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IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI SERVITORE DI CINQUE PAPI A cura di Pier Giacomo Rinaldi Ceroni e Andrea Padovani

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IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI

SERVITORE DI CINQUE PAPI

A cura di Pier Giacomo Rinaldi Ceroni e Andrea Padovani

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In copertina il busto in marmo del Card. Giovanni Soglia Ceroni eseguito dallo scultore Cincinnato Baruzzi, allievo prediletto ed erede del Canova

INDICE

1. PRESENTAZIONE DEL LAVORO Prof. Andrea Padovani

2. PREFAZIONE Ing. Pier Giacomo Rinaldi Ceroni

3. BIOGRAFIA del Cardinale Mons. Giancarlo Menetti (di Casola V.)

4. BIOGRAFIA del Cardinale Mons. Carlo Grillantini (di Osimo)

5. PIO IX E IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI - FIGLIO ILLUSTRE DI CASOLA

VALSENIO Mons. Giancarlo Menetti

6. IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI – SERVITORE DI CINQUE PAPI Ing. P.G R. Ceroni

7. LA SUA GIORNATA E STILE DI VITA Ing. Pier Giacomo Rinaldi Ceroni

8. IL CARDINALE GIOVANNI SOGLIA CERONI E IL SUO CONTRIBUTO ALLA SCIENZA

CANONISTICA Prof.ssa Geraldina Boni

9. LA SUA GIORNATA E STILE DI VITA Ing. Pier Giacomo Rinaldi Ceroni

10. LA FAMIGLIA SOGLIA CERONI E LA SUA GENEALOGIA Ing. Pier Giacomo Rinaldi Ceroni

11. CASOLA VALSENIO RINGRAZIA - PER L’ALLARGAMENTO DEL SUO TERRITORIO

COME ERA ALLE SUE ORIGINI Ing. Pier Giacomo Rinaldi

Ceroni

12. CASOLA VALSENIO RINGRAZIA - PER LA COSTRUZIONE DEL CONVENTO DEI FRATI

CAPPUCCINI E DELL’ISTITUTO DELLE SUORE DOROTEE PREPOSTI ALL’EDUCAZIONE

DELLA GIOVENTU’ CASOLANA Ing. Pier Giacomo Rinaldi Ceroni

13. CASOLA VALSENIO RINGRAZIA - PER AVER PRESERVATO LA CONOSCENZA STORICA

DEL NOSTRO PAESE Ing. Pier Giacomo Rinaldi Ceroni

Casola Valsenio 19 settembre 2015

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Stemma del Card. Giovanni Soglia Ceroni

Archivio personale del Dott. Angelo Bona

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PRESENTAZIONE DEL LAVORO

Prof. Andrea Padovani Ordinario di Storia del Diritto Italiano

Facoltà di Giurisprudenza – Università di Bologna

Presentare una raccolta di scritti sul cardinale Giovanni Soglia Ceroni non è una cosa tanto

semplice.

Non lo è, per la veste che indossa, per le cariche esercitate, per gli studi compiuti e l’attività di

scrittore. L’aspetto col quale ci si presenta – diciamolo pure – è decisamente demodé. Oggi i

cardinali, come principi della Chiesa – anche per via di certe ‘Tirate d’orecchie’ da parte di Papa

Francesco – attirano scarse simpatie.

Il plurisecolare Stato della Chiesa per molti è solo un fantasma, residuato di studi scolastici

ormai annebbiati. Quanti contribuirono al suo governo, facendosi consiglieri e servitori del papa-

re, nelle memorie dei più scontano spesso la diffidenza (in Romagna anche il rancore) ispirato da

un governo quasi mai amato.

Oblio condiviso, poi, da quei tomi di diritto ai quali pochissimi e solo esperti dedicano saltuaria

attenzione. Immaginarsi gli altri, che ogni giorno hanno altre cose per la testa.

‘Sic transit gloria mundi’ ‘Così passa la gloria di questo mondo’. Gli onori resi appena ieri o l’altro

ieri oggi sono già dimenticati. Se non abiurati. Ma sotto l’abito di porpora c’è sempre un uomo,

da raggiungere e apprezzare, per quello che fa, o ha fatto. Allora Giovanni Soglia Ceroni ci

appare nella semplicità della vita religiosa, alimentata dalla preghiera che ne scandì le ore ed i

giorni. ‘Quanto uno è nella preghiera’ leggiamo nelle sue memorie ‘Tanto è nella perfezione’. Le

virtù che propone a se stesso, prima che agli altri, sono carità, amorevolezza, diligenza,

rassegnazione, silenzio. Nulla di più attuale, anche ai nostri giorni. Ne sentiamo il bisogno,

abbiamo bisogno di udire ancora queste parole e soprattutto di vederle praticate.

Il segreto della stima e della riconoscenza che il cardinale meritò anche tra gli avversari politici

risiede sicuramente nello stile di un’intera esistenza. Perché la vita interiore regge e sostiene

quella esteriore. Lasciò detto san Francesco che un uomo vale tanto quanto vale agli occhi di Dio

e niente di più. Il più è consumato dal tempo e dalla distanza.

Sono certo che – in fondo – questo fu davvero il pensiero più genuino di Giovanni Soglia Ceroni,

del cardinale, del sacerdote, del figlio di questa terra casolana che non conobbe ricchezza e

fama, ma si umile fatica, quasi sempre mal retribuita.

Accostiamoci dunque per questo verso il personaggio che insieme ricordiamo.

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PREFAZIONE

“È successo un quarantotto!”. Dalle nostre parti in Romagna, ma non solo, questa espressione sta a indicare che sono accadute cose che nessuno si sarebbe mai aspettate, cose “incasinate” se mi è permesso questo francesismo e talmente difficili da gestire che è meglio lasciarle ad altri. Il quarantotto a cui ci si riferisce è il 1848, anno sicuramente difficile per tutti i paesi europei, ma specialmente per lo Stato della Chiesa. Fu proprio quell’anno che il Card. Giovanni Soglia Ceroni, il più importante personaggio che il nostro paese di Casola Valsenio abbia mai avuto, accettò di fare il Segretario di Stato e Presidente del Consiglio su richiesta del Papa Pio IX, dopo che ben quattro Segretari di Stato si erano succeduti dal

gennaio a maggio 1948: 1) Gabriele Ferretti (1847-1848); 2) Giuseppe Bofondi (1848); 3) Giacomo Antonelli (1848) (1° mandato); 4) Antonio Francesco Orioli (1848) (ad interim); segue quindi Giovanni Soglia Ceroni (1848). Il Card. Soglia Ceroni riuscì a portare avanti il governo dello stato pontificio per cinque mesi con alterne vicende. Noi abbiamo pensato che fosse giunto il momento di ricordare, per la prima volta, il Card. Giovanni Soglia Ceroni per farlo conoscere adeguatamente ai suoi concittadini casolani, per presentare le grandi cose che

ha fatto per il suo paese e per la diocesi di Osimo di cui è stato Cardinale Vescovo, di farlo conoscere come

profondo esperto del Diritto Canonico cui diede un grande contributo per la sua evoluzione pubblicando diversi libri tradotti anche in francese e in spagnolo. Da ultimo, ma non meno importante, ricorderemo la persona che visse in momenti difficili e di grande cambiamento per la storia europea e italiana in particolare, affrontandoli sempre con umiltà, ma grande determinazione: un vero Ceroni. Forse è anche per questo che fu stretto collaboratore di cinque Papi: Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX. Il convegno del 19 settembre 2015 presso l’abbazia di Valsenio, organizzato dalla Consorteria dei Ceroni e

dal Circolo Fotografico Casolano, desidera ricordarne la figura nelle diverse sue sfaccettature e ci auguriamo che questa pubblicazione possa essere l’inizio per ulteriori approfondimenti per conoscere meglio questo grande personaggio, figlio di Casola Valsenio. Per presentare il Cardinale abbiamo raccolto documenti scritti su di lui, fatto ricerche in diversi archivi (Archivium Secretum Vaticanum, la Fondazione Campana a Osimo, la Biblioteca Comunale di Osimo, l’Archivio del Dott. Angelo Bona, pronipote del Card. Soglia Ceroni, l’Archivio di Stato di Ravenna, ecc.) e abbiamo visitato alcuni dei luoghi da lui frequentati. Pensiamo che questo lavoro riesca a presentare

adeguatamente la figura del Cardinale, ma siamo coscienti che si tratta di un lavoro parziale, perché mano

a mano che approfondivamo la nostra conoscenza sulla sua figura trovavamo altre informazioni, documenti, spunti, notizie. Ovviamente il Cardinale, quando svolgeva il ruolo di Segretario di Stato, essendo in quel momento un uomo politico, ha ricevuto anche critiche, ma di questo non ne parliamo in questa pubblicazione. Il lavoro dovrà sicuramente essere continuato per poter conoscere appieno il nostro personaggio per i contatti che ha avuto con Papi, re, uomini di stato, ambasciatori, ecc., per gli studi da lui effettuati e per tutto il bene che ha fatto.

oooOOOooo

Tutta la storia iniziò l’11 ottobre 1779, giorno della nascita di Giovanni Francesco Bartolomeo da Giovacchino e Anna Braga come possiamo leggere nel certificato di battesimo che si trova presso chiesa arcipretale di Casola Valsenio. Si può notare che, successivamente, qualcuno ha scritto in alto a sinistra

“(Card. Soglia)”.

Anno Domini 1779. Giorno undici ottobre

Io Filippo … dicto il Convento terre Casulae … … da Gioacchino e Anna Soglia coniugi

… nome Giovanni Francesco Bartolomeo

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HANNO SCRITTO DI LUI Iniziamo a parlare del Cardinale presentando lo studio (pubblicato nel N. 109 del Febbraio 1980 dal mensile casolano Lo Specchio) scritto dal compianto Mons. Giancarlo Menetti Arciprete di Casola Valsenio per oltre quarantasei anni che era indubbiamente il suo maggior conoscitore. L’articolo sul mensile fu concordato da Don Menetti con il sottoscritto durante le vacanze di Natale 1979 per ricordare la figura del Cardinale e per permettere a me, allora consigliere comunale di minoranza nel comune di Casola Valsenio, di fare una richiesta formale all’Amministrazione Comunale per far dedicare quella che era solo l’anonima “Via Soglia”,

cioè la via proveniente dal ponte della Soglia e da Casa Soglia in “via Cardinale Giovanni Soglia” per ricordare la figura del nostro grande benefattore. Fu altresì richiesto in seguito di correggere la dicitura in “Cardinale Giovanni Soglia Ceroni”, ma questo non fu concesso. Chissà che ora l’Amministrazione Comunale di Casola Valsenio non possa modificare definitivamente il nome della via.

IL CARDINAL SOGLIA

Mons. Giancarlo Menetti mensile casolano “Lo Specchio” n. 109 del febbraio 1980

Nella sua opera sulla storia Casola "Cenni Storici Sulla Vallata del Senio", Salvatore Pietro Linguerri, Notaio,

trova modo di fare una breve biografia sulla sua famiglia; meglio si sofferma a sottolineare la grave

perdita, per la gioventù casolana, del suo compianto fratello don Giovanni Antonio, pubblico Precettore di

Grammatica Superiore; oggi diremmo, un professore delle scuole superiori, il quale oltre essere un bravo

latinista era anche un lodato maestro di musica e nel tempo libero dalla scuola, istruiva i giovani al canto

nella chiesa e nel suono di vari strumenti. Aveva così fondato una "Banda Militare" che si faceva onore. I

giovani si appassionavano allo studio della musica e il bravo maestro non solo li dirigeva nelle esecuzioni,

ma componeva mottetti, messe e canti per la sua orchestra. La sua immatura scomparsa a 53 anni fu per

la gioventù casolana una gran perdita. La banda praticamente si sciolse, la scuola decadde e tutti notarono

che anche le funzioni in chiesa avevano perso molto della loro solennità. Il buon notaio, che scrive la sua

operetta nel 1829 (cfr "Cenni storici sulla Valle del Senio” per i tipi di Giuseppe Benacci – Imola) facendosi

interprete del comune rimpianto sente il bisogno di uscire in una geremiade degna di un vero

quaresimalista di un tempo: "La Patria esclama: E dove andò quella ardente virtuosa gara d'istruirvi nella

Musica, che vi rendeva amabili, e tanto brillanti? ... Posta in niun cale la musica (cari figli) solo vi

abbandonate all'ozio ed ai passatempi!" (pag.81 o.c.).

Don Giovanni Antonio era già da diversi anni che giaceva nel sepolcro dei suoi padri davanti all’altare della

Madonna del Carmine nella Chiesa Parrocchiale, era infatti spirato il 12 di febbraio del 1811, ma il suo

ricordo non si era ancora spento nel cuore dei suoi Compaesani e specialmente in quello dei suoi discepoli;

in particolare in quello di un giovane sacerdote che già avviato a una promettente carriera ecclesiastica,

non aveva dimenticato la sua Patria di origine e che faceva ben sperare che Casola avrebbe di nuovo avuto

una qualche guida por la sua gioventù. Il notaio Linguerri infatti continua:

"Ah cara madre! deponete il lutto, rallegratevi. Osservate un vostro

Figlio già discepolo di quello, che voi perdeste, come attento veglia a

riparare le vostre perdite …” (pag. 82 o.c.) Quel Figlio vigilante e

promettente rispondeva al nome di DON GIOVANNI SOGLIA. In quel

triste giorno del 12 di febbraio 1811 don Giovanni, anzi ora Mons.

Giovanni, era ben lontano da Casola, rinchiuso col Card. Pacca per una

prigionia tanto gloriosa che lo aveva accumunato alla sorte del Papa a

Savona. Al letto del suo indimenticabile maestro morente i

condiscepoli raccolsero per lui l'eredità dei suoi manoscritti, le sue

pubblicazioni poetiche; almeno quelle che si riuscì a raccogliere fra

le carte del Linguerri; più tardi infatti a Roma e a Osino le

pubblicherà. Ma procediamo con ordine. Discendente dell'antica e

gloriosa famiglia Soglia (anticamente A Solea cioè Dalla Soglia)

della quale, senza ombra di dubbio, l'attuale podere della Soglia

fu la culla, che con le altre illustri famiglie: Ravaglia, Linguerri, Berti,

Poli, Brunori, Baldassarri, Marondoli, Giacometti, Loli, Rinaldi, Ficchi,

Mita e forse qualche altra, costituiva la "Consorteria" che aveva

come suo centro ideale la Rocca di Ceruno per cui ognuna di loro

aggiungeva al nome proprio quello di Ceruno (o Ceroni), nacque a

Casola Valsenio l’11 ottobre 1779 da Giovacchino di fu Bartolomeo e

da Anna Braga figlia di Carlo Felice. I genitori, sposatisi il 24.11.1777,

avevano avuto una bimba come primogenita nata nell'agosto del 1778,

3.5.1798 Il Chierico Giovanni

Soglia, Prefetto dei Piccoli del

seminario diocesano viene

esonerato dalla carica non avendo

prestato giuramento alla

Repubblica Cisalpina

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ma morta appena ad un anno d'età: Maria Giovanna; come secondogenito ecco il nostro Giovanni che

venne battezzato lo stesso giorno della nascita dall'arciprete Don Filippo Tosi nella chiesa detta "del

Convento” cioè nella Parrocchiale attuale, (cfr atto 884 lib. battez.). Lo seguì nel 1781 la sorella Maria

Teresa (andrà sposa a Giovanni Bellini di Antonio di Palazzuolo nel 1801) poi dal fratello Domenico nel 1782

(muore l'anno dopo), quindi da Domenica nel 1784 (va sposa ad un Montevecchi e ha due figlie) poi da

Annunziata nel 1786 (andrà sposa a Casola a Giuseppe Bona di Giovanni dal quale avrà ben 10 figli - cfr

lapide in chiesa all'altare di S. Giuseppe) e infine Maria Francesca, che vivrà appena pochi giorni, nel 1789.

Il futuro cardinale viveva quindi con tre premurose sorelle nella casa Soglia all’inizio del paese in fondo agli

orti Soglia (attuale Istituto delle Suore in P.za Oriani) saggiamente e piamente educato dai genitori.

Vigilava sulla sua educazione molto anche lo zio materno Mons. Giacomo Braga che dal vescovo d'Imola:

Gregorio Chiaramonti, era stato scelto per suo segretario personale.

Di pronta intelligenza, di carattere mite e sensibile, Giovanni venne presto preconizzato prete come lo zio.

Il suo maestro di latino, appunto don Giovanni Antonio Linguerri, lo stimava come l'alunno migliore.

Giovanni entrò in seminario a Imola con un buon bagaglio di cultura e già discreto latinista; ma i suoi studi

preferiti non saranno le lettere, ma il diritto. Lo zio previdente ne pilotò la carriera: dopo pochi anni il

Soglia è all'Università di Bologna per addottorarsi in Teologia. Erano anni tuttavia gravidi di incognite per

un ecclesiastico e da oltre Alpi giungevano a tratti notizie quanto mai allarmanti. In Francia una rivoluzione

spietata travolgeva ogni vecchia concezione di vivere sociale, ma anche religiosa, col metodo più spiccio: il

terrore della ghigliottina. Le idee di un cambiamento radicale in senso democratico si facevano strada

anche da noi e a Imola, come un po' in tutte le città dell'Italia del nord, si stavano fronteggiando due

partiti: quello degli Aristocratici e quello dei Democratici detti comunemente il primo: dei Briganti e l'altro

dei Giacobini (o Insorgenti e Patrioti). Coll'avvento in Italia del Buonaparte le idee della Rivoluzione

galopparono al ritmo vittorioso delle armi francesi. Dopo la vittoria delle armate francesi sui papalini alle

rive del Senio il 1° Febbraio 1797 e col conseguente trattato di Tolentino (19 febb.), tutta la Romagna fu di

Buonaparte. Al generale Hullin, feroce rivoluzionario della prima ora, fu affidato il mantenimento dell'ordine

delle città di qua dal Po. A Imola il partito dei Briganti (o meglio un'accozzaglia di scontenti che profittavano

dei frequenti sconvolgimenti per proprio tornaconto) si fece vivo saccheggiando le case dei Giacobini. La

vendetta dell'Hullin non si fece aspettare: da Bologna marciò alla volta di Imola per metterla a sacco. Fu un

momento di terrore per tutti. Anche il nostro Soglia dovette sentire l'angoscia di quei giorni.

Fortunatamente l'Hullin incontrò al santuario del Piratello la fragile, ma ferma figura del Vescovo

Chiaramonti che tanto disse e fece da far recedere da quel disegno il comandante francese. Imola fu salva.

Eravamo nel 1799; pochi mesi dopo lo stesso Vescovo, a Venezia (14.3.1800) veniva eletto Papa col nome

di Pio VII. Il Soglia aveva allora 21 anni e già prometteva molto bene negli studi per cui dopo pochi mesi

ancora, dietro invito dello zio che a Roma seguì fedele il novello pontefice, si recò nella città eterna dove

completò con successo i suoi amati studi di Diritto e fu introdotto alla corte Pontificia. Ordinato sacerdote

ebbe presto il titolo di cappellano privato del Papa che cominciò sempre più ad apprezzarlo come bravo

giurista ed equilibrato uomo di consiglio. La carriera di don Giovanni era così assicurata con tutta

tranquillità, ma i tempi erano tutt’altro che tranquilli e dopo infiniti giochi diplomatici per i quali, sentendosi

Napoleone, da rude soldato qual era, come un elefante in un negozio

di porcellana, si servì di uomini rotti (e corrotti) ad ogni cavillosa

arte della diplomazia come Bernier e Talleyrand, attraverso

Concordati vari, si era venuti ad un precario "modus vivendi" che

cercava da parte dell'Imperatore di ricavare il massimo vantaggio

dalla Chiesa per il suo tornaconto e da parte della Chiesa di salvare

non soltanto quella potestà temporale d'uno Stato che di lì a pochi

decenni sarebbe stato definitivamente spazzato via, ma soprattutto

salvaguardare quella libertà di esercizio spirituale che l'invadente

prepotenza dell'impero napoleonico tentava senza mezze misure di

soffocare asservendo il papato all'impero. Il Papa, nel desiderio di

Napoleone, doveva essere il suo Cappellano di corte. Il Vaticano do-

veva trasferirsi a Parigi. All'ambizione di Buonaparte non dovevano

esserci limiti di sorta. Abilissimo nelle strategie militari Napoleone

fallì miseramente in questo piano, sconfitto dall'apparente fragilità di

un vecchio monaco. Pio VII era stato infatti un monaco benedettino

di Cesena e del monaco conservava tutta la mentali e l'austerità.

Intransigente nei principi, tutto dedito alla spiritualità, pronto ad

adattarsi ad ogni restrizione, ma inflessibile quando si trattava dei

cuoi doveri di Papa. Nel 1804 si cominciò a delineare quella linea

dura, da parte dell'Imperatore, che faceva preludere al peggio. Ai

vari concordati, la politica di Napoleone faceva preludere al peggio.

Nomina di Giovanni Soglia Ceroni a Cardinale nel concistoro del 17

febbraio 1839

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Ai vari concordati, la politica di Napoleone faceva seguire le applicazioni che ne svisavano essenzialmente lo

spirito. Le “Regole di esecuzione" pubblicate dal vicepresidente Melzi ne erano una prova. Il Papa protestò

energicamente (26.2.1804), ma invano. A Roma i vari giuristi, anche il nostro Soglia tra questi,

illuminavano il Papa. Il Card. Consalvi, bella figura di Segretario di Stato, guidava con perizia questa im-

proba battaglia collo strapotere dì Buonaparte. Nemmeno la presenza del Papa a Parigi per la incoronazione

dell'imperatore servì molto a rischiarare l'orizzonte. La decisione di andare personalmente all'incoronazione

costò al Papa digiuni e veglie di preghiera per essere illuminato al grave passo. Il pensiero di un maggior

bene della Chiesa a lui vecchio e malandato, fece prendere la decisione del lungo viaggio. Tanto sfarzo,

tanta polvere negli occhi, ma le cose restavano al punto di partenza. L'unico vantaggio apprezzabile per il

Papa, fu l'impressione favorevole sui francesi e su quanti l’incontrarono: è un uomo di Dio. Ma nemmeno

Napoleone riuscì a sentirsi "in mano" questo vecchio, come aveva pensato. Non lo impressionò la

magnificenza del cerimoniale, non lo impaurì la velata minaccia dei ministri dell'imperatore per piegarlo ai

loro desideri. Pio VII ritornò a Roma a mani vuote, praticamente, e tutti, Soglia fra questi, sentirono che il

futuro non riservava nulla di buono per lui. Napoleone ora mira a prendersi tutta l'Italia e non sarà certo lo

spauracchio dello Stato Pontificio a fermarlo. Incoronato a Milano re d'Italia, Buonaparte impone al clero un

suo statuto e al regno il codice civile di Francia. Al Papa rimane una possibilità: protestare; ed è ciò che fa.

Non resta che la violazione della sovranità pontificia, cosa che nel settembre del 1805 avviene puntual-

mente. Il 18 ottobre si occupa Ancona. Col pretesto di occupare Napoli, il 2 febbraio 1808 le truppe francesi

entrano in Roma senza incontrare alcuna resistenza.

I cannoni vengono puntati alle finestre della Residenza del Papa al Quirinale. E’ la fine. Anche se

apparentemente i francesi cercano di far passare questa occupazione di fatto della città come uno

stanziamento provvisorio in vista di trasferirsi a Napoli, nessuno si illude, e meno di tutti il Papa che vede

prima di tutto il suo card. Consalvi costretto a dar le dimissioni, quindi il card. Doria e Gabrielli. Anche al

card. Pacca sarebbe toccata la stessa sorte di essere allontanato dal Papa se il Pontefice in persona non lo

avesse sottratto dalle mani d'un ufficiale francese. Si mira ad isolare il Papa. Il 10 giugno 1809 su Castel S.

Angelo viene issata la bandiera francese; il Papa la guarda insieme al Card. Pacca ed esclama:

"Consummatum est!" tutto è finito. E' finito il potere temporale, è finita la sovranità su Roma, ma è rimasto

Lui, il Papa e questo è tutto. Bisogna imprigionare il Papa! Anzi, portarlo, prigioniero in Francia. Questa

prodezza non viene attribuita dagli storici direttamente a Napoleone, ma al generale di gendarmeria Radet

e al generale Miollis, ma è ben difficile convincersi che, almeno verbalmente, Buonaparte non abbia

suggerito un atto tanto grave. Fatto si è che nella notte fra il 5 e il 6 luglio 1809 scalate le mura e forzate le

porte, i Francesi entrano nello studio del Papa. E’ seduto alla scrivania e sono le dee di notte. Viene

arrestato e condotto così come si trova ad una carrozza già pronta e tutta chiusa che in gran segreto parte

per la Francia. Roma si accorgerà solo tardi che il Papa non c'è più. Col solo card. Pacca chiuso dentro con

lui, il Papa, in un caldo soffocante, è trascinato, senza alcun riguardo, attraverso il Lazio e la Toscana. Non

ha potuto portare con sè che ciò che si trovava indosso; mette la mano in tasca e trova il suo borsellino e

lo apre; dentro c'è un papotto e 22 soldi. Le soste sono rare, la corsa frenetica, il caldo insopportabile. Il

Papa soffre anche di dissenteria, ma non può fermarsi. A Poggibonsi la carrozza si rovescia e per miracolo il

Papa e il Segretario di Stato ne escono illesi. Pio VII si sente sfinito e quasi morente e supplica di essere

steso lungo il ciglio di un fosso por poter morire in pace. Tutto inutile. Il 17 agosto arriva a Savona. Sono

stati 42 giorni di corsa. La carrozza ha raggiunto Grenoble, poi Avignone, poi Arles e Nizza e infine eccola

sui in questa città scelta da Napoleone per la prigionia del Papa e qui rimarrà fino al 2.6.1811. Se ci siamo

attardati a descrivere le vicende del Papa e il suo fortunose viaggio non è stato a caso; al seguito del Papa,

con quella sollecitudine che le circostanze permettevano, giacché fu tra i primi a vivere l'esperienze della

prigionia del Papa, Mons. Giovanni Soglia, in tutta fretta si apprestò a seguirlo. Con lui c'è il cameriere

Morelli e il prelato Doria. Certo fu una concessione del generale Radet che non intuì come il Papa non

richiedesse tanto un buon Cappellano per l'assistenza spirituale del pontefice, o un segretario personale

(con ogni probabilità Mons. Giacomo Braga non si sentì in grado di poter seguire il Papa), ma piuttosto

scelse il Soglia come buon giurista per essere consigliato all’occorrenza. Dunque Mons. Giovanni Soglia,

nello stato d'animo che si può ben immaginare, scelse di servire il Papa in un momento così singolare per la

Chiesa e tanto difficile. Napoleone si riprometteva di fiaccare in questo modo l’indomito coraggio del Papa,

ma s'ingannava ancora. A Savona Pio VII vive la sua vita di prigioniero riprendendo lo stile della vita del

monaco; si rammenda i vestiti, trascorre la sua giornata nella preghiera e nella lettura. Le conversazioni

con il nostro Soglia saranno state spesso improntate ai ricordi, al tempo sereno del servizio pastorale a

Imola, della visita pastorale alla nostra valle e, perché no, anche alle notizie di Casola che lui ricordava

bene anche perché pochi anni prima di lasciare Imola per salire sulla cattedra di Pietro aveva inaugurato la

nuova canonica costruita sul terreno del mercato accanto alla chiesa "del Convento" ora parrocchiale.

Mastro muratore era stato appunto un altro zio del Soglia, fratello di Mons. Giacomo, Andrea Braga e la

canonica era risultata grande e spaziosa. Il disegno era stato fatto dall'architetto Giuseppe Magistretti e lo

stesso vescovo, ora Papa, aveva pagato per questo progetto nelle mani del Magistretti sei zecchini come

pattuito. Ma spesso, insieme col Card. Pacca, al Soglia doveva esser chiesto parere su importanti questioni

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ad ogni richiesta di Napoleone al Papa. l'Imperatore non tardò ad accorgersi che anche all'opera del Soglia

e del Pacca si doveva l'indomita costanza del pontefice e ordinò pertanto non solo l'allontanamento di

questi due dal Papa, ma anche l'allontanamento degli stretti famigliari. Mons. Soglia insieme al Cardinale di

Stato fu addirittura rinchiuso nella Fortezza delle Finestrelle in Piemonte dove rimase per parecchi mesi fino

a quando la prigionia gli fu mutata in confino. Scegliesse dove voleva stabilirsi, ma che non fosse a meno di

100 leghe dal Papa. Mons. Soglia chiese di poter stabilirsi al suo paese natale e così Casola ricevette il suo

figlio come un eroe anche se non vi furono manifestazioni di sorta; Mons. Soglia era schivo di tutto ciò e

non lo avrebbe permesso. Passò qui i suoi giorni forse più sereni riprendendo consuetudini d'un tempo,

frequentando i vecchi compagni d'infanzia ed interessandosi al problema della gioventù, che vedeva

veramente bisognosa d'un'istruzione adeguata. Sorse allora nella sua mente l'idea di dotare il proprio paese

di due Istituti, uno maschile e uno femminile, per l'educazione della gioventù. Andava intanto riordinando le

vecchie carte del suo maestro deciso a farne qualcosa, come una pubblicazione, specie di un manoscritto

del 1600 di Don Domenico Mita parroco di Settefonti che in elegante latino aveva trattato delle gesta delle

Famiglie Ceroni. Parimenti pensava di dare alle stampe un lavoro sulla concordanza dei Vangeli al quale si

era applicato durante i mesi della prigionia alle Finestrelle. A Casola tutti volevano bene a don Giovanni e

per qualsiasi consiglio a lui si rivolgevano come a sicuro amico. La sua affabilità lo rendeva accessibile a

tutti. Poi la grande notizia raggiunse anche Casola: il Papa era stato liberato! Dopo il disastro di Lipsia la

buona stella di Napoleone declinava e per riparare in qualche modo alle più grosse malefatte si diede ordine

di restituire il Papa a Roma prima che lo liberassero gli alleati. Pio VII il 2 aprile del 1814 è in Imola e

l'incontro con Mons. Soglia ha del commovente. "Hai preso parte al mio dolore, ora prendi parte al mio

trionfo”; queste, immaginiamo, le parole con cui il Papa lo salutò. Mons. Soglia lo accompagnò nel trionfo

del suo ritorno a Roma e a Roma rimase sempre accanto al Papa che, per citare citare l'espressione

dell'elogio funebre tenutogli a Casola dal Prof. Vincenzo Balestrazzi:"(il Papa) non lo volle mai più diviso da

sé; a lui l'incarico delle cose onorevoli, la fede delle difficili, il segreto delle private; intantochè neppure il

suo testamento s'indusse a segnare in fine di vita senza essere prima tranquillato da lui" (cfr. elogio

funebre 15.X.1856). A Roma svolse la funzione di elemosiniere del Papa e insegnò a lungo Diritto

all’Archiginnasio della Sapienza, ma nello stesso tempo cominciò a dar corpo anche a quei disegni per il

"bene del suo Paese che aveva vagheggiato restando confinato a Casola. Intanto ottenne dal Papa, che ne

aveva una cognizione diretta, che fossero rivisti i confini del Comune di Casola con quello di Brisighella e

questa fu una questione che tenne agitate lo due comunità dal 1815 al 1823, cioè anche dopo che con

motu proprio del 16 luglio 1816 del Papa, Casola estendeva di nuovo la sua giurisdizione fino alla Sintria.

