Il Capitano Della Djumna - Salgari Emilio

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EMILIO SALGARI

IL CAPITANODELLADJUMNA

Illustrazioni di giuseppe gamba

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FABBRI

EDITORI

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INTRODUZIONE

Collana a cura di Luciano Del SetteClaudio Gallo

Sulla Collana

EMILIO SALGARI. L’OPERACOMPLETA

Š 2002/2004 RCS Collezionabili / RCSLibri S.p.A. - Milano

Pubblicazione periodica settimanaleRegistrazione presso il Tribunale di

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Milano n. 298 del 20 maggio 2002

Direttore Responsabile GIANNIVALLARDI

Richiesta iscrizione al ROC

Si ringraziano la Biblioteca Civica diVerona e il suo direttore Ennio Sandal peri materiali del Fondo Salgarianocortesemente messi a disposizione.

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Nota dell’editore

Il presente volume riproduce il testo diuna

delle edizioni originali pubblicate dallecase editrici

di riferimento tra il 1887 e il 1926. Letavole

fuori testo sono state selezionate fra letavole

che corredavano l’edizione utilizzata. Latrascrizione,

la grafěa e la traslitterazione dei nomisono state

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compiute nel rispetto delle sceltedell’autore.

Ivi comprese eventuali alterazioni deitoponimi,

decise dall’autore stesso per ragioninarrative.

I naufraghi delle Andamane

Nel 1897, Emilio Salgari riceve lanomina a Cavaliere del regno: unimportante riconoscimento del suo talentonarrativo, di cui sarŕ molto orgoglioso.Nello stesso anno, lo scrittore veronese

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da alle stampe Il capitano deUa Djum-na(Donath, 1897, illustratore GiuseppeGamba), in cui rivisita uno dei suoiscenari prediletti: l’India dal fascinoammaliante, con i suoi riti, le suecredenze religiose, le sue superstizioni, lasua intensa dimensione esotica.Considerato, a torto, un romanzo minore,Il capitano della Djumna, in questaversione con i tre capitoli aggiuntinell’edizione del 1905, presenta inveceuna trama avvincente, ricca di colpi discena, grazie anche a un sapiente ricorsoalla moderna tecnica del flash-back. Lepersonalitŕ dei protagonisti, che siiscrivono nei caratteri della modernaletteratura europea, sono complesse e,talvolta, sembrano distinguere condifficoltŕ il confine che separa il bene dal

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male. č il caso dell’indiano Sciapal che,accecato dalla bramosia, trova accettabileil furto e l’ammutinamento ma si ribellainvece di fronte all’omicidio del suocapitano. Allo stesso tempo, anchel’anima nera del romanzo, Garrovi, cheprogetta e realizza una serie di infamidelitti, rivela un insospettato latoumanissimo nell’amore che nutre per lafiglioletta adottiva, Narsinga, una bellabambina intelligente e coraggiosa,dall’espressione birichina. La tramaprende avvio nella baia di Porto-Canning,allorché Oliviero Powell, giovane tenentedell’esercito indiano, durante una partitadi caccia in compagnia del quartiermastroHarry, trova sotto l’ala di un volatile dalui colpito un inquietante messaggio. Inalcuni fogli di un diario di bordo, in parte

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resi illeggibili dall’acqua, si dipana ladrammatica vicenda di Ali Middel,comandante angloindiano di un’agile grab,la Djumna, un piccolo tre alberi salpatoun mese prima alla volta di Singapore. Lanave trasportava, in aggiunta al suocarico, un forziere pieno di monete d’oro,per il valore di diecimila sterli

ne, destinato a un inglese residente inquella cittŕ. Durante la navigazione, AliMiddel si rende conto di aver imbarcatotra il suo equipaggio due feroci criminali,Hungse e Garrovi, ex-componenti dellasetta dei Ťfakiriť semiassi, dalla tristefama. Pur di impadronirsi della preziosacassa, infatti, i due non esitano adavvelenare gli altri marinai e ad affondarela Djumna e il suo capitano. Il quale, pur

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rinchiuso nella sua cabina, riesce, quasimiracolosamente, a sfuggire alla finecrudele cui sembrava destinato. Suun’isola costellata di sabbie mobili,popolata da bestie pericolose e daindigeni che praticano l’antropofagia, edove crescono alberi la cui ombra čletale, Ali affida a un’oca migratrice lasua richiesta d’aiuto. Commossi dallaterribile sorte toccata al capitano, iltenente Powell e il fido Harry organizzanouna spedizione per sottrarre lo sventuratonaufrago al suo triste destino, convinti cheil governo del Bengala non avrebbemosso un dito per andare alla ricerca diun comandante della marina mercantiledella cui sopravvivenza non si avevanoprove certe. Grazie all’appoggio dellapotente associazione ŤYoung-Indiať, i due

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generosi temerari riescono a rintracciareGarrovi che, dopo aver assassinato ancheil suo complice, vive da gran signore aCalcutta, godendosi il frutto delle suemalefatte, e lo obbligano a condurli nelluogo dove ha affondato la grab, per poteriniziare da lě le ricerche. Con loro siimbarca il fratello di Middel, Edoardo, unragazzo di tredici anni, dall’atteggiamentoserio e maturo. Il viaggio per mare finoalla Piccola Andamana, isolettadell’arcipelago delle Andamane, nel golfodel Bengala, non č privo di imprevisti e disorprese, cui si aggiungono le difficoltŕprovocate da un uragano e quelle dovuteai piccoli attentati organizzati da Garrovi,che vuole evitare a tutti i costi dimisurarsi con la sua vittima. Alla fine,dopo molte traversie, i protagonisti

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riusciranno a salvarsi e lo spietatoassassino sarŕ punito, grazie anche alprovvidenziale intervento di Pandu, ilfedele cane nero del capitano.

L’efficace tecnica narrativa dispiegata daSalgari in questo romanzo tocca le vettepiů alte nelle emozionanti pagine dedicateall’uragano quando, Ťin una notted’orroreť, con la nave in balia dellatempesta e l’alberatura fiammeggiante acausa dello strano fenomeno dei globi difuoco, fra le onde incalzanti, gli scroscidelle folgori, i fischi diabolici del vento,il fumo e le scintille, Oliviero, Edoardo ei marinai Ťlottavano coll’energia delladisperazioneť per la propria vita.

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Caterina Lombardo

Parte Prima

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LE OCHEEMIGRANTI

Un sole ardente, infuocato, si riflettevasulle giallastre e tiepide acque dellaprofonda baia di PortCanning, esalantiquei miasmi fetidi che scatenano cosě disovente febbri tremende, mortali per glieuropei non acclimatizzati, e peggioancora, il cholera, cosě fatale alleguarnigioni inglesi del Bengala. Non unsoffio d’aria marina mitigava quel caloreche doveva toccare i 40 e forse piů gradi.Le grandi foglie piumate dei cocchi,d’aspetto maestoso, disposte a cupola, odei pipai, o dei rimiri, o dei palmizi tara,o quelle lunghe e sottili dei bambů,

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pendevano tristamente, come se quel solele avesse bruscamente private dei lorosucchi.

