riescono all’esternosotto forma di cirriinglobati da unasostanza vischiosa,idrosolubile (foto 2).I picnidi si formanoin vari periodi del-l’anno, anche surami morti, che pos-sono così costituirepericolosi focolai

203Il castagno in Campania

Foto 1: Viraggio di colore e cancro della corteccia da Cryphonectria parasitica.

Foto 2: Picnidi e cirri diC. parasitica.

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d’infezione. Le ascospore si formanoinvece all’interno di strutture di ori-gine gamica (i periteci) e a maturitàsono espulse all’esterno, quindi tra-sportate dal vento anche a notevoledistanza. Importanti vettori dellamalattia sono, oltre al già citatovento, la pioggia, gli insetti, gli uccel-li, mammiferi vari tra cui spicca l’uo-mo che direttamente con le operazio-ni colturali può effettuare la diffusio-ne sul posto o indirettamente con iltrasporto del legname anche a grandidistanze.

Il Cancro della corteccia da C. para-sitica può manifestare oltre alla sintomatologia viru-lenta, descritta in precedenza, che porta a morte ilramo o l’intera pianta, una forma atipica, ipovirulen-

ta, nella quale, pur con losviluppo di cancri, non sihanno disseccamenti néemissione di rami epicor-mici. I tessuti delle zonecolpite reagiscono attiva-mente all’attacco forman-do dei rigonfiamenti,apprezzabili anche adocchio nudo, grazie ad unprogressivo ingrossamen-

204 Il castagno in Campania

Foto 3: Disposizione aventaglio del micelio

della C. parasitica.

Foto 4: Rami morti perattacco di C. parasitica

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to della circonferenza del ramo o del tronco colpitodal cancro; su tali tessuti non si nota più il viraggiodi colore al rosso, non si hanno fessurazioni profon-de ma i cancri restano circoscritti alla parte più ester-na della corteccia (foto 6 e 7). Il micelio del fungo, inquesto caso, appare poco consistente e presente solonei tessuti più superficiali (Biraghi, 1950, 1955). Talesindrome, definita anche come ipovirulenza esclu-dente, (Grente e Sauret, 1969) è dovuta alla presenza,in tali ceppi, di particelle di acido ribonucleico(dsRNA) associato a geni citoplasmatici che, in pre-senza di compatibilità vegetativa, possono passareda un individuo “malato” ad uno “sano”, (Moffit eLister 1975; Anagnostakis, 1977, Anagnostakis e Day,1979) riducendone, in tal modo, la virulenza. Questiceppi definiti ipovirulenti, riconoscibili anche dalcolore bianco delle colonie, (foto 8) vengono oggiutilizzati per la lotta biologica ed hanno contribuitoa tenere sotto controllo una malattia che sembravainarrestabile; oggi infatti il cancro della corteccia delcastagno può essere controllato molto bene coninterventi razionali e mirati.

Un inconveniente presente nei ceppi ipovirulentiè la loro scarsa capacità di fruttificare e quindi dimoltiplicarsi, al confronto dei ceppi virulenti, percui, affinché possano insediarsi stabilmente in unterritorio, è necessario che vengano diffusi artificial-mente, con buone prospettive di risultati positivi(Anagnostakis, 2001; Magro et al., 2002) Cristinzio etal. (pag. 220).

205Il castagno in Campania

Foto 5a: Cancro virulen-to con rami epicormici.

Foto 5b: Cancro virulen-to con rami epicormici

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Lotta al Cancro della cortecciaPer combattere efficacemente in modo naturale e

biologico questa fitopatia, considerando che anche laferita dell’innesto è una via d’ingresso preferenzialeper il parassita, è di fondamentale importanza utiliz-zare una buona strategia di lotta integrata, i cui puntiprincipali possono essere i seguenti:

1. eliminazione tramite tagli di potatura di tutti irami e branche disseccate e bruciatura del mate-riale di rimonda;

2. eliminazione e bruciatura dei polloni infetti, 3. lasciare sul posto i cancri ipovirulenti; 4. diffusione, mediante inoculazioni artificiali, dei

ceppi ipovirulenti;5. protezione degli innesti con manicotto di terra

prelevata sul posto (foto 9 e 10). Con il punto 5 viene sfruttata la capacità antagoni-

sta di diversi microrganismi, tra cui alcune specie delgen. Trichoderma, sempre presenti nello strato superfi-ciale del terreno.

Il Mal dell’inchiostro

Il Mal dell’inchiostro, è attualmente la malattia piùpericolosa per il Castagno, anche più del cancro dellacorteccia. Secondo il Gibelli (1883), è presente in Italiafin dagli inizi del 19° secolo. Per tutta la seconda metàdell’800 era indicata con il termine generico di “moriadel castagno” attribuitogli dal Dr. Selva, un medico pie-

206 Il castagno in Campania

Foto 8: Ceppo virulentodi C. parasitica (rosso) alcentro, ceppi ipovirulen-ti (bianchi) ai margini.

Foto 6 e 7: Cancri ipovirulenti

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montese che l’aveva notata per la primavolta nel 1845. La prima descrizionecompleta si ebbe poco più tardi, nel1859, con il Puccinelli, come viene ripor-tato dal Piccioli nel 1922. La malattia fuoggetto di molti studi e dispute tra ricer-catori per tutta la fine del secolo e l’ini-zio del successivo, fin quando il Petri nechiarì definitivamente anche l’agente eziologico, identi-ficandolo come Blepharospora cambivora, divenuta poiPhytophthora cambivora (Petri) Buism. (Petri, 1917a, b;Petri, 1930; Petri, 1936). Presente in tutte le principaliaree castanicole nazionali, già nel 1942 veniva segnala-ta in 31 province per un complesso di 407 comuni(Vigiani, 1943).

Oggi gli agenti principali del mal dell’inchiostrosono due specie appartenenti al genere Phytophthora,genere a lungo inquadrato nel regno dei funghi, oggiclassificato da Hawksworth et al. 1995 nel : regno -Chromista (= Straminopile); classe - Oomycetes; ordine -Pythiales; famiglia – Pythiaceae.

In Italia per più di un secolo e fino al1985 l’unica specie presente era la Phy-tophthora cambivora, poi in un castagne-to della provincia di Latina è stataritrovata anche la P. cinnamomi (Cri-stinzio, 1986). Tale specie era statadescritta per la prima volta su castagnoda Milburn e Gravat nel 1932 negliUSA, anche se l’identificazione avven-

207Il castagno in Campania

Foto 9 e 10: Protezionedegli innesti con mani-cotto di terra prelevata

sul posto.

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ne solo nel 1945 (Crandall and Gravatt, 1945).Il mal dell’inchiostro del Castagno deve il nome

alla colorazione molto scura, tendente al nero, cheassumono i tessuti del cambio e del legno, attaccati dalparassita (Foto 11 e 12), i quali emanano anche un forteodore tannico. Tale sintomatologia, che costituisce il“sintomo primario”, si nota scortecciando la base deltronco e delle grosse radici. In casi molto avanzatidella malattia o su giovani polloni, detti sintomi sipossono notare anche al di sopra della corteccia concambiamenti cromatici della stessa (Foto 13). Quasisempre le colorazioni nerastre del legno assumono laforma di “fiamme” con la punta rivolta in alto e, incasi particolari molto più frequenti con la P. cinnamo-mi, possono risalire lungo il tronco da pochi centime-tri sul livello del terreno fino a qualche metro di altez-za. Sulla parte aerea della pianta si notano i sintomi“secondari” della malattia, costituiti da deperimento eingiallimento progressivo della chioma con dissecca-menti di apici spesso limitati ad un solo settore, in cor-rispondenza delle radici attaccate. Le foglie appaiono

di dimensioni ridotte e sono soggette aprecoci filloptosi anche di 30-40 giornio, in casi di attacchi particolarmentevirulenti, possono rimanere attaccate airami, completamente secche. La fiori-tura subisce una riduzione che si tra-muta poi in una diminuzione quali-quantitativa della produzione e delraccolto.