Per ben quattro secoli infatti, Brisighella, e per lei Faenza, aveva esteso i suoi domini fin alle soglie di

Casola. Il ponte della Soglia univa i confini dei due comuni. Di là dal Senio si era già in territorio di

Brisighella e ciò con palese usurpazione, visto che le parrocchie fino alla Sintria obbedivano alla

giurisdizione del Vescovo di Imola rivelando così che anticamente era tutto territorio imolese. Brisighella si

era nel frattempo fatta un nome e una patente di nobiltà anche grazie ad illustri personaggi, cardinali

compresi, che a Roma avevano parecchia influenza; Casola invece non poteva annoverare nella sua storia

alcun nome storico di rilievo. Il Soglia sarà l'unico fino ad oggi. Anche in quel tempo Brisighella aveva a

Roma un monsignore influente: Domenico Cattani che alle prime avvisaglie di ritoccare il confine entrò in

campo come avvocato difensore del suo Comune. Si invocava lo stato di fatte di lunghi secoli, l'onore della

Comunità e tante altre vuote ragioni che non potevano far troppa prosa sull'animo di Pio VII perché, egli,

ancor Vescovo di Imola, conosceva "de visu" la situazione. Al contrario, Mons. Soglia faceva rilevare che

non solo non si sottraeva nulla a Brisighella, ma si veniva incontro allo popolazioni delle parrocchie tanto

vicine al paese di Casola per le quali l'assistenza medica, scolastica, ecc. diveniva gravosa a quel comune

per loro così lontano. Soprattutto ricordava al Papa che nemmeno a 100 metri dalla porta della Parrocchiale

si era già in territorio di Brisighella. Il campanilismo dei due paesi faceva il resto; ma il Soglia trionfò e non

solo riuscì ad allargare i confini di Casola, ma riuscì a renderla anche sede di Governatorato; uno dei tre del

Distretto di Imola, sotto la giurisdizione del quale stavano anche i comuni di Castel del Rio, Fontana e

Tossignano. Prendeva intanto accordi con vari Ordini religiosi per vedere dì istituire a Casola due Istituti per

la educazione della gioventù. La ricerca si rivelò laboriosa; più facile trovare le Suore, ma più difficile

trovare i frati. Egli pensava agli Scolopi, ma infine si orientò per i PP. Cappuccini sui quali influì decisa-

mente il Papa stesso che esortò ad accettare. La fabbrica sorse su disegno del rinomato architetto Pietro

Tomba di Faenza attorno al 1823, anno in cui la chiesa si aprì al culto. Lo stesso architetto lavorò per la

sistemazione della casa natale di Mons. Soglia con annessa chiesa che però rimase incompiuta, ma questo

dopo il 1835-40 quando morto il 1 di maggio 1833 lo zio, Mons. Giacomo Braga, egli si trovò erede d'un

podere dello stesso: gli Olmatelli ed esecutore testamentario (fra l'altro Mons. Braga lasciava ai fratelli

anche il Cardello acquistato dai Conti Compadretti; i fratelli Braga lo cederanno verso il 1855 all'Oriani

padre dello scrittore). Mons. Soglia, anzi ora S. Ecc.za il Vescovo di Efeso, giacché morto Pio VII e

succedutogli Leone XII, il Soglia era stato eletto vescovo come tutti ormai si aspettavano, aveva destinato

questa eredità e la propria casa a questo Istituto per le fanciulle del popolo. Le trattative prima facili

andarono poi per le lunghe e solo verso il 1845, quando, già insignito della porpora cardinalizia era alla

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guida delle diocesi di Osimo e Cingoli, trattando direttamente col fondatore del nuovo ordine, Mons. Passi,

trovò modo di avviare questa Istituzione per le giovani del paese sotto la guida delle Suore Maestre

Dorotee. Abbiamo accennato ai vari incarichi che ebbe via via dai pontefici: Pio VII, Leone XII, Pio VIII e

Gregorio XVI: Elemosiniere, Professore di Diritto per molti anni, Segretario della S. Congregazione degli

studi, poi di quella dei Vescovi e religiosi (1834) e infine all’età di 60 anni la cura pastorale delle diocesi di

Osimo e Cingoli, ma ancora gravi pesi dalla fiducia del Papa dovevano porsi sulle spalle del nostro buon

cardinale e questi sotto il pontificato di Pio IX, il quinto papa che egli servì fedelmente e di ciò parleremo

fra breve, ma intanto ci sia lecito ricordare come all'annunzio dell’elezione del Soglia al Cardinalato, tutto il

paese di Casola esultò per un orgoglio legittimo di veder il suo figlio migliore così elevato in dignità. Ci

furono lavori imponenti; tutta la facciata della chiesa venne messa a nuovo, il paese illuminato a festa,

infiniti spari di mortaretti. Per la sua visita, da cardinale, al suo paese, anche un pallone areostatico che si

innalzava proprio dinnanzi alla sua casa fu fra le attrattive che il paese offrì ai numerosi concittadini

convenuti per fargli festa; ma ciò che ci colpi, ma ciò che ci colpisce favorevolmente leggendo il manifesto

dei festeggiamenti, è un particolare che non può non aver fatto molto piacere al Cardinale o che addirittura

è stato suggerito da lui e cioè che il giorno dopo la festa solenne viene annunziato un solenne ufficio

funebre, con musiche varie di composizione ben nota perché sono opera dell'estinto, e l'ufficio è per Don

Giovanni Antonio Linguerri. Il discepolo non dimenticava il vecchio maestro. Il 25 luglio dello stesso anno il

Cardinale tornò a Casola per consacrare la sua chiesa dei Cappuccini e con lui c'è il vescovo d'Imola il Card.

Giovanni Maria Mastai Ferretti il prossimo futuro papa Pio IX. Conversando assieme trascorsero

piacevolmente alcuni giorni qui e il Card. Mastai ebbe modo di consigliare il Soglia sulla nuova Istituzione

che stava per sorgere. I due uomini si intendevano bene; più volte il Vescovo d'Imola s'era rivolto al nostro

Cardinale a Roma e ne aveva ben conosciuto il carattere come si può ben conoscere dal suo epistolario. In

una lettera all'amico Card. Gonfalonieri, il futuro Pio IX, in data, guarda caso, del 22 luglio 1839, scrive:

"...Il Card. Soglia è nel centro delle sue consolazioni, trovandosi in Casola. La sua mensa è aperta ogni

giorno a qualcuno; e in questo non la cede a S. Gregorio che convitava i poveri pellegrini. Sarà qui in Imola

credo per il 3 di agosto, trattenendosi pochi giorni."

Sull'amabilità del Soglia, il giudizio è unanime; sulla sua predilezione per Casola basti ancora un altro passo

dello stesso Card. Mastai che scrivendo al Polidori, suo antico amico romano, in data 4.6.1845 e cioè

appena un anno prima d'essere eletto Papa, dice testualmente: "Ho veduto l'Em.o di Osimo (il Soglia), che

mi ha favorito per breve tempo nell’Episcopio, e si è quindi diretto alla sua Casola Valsenio. Egli è in

procinto di aprire colà una scuola per fanciulle, e se ne dà tutto il moto". A Casola amava venire, specie nei

mesi estivi, per ritrovarsi fra i suoi amici e quanti di Casola lo desideravano, potevano avvicinarlo senza

difficoltà. Bonario e cordiale con tutti, aveva una predilezione: i poveri.

A Osimo lascerà infatti di sé il ricordo di un pastore premuroso che non esita, in momenti di calamità come

la carestia del 1853 e il colera del I855; a vuotar i magazzini dell'episcopio per aiutare i bisognosi. Lo

storico Cecconi, coetaneo e liberale, lo definirà "Il buon Soglia tanto amato da tutti".

Lo amavano appunto anche i liberali che sapeva farseli amici con una larghezza di vedute tipicamente

casolana. Questa apertura verso tutte le nuove aspirazioni sociali derivò probabilmente al Soglia dalla sua

dimestichezza con una delle menti più grandi del tempo: Antonio Rosmini, il quale scendendo a Roma,

amava fermarsi commensale presso il Soglia e a Osimo andò, dietro invito del Card. Soglia, per tenere una

conferenza sul Comunismo. Se esiste del Rosmini una storia su questo pensiero filosofico lo si deve al

Soglia che lo consigliò in proposito. Convinto che ormai la sua carriera era finita e contento di veder la

concludersi alla guida pastorale d'una diocesi, il Soglia si dedicò a rivedere le ristampe del suo libro di

Diritto: "Institutionum Juris publici ecclesiastici Libri tres" che stampato la prima volta a Roma conobbe,

ben cinque edizioni di cui una spagnola e una francese. A Roma era stato parimenti stampato il manoscritto

di Domenico Mita: (1634) "Ceroniae Gentis in Aemilia vetusta aliquot monumenta", che forma la base per

una successiva eventuale storia di Casola, e una vita breve di un beato, il Casolano Giovan Battista Ridolfi.

A Osimo volle dare alle stampe anche parte della produzione poetica del suo maestro Linguerri e dedica il

libretto al Card. Baluffi successore del Mastai nel Vescovato d'Imola (nella prefazione, scrive, fra l'altro, che

don Giovanni Antonio aveva già abbozzate una storia di Casola che arrivava fin verso la fine del 1700.

Anche se il buon notaio Pietro Salvatore Linguerri non ne vuol far parola, è da ritenersi che gran parte del

lavoro di questi per la sua storia, vada invece riferito alla ricerca del fratello defunto). Ma il destino che

aveva chiamato il Soglia a vivere nel più turbinoso periodo della storia della Chiesa, gli riservava ora un

altro ingrato compito. Siamo nell'anno cruciale 1848. Il nuovo Papa dopo gli entusiasmi dei primi momenti

deve ora bere il calice d'una profonda amarezza. La situazione politica determina un governo quanto mai

fragile per il quale gli occorrono uomini sicuri e bene accetti; ed ecco che al nostro Soglia vien recapitata

una lettera del 20.5.1848 e viene da Roma. Il Card. Orioli, Segretario di Stato, a nome del Papa, supplica il

Soglia di volare a Roma per accettare la carica di Segretario di Stato. Orioli è malandato in salute e non se

la sente più. Al primo momento di smarrimento, ecco subentrare quello spirito di coraggiosa donazione con

cui già un tempo il nostro Soglia aveva servito Pio VII in tempi non meno calamitosi, ed accettò. Per pochi

mesi, da maggio a novembre ricopri la carica di Segretario di Stato e di Presidente del Gabinetto Mamiani

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prima e quindi di quello che prese il nome da Edoardo Fabbri e che si chiuse per lasciare il posto a quello di

Pellegrino Rossi assassinato in novembre. Date le dimissioni il 10 novembre, Soglia rientrò alla chetichella

al suo Vescovado di Osimo; ma temendo, visto l'aria di anticlericalismo che tirava in quel momento, un

qualche insulto da parte liberale, ritenne opportuno fermarsi nella villa di campagna, fuori città. Appena in

Osimo si seppe che il Cardinale era tornato una schiera di cittadini, capitanata dai liberali stessi, venne a

prelevarlo con le loro vetture alla parola d'ordine: "Il Cardinale non si tocca!". Anche gli avversari

riconoscono al Soglia onestà di condotta e fedeltà al Pontefice. Aurelio Saffi (cfr Ricordi e scritti. Barbera.

Firenze 1893, vol II pag.300) dice che il Card. Soglia era ciecamente legato al Papa, e Luigi Carlo Farini

(cfr. Lo Stato Romano dall'anno 1815 al 1850. Torino, Ferrero e Franco, 1851, vol II pag 164 e ssgg.) dice

che il Papa scelse il Card. Soglia "... uomo di singolare virtù cristiana ... vissuto lontano dalle pubbliche

beghe, chiarissimo esempio di buon sacerdote. Pio IX sceglieva il Card. Soglia siccome uomo che esso era

da obbedire ministro a lui Principe con la stessa abnegazione e volontà con cui in qualità di vescovo, era

tenuto ad obbedire a lui Papa". Troppo poco tempo Soglia restò al governo per poterne stilare un giudizio,

ma ci piace accettare quello dì Carlo Grillantini di Osimo, storico: "Finalmente, ma per poco tempo, a Pio IX

era toccata la sorte di aver un Segretario degno di Lui".

Gli ultimi anni della vita del Soglia furono spesi per il bene della sua Diocesi. Curò di dotarla di un buon

seminario, di un buon Ospedale per vecchi, restaurò le cattedrali e curò l'istruzione religiosa del suo

gregge. La morte lo colse nella notte fra l'11 e il 12 agosto 1856 nella sua villa di campagna. Fu portato

come in trionfo a Osimo e qui sepolto nella cattedrale tra il rimpianto di tutti.

Casola gli tributò solenni onoranze funebri il 15 ottobre 1856, ma tutto finì lì. I tempi non erano certo i più

propizi per far monumenti a un membro del collegio cardinalizio e si passò tutto sotto silenzio; nemmeno la

via che unisce le due opere del Cardinale: il Convento dei frati e le suore venne a lui dedicata.

oooOOOooo

Dall’Archivio Segreto Vaticano riportiamo la minuta della circolare che annuncia la nomina del Cardinale Soglia Ceroni alla carica di Segretario di Stato e, di seguito la stessa circolare stampata. Si possono notare

le correzioni apportate di suo pugno dal Cardinale. La lettera di Pio IX che accetta le dimissioni da

Segretario di Stato (Arch. Campana – Osimo)

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L’articolo che segue, scritto da Mons. Carlo Grillantini di Osimo nel 1974, oltre a parlarci delle attività del nostro Cardinale sottolinea le sue iniziative nella diocesi di Osimo e Cingoli ed i suoi rapporti con la

popolazione locale.

IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI VESCOVO DI OSIMO, SEGRETARIO DI STATO DI PIO IX

Mons. Carlo Grillantini Professore nel Seminario di Osimo

L’anno forse più difficile di tutto il lungo Pontificato di Pio IX è, crediamo, il 1848. Poiché proprio in quei

particolari momenti il grande Pontefice ebbe dal Soglia la collaborazione nel Governo della Chiesa e dello Stato Pontificio, riteniamo opportuno parlare in queste pagine anche di lui, concorrendo la sua opera e la sua figura a illuminare indirettamente l’opera e la figura di Papa Mastai. Non fu un fatto occasionale che avvicinò i due personaggi. Il Soglia era da lunghi anni addentro nella Curia Romana, fino dall'inizio della sua vita sacerdotale, per una serie di vicende che merita di essere fatta conoscere.

Sua patria fu Casola Valsenio, in Romagna, dove i suoi antenati erano stati signori dell’antichissimo castello di Ceruno, da cui derivarono il cognome di Ceroni. Essendosi poi la discendenza diffusa in più luoghi e in più ramificazioni, ognuna di queste - per distinguersi aggiunse al primitivo altro nome, derivato a sua volta dal luogo della nuova residenza. Cosi, dalla Soglia presero il secondo nome i più prossimi ascendenti dei futuro Cardinale, i quali - oramai in condizioni economiche non troppo floride erano tornati a stabilirsi nella patria degli avi. Giovanni Soglia Ceroni nacque l’11 ottobre 1779. L’ambiente domestico profondamente religioso e il fatto di

aver potuto ricevere in patria un buon avviamento agli studi classici con ampio spazio alla lingua latina, fecero si che lo zio materno D. Giovanni Braga, Segretario dell’allora Vescovo di Imola Barnaba Chiaramonti, fissasse gli occhi su di lui e lo chiamasse poi a sé per fargli continuare gli studi in quella città, e completarli poi a Bologna dove il giovane conseguì la laurea in Filosofia. Frattanto, avvenuta la elezione del Chiaramonti a Pontefice con il nome di Pio VII (14 marzo 1800) e trasferitosi a Roma anche il Braga, questi fece venire anche il giovane nipote perche potesse addottorarsi in Teologia e Diritto e poi, ordinato Sacerdote, trovarsi presso il Papa.

Ed ecco il Soglia fino da quegli anni in mezzo alle burrascose vicende cui l’invadenza napoleonica riportava la Chiesa, dopo quei pochi anni di apparente tranquillità che trascorsero dalla morte di Pio VI (29 agosto 1799) e che furono segnati dal Concordato (1801) e dalla incoronazione di Napoleone (2 dicembre 1804). Già i famosi articoli organici avevano incominciato a intorbidare nuovamente le acque; e le cose andavano avanti alla men peggio a furia di imposizioni e di concessioni, fino a che l’Imperatore - non avendo potuto ottenere dal Papa che il porto di Civitavecchia fosse chiuso alle navi inglesi contro cui il despota aveva

decretalo il blocco - proclamava (27 maggio 1809) l’annessione all’impero di tutto lo Stato Pontificio. Alle proteste di Pio VII seguiva (6 luglio 1809) la deportazione di questi a Savona. II Soglia ebbe il pesante

privilegio di essere scelto tra i pochi cui fosse permesso di seguire il Papa (1), fino alla città ligure. Poté così, insieme con il Card. Pacca, rendere meno difficile e meno dura al deportato quella segregazione: incoraggiando, confortando, consigliando anche, il Pontefice che doveva ogni giorno difendersi dalle infinite incombenti pressioni. Ma questa benefica presenza, presso il Papa, dei due uomini i quali tra l’altro gli preparavano quella corrispondenza che i carcerieri permettevano, non poté durare più di diciotto mesi. La

vigilante polizia addetta alla custodia del Vegliardo riferiva in alto quanto danno ne subissero gli interessi e

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le ambizioni dell’Imperatore; e sul finire del 1810, tanto il Pacca quanto il Soglia furono allontanati e

racchiusi nella fortezza di Fenestrelle (2). Segui anche un processo al Soglia, il quale ne uscì assolto ma a condizione che prendesse residenza a non meno di cento leghe da Savona. Ed egli allora rientrò alla sua Casola Valsenio. Ma quella segregazione di Fenestrelle non fu impiegata dal Nostro in vani scoraggiamenti o recriminazioni;

gli fu preziosa invece, perché durante quel periodo egli scrisse la Concordia evangelica, un lavoro che, precedendo quello del Patrizi, avrebbe potuto tornare grandemente utile agli studiosi e oratori sacri, se le susseguite vicende dell’autore gli avessero permesso di darlo alle stampe. Oggi quel manoscritto giace nell'Archivio del Seminario Campana di Osimo, cui per disposizione testamentaria passò dopo la morte dell’autore. Frattanto le sorti della lotta tra Napoleone e il Papa avevano preso ben altro corso. La catastrofe della spedizione in Russia indusse l’Imperatore a più miti consigli. II 19 gennaio 1813, nell’incontro a

Fontainebleau - dove da tempo il Papa era stato tradotto - Napoleone ridava a Pio VII la libertà; e, dopo vicende burrascose che qui è fuor di luogo ricordare, e solo dopo la sconfitta di Lipsia (16 ott. 1813) a Pio VII fu possibile prendere (20 aprile 1814) il suo viaggio di ritorno verso Roma. Il Soglia non poté più

trattenersi dal corrergli incontro; e, a metà maggio, era ai suoi piedi nel passaggio per Radicofani. Continuò il viaggio con il Papa; e, fungendo da crocifero, poté assistere a tutte le dimostrazioni che i vari centri abitati prodigavano al Reduce lungo il resto di quel movimentato viaggio. Da allora il Soglia è il braccio

destro di Pio VII; non solo suo confidente ma suo messo e suo rappresentante ogni qual volta il Papa non può muoversi o ricevere. Frattanto prende a insegnare Diritto nell’Archiginnasio Romano; e furono quasi tutti suoi allievi i più eminenti dignitari ecclesiastici che immediatamente gli succedettero. E’ da ricordare tra gli altri il Card. Giovanni Brunelli che Pio IX gli diede come successore (1856) nelle sedi di Osimo e Cingoli. Pure preso da tanti incarichi e uffici, il Soglia trovò tempo e modo di attendere a varie attività di quella che potrebbe dirsi la sua vocazione di benefattore e di scrittore.

Mentre da un lato faceva sorgere un nuovo convento francescano (1820) costruendovi anche una ricca Chiesa (1823) e dava vita a un monastero perché le suore provvedessero alla educazione delle giovanette, dall’altro lato raccoglieva e pubblicava delle memorie sulla sua terra natale, dava alle stampe un volumetto composto dal suo conterraneo Domenico Mita, letterato vissuto a cavallo tra il sec. XVI e XVII (3), contenente memorie della famiglia Ceroni; componeva poi egli stesso in lingua latina la vita di G. Battista

di San Bernardo vissuto dal 1588 al 1621 (4) e si prendeva cura di dare alle stampe alcune composizioni latine in metrica del suo maestro Antonio Linguerri (s).

Avvenuta la morte di Pio VII (che solo dopo l’approvazione del Soglia firmò il suo testamento), fu da Leone XII (1823-1829) invitato a stendere la traccia della Bolla Quod divina sapientia con cui si istituiva la nuova Congregazione degli Studi suggerita per primo e caldeggiata dal Nostro, e quindi nominato Segretario della medesima. E che la cultura del Soglia non fosse solo letteraria e giuridica ma anche storico-sociale, lo dimostrò con la sua lunga costante amicizia con il Rosmini, che lui stesso invitò a tenere in Osimo una conferenza sul

Comunismo e che ebbe addirittura suo familiare nel tempo in cui entrambi risiedevano in Roma (1848). Da questa consuetudine, certo, il Soglia apprese quella maggiore apertura che gli permise - come vedremo - di tenere verso gli uomini e gli avvenimenti di quegli anni un atteggiamento tanto più comprensivo e tollerante di quanto non ne tenessero gli altri suoi colleghi nell’Episcopato. Eletto Arcivescovo di Efeso, ebbe l'ufficio di elemosiniere segreto, giudicato dallo stesso Leone XII l’uomo adatto per il posto adatto. Passato come un meteora il Pontificato di Pio VIII (1829-1830), nuove incombenze caddero sul Soglia. Promosso da Gregorio XVI (1830-1846) Patriarca di Costantinopoli, fu eletto Segretario della

Congregazione dei vescovi e regolari, consultore di quella degli affari ecclesiastici straordinari e delle altre dell’Indice e del S. Offizio. Era la via aperta per la porpora. E infatti, preconizzato ma riservato in pectore nel concistoro del 12 Febbraio 1838, fu pubblicalo in quello del 18 febbraio dell’anno seguente, e insieme provvisto delle Diocesi di Osimo e Cingoli delle quali prendeva possesso il 25 marzo 1839. Il Soglia inizia il suo ministero pastorale a sessanta anni. Età non più giovane, ma nemmeno troppo avanzata per una missione che - se non deve mancare di dinamismo - deve pur esser guidata da esperienza di uomini e cose, e moderata da quella prudenza che trattiene dai passi falsi. D’altra parte,

quando si è sani, a quell'età si possono prendere ancora iniziative coraggiose e portarle innanzi tanto da dar loro quell'avvio che altri potranno seguire e perfezionare. Tutto questo si avverò nelle due Diocesi durante il non breve periodo (1839-1856) dell’episcopato del Nostro. Suo primo pensiero fu provvedere al bene spirituale dei suoi fedeli. Cominciò con il far tenere (1840) una memorabile missione dal Ven. Vincenzo Palloni. Poi, da un lato, dà il massimo incitamento alle Scuole catechistiche per i figli del popolo (e fa stampare apposta una nuova edizione del Catechismo del

Bellarmino) (6), costituisce poi le Conferenze di S. Vincenzo (1843) a cui affianca la sezione diocesana dell'opera della Propagazione della Fede, e rinnova le severe disposizioni dei suoi predecessori contro la

bestemmia. Completa questi indirizzi con l’appoggiare e finanziare la istituzione di scuole notturne per gli adulti analfabeti. Dall'altro lato, si preoccupa del clero e della vita religiosa. Per i giovani del Seminario traccia nuovi indirizzi alle scuole (7) e dà loro, per i più avanzati negli studi, una nuova grammatica latina (8), compone e fa stampare un trattato di Diritto pubblico (9). Ne uscirono quattro edizioni in Italia (1843, 1845. 1846, 1850) e una in Spagna (1854) e un trattato di Diritto privato (10). Ancora; avendo trovato

boccheggiante l’Accademia dei Risorgimenti - già celebre dalla fine del Seicento sotto il nome di Sorgenti, e

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risorta per alcuni anni sul fine del Settecento con il nuovo nome - la ravviva con aggiornati regolamenti e

con renderne più frequenti le tornate, cui partecipa con assiduità. Non gli sfuggono le esigenze della gioventù femminile, e acquista un palazzo per una comunità di suore cui affiderà l’incarico di far funzionare un educandato. Completa questa attività spirituale con il dare più severe disposizioni per l’osservanza delle norme circa gli obblighi di Messe e il funzionamento dei Lunghi Pii.

Alla cura per i valori dello spirito aggiunge quella per i beni temporali, del frutto dei quali deve servirsi per l’opera pastorale. Così, provvede alle bonifiche dei fondi rustici, al rinnovo e ampliamento delle case coloniche, all'acquisto di altri poderi; ed è di esempio e stimolo ai proprietari terrieri per far disciplinare i corsi delle acque già cosi fatali per il nutrimento dei coloni, cui non soccorrevano altri mezzi di vita che i loro raccolti. Questo rifiorire del reddito terriero gli dà modo di compiere ampi lavori di restauro e ampliamento (per la verità, non troppo indovinati dal lato artistico) della sua dugentesca Cattedrale. Le alte relazioni gli diedero modo di compiere una straordinaria opera di carità cui altri non avrebbe potuto

nemmeno pensare: quella di dotare e ampliare l’Ospedale civile e l’Ospizio dei vecchi, trovati entrambi in condizioni pietose, approfittando di un’occasione che allora solo si presentò. Il Soglia è al corrente che a Roma il Papa, a mezzo di una società di Principi romani, aveva fatto riscattare

con la somma di 3.750.000 scudi tutti i beni dell'Appannaggio (11) di cui notevole parte era nei confini della Diocesi di Osimo, e che al riscatto sarebbe seguita la vendita a Enti di pubblica utilità. Egli intervenne facendo si che tutta la parte osimana passasse in proprietà del Comune. Ospedale e Ospizio facendosi

garante lui per tutti, per una somma di 400.000 scudi. I detti Enti poterono cosi entrare in possesso della parte che ciascuno volle, rimborsando solo la relativa quota di spesa. Offertagli dai venditori stessi la somma di 2.000 scudi per l’operazione compiuta così vantaggiosamente anche per loro, il Soglia la divise a metà tra il Seminario e l’Ospedale; e l’uno e l’altro poterono rinnovare impianti e servizi (12). Questo rilevante cumulo di attività che da sole avrebbero largamente caratterizzato un episcopato, non è ancora tutto se si tien conto di un'altra forma di attività svolta dal Soglia nel campo sociale e in certo modo politico, nel quale - data la eccezionalità dei tempi - venne a trovarsi e a operare. Il memorabile 1848 è

proprio al centro del corso del suo ministero; pertanto tutti gli anni precedenti vivono di quel fermento, e i successivi delle sue conseguenze. Il Soglia ebbe allora modo di rivelare in pieno tutta quell’apertura della sua mente e tutta la magnanimità del suo cuore, di cui abbiamo parlato. Dovremo limitarci a ricordare gli avvenimenti di maggior rilievo. Come in tutto le maggiori città dello Stato Pontificio, anche in Osimo l'attività della Carboneria sotto il

governo di Papa Gregorio era molto estesa, anche se molto nascosta. Un elenco dei carbonari osimani lasciatoci da uno scrittore che ne ha conosciuti la maggior parte ci fa sapere che essi assommavano a ben

ottanta. Ma il 90 pei cento di essi erano dei carbonari un po' a modo loro: solo desiderio di riforme, e nemmeno in tutti la spinta verso l’unità nazionale: i più, cattolici anche praticanti. Ed ecco perché tra gli stessi figuravano i migliori della nostra Nobiltà e anche qualche elemento del clero. Il Soglia lo sapeva e, avendoli ben pesati - si regolava come non lo sapesse. Aveva anche notato che i più capaci di loro erano a capo del rinnovamento urbanistico e economico della città. Quando nel 1845 la Commissione militare per la Romagna estese fino alla delegazione di Ancona la sua

inchiesta per colpire i sospetti, e in Osimo aveva compilato una lunga lista nera, quei commissari non poterono non recarsi a fare omaggio al Cardinale, prima di ripartire. Il Soglia domandò se avessero fatto un buon lavoro; e, come gli presentarono quella lista, egli vi diede una scorsa poi se la mise in tasca dicendo di riferire a Roma che egli rispondeva per tutti quei nomi. Non c'è bisogno di dire come gliene fossero grati tutti quanti riuscirono a evitare perquisizioni, fermi e tutto il resto. Questo gesto, subito conosciuto un po’ dovunque, valse a creare attorno al Cardinale un'atmosfera di simpatia che gli permise di superare facilmente in seguito tutte le più aspre difficoltà cui il succedersi degli eventi politici lo avrebbe fatto trovare

di fronte. Nel 1846 ci fu in Osimo un tumulto causato dalla paura che una certa spedizione di grano all'estero potesse arrecare la fame nel popolo. Era una paura provocata da mestatori: il Cardinale diede ordine ai parroci di parlar dall’altare per ricondurre la calma. E ciò in collaborazione con quegli uomini da lui salvati, i quali per tutta la notte percorsero le vie della città perché i male intenzionati non approfittassero della buona fede del popolo suggestionato. Il 1846 è anche l’anno della elezione di Pio IX. Nel numero precedente di questa rivista abbiamo parlato di

quanto in quell’occasione fece il Soglia. Non ci ripeteremo. Quando poi, nell’ottobre del 47, si svolsero in Osimo grandi feste per il primo anniversario dello Statuto concesso da Pio IX, attorno al nostro Cardinale si radunarono il fiore della cittadinanza e il popolo, perché le manifestazioni fossero degne della circostanza. Ci rimane, di quelle feste, l’originale di una fervida epigrafe dettata dal Prof. Giuseppe Ignazio Montanari, chiamato già dal Soglia a insegnare nel suo Seminario e Collegio Campana, e che era uno di quei tali indiziati.

Il 1848 fu per il Soglia l’anno della prova del fuoco, sia per quanto dovette vedere in Osimo sia per quanto gli capitò in Roma. In Osimo si lavora per partecipare alla guerra contro l'Austria. Fino a che si aprono le

sottoscrizioni per armare l’esercito e si arruolano volontari - e molti, all’inizio, sono convinti che si tratti di aiutare la Civica - il Soglia invia del suo centocinquanta scudi e fa far delle collette nelle chiese. Ma poi avviene il sottosopra. Il Piemonte dichiara la guerra all’Austria e i patrioti si illudono che il Papa li appoggi. Quando però l’allocuzione del 29 aprile disilluse tutti e in ogni parte dello Stato Pontificio seguirono dimostrazioni non sempre contenute, in Osimo quella tale atmosfera di cui sopra parlammo impedì che si

elevassero proteste clamorose. I volontari partirono ugualmente; a sua volta il Cardinale lasciò fare.

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Quando poi venne la scomunica per quanti avevano partecipato alla Costituente Mazziniana, il Soglia che

sapeva rendersi conto della irreversibilità della situazione ormai creatasi, consigliò perfino i parroci a non insistere troppo nei loro discorsi su questo argomento. Ma già nel maggio di quello stesso anno Pio IX vuole il nostro Cardinale come suo Segretario di Stato, perché lo aiuti ad affrontare le previste e prevedibili burrasche. Solo dopo le autorevoli e insistenti

preghiere del Card. Orioli, il Soglia si rassegna ad accettare. Segue il Breve di nomina datato 4 giugno 1848. Nei nostri archivi non abbiamo, come è logico, documenti riguardante l'attività del Cardinale per quei sei mesi che vanno da questa data al 10 dicembre 1848 (giorno in cui Pio IX accettò le dimissioni), e durante i quali il Nostro costituì prima un Ministero proprio e partecipo poi a quello che prende il nome da Pellegrino Rossi e che si chiuse tragicamente il 15 novembre di quello stesso anno. Ma c’è un fatto che non dappertutto è noto, pur essendo documentatissimo, e che vale a sfatare le calunnie della stampa liberale di

allora e ripetute volte: che il Papa in quei frangenti chiamasse in aiuto le forze straniere per farsi difendere il potere temporale. Oltre le proteste ufficiali del 18 luglio e del 6 agosto firmate dal Soglia, c’è la lettera che egli medesimo indirizzò al Card. Marini Legato in Ferrara, datata 8 agosto 1848, con la quale si invita il

Legato stesso a recarsi con l’osimano principe Annibale Simonetti - allora ministro delle Finanze di Pio IX - al campo del maresciallo austriaco Welden, per «domandargli i motivi della occupazione della parte settentrionale dello Stato Pontificio, e con parole decise e ferme imporgli di lasciare affatto libere le terre

occupate». Non se ne fece nulla. Ma tanto l’Austria sentì l’asprezza di quella intimazione che, quando il 2 luglio dell’anno successivo passò per Osimo il generale Wimpffen che aveva fatto capitolare Ancona, questi - pur dovendo passare sotto il balcone del Cardinale, che oramai era rientralo in Osimo - non alzò neppure lo sguardo, e tanto meno si sentì in dovere di andare ad ossequiarlo (13). Ricordativi durarono a lungo nella memoria dei nostri vecchi i due episodi che seguirono al rientro del Soglia in Osimo dopo l'assassinio del Rossi e la fuga del Papa a Gaeta. Egli rientrò alla chetichella; ma, nel timore di accoglienze tutt'altro che benevole da parte degli scalmanati, anziché andare al palazzo di città

prese residenza in quello di campagna. E gli avvenne allora una cosa che lo consolò grandemente: quei tali che tre anni innanzi egli aveva salvato dalle unghie dell’inquisitore e che ora dominavano la situazione, passarono ai più fanatici la parola d’ordine: il Cardinale non si tocca! E con le loro vetture andarono a rilevarlo alla casa di campagna e lo accompagnarono festosamente in Episcopio. II secondo episodio segui poco dopo, quando - caduta la repubblica di Mazzini e occupate le Marche dagli Austriaci - i reazionari

minacciarono di denunciare Zenocrate Cesari, Segretario Comunale di Osimo, il quale pur avendo preso parte quale deputato alla Costituente romana aveva rioccupato l'ufficio di Segretario in Comune. Il

Cardinale seppe del pericolo che incombeva sul Cesari; e, nel fargli tenere la comunicazione dell'Autorità che lo convocava in Ancona al redde rationem, gli fece dire a voce che avrebbe fatto meglio a... tagliare la corda (14). E il Cesari scappò subito in Piemonte, rientrando solo al seguito delle truppe del Cialdini, 11 anni dopo. Rientravano frattanto, fino dai primi di giugno del 49, gli sbandati delle forze repubblicane delusi e timorosi. Ma le braccia paterne del Soglia non tardarono ad aprirsi per il perdono e il recupero delle pecorelle

smarrite. E l’accoglienza patema fu una vera benedizione, perché molti di quei giovani - certo, non tutti - già presi dai troppo facili entusiasmi, si ricredettero e ripresero la tranquilla vita di un tempo. Chiuderemo ricordando gli ultimi più notevoli episodi. Il 1853 fu un anno di grande carestia; il Cardinale, oltre impegnare l’opera caritatevole dei parroci, aprì e fece del tutto vuotare i capaci e ben fomiti magazzini del suo episcopio. Nel 1854 infierì nei dintorni e in parte anche in Osimo uno spaventoso colera. E il Soglia ripetette, nelle forme dei tempi moderni, molti di quei gesti per i quali è rimasta grande la figura di S. Carlo Borromeo. Le disposizioni testamentarie furono degne di tanta vita. Tutto in donazione, di quanto il

Cardinale aveva a disposizione. In particolare; tutti i suoi libri al Seminario, ventimila scudi all’Ospizio pei poveri vecchi; e alle due Cattedrali i servizi preziosi dei suoi pontificali: quello in argento alla Cattedrale di Cingoli, e alla Cattedrale di Osimo quello in argento dorato, lavoro artistico di oreficeria contenuto in un prezioso cofano di cuoio bulinato in oro, opera del 700. I più eloquenti elogi funebri sono racchiusi nelle parole del ricordato Cesari; rimarrò obbligato per sempre al nostro Cardinale, e in quelle dello storico Cecconi, contemporaneo e liberale: il buon Soglia tanto amato da tutti (15).

