Il carnevale a Napoli nell’età moderna · PDF file1 1. CARNEVALE E QUARESIMA...
Transcript of Il carnevale a Napoli nell’età moderna · PDF file1 1. CARNEVALE E QUARESIMA...
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE STORICHE E
FORME DELLA MEMORIA
Corso di Storia Moderna
titolare prof. Giovanni Ciappelli
Il carnevale a Napoli
nell’età moderna
di
Giovannini Alessandro
matr. 143706
ANNO ACCADEMICO 2009/2010
1
1. CARNEVALE E QUARESIMA
Prima di iniziare a descrivere le caratteristiche del carnevale nella città di Napoli per
l’età moderna, è opportuno fare una veloce introduzione per chiarire meglio il significato
di Carnevale e Quaresima, concetti chiave attorno ai quali ruota questo breve saggio.
Per quanto riguarda l’etimologia del termine Carnevale si può affermare che essa
derivi dalla radice “carne levare”. Con il passare del tempo si sarebbe passati dalla forma
iniziale “carne levare” a “carnelevale” e quindi finalmente a “carnevale”. Questa ipotesi
trova conferma nello studio di Paul Aebischer il quale, nel ricercare le varie denominazioni
del carnevale negli atti italiani per il periodo medioevale, attesta la presenza della parola
“carnelevare” già a partire da un documento in latino del 965 redatto a Subiaco1. In questo
documento il termine “carnelevare” indica una delle tre date in cui si devono pagare i censi
annui (le altre date sono Natale e Pasqua).
Il carnevale è una festa calendariale dalle origine incerte. Secondo alcune ipotesi è
un’evoluzione dei saturnali romani (feste in onore del dio Saturno) nei quali avvenivano
riti di inversione come quello dei servi che diventano padroni e viceversa. I saturnali però
si collocavano solitamente durante il solstizio d’inverno. Un'altra ipotesi fa coincidere la
nascita del carnevale con la festa romana dei lupercali che si teneva il 15 febbraio. La festa
dei lupercali era legata alla fertilità e alla protezione del bestiame. In realtà il carnevale è
una festa mobile, dipende infatti dalla collocazione nel calendario liturgico della
quaresima. A sua volta il periodo quaresimale è collegato alla Pasqua, altra festa mobile. Il
Concilio di Nicea del 325 decise di fissare la Pasqua nella prima domenica dopo la prima
luna piena seguente all’equinozio di primavera2.
A partire dalla data della prima menzione (l’atto di Subiaco del 965) e per i due
secoli successivi, ricaviamo dalle fonti un significato ambiguo del termine Carnevale. Non
siamo infatti certi che questo termine potesse essere utilizzato per identificare un periodo
di festeggiamenti che precedeva l’inizio della quaresima. La prima testimonianza della
1 Giovanni Ciappelli, Carnevale e Quaresima. Comportamenti sociali e culturali a Firenze nel Rinascimento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, p. 30. 2 Jacques Le Goff, Calendario, in “Storia e memoria”, 1986, p. 403.
2
parola Carnevale legata a celebrazioni festive l’abbiamo a Roma nel 1140 quando, per
questa periodo, è attestata l’usanza di un particolare gioco scenico (Ludus Carnelevarii)3.
L’etimologia del termine Quaresima deriva da “quadragesima dies”, quarantesimo
giorno, ed è a sua volta collegata ad un termine greco che significa “quarantena”4. Con la
parola “quarantena” si designava un periodo di ritiro spirituale di quaranta giorni, associato
con il periodo trascorso da Gesù nel deserto, riservato a preparare al battesimo o
all’assoluzione dei peccati. Fu a partire dal Concilio di Nicea che la “quarantena” iniziò ad
essere collegata al digiuno pasquale, digiuno che originariamente corrispondeva all’ultima
settimana prima della Pasqua. Questo connubio fra “quarantena” e digiuno pasquale variò
però da Chiesa a Chiesa: per esempio ad Antiochia si definì un digiuno di sei settimane al
quale andava aggiunto quello relativo alla settimana precedente la Pasqua5. A Roma invece
il digiuno comprendeva complessivamente sei settimane anche se in realtà i veri e propri
giorni dedicati all’astinenza erano solo trentasei. Le domeniche infatti erano escluse dal
computo dei giorni relativi al digiuno. Fu proprio per raggiungere un totale di quaranta
giorni che nel corso del VII secolo si decise di iniziare il periodo di astinenza il mercoledì
precedente la prima domenica di quaresima (mercoledì delle ceneri). La quaresima venne
così a coincidere con un periodo di quarantasei giorni che però solamente a partire dal IX
secolo divenne prassi comune per tutta la Chiesa d’Occidente6.