208 Il castagno in Campania

Foto 11 : Imbrunimentoa forma di fiamma allabase di un castagno da

frutto (sintomo caratteri-stico e diagnostico di

mal dell'inchiostro).

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209Il castagno in Campania

La malattia è molto comune sui polloni, specialmentese questi fuoriescono da ceppaie malate; in questi casimolto spesso si ha una morte rapida senza arrivare nep-pure al germogliamento primaverile.

La progressione della malattia è in stretta dipen-denza con l’età e la sensibilità della pianta, nonchécon la virulenza del patogeno e si conclude, nellaquasi totalità dei casi, con la morte della pianta stessa(Foto 14). Le piante giovani sono molto più sensibilidi quelle adulte. Per le piante secolari dal momentodell’attacco alla morte dell’individuo possono tra-scorrere anche diversi anni.

In dipendenza dallo stato di vigoria dell’apparatoradicale si può avere un decorso rapido e un decorsolento della malattia. Nel caso in cui l’attacco inizidagli apici radicali, può mancare anche la sintomato-logia caratteristica delle “fiamme” alla base del tron-co (Biraghi, 1963).

Le condizioni predisponenti e favorevoli allo svilup-po della malattia sono la presenza di ristagni idrici o dialta umidità nel terreno, di lesioni e ferite a livello delcolletto o sulle radici. Attraverso queste i parassiti, checon i loro organi di conservazione sono presenti tuttol’anno sulla pianta e nel terreno circostante, penetranoall’interno della pianta. I periodi di maggiore pericolo-sità si hanno in corrispondenza di forti piogge durantei mesi primaverili-estivi, tra aprile e luglio. In taleperiodo è compreso anche il momento migliore perisolare in coltura pura gli agenti patogeni.

Le piante colpite da mal dell’inchiostro sono più

Foto 12 :. Sintomo dimal dell'inchiostro allabase di polloni in casta-gneto ceduo.

Foto 13 : Sintomo di maldell'inchiostro visibile aldi sopra della cortecciadi giovani polloni dicastagno.

Foto 14 : Grave attaccodi mal dell’inchiostro daP. cinnamomi, tutti i pol-loni delle ceppaie inqua-drate sono morti.

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facilmente attaccate da altre malattie crittogamiche,sia della parte aerea che ipogea, tra le quali vannoricordate il cancro della corteccia da Cryphonectriaparasitica (Murr.) Barr. e il marciume radicale daArmillaria mellea (Vahl.) Quel..

La sintomatologia causata da P. cambivora e da P.cinnamomi sull’ospite è sostanzialmente la stessa, men-tre diversa è la virulenza delle due specie. Da un’inda-gine effettuata su giovani piantine, ottenute da semedi diverse cultivar di Castanea sativa, abbiamo potutoevidenziare una virulenza complessivamente più altadella P. cinnamomi rispetto alla P. cambivora, (foto 15 e16) pur utilizzando isolati delle due specie coetanei eprovenienti dallo stesso castagneto (Cristinzio e Gras-si, 1986). Molto diversa è anche la potenziale pericolo-sità delle due specie verso altri ospiti; infatti, mentre laP. cambivora è una specie oligofaga e oltre il genereCastanea attacca pochi altri generi di piante (Acer,Casuarina , Chrysanthemum, Erica, Fagus, Juglans, Rubuse Senecio), la P. cinnamomi può attaccare oltre 950 spe-cie vegetali appartenenti a più di 200 generi, tra cui :Acacia, Acer, Arbutus, Azalea, Betula, Camelia, Cedrus,Chamaecyparis, Cupressus, Erica, Eucalyptus, Fagus,Hevea, Hibiscus, Ilex, Juglans, Juniperus, Larix, Lavandu-la, Laurus, Magnolia, Malus, Morus, Myrtus, Nicotiana,Olea, Persea, Picea, Pinus, Platanus, Prunus, Pyrus, Quer-cus, Rhododendron, Robinia, Salix, Sequoia, Solanum,Syringa, Taxus, Ulex, Viburnum, Vitis (Zentmyer, 1980).

Tra le due specie di Phytophthora sono apprezzabilidifferenze morfologiche delle colonie quando vengo-

210 Il castagno in Campania

Foto 15 e 16 : Sintomi dimal dell’inchiostro su

giovani piantine diCastagno dopo 6 mesi

dall’inoculazione artifi-ciale con Phytophthora

cinnamomi (in alto), eP.cambivora (in basso )

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no cresciute su substrati agarizzati (foto 17).Uno dei fattori che sta alla base della differente

patogenicità di queste due specie è la diversa capaci-tà che hanno di attaccare la lignina; mentre la P. cam-bivora non è in grado di ossidare alcune sostanze feno-liche di cui questa risulta composta, la P. cinnamomipuò ossidare la maggior parte delle sostanze fenoli-che presenti nella lignina (Casares et al., 1986).

Lotta al Mal dell’inchiostroLa lotta a questa fitopatia è molto difficile da realiz-

zare in pieno campo e comunque, per ottenere risul-tati apprezzabili, bisogna adottare una “metodologiaintegrata” che comprende più strategie d’interventodi tipo genetico, agronomico, chimico e biologico.

Per la lotta genetica potrebbero essere adoperate spe-cie di Castanea di origine asiatica, resistenti (C. mollissi-ma), o molto tolleranti (C. crenata); ancor più consigliabi-le è l’uso di cultivars di C. sativa meno suscettibili. A talriguardo risposte interessanti si sono avute con proveeffettuate su 9 cultivars, “Bionda”, “Fiuggi bosco”,“Montemarano”, “Nera”, “Palummina Cassano”,“Palummina Cruci”, “Rossa”, “Verdole” e “Vrieccolo”,con una metodica di saggio che prevedeva l’inoculazio-ne del patogeno sui calli sviluppatisi da giovani taleelegnose, con valutazione della necrosi radiale del callostesso dopo 4 giorni e della necrosi cambiale dopo 12giorni dall’inoculazione. I risultati ottenuti hannomostrato che la “Bionda” e la “Vrieccolo” hanno unadiscreta resistenza alle due specie, P. cambivora e P. cin-

211Il castagno in Campania

Foto 17 : Aspetto dellecolonie di Phytophthoracambivora (uniforme) eP. cinnamomi (a rosetta)su substrato agarizzato.