Il silenzio poi che regnava su quelle acquee su quelle isole fangose che sidistendevano verso il golfo del Bengala,era cosě triste, che produceva unaprofonda impressione. Pareva che tuttofosse morto in quell’estrema regione dellapiů ricca e della piů vasta provincia deipossedimenti inglesi dell’India.

Pure, malgrado quella pioggia di fuoco, emalgrado i miasmi che s’alzavano da queibassifondi sui quali imputridivano enormiammassi di vegetali, una piccolascialuppa coperta da una tenda bianca,navigava lentamente fra quelle isole e

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quei banchi di sabbia e di fango, ma conuna certa precauzione. Due uomini, unoche stava seduto a prora tenendo in manoun fucile a doppia canna e un altro apoppa che manovrava dolcemente un paiodi quei corti e larghi remi detti pagaie, lamontavano.

Il primo era un giovanotto alto, un po’magro, dalla carnagione bianchissima, condue occhi azzurri, due baffetti biondi, lafronte alta, le labbra vermiglie. Indossavaun vestito di tela bianca, fregiato sullemaniche coi distintivi di tenente ed avevail capo riparato da un ampio cappello dipaglia. L’altro era invece un uomo sullacinquantina, basso di statura ma tarchiato,

con una lunga barba giŕ brizzolata, una

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fronte rugosa, la pelle assai abbronzata, ilineamenti duri, angolosi.

I suoi occhi, di colore oscuro, non sistaccavano dal giovanotto come sevolesse prevenire ogni suo desiderio,mentre le sue mani callose manovravano,come se fossero due fuscelli di paglia, lepesanti pagaie.

Era vestito come il compagno, ma sullesue maniche non si scorgeva alcun grado.Invece del cappello di paglia portava perňun berretto da marinaio. Quei due uomini,insensibili al calore come le salamandre,continuavano ad avanzarsi in mezzo alleisole, agli isolotti ed ai banchi, ma semprecon prudenza.

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- Vedi? - chiese ad un tratto il giovanotto,volgendosi verso il rematore. - Vedi,Harry?

- Sě, signor Oliviero, ma si tengono fuoridi portata. Voi li avete troppo spaventati igiorni scorsi.

Un sorriso sfiorň le labbra del giovanetenente.

- č il caldo che li tiene lontani dalle isole,mio vecchio Harry - disse.

- Ma anche il vostro fucile. Č unasettimana che tuona contro tutti i volatilidella baia.

- č l’unica distrazione che offrePortCanning, ma se verranno dei

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compagni lasceremo in pace i volatili eandremo a scovare le tigri. Si dice che aRaimatla ed a Jamera abbondino.

- č vero, signor Oliviero, ma č meglio chei vostri amici rimangano al forte William.Le tigri sono pericolose, signore, e sedovessi perdervi io morrei di dolore.

- Non temere, vecchio mio. Le tigri sonomeno pericolose di quello che si crede eardo dal desiderio di affrontarne una.Quando tre mesi or sono lasciammo ilGallese, credevo, venendo di guarnigionein India, di ucciderne almeno una allasettimana.

— Vi dico, signor Oliviero, che fannopaura quelle bestiacce. Quando navigavo

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con vostro padre, ne cacciammo piů d’unaa Ceylan e vi so dire che quegli animalisono terribili. - Povero padre!…

- Zitto, signor Oliviero, o vedrete ilvecchio quartiermastro Harry a piangerecome una femmina. Lŕ!… Guardate leanitre braminiche che s’alzano di giŕ.Scommetterei una rupia contro UN penny,che ormai conoscono la nostra barca.

Uno stormo di volatili grossi come lenostre anitre, ma colle penne dai riflessiazzurregnoli e brillanti, che fino allora siteneva seminascosto fra le larghe fogliegalleggianti degli jhil, che sono pianteacquatiche simili al loto e le cui radiciformano una specie di rapa assairicercata, si era alzato rumorosamente

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volando verso un gruppo d’isolottideserti.

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- Che questa sera debba tornare aPortCanning senza un volatile? - disse ilgiovanotto. - La mia riputazione dicacciatore andrŕ perduta.

- Non ancora, signor Oliviero - disseHarry, che aguzzava gli sguardi verso unisolotto le cui sponde erano coperte dipaletuvieri dai rami arcuati. - Laggiůpotrete prendere una splendida rivincita.

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- Dove, vecchio mio?

- Lŕ, guardate.

Il giovane tenente volse gli sguardi nelladirezione indicatagli da Harry e scorse,ritti sui rami dei paletuvieri, una fila diesseri bianchi, alti assai e perfettamenteimmobili. -~ Dei pescatori! - esclamň.

- Sě, ma colle ali - disse il vecchio Harry,ridendo. - Colle ali!… Sono uomini,vecchio mio.

— Ma no, signor Oliviero.

- Sono alti come uomini.

- Ma sono arghilah o se vi piace chiamarlimeglio, uccelli aiutanti.

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- Ne ho vedute delle centinaia passeggiaregravemente per le vie di Calcutta in cercadi carogne, ma a tale distanza misembrano piů uomini che uccelli.

- L’inganno č facile.

- Ma cosa vuoi che ne faccia di quegliuccelli mostruosi che vivono di carogne!

- Non vi dico di ucciderli, tanto piů chegl’indiani sarebbero capaci di farviqualche cattivo tiro.

— Lo dici sul serio?

- Sě, signor Oliviero, perché credono chenel corpo di quei mangiatori di carogne sitrovino le anime dei sacerdoti di Brahma.Ma se ci avviciniamo, vedrete che dietro

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a quegli arghilah si alzeranno quellegrasse oche che sono cosě deliziose.

- Avanziamoci con prudenza, allora,vecchio mio. Ci tengo alle oche. Harryriafferrň le pagaie e spinse lentamente ilbattello verso quel banco contornato dipaletuvieri, procurando di non far rumore.

A duecento metri, gli arghilah eranoperfettamente visibili. Erano almeno unatrentina e si tenevano gravementeallineati, colla testa affondata nel loromostruoso gozzo e appoggiati su una solazampa, come č loro costume quando sonoin riposo.