3 G. Ciappelli, Carnevale e Quaresima, cit., p. 44. 4 G. Ciappelli, Carnevale e Quaresima, cit., p. 30. 5 G. Ciappelli, Carnevale e Quaresima, cit., p. 31. 6 G. Ciappelli, Carnevale e Quaresima, cit., p. 32.
3
2. IL CARNEVALE A NAPOLI NELL’ETÀ MODERNA
Le fonti del ‘300 e del ‘400 descrivono il carnevale di Napoli come una sorta di
cornice delle celebrazioni ufficiali di corte. La vera e propria festa popolare infatti non
suscitava nessun interesse nei cronisti dell’epoca. Una cronaca del febbraio 1385 sottolinea
come vi fosse l’abitudine di far coincidere l’inizio del carnevale popolare con i
festeggiamenti di corte, ossia con i balli, i giochi, i tornei, i banchetti di matrice
aristocratica7.
A partire dal XVII secolo invece notiamo come ad un carnevale di corte si affiancò
progressivamente un carnevale tipicamente popolare. Questo fu dovuto soprattutto al
tentativo da parte della nobiltà di far partecipare la massa a momenti di festa come una
vittoria militare, la nascita di un membro della corte reale, un matrimonio particolarmente
importante, in modo così da affievolire le tensioni interne e ricomporre, almeno
momentaneamente, l’integrità dei vari gruppi sociali. Nel ‘600 quindi ebbero inizio le
mascherate, i giochi, i cortei organizzati dai deputati dei seggi, ovvero i rappresentanti
delle varie circoscrizioni in cui era divisa la città di Napoli. A loro volta le corporazioni di
mestiere dovevano allestire un proprio carro adorno di cibo che poi era abbandonato al
saccheggio da parte dei sudditi. Durante la sfila ogni carro era accompagnato da un corteo
di maschere appartenenti a quella specifica corporazione che ballavano e cantavano i
cosiddetti “Cartelli delle Quadriglie”. I “Cartelli delle Quadriglie” erano delle canzoni in
dialetto che celebravano in tono poco serio il mestiere praticato durante tutto l’anno e che
si concludevano con l’esaltazione della famiglia reale8. Sul trionfo non trovava posto solo
il cibo ma anche figure allegoriche e mitologiche che recitavano e cantavano i “Cartelli dei
Carri”, testi di canzoni simili ai “Cartelli delle Quadriglie” visti precedentemente. I
“Cartelli dei Carri” erano canzoni sempre in dialetto, che si concludevano con la
celebrazione della corte reale ma che, a differenza dei “Cartelli delle Quadriglie”,
cercavano di spiegare il significato allegorico del carro9. Altro elemento caratteristico che
si collegava alla sfilata dei carri erano le “ntrezzate”, ossia una sorta di danza intorno ad un
palo in cui ogni partecipante teneva in mano il capo di un nastro. Questi nastri colorati,
7 Laura Barletta, La regolata licenza: il carnevale a Napoli, Messina-Firenze, D’Anna, 1978, p. 33. 8 Domenico Scafoglio, La maschera della cuccagna: spreco, rivolta e sacrificio nel carnevale napoletano del 1764, Napoli, Colonnese, 1981, p. 15. 9 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 14.
4
collegati al palo, si intrecciavano e si svolgevano seguendo i ballerini intenti nella danza10.
L’abbandono del carro e il conseguente saccheggio da parte della massa avveniva davanti
al palazzo del viceré11 in modo tale da trasformare l’assalto in un vero e proprio spettacolo
per i nobili accorsi all’evento. Gli inconsapevoli attori coinvolti nel saccheggio erano
anche tenuti a rispettare determinate regole come se l’assalto al carro non fosse in realtà
che un semplice gioco carnevalesco. L’utilizzo della violenza e soprattutto del coltello per
minacciare e ferire gli altri contendenti poteva infatti essere punito anche con il carcere12.