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namomi , assimilabile, in una valutazione complessiva, aquella esibita da una cultivar di Castanea crenata adope-rata come riferimento (Cristinzio e Grassi, 1993). Buonirisultati, per saggiare la sensibilità di diverse varietà, sisono avuti anche con una tecnica (LEA = leakage elec-trolyte assay) grazie alla quale viene misurata la perditadi elettroliti da tessuti vegetali causata da filtrati coltura-li dei parassiti. Utilizzando tale tecnica si è potuto con-fermare che la P. cinnamomi è più virulenta della P. cam-bivora; evidenziare che varietà come la “Selvatico” e la“Marigoule” sono meno sensibili di “Maraval”, “Marro-ne Chiusa Pesio” o “Marsol” alla P. cambivora e che lestesse, con l’aggiunta della “Marrone Monte Gentile”,sono meno sensibili anche alla P. cinnamomi (Cristinzio,1993). L’impiego di specie resistenti, quali la Castaneamollissima, non è diffuso né è consigliabile, in quanto sial’aspetto della pianta che la fruttificazione non reggonoil confronto con la più maestosa Castanea sativa, sia da unpunto di vista puramente estetico-paesaggistico sia dalpunto di vista quali-quantitativo della produzione.

Risultati interessanti si possono ottenere con l’usodi portainnesti tolleranti (Grassi et al. 2002).

La lotta agronomica prevede :� uso di piantine sane e/o certificate; � eliminazione dal campo, tempestiva e completa,

apparato radicale compreso, delle piante morteo malate;

� corretta sistemazione del terreno, favorendo ildeflusso delle acque lontano dalle piante;

212 Il castagno in Campania

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� eliminazione delle matricine nelle vicinanze dipiante attaccate;

� sconcamento delle piante malate o sospette conmessa a nudo delle principali radici.

La lotta chimica prevede l’uso di prodotti rameici eantiperonosporici in genere. Per limitare al minimo icosti dei trattamenti e i possibili danni ambientali, inpieno campo è consigliabile effettuarli solo su collettoe radici messe a nudo di piante malate o sospette.

Nei vivai, invece, con l’uso di prodotti antiperonospo-rici specifici, è possibile ottenere un ottimo contenimen-to della malattia con il minimo rischio d’inquinamentoambientale e costi molto contenuti (Cristinzio et al. 2002).

La lotta biologica attualmente non viene praticata,però potrebbero essere impiegati funghi antagonistiquali i Trichoderma sp. Gliocladium sp. o Trichotheciumsp. al momento di un nuovo impianto; o funghi sim-bionti, agenti di ectomicorrize, per la creazione dipiantine naturalmente più resistenti.

Altre malattie crittogamiche

Altre malattie crittogamiche che, localmente e/o inparticolari condizioni, possono arrecare danni allapianta e/o ai frutti di Castagno, di una certa impor-tanza, sono:

� Il tumore radicale, agente: Agrobacterium tume-faciens (foto 18);

� Il marciume radicale, agente principale: Armilla-

213Il castagno in Campania

Foto 18: Tumori daAgrobacterium tumefa-ciens su giovani radici.

Foto 20: Fruttificazionidi Armillaria mellea(chiodini o famigliolabuona)

Foto 19: Micelio sotto-corticale di Armillariamellea su radici.

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ria mellea (foto 19 e 20); � Le carie, agenti principali: Stereum sp., Fomes

sp., Polyporus sp., Schizophyllum sp. Pleurotus sp.(foto 21 e22);

� La fersa o seccume fogliare, agente: Mycosphae-rella maculiformis, f.c. Cilindrosporium castaneicu-lum e Phyllosticta maculiformis (foto 23 e 24);

� l’Oidio, agente: Microsphaera quercina f.c. Oidiumquercinum;

� Le muffe dei frutti: verde e azzurra (Penicilliumspp); la muffa nera (Ciboria batskiana f.c. Myrioco-nium castaneae); la mummificazione dei frutti(Phomopsis endogena).

214 Il castagno in Campania

Foto 21 e 22: Fruttifica-zioni di funghi agenti di

carie (Pleurotus sp. ePolyporus sp.)

Foto 23 e 24: Macchienecrotiche e defogliazio-

ne causate dalla Myco-sphaerella maculiformis

agente della fersa.

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IntroduzioneUna tra le più gravi malattie parassitarie del

Castagno è senza dubbio il cancro della corteccia cau-sato dalla Cryphonectria parasitica (Murr.) Barr.

Questo fungo che colpisce tutte le parti della pian-ta al disopra del terreno, ad eccezione delle foglie,penetra attraverso ferite sia naturali che artificiali.Causa cancri corticali più o meno profondi e quandoarriva ad interessare l’intera circonferenza dell’orga-no colpito, tutta la parte superiore muore. La diffusio-ne dell’infezione avviene attraverso le spore, sia ses-suate che asessuate. I principali vettori della malattiasono la pioggia, il vento, gli insetti, gli uccelli e i mam-miferi, uomo compreso.

In natura la C. parasitica è in grado di colpire, oltreil genere Castanea, altri generi quali, Quercus, Alnus,Ostrya, sui quali sono stati isolati soltanto ceppi viru-lenti. Queste piante, nei boschi misti, possono costi-tuire pericolosi focolai per infezioni più dannose sueventuali castagneti da frutto limitrofi.

Materiali e MetodiAll’interno della Foresta Demaniale Regionale, sita

in località Fosso di Agnone nel comune diRoccarainola (NA) in un’area sottoposta a trasforma-zione da ceduo in frutteto, nel corso del 2000, è statoallestito un campo sperimentale, su una superficie dicirca 2 ettari, per una prova di controllo biologico alCancro della corteccia del Castagno diffusosi in modopreoccupante su piante innestate l’anno precedente.

220 Il castagno in Campania

AUTORI:

Cristinzio Gennaro,DeVivo AlessandroDipartimento di Arboricoltura,Botanica e Patologia Vegetale.

Università di Napoli Federico II

Spigno Paola,Pezzella Marcello,

Bianco MicheleRegione Campania - SeSIRCA

Laboratorio FitopatologicoRegionale

Testa AntoninoMIUR “Rientro dei Cervelli”

Università Politecnica delle Marche

Controllo biologico del cancrodella corteccia del castagno inuna foresta demaniale inCampania

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Tale prova si è basata su due modalità d’intervento:1. protezione degli innesti con manicotto di terra:2. lotta diretta ai cancri con inoculo di ceppi ipovi-

rulenti.Nell’ambito del primo punto, per migliorare la

protezione degli innesti, effettuata in un primomomento con solo catrame, abbiamo provveduto arealizzare con l’ausilio di fogli di plastica nera, degliimbuti in corrispondenza dei singoli punti d’innesto,accuratamente riempiti con terra prelevata dallo stra-to superficiale, nelle vicinanze delle stesse piante trat-tate. Tale rivestimento di terra, che interessava tutta lazona dell’innesto, praticato su circa 1400 piante, èstato lasciato in opera per un anno.

Per poter mettere in atto la seconda modalitàd’intervento, preliminarmente, all’inizio della pri-mavera, da piante di Castagno ceduo situate ai mar-gini del campo sperimentale, sono stati prelevaticampioni di tessuti ai margini di cancri ipovirulentie virulenti. Da questi, in laboratorio, sono stati iso-lati numerosi ceppi di Cryphonectria parasitica. Dopoincroci binari, tra tutti gli isolati per accertarne lacompatibilità vegetativa, alcuni, identificati comeipovirulenti, sono stati allevati e moltiplicati suPDA a 21°C in piastre Petri. Nella tarda primaveraquesti ceppi sono stati inoculati sul tronco, ai bordidi tessuti cancerosi, di 400 piante che presentavanocancri evolutivi al di sotto del punto d’innesto.L’inoculo è stato effettuato asportando un tassellodi corteccia di 10 mm di diametro, ai margini infe-

221Il castagno in Campania

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riori del cancro, inserendo sul legno sottostante undischetto di micelio di 8 mm di diametro, quindirimettendo in posizione la corteccia e proteggendola ferita con nastro adesivo.