Finalmente, ma per troppo poco tempo, a Pio IX era toccata la sorte di avere un Segretario degno di lui. (1) C. BOTTA, Storia d'Italia, lib. 24, anno 1809. (2) B. PACCA, Memorie, parte II. cap. IV. (3) D. Mita Gentis Ceroniae in Aemilia, vetusta aliquot monumenta, Romae, De omanis 1827 (4) De vita Johannis Baptistae a S. Bernardo Monachi Fuliensis commentarius, Romae 1831 (5) A. Linguerri, Latina carmina, Laureti 1846 (6) Dottr. Crist. Composta dal Card. R. Bellarmio, Ancona, Aurelj, 1843 (7) Lettera Pastorale, anno 1841, Loreto, Rossi (8) Studiis Ven. Seminarii Auximi regundis leges datae, Laureti, Rossi, 1844 (9) Institutiones iuris publici ecclesiastici, Tomus I et II. (10) Institutionum Juris privati ecc. libri tres. Anconae, Aurelj, 1854; Parigi, A. Courier, 1855 (11) Fu detto Appannaggio tutto quell’insieme di proprietà immobiliari che Napoleone re d’Italia assegnò al suo figliastro

Eugenio Beauharnais quale vicerè d’Italia. Si trattava quasi esclusivamente di beni tolti agli Ordini religiosi già soppressi dalla rivoluzione. Avvenuta la Restaurazione, il Governo Pontificio non provvide ad incamerarli; e pertanto essi rimasero in proprietà del vicerè e dei suoi eredi, i principi di Leuchtemberg. A un certo momento sembrò che

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questi avessero delle velleità di una ricostituzione del bonapartismo. E allora lo Stato Pontificio provvide a comperarli in blocco.

(12) G. I. Montanari, Elogio funebre del Card. Soglia, Ancona, Aurelj, 1856 (13) C. Grillantini, Storia di Osimo, 2a ediz. Pinerolo, Cottolengo, 1969. II vol., p 669 (14) E. Costantini. Il decennio di occupazione di Ancona, Ancona, Commercio, 1916. (15) Lo si crederebbe? Il più bel quadro a olio che ci tramanda le amabili sembianze del Soglia, e per il quale egli deve

pur aver posato più volte, gliel'ha fatto l’osimano Vincenzo Rossi (uno degli 80...) che dopo il 1860 fu uno dei primi sindaci della città e ospitò nella sua stessa casa la prima loggia massonica locale.

APPENDICE: DOCUMENTI INEDITI

dalle Memorie Autobiografiche (inedito) del Comm. Andrea Bonfigli, Gonfaloniere di Osimo (Archivio Comun. di Osimo, reparto Manoscritti) (p. 486). (fine ottobre 1848)

« (Il Card. Ferretti) … mi confidò pure che il Papa si era fitto in capo di creare Cardinale Rosmini, che

io di fatto vedevo spesso dal Card. Soglia, ma che la maggioranza dei Cardinali era decisamente contraria a

cagione della suo Opera sulle piaghe della Chiesa e che si erano messi d'accordo ed avevano fissato di non cavarsi lo zucchetto quando il Papa avesse preconizzato in concistoro il novello Porporato ed avesse interpellato il Sacro Collegio con la solita formula: Quid vobis videtur?

Io non so se il Papa si lasciasse imporre dalla contrarietà dei Cardinali o ne sia stato distolto da qualche altra combinazione; è un fatto che la promozione di Rosmini era risoluta e non ebbe più luogo... ».

LETTERA DEL CARD. ORIOLI AL CARD. SOGLIA (1)

Em.mo mio Padrone ed Amico Nelle attuali circostanze della Chiesa e di Roma l'Em.za V.ra può fare un bene infinito, se accoglierà

benignamente le umili ed affettuose mie preghiere, o piuttosto se aderisca ai vivi desideri del comun Padre e Signore. Io ho fatto il sacrifizio di accettare per poco tempo la Secreteria di Stato, peso superiore alle mie forze fisiche e morali, e tiro il carro anche con grave discapito della mia salute. Fu detto durante l'assenza dell’E.mo Ciacchi: ma questi ha supplicato di esserne dispensato, e di lasciare ancora la Legazione di

Ferrara, allegando lo stato infelicissimo di sua salute, e il S. Padre ha creduto di accordargli l'implorata

grazia. E.mo mio Signore ora ci vuol quel complesso di qualità assolute e relative, che sono di pochissimi, ma che si trovano in V. Em.za Dunque un'occhiata a Dio, alla coscienza, alla Chiesa, a Roma.

Io ebbi la fortuna di procurare alla Chiesa di Osimo un ottimo Vescovo in vece mia, poiché non avrei potuto adempiere i sacri doveri. Io voglio ora abbandonarmi alla dolce speranza di lasciare il campo aperto a chi sarà eccellente per ogni riguardo nel disimpegnate l'alto uffizio, a cui interinamente sono stato chiamato.

V.ra Em.za anche da Roma può governare bene le sue diocesi dalle quali poi potrebbe, cosi volendo, non fare una lunga assenza. Il S. Padre aggradirà sommamente una favorevole e pronta risposta, ed io mi riputerò fortunatissimo di portargliela. Accolga intanto, Em.mo mio Signore, le affettuose promesse di quella profonda venerazione, con cui io bacio umilissimamente le mani di V.ra Em.za.

Roma, 20 Maggio 1848. U.mo, D.mo Servitor Vero ed Amico

F. Af. Card. ORIOLI

(1) Questo e i successivi documenti qui riportati si trovano nell’Archivio Comunale di Osimo.

RISPOSTA DEL CARD. SOGLIA AL CARD. ORIOLI

Em.mo e Rev.mo Signor Mio Osservantissimo

Piacendo a Dio partirò nel prossimo martedì corr.te alla volta di Roma per essere costì prima che

termini la settimana. Se non vi sarà modo di liberarmi da un peso troppo superiore alle mie forze, farò la volontà del S. Padre, tenendo per fermo di fare la volontà di Dio, e questo sarà l’unico mio conforto in qualunque evento. Scrivo qualche altra cosa a Terenziano pregandolo di rispondermi a Foligno.

Intanto non dirò di più a Vostra Eminenza riservandomi di dirle tutto il resto a voce. La prego a mettermi ai piedi di Sua Santità implorandomi l'Apostolica Benedizione, e col più profondo ossequio le bacio umilissimamente le mani.

Dell'Eminenza Vostra. Osimo, 27 Maggio 1848

Umilissimo Devotissimo Servitor vero

G. CARD. VESCOVO

CHIRIGRAFO DI PIO IX AL CARD. SOGLIA Pius PP. IX

In seguito della rinuncia inviataci dal Sig. Cardinale Luigi Ciacchi Legato di Ferrara alla carica di Nostro Segretario di Stato Presidente del Consiglio di Ministri, a cui lo avevamo nominato li 5 Maggio p. passato ed

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atteso che il Sig. Cardinale Anton Francesco Orioli per motivi di sua età e salute, e molto più per le gravi ed

assidue sue occupazioni nelle Sacre Congregazioni, ed in quella specialmente de' Vescovi e Regolari, di cui è Prefetto, non può proseguire più a lungo nell’esercizio della vacante carica anzidetta da lui interinamente accettata, e con piena Nostra soddisfazione sostenuta. Ci siamo determinati di esoneramelo, e nominiamo con questo Atto da Noi sottoscritto, e munito del Nostro Sigillo il Sig. Cardinale Giovanni Soglia Ceroni

Vescovo di Osimo e Cingoli, dispensandolo pro tempore dalla sua residenza. Dato dal Nostro Palazzo Apostolico Quirinale li 4 Giugno 1848 del Nostro Pontificato Anno secondo.

Pius PP. IX

In occasione del primo anniversario dello Statuto concesso da Pio IX, celebrato in Osimo con particolari festeggiamenti nell'ottobre del 1847 fu murata questa lapide:

A

PIO NONO P. M. PADRE DEI POPOLI AUTORE DI FELICITA’

CHE NEL PRIMO ANNO DEL FAUSTO SUO REGNO ABBRACCIO’ COLLA SUA GRANDE ANIMA

COME FIGLIUOLI TUTTI I SUDDITI STABILI’ AD ESSI PUBBLICHE UDIENZE

ALLEVIO’ I DISAGI DELLA POVERTA’

CONCESSE ALL’INDUSTRIA LE STRADE FERRATE ASILI ALL’INFANZIA E SCUOLE NOTTURNE

APERSE E BENEDISSE ABOLITA LA FEROCIA DEI GIUDIZI STRAORDINARI

MISE IN ACCORDO GIUSTIZIA E UMANITA’ CHIAMO’ SAPIENTI A RIORDINARE E MIGLIORARE LE LEGGI

FONDATO UN CONSIGLIO DI MINISTRI

DALLE PROVINCIE PER CONOSCERNE I BISOGNI CHIAMO’ I PIU’ SAVI E SPECCHIATI CITTADINI

COI CONGRESSI LE SCIENZE CON PREMI GL’INGEGNI

CON BELLISSIME SPERANZE L'ISTRUZIONE INCUORO’ GLI SCRITTORI E LOR’OPERE

DAGLI ARBITRII E DALL’INSOLENZA DIFESE

ALLA SOLA VIRTU’ GLI ONORI RISERBO’ FORTI PENSIERI E AMOR DI PATRIA NON DISSE COLPA

LA MISERIA DELL’IRLANDA SOCCORSE E FE’ SOCCORRERE LE DISCORDIE DELLA SPAGNA COMPOSE

IL POPOLO OSIMANO FEDELISSIMO LIETISSIMO

SOLENNEMENTE FESTEGGIAVA

G. I. M.

oooOOOooo Dal libro L’88^ vescovo di Imola, il cardinal Giovanni Maria Mastai Ferretti, PIO IX, (1994) curato

dal Prof. Giovanni Magnani, amico della Consorteria, riportiamo il capitolo sul Card. Giovanni Soglia Ceroni.

PIO IX E IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI

FIGLIO ILLUSTRE DI CASOLA VALSENIO Mons. Giancarlo Menetti

Verso la fine del mese di settembre o ai primi di ottobre 1856 fu presentato al Papa Pio IX, un bellissimo crocifisso d ’avorio di notevole grandezza con suo piedistallo, indubbiamente un’opera d’arte, che si attribuiva al Bernini. Il crocifisso, che era già appartenuto al Papa Clemente XIV, era diventato di proprietà del Card. Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo e Cingoli al quale

l’aveva donato uno dei quattro Papi (1) che il cardinale aveva servito fedelmente per oltre 37 anni di permanenza alla corte pontificia. Ora, per testamento, il Card. Soglia Ceroni lo lasciava, in segno di profonda «venerazione», al quinto Papa, appunto Pio IX, al quale nel 1848, forse l'anno più difficile del suo pontifica to, il

card. Soglia Ceroni aveva prestato il suo aiuto prezioso nei drammatici avvenimenti che culmineranno coll’assassinio di Pellegrino Rossi e la fuga a Gaeta, accettando di diventare

Presidente del Gabinetto Mamiani succeduto a quello dimissionario Antonelli - Minghetti. Un governo, quello Mamiani, che doveva aver vita dura e i giorni contati tanto che già il 2 agosto si dimetteva, sostituito da quello di Eduardo Fabbri, altrettanto precario e difficoltoso, che durò appena poco più di un mese, cioè fino al 16 settembre. Il Card. Soglia Ceroni prese

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parte all’uno e all’altro, ma le vicende politiche, l’ostilità crescente e l’invasione au striaca

rendevano amari i giorni a tutti quelli che cercavano di porre mano all’intricata matassa. Pio IX capiva bene che solo una persona superiore ad ogni intrigo, di sperimentata prudenza e di indubbia fedeltà alla S. Sede poteva prendere il timone della politica va ticana. Dopo la rinuncia del Card. Ciacchi, del Card. Orioli e forse di altre illustri personalità (Card.

Amat ?) la scelta cadde sul Card. Soglia Ceroni che Pio IX conosceva e apprezzava fin dai tempi del suo vescovato a Imola. Fu una scelta che egli fece senza consultar nessuno, ubbidendo al cuore. Ci piace riportare il giudizio di Luigi Carlo Farmi: «... la carica di Presidente dei Mini stri... il Papa l’ebbe conferita, senza consigliarsi col suo ministero, al Card. Soglia Ceroni, uomo di singolare virtù cristiana che aveva seguito l’illustre Pio VII nell'esilio ed era sempre vissuto lontano dalle pubbliche beghe, chiarissimo esempio di buon sacerdote. Pio IX sceglieva il Card. Soglia Ceroni siccome uomo che esso era da obbedire Ministro a lui Principe con la stessa

abnegazione e volontà con cui, in qualità di Vescovo, era tenuto ad obbedire a lui Pontefice» (2). I tempi infatti avevano una strana rassomiglianza, almeno nel clima teso, denso di torbi de aspettative, con quelli dell’esilio del santo pontefice Pio VII. Un Papa in trepida angoscia di

vedersi strappare ingiustamente ogni potere territoriale e costretto ad allontanarsi da Roma da una montante marea di ostilità. Come a Pio VII, fatto prigioniero e trasportato a Savona, il fedelissimo Soglia Ceroni aveva, da

buon Cireneo, offerto la propria spalla accompagnandosi alla sua prigionia, cosi ora, pur con coscienza di essere impari al bisogno, il Card. Soglia Ceroni offriva il suo incondizionato aiuto. Scriveva infatti al Card. Orioli che lo scongiurava ad accettare: «...Se non vi sarà modo di liberarmi da un peso troppo superiore alle mie forze, farò la volontà del S. Padre, tenendo fermo di fare la volontà di Dio, e questo sarà l'unico mio conforto in qualunque even to...» Osimo. 27 maggio 1848 (3). Di lui scrive Aurelio Saffi: «Il Soglia era ciecamente legato al Papa: per questo... (Pio IX) lo nominò in quella carica nonostante che altri ministri desiderassero e

proponessero il Card. Amat» (4). La croce d'angoscia di Pio IX gravò cosi anche sulle spalle del Soglia per tutta l'estate del '48 e egli si senti a Roma un po' come in carcere a Finestrelle, e forse molto meno quie to che là. Lo confortò certamente l'amicizia e la stima di Antonio Rosmini, già in gran familiarità con lui ancor dai tempi della sua prima permanenza in Roma: egli, il Rosmini, era venuto come delegato del

governo di Torino e andava facendo presso il Papa un ottimo lavoro di incoraggiamento e saggi consigli tanto che Pio IX, almeno secondo una testimonianza del gonfaloniere di Osimo, comm.

Andrea Bonfigli, ottobre 1848, aveva pensato di elevarlo alla porpora: «(Il Card. Ferretti) mi confidò che il Papa si era messo in capo di creare cardinale il Rosmini che io di fatto vedevo spesso dal Card. Soglia, ma la maggioranza dei cardinali era decisamente contraria...» (5). Fra i più avversi certamente il Card. Antonelli che capeggiava, purtroppo ascoltato dai più, il partito della reazione. Sempre secondo la testimonianza del Bonfigli, o meglio la confidenza del Card. Ferretti, i cardinali reazionari si sarebbero accordati di non togliersi lo zucchetto, in caso

di elezione del Rosmini, alla domanda di rito: Quid vobis videtur?. Sta il fatto che non solo il Soglia, ma lo stesso Papa viveva in stato di depressione e «quasi prigioniero nel suo pala zzo» (6). L'Austria frattanto invadeva, con il pretesto di portare aiuto, le terre pontificie. Stranamente la notizia è passata sotto la luce sinistra di un invito del Papa alle forze straniere di entrare in campo. È un'illazione della stampa liberale tota lmente falsa. Il Papa anzi protestò e da parte del Card. Soglia parti una lettera, datata l'8 agosto, per il legato di Ferrara Card. Marini, con l'ingiunzione di recarsi al campo del maresciallo austriaco Welden

per «domandargli i motivi dell'occupazione della parte settentrionale dello Stato Pontificio e con parole decise e ferme imporgli di lasciare affatto libere le terre occupate»; cosa che il Marini eseguì puntualmente anche se con scarsi risultati. L'Austria però non perdonò al Soglia l'ardire dell'intimazione. I suoi ufficiali fecero il muso duro al porporato ed evitarono di ossequiarlo. La situazione politica a Roma precipitava. Il 16 settembre cadde il gabinetto Fabbri e subentrò quello detto di Pellegrino Rossi che si interruppe drammaticamente il 15 novembre con la morte violenta del Ministro. Anche di questo

gabinetto fece parte il Card. Soglia Ceroni che dovette subire tutto il trambusto all'in domani del delitto. Il Papa assediato nel suo palazzo, un fuggi fuggi generale anche di cardinali travestiti. Fu il momento più brusco. Da più parti si consigliò insistentemente al Papa la fuga da Roma, cosa che, purtroppo, il papa accettò. Un vestito nero da semplice prete, un paio d'occhiali neri furono il semplice travestimen to. L'uscita da Roma fu facile. Era il tardo pomeriggio del 24 novembre. Il Papa sarà da ora in poi a

Gaeta e a Roma non resterà che un'ombra di governo: quello del Ministero Muzzarelli -Galletti praticamente senza più voce.

Al Soglia non rimane che implorare il Papa di accettare le sue dimissioni e lasciarlo rientrare nelle sue amate Diocesi. Ora la situazione è quasi interamente nelle mani del Card. Antonelli che la spinge decisamente verso una posizione di forza: si invocano le armi straniere, si rompe decisamente con la nuova Repubblica Romana e vien fatto tramontare definitivamente il periodo liberale di Pio IX.

Amareggiato e stanco, appena ricevuta l'accettazione delle sue dimissioni, il Card. Soglia

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abbandonò Roma alla volta di Osimo (7). Non fu una scelta facile. Ai tempi della prigionia di Pio

VII, quando lo stesso Soglia dovette soggiornare, per oltre un anno in carcere, al momento della liberazione, scelse come luogo d'esilio il suo amato paese di Casola Valsenio. Certamente, anche in questa occasione, vi fece un pensierino di nuovo. Niente gli era più dolce che risentire il rumore del Senio e rivedere i panorami delle colline delle Smirre e della Chiesa di sopra, ma

ormai la sua casa paterna era diventata il nuovo convento delle Suore Maestre Dorotee per la educazione della gioventù. Forse avrebbe volentieri accettato l’ospitalità nel convento dei PP. Cappuccini da lui stesso fondato, e avrebbe certamente avuto cordialissima accoglienza e goduto tanta pace, ma Osimo era il suo campo di lavoro pastorale, la sua vigna e andare a Casola gli sarebbe apparso una specie di fuga. Si avvicinava a Osimo con un certo patema d’animo; anche qui i liberali avevano una grossa rappresentanza e non vi tirava un'aria propizia per i fedelissimi al Papa, specie se erano stati Ministri di Stato. Sapeva che nemici veri e propri

non ne aveva in città, ma come comportarsi in quei momenti tragici? Entrare come se nulla fosse? Mettere a repentaglio domestici o curiali di un qualche af fronto? Risolse di fermarsi per qualche giorno nella casa di campagna fuori città. Non fu per molto;

come si seppe che il Cardinale era rientrato e si faceva un riguardo a raggiungere l’episcopio, non solo i cittadini tutti, ma fra questi specialmente i più scalmanati liberali decisero di andare loro stessi a prelevarlo con le carrozze e fu un piccolo trionfo.

Meritato però, come potevano testimoniare almeno un 80 cittadini, fra questi anche bravi sacerdoti, che si erano visti allontanare lo spettro del carcere o degli interrogatori se veri grazie proprio a lui, il Card. Soglia Ceroni. Era successo che una delegazione di polizia invia ta alcuni anni prima nella zona, aveva fatto un elenco di oltre 80 individui sospetti da inquisire. Nel momento del doveroso saluto al Cardinale Vescovo, questi chiese se avevano fatto un buon lavoro e gli fu mostrata la lista dei prossimi 80 inquisiti. La scorse, vide che erano tutte persone a lui ben note, la ripiegò e se la mise lestamente in

tasca dicendo: «Rispondo io personalmente di tutti quelli qui segnati» e congedò la com-missione. Non vi furono arresti di sorta. A più di uno, ad es. il Cesari, che sapeva in vero pericolo, il Cardinale aveva fatto giungere il suo sollecito consiglio: «Cambi aria più pre sto che può». Diversi erano riparati in Piemonte. Verso un personaggio del genere nessuno poteva nutrire rancore e la parola d’ordine degli Osimani in quel momento fu: «Il Cardinale non si

tocca!». Del resto tutti lo amavano anche per la sua grande carità. Nella carestia del 1853 non esitò a

svuotare completamente i magazzini dell'episcopio per venire incontro ai bisognosi e nel 1854, all’abbattersi del colera, Osimo poté contare su un capace e ben ristrutturato Ospedale frutto della lungimiranza e della generosità dello stesso Card. Soglia che aveva fatto acquisto per oltre 40.000 scudi, di vari beni appartenenti al già Appannaggio enfiteutico di Eugenio Beauharnais ed ora del Leucktemberg, dotandone l’Ospedale e l'ospizio dei Cronici. Ma la carità del Soglia non aveva confini diocesani. Pio IX sapeva per esperienza come alla

carità del concittadino illustre Casola Valsenio dovesse parecchio del suo prestigio at tuale: i confini del comune spostati fino alla Sintria, due conventi (i Cappuccini e le Suore Dorotee) fondati ex novo e praticamente tutto a sue spese, la sede del tribunale distrettuale ecc. senza contare la chiesa parrocchiale e la canonica di Croce Coperta in Imola da lui acquistate e riattivate all’uso pastorale e cedute quindi alla Camera Apostolica. Accettata a 60 anni la cura delle Diocesi di Osimo e Cingoli, il Card. Soglia ne fu un ottimo pastore, ma da buon Casolano non poteva dimenticarsi del suo paese.

Lo ha sempre amato e in proposito sono significative le brevi note, nell’epistolario di Pio IX, ancora vescovo d’Imola, relative al Soglia: «...Il Card. Soglia è nel centro delle sue consolazioni, trovandosi in Casola. La sua mensa è aperta ogni giorno a qualcuno; e in questo non la cede a S. Gregorio che convitava i poveri pellegrini...» (8). Il Card. Soglia era dunque su da noi per rivedere gli amici e i parent i, per definire meglio il suo progetto di Istituto per l’educazione della gioventù ed occuparsi di tutte le prevedibi li ristrutturazioni murarie che comportava l’insediamento, nella sua casa, di una comunità di

Suore. Anche il vescovo diocesano Mr. Mastai Ferretti che riceverà l'elezione al cardinalato l’anno dopo, salirà il 29 luglio per la posa della prima pietra della chiesa delle Suo re. E fu una festa quanto mai solenne: si estrassero tre doti per tre ragazze povere, la faccia ta della chiesa parrocchiale venne rinnovata, si innalzò un globo aerostatico vagamente illuminato e si incendiarono numerosi fuochi artificiali fra lo sparo di «grossi mortari». Il Card. Soglia Ceroni però risultava presente soltanto in effigie, cioè in un quadro posto sulla facciata del suo palazzo

in piazza. Probabilmente era già rientrato a Osimo anche perché non era uomo da festeggiamenti, anche se cordialissimo. Casola resterà sempre il rifugio del cuore. È sempre il

Mastai a riferircelo nelle sue lettere: «È passato l'E.mo di Osimo, per un breve saluto; perché doveva correre su alla sua Casola...». Indubbiamente Casola gli portava serenità, ma qualche preoccupazione la dovette avere anche relativamente alla sua Istituzione benefica. Non sembra che il primo nucleo di Suo re fosse veramente adatto allo scopo e ben presto dovette intervenire lo stesso Mastai Ferretti, ora

cardinale, per appianare la situazione. In fatto di suore e di conventi il card. Mastai Ferretti era

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decisamente più ferrato del giurista Soglia.

Trovò, lui, il Card. Mastai, un nuovo ordine: le Suore Maestre di S. Dorotea fondate da don Luca Passi che erano già operanti in Diocesi a Massalombarda. Assunsero da allora in poi il compito della direzione delle scuole femminili e si fecero onore. Al Card. Soglia l’amarezza di dover licenziare il primo nucleo che rientrò a Bagnacavallo.

Qualche altra bega gliela procurarono i cittadini che a lui si rivolgevano a volte per giu sti motivi come il maestro Vincenzo Balestrazzi trasferito per suo interessamento a Medi cina e finito poi Direttore del Ginnasio d'Imola; a volte solo approfittando della sua cordialità anche a scapito della giustizia. Non è documentato, ma molto probabile che avesse dovuto almeno inizialmente, occuparsi del chierico Domenico Sabbatani di Prugno, titolare, sebbene solo tonsurato, del beneficio di S. Giuseppe. Un tipo tutt’altro che raccomandabile il Sabbatani, implicato in diversi processi non escluso un tentativo di delitto ai danni del brigadiere pontificio Achille Freddi. Il

Card. Mastai Ferretti ebbe a penare non poco con questo soggetto al quale avrebbe voluto togliere il detto beneficio. Qualcosa tuttavia sembrava legare l’azione spedita del processo che si trascinava da Imola a Ravenna con conflitti di competenze degni di miglior causa. Ve rrebbe

da supporre che qualche parere sulla difesa del reo avesse avuto il suo peso, ma nessuna prova ci resta per attribuire al Soglia questo parere. Solo il fatto che le due famiglie Soglia e Sabbatani ovviamente si conoscevano bene.

Ma il dolore più grande per il Card. Mastai Ferretti e di riflesso per il Casolano Card. Soglia, fu lo scandalo che scoppiò nella prima metà di febbraio del 1843 con la fuga del Parroco di S. Ruffillo don Andrea Montanari nativo di Barbiano. Già da tempo si vocife rava che nella sua canonica i famosi contrabbandieri di Castelbolognese, nei loro traffici colla Toscana - battevano infatti la strada di Montebattaglia-Faggiola - facessero sosta nell’andata o nel ritorno. Qui, a giudizio della gente del posto, si udivano spesso a ltercare fra loro ed essendo soggetti dal coltello facile non fa meraviglia se un brutto giorno ci scappò il morto. Un delitto che implicò

direttamente il Parroco e che si colorò di particolari piccanti perché don Mon tanari, temperamento sanguigno e scontroso, fra le suddette accuse di ricettazione, aveva anche quella di frequentare una giovane parrocchiana. Già per l’una e l’altra diceria aveva ricevuto da tempo il dovuto richiamo dal proprio Vescovo, ma con poco frutto. Il grave delitto consumatosi in canonica, lo rovinò definitivamente e il fatto che la vittima, Contoli Giovan Battista, fosse un

parrocchiano che lo aiutava nelle faccende, diede adito al romanzo che il Parroco lo avesse assassinato perché rifiutava di sposar la ragazza già incinta. Collaboratore del delitto un certo

Domenico Balducci accusato da don Montanari come esecutore materiale dell'omicidio compiuto però in difesa del Parroco. Un intreccio, come si vede, molto oscuro e ancor oggi di non facile soluzione. Col prete in fuga, che lascia tuttavia una lettera al Vescovo con la sua versione dei fatti, il cadavere malamente nascosto nel solaio della canonica, la ragazza realmente in stato interessante, il Balducci, subito arrestato, dà un'altra versione con cui tenta di scagionarsi e accusa unicamente il Parroco di

tutto. Forse la ragione sarà molto meno romantica e si potrebbe supporre una bella lite fra i tre relativamente al bottino ricettato o pretese di denaro per tacere. Scartabellando fra ciò che resta ancora in archivio delle carte di don Montanari, si può essere colpiti da due fatti evidenti: il Parroco non aveva legato che molto malamente coi suoi parrocchiani. Nessuno si avvicinava alla canonica guardata da due grossi cani. Dunque pochissimi amici. Nel retro di una vacchetta dove si annotano le spese per il restauro in atto della chiesa, don Montanari scrive: «nessuno o quasi mi ha aiutato...» e la cifra del debito che

lascerà è di oltre 2000 scudi. Non doveva rendere poi tanto quel traffico coi contrabbandieri. Nell'elenco dell e masserizie rinvenute in casa, al primo sopralluogo fatto dopo la fuga, che dovette essere neces sariamente affrettata, la canonica appare di una estrema miseria. Nemmeno la cantina è fornita e la dispensa è quella di una tipica casa di poveri. Di don Montanari non si seppe più niente. Chi lo disse fuggito a S. Marino, chi in Toscana, chi lo volle componente della banda del Passatore visto che uno dei briganti era ordinariamente chiamato «il frate».

Non mancò neppure chi lo avrebbe riconosciuto fra gli eremiti di Camaldoli. Il Card. Mastai Ferretti avvertito del fatto ne fu sconvolto. Le lettere che scrive testimoniano il suo profondo dolore di pastore tutto preoccupato di riparare al grave danno dello scandalo nella Parrocchia di S. Ruffillo. L'arciprete di Casola, nella sua lettera con cui lo ragguagliava dell'accaduto, dava il consiglio di mandar presto un nuovo pastore zelante che con qualche funzione straordinaria edificasse quella disgraziata parrocchia. Il Card. Mastai Ferretti non mandò nessun predicatore,

ma venne lui in persona lasciando Imola e stabilendosi nel convento del PP. Cappuccini qui a Casola. Approfittando dell’imminenza delle feste pasquali, saliva quotidianamente a S. Ruffillo

per dare al popolo un corso di predicazione di una settimana. Fu una missione calda ed efficace. Il Cardinale toccò il cuore di quella brava popolazione che attribuiva ai propri peccati una sventura cosi singolare. Se ne commosse fino alle lacrime il predicatore stesso. Nel frattempo radunava nella sala della canonica di Casola tutti i preti della zona (martedì 4 aprile ’43), per una solenne paternale in cui disse «tutto quello che poté» affermando che «loro più del popolo

abbisognavano di Esercizi». Provvide poi a scegliere un nuovo parroco per S. Ruffillo. Scelta

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ardua che, per la situazione, richiedeva gran prudenza. Pose gli occhi su un giovane e pio prete

del Seminario: don Raffaele Foschi di Bubano al quale disse: «Se non vi troverete a vostro agio, io vi trasferirò fra breve tempo, intanto affrettatevi a stabilirvi lassù». Don Raffaele obbedì prontamente e si accattivò talmente l'affezione di quel popolo che quando il Cardinale, dopo vari mesi da quel colloquio, volle prospettargli una nuova parrocchia, chiese di restare dov’era tanto

vi si trovava a suo agio. Morirà infatti a S. Ruffillo ricordato in benedizione e rimpianto da tut ti i parrocchiani. Non abbiamo testimonianze sulla reazione del Card. Soglia allo scandalo di S. Ruffillo. Certamente ne fu informato e anche a lui il Card. Vescovo d'Imola avrà comunicato il suo profondo sconforto. Il Card. Soglia Ceroni seguiva i primi passi della sua nuova Istituzione consigliandosi col Vescovo Diocesano che trovava sempre pronto a ottimi suggerimenti. Da Massalombarda era stata trasferita qui una brava suora: Sr. Cecilia Nicolosi che guidava la nuova comunità ed apriva la casa alla gioventù del paese. Non lascerà più Casola. Intanto dopo

la triste notizia della morte del Papa, il 1° giugno 1846, si avvicinavano i giorni del conclave che doveva dare un successore al defunto Gregorio XVI. Il Card. Soglia Ceroni e il Card. Mastai Ferretti si rividero a Roma verso il 13 o 14 giugno e parteciparono fin dall’inizio alle varie

congregazioni stando certamente a stretto contatto. Il clima che si respirava a Roma in quei giorni è più facile immaginarlo che descriverlo. I vari ambasciatori facevano quotidiani rapporti ai loro governi sui vari «si dice» e «si pensa» dell’ambiente romano. Questi rapporti sono, in

sostanza, fra le più preziose documentazioni relative al Conclave. Il Rapporto del vice console della Sardegna L. Basso a Solaro della Margherita il 3 giugno, dice testualmente: «Le voci più comuni sono che possa essere nominato il Card. Soglia di Osimo od il Card. Mastai di Imola». Testimonianza preziosa per la conferma che avrà coll’elezione di Pio IX, ma anche per giudicare la stima che circondava i due personaggi. Indubbiamente il Card. Soglia non aveva preoccupazioni e tanto meno ambizioni, ma era decisamente propenso ad appoggiare l’amico suo, Vescovo Diocesano specie quando risultò che i due più probabili eletti erano il Card.