In questa sorta di arbitraggio e di regole fissate da parte degli aristocratici, si rifletteva la
paura che i saccheggi ma anche i festeggiamenti di contorno fornissero l’occasione per
rivolte e tumulti contro l’ordine costituito. Non pochi infatti furono i divieti e le repressioni
durante il periodo carnevalesco: veniva condannato colui che nel festeggiare si spingeva
oltre i limiti consentiti dalla moralità, colui che offendeva i rappresentanti del governo,
oppure chi disturbava il corteo delle maschere, chi cercava deliberatamente lo scontro con i
soldati13.
Il viceré poteva fare pressione anche sui nobili affinché allestissero un carro a proprie
spese o almeno pagassero una tassa da destinare alle spese dei festeggiamenti. Ecco quindi
che accanto ai trionfi delle corporazioni sfilavano spesso anche i carri allestiti dagli
aristocratici, i quali coglievano l’occasione per dare sfoggio della propria magnificenza e
per cercare di farsi notare, ottenendo così magari l’assegnazione di una qualche carica
governativa. Nell’ambito di questa ostentazione di ricchezza, era abitudine da parte delle
maschere di ritrovarsi sotto le finestre dei palazzi dei nobili a richiedere il lancio di soldi o
dolci a seguito dei quali potevano nascere violente risse14.
Nel XVIII secolo la dinastia dei Borboni, per cercare un vasto consenso popolare e
contemporaneamente attribuire a Napoli l’immagine di città culturalmente avanzata,
impresse un maggior contributo al carnevale che divenne ancora più imponente e fastoso.
Si moltiplicarono così gli eventi mascherati e i banchetti presso le dimore delle
aristocrazie, al teatro San Carlo si susseguirono commedie e recite a cui tutta la nobiltà
10 L. Barletta, La regolata licenza, cit., p. 39. 11 Dagli inizi del XVI secolo fino al 1734 il Regno di Napoli fu sottoposto a diverse potenze straniere che ne affidarono il governo ad un viceré. Nel 1734 il Regno di Napoli venne conquistato da Carlo Borbone figlio di Filippo V di Spagna. Da quel momento ebbe inizio il ramo napoletano dei Borbone di cui Carlo fu il primo capostipite e re. 12 L. Barletta, La regolata licenza, cit., p. 37. 13 L. Barletta, La regolata licenza, cit., p. 38. 14 Laura Barletta, Il carnevale del 1764 a Napoli: protesta e integrazione in uno spazio urbano, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1981, p. 25.
5
cercava di assistere15. Per quanto riguarda le classi subalterne, a partire dalla metà del ‘700,
i carri organizzati dalle corporazioni di mestiere furono sostituiti dalle Cuccagne. La
Cuccagna consisteva in una sorta di gioco-banchetto: una costruzione creata con vari
alimenti (pane, carne, pesce, formaggio, verdure ecc.) era lasciata al saccheggio del
popolo. L’assalto alla costruzione, di solito raffigurante un evento mitologico, non
avveniva però casualmente ma solo dopo un particolare segnale come il colpo di un
cannone. A seguito di questo segno i soldati che proteggevano la Cuccagna si
allontanavano lasciando affluire il popolo affamato. La Cuccagna infatti, dopo essere stata
allestita (in realtà erano quattro e venivano saccheggiate rispettivamente nelle ultime
quattro domeniche del carnevale), doveva rimanere esposta per qualche giorno
all’approvazione della corte reale e all’ammirazione della massa che pregustava già il
momento dell’assalto. Come con i carri anche il saccheggio della Cuccagna richiamava
schiere di nobili che accorrevano per assistere allo “spettacolo”16.
Con il XVIII secolo il carnevale iniziò ad essere gestito e diretto sempre più
saldamente dall’aristocrazia finendo con il perdere a poco a poco le sue caratteristiche più
marcatamente popolari. Si trattava ormai di un carnevale misurato e controllato che
poggiava su forme prestabilite e che lasciava sempre meno spazio alla partecipazione
collettiva. Testimonianza di ciò furono le continue censure e i divieti che colpirono svaghi
e festeggiamenti come la soppressione delle maschere da parte della repubblica partenopea
a fine ‘70017.