Su 50 piante scelte a caso, dopo 1 e 2 anni dall’ino-culo, sono stati effettuati i controlli misurando la cir-conferenza dei tronchi in corrispondenza del puntod’inoculo (inoculo), 10 cm al disopra (alto) e 10 cm aldisotto (basso).

Sono stati effettuati poi reisolamenti sui punti ino-culati meccanicamente l’anno precedente, che hannoconfermato la presenza dei ceppi ipovirulenti molti-plicati in vitro.

Risultati e DiscussionePer la prova di protezione degli innesti si è avuto

un 100/100 di attecchimento e dopo la rimozione delmanicotto di terra si è potuto costatare la totale assen-za di cancri attivi nella parte dei tessuti interessati altrattamento.

Per la lotta biologica, dal graf.1, si può notare ilbuon esito dei ceppi ipovirulenti nel bloccare quellivirulenti, dal controllo dopo il primo anno, infatti, sisono avute differenze significative tra la circonferen-za del tronco al disopra (alto) del punto d’inoculo,dove era gia presente il cancro, e la zona al disotto delpunto d’inoculo (basso) dove il cancro si era formatonel corso dell’anno. Al controllo dopo due anni nellaparte alta vi è una circonferenza significativamentemaggiore anche del punto d’inoculo (foto 1).

222 Il castagno in Campania

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223Il castagno in Campania

I risultati ottenuti confermano la validità dell’uti-lizzazione dei ceppi ipovirulenti di C. parasitica che,nell’arco di relativamente poco tempo, riescono a“trasformare” i ceppi virulenti, offrendo, in tal modo,alla pianta la possibilità di reagire. La reazione dellapianta abbiamo visto essere pronta ed efficace e simanifesta con la produzione di nuovi tessuti corticaliche spostano verso l’esterno i tessuti malati contenen-ti il fungo, facendo aumentare, di conseguenza, la cir-conferenza del tronco in quel punto.

A lettere uguali corrispondono medie che non dif-feriscono significativamente secondo il test di compa-razione multipla di Tukey-Kramer con un valore di Pminore di 0,05.

Foto 1: Cancro ipoviru-lento su giovane piantadi castagno innestata nel1999 ed inoculata conceppo ipovirulento nel2000.

Graf. 1: Circonferenza del tronco in cm all’altezza dell’inoculo, 10 cmpiù in basso e 10 cm più in alto, dopo 1 e 2 anni dall’inoculazione delceppo ipovirulento.

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Prove di lotta al Maldell’inchiostro del

castagno

Riassunti dagli Atti del Convegno:“Il castagno in Calabria: stato attua-le, ricerca scientifica e prospettive”,

24 e 25 ottobre 2002 Camigliatello Silano(CS)

225Il castagno in Campania

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In un castagneto da frutto colpito da mal dell’in-chiostro, sito in località Carrozzino nel Comune diZagarise (CZ), sono stati individuati alberi con chiarisintomi della malattia. Su tre esemplari secolari, nelmese di aprile 1999, per un raggio di tre-quattro metridal fusto, è stato eliminato uno strato di terra fino amettere a nudo le principali radici. Su tali organi, perdue anni di seguito, sono state effettuate 3 spennella-ture nel periodo primaverile, a distanza di 20 giorniuna dall’altra, con Alliette (Phosethyl-Al). Insiemecon la lotta chimica è stata effettuata una razionalelotta agronomica con potatura nel periodo invernale,concimazione primaverile ed effettuando una siste-mazione “a lunetta” del suolo che è servita anche aregolare il flusso delle acque di superficie.

Dopo tre anni i risultati appaiono molto positivi inquanto tutti e tre gli alberi trattati esprimono elevatovigore vegetativo, chioma verde e nessun sintomo dimalattia, a fronte di altre piante limitrofe che mostra-no sintomi chiari.

Si forniscono dati vegeto-produttivi di confrontotra le due tesi.

Nello stesso castagneto nel corso del 2002 sonostate trattate, contro il mal dell’inchiostro, altre 9piante secolari malate con metodica di più facile eveloce attuazione, rispetto a quella sopra descritta,consistente nell’immissione del prodotto anticrittoga-mico al di sotto della corteccia nella parte basale deltronco.

226 Il castagno in Campania

AUTORI:

Cristinzio G.,Grassi G.,

Murrone A.,Scalise A.,Scalzi T.,

DeVivo A.

Un esempio rappresentativo dilotta integrata al “Mal dell’inchiostro del castagno” su piante secolari

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227Il castagno in Campania

In un castagneto da frutto impiantato nel 1992, gra-vemente colpito dal mal dell’inchiostro, sito in locali-tà San Nicola nel Comune di Zagarise (Catanzaro),nel febbraio 2000 sono stati messi a dimora, tra glispazi vuoti creati dalle fallanze, 3 portinnesti ibrididotati in diversa misura di resistenza a Phytophthoracinnamomi e P. cambivora e di buona affinità con laCastanea sativa: Ferosacre, Marsol e Marigoul. Le pian-te, ricavate da margotta di ceppaia, sono state fornitedall’I.N.R.A. francese. Per migliorare e/o sostenere laresistenza al mal dell’inchiostro, sono state introdottealcune tesi sperimentali di lotta biologica (con ilfungo antagonista Trichoderma harzianum) e chimicacon Fosetyl-Al e Dimetomorf. I portinnesti, a fineinverno 2000-2001, sono stati innestati a doppio spac-co inglese, con due buone varietà locali presenti: la“Riggiola” e la “Nserta”. A fine inverno 2001-2002,sono stati messi a dimora altri 60 selvatici di Castaneasativa locale, trattati con Trichoderma viride, che almomento sono tutti vegetanti.

Dopo due anni dall’impianto i migliori risultati,nei riguardi della sopravvivenza, sono stati ottenuticon il Marsol, mentre il Ferosacre ha stimolato ilmiglior vigore vegetativo.

AUTORI:

Grassi G.,Scalise A.,Colosimo P.L.,Cristinzio G.

Lotta chimica e biologica al Maldell’inchiostro del castagno

effettuata con l’ausilio di treportinnesti

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Verranno presentati i primi risultati di una provadi lotta chimica (con 5 anticrittogamici) e una di lottabiologica (con funghi e 1 batterio antagonista), effet-tuate al momento del trapianto. Sono state utilizzatepiantine di 1 anno, provenienti da semi di cultivarcalabrese, prelevate in un vivaio locale. L’agente dellamalattia, la Phytophthora cinnamomi, è stato artificial-mente inoculato al colletto delle giovani piante, 30giorni dopo la loro messa a dimora. Per la lotta chimi-ca sono stati utilizzati i seguenti prodotti: Alliette,Forum, Ridomil, Previcur ed una miscela di Alliettepiù Previcur. Per la lotta biologica sono stati adopera-ti per i funghi le specie: Trichoderma harzianum,Trichoderma viride, Gliocladium sp., Trichothecium sp., e,per i batteri, lo Streptomyces griseoviride.

Dai primi controlli effettuati dopo 4 mesi dall’ino-culazione del parassita, si sono avuti risultati moltopositivi con 4 dei 5 prodotti chimici utilizzati, scarsiinvece quelli con i prodotti biologici. L’ipotizzatoeffetto positivo di questi ultimi potrebbe essere man-cato a seguito delle particolari condizioni climaticheverificatesi nel corso di questa estate (eccessivo dila-vamento per pioggia).