Quei volatili, che gl’indiani chiamanoanche filosofi, sono di statura veramente

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gigantesca, poiché sorpassano in altezza ilmetro e mezzo e dal becco alle zampemisurano sovente perfino due metri etrenta centimetri, mentre da un’alaall’altra superano i quattro. Sembranocicogne giganti, ma sono ben piů brutti,anzi veramente ributtanti

colla loro testa calva, rognosa, traforatada due occhi piccoli e rossastri, col lorobecco enorme in forma d’imbuto e colloro gozzo violaceo che served’anticamera ad uno stomaco che puň daredei punti a quello d’uno struzzo. Il lorodorso č coperto di penne grigiastre erigide, mentre il ventre ed il petto sonocoperti di piume bianche e assai lunghe. Illoro collo invece č quasi nudo, calloso,quasi violaceo, rassomigliante a quello

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dei condor delle Ande. Le loro gambe poisono lunghissime, giallastre, armate diartigli d’una certa robustezza.

Nel Bengala sono numerosissimi,specialmente nelle cittŕ dove hanno curadi purgare le vie dalle immondizie.Funzionano da spazzini, ma il letamaio čil loro stomaco e quale stomaco!… Tuttosparisce entro quel becco monumentaleche si spalanca come un abisso senzafondo. Spazzature, carogne di animali,sorci, corvi interi, ossa, che poi rigettanodopo un certo tempo, e perfino sitrovarono nei loro gozzi dei gatti interimale digeriti e delle tartarughe di terra didieci pollici!

Quegli uccellacci, assorti nella loro

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laboriosa digestione e mezzoaddormentati, pareva che non si fosseroancora accorti dell’avvicinarsidell’imbarcazione. Solamente qualcuno,di tratto in tratto, emetteva una specie difremito cupo simile a quello che lancianogli orsi. Ad un tratto perň rialzaronobruscamente le teste, tesero i loro lunghicolli, aprirono le loro ali smisurate es’alzarono maestosamente, producendo unfragore strano e provocando una rapidacorrente d’aria.

Quasi subito, dietro ai paletuvieri silanciň in aria uno stormo di altri uccellisomiglianti alle oche, col collo perň piůlungo, le ali ornate di nero e la testaadorna d’un ciuffo.

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Il giovane tenente puntň rapidamente ilfucile e lasciň partire i due colpi, mentreil vecchio Harry diceva con ariasoddisfatta:

- Vedete che non mi ero ingannato. Leoche contavano sulla vigilanza degliarghilah.

Due volatili, colpiti a morte dal piombodel cacciatore, caddero in acqua; uno furaccolto, ma l’altro, quantunquegravemente ferito, attraversň il banco eandň a cadere su di un isolotto coperto diverzura.

- Non la perderň di certo quell’oca - disseil tenente. - Mi parve piů grossa di questa.

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- Andremo a cercarla - rispose Harry.

Riprese le pagaie, fece fare al battello ilgiro del banco e lo arenň sulla sponda

dell’isoletta.

Il tenente balzň agilmente a terra nonsenza aver prima ricaricato il fucile, non

ignorando come in quelle isole si trovinonumerosi e pericolosissimi rettili, e

si mise a frugare fra i cespugli. Qualcheminuto dopo riusciva a scoprire l’oca.

L’aveva afferrata per le zampe e stava perritornare al battello, quando con suagrande sorpresa vide sfuggire dal di sottodi un’ala un piccolo involto che era

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assicurato con una fibra vegetale lucente,come se fosse coperta da uno strato diseta.

- Cos’č questo?… - chiese, stupito.

Esaminň con viva curiositŕ quelpacchetto: era un pezzetto di tela rigata, unpezzo di quella cotonina usata dagliindiani, accuratamente sugellata con unasostanza gommosa, pesante pochi grammi.

Lo tastň colle dita e s’accorse, concrescente stupore, che conteneva qualchecosa di rigido, come un foglio di cartapiegata piů volte od un cartoncino.

- Harry - disse.

Il vecchio battelliere salě sulla sponda,

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dicendo:

- Cosa desiderate, signor Oliviero? - Tu,che hai viaggiato molto tempo in India conmio padre, sapresti dirmi se gl’indianiusano adoperare le oche come noi icolombi messaggeri?

- Mai, signore.

- Nemmeno i birmani o gli arracanesi?

- No, di questo sono certo.

- Emigrano le oche?

- Tutti gli anni.

- Dunque questi uccelli possono veniremolto da lontano.

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- Anche dalle isole del sud.

- Guarda cos’aveva quest’oca. -Unpacchetto!

- Con dei documenti, forse.

- Apritelo, signor Oliviero. Non si samai…

Il tenente, vinto dalla curiositŕ, lacerň conprecauzione la tela e vide sfuggire varifoglietti di carta piegata in quattro, giŕingialliti e un po’ umidi. Li raccolsevivamente e li aprě coi dovuti riguarditemendo che si lacerassero. Erano copertida una calligrafia fitta, ma un po’grossolana, scritta con un inchiostroverdastro, ma non tutte le parole erano

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complete. Pareva che l’umiditŕ le avesseguastate, perň si potevano, con un po’ dipazienza, forse ricostruire.

- Cos’č questo? - si chiese il tenente, concrescente stupore. - Come mai questidocumenti si trovano sotto un’ala diquell’oca!

- č scrittura inglese - disse il vecchioHarry. - Chi sarŕ il nostro compatriota cheha scritto questi fogli?

- Vediamo.

Il tenente passň rapidamente i foglietti cheerano cinque ed in fondo lesse: ŤAliMiddel, comandante della Djumna.

ŤDipartimento marittimo del Bengalať.

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- č un angloindiano di certo - disse iltenente.

- Leggete, signor Oliviero. Chissŕ qualeterribile istoria apprenderemo da queifoglietti.

- Ritorniamo nel canotto, Harry. Questosole ci brucia vivi e puň causarci qualcheinsolazione.

Lasciarono l’isolotto e ritornarono albattello, sedendosi sulla banchina dipoppa, che era la meglio riparata.

Il tenente accese una sigaretta, poicominciň la lettura di quegli stranidocumenti, mentre Harry, sedutosi di

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fronte a lui, porgeva attento orecchio.

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UN DRAMMAMISTERIOSO

In testa al primo foglietto, con un caratterechiarissimo, stava scritto in lingua

inglese ed in lingua bengalese:

ŤDa recapitarsi al viceré del Bengala odal presidente della “Young-India” di

Calcuttať.

- Od al presidente della ŤYoung-Indiať! -esclamň il giovane tenente. - Cos’č questaŤYoung-Indiať? Ne sai qualche cosa tu,Harry, che hai soggiornato lungo tempo inquesti paesi?…

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- č una potente associazione fondata daipiů ricchi babŕ ossia borghesi delBengala, che con scuole cerca dicivilizzare la razza indiana.

- Continuo:

ŤNon so se questi documenti giungerannoin India o se quando saranno letti io sarňancora vivo, ma almeno serviranno apunire gl’infami che hanno causato laperdita della mia grab la Djumna e delmio equipaggioť.

- č un bastimento, una grab? - chiese iltenente ad Harry.