La borghesia che arrivò al potere nel corso dell’ottocento non aveva più bisogno del
consenso delle classi subalterne e di un rapporto clientelare con queste ultime, come invece
era accaduto per la nobiltà appena un secolo prima. Di conseguenza iniziò a prendere le
distanze dal divertimento di stampo popolare, che venne considerato come troppo
licenzioso e osceno, e ad isolarsi nei propri festeggiamenti. Contemporaneamente le
Cuccagne del ‘700 vennero sostituite con varie pesche di beneficienza che si tenevano in
diverse piazze di Napoli. In questo modo, mentre da un lato si cercava sempre di offrire al
popolo un divertimento, dall’altro lo si frazionava nei vari quartieri della città così da
rendere i gruppi di persone partecipanti meno numerosi e più dispersi. L’atmosfera creatasi
può essere riassunta attraverso le parole di Corrado Ricci il quale, sulle pagine della rivista
l’“Illustrazione Italiana” del febbraio 1890, sottolineava come il carnevale si fosse 15 L. Barletta, La regolata licenza, cit., p. 40. 16 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., pp. 15-16. 17 L. Barletta, La regolata licenza, cit., p. 40.
6
affievolito sia dal punto di vista aristocratico che popolare “non volendo la nobiltà
mischiarsi alla plebe e mancando questa di chi sostenesse le spese delle grandi
macchine”18. Per Corrado Ricci ma anche per altri suoi contemporanei il carnevale era
come morto, finito, spogliato di tutte le tradizioni risalenti ai secoli precedenti.
Il carnevale di Napoli è riemerso solamente nel secondo dopoguerra ma con
caratteristiche ben diverse rispetto ai secoli XVII e XVIII. È un carnevale non più libero,
spontaneo; è ormai una festa strettamente legata all’ideologia dei consumi, al turismo, alla
concezione dello spettacolo come merce da vendere.
18 L. Barletta, La regolata licenza, cit., p. 43.
7
3. I CARRI E LA CUCCAGNA
Fino al 1759 il carnevale partenopeo ebbe come protagonisti principali i carri delle
corporazioni che fecero la loro comparsa nel ‘60019. Ogni corporazione era obbligata ad
allestire un proprio trionfo che veniva arricchito di cibo, personaggi allegorici e mitologici
e poi fatto sfilare per le vie della città. Giunto al Largo di Palazzo Reale20, il carro veniva
lasciato al saccheggio del popolo21. Le corporazioni che invece non intendevano costruire
il trionfo erano obbligate a versare all’eletto del popolo22 una somma in denaro che egli
stesso fissava. Durante la sfilata ogni carro era accompagnato dal corteo di maschere di
coloro che lo avevano allestito. Come abbiamo visto precedentemente, caratteristica di
questa manifestazione erano i “Cartelli dei Carri” e i “Cartelli delle Quadriglie”, canzoni
intonate rispettivamente dalle figure sul carro e dalle maschere nel corteo. Entrambi i testi
venivano stampati su fogli singoli e lanciati al pubblico. Una copia era però riprodotta su
seta e consegnata al re o al viceré23.
La sfilata avveniva in questo modo: nelle quattro domeniche del carnevale si
avvicendavano rispettivamente i trionfi del Pane, della Carne, della Caccia e del Pesce.
Ogni carro era seguito dai rispettivi cortei di maschere tranne l’ultima domenica di
carnevale in cui il trionfo del Pesce era accompagnato, oltre che dai pescivendoli, da tutte
le maschere che avevano sfilato nelle domeniche precedenti24.