Lambruschini e il Card. Mastai. Questo fin dal primo scrutinio che diede un po’ il tono a tutti gli altri. Indubbiamente il voto del Soglia era per Mastai, ma anche quello di Mastai probabilmente andò al Soglia che ebbe due voti diretti nello scrutinio della mattina del 15 giugno. Nello scrutinio serale del giorno 16, il pontefice fu eletto e si chiamò Pio IX. La notizia diffusasi alle prime ore del mercoledì 17 giugno, giunse a Imola e in diocesi verso il 20 dif fusa dal suono di

tutte le campane. Ammirando quel giorno il bel crocifisso d’avorio, Pio IX pensò con commozione al fedele amico

Soglia che lo aveva sempre sostenuto anche con grave disagio, non tradendo mai la sua fiducia. L’anno dopo, il 22 maggio 1857, Pio IX, in visita agli Stati Pontifici, era nella cattedrale di Osimo di fronte alla tomba del Card. Soglia Ceroni. Era commosso mentre la benediceva, ma io scommetterei che in fondo al cuore avrà pensato sorridendo che il buon Soglia avesse fatto violenza al proprio cuore per non chieder di essere tumulato a Casola.

Quando poi la sera del sabato 6 giugno, lasciando Castelbolognese alla volta di Imola, Pio IX incrociò sulla via Emilia la strada che saliva a Casola, vi trovò una gran folla di gente scesa appositamente dal paese per vederlo. La Banda di Casola era appollaiata su di un palco di stile egizio eretto su disegno del pittore imolese Galassi. Pio IX fermò la carrozza, scese a salutare quei fedeli e mentre la banda suonava marce solenni, alzò la sua mano verso Casola per benedire tutta la valle che aveva percorsa tante volte in circostanze liete o meno, ma il suo gesto benedicente includeva anche un ringraziamento per aver avuto in sorte nell’anno più

tragico del suo pontificato, per un periodo purtroppo breve, un Segretario di Stato, per dirla con l’illustre storico osimano Mons. Carlo Grillantini, degno di lui. 1. Si tratta di uno dei predecessori e cioè: di Pio VII, di Leone XII, di Pio VIII o di Gregorio XVI 2. Lo Stato Romano dall’anno 1815 all'anno 1850. Tip. Ferrero e Franco, 1850, vol. II, pagg. 164 e s. 3. Arch. Comunale di Osimo. 4. AURELIO SAFFI, Ricordi e scritti, Barbera, Firenze, 1893 voi II pag. 300 5. Manoscritti - Arch. Comun. di Osimo 6. A. DE LIEDEKERKE, Rapporti p. 65 e 72. 7. Le dimissioni del card. Soglia furono accettate il 10 dicembre 1848. 8. Lettera al Card. Falconieri del 22 luglio 1839 - riportata dal A. SERAFINI a pag. 1132.

Il Soglia era stato eletto cardinale il 18 febbraio dello stesso anno. Casola aveva celebrato con segni di giubilo, spari e luminarie la lieta notizia la domenica 5 marzo, ma aveva rimandato al lunedì 29 luglio il festeggiamento solenne.

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IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI SERVITORE DI CINQUE PAPI Di seguito descriviamo i rapporti con i cinque Papi di cui il Card. Soglia Ceroni è stato un Servitore privilegiato ed in taluni casi il più stretto collaboratore. I dati li desumiamo da quanto scritto dal Prof. Giuseppe Ignazio Montanari nel 1856 durante l’Elogio funebre alle esequie del Cardinale ed alla successiva Bibliografia che scrisse su di lui. E’ significativa la sottolineatura che fa il Montanari, menzionando però solo quattro pontefici, molto probabilmente perché il pontificato di Pio VIII fu molto breve: “Maraviglieranno al certo i posteri ch'egli sotto quattro pontificati fosse mai sempre in istato, sempre in

grazia, né la diversa indole dei principi, nè le vicissitudini dei tempi, nè il costante variare della cieca fortuna, nè le arti o le invidie cortigianesche potessero mai abbassarlo, o farlo pur di poco scadere: nel che in vero è la prova più manifesta della sua rettitudine, della sua bontà, del suo ingegno e della sua prudenza; ma sopra tutto dell'incolpabile sua vita, e del suo disinteresse, che io portava a cercar sempre non il proprio, ma l'altrui bene.” PIO VII (papa dal 14 marzo 1800 al 20 agosto 1823)

… Compagno negli affanni e nelle amarezze della prigionia a Savona. D. Giovanni Soglia, caro sopra molti al pontefice, perché con affetto e fedeltà grande il serviva, e della mano di lui sovente valevasi a scrivere lettere, dispense, istruzioni e cose somiglianti per diciotto mesi … . Giunta appena la lieta novella a don Giovanni che Pio VII era uscito vittorioso alla prova di tanta persecuzione, corse difilato ad incontrarlo oltre i confini del modenese, e gettossegli ai piedi. ... Lo accolse amorevolmente il padre de’ credenti, l’abbracciò stringendolo al seno, e più che al seno al cuore, e allora credo io gli parve pieno e solenne il suo trionfo …

Certo è che il gran Pio volle che il Soglia in officio di crocifero il precedesse quando di nuovo mise il piede ne’ suoi stati, e sino a Roma quasi guidasse la pompa di quella sua trionfale andata. Poi venuto nella

metropoli del mondo cattolico, dopo le grandi ed iterate accoglienze di quel popolo, ... a se più che mai lo restrinse, lo fece suo intimo famigliare, e suo segretario ed agente particolare, nè cosa volle o fece senza di lui. Non era affare di rilievo che egli avesse a trattare, e non vi adoperasse il Soglia: non aveva prelato a cui volesse mostrar favore, è non gli offerisse la compagnia del Soglia non capitava persona ch’egli avesse cara per fama di sapere e per dignità, e non la mettesse nelle mani del Soglia. Fidavasi di molti, di niuno

più che di lui: amava molti, niuno più che lui. Mandavalo in suo luogo a visitare augusti personaggi che in

Il Presidente Pier Giacomo Rinaldi Ceroni e il Vice Presidente Vicario Renato Ceroni di Mestre della

Consorteria Ceroni di fronte alla tomba del Cardinale a Osimo

Chiesa dei Quattro Santi Coronati che si trova sopra il Colosseo, non distante da San Giovanni

Lasciapassare di Don Giovanni Soglia emesso dalla Repubblica Cisalpina

Istituto Campana - Osimo

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Roma venivano a baciare i piedi al vincitore del vincitor dell'Europa, a benedirne la mensa, a recar loro le

sue parole. Monsignor Soglia era studiosamente cercato e corteggiato da tutti, e pareva gran mercè, anzi un avere acquistata la grazia del sovrano, a chi pure, potesse parlargli, o mostrargli riverenza. Inoltre il pontefice, conoscendo la dottrina e il sapere di lui, lo nominò professore di ragion canonica dell’archiginnasio romano, ufficio ch’ei tenne con grande onore e altrui profitto, dappoiché quanti oggi in

Roma hanno grido di valenti in giure canonico ebbero avviamento alla scienza da lui, fortunato di poter annoverare fra’ suoi discepoli prelati e cardinali di gran nome. E quanto in siffatti studi fosse profondo, lo mostrarono poi i libri che vecchio pubblicò. Del favore però e della grazia del principe non si valse egli per se, ma principalmente in servigio di quelli che sapeva bisognosi di conforto e di ristoro ai danni sofferti. Ai religiosi che dispersi dal turbine cercavano di nuovo tornare alle proprie stanze, agli ecclesiastici spogliati di ogni loro avere, ai laici di ogni genere, ai ricchi, ai poveri, si porse ugualmente benigno, e diè mano ad aiutarli; nè mai nel beneficare antipose l’amico stato al nemico, anzi coi nemici allargò la mano di più, e

fece loro mite e benevolo il cuore del pontefice. … La salute del pontefice da qualche tempo era scaduta, l’età di oltre ottant’anni aggravavalo, le sventure e i trionfi, la carcere e il regno ne avevano ornai consumato ogni vigore. Appressava l’ora suprema, e il cielo

l’invitava a raccogliere alfine il meritato guiderdone. Mentre fu infermo niuna persona meglio piacevagli avere intorno a se che il Soglia: e per mostrargli sino all’ultimo quanta fiducia in lui aveva posto, essendogli dato a sottoscrivere il proprio testamento, non volle, finché egli non lo avesse letto, e lui affidato di poter

sottoscriverlo. Dopo alquanti giorni passò di questa vita, e a monsignor Giovanni non rimase che il dolore di averlo perduto, e la ricordanza delle sue segnalate virtù, delle quali non solo in tanti anni aveva fatto te-soro nella memoria, ma ben anche fece poscia ritratto, quando a maggiore stato pervenne: conciossiachè il modo di condurre i negozi più gravi, di trattare co’ soggetti, di tenersi presto ad ogni fortuna, compose sempre allo specchio di quell’immortale e glorioso principe, il nome del quale non pronunziava mai senza manifesti segni di commozione, di affettò, e di riverenza. [Per riassumere: Nomina a Monsignore, crocifero, suo intimo famigliare, suo segretario ed agente particolare. Nomina a

professore di diritto canonico dell’archiginnasio (Università) romano. Estensore del suo testamento]

LEONE XII (Papa dal 28 settembre 1823 al 10 febbraio 1829 Succedutogli nella cattedra apostolica il cardinale Annibale della Genga con nome di Leone XII, papa che fu

nobilissimo, il quale aveva in capo vasti e generosi disegni, cui la difficoltà dei tempi e la morte troppo

presta interruppero, l’ebbe caro non meno che il suo antecessore: anzi quasi egli volesse rimeritarlo di quanto aveva fatto per lui, lo sollevò a maggiori offici, e il tenne in gran conto. Lo nominò in prima suo coppiere, poi cameriere segreto. Appresso volendo rimettere in onore e dar legge e norma nello stato pontificio agli studi, fattane parola con lui, e richiestolo dell’avviso suo, egli proposegli, e con buone ragioni mostrò che sarebbe stato assai bene, e di grande onore a Sua Beatitudine, creare appositamente una, congregazione di cardinali, col titolo di sacra congregazione degli studi, la quale con

certe leggi li governasse per tutti gli stati della chiesa. Piacque la proposta al generoso pontefice, e a lui diede incumbenza di presentargli in iscritto le leggi che crederebbe da ciò; perlochè il prelato si fece poi a compilare quel volume che ancora è il codice della pubblica istruzione, e il papà in appresso pubblicò con quella bolla che incomincia Quod divina sapientia. Inoltre dopo avere messo a capo di quella sacra congregazione il dottissimo cardinale Francesco Bertazzoli, nominò segretario della medesima il Soglia che con tutto lo zelo fin dalle prime incominciò a proteggere le buone lettere ed i cultori delle scienze, e a ritornare in onore la lingua latina, di cui era tenerissimo e profondo conoscitore, la quale allora minacciava

scadere. Non ¡stette gran tempo, che avendolo sperimentato e conosciuto alla prova destro, leale, abilissimo in ogni bisogno cominciò a valersi di lui negli offici più delicati, e in quelle segrete opere di carità

che sono tutte proprie del sacerdozio cattolico e del pontificato. E corrispondendo sempre più all’aspettazione, anzi superandola, per dargli un nuovo segno della sua soddisfazione lo nominò suo elemosiniere segreto, avvisando che niuno più di lui avrebbe giustamente distribuito le sue larghezze ai poveri, ni uno meglio di lui avrebbe alla natia generosità sua soddisfatto. Così avvenne appunto; ed erano

ad una voce benedetti dai poveri e il pontefice e il suo limosiniere, il quale non lasciava partire da se persona senza averla in prima consolata. Ancora lo fece arcivescovo di Efeso nelle parti degl’infedeli: e più onore gli avrebbe fatto se la morte non avesse posto fine alla sua vita e al suo regno. [Per riassumere: Lo nominò in prima suo coppiere, poi cameriere segreto. Segretario della sacra congregazione degli

studi. Elemosiniere segreto. Arcivescovo di Efeso nelle parti degl’infedeli: e più onore gli avrebbe fatto se la morte non

avesse posto fine alla sua vita e al suo regno.]

PIO VIII (papa dal 31 marzo 1829 al 30 novembre 1830) … Saliva al pontificato massimo Francesco Saverio Castiglioni che prese nome di Pio VIII, il quale perché l’invidia usando sue male arti avevo tentato colorirgli sinistramente l’arcivescovo d’Efeso, in sulle prime gli fece brusche accoglienze; ma poi veduto alla prova de’ fatti qual uomo egli era, di quanta integrità e

dottrina, lo ebbe assai presto in grazia, per modo che non riuscì a lui meno accetto che al Chiaramonti e al Genga. Tuttavia non potè innalzarlo a maggiori onorificenze, perché il suo regno fu breve e non lieto. Un

improviso turbine scrollava l’antico trono dei Borboni, e dalla Francia, come dal cuore per tutto il corpo, si diffondevano forti agitazioni nell’Europa. L’Italia per suo mal destino usata ad illudersi sempre, e sempre lasciarsi ingannare, agognava novità pericolose, e le provincie dello stato pontificale lasciavansi sconvolgere. Pio VIII fu ben avventurato di non vedere i suoi popoli levare il capo, perché Iddio Io chiamò a

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se al primo incominciare della tempesta. [Per riassumere: viene confermato Elemosiniere Segreto di Sua Santità (4 aprile 1829). Pio VIII non poté innalzarlo a

maggiori onorificenze, perché il suo regno fu breve e non lieto.]

GREGORIO XVI (Papa dal 2 febbraio 1831 al 1 giugno 1846) … fu posto sull’apostolica sedia Mauro Cappellari che si tolse nome di Gregorio XVI, e in pochi giorni bastò a dileguare e comprimere gli umori, e ricondurre la tranquillità negli stati della chiesa. Era egli da gran tempo legato di amicizia al Soglia, delle rare bontà del quale aveva piena contezza; per lo che a lui si tenne ristretto e fidato. Desiderando poi di fargli veduto che quella cima di altissima dignità non cancellava in lui,

come suole, la memoria dell’antica dimestichezza, nè punto cessavane l’affetto, lo fece tosto canonico della basilica vaticana, e gli diede titolo di patriarca di Costantinopoli. Indi volendolo innalzare a grado più degno, dalla congregazione degli studi lo recò a quella dei vescovi e regolari, onde agevole è il passo al cardinalato. Fatto adunque segretario di questa congregazione, non è a dire con quanto studio adoperasse al ben andare della medesima e quanti per mezzo suo fossero beneficati. Pareva sua natura il ben fare altrui, e mentre per se nulla cercava, per gli altri spendevasi a tutto potere, nè cosa al mondo gli gustava

più che col favore e i beneficii amicar gente alla sedia apostolica. Si può con sicurezza e senza tema di

errore affermare, che ei teneva le chiavi del cuore del pontefice, e per la sua paragonata fede avrebbele potute volgere a suo talento. Tutta Roma sel vedeva e contentavasene assai, ed io stesso soventi volte ho udito dire che il patriarca di Costantinopoli aveva nelle mani quante grazie poteva fare il pontefice, il quale richiesto nulla avrebbe saputo negargli. Tuttavia egli ne usò con quei riguardi che buon ministro deve, e con quella rettitudine di coscienza che era da lui: anzi quell’anima angelica non volle valersene se non quando occorresse beneficare ed onorare il merito. Oh! quanti in tanto splendore di corte, in tanta grazia del principe, con fama meno bella ed integra, con potenza tanto men salda quanto men fondata sulla

rettitudine e sul ben fare, avrebbero cercato mostrarsi al mondo in pieno lume, menarne pompa, fare ricchezze; ma il patriarca di Costantinopoli, l’amico del pontefice, l’idolo di Roma, tenevasi nell’usata modestia, sobrio, frugale, ospitale, benigno a tutti, e più che agli altri ai più bisognosi. Dalla corte prese la grandezza dell’animo non il fasto, la cortesia non la mollezza: sincero, leale, affabile, non volle altra luce che lo splendore delle proprie, virtù, coperte sempre dal velo dell’umiltà. La quale in lui ebbe tanta balia, che mentre era sempre inteso a beneficare, volle e cercò sempre i suoi stessi benefizi nascondere, o

menomare colle parole: e di ciò fece ancora più forte maravigliare quanti il conoscevano. Molti di lui

parlavano, molti a lui avevano ricorso, moltissimi in lui solo e nelle sue mani si mettevano: vedevalo Gregorio XVI, e in suo segreto godevane. Erano ornai trascorsi trentanove anni che monsignor Soglia faticava in servigio della chiesa e del suo capo visibile, ed oltre gli uffici che ho detto, altri pure ne aveva sostenuti di non picciol rilievo, e con grande suo onore. Era stato consultore della sacra congregazione che tratta gli affari straordinari ecclesiastici, di quella chiamata dell'indice, la quale nota i libri nocevoli al costume ed alla religione, e di quella ancora del sant’officio, cui spetta combattere l’eretica pravità e

sventarne le insidiose dottrine. Inoltre era stato esaminatore non solamente del clero romano, ma di quelli altresì che venivano promossi alla dignità episcopale; carichi tutti onorevolissimi e laboriosi. Tempo era di concedergli un premio pari a tanto merito, e però Gregorio lo disegnò cardinale nel concistoro del 12 febbraio 1838 e sel riserbò in petto; nè lo pubblicò che in quello del 18 febbraio nell’anno appresso, conferendogli il titolo dei santi quattro coronati nell’ordine dei preti. La sua promozione fu con grande consentimento del sacro collegio dei padri porporati, e accompagnata dalle congratulazioni di tutta Roma; fu festeggiata dalla Romagna, della quale egli era bellissimo lume, e la sua patria in mezzo ai plausi ed al

canto dei poeti la scrisse ne’ suoi fasti come il più bel monumento delle sue glorie. Non fu pago il generoso pontefice di ornarlo della porpora de’ cardinali; ma essendo rimaste senza pastore per la morte

dell’eminentissimo cardinale Giovanni Antonio Benvenuti le chiese, unite di Osimo e Cingoli, a lui le offerse nel medesimo concistoro: ed egli le accettò non come fine alle fatiche, ma come nuovo campo in cui avrebbe da esercitare le sue virtù, e seminare più grandi e sfolgorate beneficenze, lo credo che non senza lagrime da lui si dividesse il pontefice, tanto gli pativa il cuore nel distaccarsene: so certo che tutta la corte

e Roma ne provarono rammarico, perché a quella parea perdere uno specchio di probità rara nel mondo, a questa un bellissimo e non comune ornamento. Maraviglieranno al certo i posteri ch'egli sotto quattro pontificati fosse mai sempre in istato, sempre in grazia, né la diversa indole dei principi, nè le vicissitudini dei tempi, nè il costante variare della cieca fortuna, nè le arti o le invidie cortigianesche potessero mai abbassarlo, o farlo pur di poco scadere: nel che in vero è la prova più manifesta della sua rettitudine, della sua bontà, del suo ingegno e della sua prudenza; ma sopra tutto dell'incolpabile sua vita, e del suo disinteresse, che io portava a cercar sempre non il proprio, ma l'altrui bene.

Allora ciascuno direbbe con me ch’egli rendeva immagine di san Carlo Borromeo, e del suo prediletto san Francesco di Sales; del quale sovente leggeva la vita e le opere, studiandosi di comporre se stesso allo specchio di tanta santità.

Non ignoro che taluni, i quali vorrebbero tutte cose perfette, e nel modo che va loro per lo capo,

avrebbero forse altre cose desiderato da lui; di alcune non si tenevano soddisfatti abbastanza: ma se questi ponessero mente che non sempre le più rette, intenzioni al buon volere rispondono, e che i principi, i quali ben possono da se concepire, ma non mettere ad effetto i loro pensieri se non coll’opera altrui, son soggetti

ad essere appuntati dell’altrui come dì proprio difetto; se vorranno porre mente che; non tutto in tutti i tempi, e da tutti gli uomini si può domandare, spero che dovranno quietare, e concedermi, che se alcuna cosa non fece, certo del non farla ebbe di buone ragioni; se alcuna ne fece che loro pienamente non

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contenta, la cagione forse non è in lui, sì in lui è la rettitudine dell’intenzione. Sebbene chi oserebbe

apertamente appuntarlo? Chi Saprebbe trovare un pastore più amico, del bene, più studioso di pace e di concordia, più compassionevole degli altrui mali, più presto a soccorrerli? Gli editti pieni di sapienza e di pietà da lui pubblicati rendono fede di quanto fosse sollecito della sua greggia, e della dolcezza con che la guidava. O si tratti d’infrenare il brutale vizio della bestemmia, o di promuovere la pietà, o d’illuminare le

menti e scoprire empie e scellerate dottrine, egli come padre a’ figliuoli, si porge con una tenerezza che si appiglia al cuore, e piega la volontà. Oh quanto si commoveva se non vedeva accalorata la devozione e santificate le feste! Quanto spiacevagli ogni macchia del costume, ogni, freddezza in fatto di religione, ogni poca osservanza delle leggi divine! Se ne accendeva come Mosè, ma il suo cuore non pativa che mettesse mano al castigo; cercava in quella vece colle sue preghiere placare il Signore, colle sue amorevoli parole vincere gli animi. E quantunque detestasse le male arti, con che i tristi tentano sedurre i buoni e distaccarli dalla fede, pure compativa di cuore gl’ingannati e i sedotti. La sua bontà poi non gli lasciava per poco

credere che alcuno fosse malvagio; e se altri avesse voluto di ciò persuaderlo, non si acconciava che ai fatti toccati con mano. Ma che me ne vo qui in parole a ritrarre quell'anima grande? Non le parole, ma i fatti, i suoi sfolgorati fatti, la denno ritrarre. Quando nel 1845 occulti attentati tenevano lo stato in agitazione i

popoli in timore, e giudizi straordinari mettevano dovunque spavento ed affanno, la diocesi di Osimo, a cui si avvicinavano, stava in angustie non lievi. Ed ecco il buon vescovo levarsi a rassicurare le sue pecorelle, farsi per esse mallevadore al principe, dar fede di lor fedeltà, domandare grazia per esse, ed ottenere che

nè giudice nè inquisitore vi si potesse appressare. E mentre di qua si udivano lamentare i vicini, qui tutto era pace e tranquillità: beneficio a lui solo dovuto. [Per riassumere: canonico della basilica vaticana. Titolo di patriarca di Costantinopoli. Dalla congregazione degli studi

lo recò a quella dei vescovi e regolari facendolo segretario di questa congregazione. Consultore della sacra

congregazione che tratta gli affari straordinari ecclesiastici, di quella chiamata dell'indice, e di quella ancora del

sant’officio. Esaminatore di tutti coloro che venivano promossi alla dignità episcopale. Nominato Cardinale in pectore

nel concistoro del 12 febbraio 1838, pubblicato nel concistoro del 18 febbraio 1839, conferendogli il titolo dei santi

quattro coronati nell’ordine dei preti. Nello stesso concistoro lo nominò Vescovo delle chiese, unite di Osimo e Cingoli

nelle Marche.]

PIO IX (Papa dal 16 giugno 1846 al 7 febbraio 1878) Del che invero la città di Osimo gli fu riconoscente: e nella memoria degli uomini vivrà sempre la ricordanza

di quel giorno in cui tutta usci delle mura per farsi incontro a lui, che tornava di Roma dopo il conclave, che ne diede a pontefice l'augusto Pio IX. Mi pare ancora di udire i discorsi che nelle piazze e per le strade, nelle case e nei circoli si facevano; mi par di vedere ancora dipinta in ogni volto la gioia del cuore; mi

suonano ancora negli orecchi gl'inni, e le festevoli armonie e le grida, e le acclamazioni, e gli applausi, che dai confini della diocesi sino al suo palagio l’accompagnarono. lo vidi al venerando vecchio gli occhi bagnati di lagrime; intesi e conobbi quanto gli andava al cuore la vostra, benché da lui meritata, riconoscenza. La quale poi parve più sfolgorata in appresso, quando dal terribile uragano, che tutta fè risentire l’Europa, costretto a fuggire dalla sua sede il pontefice, egli segretario di stato (carico il quale solo per forza di obbedienza, si era lasciato addossare) trovandosi in Roma a ripentaglio della vita, con pochi amici, in mezzo ad un popolo in rivolta, risolse voler correre una stessa fortuna col suo gregge, e venne a riparare

nel seno de’ suoi figliuoli. Dopo un penato ed inquieto viaggio egli giungeva alla sua villa di Casenuove quasi di furto. Voi vel sapeste, buoni osimani: e non appena inteso che ivi il pastor vostro, il vostro padre si stava, correste abbracciarlo, e ricondurlo alla sua chiesa. Andarono ad invitarlo i magistrati e il reverendo capitolo; accorse ogni ordine di cittadini, nessuno si rimase, tutti intorno a lui si accalcarono. Gli applausi, e le grida con che si manifesta la gioia del cuore l’accompagnarono al suo palazzo, e gli diedero a divedere

quanto si era ben fidato fidando nell’amore de’ suoi, che in questo gli fece dimenticare i corsi pericoli, e le lunghe agonie del passato. Infuriò maggiormente la tempesta, ed egli tranquillo si stette senz’altra difesa

che il petto de’ suoi osimani, e la forza de’ suoi benefici. Oh bella e nobile gara, degna che tutto il mondo la sappia e la celebri! Voi da lui salvati, lui salvaste, da lui beneficati gli rendeste il contraccambio colla Vostra fedeltà, pronti a lasciarvi piuttosto morire, che permettere che a lui fosse fatto il minimo oltraggio.

E qui potrei molte cose aggiungere che la rara bontà di quell’anima eccelsa dimostrano: ma perché le sono conosciute volentieri me ne passerò. Una cosa sola saputa da pochissimi ed a me specialmente avvenuta, nella quale, se io non erro, campeggia meglio che altrove la sua carità evangelica, e la

perfezione a cui era salito, non mi soffre il cuore di tacere. Il vostro buon vescovo, non solo: perdonò le offese, ma seppe beneficare gli offensori. Tornavano vinti, laceri, e pieni di timori coloro che a Roma avevano combattuto con male augurate armi, prima il principe, poi le francesi falangi. Or bene ad alcuni di cotesti il cardinale mandò soccorsi e larghi, e nol tenne la memoria de’ passati pericoli, non lo sdegno della vittoria. Li disse sventurati e non più: in essi non vide dei nemici, ma degli ingannati: n’ebbe compassione, e distendendo la destra al soccorso, esercitò con essi la sublime virtù, del beneficare i nemici. Sebbene di

questa virtù, tanto rara nel mondo, non questo esempio solo potrei recare: altri ben’altri ve ne ha che

debbo tacere; e forse volendoli io palesare, egli dà quel feretro me ne farebbe divieto. Mi volgerò adunque ad altro, e narrerò come nella grave carestia del 1853, tanto penosa al solo ricordarla, egli studiò modo di scemare i patimenti alla plebe, e alleggerire il peso del tremendo flagello. Aperse i magazzini del vescovado, a soccorso de’ poveri diè tutto; avrebbe dato anche la vita per non vederli patire. Ne ciò soltanto, ma si prese cura che tutti que’ che potevano dovessero dare; nel che veramente trovò animi così bene disposti, che non v’ebbe mestieri di sprone, ma tutti volenterosi si unirono al loro pastore per

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sovvenire alla comune miseria. E allorchè ¡l pestilenziale morbo del cholera, che imperversava nelle città

vicine, fe’ qui pure, benché leggermente, sentire i suoi mortiferi effetti, che cosa non fece egli? Quanto non si adoperò, quanto non allargò la mano alla beneficenza, il cuore alla pietà? Ditelo voi che ne foste testimoni, ditelo voi che ne provaste le larghezze, ditelo voi che il vedeste e l’udiste. Per me dirò solo, passò beneficando, per transiit benefaciendo, e in due parole avrò pienamente offerto l'epilogo della vita di

questo santissimo vescovo, e datane in due tratti l’intera e più perfetta immagine.

IL CARDINALE GIOVANNI SOGLIA CERONI E IL SUO CONTRIBUTO ALLA SCIENZA CANONISTICA

Geraldina Boni Professore Ordinario di Diritto Canonico e di Storia del Diritto Canonico Dipartimento di Scienze Giuridiche - Scuola di Giurisprudenza Alma Mater Studiorum - Università di Bologna Consultore del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi Membro del Consiglio Direttivo della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo

Sommario: 1. Il transito dal Settecento all’Ottocento. 2. Primordi e parabola evolutiva dello jus publicum ecclesiasticum: dai maestri di Würzburg alla scuola romana. 3. Giovanni Soglia Ceroni canonista nell’Urbe. 4. Lo specifico contributo di Soglia Ceroni allo jus publicum ecclesiasticum.

4.1. L’alba della scuola romana: i sogliani Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres. 4.2. La Chiesa società perfetta e continuazione del Verbo incarnato. 4.3. Un’appendice: jus publicum

Nomina ufficiale a Segretario di Stato Documento presso

Istituto Campana di Osimo

Ma da qualche tempo la salute del vescovo cardinale mostrava

tracollare, essendo già stemperata non poco per le fatiche e i pericoli e le paure che in Roma, in que’ miseri giorni in cui era segretario di stato, lo avevano del continuo combattuto.

Ogni giorno pareva venir meno, e

quantunque di quando in quando alcun poco sembrasse rinvigorire, pure venivasi dentro consumando» e pareva anche di fuori. Tuttavolta l’usata serenità e limpidezza di mente non

¡scemava. Fu anche minacciato d’apoplessia: non ostante riavutosi, lasciava ancora sperare che avrebbe vivuto a lunga età. Ma egli perché gli venissero meno

le forze, e gli crescessero

incomodi, non voleva a se

concedere riposo, nè distorsi dal

modo suo usato di vita: le stesse

pratiche di vote, le stesse cure, le

stesse fatiche, gli stessi, pensieri.

E quelle cure e quei pensieri

erano pei poverelli, cui riguardava

come la parte più preziosa

dell’ovile affidatogli.

[Per riassumere: 4 giugno 1848

nomina a Segretario di stato (vedi

documento), 10 dicembre 1848

accettazione delle sue dimissioni]

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ecclesiasticum e jus privatum ecclesiasticum? 5. Rinnovate declinazioni dello jus publicum

ecclesiasticum 1. Il transito dal Settecento all’Ottocento

Il secolo XVIII non era certo stato particolarmente felice per la scienza del diritto canonico: lo ius Ecclesiae aveva anzi attraversato uno dei periodi più difficili e travagliati della sua epopea, condividendo d’altronde le drammatiche traversie della Chiesa. Chetatasi la bufera rivoluzionaria e dopo il crollo della tirannide napoleonica, la Chiesa stessa deve riorganizzarsi nei Paesi europei - ad eccezione forse della Spagna, del Portogallo e dell’Austria - sulle rovine della distruzione operata da decenni di soprusi, soppressioni, confische. Occorre ridisegnare le circoscrizioni ecclesiastiche e rafforzare, se non ricostituire, le strutture diocesane, occuparsi della situazione disastrata degli ordini religiosi soppressi, recuperare, almeno

parzialmente, e compattare il patrimonio ecclesiastico gravemente dissestato, a causa, soprattutto, delle amplissime secolarizzazioni intervenute. In quest’ardua opera, innescata nel mutato clima ideale della Restaurazione, il papato, iniziando a godere di un ripristinato prestigio, promuove la sottoscrizione di una

serie di Concordati tra la Santa Sede e vari Stati. Tali accordi ausiliano non poco il ristabilimento e la rivitalizzazione delle istituzioni ecclesiastiche ed il loro risanamento finanziario: inoltre, in un circolo virtuoso, rilanciano l’autorità del pontefice romano e la sua posizione apicale. D’altronde anche l’atto finale

del Congresso di Vienna aveva rappresentato una vittoria diplomatica della Santa Sede sul palco internazionale, con la conseguita parificazione dei nunzi pontifici agli ambasciatori statuali e il conferimento ad essi del diritto di decanato. E proprio in relazione a tale consolidamento si è commentato che «Il riconoscimento da parte degli Stati europei del nuovo status della Santa Sede in rapporto alle chiese nazionali è accompagnato da due importanti capisaldi concettuali: l’affermazione dell’autorità pontificia e la concezione della Chiesa in senso analogo allo Stato. In tal modo si preparano, da un lato, le idee del concilio Vaticano I e, dall’altro, gli

sviluppi del diritto pubblico ecclesiastico»1. Ed è su questo versante che ci prefiggiamo appunto di soffermarci, perché proprio in esso il cardinale che oggi commemoriamo ha ricoperto un ruolo di primo piano, sovente misconosciuto. Ma, procedendo per gradi, forse vale la pena spendere qualche parola per riepilogare le vicende di questa branca della scienza giuridica canonistica, facendo un rapido passo indietro.