228 Il castagno in Campania

AUTORI:

Cristinzio G.,Scalise A.,Scalzi T.,

Manna P.,Grassi G.

Prove di lotta chimica ebiologica al “Mal dell’inchiostrodel castagno”

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Malattie da cause pedoclimaticheLe avverse condizioni climatiche ed alcuni eventi

meteorologici possono causare danni, tanto più graviquanto più la coltivazione è attuata al limite dellecondizioni naturali della specie. Rispetto ad altri frut-tiferi, il genere Castanea è alquanto resistente alleavversità pedoclimatiche; occorre però ricordare chele diverse specie coltivate hanno esigenze proprie emanifestano chiare differenze di adattamento aidiversi ambienti. E’ importante, scegliendo le stazioniin cui effettuare nuovi impianti o ricostituirli, valutar-ne la vocazionalità alla castanicoltura.

AVVERSITÀ CLIMATICHETemperatura. Il castagno europeo prospera in sta-

zioni con temperatura media annua compresa tra 8e 15 °C. Agli anomali abbassamenti di temperaturasono nettamente più sensibili i castagni asiatici e gliibridi euro-giapponesi, rispetto alla C. sativa; e gliimpianti montani o quelli di alta collina esposti atramontana, rispetto a quelli di media collina.Improvvisi freddi autunnali (possibili già in settem-bre) possono rallentare, se non bloccare, lo sviluppodei frutti e far “serrare” i ricci che poi si aprono condifficoltà e non consentono la caduta delle castagne.In settembre e ottobre, invece, giornate relativamen-te calde favoriscono la maturazione e il distacconaturale dei frutti.

Rigide temperature invernali possono provocaredanni (specialmente quando scendono bruscamente

230 Il castagno in Campania

Malattie e danni di natura nonparassitariaAUTORI:

Testa AntoninoMIUR “Rientro dei Cervelli”

Università Politecnica delle Marche

Cristinzio GennaroDipartimento di Arboricoltura,Botanica e Patologia Vegetale.

Università di Napoli Federico II

Grassi GiorgioCRA - Istituto Sperimentale per la

Frutticoltura, S.o.p. di Caserta.

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al disotto dei –15 °C e poi rapidamente risalgono),causando fenditure nelle grosse branche, spaccaturelongitudinali nel tronco che interessano l’alburno,scollamenti tra gli strati concentrici del legno (cipol-latura). Se all’intenso freddo invernale si accompa-gnano nebbie o piogge, la chioma può essere colpitadalla formazione e accumulo di ghiaccio (galaverna)che pende pesante dai rami e dalle branche di varioordine, spesso spaccandoli. I geli tardivi danneggia-no maggiormente le piante giovani fendendone itronchi in senso radiale. Va ricordato che ogni lace-razione e rottura causata dai geli al vegetale, costi-tuisce potenziale via di accesso ai parassiti, talunipericolosi.

I freddi che si protraggono a fine inverno ritarda-no il superamento della dormienza delle gemme.Molto dannosi si rivelano i ritorni di freddo di fineinverno e primaverili, che possono causare la mortedei germogli fruttiferi dell’anno.

Ai ritorni di freddo primaverili (maggio) sono par-ticolarmente sensibili gli ibridi euro-giapponesi, imarroni casentinesi e tutte le cultivar di castagnoeuropeo che abbiano gemme già dischiuse.

Anche le alte temperature estive possono danneg-giare il castagno, soprattutto se accompagnate daventi caldi di scirocco protratti per oltre 3 giorni e dasiccità al terreno, perché causano disidratazione deifrutticini in accrescimento, poi caduta precoce eimprovvisa delle foglie; a danni di questa natura sonostati soggetti molti castagneti da frutto salernitani

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negli anni recenti. Sono state accertate scottature sucortecce giovani a seguito di temperature superiori ai40 °C.

Precipitazioni. Il castagno europeo predilige stazio-ni con piovosità annua media compresa tra 1000 e1400 mm, bastano durante la fase vegetativa anchesolo 800 mm di acqua, purché le piogge siano bendistribuite nei mesi.

Sono dannose le piogge frequenti in giugno,durante le fioritura, perché riducono, anche forte-mente, la fecondazione. La siccità prolungata inluglio e agosto, tempo in cui si verifica l’accresci-mento delle cellule della polpa delle castagne, com-promette la dimensione, il peso e la compattezzafinale dei frutti.

Danni analoghi si registrano sugli ibridi euro-giap-ponesi, i quali sono nettamente più esigenti in acquarispetto al castagno europeo, sono inoltre allevati infrutteti a densità di piantagione più elevata e in fascevegetazionali più basse, perciò richiedono apportisuperiori al minimo di 1200 mm, che sono general-mente garantiti da irrigazione.

Gli eccessi di pioggia, quando provocano ristagnodi acqua e umidità nel terreno, sono importante causadi malattie parassitarie all’apparato radicale, specie seaccompagnate da condizioni di temperatura favoren-ti lo sviluppo di specifiche crittogame.

La grandine, nelle aree in cui si verifica con fre-quenza, può arrecare danni anche gravi a germogli,

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rami e giovani branche, innanzitutto perché aprenella corteccia lacerazioni che favoriscono l’ingressodi parassiti vari, poi perché, se colpisce dopo l’allega-gione i giovani ricci, compromette l’accrescimentoregolare dei frutticini.

La neve, accumulandosi, può causare rotture dirami e branche, con le conseguenze già descritte peril gelo.

Nebbie. Le nebbie, specie se prolungate, sono peri-colose in due momenti: durante la fioritura possonointerferire sul normale processo di allegagione, com-promettendolo; a inizio autunno, in concomitanzacon le temperature diurne relativamente ancora ele-vate, fanno sviluppare crittogame fogliari con ingial-limenti e filloptosi, talvolta molto accentuate. InCampania alcune zone castanicole sono particolar-mente soggette a questo evento meteorico, tra tuttepiù famosa è l’area Serinese.

Vento. Venti impetuosi arrecano danni di tipomeccanico, rompendo le parti dichioma non saldamente strutturate.Ma soprattutto possono causare laperdita di tutta la nuova vegetazioneemessa dai giovani innesti attecchiti,staccandola nel punto di loro attaccoal tronco, qualora non siano statiattuati già nel primo anno di innestogli accorgimenti utilissimi per preve-

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nire questo danno (legare i germogli a tutori; spun-tare i germogli più vigorosi per ridurne l’allunga-mento apicale; negli innesti effettuati con più marzevicine tra loro, che abbiano attecchito contempora-neamente e premano l’una contro l’altra, come nel-l’innesto a corona o a spacco diametrale, eliminarnealcune lasciando la sola meglio attaccata al tronco).

Fulmine. In genere il castagno da frutto allevato avaso tradizionale (globoso libero) risulta colpito dalfulmine meno di altre specie forestali. L’evento è favo-rito se la stazione ha caratteristiche peculiari (di espo-sizione, umidità del terreno, correnti superficiali elet-tromagnetiche, e altre). Possono essere stroncati ilfusto, le branche anche primarie e, sino a terra, la bru-ciatura lacera i tessuti con andamento che talvoltasegue quello dei vasi interni.

AVVERSITÀ PEDOLOGICHELa C. sativa prospera su terreni di medio impasto,

permeabili, con reazione subacida (pH 6-6.8), ricchi disostanza organica (più del 2%), fertili, a buon conte-nuto di potassio e fosforo.