Con il 1746 ci fu un primo cambiamento: i carri divennero “fissi”. Invece che essere
trasportati attraverso le strade di Napoli, i trionfi vennero costruiti direttamente nel Largo
di Palazzo Reale, e qui, giunta finalmente la domenica, sottoposti all’assalto da parte della
massa. È con il 1759 che si pervenne però ad una modifica radicale: la sostituzione dei
carri con la Cuccagna. I motivi di questo cambiamento furono molteplici: da un lato si
sarebbe trattato di una scelta dovuta ai continui incidenti che si verificavano durante la
sfilate, dall’altro alla probabile crisi economica e sociale che attraversava le varie
corporazioni. Probabilmente la vera causa è da attribuire alla politica di riforma e
19 Denominati anche “carri-cuccagna”. 20 L’attuale Piazza Plebiscito. 21 In realtà l’assalto era perpetrato dai lazzari, termine con cui venivano indicati i poveri di Napoli, e dagli schiavi del Palazzo Reale. I ceti medi potevano assistere allo spettacolo ma non prendervi parte. 22 L’eletto del popolo era nominato direttamente dal viceré fra tutti i deputati dei seggi. 23 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 14. 24 L. Barletta, Il carnevale del 1764 a Napoli, cit., p. 26.
8
centralizzazione delle attività festive portata avanti da Bernardo Tanucci, primo ministro
del Regno di Napoli e acceso oppositore del carnevale e di tutte le sue prerogative25.
La Cuccagna consisteva in una costruzione composta da ogni sorta di cibo e
rappresentante solitamente un evento mitologico. Come nel caso dei carri “fissi”, la
Cuccagna veniva allestita qualche giorno prima del vero e proprio saccheggio da parte
della massa, per dare modo al re e al popolo di ammirarla. Nella sua preparazione le
corporazioni di mestiere avevano solo una funzione finanziaria, ossia l’obbligo di versare
lo stesso denaro che precedentemente erogavano per i carri mobili. L’allestimento della
Cuccagna infatti era dato in affidamento agli architetti e agli ingegneri che vincevano la
gara d’appalto indetta dal re26. Era il re che vagliava e approvava i vari progetti pervenuti
alla corte, in armonia con una linea politica ormai tesa al controllo e alla centralizzazione
delle manifestazioni festive. Responsabile dei lavori era l’eletto del popolo che, da un lato
prendeva accordi con costruttori e architetti, e dall’altro stanziava i pagamenti, in quanto
una parte della copertura finanziaria per il carnevale era assicurata anche dalla corte27.
Le Cuccagne erano ben quattro e venivano assaltate nelle ultime quattro domeniche
di carnevale. La Cuccagna che veniva saccheggiata per ultima era anche la più costosa in
quanto più grande e più abbondante di tutte le altre. Le varie Cuccagne erano costruite nel
Largo di Palazzo Reale, luogo già utilizzato per il saccheggio dei carri mobili, poiché la
presenza del re e dei vari nobili era parte integrante dei festeggiamenti. Il saccheggio
avveniva dopo pranzo, con l’arrivo in piazza del corteo delle corporazioni. Prima
dell’assalto però venivano organizzate cerimonie in ossequio al re con canti, musiche,
danze e giochi di bandiere. Faceva parte di queste celebrazioni la lettura, sotto i balconi del
Palazzo Reale, dei “Cartelli della Cuccagna”28. I “Cartelli della Cuccagna” venivano
composti dai poeti di corte su commissione dell’eletto del popolo. A differenza quindi dei
“Cartelli dei Carri” e dei “Cartelli delle Quadriglie”, composti da autori di ceto medio e
caratterizzati dal dialetto napoletano, quelli relativi alla Cuccagna avevano uno stile
elevato. Essi celebravano il re e la sua corte sottolineando come la Cuccagna fosse un
generoso dono del sovrano; invitavano quindi la folla ad applaudire il re e a gridarne forte
il nome. Questi testi erano complessivamente quattro, uno per ogni Cuccagna. Erano
pubblicati in numerose copie e distribuiti al popolo nel corso dei festeggiamenti. Anche un 25 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 42. 26 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 16. 27 Questi stanziamenti di denaro da parte del re avvenivano anche precedentemente quando il carnevale ruotava attorno ai carri mobili delle corporazioni. 28 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 27.