- Sě, una piccola nave a tre alberi, collapoppa assai alta.

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ŤHo lasciato Diamond-Harbour il 7agosto del 1816 con un carico dicocciniglia per Singapore, affidatomi dalpresidente della “Young-India” ed unacassa di monete d’oro bhagavadi e dirupie d’oro1 del valore di diecimilasterline da consegnarsi al signor JamesFulton, domiciliato nell’isola suddetta.ŤConducevo con me, in qualitŕ di marinai,dodici uomini: tre misoriani, settemalabari e due bengalesi; i dieci primiavevano giŕ navigato altre volte senza chemai io avessi avuto a dolermi di loro, mai due ultimi li avevo imbarcati di recenteed ignoravo che prima avessero fattoparte di quella setta infame e rapace deifakiri samiassi…ť

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nota: 1 La rupia d’oro vale 42 lire.

- Cosa sono questi samiassi7. - chiese iltenente, interrompendosi.

- Una setta di bricconi - disse Harry. - Voisapete che in India vi sono varie classi difakiri, uomini che si spacciano per santonie che il popolo superstizioso rispetta. Isaniassi sono dei furfanti che sfruttano lasuperstizione del popolo. Si prendonoquello che a loro meglio aggrada senzache nessuno osi rivolgere loro unrimprovero; ma fanno anche di peggio,poiché sovente si radunano in grossebande e allora saccheggiano, collaviolenza, dei villaggi interi. Continuate,signor Oliviero.

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ŤDovevo ben presto pentirmidell’imbarco di quei due traditoriťcontinuava il documento. ŤNon so inquale modo, l’equipaggio era venuto asapere che io avevo imbarcato quellacassa contenente le diecimila sterline,quantunque, per precauzione, avessi fattocredere che era piena di rame. ŤDa quelgiorno deve essere balenato nella mentedei due antichi saniassi, il desideriod’impadronirsi della preziosa cassa e didisfarsi di me e dei miei piů fedelimarinai.

ŤAvevo giŕ sorpreso piů volte i duesaniassi in intimo colloquio con alcunimiei malabari, ma non avendo alcunsospetto, non vi avevo fatto caso. ŤIlsettimo giorno perň, da che noi avevamo

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lasciato Diamond-Harbour, un graveavvenimento accadde a bordo e mi suscitňi primi sospetti. I miei tre mi soriani, cheerano di una fedeltŕ a tutta prova,venivano trovati morti nelle loro amache,coi lineamenti spaventosamente alterati, lapelle del viso cosparsa di chiazzegiallastre ed il ventre enormementegonfio. ŤHo tutti i motivi per credere chea quei disgraziati fosse stato propinatonelle vivande un potente veleno e nonesito ad imputare questo primo delitto aHungse ed a Garrovi, i due saniassi.ť

Qui finiva la parte leggibile del primofoglietto che era il piů grande. La parteinferiore, che doveva essere stata bagnatadall’oca emigrante in una delle sueimmersioni in mare, non ostante la materia

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resinosa che copriva la tela del pacchetto,appariva quasi bianca. Non si vedevanoche poche lettere e qualche mezza rigapunteggiata, ma assolutamenteindecifrabile. Oliviero piegň con cura ilfoglietto e riprese la lettura del secondo.La prima riga appariva spezzata e dovevaessere la continuazione dell’ultimoperiodo corroso dall’acqua marina.

Ť… veglio sempre e se prendo qualcheora di riposo, non dimentico di collocarele mie pistole sotto il capezzale.

ŤOrmai non posso piů dubitare: Hungse eGarrovi cercano di corrompere i mieimalabari e temo che per paura di subire lasventurata sorte dei miei misoriani e unpo’ per aviditŕ, finiranno per volgersi

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contro il loro capitano. ŤLa Djumnas’avanza sempre piů nell’Oceano Indianoe le terre sono ormai cosě lontane da noi!…

ŤPenso al mio giovane fratello lasciatosolo a Serampore. Lo rivedrň ancora?…

Io comincio a dubitarlo, ma confido inDio.ť

Il secondo foglietto terminava qui, poichél’acqua marina, che era trapelata anche suquesto pezzo di carta, aveva fatto sparirele ultime righe. Gli altri tre fogliettiparevano brani del giornale di bordo,strappati a casaccio, poiché avevano imargini irregolari. Erano leggibili nellaparte superiore, ma in fondo mancavano

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anche in questi parecchie righe,specialmente nell’ultimo.

Sul terzo Oliviero lesse:

Ť16 agosto. La grab non deve esserelontana dalle isole Andamane; il vento delnord-ovest vi ci spinge con una celeritŕ dicinque nodi all’ora. ŤVeglio sempre, masono sfinito da questa continua e penosaguardia che m’impedisce, nei quarti diriposo, di dormire.

ŤHo sonnecchiato un’ora dopo ilmezzodě, dopo d’aver barricata la cabina.Sono stato svegliato da un passo chescendeva prudentemente la scala. Sonospiato e si cerca di sorprendermiaddormentato per trucidarmi. Ť17 agosto.

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Sempre buon vento. I miei malabari ormainon mi obbediscono piů; se non mivedessero colle pistole alla cintura, sisarebbero ribellati. Ť18 agosto. Calmaassoluta: la Djumna č immobile sotto unapioggia di fuoco, al sud della PiccolaAndamana. Non oso piů mangiare col mioequipaggio, per paura di venireavvelenato.

ŤHo cercato di far incatenare i duesaniassi, ma i miei malabari si sonoopposti colla violenza, dicendomi che ifakiri sono santi uomini e si sono armatiper difenderli.

ŤQuesta notte getterň la cassa in mare.

Ť19 agosto. Sono stato svegliato da un

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fracasso infernale dopo un’ora sola disonno.

ŤSono balzato in piedi credendo che lagrab si fosse arenata su qualche banco, maho trovato la porta della mia cabinachiusa e barricata. ŤLe mie grida e le mieminacce non ottengono risposta.Un’orribile angoscia mi stringe il cuore.

ŤOdo delle grida che pare si perdano inlontananza e mi vedo…ť Anche su questofoglietto mancavano alcune righe, ma piůsotto Oliviero lesse: Ť… sě, tuttocomprendo. I miserabili hannoapprofittato del mio sonno per in trodursinella mia cabina e rubare la cassa. Perchénon mi hanno ucciso?… Che i mieimalabari non l’abbiamo osato o che…ť

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Anche il quarto foglietto cominciava conuna frase interrotta. Ť… nelle mani diDio. Odo sul ponte i lamentevoliabbaiamenti del mio cane: guaisce comese indovinasse che una tremenda disgraziami č vicina. ŤMi pare che la Djumna siaimmobile, ma non posso assicurarmene,non avendo la mia cabina alcuna finestra.ŤDa trentasei ore non odo sul ponte piůalcun rumore, ormai sono certo che mihanno abbandonato imbarcandosi sullapiccola pinassa.1 ŤLe urla del mio canerisuonano sempre piů lugubri. Comincia ainvadermi la disperazione. Io non so, mami sembra di essere sepolto vivo in unatomba. Ť20 agosto. Ho cercato di sforzarela porta della cabina, ma invano. Se nontrovo una scure, dovrň morire qui dentro enon ho viveri che per pochi giorni.