Se piantato su terreni a reazione alcalina, il casta-gno europeo deperisce rapidamente e muore. E’ forte-mente limitato nello sviluppo e può morire se nel ter-reno è assente la flora microbica specifica (micorrize),che invece è naturalmente già insediata nei suoli deicastagneti adulti.

La reazione acida del pH (inferiore a 5), come la

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carenza di sostanza organica (inferiore a 0,5%), rendo-no difficile la circolazione di alcuni elementi mineralinecessari alla specie, e la pianta mostra difficoltà divegetazione e di fruttificazione, ingiallimento diffusodella chioma: quest’ultimo sintomo è comune anchealla carenza di uno o più elementi.

La carenza di macro e microelementi (manganese,boro ecc.) necessari alla specie si manifesta più chiara-mente sulle piantine giovani in vivaio: i sintomi sonoper lo più decolorazioni, colorazioni anomale, onecrotizzazioni, in modalità e tempi che sono specifi-ci a seconda dell’elemento.

I terreni poco profondi e quelli pesanti possonocausare ristagni d’acqua, che sono deleteri perchéfavoriscono l’insediamento e sviluppo di pericolosimarciumi radicali, causati da Armillaria sp. Pythiumsp. e soprattutto Phytophthora sp.

Rispetto all’europeo, i castagni euro-giapponesihanno esigenze meno rigide, vegetano e fruttificanobene su terreni neutri o leggermente alcalini, tollera-no o si avvantaggiano della presenza di poco calcaree sopportano anche una leggera maggior pesantezzadel terreno.

LA CIPOLLATURA DEI TRONCHIA cause di natura pedoclimatica può essere

ricondotta tale avversità che fa deprezzare forte-mente il valore del legname e che ha la seguentegenesi: le differenti velocità e intensità di accresci-mento degli anelli concentrici annuali del fusto

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fanno cambiare il coefficiente di ela-sticità dei tessuti, i quali diminuisco-no la reciproca coesione, tra loro siscollano, si staccano. La brusca varia-zione di accrescimento può essereconseguente a improvvisi mutamentidi luminosità (es: il forte diradamen-to di un bosco denso, causa nelle

piante del soprassuolo rimasto un rapido accresci-mento diametrale), di fertilità del terreno (es:abbondanti fertilizzazioni e piogge che seguano adanni consecutivi di scarsa nutrizione; o, viceversa,il passaggio delle radici in crescita da suolo fertile esciolto a sottosuolo pesante, duro). E’ però il ventola causa principale accertata delle cipollature, per-ché sottopone, spesso con forza elevata, i tessuti atorsioni, pressioni e trazioni ripetute. La cipollatu-ra può anche essere provocata da geli tardivi pri-maverili, se, rovinando il tessuto cambiale, deter-minano una conseguente produzione di tessutiparenchimatici meno resistenti, con perdita dellapreesistente omogeneità tra gli anelli.

Malattie causate da fanerogame I vegetali che vivono sulle piante di castagno sononumerosissimi. Menzioniamo solo due fanerogame:il vischio (Viscum album L., con frutti di colore bian-co) e il loranto o vischio quercino (Loranthus europa-eus L., con frutti di colore giallo). Sono due piantesemiparassite poiché, pur essendo fornite di appa-

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rato fogliare fotosintetizzante, sono sprovviste diapparato radicale autonomo. I loro semi, esterna-mente mucillagginosi, aderiscono ai rami dellapianta ospite, in questo caso il castagno, qui germi-nano ed emettono una radichetta che penetra i tes-suti corticali dell’ospite e di seguito infiltra austorinel cambio e poi nel legno in senso radiale.Entrambi i parassiti si nutrono della linfa grezzadell’ospite causando un progressivo deperimento epoi la morte della parte distale del ramo o della gio-vane branca. La presenza del loro apparato assimi-lante all’interno del legno del castagno è causaanche di un forte deprezzamento.

Danni causati da animaliNon consideriamo qui gli insetti parassiti, ma alcu-

ni mammiferi, roditori e uccelli.Le castagne sono molto ricercate dai roditori (topi

di varie specie, scoiattoli). I topi possono arrecaredanni gravi nei vivai forestali (ai semi di castagnoposti in file a germinare nelle aiuole) e nelle ricciaie(ove queste sono ancora attuate per conservare i frut-ti), perché mangiano l’embrione o asportano addirit-tura il frutto. Anche gli scoiattoli rodono e asportanoi frutti, così come i ghiri e varie specie di volatili(ghiandaie, ecc.).

Tra i mammiferi i maiali e soprattutto i cinghialisono ghiotti di castagne; grufolando, arrecano dannianche alle parti tenere degli apparati radicali e deifusti.

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La corteccia delle piantine è molto apprezzata, inogni stagione dell’anno, da topi, lepri, capre, che facil-mente mordendola, possono causare la morte deigiovani castagni.

Di foglie si cibano diversi mammiferi. Dannosesono soprattutto le capre (che si alzano sulle zampeposteriori e si spingono in alto fin dove la loro altez-za consente), i cavalli e i bovini (che preferiscono letenere parti apicali dei germogli) e, meno, le pecore.Se gli impianti di castagno sono frequentati da talipresenze, è importante difendere le nuove piantinee gli innesti bassi con apposite protezioni (es: unaterna di robusti tutori verticali attorno al fusto, unitida filo spinato o da rete metallica).

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Bibliografia

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Grassi G., 1983: Castagno. Aspetti tecnici ed economici delle produ-

zioni frutticole del Mezzogiorno - FORMEZ: archivio dei

corsi di formazione, n°8, pagg. 447-483, Napoli.

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La castanicoltura da frutto, in Campania, grazie alridimensionamento degli attacchi da Cryphonectriaparasitica ed a seguito dell’ottenimento della IGP per la“Castagna di Montella” ed alla proposta delle DOP eIGP per “Il marrone di Roccadaspide”, “La castagna diSerino”, “La castagna del Vulcano di Roccamonfina” e“La castagna di Acerno”, ha fatto registrare un nuovointeresse da parte degli imprenditori agricoli. Attual-mente essa occupa una superficie di circa 23.000 ha,dislocati essenzialmente in provincia di Avellino(9.589 ha), Salerno (8.944 ha) e Caserta (4.043 ha).

Una castanicoltura da frutto che possa presentarsisul mercato in maniera competitiva richiede una pro-duzione di qualità, con frutti che si presentino dotatidi buone caratteristiche merceologiche ed organoletti-che, pezzatura ottimale e percentuali di attacchiparassitari contenute entro limiti molto bassi.

Il castagneto attualmente è sicuramente un agro-ecosistema poco perturbato dalla chimica, pertanto ènecessario condurre un’attenta politica d’interventiper evitare che i castanicoltori, spinti da logiche dimercato poco attente alla salvaguardia dell’ambiente,possano indirizzarsi verso soluzioni a maggior impat-to ambientale per il controllo dei parassiti che infesta-no le loro coltivazioni. D’altro canto, non bisognadimenticare che nel momento in cui il reddito prodot-to dal castagneto dovesse scendere a livelli ritenutipoco remunerativi, si assisterebbe all’abbandono delcastagneto stesso, con conseguenti ripercussioni sullagestione dei territori di alta collina interessati.