9
rappresentante delle classi subalterne poteva presentarsi dinnanzi al re e recitare un testo in
suo onore. Appena tutte queste cerimonie si concludevano, il re dava finalmente l’avvio al
saccheggio per mezzo di un segnale specifico: lo sventolio di un fazzoletto. Quando nel
1774 la Cuccagna fu spostata in Piazza del Castello29, questo segno venne sostituito da un
colpo di cannone. Il trasferimento dello spettacolo non fu altro che la premessa alla sua
definitiva soppressione che infatti ebbe luogo qualche anno più tardi nel 177830.
Ma in cosa consistevano realmente queste Cuccagne? Le Cuccagne erano approntate
con materiali come tavole di legno, tende, teloni, cartapesta, il tutto adornato e rivestito da
cibo. Erano separate dal popolo tramite un recinto o un piccolo fossato riempito d’acqua
nel quale potevano nuotare anche dei pesci. Accanto a questi limiti vi era anche quello, ben
più realistico, rappresentato da una schiera di soldati che vegliavano armati. Nessuno
infatti poteva avvicinarsi alla costruzione senza l’ordine impartito del re31. All’interno del
recinto la Cuccagna si mostrava in tutto il suo splendore: giardini punteggiati di alberi e
fiori veri e di cartapesta, sentieri e strade, piccole colline coperte di verde da cui
sgorgavano fonti d’acqua che andavano a formare laghetti e piccoli ruscelli. Al centro si
ergeva poi una montagna anch’essa ricoperta di verde. In qualche spettacolo vennero
addirittura costruiti degli edifici a più piani. Qua e là erano collocate statue di legno e
cartone raffiguranti personaggi pagani e mitologici sia maschili che femminili. Tutto
questo “paesaggio” era inoltre ricolmo di ogni tipo di alimento: pane, formaggi vari,
salami, prosciutti, lardo, uova ecc.. Il cibo era attaccato ai rami degli alberi, sparso sui
sentieri, disposto lungo la montagna e le colline fino a coprirne la sommità. Accanto agli
alimenti facevano la loro comparsa anche animali vivi o morti come galline, maiali, capre,
conigli, pecore, trote, anguille. Non poteva mancare il vino che sgorgava dalle varie alture
e si raccoglieva poi in apposite vasche32.
La Cuccagna napoletana era un vero e proprio paradiso dei poveri; rappresentava il
sogno del benessere alimentare, il luogo dove il cibo era inesauribile e sempre a portata di
mano. La sua rappresentazione si ricollegava a quella fantasia popolare che nacque fra XII
e XIV secolo e che vedeva appunto nel Paese di Cuccagna o Bengodi un mondo ideale
legato all’abbondanza di generi alimentari33. In queste fantasie (che ritroviamo in molti
29 L’attuale Piazza Municipio. 30 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 18. 31 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 19. 32 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 20. 33 Massimo Montanari, La fame e l’abbondanza. Storie dell’alimentazione in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 118.
10
testi letterari di ogni zona d’Europa) il Bengodi non si limitava ad essere simbolo di
profusione di cibo ma anche di libera sessualità e di rapporti sociali ugualitari. Questi due
ultimi aspetti erano però del tutto assenti negli spettacoli tenuti nel Largo di Palazzo
Reale34. Se da una parte infatti il governo concedeva spazio ai desideri delle classi
subalterne, dall’altra li regolava e li selezionava attentamente in modo tale da frenare
qualsiasi tentativo di raggiungere la parità sociale o la libertà sessuale. Nell’assalto alla
Cuccagna la differenza dei rapporti sociali veniva confermata e sottolineata dal fatto che
solo la plebe poteva darsi al saccheggio mentre i nobili stavano ad osservare; per quanto
riguarda la sessualità invece si interveniva escludendo le donne dal “gioco”.
Un'altra caratteristica delle Cuccagne era che la costruzione doveva venir allestita per
far durare lo spettacolo il più a lungo possibile. Non solo: si cercava contemporaneamente
di renderlo più divertente. Ecco quindi che con il passare del tempo si moltiplicarono gli
ostacoli, si inserirono canali sempre più profondi, si aumentò la pendenza del monte e
l’altezza degli alberi, collocando proprio là, sui culmini più alti, gli alimenti migliori.
Nonostante questi accorgimenti, i cronisti dell’epoca descrivono come l’assalto durasse
solo pochi attimi tanta era la fame e la volontà di accaparrarsi la maggior quantità di beni
da parte della plebe. Lo spettacolo era comunque reso “divertente” dalle continue cadute,
resse, calche e ferimenti che il saccheggio di massa comportava35.