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Maledizione sui traditori!

ŤAlle dieci vedo irrompere nella cabina,dalle fessure della porta, dell’acqua. Lavedo trapelare anche dal tavolato edistendersi verso le mie casse. ŤOracomprendo tutto. I miserabili hanno apertouna falla nei fianchi della Djumna e stoper calare a picco senza poter lasciare lamia tomba e sto per morire invendicato.

ŤQuando vedrň che ogni speranza sarŕperduta, mi caccerň una palla nel cranio.Il mio cane urla sempre.ť Nel quintofoglietto si leggeva:

Ť20. Sono immerso fino alle ginocchia,ma da tre ore l’acqua č stazionaria. Cos’čaccaduto?… Mi pare che la Djumna sia

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perfettamente immobile. Si č arenata suqualche banco?…

ŤSo che ci trovavamo a breve distanzadalla Piccola Andamana ma non so, inqueste quarant’otto ore di prigionia, doveil vento abbia trascinato la grab, quindiignoro dove possa essersi arenata. Il miocane non urla piů. Ha guadagnato la terraod č morto? Eppure io…ť

La scrittura s’arrestava qui. Nonsembrava perň che il rimanente fosse statoroso nell’acqua marina. Forse qualchegrave avvenimento aveva impedito alloscrittore di terminare la frase. Piů sottoperň, in fondo al foglietto, nell’ultimariga, si leggevano ancora il nome delloscrittore e della nave, giŕ prima notati dal

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giovane tenente.

- Piů nulla? - chiese il vecchio Harry,dopo alcuni istanti di silenzio.

- Piů nulla - rispose Oliviero.

- Quale terribile istoria č questa?

Il tenente non rispose: cogli occhi fissisull’acqua, pareva immerso in profondipensieri.

- Ma quest’uomo, questo disgraziatocapitano, che sia morto, annegato nellasua cabina? - chiese Harry.

- Ma allora come avrebbe potuto affidarequesti documenti a quell’oca emigrante? -disse il tenente. - Ciň fa supporre che egli

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sia riuscito a sfondare la porta della suacabina.

nota: 1 Barche che portano ordinariamentele grab e che hanno un albero fornitod’una vela quadra.

- č vero, signor Oliviero, ma quel drammaspaventevole č avvenuto il 18 agosto edora siamo agli ultimi di settembre cioč čtrascorso un mese.

- Ma quell’uomo puň essere sbarcato.Diceva che la nave gli pareva immobile.

- Ma dove sarŕ sbarcato?

— Forse su qualche isola delleAndamane.

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- E voi credete che egli sia ancor vivo?

— Si puň sperarlo, Harry.

— Ma gl’isolani delle Andamane loavranno risparmiato? Voi sapete chequegli indigeni godono una famatristissima.

- Vediamo, Harry: cosa mi consiglierestidi fare?… Io non ti nascondo che la sortedi questo disgraziato m’interessa assai eche tutto farei perché lo si salvasse. Creditu che il governo del Bengala possatentare qualche cosa per far luce su questodramma terribile?

Il vecchio crollň il capo.

- Se si trattasse di qualche nave da guerra

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o di qualche capitano dei reali equipaggi,non esiterebbe a mandare qualcheincrociatore alle isole Andamane per faredelle ricerche ed a mettere in movimentola polizia per scoprire i colpevoli, ma perun capitano della marina mercantile nonmuoverŕ un dito, signor Oliviero. Farŕdelle promesse, inizierŕ qualche indagineper cercare i saniassi, ma niente di piů, velo assicuro, tanto piů che č giŕ trascorsoun mese e che non si hanno prove chiarese quel Middel sia ancora vivo.

- E si lascerebbe cosě impunito un infamedelitto e si abbandonerebbe queldisgraziato?

- Il viceré ha ben altro da pensare.

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- Ebbene, Harry, agirň per mio conto -disse il giovane tenente. - Giacché la sorteha fatto cadere in mia mano questidocumenti, quel disgraziato non sarŕabbandonato al suo triste destino.

- Vorreste organizzare una spedizione alleAndamane a vostre spese?

— Mio padre mi ha lasciato una sostanzaabbastanza vistosa, perché ne possaimpiegare una parte in una buona opera.

- Io vi ammiro, signor Oliviero, mapermettete che il vecchio marinaio vi diaun consiglio.

- Parla, Harry.

- Cercate per ora di ottenere un congedo

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d’alcuni giorni e rechiamoci a Calcutta atrovare il presidente della ŤYoung-Indiať.Da quell’uomo noi potremo aver dellepreziose informazioni sul conto di quelMiddel e anche dei larghi aiuti forse.

- E cercheremo anche il fratello diMiddel. Serampore non č che a due passidalla capitale del Bengala e ci sarŕ faciletrovarlo.

- Ben detto, signore, ma bisognerebbemettere le mani sui due saniassi o suimalabari, per sapere dove si trovava lagrab quando venne abbandonata. LeAndamane sono molte e, se si dovessevisitare tutto l’arcipelago, nonbasterebbero sei mesi. Chissŕ!… LaŤYoung-Indiať č un’associazione potente

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e potrebbe fare delle ricerche.

- Ritorniamo, Harry. Fra tre giornipotremo lasciare PortCanning con unpermesso in tasca.

Il vecchio marinaio riprese le pagaie espinse il battello al largo, risalendo labaia verso settentrione.

IL PRESIDENTE DELLA ŤYOUNG-INDIAť

Tre giorni dopo gli avvenimenti narrati, ilgiovane tenente ed il vecchio marinaio,montati su un dhumni, percorrevano di

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galoppo le pianure del delta gangetico,sulla via che da PortCanning mette aCalcutta, passando per la piccola stazionedi Sonapore.

Il permesso chiesto al comando diCalcutta era stato subito accordato, ed ilgeneroso tenente si affrettava adapprofittarne, per fare un po’ di luce suquella strana e drammaticissima istoria,prima di organizzare la spedizione giŕormai progettata, per recarsi in soccorsodi quello sventurato capitano e di fare ipassi opportuni per chiedere il soccorsodel governatore del Bengala. Il dhumni,guidato da un giovane indiano, a cuiavevano promesso alcune rupie, seriusciva a condurli a Calcutta prima chetramontasse il sole, correva velocemente

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sulla via polverosa di Sonapore.