2. Primordi e parabola evolutiva dello jus publicum ecclesiasticum: dai maestri di Würzburg alla scuola romana

Come altrove abbiamo sintetizzato, per quanto afferisce propriamente alla scientia iuris canonici, il Settecento assiste, da un lato, all’apparire di testi condizionati dal giansenismo, dal febronianesimo, dal gallicanesimo e dal regalismo allora imperanti, e dunque veicolanti posizioni nettamente giurisdizionalistiche, giungendo ad abbinare, in un medesimo contesto, alle norme canoniche quelle sancite dagli Stati e che invadono il campo religioso e perfino cultuale: tra essi il noto Jus ecclesiasticum universum

del lovaniense Bernardo Van Espen (1646-1728, sospeso dall’insegnamento ed a divinis anche per le sue simpatie conciliariste erosive del primato petrino), un volume dei primi del secolo che, nonostante fosse stato tempestivamente inserito fra i libri proibiti, venne ben presto imitato in compilazioni minori che rispecchiavano le singole realtà nazionali. Ma soprattutto, dall’altro lato, e proprio in competizione frontale con tale letteratura, sorge lo jus publicum ecclesiasticum quale strumento per reagire e rispondere alla politica ed alla legislazione dispotica degli Stati giurisdizionalisti, difendendo le libertà e le prerogative ecclesiastiche e patrocinando la non soggezione al potere secolare della Chiesa, società giuridicamente

perfetta al pari dello Stato: ed anzi, per il suo finis magis excellens, di rango ad esso superiore (societates sunt ut fines secondo il teleologismo sociale di derivazione aristotelico-tomista). La visibilità istituzionale della Chiesa cattolica e il suo diritto di cittadinanza appunto come societas perfecta equiparabile a quelle secolari diventano i baluardi di un’offensiva culturale, condotta con aspri accenti apologetici, sia contro gli errori del luteranesimo e del protestantesimo, che osteggiavano proprio l’essere la medesima una società giuridicamente organizzata, sia appunto contro le brame di asservimento e dunque le compressioni e le coartazioni alla libertas della Chiesa da parte delle monarchie assolute.

Lo jus publicum ecclesiasticum viene anzitutto coltivato nelle regioni tedesche ove emerge la scuola di Würzburg in Baviera - «[stimulé] par Frédéric Charles de Schönborn, prince-évêque de Bamberg et Wurzbourg, archi-chancelier de l’Empire»2 -, i cui ‘adepti’ mutuano suggestioni e fattori del diritto ecclesiastico degli Stati protestanti, insieme a concetti e categorie dedotti dalla disciplina del diritto pubblico generale relativo all’Impero romano-germanico, per trasporli ed adattarli poi, attraverso una serie di passaggi argomentativi, alle esigenze della Chiesa cattolica. I dottori gravitanti attorno all’Università di

Würzburg3 qualificano la Chiesa come indipendente Respublica sacra, a civili distincta, ma allo Stato medesimo simmetrica, non perequabile ad un simplex collegium arbitrarium, cioè fondato sul libero

contratto stipulato dai suoi membri: si consolida anzi via via proprio quel ‘lemma-icona’ societas che rinveniva addentellati fermi nella tradizione, ma che diventerà, empito di poliedriche valenze, quasi simbolo della disciplina. Così la comunità dei credenti, la Chiesa, in forza del suo essere stata costituita da Cristo è

1 Carlo Fantappiè, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, il Mulino, Bologna, 2011, p. 233.

2 Alberto De La Hera, Charles Munier, Le droit public ecclésiastique à travers ses définitions, in Revue de droit canonique, XIV (1964), p. 32.

3 Ma anche gravitanti attorno all’Università di Ingolstadt.

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una societas necessaria e come tale possiede un vero summum imperium, ossia tutti i poteri necessari al

raggiungimento del proprio fine, cioè la salvezza eterna dei suoi membri: e «se per gli ordinamenti secolari sussiste un complesso di norme fondamentali che ne definiscono l’assetto costituzionale (status publicus), così per l’ordinamento giuridico della Chiesa sussistono delle norme fondamentali, di origine sia divina che umana, che ne definiscono l’assetto costituzionale, e più precisamente che contemplano i diritti del

Pontefice e degli organi attraverso i quali egli governa la Chiesa»4. La nozione di Chiesa quale societas juridice perfecta - che, proprio in questo sintagma idiomatico, diverrà poi vero e proprio ‘vessillo’, come si vedrà, della rinascita romana di questo filone della canonistica - era stata invero già tratteggiata, seppure embrionalmente, da teologi e giuristi post-tridentini (si pensi in particolare all’apporto di Roberto Bellarmino [1542-1621] e di Francisco Suárez [1548-1617]) che avevano dovuto affrontare la traumatica eclissi dell’unitarietà giuridica della Respublica christiana medievale ontologicamente imperniata sullo ius divinum. Precedentemente, peraltro, ci si basava soprattutto, nelle

teorizzazioni, sul diritto divino naturale che, però, entrato in crisi perché pervaso - infettato invero - e poi rimpiazzato dal diritto naturale razionale immanentistico ispirato da criteri laicizzanti che eliminavano Dio quale sorgente metafisica del medesimo, non era più adottabile nelle sue modulazioni primigenie: si

poneva dunque l’impellenza di un rinnovamento. Un rinnovamento a cui attendono gli ‘eclettici’ canonisti bavaresi, talora appunto attingendo ad alcune soluzioni dello jus publicum ecclesiasticum dei Paesi protestanti, pur piegato a logiche differenti, di più, antistanti: «allo pseudo Diritto Ecclesiastico fiorito sul

tronco del Diritto Pubblico Statale»5, allo jus ecclesiasticum cioè statale e riformato, occorre infatti contrapporre «il vero Ius Publicum Ecclesiasticum»6, il cui nucleo duro, peraltro, al di la là di ogni infiltrazione dello jus publicum della giurisprudenza secolare tedesca, resta (e sempre resterà) il diritto divino. I maestri di Würzburg, inoltre, sulle orme ed in emulazione del vivace laboratorio scientifico che li circonda, sono ‘illuministicamente’ attenti al problema del metodo nel tentativo di innalzare lo jus canonicum da semplice ordo legalis ad affinato systema juris: forte è il disagio verso l’ormai angusto e polveroso ordo Decretalium, sono al crepuscolo i generi letterali medievali e patente l’arretratezza anche

didattica dello jus canonicum dinanzi alla coeve esperienze giuridiche secolari, dovendosi quindi accorciare le distanze di un divario che sembrava oltremodo avvilente ed imbarazzante. Si tratta comunque di ricostruzioni propense e vantaggiose per la Chiesa di Roma: e tuttavia, specie in talune delle avventate operazioni di prestito e trapianto cui abbiamo appena alluso vennero ravvisate inquietanti spie di orientamenti devianti dall’ortodossia cattolica: ciò per lo più a causa delle oramai

coriacee incrostazioni razionalistiche inveratesi sul diritto naturale, ma anche per la pretesa di configurare il regime della società ecclesiastica prendendo «l’Empire comme terme de comparaison»7, e così talvolta

incorrendo in travisamenti aberranti. Tali indizi di eterodossia - sfociati talora in clamorose condanne all’Index delle opere di alcuni di questi canonisti - fomentarono nel papato, almeno inizialmente, qualche sospetto ed una guardinga ritrosia nei confronti di tale scuola di provenienza e stampo tedesco. E tuttavia, fino al XIX secolo avanzato, la Germania (ma anche l’Austria) ricopre in generale un posto privilegiato nel ‘paesaggio’ canonistico, specie invero per quanto concerne la scuola di ascendenza laico-universitaria, la quale, nel generale grigiore e mediocrità dei Paesi latini, sperimenta invece una stagione feconda e di

indiscussa eccellenza. Frattanto, le intemperanze giacobine della rivoluzione francese e le vessazioni dell’autocrazia bonapartista si erano abbattute violentemente sulla Chiesa come un uragano, riducendo se non spazzando via la vigenza del diritto canonico con inesorabili e funesti riverberi sulla scienza canonistica e sulle istituzioni formative. Ma, come anticipavamo e avvicinandoci al torno di tempo che ci preme, il susseguente cambiamento, se non ribaltamento, delle circostanze politiche le rende repentinamente acconce ad un reviviscente protagonismo della canonistica italiana, più affidabile agli occhi di Roma per la sua reverenza e fedeltà al

primato del successore di Pietro: quest’ultimo guarda con favore ed anzi appetisce un ceto dirigente confessionale di giuristi ferrati ed esperti, da cooptare altresì nella burocrazia curiale e da collocare quale personale docente del clero. Si era nel frattempo progressivamente rinfrancata in Francia ed in Germania, alimentata nei circoli della restaurazione cattolica, la corrente ultramontana che rilanciava e potenziava motivi e assunti dell’opposizione al giansenismo, al gallicanesimo ed al febronianesimo del secolo anteriore. Per parte loro le speculazioni filosofiche e politiche degli intellettuali controrivoluzionari (De Maistre, Lamennais, Donoso Cortés) esaltavano la figura del pontefice ed i suoi poteri come supporto ideologico alla

propria linea di pensiero. D’altronde uno dei temi nevralgici (e quasi ossessivamente tornanti) dei documenti pontifici - soprattutto durante il regno di Gregorio XVI (1831-1846) - tende a divenire quello della rivendicazione dell’autorità della Chiesa verso l’esterno, la società civile e lo Stato ottocentesco, in attitudine minacciosa ed anzi bellicosa avverso le prerogative ecclesiastiche nella vita pubblica, sia pure in forme divaricate rispetto al pregresso assolutismo venato di confessionismo. Così anche «La polemica contro il liberalismo porta a sottolineare la concezione della Chiesa non solo come società visibile,

gerarchicamente ordinata, ma specialmente come soggetto pubblico di diritti e di poteri, indipendente dallo Stato, perché ha ricevuto da Dio un ordine proprio, delle finalità non esclusivamente spirituali, dei mezzi

visibili esterni»8.

4 Lorenzo Spinelli, Il diritto pubblico ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II. Problemi e prospettive, in collaborazione con Giuseppe Dalla Torre, Milano, 1985², p. 27.

5 Emilio Fogliasso, Il Codice di Diritto Canonico e il “Ius Publicum Ecclesiasticum”, in Salesianum, VI (1944), p. 13.

6 Emilio Fogliasso, Il Codice di Diritto Canonico e il “Ius Publicum Ecclesiasticum”, cit., p. 13.

7 Alberto De La Hera, Charles Munier, Le droit public ecclésiastique à travers ses définitions, cit., p. 39.

8 Carlo Fantappiè, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, cit., p. 234.

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Dunque il clima era oltremodo favorevole affinché un papato più forte si accingesse a varare misure di

sostegno per far risorgere la canonistica ecclesiastica anzitutto in seno alle Università pontificie dell’Urbe: urgeva un’élite di giuristi che fosse in grado di perorare e suffragare le ragioni romane nonché di presidiare il dominio temporale del papato e l’azione pubblica della Chiesa contro il diffondersi del liberalismo anticlericale e del separatismo laicista. Essa, tra l’altro, in totale sintonia, trae proprio «dal magistero

pontificio le categorie ed i concetti con i quali costruire una più moderna dottrina del diritto pubblico della Chiesa»9 che, oramai mondata dalle interferenze di movimenti filosofici discrepanti con la Weltanschauung cristiana - si pensi a quanto sopra detto a proposito di un diritto naturale che fosse aderente alle fonti della Rivelazione -, troverà nei successori di Pietro fino al Novecento dei decisi ‘campioni’. È, questo, pertanto, un secondo periodo, di maggior splendore ed anzi di fastigio massimo, dello jus publicum ecclesiasticum: infatti nei Paesi latini, «passate le prime diffidenze per una disciplina dalle origini ambigue e dagli incerti passi nella ricerca di una metodologia rispettosa della natura propria della Chiesa, si

viene avvertendo la funzione che essa può svolgere proprio per salvaguardare la Chiesa e le sue libertà dagli errori del tempo»10. Lo jus publicum ecclesiasticum, come noto, si distingue convenzionalmente in internum, volto a studiare la

Chiesa come società giuridica perfetta, le sue potestà ed il regime del governo ecclesiastico; ed externum, che si concentra sulle relazioni tra Chiesa e Stato, nel quadro della teoria controriformistica della potestas indirecta Ecclesiae in temporalibus, e con particolare riferimento al sistema concordatario (il concordato,

peraltro, riguardato dapprincipio dai più oltranzisti quale ‘male minore’). Anche se già Fogliasso fa osservare che, sebbene si fosse tosto assestata, tale divisione «includendo nella prima parte i rapporti della Chiesa con i suoi sudditi, nella seconda quelli con lo Stato, in realtà anche nella prima parte non si può prescindere nella impostazione delle argomentazioni dall’idea della funzione riservata allo Stato»11. Per questo pure noi non indulgeremo soverchiamente in questo distinguo che rischia di essere troppo imbrigliante. Dunque in generale, ed in estrema sintesi, si può assumere come il punto di partenza di questa teoria del diritto canonico vada ricercato nella definizione di società giuridicamente perfetta: il diritto

di una simile società è compiuto e indipendente nella misura in cui in suo ordine possiede omnia media necessaria ad ottenere il fine societario. Il secondo passo consiste quindi nel dimostrare che la Chiesa possiede questa perfezione giuridica essendo fondata da Gesù Cristo come società giuridica inaequalis, esterna e suprema: e proprio in forza di questa fisionomia societaria della Chiesa, il suo diritto possiede appunto ex voluntate Fundatoris tutti gli strumenti suo fini proportionata, che siano cioè indispensabili alla

realizzazione dello scopo per cui essa stessa esiste. L’elaborazione esauriente dell’archetipo romano del diritto pubblico ecclesiastico si considererà realizzata

nel 1882 con il manuale di Felice Cavagnis (1841-1906)12, il quale cristallizza un esemplare che poi perdurerà fino al Concilio convocato da Giovanni XXIII nel Novecento. ‘Epigono’13 di questa letteratura - ora peraltro indirizzata allo Stato moderno - si ritiene il potente cardinale Alfredo Ottaviani (1890-1979), che stese l’ultima opera esponenziale di questo ‘genere’, intitolata Institutiones iuris publici ecclesiastici, la cui quarta ed ultima edizione in due volumi (1958-1960) appare alla vigilia del Vaticano II, e che è ancora non lievemente improntata sulla scia dei suoi predecessori ottocenteschi. Non si era pertanto obnubilato

l’ammaestramento di questi ultimi: e infatti, alle sue aurorali scaturigini romane, lo jus publicumecclesiasticum aveva annoverato valenti cultori, soprattutto prelati, come proprio Giovanni Soglia Ceroni, che verranno insigniti della dignità del cardinalato oltre che essere investiti di alte cariche curiali; designati dunque anche a dispiegare una funzione attiva nel tessuto di quei rapporti con gli Stati a cui la disciplina specificamente si volgeva. Tra l’altro, proprio agli esordi della loro attività, come si verificherà, la Bolla Quod divina sapientia di Leone XII del 28 agosto 1824, di riforma degli studi giuridici nelle Università e Facoltà dello Stato pontificio, aveva affiancato, nei curricula, ai corsi di ‘Istituzioni’, cioè all’introduzione al

diritto canonico, e ai ‘Textus canonici’, afferenti alle decretali, anche l’insegnamento biennale - ubicato al secondo e terzo dei quattro anni del corso di laurea Utriusque iuris - di Institutiones juris publici ecclesiastici, pur senza prestabilire minuziosamente il programma delle lezioni. Si era consacrata così definitivamente tale materia imprimendogli un vigoroso slancio appunto nella prospettiva di preservare i diritti, anche territoriali, del papato e l’agire istituzionale della Chiesa contro la dura ostilità del liberalismo: tale insegnamento verrà in seguito esteso poco a poco a tutte le Università ecclesiastiche fino ad essere computato tra quelli principali e quindi divenire generalmente obbligatorio con la Costituzione Apostolica di

Pio XI Deus scientiarum dominus del 1931, che prevedeva inoltre, come ausiliare e complementare nell’ordo studiorum,il corso di Ius Concordatarium per quei Paesi ove i rapporti Stato e Chiesa si reggessero su negoziazioni bilaterali. E pure nella fase primordiale di tale propulsione didattica e accademica protagonista di primo piano fu il nostro cardinale, di cui appunto è giunto il momento di occuparci direttamente.

3. Giovanni Soglia Ceroni canonista nell’Urbe

9 Lorenzo Spinelli, Il diritto pubblico ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II. Problemi e prospettive, in collaborazione con Giuseppe Dalla Torre, cit., p. 32.

10 Lorenzo Spinelli, Il diritto pubblico ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II. Problemi e prospettive, in collaborazione con Giuseppe Dalla Torre, cit., p. 30.

11 Emilio Fogliasso, Il Codice di Diritto Canonico e il “Ius Publicum Ecclesiasticum”, cit., p. 19.

12 Cfr. Felice Cavagnis, Institutiones iuris publici ecclesiastici, Typis Societatis Catholicae Instructivae, Romae, 1882-1883.

13 Così lo definisce Luciano Musselli, Diritto canonico (storia), in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione civile, VI, UTET, Torino, 1990, p. 105.

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Si decanta Giovanni Soglia Ceroni (1779-1856) come «servitore di cinque papi» - Pio VII (1800-1823),

Leone XII (1823-1829), Pio VIII (1829-1830), Gregorio XVI (1831-1846), infine il beato Pio IX (1846-1878) - e senza amplificazioni retoriche: infatti, durante la sua esistenza, egli venne apprezzato e gratificato da tutti coloro che si succedettero sulla cattedra di Pietro. Non rievocheremo qui la sua brillante carriera né, per altro verso, gli eventi burrascosi specie del

Risorgimento italiano cui assistette e che immancabilmente incisero sulla sua sorte, nonché sulle ‘peripezie’ cui andò incontro. Fra esse l’inattesa (e per lui stesso sorprendente) designazione nel 1848, in un frangente assai tribolato, a Segretario di Stato da parte di Pio IX: designazione che, lui così schivo e riluttante a posizioni egemoniche di comando, accettò solo per abnegazione e per deferenza a Giovanni Maria Mastai Ferretti e che - nel turbinio degli eventi culminante con l’assassinio di Pellegrino Rossi e con la fuga del pontefice a Gaeta -, ben presto depose, impetrata ed ottenuta dal papa l’accettazione delle dimissioni14: aveva fatto frattanto ritorno, con un viaggio penoso ed irto di rischi, alla sua amata diocesi. Qui,

nonostante i suoi timori, poiché ad Osimo «i liberali avevano una grossa rappresentanza e non vi tirava un’aria propizia per i fedelissimi al Papa, specie se erano stati Ministri di Stato»15, fu accolto dall’affetto dei suoi concittadini che, dalla casa di campagna ove si era rifugiato, lo condussero quasi in trionfo al palazzo

vescovile: e ad acclamarlo inaspettatamente v’erano «specialmente i più scalmanati liberali»16. Il vescovo se ne era infatti meritato l’imperitura gratitudine, poiché in precedenza aveva salvato molti sospettati dalla polizia di essere affiliati alla carboneria o alla massoneria da perquisizioni, interrogatori e dallo stesso

carcere con la sua personale garanzia; ed altri li aveva segretamente avvisati sollecitandoli alla fuga per scongiurare l’arresto. A guidare il suo magnanimo comportamento era certamente la paterna affezione del pastore per il suo gregge, ma anche quella sua innata propensione alla moderazione che lo aveva sempre condotto ad evitare gli eccessi nelle partigianerie fanatiche e nello scontro delle fazioni, senza peraltro mai deludere la fiducia in lui riposta specie dai papi. Non è un caso, d’altronde, che Soglia fosse avvinto da sincera amicizia con Antonio Rosmini, frequentato assiduamente durante il suo soggiorno romano, al quale l’univa un’accesa ‘ricettività storico-sociale’ (significativamente lo aveva invitato ad Osimo per svolgere una

conferenza sul comunismo): una stima ed una frequentazione che si rinsaldarono nelle tempeste di quei fatidici anni. E «da questa consuetudine, certo, il Soglia apprese quella maggiore apertura che gli permise […] di tenere verso gli uomini e gli avvenimenti di quegli anni un atteggiamento tanto più comprensivo e tollerante di quanto non ne tenessero gli altri suoi colleghi nell’Episcopato»17: una prudente assennatezza che coglieremo in filigrana anche nelle sue composizioni giuridiche.

Non intendiamo però troppo inoltrarci in un terreno già arato capillarmente e con meticolosità, segnatamente dai cultori della storia della nostra penisola. Vorremmo invece qui ripercorrere brevemente la

biografia di questo personaggio - di cui abbiamo evocato in un fulmineo flash back le fasi più convulse - per segnalare quei dati, sovente lasciati in ombra, dai quali emerge immediatamente una precoce vocazione per lo studio del diritto. Egli infatti perfezionò (aveva già intrapreso in fanciullezza gli studi umanistici e della lingua latina, di cui divenne provetto perito) il suo percorso scolastico a Imola, ivi chiamato dallo zio materno Giacomo Braga, segretario del vescovo Barnaba Chiaramonti, e poi a Bologna, spiccando «per diligenza e profitto»18; e, quando il cardinale Chiaramonti divenne papa, raggiunse monsignor Braga a

Roma. Estrinsecando il proposito di ricevere l’ordine sacro, venne quindi avviato nell’Urbe allo studio in utroque iure, nella persuasione che tale competenza fosse «necessaria suppellettile al sacerdozio»19 e che il soggetto promettesse molto: una persuasione avveduta, anche alla luce dei futuri exploits di Giovanni che pertanto si addottorò, oltre che in teologia nel Collegio Romano (5 settembre 1805), anche in diritto alla Sapienza (22 luglio 1807). Lo stesso Pio VII, per premiarne la devozione anche nelle tristi disavventure delle soperchierie napoleoniche ma soprattutto intuendone le doti, nominò Soglia Professore di Testo canonico nell’Archiginnasio Romano, presso il quale attrasse volenterosi allievi, guadagnandosi una nomea

meritata. E probabilmente grazie al credito di cui godeva come canonista, Leone XII, che successe al pontefice cesenate, lo inserì con funzioni di segretario nella congregazione20 eretta il 13 dicembre del 1823 e deputata ad attuare, sulla traccia del «Metodo generale di pubblica istruzione ed educazione per lo Stato pontificio» predisposto sotto il suo predecessore, quella riforma degli studi alla cui progettazione, invero, già da tempo si attendeva alacremente, anche su impulso del cardinale Ercole Consalvi. Una riforma che è plaudita «ancor oggi» quale «una delle più ardite ed intelligenti messe a punto degli studi universitari

dell’intera Europa»21. La congregazione nella quale fu ‘arruolato’ Soglia era composta dai cardinali Della Somaglia, allora Segretario di Stato, Fesh, De Gregorio, Bertazzoli, Cavalchini, Guerrieri: il piano approntato da quest’ultima - appunto fruendo dell’istruttoria già espletata - venne subitaneamente approvato dal pontefice e trasfuso nella citata Costituzione Apostolica Quod divina sapientia giunta alla meta appena un anno dopo l’ascesa al trono di Pietro di Annibale Della Genga: «La costituzione, articolata

14

Il Breve di nomina era datato 4 giugno 1848 e le dimissioni furono accettate il 10 dicembre 1848. 15

Giancarlo Menetti, Pio XI e il card. Giovanni Soglia Ceroni figlio illustre di Casola Valsenio, in L’LXXXVIII° vescovo di Imola. Il cardinale Giovanni Maria Mastai

Ferretti. Nel II° centenario della nascita di Pio IX, 1792-1992, a cura di Giovanni Magnani, Il Nuovo Diario Messaggero, Imola, 1992, p. 38. 16

Giancarlo Menetti, Pio XI e il card. Giovanni Soglia Ceroni figlio illustre di Casola Valsenio, cit., p. 38. 17

Carlo Grillantini, Il card. Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo Segretario di Stato di Pio IX, in Pio IX. Studi e ricerche sulla vita della Chiesa dal Settecento ad oggi,

III (1974), p. 147. 18

Giuseppe Ignazio Montanari, Biografia dell’E.mo e R.Mo cardinale Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo e Cingoli, Tipografia delle Belle Arti, Roma, 1856, p. 1. 19

Giuseppe Ignazio Montanari, Biografia dell’E.mo e R.Mo cardinale Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo e Cingoli, cit., p. 1. 20

La carica di segretario di una congregazione solitamente preludeva alla porpora cardinalizia.

21Onorato Bucci, Lo Studium Romanae Curiae Lateranense e l’insegnamento del diritto, in Apollinaris, LXIII (1990), p. 835.

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in 27 titoli e 309 articoli, poneva le basi per ridefinire l’impianto generale del sistema di istruzione. Fra le

principali innovazioni figurava l’istituzione della Congregazione degli studi quale organo permanente e dotato di ampie prerogative: “Si erigerà una Congregazione, la quale presieda agli studi tanto in Roma, quanto nello Stato pontificio. … Saranno a questa Congregazione soggette tutte le università, le pubbliche e private scuole di Roma e dello Stato, e qualsivoglia corporazione o individuo impiegato nella istruzione della

gioventù” (Titolo I, artt. 1 e 4). /La Congregazione degli studi nasceva dunque da quella data come un organo centrale, con mansioni di coordinamento e vigilanza su tutto lo Stato; componenti di diritto erano le più alte cariche dello Stato: il segretario di Stato, il vicario di Roma, il prefetto dell’Indice, il prefetto del Buon Governo, il camerlengo»22. Dunque Soglia cooperò alla stesura delle norme della neoeretta Congregazione - per alcuni suoi biografi (che forse esagerano nell’adulazione) ne fu estensore e comunque artefice primario -, e poi fu prescelto, ancora giovane, per l’ufficio di Segretario della medesima, la cui istituzione aveva calorosamente

raccomandato: incombenza che mantenne fino al 1834, prima alle dipendenze, come prefetto del dicastero, del cardinale Francesco Bertazzoli, ed in seguito del cardinale Placido Zurla. Si trattava di un plateale riconoscimento che attestava il prestigio di cui già poteva fregiarsi, soprattutto se si considerano i

proponimenti tutt’altro che modesti in animo a Leone XII proprio in materia di istruzione. In quella stessa Costituzione Apostolica, come abbiamo già accennato, oltre a concertare meglio i corsi di Istituzioni e di Testi, «nei quali, senza la farragine di un tempo, decretali, pandette, corpus civile trovano il loro posto»23,

si aggiunse il corso di jus publicum ecclesiasticum (spalmato appunto su due anni) nel ‘palinsesto’ degli studi superiori nel Grande Liceo della Sapienza a Roma e nella Pontificia Università di Bologna. Chiosa Forchielli al riguardo: «Fu un atto che rientrava nei piani e nei quadri della restaurazione politica post-napoleonica dello Stato pontificio. Ma in seguito l’insegnamento fu esteso ad altri istituti ecclesiastici non solo nello Stato stesso, ma anche presso altri Stati e Paesi»24. Quanto a Soglia, a ricompensarlo poi di quasi quarant’anni di leale servizio, Gregorio XVI gli concesse la porpora: creato cardinale in pectore nel concistoro del 12 febbraio 1938, venne pubblicato in quello del 18

febbraio 1839 con il titolo dei Santi Quattro Coronati nell’ordine dei preti, e contestualmente venne preposto come vescovo diocesano delle Chiese unite di Osimo e Cingoli delle quali prese possesso il 25 marzo 1839. Egli, dunque, inaugurò a sessant’anni il suo ministero pastorale, il quale purtuttavia fu contrassegnato da un attivo dinamismo. Quanto all’episcopato, ora desideriamo solo rimembrare come furono plausibilmente

la sua pratica e perizia giuridica, da una parte, e la sua premura per la catechesi e l’educazione, dall’altra, che gli suggerirono il riordinamento delle amministrazioni dei luoghi pii nella diocesi (con Decreto del 1

marzo 1840), e gli istillarono lo zelo con cui si volse soprattutto a ridonare lustro al Seminario-Collegio Campana, fornendolo di adeguate leggi, nonché a rianimare la cultura richiamando in vita l’antica e rinomata Accademia Osimana dei Risorgenti. Era soprattutto un’accurata preparazione del clero, strettamente legata alla sua integrità morale, che stava a cuore al vescovo, nella lucida consapevolezza che da questa dipende la qualità della fede del popolo e l’immagine nonché la reputazione della Chiesa. In seguito indugeremo sulla produzione prettamente canonistica del Soglia, limitandoci ora a menzionare

en passant la sua attività di mecenate, promotore di cultura e lui stesso versato letterato: «Pubblicò […] una parte di storia Patria scritta in latino assai bene da Domenico Mita buon letterato che visse nel principio del Secolo XVII, e la vita di Giovanni Battista da San Bernardo Monaco Fuliense, da lui dettata assai bellamente in lingua latina, e in fine alcuni versi latini inediti di Antonio Linguerri stato suo maestro. Queste cose scrisse e pubblicò in onore della sua Terra natale; altre pure scrisse per giovare gli studi, e sono le seguenti: una grammatica della lingua latina ad uso dei Seminari di Osimo e Cingoli, assai lodata e più volte ristampata […]. Un lavoro pure di lena ha lasciato inedito: la Concordia evangelica colle parole stesse

dei Santi Quattro Evangelisti, il quale egli scrisse nel tempo della sua cattività in Fenestrelle»25. 4. Lo specifico contributo di Soglia Ceroni allo jus publicum ecclesiasticum 4.1. L’alba della scuola romana: i sogliani Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres

Il primo approccio di Giovanni Soglia Ceroni alla scienza canonistica - dopo la sua attiva partecipazione al ciclo di riforme sull’istruzione - può scorgersi allorquando si accinge alla redazione delle Theses ex jure publico ecclesiastico, che compaiono a Roma nel 1826. Come ragguaglia Raul Naz, infatti, le suddette Theses si devono proprio a Soglia «en collaboration avec P. Filonardi et P. Caprano»26. Si trattava di cento temi rivolti «ad clericos ex coetu Sancti Pauli Apostoli» dai Censori dell’accademia istituita fra loro «ad studia excolenda»: al terzo posto in ordine non alfabetico ma di carica tra i Censori si enumerava appunto il

Nostro, che all’epoca assolveva l’incarico di segretario della Congregazione degli studi. Più che ad una vera

22

Introduzione. La Congregazione degli studi e la riforma dell’istruzione, in Congregazione degli studi. La riforma dell’istruzione nello Stato pontificio, Ministero per i beni e

le attività culturali - Direzione generale per gli archivi, Roma, 2009, p. XXXIV. 23

Agostino Gemelli, Silvio Vismara, La riforma degli studi universitari negli Stati Pontifici (1816-1824), Vita e pensiero, Milano, 1933, p. 274. 24

Giuseppe Forchielli, Il concetto di «pubblico» e «privato» nel diritto canonico (Appunti di storia e di critica della sistematica), in Studi di storia e diritto in onore di Carlo

Calisse, II, Giuffrè, Milano, 1940, p. 519. 25

Giuseppe Ignazio Montanari, Biografia dell’E.mo e R.Mo cardinale Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo e Cingoli, cit., p. 7. 26

Raul Naz, Soglia (Jean), in Dictionnaire de droit canonique, VI, Libraire Letouzey et Ané, Paris, 1965, c. 1066.