34 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 23. 35 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 33.
11
4. IL CARNEVALE DEL 1764
La rivolta popolare, il cui timore aveva sempre accompagnato lo spettacolo
dell’assalto ai carri e alle Cuccagne, prese corpo nel 1764.
Questa insurrezione ebbe però radici lontane che risalivano alla primavera dell’anno
precedente, quando piogge intense ed inondazioni avevano causato gravi danni
all’agricoltura del Regno di Napoli. La carestia che ne seguì fu devastante. Il governo,
invece che correre subito ai ripari con un’attenta politica di intervento, si limitò a dare la
colpa ai commerciati, colpevoli di non mettere sul mercato il grano necessario a sfamare la
popolazione36. Già nell’estate del 1763 sorsero le prime concitate proteste. Fu però nel
gennaio dell’anno successivo che la situazione iniziò a precipitare, quando folle immense
di persone ridotte alla fame iniziarono a spostarsi dalla provincia alla capitale. Il carnevale
del 1764 venne proprio a coincidere con questa atmosfera esplosiva.
Le Cuccagne di quell’anno furono regolarmente allestite dalle autorità mentre le altre
manifestazioni di cornice risultarono parecchio sottotono. Se infatti alcuni nobili si erano
pronunciati per la soppressione temporanea delle Cuccagne, il viceré vide proprio in questi
spettacoli l’occasione per distrarre il popolo. Le Cuccagne di quell’anno, secondo il suo
punto di vista, avrebbero poi dovuto essere ancora più sfarzose del solito proprio per venire
incontro alle esigenze della massa37. Il governo discusse al lungo circa la necessità di
questi spettacoli ma alla fine optò per la loro organizzazione. Vista la particolare situazione
le autorità avrebbero tollerato eventuali saccheggi anticipati dovuti ad un eccesso di furore
da parte del popolo. Allo stesso tempo, per aumentare il livello di sicurezza, pianificarono
un imponente schieramento di truppe. Un'altra novità fu la totale assenza di vino nelle
varie Cuccagne, in modo tale da evitare che questa bevanda scaldasse ulteriormente gli
animi38.
Come previsto la prima Cuccagna fu saccheggiata con una giornata di anticipo, ossia
il sabato. I soldati posti a presidio della costruzione, pressati da una folla sempre più
numerosa, si fecero da parte senza innescare scontri con i saccheggiatori. L’assalto però
ben presto degenerò: la massa infatti non si limitò a depredare la Cuccagna ma iniziò a
36 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 59. 37 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 63. 38 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 66.
12
distruggerla, spogliandola di ogni cosa, dalle tavole di legno ai tendaggi. I furti poi
dilagarono anche alle case e alle botteghe adiacenti il Largo di Palazzo Reale. Ci fu pure
un tentativo di penetrare all’interno del palazzo del re. Fu a questo punto che si decise di
far intervenire le truppe39. Ne nacquero subito scontri violenti, con morti e feriti, che non si
limitarono all’area circostante il palazzo del re ma che coinvolsero anche altre parti della
città. Il giorno dopo tutta Napoli era presidiata dalle truppe dell’esercito, ma una vera e
propria repressione non ci fu. Il governo infatti volle rimanere coerente con la linea di
cauta tolleranza adottata fino ad allora; anche la punizione inflitta alle 19 persone arrestate
duranti i disordini fu morbida40.