Queste vetture, adoperate in quasi tuttal’India, tengono il posto delle nostrecorriere, ma non portano che un numerolimitatissimo di viaggiatori. Sono rozziveicoli con due pesanti ruote e riparati daun tetto di foglie, per non esporre iviaggiatori ai colpi di sole, cosě frequentiin quelle regioni estremamente calde.

A questo veicolo non sono attaccaticavalli, ma invece due specie di buoichiamati zebů, bianchi, alti, con lunghecorna ricurve e il dorso sormontato da unagobba, simile a quella dei dromedari, manon cosě ritta, poiché pende o da un lato odall’altro.

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Non si creda perň che gli zebů abbiano ilpasso lento dei nostri buoi, anzimantengono per delle ore un galoppodiscretamente rapido e, se lo rallentano, ilconduttore, che sta seduto a cavallo deltimone, si affretta ad aizzarli con unbastone armato di chiodi e se non basta,torce ai poveri animali crudelmente lacoda. Il tenente e Harry, comodamentesdraiati sotto la vňlta di frasche,insensibili

ai trabbalzi disordinati della carretta,fumavano, lanciando di tratto in tratto unosguardo sulle grandi pianure del delta,mentre l’indiano aizzava senza posa i duezebů, che fumavano giŕ come zolfataresotto quell’ardente sole. A destra ed asinistra gli alberi fuggivano con rapiditŕ e

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fra le erbe ed i bambů s’alzavano stormidi corvi, di bozzagri, di nibbi, di cicogne,di pappagalli, di colombi bianchi e ditortorelle, spaventati dal fragorosorotolare della carretta, mentre fra imacchioni di kalam, dagli steli alti bencinque metri, s’alzavano bande displendidi pavoni dalle penne scintillanti,a sfumature d’oro e azzurro metalliche.Gli animali non mancavano. Di tratto intratto qualche graziosa nilgň, grossaantilope azzurra, della corporatura deinostri cervi, ma di forme piů eleganti, colpelame grigio-azzurrognolo e col capoarmato di corna sottili, aguzze, lunghe unpiede, attraversava la via, rapida comeuna folgore, scomparendo fra le foltemacchie di bambů.

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Talvolta invece era qualche drappello disciacalli, animali comunissimi in tuttal’India, somiglianti ai cani, macoll’andatura dei lupi, pericolosisolamente quando sono in grandi bande edaffamati.

Generalmente perň si accontentano dellecarogne, ed č appunto per questo chegl’indiani li lasciano tranquilli.

Apparivano un istante sul margine dellastrada, emettevano le loro urlalamentevoli, tristi, ma poi s’affrettavano arintanarsi.

Quelle vaste pianure, che si estendono perun tratto immenso fino alle sponde delgolfo del Bengala, mutandosi piů al sud in

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acquitrini, dove regnano le febbri ed ilcholera e dove scorrazzano libere le tigrie migliaia di serpenti quasi tutti velenosi,erano invece quasi deserte. Solamente agrandi distanze si vedeva qualche miseracapannuccia, soffocata fra i bambů gigantio qualche piccolo attruppamento dicasolari, circondato da risaie o da campiseminati di barn, che č una specie dimiglio o di jowar, che somiglia al nostroorzo. A mezzodě il dhumni fece unafermata all’ombra d’un manghiero, alberoche produce delle frutta che si fondonocome le pesche e molto gustose. I poverianimali, che avevano mantenuto ungaloppo costante, sotto quel solebruciante, avevano urgente bisogno d’unpo’ di riposo.

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Quella fermata non durň che una sola ora.La carretta riprese ben tosto la sua corsadisordinata attraverso ad una stradapantanosa, fiancheggiata da pochi pipaidal tronco enorme e dal fogliame cupo efitto assai, e da macchioni immensi dibambů selvatici, entro i quali forse sicelavano i serpenti gulabi dalla pellerossastra picchiettata di rosso corallo oqualcuno di quei boa color verde-azzurrognolo, cogli anelli picchiettati dicolore oscuro, che valsero loro il nome dipitone tigrato e che raggiungono unalunghezza di quattordici piedi. L’acquadel fiume gigante che circonda quelleterre del delta, trapelava dovunque.Dappertutto si vedevano stagni, entro iquali guazzavano battaglioni di anitrebraminiche e pantani sopra i quali

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s’alzava una nebbiola esalante miasmimortali per l’europeo non acclimatizzato.

Si puň dire che quasi tutte le terre cheabbracciano metŕ del Bengala, sonoformate da banchi di fango che il soleardente continuamente asciuga, ma che leacque del Gange costantementeinumidiscono. Guai se si trovassero inaltro clima!… Il Bengala sarebbeinabitabile, poiché senza quel sole cosěcaldo, tutte quelle terre non tarderebberoa diventare una palude immensa. Verso lequattro il dhumni si trovava a pochemiglia da Sonapore. Giŕ riapparivano deivillaggi ed il terreno non era piů copertoda quegli eterni macchioni di bambů.

Si vedevano campi di senapa coperta di

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fiori gialli, di granturco, di saggina biancache serve di cibo comune al popolo, erisaie chiuse fra arginetti alti alcuni piedi,destinati a trattenere ed a regolare leacque, giŕ coperte da lunghi steli d’un belverde e che producono, sotto quel clima,dei chicchi enormi. Mezz’ora dopo iviaggiatori entravano in Sonapore,piccola stazione in quell’epoca, abitata dapoche dozzine di molanghi, brutti indigenisempre tremanti per le febbri e da pochisoldati sipai alloggiati in un meschinobungalow.1 Fu concessa un’altra ora diriposo agli zebů, durante la quale iltenente e Harry approfittarono perpranzare e per ottenere l’indirizzo delpresidente della ŤYoung-Indiať e alle seiripartivano coll’eguale velocitŕ, essendoormai prossimi alla capitale del Bengala.

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Infatti verso le otto, nel momento in cui ilsole tramontava dietro le grandi forestedell’alto delta, il dhumni giungeva nellagrande pianura su cui si erge la riccacapitale, colla sua selva di campanili, dicupole e di pagode, colla imponente lineadei suoi palazzi schierati lungo il corsodel fiume gigante e colla enorme mole delforte William. - Allo Strand - disse iltenente al conduttore.

I due zebů, punzecchiati vivamente,piegarono verso il fiume, passandodinanzi ad una interminabile fila dibungalow, che servono da case dicampagna ai ricchi inglesi ed ai grandinegozianti indostani e si slanciarono sulloStrand, la via aristocratica di Calcutta checorre lungo il fiume fino al forte William,

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passeggio favorito degli europei, chesfoggiano un lusso veramente orientale, edei principi indiani.

Pochi minuti dopo il dhumni s’arrestavadinanzi ad un grandioso fabbricato di stileindiano, a due piani, fiancheggiato davasti giardini. Su di uno scudo, didimensioni gigantesche si vedeva scrittoin lettere dorate:

ŤYOUNG-INDIAť

nota: Abitazioni ad un solo pianocircondate da una veranda, riparata dastuoie di coccotiero.