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Le azioni intraprese dall’Ammi-nistrazione Regionale per contra-stare le avversità del castagnopiù diffuse in CampaniaAUTORI:

Bianco Michele,Danise Bruno

Regione Campania, SeSIRCA

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Partendo da queste considerazioni, l’Amministra-zione regionale ha sempre posto la massima attenzio-ne sulla divulgazione delle tecniche colturali piùaggiornate per una corretta conduzione del castagne-to, promuovendo nel contempo la sperimentazione ditecniche innovative atte a contrastare le principaliavversità del castagno. Le iniziative più recenti avvia-te in questi campi riguardano azioni divulgative peril controllo del Cancro della corteccia del castagno(Cryphonectria parasitica) e del Mal dell’inchiostro(Phytophthora cambivora, P. cinnamomi), svolte in attua-zione del progetto POM “Innovazioni nella difesadalle malattie di piante agrarie e forestali con mezzidi lotta biologica ed integrata” ed azioni sperimentaliper il controllo del Balanino del castagno (Curculio ele-phas). Inoltre è stata emanata la L.R. 28 marzo 2002 n.4 “Incentivazione di interventi a carattere territorialeper le emergenze fitosanitarie conclamate”.

Azioni divulgative per il controllo del Cancro dellacorteccia del castagno e del Mal dell’inchiostro

Il progetto POM “Innovazioni nella difesa dallemalattie di piante agrarie e forestali con mezzi di lottabiologica ed integrata” avviato nell’ambito del Pro-gramma Operativo Multiregionale (POM) “Attivitàdi sostegno ai servizi di sviluppo per l’agricoltura”Misura 2 – “Innovazioni tecnologiche e trasferimentodei risultati della ricerca”, in attuazione del Regola-mento CEE n. 2081/93 – Obiettivo 1 – Quadro Comu-nitario di Sostegno 1994-1999, ha rappresentato un

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utile strumento per potenziare le azioni divulgativeper il controllo del Cancro della corteccia del castagnoe del Mal dell’inchiostro.

Con il progetto, conclusosi nel 2001, è stato dappri-ma realizzato un monitoraggio sull’entità della diffu-sione delle due patologie sul territorio regionale esulla gravità degli attacchi registrati, per poi passarealla promozione dell’applicazione delle tecnicheinnovative proposte dalla ricerca per il loro controllo.

Il monitoraggio e la costituzione di campi dimo-strativi sono stati curati dal Dipartimento di protezio-ne delle Piante dell’Università degli Studi di Viterbo,con la collaborazione dei tecnici della Regione Cam-pania, che hanno curato anche la divulgazione del-l’iniziativa.

Il monitoraggio è stato effettuato attraverso sopral-luoghi mirati nelle principali aree castanicole campane.

Nei castagneti dell’avellinese, dove non è statariscontrata la presenza del Mal dell’inchiostro e dove labuona pratica agricola ha determinato un buon equili-brio tra ceppi ipovirulenti e virulenti di Cryphonectriaparasitica, si è provveduto a diffondere tra gli operatoriagricoli e forestali le indicazioni per una corretta pota-tura fitosanitaria e per valide tecniche d’innesto.

Nelle altre aree castanicole, dove sono stati riscon-trati focolai di Phytophthora spp. e forte incidenza dicancri corticali da C. parasitica, sono stati effettuatinumerosi isolamenti da suolo e da piante per chiarirealcuni aspetti epidemiologici del primo parassita eper individuare i ceppi ipovirulenti del secondo

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parassita più adatti ad essere utilizzare nella lotta bio-logica al Cancro della corteccia del castagno.

Successivamente sono stati realizzati alcuni campidimostrativi in castagneti molto colpiti dal cancro,dove sono stati attuati interventi di recupero degliimpianti sia attraverso una corretta potatura che permezzo del controllo biologico tramite l’impiego diceppi ipovirulenti di C. parasitica.

I risultati dell’attività di campo hanno trovatoampia divulgazione presso gli operatori agricoli attra-verso la realizzazione di visite guidate ai campi dimo-strativi e di cinque convegni a carattere provinciale.

Azioni sperimentali per il controllo del Balanino.A partire dal 2001, nell’ambito degli interventi pre-

visti dal Piano Regionale di Lotta FitopatologiaIntegrata si è avviata un’azione sperimentale in pro-vincia di Avellino, con la finalità di puntualizzarealcuni aspetti del ciclo biologico del Balanino negliambienti campani ed al tempo stesso verificare sel’impiego di tecniche agronomiche appropriate fossesufficiente a contenere le infestazioni di questo paras-sita. L’azione sperimentale, avviata in un castagnetoubicato nel comune di Cervinara (Av) dove negli anniprecedenti erano state riscontrate forti infestazioni diBalanino, è tuttora in corso.

Il progetto sperimentale si articola in quattro azio-ni distinte e precisamente:

1. verifica della capacità di infestazione del Balaninodi frutti sani dopo la loro caduta dalle piante;

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2. puntualizzazione di alcuni aspetti del ciclo bio-logico del Balanino utilizzando un prototipo ditrappola messo a punto negli anni precedenti;

3. verifica della possibilità di riduzione della pres-sione del parassita attraverso la razionalizzazio-ne della raccolta delle castagne;

4. prove per il controllo del balanino attraversol’impiego di Beauveria bassiana.

1 - Verifica della capacità di infestazione del Balanino difrutti sani dopo la loro caduta dalle piante

Al fine di verificare con certezza la possibilità chefrutti sani, una volta caduti al suolo, possano essere suc-cessivamente infestati dal Balanino, ad inizio agosto, perdue anni consecutivi, un giovane castagno è stato com-pletamente avvolto con una rete a trama adeguata (foto1), per poter disporre di un congruo numero di castagnesicuramente indenni da infestazioni di Balanino.

All’epoca della maturazione i frutti sono stati rac-colti, sono stati eliminati i frutti infestati da cidie inepoca precedente alla copertura e quindi, una voltacontrassegnarti con pennarello indelebile sono statidisposti al suolo nel castagneto dove è stata condottala sperimentazione, suddivisi in tre gruppi uguali. Unquarto gruppo, composto dallo stesso numero dicastagne è stato chiuso in un sacchetto di polietilene econservato in magazzino come testimone.

Dopo circa un mese si è provveduto a raccoglierei frutti e verificare l’eventuale grado di infestazione.

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Foto 1: Castagno protet-to con rete tipo antiafi-

dico.

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Tutti i frutti in entrambe le prove sono risultatisani, per cui si può affermare che le castagne a terranon vengono attaccate dal Balanino.

2 - Puntualizzazione di alcuni aspetti del ciclo biologico delBalanino utilizzando un prototipo di trappola messo apunto negli anni precedenti

Per meglio calibrare gli interventi da porre in esse-re per il controllo del Balanino e poter stabilire con lamassima certezza possibile se la permanenza dellelarve nel terreno prima dello sfarfallamento sia di unoo più anni, all’interno dell’area sperimentale di circadue ettari, sono stati sistemati due prototipi di trap-pola per la cattura di balanini (foto 2).

Le trappole sono costituite da una rete a magliamolto stretta, tipo telo pacciamante utilizzato perl’isolamento ed il calpestio del terreno, che vieneinterrata sui lati per circa 25 cm, così da evitare il pas-saggio di larve da e verso il terreno circostante, edotata di un foro centrale, attraverso il quale fuoriesceun tubo fissato ad un sostegno metalli-co, intorno al quale la rete è saldamen-te fissata, e la cui estremità superiore èchiusa con una busta di polietilene. Letrappole ricoprono una superficie diterreno di 1m x 1m ciascuna.