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e propria pubblicazione scientifica si era dinanzi ad un Tesario col quale appunto la Pia Unione San Paolo,

nella sua «speciale diramazione»27, ‘sponsorizzava’ il diritto pubblico ecclesiastico, pungolando e sospingendo ad esso i giovani e promettenti chierici, d’altronde secondo i suoi fini statutari già ratificati da Pio VII: a conferma di una tattica coesa perseguita tenacemente dai pontefici in quell’arco temporale. Si predisponevano dunque delle tesi da sviscerare fra le quali potessero essere estratte a sorte quelle che

sarebbero state sottoposte ai discenti nelle prove d’esame o per esercitazioni: si sarebbe provveduto gradatamente per tutti gli apprendimenti, ma si cominciò dal diritto pubblico ecclesiastico proprio per la sua nodalità fra gli interessi della Chiesa, come si ammoniva nella lettera di accompagnamento acclusa alla pubblicazione medesima. Ovviamente, atteso il loro impiego, esse non abbracciavano l’intera materia, né erano disposte in ordine sistematico e consequenziale: e neppure erano cesellate in foggia rifinita. Eppure nelle Theses, sia pur in nuce, trapelano nitidamente quelli che poi diverranno i fulcri della riflessione del Soglia: così in esse si enunciava in limine che «Ecclesia non Collegium, sed perfecta societas est». Il futuro

cardinale casolano era dunque destinato a divenire interprete di primo piano della nuova temperie che, in una ben pianificata strategia pilotata dall’alto, si voleva stimolare: in totale coerenza, quasi in esecuzione, della Costituzione, poco prima promulgata, Quod divina sapientia, la quale aveva appunto mirato ad

incentivare lo studio e la didattica del diritto pubblico ecclesiastico. Quest’ultimo perciò, lo si è già rammentato, arruolerà molto celermente sempre più numerosi ‘proseliti’, e prolifereranno i lavori compilativi, preponderantemente di tipo manualistico: manuali, invero, più o meno sofisticati ed ingegnosi,

ovvero divulgativi, anche se invero tutti contraddistinti da una certa staticità e ‘convenzionalità’ di contenuti. Fra essi divenne presto eminente l’opera in tre volumi Institutionum juris publici ecclesiastici proprio di Giovanni Soglia Ceroni - apostrofata tra le più celebri di quelle ‘classiche’ del secolo scorso da Huizing28 -, sulla cui data di prima pubblicazione a Loreto (ad uso, l’Autore stesso asserisce, degli adolescenti del Seminario-Collegio Campana di Osimo), uscita anonima, si nutrono dubbi. Naz, nella voce Soglia del Dictionnaire de droit canonique, la ubica nel 1841: ma, come eccepisce Parenti, questa cronologia è

contraddetta da «una lettera inviata da Gregorio XVI al Cardinale in data 15 Giugno 1842, in cui si parla del “volumen Lauretanis typis proxime editum»29. Anche sulle successive edizioni e ristampe le notizie sono talora incongruenti. Giuseppe Ignazio Montanari infatti informava: «Quest’opera fu stampata tre volte, e sempre con ampliazioni, in Loreto. Si cita la quarta edizione, perché dopo la seconda loretana ne uscì una terza modanese presso Zanichelli e Calderini 1850: poi la quarta, fatta dai fratelli Rossi in Loreto 1850. Ne

uscì appresso una quinta, sebbene detta quarta, Matritii ex officina D. Eusebii ab Aguado 1854, in Ispagna. Mi si dice che di quest’opera siasi fatta anche un’edizione in Germania: ma io non posso darne

precisacontezza, perché mai non mi venne innanzi. Nella prima edizione non è manifesto il nome dell’autore»30. Parenti invece, dopo le prime tre stampe i cui frontespizi non sono del tutto coincidenti, ne elenca una quarta parigina, omettendo le altre31; alla ristampa di Napoli del 1860 fa cenno Forchielli32. In verità sovente in questi cataloghi si frammischiano edizioni rimaneggiate dall’Autore e mere ristampe, quali certo quella 1860, oramai defunto l’Autore. Noi abbiamo potuto consultare la seconda, loretana (1844)33 e la terza edizione, modenese (1850)34- assai più esaustiva e ricca -, e faremo preminentemente riferimento

a quest’ultima, pur sempre collazionandole tra loro laddove proficuo. Già nella Praefatio della seconda Soglia gioca a carte scoperte e non nasconde di volere deliberatamente concorrere a quell’iniziativa culturale-politica risolutamente voluta dai papi Pio VII e Leone XII, cui forse ancora non ci si era accinti con la doverosa solerzia: «Qua Constitutione promulgata, cum animadvertissim exsistitisse Italorum neminem, qui Juris Publici Ecclesiastici Institutiones in scholarum usum edidisse, huic operi manus admovere coepi, et has Institutiones, videlicet prima Juris Publici Ecclesiastici elementa conscripsi, et sunt veluti pars dogmatica Juris Canonici. […] /Nunc earundem Institutionum haec editio

altera in lucem prodit multis in locis valde aucta, eaque in tres libros distribuita, quorum: /I: De Statu Ecclesiae. /II: De Ecclesiae Rectoribus. /III: De Personis et Rebus potestati Ecclesiae subjectis»35. Era bensì vero, né Soglia poteva ignorarlo, che nei primissimi anni del XIX secolo Giovanni Devoti (1744-1820) aveva dato alle stampe i tre volumi del suo Iuris canonici universi publici et privati libri V (Roma, 1803, 1804,

27

Gaetano Romano Moroni, Paolo (s.), in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LI, Tipografia Emiliana, Venezia, 1851, p. 142. 28

Cfr. Peter Huizing, Chiesa e Stato nel diritto pubblico ecclesiastico, in Concilium, VI (1970), p. 153, nota 7. 29

Giancarlo Parenti, Il cardinale Giovanni Soglia Ceroni Segretario di Stato di Pio IX ed eminente giurista, in Divinitas, XIX (1975), p. 239, nota 16. Anche per Giacomo

Mazio, Analisidell’opera, in Annali delle scienze religiose, Serie Seconda, II (1846), p. 67, le Istituzioni sogliane per la prima volta sono state «divolgate per le stampe nel

1842». 30

Giuseppe Ignazio Montanari, Elogio dell’eminentissimo e reverendissimo principe signor cardinale Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo e Cingoli, letto nel terzo

giorno delle solenni sue esequie 14 agosto 1856, nella chiesa cattedrale di Osimo, Aurelj, Ancona, 1856, p. 26, nota 18. Scrive per converso Carlo Grillantini, Il card.

Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo Segretario di Stato di Pio IX, cit., p. 148: «Ne uscirono quattro edizioni in Italia (1843, 1845, 1846, 1850) e una in Spagna (1854)». 31

Cfr. Giancarlo Parenti, Il cardinale Giovanni Soglia Ceroni Segretario di Stato di Pio IX ed eminente giurista, cit., p. 239, nota 16: dopo la prima «Le altre edizioni sono:

Institutiones Juris Publici Ecclesiastici, libri tres, editio altera, Laureti 1843; Institutionum Juris Publici Ecclesiastici, t. I et II, Mutinae, 1850; Institutiones Juris Publici

Ecclesiastici, t. I et II, Parisiis, 1853». 32

Cfr. Giuseppe Forchielli, Il concetto di «pubblico» e «privato» nel diritto canonico (Appunti di storia e di critica della sistematica), cit., p. 523: le Institutiones juris publici

ecclesiastici «erano uscite per la seconda volta nell’anno 1844 (la prima edizione è di Loreto nel 1843), senza indicazione del nome dell’autore, pure in Loreto, destinate agli

studenti del Seminario e del Collegio Campana di Osimo; queste istituzioni furono ristampate a Modena, col nome dell’autore, dagli editori Zanichelli e Calderini, nell’anno

1850, per la scuola di diritto pubblico ecclesiastico nel Regio Archiginnasio di Modena, e a Napoli nel 1860» (questa ci sembra la ricostruzione più precisa, corrispondente a

quanto abbiamo potuto verificare). 33

Cfr. Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio altera ab ipso auctore recognita et aucta, ex Typographeo Rossiorum, Laureti, 1844 (il nome dell’Autore

Giovanni Soglia risulta da una nota manoscritta sul verso del foglio che precede il frontespizio). 34

Cfr. Joannis Cardinalis Soglia episcopi Auximani et Cingulani, Institutionum juris publici ecclesiastici, editio tertia ab ipso auctore recognita et aucta, Zanichelli - Calderini,

Mutinae, 1850. 35

Joannis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio altera, cit., p. 7.

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1815, «pubblicato in realtà nel 1817»36). Ma oramai altri erano i traguardi che i cultori italiani del diritto

pubblico ecclesiastico dovevano attingere, ad essi rivolgendo i loro sforzi, instradando altresì i discepoli a battere rotte ancora in parte inesplorate. Dunque, al di là della data esatta dell’uscita della prima versione dell’opera del Nostro, irrefragabilmente nei primi anni Quaranta dell’’800, nell’ambiente italiano, Giovanni Soglia Ceroni era - e così si percepiva - un antesignano ed un precursore del diritto pubblico ecclesiastico.

E tuttavia è d’uopo ammettere che non ‘salpava’ ex nihilo, bensì dal ‘porto’ faticosamente allestito Oltralpe, delle cui ‘attrezzature’, almeno preliminarmente, si avvalse in modo non esiguo: Soglia era infatti edotto in modo inappuntabile delle speculazioni dei canonisti bavaresi, ma in particolare si è riscontrata una non debole influenza soprattutto di Zallinger, non a caso, fra i tedeschi, ritenuto il più rispettoso dell’ortodossia cattolica; anzi, secondo Carlo Fantappiè un ruolo di mediazione tra la scuola germanica e il nostro canonista fu svolto proprio dal già ricordato docente romano Giovanni Devoti coi suoi fortunati Institutionum canonicarum libri IV, editi a partire dal 178537. Ma non di meno egli subì l’influsso di molti

altri (anche anteriori) Autori di area mitteleuropea, quali segnatamente Giovanni Nepomuceno Endres, con il suo utilizzo dello jus naturale per custodire e propugnare i diritti della Chiesa ad intra e ad extra, e resistere rispettivamente agli assalti demolitori delle confessioni riformate, ovvero alle oppugnazioni dei

poteri secolari: comprovando stringentemente che la Chiesa è una Respublica Sacra a Civili distincta, con proprie leggi, magistrature, sudditi, specie in replica a Samuel Püfendorf (1632-1694) secondo il quale «Ecclesiam non instar Reipublicae seu Status independentis, sed potius instar Collegii cuiusdam esse

concipiendam»38. Era stata proprio la riduzione - da parte del famoso pensatore protestante - della Chiesa a associazione privata sottoposta alla giurisdizione dello Stato, unica societas inaequalis avente summa potestas e imperium consititutivum, a scatenare la levata di scudi specie dei cattolici germanici, fungendo quasi da salutare «detonatore»39. Del pari una medesima «ansia apologetica»40 intrideva ad esempio gli scritti - alcuni dei quali invero messi all’indice - di Ickstadt, Riegger, Neller, Zallwein, per arrivare a Schmidt (solo per menzionarne taluno), che incisero non irrisoriamente sulla forma mentis del Nostro il quale li nominava abbondantemente nel corso della dissertazione - quasi sempre - ad adiuvandum. Invero

l’intera incipiente scuola romana, alla quale lo stesso Soglia può ascriversi, riprese queste dottrine e lo scopo da cui erano permeate e, dopo averne corretto gli sviamenti dovuti ai residui «miraggi dell’Aufklärung»41, le precisò a livello sistematico e scritturistico, aggiustandole ai tempi e portandole a compimento secondo i desiderata dei pontefici. D’altronde tale ‘sapore apologetico’ - il quale secondo taluno venne anzi calcato dal mos italicus - aveva reso sempre lo jus publicum ecclesiasticum terra di

confine tra diritto e teologia, essendo parimenti proprio della stessa teologia fondamentale che ne rappresentava l’‘a priori’, la piattaforma dogmatica di riferimento e che pure non si curava - contrariamente

alla canonistica che dunque sopperiva al riguardo - del presidio ad extra delle prerogative ecclesiastiche nella colluttazione Ecclesia-Status: eppure la cifra apologetica diverrà sovente marchio negativo, quasi infamante, e soprattutto distrarrà dalle qualità di questa disciplina, come appureremo proprio in Soglia Ceroni. La mission che animava quest’ultimo traspare eloquentemente da una delle asserzioni - quasi la Grundnorm dello jus publicum ecclesiasticum - con cui si schiude l’esposizionee che viene più volte

ribadita: «Ecclesiam a Christo fundatam societatem esse inaequalem», visibile e autosufficiente, non sottomessa ad alcuna potestà umana ma del tutto libera nell’esplicazione di quanto esige il culto di Dio e la salvezza delle anime. Avverso questo assioma capitale, intorno al quale tutto ruota, si sono diffusi alcuni errori contro cui si deve lottare con determinazione: proprio tali errores sono oggetto di serrata disputazione nei capitoli in cui le Institutiones del Soglia si snodano, nelle loro differenti edizioni, ma sui punti de quibus con una singolare consonanza di concetti, financo di perifrasi e locuzioni. Così taluni sostengono che Cristo ha fondato la Chiesa «instar collegii, seu societatis aequalis», asserto inaccettabile e

che va respinto irremovibilmente, insistendosi quindi sullo ‘sdoppiamento’ jure divino tra coloro cui spetta «praeesse et imperare» e coloro che devono «obtemperare et subjectos esse». Vi sono poi coloro «qui tradunt ecclesiasticam potestatem omnem non Petro et apostolis, eorumque successoribus, tamquam certis designatisque personis, sed toti Ecclesiae fuisse traditam», ai quali dunque occorre prontamente rispondere. L’esercizio di tale potestà ecclesiastica, nelle sue disparate forme ed attuazioni, compresa quella coercitiva, incontra continuamente «obtrectatores et hostes», ai quali si deve ribattere in ossequio alle «probatas Doctorum sententias, praesertim vero Traditionem et Sacram Scripturam magistram

ducemque». Sono proprio la Sacra Scrittura, la Tradizione e il costante Magistero ad illuminare l’itinerario del Nostro che - d’altronde sul binario segnato dai suoi predecessori tedeschi - eleva il diritto divino, ed in speciale modo la voluntasChristi manifestatasi nella Rivelazione, a fonte primaria dello jus publicum ecclesiasticum, le cui tesi non possono conoscersi solo lumine intellectus naturalis, soccorrendo appunto traditio e fides. D’altronde non nella ‘democratica’ volontà della multitudo sociorum ma «è nella volontà fondazionale di

Cristo che risiede il progetto costituzionale, immutabile, sulla Chiesa universale che attende solo di essere

36

Agostino Lauro, Devoti, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, XXXIX, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1991, p. 599. 37

Cfr. Carlo Fantappiè, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, cit., p. 235, nota 16. 38

Cfr. il citato Joannes Nepomucenus Endres, De necessario jurisprudentiae naturalis cum ecclesiastica nexu et illius in hac usu, riportato in Antonius Schmidt, Thesaurus

juris ecclesiastici potissimum germanici seu dissertationes selectae in jus ecclesiasticum, Goebhardt, Heidelbergae, Bambergae et Wirceburgi, I, 1772, p. 12. 39

Così Eugenio Corecco, Libero Gerosa, Il diritto della Chiesa, Jaka Book, Milano, 1995, p. 54, nota 44. 40

Giancarlo Parenti, L’indole apologetica del jus publicum ecclesiasticum del cardinale Giovanni Soglia Ceroni (1779-1856), in Divinitas, XX (1976), p. 218. 41

Emilio Fogliasso, Il Codice di Diritto Canonico e il “Ius Publicum Ecclesiasticum”, cit., p. 17.

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colto e contestualizzato attraverso gli strumenti tecnici di cui l’esperienza giuridica dispone nei diversi

momenti del percorso storico. Il jus publicum ecclesiasticum ha incarnato un esempio di tale impegno scientifico»42. Così l’itinerario di Soglia, copiosamente disseminato di brani biblici e versetti neotestamentari, ‘conditi’ da postille desunte dai Padri della Chiesa, muove dalle Praenotationes in jus canonicum: in tale sede sono

puntigliosamente offerti i rudimenti relativi al discrimine tra diritto e teologia (dogmatica e morale), tra diritto canonico e civile - distinti origo, objectum, et finis, ed in virtù di ciò «Jus Canonicum longe multumque juri civili antecellit»43 (ove anche l’uso delle maiuscole e minuscole non è accessorio) -, tra le diverse classes di canones, nonché tra i vari tipi di interpretazione della legge. Si dissezionano nel prosieguo, e mai con approssimazione, le plurime fontes juris canonici, di produzione e di cognizione (De collectionibus sacrorum canonum), in una carrellata di chiose storiche e di rinvii dottrinali e magisteriali. Qui Soglia non neglige di soffermarsi sul diritto naturale, tanto bistrattato e frainteso da chi, sedotto dalla

ragione umana, ha dimenticato divinum revelationis lumen, fissando di seguito i paletti della dottrina cattolica, per la quale esso, donato all’umanità da Dio medesimo come faro, non rappresenta però il fondamento della costituzione della Chiesa da ricondursi invece al diritto divino positivo. Dunque, come

anche in seguito incalzerà, errano i doctores protestantes quando giustificano il governo degli affari ecclesiastici da parte del sovrano attraverso il diritto naturale: «Si veritatem invenire desiderant, in jure divino eam quaerere debent, quandoquidem ecclesiasticae gubernationis ratio, quae ab una voluntate Dei

pendebat, non aliter nobis cognita perspectaque esse potest, nisi ex tabulis divinae fundationis Ecclesiae, ex Sacra nempe Scriptura, et Traditione»44. Si entra poi in medias res ove anzitutto cisi districa, sempre avendo presente il fine ultimo del cultus Dei et salus animarum, dalla potestas ordinis - la quale «per sacram ordinationem confertur, neque amitti potest, nec auferri, quia character, unde profluit, deleri nequit, sed perpetuo inhaeret ita, ut qui sacerdos semel fuit, laicus rursus fieri non possit»45 -alla potestas jurisdictionis - avverso i protestanti occorre proclamare che «Ecclesia imperat, sive imperium habet», seppure, glossa Soglia, «ad exercendum munus spirituale,

sine qua quivis actus jurisdicationis nullus et irritus est»46 -. Dal potere legislativo si trapassa a quello giudiziario, alla potestas puniendi - «Jam vero sine jure coercendi, nihil efficax est potestas condendi leges, et judicandi»47 - ed alle pene ecclesiastiche; Soglia ne approfitta per indugiare sull’annosa disputa circa poenarum ecclesiasticarum vis atque natura e ha modo di opinare in maniera difforme dal verdetto forse maggioritario: «Veruntamen sententia prior magis Ecclesiae mansuetudini consentanea videtur. Sequimur

proinde eorum judicium, qui corporalem gladium ab Ecclesia removent, quo vel corpus perimur, aut sanguis funditur»48.

Addentrandosi nel liber De rectoribus Ecclesiae, quale basamento ed insieme vetta della ‘piramide’ si pone il romano pontefice e il primato petrino è l’asse intorno al quale tutto vortica: d’altronde nell’oramai smarrito e lontanissimo unum sentire della Respublica gentium christianarum, nessuno Stato accorda al pontefice la trascorsa supremazia, considerandolo un nemico da sconfiggere ovvero un docile alleato da blandire e soggiogare. Soglia si scaglia quindi subito avverso l’infensissima doctrina Edmundi Richerii, rimbeccandola punto su punto. Egli invece rimarca la potestas incommensurabile del successore di Pietro

da cui si diparte ogni potestà ecclesiastica, effigiando prolissamente sotto ogni risvolto i diritti del suo primato in un mosaico variopinto ma senza iati, in cui si alterna la refutazione di errori e l’allegazione, oltre che dei topici frammenti neotestamentari, di dottrina risalente a molteplici epoche, dalla patristica a quella quasi contemporanea, e di documenti normativi e magisteriali ‘ufficiali’ e cogenti della Chiesa: dalle memorabili lettere dei papi dei primi secoli ai decreti di concilii, anche se forse, tra essi, se si dovesse fare un ranking statistico, in cima vi sarebbe la Synodus Tridentina. Le perifrasi vicarius Christi e plenitudo potestatis, gravide di reminiscenze - nonché offese e vulnerate dagli oppositori della Chiesa -,ritmano il

procedere della parte sul successore di Pietro fundamentum Ecclesiae, ove ogni adduzione di auctoritates non è mai sterile sfoggio di erudizione, ma ha sempre dinanzi le ‘incursioni’ cui si vuole porre riparo. Dalle questioni prima facie meno complicate, alle quali si dedicano succinti paragrafi - ma Soglia svela la propria abilità nella cernita delle auctoritates più probanti al riguardo: si veda, ad esempio, l’asciutto paragrafo De jure canonizandi -, alle più contese, nelle quali dilatate sono le digressioni, come quelle che attengono alle relazioni con l’episcopato (De jure episcopatuum erigendorum; De jure creandi episcopos; De translatione cessione seu renunciatione et depositione episcoporum; De jure episcopos vel invitos destituendi, ecc.), e

nelle quali le posizioni dell’Autore sono corazzate contro il contagio di inflessioni episcopaliste - cui invece alcuni giuspubblicisti bavaresi incapparono -, mirando invece ad arginarle. Si passa quindi, dopo i Romani Pontificis Adjutores, cardinali in testa, all’illustrazione dei vescovi, successori degli apostoli, e dei loro jura et officia, minutamente ‘schedati’. Nel terzo libro De personis et rebus ecclesiasticae potestati subjectis non meraviglia la stringatezza e la laconicità della parte riservata ai laici, poco più di una risicata paginetta ove i leitmotivs sono soggezione e

obbedienza, per accedere poi sbrigativamente ai chierici ed alle loro immunità nonché alla libertas

42

Cristiana Maria Pettinato, I “Maestri di Würzburg” e la costruzione del jus publicum ecclesiasticum nel secolo XVII, Giappichelli, Torino, 2011, p. 143. 43

Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio tertia, cit., p. 6. 44

Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio tertia, cit., p. 33, nel § 9 del primo libro intitolato De potestatis ecclesiasticae ut ajunt

independentia. Segnaliamo qui che la numerazione delle pagine dopo la conclusione delle Praenotiones in jus canonicum ricomincia da 1. 45

Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio tertia, cit., p. 17. 46

Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio tertia, cit., p. 18. 47

Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio tertia, cit., pp. 26-27. 48

Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio tertia, cit., p. 31.

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electionum nella Chiesa: non stupisce, al di là dell’essere quello di Soglia anzitutto un libro ‘sulla barricata’,

se così si può dire, perché neppure oggi, dopo il Concilio Vaticano II e altresì dopo un Sinodo dei Vescovi appositamente riunito, si è approdati ad una soddisfacente definizione positiva del laico e della ‘secolarità’ che lo connota. Nell’ultimo scorcio dell’opera infine, De rebus, dopo una scaletta riepilogativa delle res circa quas ecclesiastica potestas versatur, ad una coincisa trattazione De matrimonio e De causis

matrimonialibus, con esclusiva attenzione alle quaestiones involventi lo jus publicumecclesiasticum, e ad una delucidazione De rebus et causis connexis seu mixtis, si susseguono i paragrafi finali De bonis Ecclesiae con i quali il lavoro si chiude: un accostamento tra res ben divergenti ma del resto ancora appaiate nel libro III, De rebus, della codificazione piano-benedettina del 1917, essendo questa ‘pecca’ sanata solo dalla sistematica coniata nel post-Concilio per il Codex Iuris Canonici giovanneo-paolino. Il fatto che Soglia, oltre a passare sotto silenzio alcuni comparti dell’ordinamento canonico, quelli invero pacifici, siccome postulava il planning stesso dello jus publicum ecclesiasticum, saltabeccasse quasi da un

cantone all’altro inseguendo le provocazioni dei detrattori del diritto della Chiesa, non preclude il rivelarsi di un’orditura limpida. Un ordine sistematico che soppiantava la tralaticia ostensione delle norme meramente commentaristica e che era ancora una volta esito del voler essere lo jus publicum ecclesiasticum non solo

«una semplice corrente di pensiero ma un modus di formare i canonisti avallato e anzi richiesto dallo stesso Magistero»49. Dunque non tutto trova posto nelle Institutiones: ma volutamente, proprio perché nella meditata selezione degli argomenti da investigare dimorava l’ubi consistam ovvero il quid caratterizzante

della disciplina. Soglia Ceroni, inoltre, omette, almeno apparentemente, la tranche di quest’ultima che ordinariamente si riconduce allo jus publicum ecclesiasticum externum. Ma, se è vero che è assente la materia concordataria ed altre sovente in esso incluse, pur tuttavia la Respublicacivilis, lo Stato - quasi quale ‘cronico’ ostacolo e barriera all’azione della Chiesa come societas perfecta nei confronti dei suoi sudditi ed aderenti, per rigettarne cioè le intromissioni - è incessantemente lambito, permane perpetuamente in sottofondo, sebbene in via strumentale, in ogni problematica con cui ci si cimenta, traguardata habita ratione Status. Sì che, alla fine, il pensiero di Soglia anche sul nocciolo dello jus

publicum ecclesiasticum externum si staglia a tutto tondo: a conferma che, come anticipavamo, non si possono rescindere con un taglio secco jus publicum ecclesiasticum internum ed externum. 4.2. La Chiesa società perfetta e continuazione del Verbo incarnato

Torna pertanto anche in Giovanni Soglia Ceroni, sin dalle prime battute del suo discettare e sempre con piglio difensivo, l’Ecclesia Reipublicae comparatur, l’assimilazione cioè allo Stato, echeggiandosi i

giuspubblicisti tedeschi nel loro rintuzzare le opinioni corrosive di Püfendorf, le cui tesi sono riassunte e capovolte da Soglia ex sacris litteris: «Nos affirmamus Ecclesiam Statum esse, multaque sunt argumenta, eaque firmissima et ipsa luce clariora, quibus tueri sententiam nostram possumus, sed ea quae sequuntur satis esse existimamus. /Sic itaque argumentamur. Ex definitione Puffendorfii Societas inaequalis, sive Status, est consociatio plurium hominum, quae imperio per homines administrato sibi proprio, et aliunde non dependente continetur. Atqui ex institutione Christi Ecclesia est consociatio hominum, quae per

homines, hoc est per Petrum et Apostolos, eorumque Successores administratur cum imperio sibi proprio, nec aliunde dependente. /Ergo Ecclesia est Societas inaequalis sive Status» (i corsivi sono sempre dell’Autore)50. Per Soglia d’altronde, come per gli altri apologisti figli del loro tempo, «L’État est le grand thème du DPE»51: competitore e rivale, ma anche specimen (nonostante forse una sotterranea, più o meno conscia, ‘rimozione’, per l’apprensione di scalfire o inquinare la substantia della Chiesa secondo la metafora paolina del corpo mistico di Cristo). Tuttavia, nella ricognizione dell’apparato dello Stato sulla griglia del diritto naturale e di quello divino-

positivo - e non certo delle proclamazioni solenni degli atti normativi interni ed unilaterali delle singole Nazioni - col quale la Chiesa intende allacciare rapporti, nella delucidazione della costituzione, per così dire, ‘politico-giuridica’ di quest’ultima, nella rassegna e disamina, sempre grintosa e battagliera, delle sue potestates ad intra e ad extra, nell’individuazione delle res mixtae e della loro regolazione, Soglia Ceroni, come riscontrato, ha modo di addentrarsi in numerosissimi anfratti dell’ordinamento giuridico canonico, seppur scandagliati in un’ottica ben soppesata e, irrecusabilmente, non asettica e ‘neutrale’, se così ci si può esprimere. Questo non significa, però, che la trattazione non proceda pianamente nell’illustrazione e

commento, secondo la ratio delle Institutiones, dello jus publicum Ecclesiae, ovvero dello jus ecclesiasticum publicum: il tono diviene infervorato e il linguaggio più colorito - ma senza mai degenerare nell’insulto rabbioso o nel dileggio - solo laddove refellere ed altresì decertare e pugnare sia imprescindibile poiché i principi ortodossi in materia di fede e di esteriore disciplina sono posti in periculo. Taluno si è domandato «come riesca il Soglia a conciliare l’ansia apologetica delle Institutiones con la esposizione puramente istituzionale del Jus Publicum Ecclesiasticum. […] /Ci chiediamo in una parola che

cosa il Soglia non considera Jus Publicum Ecclesiasticum (oggetto di giustificazione-difesa) ma solo Jus Ecclesiasticum Publicum (oggetto di esposizione istituzionale)»52. A nostro parere, il dilemma del quesito in

49

Massimo Del Pozzo, Introduzione alla scienza del diritto costituzionale canonico, Edusc, Roma, 2015, p. 174. 50

Joannis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio altera, cit., p. 143; Id., Institutionum juris publici ecclesiastici, editio tertia, cit., p. 9. 51

Pedro Lombardía, Le droit public ecclésiastique selon Vatican II, cit., p. 67. 52

Giancarlo Parenti, L’indole apologetica del jus publicum ecclesiasticum del cardinale Giovanni Soglia Ceroni (1779-1856), cit., pp. 222-223: tale Autore, invero, segue

pressoché pedissequamente la trattazione di Emilio Fogliasso, Il Ius Publicum Ecclesiasticum e il Concilio ecumenico Vaticano II, cit., p. 29 ss., per il quale la risposta alla

domanda va cercata nella divisione, nel diritto nella Chiesa, che Soglia traccia tra pubblico e privato, componendo poi le Institutiones juris privati ecclesiastici.

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sé - al di là del suo confluire sull’antitesi pubblico-privato su cui ci intratterremo in seguito -, una volta ben

perimetrata la tipologia delle opere di jus publicum ecclesiasticum e la loro genesi storica, non va oggi oltremodo enfatizzato, andando anzi notevolmente smorzato. Certo l’intenzione di Soglia prendendo la penna era quella di tenere testa alle staffilate inferte alla Chiesa imbracciando le armi della retta dottrina cattolica teocentrica, cementata da un sano tomismo, philosophia perennis, contro il giusnaturalismo laico,

il naturalismo razionalista, il positivismo giuridico: ma questo non impedisce al suo «diritto confessionale»53, andando oltre la mera confutazione degli errores e la transitoria tenzone con gli antagonisti, di perlustrare la materia appieno e con dovizia di dettagli, con un andamento della prosa talora combattivo, ma più spesso sereno e pacato: che riflette l’equanimità saggia e salomonica che tutti gli riconobbero in quegli anni martoriati e turbolenti. Dunque un’architettura massiccia e ben calibrata, ove, nell’istoriare quid Ecclesia possit, si effettuava un periplo pressoché completo dell’ordinamento della Chiesa, concatenando e raccordando tra loro i vari ‘piani’

e le varie ‘stanze’ attraverso l’impianto di una rete di ‘corridoi’ e ‘ascensori’ non caotica ma oculatamente misurata: non quindi l’esame isolato di ogni singolo istituto ma l’aspirazione a sagomare quasi un ‘sistema costituzionale’. Un’architettura inoltre che, ci sembra, non è però ‘eterea’ ed ‘incorporea’, né, tanto meno,

‘glaciale’ e ‘ingessata’: anzi a volte traluce quell’affondare le radici nelle ‘carnali’ occorrenze pastorali che il vescovo Soglia Ceroni, adorato dai suoi diocesani - su ciò tutte le fonti coralmente convergono - non poteva obliterare, e che lo inducevano altresì, al contempo, a porre sempre in risalto la consistenza spirituale del

diritto canonico, il suo attecchire nell’economia soteriologica. A quest’ultimo riguardo abbiamo già rimarcato i legami tra jus publicum ecclesiasticum e teologia fondamentale (specie nei trattati De Ecclesia o De vera religione), la quale al primo in qualche modo forniva l’humus, il substrato ed il connettivo dogmatico. In esso, diritto canonico e ‘statuizioni teologiche’, ermeneutica teologica ed ermeneutica giuridica formavano, ibridandosi, un plesso organico. Tanto è vero che Péter Erdö, nel suo excursus historicus, non esita a individuare il diritto pubblico ecclesiastico come prima forma di teologia del diritto canonico studiata regolarmente come disciplina autonoma, e a nominare

proprio il nostro cardinale quale riprova che «La profondità teologica di questa tendenza non è da misurare semplicemente col fatto che getta le basi per la sovranità della Chiesa e per il suo essere soggetto giuridico internazionale, ma piuttosto con le affermazioni ecclesiologiche che emergeranno più tardi nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, quando acquisteranno un accento particolare»54. In Soglia, in specie, s’affaccerebbe l’unità inscindibile della Chiesa visibile con quella invisibile dedotta dall’incarnazione

di Cristo che assurgerà a luogo teologico del diritto ecclesiale. Questo ci sembra particolarmente evidente quando egli, a partire nel paragrafo 9 del primo libro, De potestatis ecclesiasticae ut ajunt independentia e

in quelli successivi, si diffonde certo sulla Chiesa come societas perfectainaequalis ma insiste in maniera martellante sulle differentiae che la rendono non omologabile a nessun’altra, ovvero anche quando tratta De Ecclesiae administratione Petro et apostolis tradita nonché De potestate eidem Petro et apostolis concessa, laddove è ininterrottamente in controluce la specificità della societas Ecclesiae rispetto alla Respublica civilis: nonché nel suo instancabile scrupolo a far risaltare i munera spirituali ovvero le sfumature accentuatamente religiose di ogni jus o officium.

Si è parlato di una visione teologica e di un modello di Chiesa «incarnazionista-societario»55 che nelle Institutiones sogliane si espliciterebbe in modo terso. In esse «La costituzione della Chiesa è prefigurata nel mistero dell’Incarnazione e nel disegno della salvezza divina. La natura invisibile dell’Unigenito Figlio di Dio si rende visibile in vista della fondazione della Chiesa, convocata tra tutti popoli, e ricevere in eredità il suo Regno. Volendo che questa Chiesa fosse una società visibile e perfetta di uomini, dotata di imperio adeguato alla sua azione, Cristo scelse i suoi apostoli, cui comunicò i poteri da esercitare in suo nome, e concesse a Pietro un primato non solo di ordine e di onore ma di potere e giurisdizione. Questo “Ecclesiae

regimen” divinamente istituito, che si tramanda nei legittimi successori, è il fondamento e la forma della Chiesa nonché l’oggetto stesso dell’intero diritto canonico. Come si vede […] la prospettiva teologica coesiste con la nozione di societas perfecta e viene richiamata per meglio convalidare l’assetto gerarchico di governo, visto come l’elemento distintivo della Chiesa. Il raccordo tra la teologia e il diritto canonico, inoltre, a differenza degli altri canonisti, invece di limitarsi all’aspetto fondazionale si estende alla correlazione dei canoni col dogma. Essi non si distinguono per l’oggetto (si hanno canoni di fede, di costume e di disciplina) bensì per i fini: mentre il dogma si propone di cercare, chiarire e difendere, i canoni

hanno lo scopo di custodire, diffondere e tradurre in uso quelle stesse materie»56. Proprio per questo si è acutamente scorto un filo rosso tra Pietro Gasparri (1852-1934), il ‘demiurgo’ della codificazione piano-benedettina del 1917, con l’allievo di Soglia, Settimio Maria Vecchiotti, e lo stesso Soglia, due «figure finora rimaste sullo sfondo […]. Non è casuale che questi due esponenti della corrente “spiritualista” della Curia, avversati tanto dalla corrente “mondana” del cardinal Antonelli, quanto dalla corrente “ultramontana” […], si siano fatti portatori di una concezione del diritto canonico che univa il

profilo societario e quello misterico (società perfetta e continuazione del Verbo incarnato) […], che sosteneva la tesi della sovranità della Chiesa e dello Stato ciascuno nella propria sfera e la necessità di una

concordia tra di loro»57. Il che non solo ci riporta ancora una volta al temperamento ed al contegno, savio e

53

Così definiscono lo jus publicum ecclesiasticum Eugenio Corecco, Libero Gerosa, Il diritto della Chiesa, cit., p. 54. 54

Péter Herdö, Teologia del diritto canonico. Un approccio storico-istituzionale, con Prefazione di Rinaldo Bertolino, Giappichelli, Torino, 1996, p. 18. 55

Carlo Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, II, Il Codex iuris canonici (1917), Giuffrè, Milano, 2008, p. 84. 56

Carlo Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, II, Il Codex iuris canonici (1917), cit., pp. 842-843. 57

Carlo Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, I, L’edificazione del sistema canonistico (1563-1903), Giuffrè, Milano, 2008, pp. 415-416.