Il tenente balzň agilmente a terra,

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raddoppiň le rupie promesse al conduttoredel dhumni e seguito dal vecchio Harry,salě la gradinata di marmo, sulla cui cima,dinanzi alla porta, vegliava un indianoarmato d’una canna col pomo d’argento.

- Il presidente della ŤYoung-Indiať čancora qui? - chiese Oliviero a quelguardia-portone.

- Sě, signore - rispose l’indiano.

- Va’ a dirgli che il tenente OlivieroPowell, comandante la quarta compagniadei sipai di PortCanning, desideracomunicargli dei documenti importantiche riguardano la grab la Djumna.

L’indiano li introdusse in un gabinetto a

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pianterreno, dipinto in azzurro, di formacircolare, adorno di grandi vasi cinesi,entro i quali crescevano alcune di quellerose bianche chiamate kundia dall’acutoprofumo e che si coltivano nelle valli diBelli e di Sirinagor, e cinto, lungo lepareti, da divani di seta trapunta in oro,con guanciali di raso fiorato ricamati inargento. Una grande lampada di metallodorato, sostenente un globo enorme diporcellana azzurra, illuminava quelsalottino, versando sui divani una lucepallida, che rassomigliava a quella chetramanda l’astro notturno. Il tenente ed ilmarinaio si erano appena seduti, quandola porta si aprě e comparve un vecchioindiano, magro come un fakiro, con unalunga barba bianca, che faceva spiccarevivamente la pelle abbronzata del viso e

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due occhi penetranti ed intelligenti.

Vestiva come gl’indostani delle casteelevate. Il suo dubgah, specie di ampiomantello che forma larghe pieghe, era diseta bianca a fiorami; la sua cintura erapure di seta, ma trapunta in oro e adornadi pietre preziose; i suoi calzoncini eranodi mussola a ricami d’argento, stretti alcollo del piede da un legaccio d’oro e ilturbantino che coprivagli il capoaccuratamente rasato, era sormontato dauno smeraldo che non doveva costaremeno di quattromila rupie. Egli mosseverso il tenente, facendo un profondoinchino, poi gli porse la destra alla modaeuropea, dicendogli:

— Sono a vostra disposizione, signore.

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- Siete voi il presidente della ŤYoung-India?ť - gli chiese Oliviero.

- Sě, signor tenente.

— Ebbene, signor presidente, leggetequesti documenti che un caso strano fececadere nelle mie mani.

L’indiano prese i foglietti, che il tenentegli porgeva e dopo d’aver pregato ivisitatori di accomodarsi, appressatosialla lampada, si mise a leggerli conprofonda attenzione.

Oliviero e Harry, che spiavano il suovolto, lo videro a poco a poco alterarsi,come sotto l’impulso d’una collera lentasě, ma terribile, poiché quand’ebbe finito,

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i suoi sguardi mandavano cupi lampi e lasua fronte era coperta di rughe profonde.

- č stato adunque commesso un delittoinfame? - diss’egli, guardando il tenente.

- Se il documento č vero, cosě deveessere - rispose Oliviero.

- Deve essere vero, poiché io conoscevoda vari anni Ali Middel e so che era d’unaonestŕ scrupolosa. Ma come avete avutoquesti documenti?

- Furono trovati sotto le ali di un’ocaemigrante, da me uccisa nella baia diPortCanning.

- Ma allora Middel č ancora vivo!…

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- Lo suppongo anch’io, quantunque siatrascorso un mese dall’odioso attentato.Se non fosse riuscito a lasciare la cabina,io non so come avrebbe potutoimpadronirsi di quell’oca e affidarlequeste pagine.

- č vero - disse l’indiano.

- Credete che sia il caso di rivolgersi alleautoritŕ anglo-indiane?… Un similedelitto non dovrebbe rimanere impunito, ecredo che qualche cosa si potrebbe tentareper salvare quel disgraziato Ali Middel.

L’indiano fece un gesto che potevascambiarsi per un’alzata di spalle.

- Le autoritŕ anglo-indiane! - disse poi,

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con leggera ironia. - Che importa loro seun marinaio č scomparso, se un delitto čstato commesso lontano dal Bengala, inpieno oceano? Sta alla ŤYoung-Indiaťvendicare Ali e scoprire i colpevoli.

- Voi!

- L’associazione, signore, per buonafortuna, possiede dei mezzi potenti. Non čper ricuperare le diecimila sterline, lequali ormai saranno sfumate, né il caricodi cocciniglia, ma per non lasciareimpunito un delitto cosě infame evendicare un membro di questabenemerita societŕ. Signor tenente,vorreste unire i vostri sforzi ai nostri?

- Io, signor presidente, avevo giŕ deciso

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di organizzare per mio conto unaspedizione, e di recarmi nell’OceanoIndiano, per cercare di salvare quellosfortunato capitano.

- Siete un uomo di cuore e vi ringrazio anome della societŕ, signor tenente. Alloraagiremo senza perdere tempo.

Prese da un piccolo sgabello unamazzuola di metallo e avvicinatosi ad ungrande disco di bronzo, sospeso sopra unaporta, battč tre colpi facendo rintronare ilsalottino.

- Che cosa fate? - chiese Oliviero.

- Lo saprete subito - rispose l’indiano.

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SULLE TRACCE DIGARROVILe vibrazioni del disco metallico nonerano ancora cessate, quando comparvesulla porta del gabinetto un giovaneindiano di quindici anni, dalla fisionomiaintelligentissima e colla pelle di colorbronzo chiaro con dei riflessi d’oro. Tuttoil suo vestiario consisteva in un roma! dicolore giallognolo, tinta preferita dagliindiani perché meglio resiste al sole edalla pioggia, e che gli scendeva daifianchi fino al collo dei piedi.

S’inchinň dinanzi al presidente dellaŤYoung-Indiať con grande rispetto e

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attese di venire interrogato, fissando isuoi occhi neri e vellutati sul giovanetenente.

- Conosci il capo dei saniassi di Calcutta?- gli chiese il presidente.

- Sě, padrone - rispose il giovanetto.

- Ho da affidarti una parte importante, mache spero tu eseguirai a puntino, fidandonella tua intelligenza e nella tua astuzia.

— Parla, padrone.

- Io desidero sapere che cosa sia avvenutodi due indiani che un tempo facevanoparte della casta dei saniassi.

- Dimmi i nomi di quei due uomini.

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- Uno si chiama Hungse e l’altro Garrovi.

- Non li scorderň, padrone.

- Ti avverto che metto a tua disposizionetutto il personale della ŤYoung-India ť ela cassa č aperta per tutto quello che tipotrebbe occorrere. Va’ e ritorna conbuone notizie.

