Il Caso Moro
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Transcript of Il Caso Moro
Il 16 marzo 1978, giorno in cui il nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, stava per ottenere in Parlamento la fiducia, l'auto che trasportava l'onorevole Aldo Moro dalla sua abitazione alla Camera dei Deputati fu intercettata in via Mario Fani a Roma da un commando delle Brigate Rosse. In pochi secondi i terroristi uccisero i due carabinieri a bordo dell'auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti sull'auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.
Rapidissimamente la notizia dell'agguato raggiunse ogni angolo della penisola. Tuttto si fermò: a Roma i negozi abbassarono le saracinesche, in tutto il Paese gli studenti uscirono dalle aule scolastiche e nei luoghi di lavoro ci furono fermate spontanee, mentre le trasmissioni televisive e radiofoniche venivano interrotte dai notiziari in edizione straordinaria. Gli omicidi e il rapimento furono rivendicati con il primo dei nove comunicati che le Brigate Rosse inviarono durante i 55 giorni del sequestro.
Si è ipotizzato che Moro è stato rapito perché con lui le Brigate Rosse volevano colpire l'artefice della solidarietà nazionale, e dell'avvicinamento tra DC e PCI, il cui risultato fu il IV governo Andreotti. L'obiettivo delle BR, probabilmente, era anche un altro: il rapimento in effetti fu realizzato non solo per colpire il regista di quella fase politica, ma avrebbe dovuto colpire la DC, asse portante in Italia di quello che i terroristi definivano lo Stato imperialista delle multinazionali (SIM), ma anche il PCI che veniva visto come nemico da attaccare e nello stesso tempo concorrente da eliminare. Nella prospettiva brigatista, il successo della loro azione avrebbe dovuto interrompere la "lunga marcia comunista verso le istituzioni", per affermare la logica della rivoluzione e per realizzare l'egemonia BR sulla sinistra italiana nella lotta contro il capitalismo.
Le conseguenze politiche del rapimento di Moro furono l'esclusione del PCI da ogni governo negli anni successivi e un ridisegno del cosiddetto "regime democristiano": la DC andreottiana rimase al centro del sistema di alleanze di governo fino al 1992 anno di tangentopoli, partecipando sempre a maggioranze che relegarono il PCI all'opposizione. Tuttavia queste politiche portarono a partire dall 1981, col primo Governo Spadolini ad avere alternanze di presidenti del consiglio democristiani con altri "laici", rompendo il monopolio democristiano che durava dal 1948. All'interno del Partito socialista italiano (PSI), che aveva sostenuto la linea cosiddetta umanitaria che prevedeva uno scambio di prigionieri per liberare Moro, vinse la linea di Bettino Craxi per l'esclusione del PCI dal governo, e iniziò una lotta politica contro i comunisti per relegarli al ruolo di forza subalterna della sinistra italiana.
Durante i 55 giorni di prigionia dello statista democristiano ci fu una complessa trattativa tra lo stato e le Brigate rosse che proponevano uno scambio con terroristi in carcere con lo scopo di ottenere un riconoscimento politico e che vide prevalere nel governo le "linea della fermezza", osteggiata dai socialisti e sostenuta da tutte le forze politiche di maggioranza, comunisti compresi. Ma lo scontro fu anche tutto interno ai singoli partiti e fu, in modo particolare, lacerante all'interno della DC, come si evince anche dalle lettere scritte da Moro durante la prigionia.
« Caro Zaccagnini, scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto adoperato a costituire. »(lettera a Benigno Zaccagnini recapitata il 4 aprile)
Nella lettera recapitata l'8 aprile Moro lancia una vera e propria invettiva contro la DC ed i suoi leader:
"Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse? Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro."
Il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di prigionia, al termine di un cosiddetto processo del popolo, Moro venne assassinato dai brigatisti ed Il cadavere fu fatto ritrovare il giorno stesso in una Renault 4 rossa in via Caetani, in pieno centro di Roma, tra Piazza del Gesù e via delle Botteghe Oscure. A nessuno sfuggì il fatto che il cadavere fu fatto ritrovare tra la sede nazionale della DC e quella del PCI e molti si chiesero come ciò sia stato possibile in una città, almeno all'apparenza, letteralmente militarizzata.
Le stranezze, le contraddizioni nella ricostruzione dei fatti, le reticenze e le ambiguità nelle indagini con informazioni fondamentali ignorate e banalità, almeno in apparenza, prese per informazioni decisive (tra cui l'incredibile storia di una seduta spiritica), il ritrovamento anni dopo di importanti documenti, nonché il ripetersi di voci su un fantomatico dossier che Moro avrebbe scritto durante la prigionia hanno finito per convincere molti osservatori, giornalisti e storici, del fatto che il sequestro Moro sia stata la fase finale di un vasto complotto che coinvolgeva servizi segreti, partiti politici italiani, la P2, la criminalità organizzata (compresa la famigerarta banda della Magliana che in quegli anni compare nella cronaca nera ma anche in molte vicende legate a fatti di terrorismo) e tanti altri soggetti occulti e presunti. Di tutto questo più che prove ci sono riflessioni obbligate alla luce dell'alto numero di contraddizioni. Nella sostanza i vari processi hanno inchiodato come responsabili un gruppo di brigatisti, successivamente identificati e quasi tutti processati e condannati.Di contro resta drammaticamente evidente la vicenda umana e personale di Aldo Moro che, nella migliore delle ipotesi è stato sacrificato alla "ragion di stato"
Cronaca dei 55 giorni del sequestro e della morte di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, ucciso dalle Brigate Rosse: il grottesco di via Gradoli, le vili interpretazioni delle lettere, l'inefficacia dei servizi, le mene della P2, il partito della fermezza. G.M. Volonté dà l'acqua della vita a questo filmrequisitoria schematico e rigido, facendo emergere la dignità di Aldo Moro, ma anche, in chiave di dolente malinconia, la forza. La parte del carcere è la più riuscita. Costruito quasi tutto sui 2 processi e sugli atti della commissione parlamentare, oltre che sul libro I giorni dell'ira di Robert Katz che l'ha anche sceneggiato con Armenia Balducci.
da http://www.mymovies.it
Film di riferimento Il Caso Moro di G. Ferrara 1986
realizzato nell'ambito del progetto
Cinema e StoriaIl secolo breve italiano
a cura del Prof. Pietro Volpones2009
Le slide e la conversione nel formato pdf sono state realizzate con OpenOffice 3.1