Il terreno sottostante le trappole il 13luglio 2001 è stato geodisinfestato con1,3 dicloropropene per eliminare la

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Foto 2: Prototipo ditrappola per la catturadi balanini che sfarfalla-no dal terreno.

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presenza di infestazioni pregresse. Nel mese di otto-bre 2001, le due trappole sono state aperte e sul terre-no sottostante sono stati lasciati i sacchi contenenti lecastagne raccolte, per poter avere un’infestazioneconsistente da monitorare negli anni successivi. Altermine della raccolta si è provveduto a riposizionarele trappole.

Dall’inizio del mese di agosto 2002 sono stati effet-tuati controlli settimanali per verificare il numero diadulti di balanino che fuoriuscivano dalle trappolesopra indicate, rimanendo intrappolati nelle buste dipolietilene. Tale operazione si è ripetuta anche nel-l’agosto 2003.

Dai controlli effettuati è risultato che lo sfarfalla-mento di adulti, ancorché con intensità minore, avvie-ne anche a distanza di due anni dall’inoculo.

3 - Verifica della possibilità di riduzione della pressione delparassita attraverso la razionalizzazione della raccolta dellecastagne

Esperienze episodiche effettuate in anni preceden-ti hanno permesso di ipotizzare che le infestazioni diBalanino sono più consistenti nei castagneti nei qualila raccolta avviene in maniera non continuativa e lecastagne vengono lasciate sul terreno per periodi lun-ghi. Per verificare tale ipotesi, su una superficie acastagneto di circa 2 ettari, a partire dal 1 ottobre 2001,si è provveduto ad effettuare la raccolta delle casta-gne a giorni alterni, raccogliendo tutte le castagne

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cadute. A fine raccolta inoltre si è provveduto allarimozione e distruzione col fuoco dei cardi e dellecastagne infestate eventualmente ancora presenti alsuolo. Per poter confrontare i livelli d’infestazione neifrutti nei diversi anni della sperimentazione, ad ogniraccolta sono state prelevate 100 castagne scelte acaso, sulle quali è stata valutata la percentuale di pro-dotto infestato. La percentuale di castagne sane, infe-state da balanino ed infestate da cidie, nel 2001 è statarispettivamente del 48%, 15% e 37%.

Nel 2002 si è ripetuta la raccolta a giorni alterninella parcella sperimentale, mentre nel testimone sisono eseguite le consuete due raccolte del letto dicastagne. La percentuale di castagne sane, infestate dabalanino ed infestate da cidie, nelle parcella speri-mentale è stata rispettivamente del 70,8%, 9,6% e19,8%, mentre nel testimone è stata rispettivamentedel 60%, 19 % e 21%.

Nel 2003 si è proceduto esattamente come nell’an-no precedente. La percentuale di castagne sane, infe-state da balanino ed infestate da cidie, nelle parcellasperimentale è stata rispettivamente del 34%, 33% e33%., mentre nel testimone è stata rispettivamente del39,5%, 41,5% e 19%.

Per valutare il livello d’infestazione del Balaninonel terreno, nella seconda decade dei mesi di giugno2002 e giugno 2003 sono stati effettuati sondaggi nelterreno per accertare la presenza di larve di balanino.A tale scopo sono state scavate 8 buche di 1 mq pro-fonde circa 40 cm, di cui 4 nel terreno sottoposto nel-

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l’anno 2001 alla raccolta a giorni alterni e 4 nel testi-mone, dove nell’anno precedente si sono eseguite leconsuete due raccolte del letto di castagne. Il terrenodi scavo è stato accuratamente setacciato per valutarela presenza di larve di Balanino.

Dai sondaggi effettuati, nel 2002 sono state rilevatein media 2,75 larve di Balanino al mq nel terreno ogget-to della raccolta a giorni alterni e ben 12,5 larve al mqnel testimone, con un rapporto di 1: 4,5; nel 2003 sonostate rilevate in media 3,75 larve di Balanino al mq nelterreno oggetto della raccolta a giorni alterni e ben 19larve al mq nel testimone, con un rapporto di 1: 5.

La sperimentazione effettuata, che sarà ripetutaanche nel 2004 dimostra che la raccolta a giorni alter-ni e la successiva distruzione col fuoco dei cardi edelle castagne infestate eventualmente ancora presen-ti al suolo è in grado di contribuire in maniera effica-ce alla riduzione della presenza di Balanino nel terre-no e se condotta su ampi comprensori può portarealla riduzione dell’infestazione di Balanino anchenelle castagne. Ovviamente un tale tipo di interventoha dei costi elevati, ma in considerazione della valen-za generale che esso assume tali costi potrebbero esse-re posti, almeno in parte, a carico della L.R. n. 4/2004.

4 - Prove per il controllo del balanino attraverso l’impiegodi Beauveria bassiana

Al fine di verificare l’efficacia della Beauveria bassia-na negli ambienti castanicoli campani, è stata avviata

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una specifica prova sperimentale nello stesso castagne-to oggetto delle altre prove. Una superficie di circa 2 haa castagno, adiacente al castagneto nel quale si sta por-tando avanti la prova per la razionalizzazione dellaraccolta delle castagne, al termine delle operazioni dipulizia del sottobosco, ad inizio settembre 2003, nonappena inizia la caduta delle prime castagne, è statatrattata con 3 l/ha di un prodotto commerciale a basedi Beauveria bassiana autorizzato per il controllo delBalanino su castagno, nel 2004 saranno raccolti i primidati per verificare l’efficacia del trattamento effettuato.

La L.R. 28 marzo 2002 n. 4 “Incentivazione diinterventi a carattere territoriale per le emergenzefitosanitarie conclamate”

La L.R. 28 marzo 2002 n. 4 “Incentivazione di inter-venti a carattere territoriale per le emergenze fitosani-tarie conclamate” ha come obiettivo il controllo delleemergenze fitosanitarie, cioè di quelle emergenzeconnesse alla diffusione di malattie e parassiti dellepiante che dovessero verificarsi sul territorio campa-no. Esso, rappresenta lo strumento normativo chepermette di controllare prontamente i focolai di infe-stazione, creando la possibilità di far intervenire idiretti interessati (agricoltori ed enti che hanno com-petenza nella tutela del territorio), affinché vengaimmediatamente ridotto il rischio che determinatiparassiti e malattie delle piante si possano diffonderesu tutto il territorio regionale.

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Gli incentivi previsti consistono in contributi finoal 70% dei costi derivanti dall’attuazione delle azionidi controllo fitosanitario indicate da Progetti d’inter-vento territoriali, redatti dai beneficiari dell’iniziativaed approvati dalla Giunta Regionale. I beneficiari deicontributi possono essere enti locali presenti sul terri-torio regionale, associazioni di produttori, associazio-ni ambientaliste, cooperative e consorzi che devonopresentare un progetto di intervento che non sia limi-tato a singole aziende, ma che abbia una valenza ter-ritoriale, così da poter avere una ricaduta complessi-va sul territorio colpito dall’emergenza fitosanitaria.

Avversità che colpiscono il castagno, quali adesempio il Balanino, per taluni areali potrebbero rap-presentare delle emergenze fitosanitarie conclamate equindi, sistemi di controllo a ridotto impatto ambien-tale, per i quali esistono evidenze certe circa la loroefficacia, potrebbero usufruire dei benefici dellalegge.

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Finito di stampare nel mese di marzo 2006

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