A questo punto le autorità valutarono se non fosse troppo pericoloso organizzare le
rimanenti Cuccagne. Un’ipotesi che fu avanzata nel corso del dibattito consisteva nel
trasferire gli spettacoli in un luogo lontano dal Palazzo Reale. L’immagine del re buono,
dispensatore di ricchezze e abbondanza, era però troppo importante per privarsene proprio
in questo delicato momento e l’ipotesi fu scartata. Un'altra soluzione alternativa fu quella
di rinunciare alle Cuccagne; in cambio si sarebbero abbassati i prezzi della farina durante
tutto il carnevale. Anche questa tesi però avvenne accantonata41. Alla fine si decise di
allestire regolarmente le altre Cuccagne; il governo infatti temeva che il provvedimento di
sospendere gli spettacoli avrebbe creato, nelle classi subalterne, un moto di protesta ancora
più ampio della rivolta della settimana prima. Le autorità aumentarono però
considerevolmente il numero dei soldati schierati nel Largo di Palazzo Reale e in tutti i
punti nevralgici della città. Inizialmente fu dato anche l’ordine di far fuoco su coloro che
avessero saccheggiato la Cuccagna prima del tempo stabilito ma poi si preferì una
soluzione meno traumatica. Nonostante la situazione critica e a dispetto dei pareri negativi,
i saccheggi si svolsero correttamente senza sfociare in disordini42. L’atmosfera rimase
comunque molto tesa ma ormai linea politica seguita dalla classe dirigente, che alternava
fermezza e permissività, aveva portato i suoi frutti. Evitando infatti lo scontro aperto con il
popolo, le autorità avevano fatto in modo che le masse non si compattassero contro il re.
Non solo: concedendo tutte le Cuccagne e allo stesso tempo esibendo la propria forza con
39 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 69. 40 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 72. 41 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 75. 42 L. Barletta, Il carnevale del 1764 a Napoli, cit., p. 95.
13
la presenza di innumerevoli soldati, il governo avevano convinto il popolo che, mentre il
saccheggio era licito, la protesta e la rivolta contro la corte non era permessa43.
Il 5 marzo, ultima domenica di carnevale, avvenne un episodio che segnò l’inizio di
una serie di comportamenti penitenziali da parte delle classi più povere. Circa 800 donne si
erano recate dall’Arcivescovo di Napoli chiedendo a gran voce l’esposizione della statua di
San Gennaro, protettore di Napoli44. Le donne furono accontentate ma da quel momento
processioni, preghiere e riti penitenziali anticiparono di fatto l’arrivo della quaresima. Il 7
marzo, martedì grasso, una serie di processioni, caratterizzate da persone con corone di
spine in testa e croci sulle spalle, confluirono sotto i balconi del Palazzo Reale. Giunte
sulla piazza chiesero e ottennero la soppressione di tutte le attività festive che avrebbero
dovuto aver luogo quella sera45. Le classi popolari, strette dalla morsa della fame, dalla
sfiducia nei confronti di chi le comandava e dall’abile politica del governo, avevano
trovato solo nella religione quel conforto e quella forza necessarie per resistere alle dure
prove cui erano sottoposte giorno dopo giorno.
Il carnevale del 1764 fu quindi uno dei più tribolati e infelici per la città; carnevale
che in pratica si concluse già la domenica di Quinquagesima46. A parte gli spettacoli delle
Cuccagne, che costituirono comunque motivo di forte preoccupazione, non vi furono molte
altre attività festive. Certo, si organizzarono le sfilate dei cortei delle corporazioni, la
lettura e la consegna dei vari “Cartelli” al re, i giochi e le danze precedenti l’assalto ma il
tutto avvenne in’atmosfera irreale, poco consona ai divertimenti, con una città invasa
dall’esercito e una popolazione ridotta in miseria.
43 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 82. 44 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 84. 45 D. Scafoglio, La maschera della cuccagna, cit., p. 85. 46 Con il termine Quinquagesima viene definita la domenica che precede la prima di quaresima.
14
BIBLIOGRAFIA
• Laura Barletta, La regolata licenza: il carnevale a Napoli, Messina - Firenze, D’Anna,
1978.
• Laura Barletta, Il carnevale del 1764 a Napoli: protesta e integrazione in uno spazio
urbano, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1981.
• Giovanni Ciappelli, Carnevale e Quaresima. Comportamenti sociali e culturali a
Firenze nel Rinascimento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997.
• Jacques Le Goff, Calendario, in “Storia e memoria”, 1986, pp. 400-442.
• Massimo Montanari, La fame e l’abbondanza. Storie dell’alimentazione in Europa,
Roma - Bari, Laterza, 2005.
• Domenico Scafoglio, La maschera della cuccagna: spreco, rivolta e sacrificio nel
carnevale napoletano del 1764, Napoli, Colonnese, 1981.