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responsabile, dell’esimio cittadino casolano, che sempre rifuggiva estremismi ed intransigenze, ma, proprio

quanto allo spessore scientifico, rimanda alla sua sottile e lungimirante conciliatio di prospettive che sovente erano e resteranno ancora a lungo dissociate e disaggregate. Ciò proietta tale canonista, d’un balzo, ben al di là delle congiunture storico-culturali, ma anche di sensibilità ecclesiologica, in cui visse: ‘catapultandolo’ quasi fino al Codex Iuris Canonici nonché addirittura a ‘decorsi ecclesiologici’ assai

posteriori riguardo proprio alla connessione tra dimensione istituzionale, gerarchica e giuridica della Chiesa con quella appunto pneumatica, comunitaria e sacramentale. Una connessione che sarà icasticamente incastonata nel n. 8 della Costituzione conciliare Lumen gentium più di cent’anni dopo, e che sarà latrice di inevitabili ricadute sul diritto canonico e la sua fondazione teologica. Riscattando, così, giudizi sui giuspubblicisti ottocenteschi affrettati e sovente ingenerosi che li tacciano di apologeti solo protesi alla Chiesa visibile e istituzionale. Tra l’altro, in Soglia, come già rilevato, la connotazione marcatamente apologetica, ‘propagandistica’ e

controversistica - che tra l’altro intrideva quale comune denominatore tutti i libri di jus publicum ecclesiasticum, essendo inscritta indelebilmente nel DNA della disciplina, nata e cresciuta con un intento esplicito e per nulla dissimulato quale roccaforte giuridica per controbattere i virulenti attacchi sferrati alla

Chiesa - non faceva aggio e non comprometteva in alcun modo né la chiarezza, quasi la plasticità dei ragionamenti, dipanati attraverso suddivisioni logiche che si ricompongono in un’intelaiatura unitaria, né, appunto, l’apertura a visioni ecclesiologiche più ‘spiritualizzate’. Il tutto, notiamo tra parentesi, con

l’impiego di una lingua latina elegante e forbita che diletta il lettore. È proprio nel procedere cristallino delle argomentazioni, in quel piano discendere da premesse ben ponderate e spiegate a conclusioni e corollari convincenti, rinfrancati da dotte citazioni, che per molti riposa il maggior vanto dell’opera sua, e non tanto, forse, nell’originalità del pensiero: d’altronde, anche secondo gli intendimenti pontifici palesati nei sopra sunteggiati provvedimenti, non erano richieste ai canonisti trattazione estrose, argute o geniali, ma testi solidi e ben ‘piantati’, che, filtrando e purgando quanto nei canonisti della scuola di Würzburg poteva far serpeggiare perplessità o riserve, fossero invece con sicurezza schierati e conformati al magistero della

Chiesa. Eppure, se è vero quanto abbiamo appena riferito, nella maestosa impalcatura giuridico-societaria di Soglia, ove la Chiesa è sì societas ma del tutto tipica e sui generis perché ultimamente ancorata su quello ius divinum che il giusnaturalismo razionalista aveva cercato di infirmare, aleggiavano germi forieri di avvenire nel ‘secolo breve’ allorquando germoglieranno riflessioni ‘costituzionalistiche’ più consapevoli. Certo non si può ipertroficamente ingigantire (per assurdo gusto celebrativo) il ‘supplemento di anima’

apportato da Soglia. Resta anche in lui un certo riduzionismo scompensato del fenomeno ecclesiale derivante dall’esasperazione del profilo gerarchico ed autoritativo: di esso peraltro si sono viste le

motivazioni soprattutto in quell’affanno a proteggersi dalle prepotenti contestazioni esterne, abbarbicandosi «alle caratteristiche tangibili e operative del corpo sociale» e al «collegamento con il Capo visibile»58, comprimendo e quasi cancellando l’aspetto soprannaturale e carismatico, ma anche la basilare dignità battesimale e la comune vocazione e missione dei fedeli, ed altresì il ruolo dell’episcopato e della Chiesa particolare. In tali contingenze la communio hierarchica premeva per oscurare ed assorbire insomma la communio fidelium e la communio ecclesiarum. D’altronde il paradigma societario accentratore e

monopolisticamente clericale, per quanto sbilanciato e improprio, oltreché ‘giuridicista’ e appiattente, «rispondeva […] alla sensibilità e ai bisogni del momento. Tale visione, ancorché sicuramente limitante e semplificante, fissava le basi per una strutturazione unitaria e organica del popolo cristiano»59. Da essa, e quindi dallo stato di sviluppo dell’ecclesiologia, che aveva ancora la sua dorsale nel Concilio di Trento, non era agevole discostarsi, era anzi, allora, del tutto fisiologicamentre prematuro: è miope voler ottusamente precorrere la storia leggendola con le lenti dell’oggi, falsificando e disconoscendo i pregi del passato. Sarà infatti necessario ancora più di un secolo di approfondimento ecclesiologico per conseguire sintesi più

appaganti e consentanee alla genuina natura del corpo di Cristo, coniugando finalmente, nell’imago Ecclesiae, il volto istituzionale e quello spirituale: un secolo costellato più da piccoli passi che da rotture e rivolgimenti improvvisi. Uno di questi passi fu compiuto anche da Giovanni Soglia Ceroni. 4.3. Un’appendice: jus publicum ecclesiasticum e jus privatum ecclesiasticum?

Abbiamo già riportato la Praefatio alle Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, ove Soglia asseriva ex professo di focalizzarsi sui «prima Juris Publici Ecclesiastici elementa […] veluti pars dogmatica Juris Canonici» contro i dirottamenti e le storture che si erano insediate: il suo voleva essere, sul solco di quello indicato dalla Costituzione leonina del 1824, «un insegnamento non personale del Jus Publicum Ecclesiasticum, ma già inalveato […] nella “ratio” che si poté scorgere fin dalle “Theses ex Jure Publico Ecclesiastico”, vero indirizzo ufficiale della S. Sede riguardo al modo di insegnare il Jus Publicum

Ecclesiasticum»60. Gli scritti di Soglia Ceroni, infatti, non vanno valutati ‘in solitudine’, ma calati nell’età e nel milieu in cui sono stati partoriti e da cui non possono appartarsi e svincolarsi. Così, per converso, in essi

certamente ci sono lacune e omissioni, e altrettanto certamente le opere di Tarquini e di Cavagnis segnarono un indubbio miglioramento in termini di raffinatezza, di strutturazione formale, di ampliamento delle applicazioni, ed altresì di coerenza teorica dello jus publicum ecclesiasticum: ma gli anni non erano

58

Massimo Del Pozzo, Introduzione alla scienza del diritto costituzionale canonico, cit., p. 96. 59

Massimo Del Pozzo, Introduzione alla scienza del diritto costituzionale canonico, cit., p. 99. 60

Giancarlo Parenti, Il cardinale Giovanni Soglia Ceroni Segretario di Stato di Pio IX ed eminente giurista, cit., p. 240.

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trascorsi invano, anni tra l’altro di effervescenza culturale e scientifica. Tutto questo non può però rendere

il giudizio su Soglia meno lusinghiero: ché anzi forse oggi possiamo meglio captare la tempra del Soglia canonista, un diritto canonico ‘blindato’ da architravi ben poggiate e tuttavia attraversato dall’afflato alla trascendenza. Incoraggiato comunque dalle lodi ricevute per il suo ‘debutto’ nell’impegno manualistico, Soglia pubblicò nel

1854 la prima edizione degli Institutionum juris privati ecclesiastici libri tres61: al diritto pubblico ecclesiastico accoppiava quindi un diritto privato ecclesiastico, anche qui nell’alveo o con qualche ‘risonanza’ di quell’«impostazione ‘bipartita’ ius publicum e ius privatum introdotta dalla Scuola di Würzburg»62 che d’altronde il Nostro considerava quasi tratto identificativo della matrice dello jus publicum ecclesiasticum medesimo. Ma invero i conati dei giuspubblicisti tedeschi erano assillantemente calamitati dall’intento di dimostrare la sussistenza di uno jus publicum della Chiesa cattolica, ciò che avrebbe consentito di relazionarsi con gli Stati su un piano di parità ontologico-giuridica ed altresì di competizione.

Fu quindi questo polarizzarsi sul crinale pubblicistico che finì per immettere nel diritto della Chiesa, traendola al fondo dal diritto secolare, la dicotomia pubblico-privato - la quale poi aizzò infiniti diverbi - «senza che però con questa bipartizione s’intendesse fissare una vera e propria separazione all’interno del

diritto canonico»63: nel senso che «l’esigenza prevalente presso i giuspubblicisti fu subito quella di costruire […] una disciplina pubblicistica animata da scopi apologetici, tralasciando gli aspetti privatistici del diritto della Chiesa, che, difatti, non condussero mai all’elaborazione di un vero e proprio sistema di diritto

canonico privato»64, né si crearono cattedre ad hoc di jus mere privatum, il quale per lo più continuò a farsi rientrare nella tradizione della Schola textus Codicis Iuris Canonici o delle Institutiones. Tale biforcamento tra diritto pubblico e diritto privato era stato in un primo tempo abbozzato nei lavori preparatori della Costituzione Quod divina sapientia: ma fu poi irrevocabilmente abbandonato, e dunque in qualche modo sconfessato, istituendosi appunto unicamente, accanto alle Institutiones canonicae ed alla Schola textus, le Institutiones juris publici ecclesiastici. Ciononostante Soglia rimase, per converso, un fautore del medesimo, nonostante gli fossero cognite le obiezioni dei canonisti avversi alla bipartizione,

come lo stesso Zallinger, che pure Soglia volentieri allega per la sua non zoppicante ortodossia: e tuttavia va segnalato come il Nostro non si fossilizzasse in maniera tetragona nella sua difesa, ben intuendo le motivazioni del mancato frazionamento. D’altronde, similarmente a quelli tedeschi, anche ai canonisti italiani importava in maniera predominante lo jus publicum piegato in senso ‘curialistico’: «Appare verosimile che nessuna esigenza equivalente rispetto a quella esistente nel diritto dello Stato fosse, in

realtà, esistita nell’ambito della scienza canonistica per giustificare il trasferimento della dicotomia pubblico-privato anche all’interno del diritto canonico»65.

D’altra parte lo stesso cardinale Soglia era pervenuto gradualmente alla determinazione delle frontiere tra i due rami, che secondo alcuni restarono sempre fluttuanti e talora sibilline: se nella prima edizione delle Institutiones juris publici Ecclesiastici esse sono ancora imbastite solo fugacemente e quasi incidentalmente nella Prefazione66, a partire da quella del 1844 a tali confini si riserva un paragrafo67, De jure canonico publico et privato,e si scandisce: «Jus Publicum Ecclesiasticum est, quod totius Ecclesiae, ejusque Rectorum jura et officia determinat […] Jus Privatum Ecclesiasticum definitur: complexio earum legum,

quibus christiani populi jura et officia determinantur»; e nell’edizione del 1850 si soggiunge poi: «dicimus nihil aliud esse Jus Publicum Ecclesiasticum, quam Jus constituens, quandoquidem de hoc uno in Jure Publico disseritur, scilicet quae quantaque Ecclesiae sit costituendi leges, imperandique potestas: neque itidem quidquam aliud esse Jus privatum quam Jus constitutum, quatenus jus privatum versatur in recensendis, illustrandisque Canonibus sive legibus, quas Ecclesia constituit. Uno verbo, Jus Publicum Ecclesiasticum tradit quid Ecclesia possit constituere; Jus vero Privatum quid Ecclesia constituerit»68. Demarcazioni per vero non perspicacissime cui lo stesso Soglia talora si non si attenne fiscalmente nella

ripartizione, spesso discutibile, degli oggetti tra Institutiones juris publici e Institutiones juris privati, ove si registrano a volte ripetizioni e sfasature: ed infatti a queste ed ad altre delimitazioni69 del Soglia sono stati

61

Cfr. Institutionum juris privati ecclesiastici libri tres, editio prima, ex typis Aureli Iosephi et soc., Anconae, 1854. Seguì, come riporta Giuseppe Ignazio Montanari, Elogio

dell’eminentissimo e reverendissimo principe signor cardinale Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo e Cingoli, letto nel terzo giorno delle solenni sue esequie 14 agosto

1856, nella chiesa cattedrale di Osimo, cit., p. 27, nota 20, «Institutionum Juris privati ecclesiastici libri III Ioannis cardinalis Soglia episcopi auximani et cingulani - Editio

secunda - Prima parisiensis ab ipso auctore recognita et aucta - Paris librairie religieuse de A. Courcier, editeur ec. Rue Hautefille, ec. In questa edizione l’editore premette

un breve sunto dell’opera, ed alcuni cenni biografici non abbastanza esatti: di che mi piace avvertire i lettori». Questo, per converso, l’elenco delle edizioni che fornisce

Giancarlo Parenti, Il cardinale Giovanni Soglia Ceroni Segretario di Stato di Pio IX ed eminente giurista, cit., p. 239, nota 16, dopo la prima di Ancona del 1854:

«Institutiones Juris Publici et Privati Ecclesiastici, t. I et II, Buscoduci (Bois-le-Duc) 1857; Institutiones Juris Ecclesiastici Publici et Privati, t. I et II, Neapoli 1860;

Institutiones Juris Ecclesiastici Publici et Privati, t. I et II, Parisiis 1864; Institutiones Juris Ecclesiastici Publici et Privati, t. I et II, Parisiis 1879»: menzionando

evidentemente ristampe effettuate dopo la morte di Soglia avvenuta nel 1856. 62

Carlo Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, I, L’edificazione del sistema canonistico (1563-1903), cit., p. 263. 63

Cristiana Maria Pettinato, I “Maestri di Würzburg” e la costruzione del jus publicum ecclesiasticum nel secolo XVII, cit., p. 42. 64

Cristiana Maria Pettinato, I “Maestri di Würzburg” e la costruzione del jus publicum ecclesiasticum nel secolo XVII, cit., p. 52. 65

Cristiana Maria Pettinato, I “Maestri di Würzburg” e la costruzione del jus publicum ecclesiasticum nel secolo XVII, cit., p. 45, la quale precisa, in nota 135, che il termine

‘curialistico’ in dottrina vuole tradurre «sia la vena fortemente apologetica, sia la circostanza che i giuspubblicisti del XIX secolo erano membri della Curia romana». 66

Cfr. Joannis Soglia, Institutiones juris publici ecclesiasticilibri tres, Laureti, 1843, pp. 5-6: «Jus Ecclesiasticum, sive Canonicum, sive Sacrum (nam haec verba idem

sonant) est complectio earum legum, quibus Ecclesia regitur. Jus Ecclesiasticum ratione objecti dividitur in Publicum et Privatum. Cum enim Ecclesia societas sit, quae instar

aliarum societatum Magistratu et Populo constat, hinc Jus Publicum complectitur eas leges, quibus divinae huius societatis, et eorum, qui in ea potestatem gerunt, jura et

officia determinantur; Jus vero Privatum iis legibus continetur, quae jura et officia privatorum definiunt». Tale frase resta invero come frase d’esordio anche delle edizioni da

noi citate del 1844 e del 1850. 67

Cfr. Joannis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio altera, cit., par. 6, p. 17 ss.; Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici,

editio tertia, cit., par. 6, p. 9 ss. 68

Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici, editio tertia, cit., p. 11. 69

Nel testo successivo Institutiones juris ecclesiastici publici et privati, Neapoli, 1860, t. II, p. VI, Soglia affermava: «Jus Ecclesiasticum Privatum est illud, quod privatorum

jura et officia determinat. Quemadmodum enim Jus Publicum Ecclesiasticum universae Ecclesiae negotia moderatur, sic Jus Ecclesiasticum privatum praescribit ea omnia

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imputati difetti e aporie, addebitandogli ambivalenze e fumosità negli «ondeggiamenti presenti nelle

diverse edizioni e parti»70 dei suoi libri. Ma, al di là di forse possibili mendae sistematiche, ci sembra per converso che da tali ondeggiamenti ‘trasudino’ le torsioni in cui si arrovellava, e talora si incartava, la canonistica per sceverare la parte pubblicistica da quella privatistica del diritto canonico. Torsioni qui invero aggravate alquanto per la

sovrapposizione e la non identificazione tra jus publicum, quale porzione del diritto canonico contrapponibile al privato, e jus publicum ecclesiasticum quale settore disciplinare a sé, scolpito anzitutto dai suoi intenti asseverativi, del quale abbiamo sinora discorso: una coscienza, invero, che talora pare appannata nei suoi stessi cultori. E tuttavia i semi gettati dal Nostro con la scrittura di due speculari Institutiones non perirono infruttiferi poiché «L’opera di Soglia venne variamente ripresa ed aggiornata dal suo collaboratore Settimio Maria Vecchiotti, che nel 1867-68 la rifuse in un manuale completo di diritto canonico in cui il diritto pubblico risultava completamente miscelato col diritto privato»71: tale manuale, che

pure nell’intitolazione riportava il nome del suo mentore, Institutiones canonicae ex operibus Joannis cardinalis Soglia excerptae et ad usum seminariorum accomodatae, raccolse un vastissimo plauso: nel 1876 arrivava alla sedicesima edizione, opzionato come testo da moltissimi seminari in Italia ed in tutta

l’Europa, dal Portogallo all’Olanda72. Quanto al tandem diritto canonico pubblico-diritto canonico privato siamo dinanzi ad una querelle, anzi ad una crux interpretum,sulla quale ora tuttavia non possiamo che sorvolare. Rimanendo nel recinto della

nostra trattazione, ci basti aver additato come quel publicum che congiungeva jus ed ecclesiasticum solo con forzature potesse essere posto in alternativa a privatum, almeno secondo gli abituali lessemi e schemi giuridici: sulla falsariga dei quali già lo stesso binomioin sépubblico-privato stenta ad applicarsi nell’ordinamento canonico (ma le acque non sono tranquille neppure nei diritti secolari), ieri come oggi. Insomma ci sembra si debba convenire con Fogliasso quando rileva che in generale le finalità apologetiche e pedagogiche con cui storicamente era sorto lo jus publicum ecclesiasticum «non erano attraversate dalla preoccupazione della bipartizione sistematica del Ius Canonicum in pubblico e privato»73, ché anzi esso si

porgeva quale preambolo propedeutico, assertivo e giustificativo della natura e degli iura et potestates Ecclesiae, all’esegesi di entrambi: ostinarsi in essa poteva dunque condurre «dans une voie sans iussue»74, insinuare una nebulosa confusione in una disciplina dall’identità invece - nonostante qualche oscillazione verborum - non equivoca, sia nei suoi prodromi tedeschi, sia, e forse soprattutto, nella sua ‘palingenesi’ italiana.

Comunque sia, al di là di questa diatriba che ci condurrebbe troppo lontano, il calibro più robusto del canonista Soglia Ceroni - per nulla sminuito dalle suddette critiche in ordine ad un’escursione forse non

troppo azzeccata verso i lidi dello jus privatum ecclesiasticum - si corrobora proprio nel diritto pubblico ecclesiastico sul quale non a caso ci siamo dilungati. Le Institutiones juris publici ecclesiastici di Soglia Ceroni saranno, due decadi dopo la loro comparsa, riprese e perfezionate dal gesuita Camillo Tarquini (1810-1874)75: quest’ultimo costituisce il ponte di collegamento con il citato confratello Felice Cavagnis il cui manuale viene classificato quale ‘prototipo’ romano del diritto pubblico ecclesiastico, suggellandosi così «il cerchio dell’evoluzione della disciplina che, partita dall’orizzonte giusnaturalistico, viene ora

organicamente integrata nel sistema canonico e fissata in un modello stereotipo di grande successo destinato a durare fino al concilio Vaticano II»76. Sarà quest’assise epocale a capovolgere diametralmente le coordinate di riferimento, ma, ancora una volta nella peregrinatio terrena della Chiesa, sine saltu. 5. Rinnovate declinazioni dello jus publicum ecclesiasticum Lo jus publicum ecclesiasticum, in verità, nei primi decenni del Novecento non aveva solo paladini: anzi, col

trascorrere degli anni ed il trasfigurare degli sfondi in cui la Chiesa si trova immersa, veniva incrementandosi una certa insoddisfazione per i suoi contenuti ed altresì, più radicalmente, per la sua stessa metodologia, da molti giudicata viziata e insufficiente: d’altronde «all’interno stesso di dibattiti fra le diverse scuole dell’IPE, sono stati talvolta evidenziati i limiti congeniti alla teoria della societas perfecta ed in particolare il pericolo di considerare la Chiesa nel suo aspetto societario, quasi fosse una semplice società di diritto naturale»77, senza ancoraggi teologici saldi. Dunque tale disciplina comincia ad arrancare e vacillare dinanzi alle censure sempre più audaci e caustiche di coloro che denunciano la claudicanza e la

carenza delle concettualizzazioni di estrazione giusnaturalista, inidonee a rappresentare la realtà ecclesiale, e che stigmatizzano un’ecclesiologia appiattita ed uniformata ai parametri formali dello Stato, i quali non possono che contaminarne ed offuscarne la vera realitas.

quae ad singularum Ecclesiarum vel Dioecesium administrationem pertinent». Emilio Fogliasso, Il Codice di Diritto Canonico e il “Ius Publicum Ecclesiasticum”, cit., pp.

20-21, definisce come «strana» l’appena citata definizione dello jus ecclesiasticum privatum: «Ora è certamente strano che si qualifichi come privato il diritto con cui sono

rette le diocesi, la cui inserzione nel diritto costituzionale della Chiesa dipende dallo stesso Divino Fondatore». 70

Carlo Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, I, L’edificazione del sistema canonistico (1563-1903), cit., p. 279. 71

Carlo Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, I, L’edificazione del sistema canonistico (1563-1903), cit., p. 280. 72

Cfr. Settimio Maria Vecchiotti, Institutiones canonicae ex operibus Joannis cardinalis Soglia excerptae et ad usum seminariorum accomodatae, 5 voll., ex officina

ecclesiastica Hyacinti Marietti, Taurini, 1867-68. 73

Emilio Fogliasso, Il Codice di Diritto Canonico e il “Ius Publicum Ecclesiasticum”, cit., p. 21, nota 27. 74

Pedro Lombardía, Le droit public ecclésiastique selon Vatican II, cit., p. 62. 75

Cfr. Camillo Tarquini, Iuris Publici Ecclesiastici institutiones, ex officina libraria Bonarum Artium, Romae, 1862 (ed. I). 76

Carlo Fantappiè, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, cit., p. 236. 77

Eugenio Corecco, Libero Gerosa, Il diritto della Chiesa, cit., p. 55.

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Ma, al di là della sue intrinseche fragilità ecclesiologiche, nella seconda metà del secolo XX, a cagionare ed

anzi velocizzare l’eclatante effetto di minare la stessa sopravvivenza dello jus publicum ecclesiasticum, che entra pertanto in una decadenza apparentemente irreversibile, era stata la vera metamorfosi intervenuta del panorama ecclesiale dovuta a concause sincroniche. Erano infatti tramontate, per lo meno nella loro urgenza, quelle istanze apologetiche che ne avevano spronato le trattazioni in strenua difesa della visibilità

istituzionale della Chiesa e della giuridicità del diritto canonico, generalmente oramai non più contestate, per lo meno con la medesima arroganza. Ma soprattutto una serie di obiezioni venivano sollevate avverso le sue tesi, sottoposte ad un severo vaglio critico se non apertamente ripudiate per la loro non semplice armonizzazione con quanto era venuto affiorando, catalizzando fermenti diffusi nel corpo ecclesiale, nel concilio ecumenico adunato negli anni Sessanta, il quale sembrò infliggere il colpo di grazia allo jus publicum ecclesiasticum. Era censurata segnatamente l’arcaica nozione di società perfetta, la quale pareva tradire la sostanza misterica, carismatica e sacramentale della Chiesa valorizzata invece dal Vaticano II, il

quale invero aveva recuperato e condotto a coronamento intuizioni che avevano già fatto, sia pur intermittentemente, capolino (e Soglia, come abbiamo appuntato, ad esse non era del tutto estraneo). Così sembravano doversi bruscamente archiviare altri pilastri dello jus publicum ecclesiasticum che stridevano

con la rinnovata cornice ecclesiologica: il reclamo di una potestas indirecta della Chiesa nell’ambito temporale ovvero il ferreo innervamento autoritativo sulla sola gerarchia ecclesiastica, trascurando il coetus fidelium, il communis christifidelium status nonché il ruolo insurrogabile del laicato. Oramai anacronistica,

d’altro canto, l’auspicata attribuzione della confessionalità cattolica allo Stato - ed a maggior ragione i vagheggiamenti di uno Stato subordinato e remissivo alle direttive ecclesiastiche, del tutto utopici ma reiterati imperterritamente fino al Novecento -; ed anche i Concordati parevano incamminati verso un irrimediabile declino. Si era infatti drasticamente spostato il baricentro dalla Chiesa, prima riguardata nel suo apparato essenzialmente sociale, istituzionale, giuridico, analogo e comparabile agli Stati, ed invece ora intesa in primis, oltre che come popolo di Dio, come corpo mistico di Cristo, comunione sacramentale di fede, sacramento di salvezza, segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano.

Più che sulla dialettica bipolare tra Ecclesia e Civitas quali ipostasi astratte, occorreva far leva sull’uomo nella sua unità antropologica, civis idem ac christianus, ‘cerniera’ e «centro di incontro dell’instaurazione politica e del messaggio evangelico»78. Certo non tutto poteva essere rifiutato delle acquisizioni precedenti, ma la ‘complessione’ lentamente ossificatasi di società perfetta - la quale peraltro, nella sua essenza sfrondata dalle sopravvenute scorie, non poteva essere né fu ricusata dal Vaticano II - andava calata in un

contesto teologico vistosamente diverso che pareva farne tremare le colonne portanti: «non più tanto la Chiesa come una sorta di società parallela allo Stato, quanto la Chiesa come momento di inserzione della

storia della salvezza con la storia umana; non più tanto una Chiesa che cerca di garantirsi la sua libertà con accordi giuridici col potere statuale, quanto soprattutto una Chiesa che cerca di realizzare la sua libertà nell’affermazione della dignità e libertà della persona umana»79. Tutto ciò, almeno ad un primo sguardo, rendeva vetuste le disquisizioni dello jus publicum ecclesiasticum, oramai antiquate e non più proponibili: il diaframma medesimo tra diritto pubblico ecclesiastico interno ed esterno andava rimosso sotto la spinta della autocomprensione positivizzata dalla Chiesa. La stessa collaudata denominazione - che peraltro già la

prima codificazione della Chiesa non aveva in alcun modo avallata - secondo alcuni andava dismessa o comunque revisionata: una quaestio, invero, quest’ultima, a nostro parere, secondaria, tanto più oggi: attualmente infatti la ‘nomenclatura’ consueta, una volta appurata la sua scaturigine ed i suoi trascorsi, e dunque l’accezione in cui odiernamente andrebbe assunta, non dovrebbe rinfocolare più trite schermaglie, neppure sul contrasto publicum-privatum. Ma che non si potesse superficialmente liquidare quale relitto inservibile il prezioso tesoro di sapienza canonistica sedimentatosi nello jus publicum ecclesiasticum è testimoniato dalla mai sopita vitalità

dell’interesse su questo filone della canonistica in indagini ancor oggi in corso per scoprire «quale rapporto di continuità e di innovazione intercorre tra il tradizionale Ius publicum ecclesiasticum externum e la visione conciliare»80. Certamente, per alcuni versanti, la distanza che ci allontana dai giuspubblicisti come Soglia, ma anche come Ottaviani oltre cent’anni dopo, appare siderale, un abisso sterminato: si pensi, quale esempio emblematico, alla loro accanita negazione di qualunque libertà religiosa, individuale e collettiva, e dunque, al dovere dello Stato di relegare nell’illegittimità e dunque di interdire ed estirpare ogni eterodoxum cultum in paragone alla svolta copernicana della Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae.

Ma, come già emerso, non si può scivolare nell’insidia di giudicare il passato inforcando gli occhiali del presente: e d’altro canto non bisogna mai dimenticare, nella Chiesa, quell’ermeneutica del ‘rinnovamento nella continuità’ ripetutamente esaltata da papa Benedetto XVI. È vero che lo jus publicum ecclesiasticum resta fuori dal Codex Iuris Canonici giovanneo-paolino del 1983: e prima, l’abortito progetto di Lex Ecclesiae Fundamentalis, una sezione della quale era dedicata ai rapporti tra Chiesa e Stato, aveva afflosciato ogni velleità verso una sorta di codificazione del diritto pubblico

ecclesiastico. Eppure, ciò che era preferenziale oggetto di analisi da parte di questo ramo della canonistica non poteva e non può non continuare a rappresentare un quadrante cruciale ed assolutamente

impreteribile dello ius Ecclesiae, seppur aggiornato nei presupposti, nella metodologia, nello strumentario e nella stessa terminologia. Anche attualmente, infatti, la Chiesa, perseverando nel sottolineare la sua identità irriducibile a qualunque altra, si rapporta alle realtà sociali che perseguono non il bene

78

Guido Saraceni, «Ius publicum ecclesiasticum externum» e prospettive conciliari, in Il diritto ecclesiastico, LXXXI (1970), I, p. 50. 79

Lorenzo Spinelli, Il diritto pubblico ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II. Problemi e prospettive, in collaborazione con Giuseppe Dalla Torre, cit., p. 37. 80

Giorgio Feliciani, Il diritto pubblico ecclesiastico nell’attuale magistero pontificio, in Apollinaris, LXXXVI (2013), p. 425.

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ultramondano e soprannaturale dell’uomo ma la sua felicità terrena. D’altronde caratteristica precipua del

cristianesimo sin dal suo apparire, e del diritto che ben presto sorgerà nella compagine ecclesiale, è quella di raffrontarsi e correlarsi con la sfera secolare, i regimi politici in essa operanti, il diritto da essi generato, intessendo una rete densissima di contatti. Questo avviene non per ragioni accidentali ovvero di utilitaristica opportunità, ma tale ‘inclinazione’ si incardina su uno dei postulati del messaggio cristiano, una

verità riconducibile alla predicazione stessa di Cristo: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18, 36), sentenzia Gesù a Ponzio Pilato, portavoce dell’imperatore romano, quindi dell’autorità civile, mentre, nell’episodio del tributo, Egli pronuncia la lapidaria frase: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mt 22, 17; Lc 20, 25; Mc 12, 13-17). Si sovverte in questa maniera l’assetto pagano, plasmato da un rigido monismo, annunciando la Chiesa fin dagli albori, con convinzione, la sussistenza di due realtà di indole diversa, quella spirituale e quella temporale, la recisa scissione di due potestà giurisdizionali, autonome e sovrane nel loro ambito. Le formulazioni al riguardo, invero, si sono susseguite

nei secoli con i contributi di pontefici, vescovi, scrittori cristiani, teologi, canonisti, che ambiscono ad afferrare l’insieme di implicazioni scaturenti da tale dualità del governo degli uomini ed a rinvenire uno stabile equilibrio tra Ecclesia e Civitas contro ogni esorbitanza ed invasione reciproca: un equilibrio,

peraltro, assai ostico da conquistare, stanti le insopprimibili intersecazioni tra i due ordini ed attese le ‘zone grigie’, o, per adoperare il lessico tradizionale, le res mixtae o mixti fori, sulle quali entrambe le autorità possono intervenire simultaneamente. Anche lo jus publicum ecclesiasticum Sette-Ottocentesco si situa

come stadio di questo tragitto che ineluttabilmente lo supera e prosegue oltre. Peraltro, il nesso non preteribile con l’ordine temporale si innesta ed anzi è necessitato dal fatto che l’euanghélion cristiano non si esaurisce in una dimensione esclusivamente spirituale ma è vocato a tradursi storicamente nell’esistenza concreta degli uomini, così come la Chiesa - lo ha confermato energicamente il Vaticano II - non è unicamente una societas in cordibus o una caelestis amicitia (scriveva Soglia «Ecclesia non puros spiritos regit, sed homines corpore et spiritu concretos»81), ma si presenta «fortemente radicata nel tempo e nello spazio, dotata di una precisa ed articolata organizzazione descrivibile in termini giuridici, politici e

sociologici»82: secondo d’altronde il dogma dell’incarnazione del Verbo di Dio. Essa perciò compie la sua missione «solo se imprimerà all’ordinamento che la realizza lo stesso “moto” che ha presieduto all’incarnazione del Verbo […] se aprirà il suo sistema alle vicende dell’umanità […]. […] l’ordinamento della Chiesa - pure rimanendo distinto, sino alla fine dei tempi, da ogni altro ordinamento religioso o profano - non può chiudere il proprio ambito di rilevanza all’ingresso di tutte le esperienze umane suscitate dallo

Spirito, deve quindi manifestarsi aperto e recettivo nei loro confronti»83. Evidentemente, però, gli avanzamenti impressi all’ecclesiologia dal Concilio adunato da Giovanni XXIII e

concluso da Paolo VI non potevano non ripercuotersi sulle edificazioni squisitamente giuridiche: alla Chiesa, come ‘società gerarchicamente ordinata’ (Cost. Lumen gentium, nn. 8 e 20) - non più in conflitto ma compenetrata con l’Ecclesia spiritualis -, nella sua veste appunto di ordinamento giuridico, e quindi al diritto canonico, stante questa fitta trama di interrelazioni, spetterà sempre il compito di apprestare ed enucleare appropriati congegni di raccordo con le esperienze e le prescrizioni delle differenti entità ordinamentali nelle quali il popolo di Dio si imbatte. Senza dubbio la comunità ecclesiale non può più essere rinserrata nelle

maglie inflessibili della societas perfecta «chiusa in sé e sufficiente a se stessa, separata dal mondo profano, irredento»84, ma va riguardata «come ‘sacramento del mondo’, segno efficace della redenzione dell’intera società umana e del suo destino ad essere accolta nella croce e nella risurrezione del Signore. /Una prima conseguenza di ciò, nel campo dei rapporti giuridici, è che tale missione spetta al cristiano come tale, in virtù della sua unione sacramentale con il Signore e con il suo Spirito, non in virtù di un’autorizzazione da parte della gerarchia»85. Questo però non comporta che vadano affossati ed accantonati del tutto gli accordi (anche di ‘vertice’, come soleva dirsi) tra Chiesa e Stato, rectius comunità

politica (n. 76 della Costituzione conciliare Gaudium et spes), come d’altronde certifica la prassi pattizia a tutt’oggi rigogliosa, con concordati riguardati non più quali gelose actiones finium regundorum ma quali pacta libertatis et cooperationis. Stati, poi, che non si agogna più siano confessionisti né se ne riprova e depreca la ‘laicità’, vocabolo assunto con pregnanza ben differente nel magistero pontificio, ma coi quali nondimeno si persiste nel ricercare un dialogo istituzionale, in alcuni casi ed evenienze ineludibile per assicurare l’inalienabile libertas Ecclesiae, «quam Auctoritates ecclesiasticae presse pressiusque vindicarunt» e che è ancora il «principium fundamentale in relationibus inter Ecclesiam et potestates

publicas totumque ordinem civilem» (Dichiarazione Dignitatis humanae, n. 13). Tra l’altro, nel clima contemporaneo, gli scenari paiono invero essersi espansi sotto il profilo fenomenologico: da un lato, sono comparsi oltre allo Stato, anteriormente pressoché esclusivo termine di riferimento - e del quale, invero, oggi sono patenti le défaillances, tanto che taluno l’ha acutamente appellato novella societas imperfecta86-, nuovi soggetti o interlocutori, a diversi livelli, infranazionali o sopranazionali, verso i quali l’ordinamento canonico, attraverso molteplici vie - ed anch’esso in ottemperanza al principio di sussidiarietà -, è indotto a

sperimentare ‘canali di trasmissione’ per siglare conventiones. Dall’altro lato le problematiche delicate che

81

Joannis Cardinalis Soglia, Institutionum juris publici ecclesiastici libri tres, editio tertia, cit., p. 227. 82

Giorgio Feliciani, Le basi del diritto canonico, nuova edizione, Bologna, 2002, p. 61. 83

Salvatore Berlingò, Ordinamento giuridico, II) Ordinamento giuridico canonico, in Enciclopedia giuridica, XXI, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni

Treccani, Roma, 1990, pp. 6-7. 84

Peter Huizing, Chiesa e Stato nel diritto pubblico ecclesiastico, cit., p. 159. 85

Peter Huizing, Chiesa e Stato nel diritto pubblico ecclesiastico, cit., p. 159. 86

Giuseppe Dalla Torre, La città sul monte. Contributo ad una teoria canonistica sulle relazione fra Chiesa e Comunità politica, A.V.E., Roma, 2002², p. 23.

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affliggono, oramai su scala planetaria, la civiltà odierna (si pensi, per tutte, alle scottanti questioni di

bioetica) hanno sollecitato altresì un’esponenziale moltiplicazione delle materie sulle quali si mira a far affluire un consenso quanto più largo e quindi ad interfacciare ordinamenti e diritti: perseverando così indefessamente in quell’antico anelito alla confoederatio tra sacerdotium e imperium ed alla concordia a giovamento dell’uomo di cui già nell’anno mille discorreva (ed in cui sperava) Ivo di Chartres.

Una confoederatio forgiata dalla giustizia, sub specie iusti, e al servizio unicamente della persona umana e dei suoi diritti, che non è in alcun modo nostalgica dei passati connubii tra trono e altare, oramai obsoleti e stantii, oltre che sovente soffocanti: ma che nondimeno permetta alla Chiesa di adempiere la sua missione di evangelizzazione nel mondo in piena autonomia, esente da lesive ingerenze esterne e con quella inviolabile libertà che alla missione stessa si addice, anche nella pubblica agorà. Ciò che non è oggi per nulla banale o scontato: ché anzi gli attentati e le aggressioni alla medesima vanno attualmente aumentando, sia pur, in Occidente - non così nell’emisfero non cristiano, ove le persecuzioni e il sangue dei

martiri sono oramai tristemente quotidiana routine -, talora mascherati e mimetizzati, ma non per questo meno mortificanti e brutali di quelli che dovettero fronteggiare i giuspubblicisti sette-ottocenteschi. E proprio dinanzi a queste sfide si sono tentati di delineare i «profili epistemologici e metodologici di una

rinnovata disciplina»87, che, depurata di quanto ormai incompatibile con la migliore penetrazione del depositum fidei cui è approdato il magistero (ma altresì con il background giuridico contemporaneo), e magari con una ‘etichetta’ più confacente alle trasformazioni e rivisitazioni funditus, ancora indichi quale sia

lo ius publicum quod attinet ad Ecclesiam e quod debetur Ecclesiae in iure publico: riprendendo in mano quei temi, ove s’intrecciano indissolubilmente diritto ed ecclesiologia, su cui gli studiosi dello jus publicum ecclesiasticum si industriarono con una passione ed una acribia che ancor oggi destano stupore, consegnandoci un’eredità da non dissipare. D’altronde si è constatato come, a più di quaranta (oggi oltre cinquanta) anni dallo spartiacque del Vaticano II, non sia «sicuro che il vuoto importante lasciato dalla scomparsa del DPE sia stato pienamente colmato. Perciò, ancora oggi si può ritenere che l’elaborazione della nuova disciplina rimane un obiettivo davvero prioritario»88. Anche perciò si deve guardare senza

pregiudizi e con ammirazione autentica all’ammaestramento di questi pionieri: infatti «Si on mesure le chemin parcouru par les artisans du DPE depuis les jours anciens de Wurszbourg, force est d’admettre qu’ils on avancé d’un bon pas et su rallier bien des pèlerins isolés. Ils se sont bravement frayé une route à travers des secteurs parsemés d’embûches, ranimant les énergies défaillantes, regroupant les forces disperses. Parvenus au gîte d’étape, leurs compagnons de route, qui songent peut-être maintenant à les

laisser poursuivre seuls le voyage, auraient mauvaise grâce d’oublier les services que leur ont rendus ces hardis éclaireurs»89.

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LA SUA GIORNATA E STILE DI VITA

Sempre dalla biografia del prof. Giuseppe Ignazio Montanari (1856) ci sembra interessante descrivere lo stile di vita del Cardinale:

“Non parlate mai del vostro prossimo se non in bene. Di voi e delle cose vostre nè in bene nè in male”. … Delle quali [Studiose fatiche e divote pratiche consuete] perché alcuno abbia certa contezza dirò breve: Levavasi sempre di buon mattino anche nel cuor dell’inverno, e subito mettevasi a recitare le ore canoniche minori (che il mattutino e le laudi usava recitare dopo l’ora di notte) poi si metteva a pregare e a meditare

per lo spazio di un’ora intera, indi preparavasi a celebrare la santa messa, nè prima di averla celebrata, e uditane un’altra, non permetteva gli si parlasse di affari, o di cosa del mondo: nè voleva persona ricevere,

nè lettera o dispaccio aprire, fosse pure pressante. Se doveva deliberare intorno qualche negozio di rilievo, sottoscrivere qualche lettera, mettersi a qualche opera importante, correva ai piedi del Crocefisso, o innanzi all’altare della sua domestica cappella, o più spesso ancora, ove potesse farlo non visto, si ritirava nel suo privato coretto innanzi al Santissimo Sacramento (del quale era devotissimo, e non passava giorno che non si recasse ad adorarlo almeno per una buona mezz’ora) e ne invocava con grande fervore l’aiuto. In somma era una verace immagine di San Carlo Borromeo, e di San Francesco di Sales, del quale sovente

leggeva la vita e le opere, e ne imitava a tutto potere le virtù; spezialmente nel perdonare e nel dimenti-care le offese; e di più nel beneficare gli offensori. E se talvolta venivagli detto si ricordasse di essere Cardinale e principe, e che anche i santi uomini prendevano giusto castigo de’ tristi, egli rispondeva: al castigo ci penserà Iddio, quanto a me non son buono a far male ad alcuno. E certamente era vero, perché solo il far bene fu cosa a lui propria, e si mostrò per tutta la sua vita, ma più particolarmente negli anni terribili della carestia nel 1853, e del cholèra asiatico nel 1855, in cui fece tali prove di carità, che resteranno nel mondo ad esempio, di quanto può fare un Santo Vescovo a soccorso della sua greggia,

quando Iddio la flagella. ... nella sua villa di Casenove soleva due volte l’anno passare alquante settimane, al principio della state e

87

Jean-Pierre Schouppe, Rapporti giuridici tra Chiesa e comunità politiche. Profili epistemologici e metodologici di una rinnovata disciplina, in Ius Ecclesiae, XX (2008), p.

65 ss. 88

Jean-Pierre Schouppe, Rapporti giuridici tra Chiesa e comunità politiche. Profili epistemologici e metodologici di una rinnovata disciplina, cit., p. 68. 89

Alberto De La Hera, Charles Munier, Le droit public ecclésiastique à travers ses définitions, cit., pp. 62-63.

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in autunno, per rifarsi un poco in salute, e riposare dalle fatiche continuate.

Mi piace registrare qui l’orario ch’egli sempre sino all'ultimo osservò, il quale tolgo da una carta scritta di sua mano. - Ore Canoniche - Mattutino e laudi - nella sera ante omnia. Ore minori la mattina ante missam. Vespro e compieta - nel giorno ante prandium, o la sera. - Meditazione - La mattina et ante omnia per

horam. Messa - subito dopo la meditazione. - Osserverò il suddetto ordine, e prenderò nella sera antecedente le debite misure per averne il tempo

opportuno, allorché preveda che nella seguente mattina dovrò attendere a qualche opera straordinaria. - V’impiegherò ¡l tempo necessario e determinato, e non avrò timore che mi manchi per gli altri impieghi.

Dio permette che chi ruba il tempo alle opere di pietà per darlo ad altri affari non faccia nè bene nè in tempo e le une e gli altri. Riposo: alle 11, sempre in letto: alle 5 sempre alzato.

Pranzo: all’una pomeridiana. Passeggio, due ore e mezzo prima dell’ave maria, ma visitando prima il santissimo sagramento per mezz’ora.

- Non parlate mai del vostro prossimo se non in bene. Di voi e delle cose vostre nè in bene nè in male.

(Ricordo che aveva sempre in bocca e scrupolosamente metteva in pratica). - Parlate con ogni carità e mansuetudine anche coi più indiscreti, fastidiosi, insolenti. - Non vi trattenete mai in alcun luogo a conversare senza una vera necessità, utilità, e convenienza.

- Non fate inviti se la carità o la convenienza noi richiedono. - Le virtù che ci convengono sono, CARITÀ, AMOREVOLEZZA, DILIGENZA SOMMA, RASSEGNAZIONE,

SILENZIO. - Quantus quisque est in oratione, tantus est in perfectione. Questi ed altri molti ricordi si trovano scritti di

proprio pugno in più quaderni.

“LA MIA EREDITÀ SIA DEI POVERI CRONICI, AFFINCHÈ PREGHINO PER ME

E MI ACQUISTINO GRAZIA NEL COSPETTO DEL SIGNORE”

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LA FAMIGLIA SOGLIA CERONI La SOGLIA è una antica, bella e grande villa di campagna che si trova nella parrocchia di Pagnano, sulla parte destra del fiume Senio di fronte al paese di Casola, ma che dal XIV secolo si trovava sotto il comune di Brisighella. Il luogo faceva parte della giurisdizione diretta della rocca di Ceruno situata sulla collina che

sovrasta La Soglia. È da questa casa che ha preso origine il cognome della famiglia SOGLIA; ma perché esso diviene SOGLIA CERONI? Leggiamo alcune righe da “La Storia di Casola Valsenio” (manoscritto di Giovanni Antonio Linguerri Ceroni circa 1807 - libro pubblicato da Mons. Giancarlo Menetti 2007) (Trattando dell’anno 1506) “Alli 27 di marzo presentandosi al Senato imolese, il detto Alessandro Ceroni e Domenico da Cerreto a chiedere un uffiziale per Casola, fu destinato ser Alessandro Lelli.

L’ultimo giorno di marzo giurarono fedeltà ai commissari imolesi gli uomini di Casola di Valdisenno tra i quali fu Giovan Battista Magnano forse figlio di ser Pietro Ungania che poc’anzi era qua venuto a stabilirsi dalla Valsassina e Leone, Lodovico e Babino Soglia, Ceroni tutti e tre. Tra gli uomini di Monte Oliveto che

giurarono fu Antonio Marabini massaro, Luca dalla Villa, Vigo Boldrini. Giurarono poi gli altri uomini del comune di Mongardino, di Prugno, di Castel Pagano, di Monte Battaglia di Baffadi, di Montefiore e Stifonte.”

(Trattando dell’anno 1521) “… Actum in burgo Casulae in palatio residentiae domini capitanei ad bancum juris …” Da ciò è manifesto che non il Flaminio, ma Bernardino era Capitano in settembre e che dovette continuare tutto il restante dell’anno nonché tutto il seguente, trovandosi spesso ricordato con tale grado presso il detto Conti. Presso dei medesimi si fa menzione del ponte di Casola, del portico di Babino Soglia [abitava quindi probabilmente in piazza, ora piazza Sasdelli ndr.] e della maestà di …”

(Trattando del 4 dicembre 1522) “Raffaello di Brunoro, capo della signoria e comandante della rocca del castello di Cerrone, come più vecchio, spedì subito a detto Vitelli tre suoi cugini che furono: Bartolomeo detto Ravaglio, Vincenzo di Simone detto Linguerri e Taddeo detto Lolo dei signori di detto luogo come i più sagaci, quali, dopo aver perorato in pubblico conchiusero che erano pronti per obbedire alle disposizioni di sua Santità col supporre

che fossero giuste, ma che frattanto faceano istanza fossero cacciati da quei luoghi Guido e Ramazzotto suoi nemici e che piuttosto avrebbero dato ostaggio degno di Chiappino Vitelli.

Ordinò subito partissero i suddetti Vaino e Ramazzotto, che partiti e ricevuto in ostaggio Pietro Ficchio, e Babino Soglia, capitano dei Ceroni, subito detto Vitelli si portò in compagnia dei suoi soldati in detto loro feudo Cerone ...”

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Questi documenti si riferiscono ai Soglia come parte integrante della Consorteria Ceroni: ragione per cui, a

pieno diritto, si chiamano Soglia Ceroni. Dato che ci sono stati ben cinque notai in quella famiglia abbiamo guardato anche i loro documenti ufficiali, come si firmavano e l’evoluzione avuta dal loro nome.

GIULIO CESARE SOGLIA CERONI – “I.C.S.C.” Rogò negli anni 1556 – 1606. Nei suoi documenti si firma: “Io Giulio Cesare figlio di Biagio della Soglia di Ceruno” “a Solia de Ciruno” viene cioè sottolineato che La Soglia faceva parte del territorio della Rocca di Ceruno. Sigillo

POMPEO SOGLIA - “P.S.”

Rogò negli anni 1562 – 1579. Nei suoi documenti si firma “Io Pompeo figlio di Alessandro della Soglia” “a Solia” l’appartenenza al territorio di Ceruno viene data

per scontata. Sigillo VINCENZO SOGLIA – “V.S.”

Rogò negli anni 1578 – 1627. Nei suoi documenti si firma “Io Vincenzo della Soglia” Sigillo “a Solia” l’appartenenza al territorio di Ceruno viene data per scontata.

GIOVANNI BATTISTA SOGLIA CERONI - “J:B:S:M(e)I:” (Joannes Baptista Signum Mei) Rogò negli anni 1607 – 1619. Nei suoi documenti si firma “Io Giovanni Battista della Soglia di Ceruno” “a Solia de Ciruno” ritorna a precisare “di Ceruno” Sigillo

SILVESTRO SOGLIA CERONI – “S.S.C.” Rogò negli anni 1656 – 1711. Nei suoi documenti si firma

“Io Silvestro della Soglia Ceroni” “a Solia de Cerronis” Silvestro in pratica dice: se quelli “di Ceruno” si chiamano Ceroni io che sono della “Soglia di Ceruno”,

per lo stesso diritto, mi chiamo “SOGLIA CERONI”. Sigillo

ALBERO GENEALOGICO DEL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI

L’albero genealogico del Cardinale l’abbiamo desunto dall’ampio studio sulla famiglia Soglia Ceroni del compianto amico Rag. Pasquale Becca di Imola. Nella primavera 2015 è uscito il libro “Tavole genealogiche di illustri famiglie imolesi” edito da La Mandragora (collana Fonti per la storia e l'arte di Imola) nel quale vengono riportati i suoi approfonditi studi sulle genealogie di numerose famiglie del nostro territorio. Per la

famiglia Soglia Ceroni ci sono cinque tavole di cui una è riportata alla fine di questa pubblicazione. Dato che nelle sue carte vengono riportate due ipotesi di discendenza, noi abbiamo svolto ricerche dirette nei

documenti che si trovano presso la parrocchia di Casola Valsenio e quella che vi proponiamo di seguito la riteniamo la più attendibile.

BIAGIO

(era già morto nel 1597)

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I

SIMONE

1540

(abita alla Soglia di Pagnano)

Sp. Margherita Orsini di Modigliana

I

STEFANO

1569

Sp. Lucrezia Baldassarri di Agatone

I

FILIPPO

1592

Sp. Tomasa Fantini di Marcello 26.6.1620

I

PAOLO

n. 04.08.1622

m. 1675

Sp. Lucia Galassi di Dionisio

I

GIUSEPPE

n. 29.10.1654

(sergente – Centuriae Instructor)

Sp. Teresa Brunori Ceroni n. 27.6.1673 di Carlo e Alessandra Pirotti

I

I

GIOVANNI BARTOLOMEO

n. 24.8.1704

Sp. Maria Ungania n. 19.5.1700 del notaio Dott. Antonio e di Margherita Soglia, figlia del notaio Silvestro

Soglia Ceroni. (Giovanni Bartolomeo nel 1740 succede alla zia Rosa Brunori Ceroni nel juspatronato della

chiesa di S. Giacomo di Ceruno - Gaddoni pag. 266, rog. 29.4.1740 Antonio Linguerri)

Sp. 2.9.1749 Giovanna Iseppi da cui nasce

I

GIOVACCHINO

n. 21.08.1745

sp. Anna Braga il 24.11.1777 di Carlo Felice e di Antonia Linguerri Ceroni

I

1. Maria Giovanna n. 22.08.1778 m. 1779

2. Card. Giovanni Soglia Ceroni n. 11.10.1779 m. 11.08.1856

3. Maria Teresa n. 21.4.1781 sposa Giovanni Bellini di Antonio di Palazzuolo nel 1807

4. Domenico n. 13.10.1782 m. 1783

5. Domenica n. 8.3.1784 sposa Francesco Montevecchi di Palazzuolo

6. Annunziata n. 27.4.1786 sposa Giuseppe Bona di Giovanni di Casola nel 1808

(Avranno 10 figli. E’ l’erede usufruttuaria dei beni di Casola Valsenio del fratello Cardinale. Morta lei,

eredi i nipoti, da dividersi in stirpes del Cardinale)

7. Maria Francesca 27.10.1789 m. 1789

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CASOLA VALSENIO RINGRAZIA IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI PER L’ALLARGAMENTO DEL SUO TERRITORIO COME ERA ALLE SUE ORIGINI

A Casola Valsenio si usa dire che pur avendo avuto Brisighella otto Cardinali, tra cui due Segretari di Stato,

l’unico Cardinale di Casola è riuscito a “batterli” facendo allargare il territorio del nostro paese riportandolo praticamente a quello che era il territorio delle sue origini. Questo non è assolutamente vero, perché Giovanni Soglia Ceroni fu nominato Cardinale nel 1838, mentre il territorio di Casola fu allargato alle sue dimensioni originarie con il Motu Proprio del 1816 e la conseguente tabella di riparto territoriale pubblicata il 26 novembre 1817. In quegli anni il Soglia Ceroni era ancora un

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prete, più precisamente un monsignore, quindi non Cardinale. Era però il braccio destro di Papa Pio VII,

cosa non di poco conto. Per coloro che desiderano approfondire nei dettagli la disputa tra i comuni di Casola Valsenio e Brisighella che durò più di dieci anni e, aggiungo io, che i brisighellesi ancora oggi ricordano, possono ricercare i documenti presso l’archivio di stato di Ravenna e trovare la maggior parte di questi documenti in

“Legazione Ravenna – buste N. 812, 813, 814”. Dalla mappa di seguito riportata, che proviene invece dall’Archivio di Stato di Roma, si può ben notare che il fiume Senio era praticamente il confine tra il territorio di Casola, posta sulla sponda sinistra del fiume con alcune propaggini alla destra del fiume e Brisighella. Al ponte della “Soglia”, che prendeva il nome dalla casa della Soglia che si trovava nel territorio di Brisighella, si dovevano pagare le gabelle dei dazi per le merci che si trasportavano tra un comune e l’altro. Nell’allargamento del territorio intervengono due fattori importanti: il Pontefice Pio VII, Barnaba Niccolò

Maria Luigi (in religione Gregorio) Chiaramonti, benedettino, era stato Vescovo di Imola dal 1785, lo rimase anche da Papa fino al 1816, pertanto conosceva benissimo il territorio della sua diocesi che si estendeva anche sotto la giurisdizione di Brisighella. Quando Mons. Giovanni Soglia Ceroni perorò con il Papa la

richiesta di riportare nella giurisdizione di Casola Valsenio i territori della Diocesi di Imola che erano sotto Brisighella, Pio VII trovò la cosa buona e giusta ed emise il

MOTO PROPRIO DELLA SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE PAPA PIO SETTIMO IN DATA DE 6 LUGLIO 1816

SULLA ORGANIZZAZIONE DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ESIBITO NEGLI ATTI DEL NARDI

SEGRETARIO DI CAMERA NEL DI 14 DEL MESE ED ANNO SUDDETTO

Tramite questo Motu Proprio il territorio di Casola tornava sul torrente Sintria, ma la controversia tra Casola e Brisighella continuò per molti anni e i brisighellesi ritornarono in possesso di diversi territori tra cui Monte Mauro (Maggiore) e Villa Vezzano. Ovviamente l’allargamento del territorio significava per Casola un

aumento della popolazione ed un conseguente aumento delle entrate ed il contrario per Brisighella. Infatti la maggior parte dei documenti nell’archivio di stato di Ravenna ha puramente un carattere economico. Penso che si possa riassumere questa disputa prendendo quanto scritto dalla relazione degli amministratori di Casola nella persona del Governatore Pietro Rinaldi Ceroni il 29 agosto 1823 (Arch. di Stato di Ravenna).

“Fin dal secolo XIV furono colla forza dell’armi levate a Casola situata nel Contado d’Imola e Diocesi

Imolese nella valle del Senio, che portava il suo regolare confine al Torrente Sintria colla Val D’Amone, le parrocchie di Vedreto, Monte Mauro, Pozzo, S. Andrea, Stifonti, Gualfusa e Presiola. Fin d’allora restò il territorio casolano mutilato con tale mostruosità che ne accadevano infinite inconvenienze giacchè la valle d’Amone portava il confine della sua giurisdizione fino presso l’abbitato di Casola, e questo rimase in

gravissime ristrettezze a segno di doversi astenere da qualunque spesa, abbandonando persino le pubbliche strade. Diffatti a due passi di distanza veniva sospeso il corso della Giustizia, e della Polizia; in occasione di peste e contagio veniva tolta la comunicazione alla parte superiore del territorio casolano col suo capoluogo, in causa di un tratto di mezzo miglio di Strada Regale che transitava su l’altra giurisdizione in poca distanza si erigevano esercizi con grave danno degl’appalti pubblici pe’ dazii sugl’oggetti di consumazione. In occasione di carestie era Casola costretta a non negare agli abitanti situati in quelle frazioni il necessario sostentamento, ed in ogni tempo i generi di prima necessità, l’opera di Pofessori per la

pubblica salute ed istruzione cotanto necessaria in causa della eccessiva vicinanza a Casola e per la gravissima distanza a Brisighella cui erano quasi impossibilitati a ricorrere quei popoli nelle loro circostanze. Ad onta dei reiterati reclami de Casolani fatti costantemente

all’antico Governo Papale, alla Repubblica Cisalpina, ed al

Governo Italico, mai aveva potuto la Comune di Casola ottenere la restituzione restringendosi ogni governo a vietare l’errezione in quelle frazioni di qualunque esercizio al comune di Casola

pregiudicevole. Finalmente doppo tanti calamitosi cambiamenti, ritornate queste Provincie sotto del provido Governo Papale i Casolani rinovarono le loro preci al

Trono Sovrano facendogli conoscere non tanto i gravissimi inconvenienti che gl’avvenivano costantemente, quanto le loro terribili ristrettezze che gli ponevano in somme angustie in causa del

carrico che era addivenuto insoportabile. La Sovrana Clemenza che riguarda tutti i suoi amatissimi

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Solo due commenti a quanto riportato dal Governatore di Casola del tempo. I casolani non ce l’avrebbero mai fatta se non ci fosse stato il concorso della presenza di Pio VII e di Mons. Giovanni Soglia Ceroni che,

da esperto conoscitore della legge avrà anche dato le indicazioni adeguate ai nostri amministratori su come affrontare le diverse cause con i brisighellesi. Nel documento si parla di “STRADA REGALE”, un nome che riporta a ben mille anni prima, alla guerra tra i longobardi e l’esarcato di Ravenna, quando cioè il Senio era il confine dei due territori e nel lato sinistro del Senio c’erano i Longobardi, mentre la parte destra del Senio, dove si trovava la Strada Regale (strada protetta e sorvegliata dalle truppe imperiali), era sotto l’esarcato di Ravenna. La Strada Regale iniziava dal

“Passo di Baffadi” dove c’era il ponte di sasso e proseguiva fino a Ravenna. Ma di questo ne parleremo in un’altra occasione.

CASOLA VALSENIO RINGRAZIA IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI PER LA COSTRUZIONE DEL CONVENTO DEI FRATI CAPPUCCINI E

DELL’ISTITUTO DELLE SUORE DOROTEE PREPOSTI ALL’EDUCAZIONE DELLA GIOVENTU’ CASOLANA

Corografia delle Parrocchie controverse

Archivio di Stato in Roma

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Nelle pagine precedenti abbiamo letto come il Cardinale abbia pensato all’istruzione e formazione dei

casolani come passaggio fondamentale per lo sviluppo del paese e che per questo abbia pensato a due istituzione per l’istruzione dei ragazzi e delle ragazze. La lettera seguente, tratta dal mio archivio personale,

fu scritta di proprio pugno da Mons. Giovanni Soglia Ceroni a Domenico Sabbatani gonfaloniere del comune di Casola Valsenio il 13 marzo 1818 e dimostra il piglio e la determinazione con cui lui

desidera procedere per la costruzione del convento “… se trattandosi del ben pubblico, e del vantaggio di un’intera popolazione, Ella si darà il

pensiero di far cedere qualche

altro sito più opportuno da pagarsi a stima di periti, non abbandonerò il mio progetto …”. Chi si sarebbe messo contro il Monsignore? Si sarà sicuramente abbattuta quella burocrazia che rallentava tutto!

“E’ noto a Vs. Ecc. Ill.ma che avendo concepito il disegno di promuovere la fabbrica di un convento in Casola ebbi a tale effetto la cessione della fabbrica già incominciata per il teatro. Ora sono assicurato che

detto luogo non è opportuno a tal’uopo, e però credo cosa ben fatta di renderne consapevole Vostra Eccellenza Illustrissima ed esporle che, se trattandosi del ben pubblico, e del

vantaggio di un’intera popolazione, Ella si darà il pensiero di far cedere qualche altro sito più opportuno da pagarsi a stima di periti, non abbandonerò il mio progetto. Pertanto col desiderio del suo

grato riscontro passo colla più distinta stima a prostrarmi.”

Roma 13 Marzo 1818

Devotissimo, e Obbligatissimo Servitore

Giovanni Soglia

Devoti

ssim

o e

obblig

a

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Questo era il paese di Casola come lo conosceva il Card. Giovanni Soglia Ceroni. Questa pianta

catastale di Casola Valsenio del 12 agosto 1811 si trova presso l’Archivio di stato di Roma

Il Cardinale fece costruire:

il Convento dei frati tra la strada detta “dei campi” (approssimativamente via Soglia) e lo “stradello

Consurtivo” (via Fondazza).

L’Istituto Suore Dorotee in un’area arativa libera all’ingresso del paese, di fianco a via “Gatta

Marcia”.

Stemmi del

Card. Soglia Ceroni

nella chiesa dei

frati Cappuccini di

Casola Valsenio.

Quello a sinistra è sul

tabernacolo nell’altare

a sinistra

Quello a destra è nelle

prime due panche

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CASOLA VALSENIO RINGRAZIA IL CARD. GIOVANNI SOGLIA CERONI PER AVER PRESERVATO LA CONOSCENZA STORICA DEL NOSTRO PAESE

Probabilmente se non ci fosse stato il Cardinale sarebbe andato perduto il documento più antico che parla della storia di Casola, mi riferisco al manoscritto che don Domenico Mita scrisse nel 1634: "Ceroniae Gentis in Aemilia vetusta aliquot monimenta", che forma la base per una successiva eventuale storia di Casola e che il Cardinale diede alle stampe a Roma in lingua latina.

Lui non ebbe tra le mani il documento originale del Mita, ma bensì una copia esatta del manoscritto come dichiara il notaio Giovanni Panfilo Spannocchia di Tossignano firmando il manoscritto il 3 gennaio 1719. Questo manoscritto originale di proprietà del Dott. Angelo Bona, discendente del Cardinale da parte della sorella Annunziata, è stato utilizzato dal Mons. Giancarlo Menetti quando nel 1998 pubblicò il libro “La Storia dei Ceroni” con il testo in latino e a fronte il testo in italiano. Ringraziamo il Dott. Bona ci ha permesso di disporre dei documenti originali per mostrarli ai presenti al Convegno sul Cardinale Soglia Ceroni.

I documenti e le informazioni di cui siamo venuti a conoscenza ed in possesso durante questa

ricerca sono tanti e sicuramente ce ne sono tanti altri che meriterebbero un ulteriore studio ed

una pubblicazione più completa su questo nostro concittadino, grande personaggio del XIX

secolo.

Copia certificata del manoscritto di Don

Domenico Mita del 1634, da parte del

Notaio Giovanni Panfilo Spannocchia di

Tossignano il 3.1.1719.

Archivio del Dott. Angelo Bona

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Albero genealogico del Card. Giovanni Soglia Ceroni

Rag. Pasquale Becca

sono stati sottolineati in rosso i suoi ascendenti

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LA CONSORTERIA DEI CERONI via Matteotti 90, 48010 Casola Valsenio (RA)

Un grazie particolare va alla

RICOH Italia Srl Filiale di Bologna sede di Imola

Via Ugo La Malfa 10 int. 3, 40026 Imola (BO)

Che ci ha permesso questa pubblicazione