Il giovanetto s’inchinň nuovamente e uscěrapidamente, chiudendo la porta.

- Perdonate, signore - disse Oliviero, chepareva in preda ad un vivo stupore.

- Credete voi che quel giovanetto possariuscire? Un sorriso sfiorň le labbradell’indiano.

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— Non temete, tenente - disse poi. -Punya vale meglio dei vostri piůintelligenti capi di polizia e riuscirŕ asapere che cosa e accaduto dei duesaniassi.

- E quanti giorni impiegherŕ?

- Tutto dipende dalle circostanze, ma iospero di poter avere buone notizie primadi domani sera. Ora occupiamoci delfratello di quel povero Middel.

- Lo farete cercare?

- Questa notte istessa manderň degliuomini a Serampore. Quel ragazzo puňforse fornire delle preziose informazioni.

- Ma ditemi, signore, chi era questo

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Middel?

- Un angloindiano, nato da padre bianco eda una indiana di Chandernagor, se nonerro. Da sei anni esercitava il grandecabotaggio con una grab di sua proprietŕ.

- E suo fratello č giovane?

- Credo che non abbia piů di tredici oquattordici anni.

- Dunque domani voi sperate di vedere ilragazzo e di sapere qualche cosa sui duesaniassi.

- Sě, signor tenente, e quando riusciremo asapere dove č naufragata o dove si čarenata la grab, la ŤYoung-Indiaťprenderŕ l’iniziativa per cercare di

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salvare il suo disgraziato socio e pervendicarlo.

Il tenente e Harry si alzarono.

- A domani - disse Oliviero, tendendo lamano all’indiano.

- Vi attendo - rispose questi,accompagnandoli fino allo scalone.

Il tenente ed il vecchio marinaiolasciarono la sede della ŤYoung-Indiať esi recarono in uno dei migliori alberghidello Strand, essendo affranti da quellacorsa disordinata attraverso il deltagangetico.

L’indomani, non sapendo come impiegareil tempo, avendo promesso di ritornare

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dal presidente della ŤYoung-Indiať dopoil tramonto del sole, si recarono a fare unavisita alla Cittŕ nera ed ai suoi bazar, cheOliviero, sbarcato da solo sei settimane,non aveva ancora avuto l’occasione divedere. Black-town, ossia la Cittŕ nera, čl’antica capitale del reame del Bengala edč la parte piů caratteristica di Calcutta,essendo abitata dai soli indiani; la Cittŕbianca, che č di costruzione recente e chenon ha nulla d’orientale, essendo cittŕeuropea, č invece abitata dagli inglesi eda pochi principi indiani.

Quantunque abbia molti secoli di vita, laBlack-town ha conservato tali e quali isuoi quartieri. č un ammasso dicatapecchie e di pagode, di costruzionibasse, ad un solo piano, semicadenti e di

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costruzioni ardite che lanciano a grandealtezza le loro punte, le loro cupolefregiate di teste d’elefanti o delle noveincarnazioni di Visnů, il dio conservatoredegli indostani. Tutto č lurido nell’anticacapitale del Bengala: luride le vie, strette,tortuose, fangose e sfondate; oscure edesalanti ingrati odori le piccole botteghe,entro le quali stanno seduti colle gambeincrociate, immobili come statue, ivenditori, circondati dai piů stravagantioggetti che immaginare si possa; orribiliperfino i bazar che sono formati dacostruzioni di tavole disgiunte e marcite,che per unico ornamento hanno deilucchetti di dimensioni grottesche che disera servono a chiudere le porte.

Il giovane tenente e Harry passarono gran

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parte della giornata girovagando peibazar, fra una folla continua di bengalesi,di arracanesi, di malabari, di mussulmanidelle regioni settentrionali, soffermandosiad ammirare i numerosi incantatori diserpenti, scherzanti colle specie piůpericolose di rettili, poi alla seraritornarono alla Cittŕ bianca eriguadagnarono lo Strand. Il presidentedella ŤYoung-Indiať li attendeva nelsalotto azzurro, dove erano

entrati la sera precedente. Appena entrati,dalla fisionomia lieta del vecchio indiano,s’accorsero che doveva aver raccoltodelle buone notizie.

- Vi aspettavo con impazienza - diss’egli,dopo d’aver stretta la mano ad Oliviero. -

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Ho da comunicarvi delle importantinovitŕ.

- č riuscito nella difficile impresa ilvostro giovane indiano? - chiese iltenente.

- Oltre le mie speranze.

— Sa, forse, dove si trovano i duesaniassi?

- Sě, ma uno solo. Di Hungse non si čpotuto avere notizie.

- Ci basta uno - disse Oliviero, che eraraggiante. - L’avete fatto arrestare?

- Non ancora, ma questa notte noi losorprenderemo nella sua abitazione. Ho

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giŕ fatto radunare dieci uomini risoluti.

— Lo arresteremo noi.

- Preferisco lasciare in pace la vostrapolizia. I miei uomini agiranno meglio enon se lo lasceranno sfuggire.

- Ma dove si trova questo Garrovi? - Qui.

- In Calcutta!…

— Sě, signor tenente; ma non č piů unpovero saniasso. č un indiano che vive dagran signore, in un elegante bungalowsituato oltre la spianata del forte William.Comprenderete che con diecimila sterlinesi puň vivere comodamente.

- Il furfante!… Ma il suo compagno ed i

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malabari?

- Li avrŕ assassinati per godersi solo lacassa piena d’oro.

- Lo credete?

- Lo sospetto, poiché se avessero divisole diecimila sterline, a Garrovi nonsarebbe toccato tanto da permettersi dicondurre una vita signorile.

- č vero, ma come ha fatto Punya a sapereche il miserabile si trova in Calcutta?

- Come voi sapete, tutte le caste hanno uncapo. Punya si č recato a nome mio daquello dei saniassi, chiedendogli notiziedi Hungse o di Garrovi. Seppe cosě, chequei due furfanti avevano abbandonata la

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costa alcuni mesi or sono, per recarsilontano a cercare lavoro. Per una fortunatacombinazione, venti giorni or sono avevaincontrato Garrovi in un palanchino,seguito da parecchi servi e quantunqueindossasse ricche vesti, lo avevariconosciuto. Avendo detto che lo avevaincontrato presso la spianata del forteWilliam, fu facile a Punya fare dellericerche da quel lato e scoprirel’abitazione del traditore.

- Che non abbia alcuno sospetto, che lo sicerca?…

- Non abbiate timore; e poi alcuni deimiei uomini lo seguono a quest’ora eappena lo vedranno rientrare nel suobungalow, verranno ad avvertirci.

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- Permettete che anche noi prendiamoparte alla spedizione?

- on si rifiutano degli uomini come voi. Ibianchi sono meno astuti degli indostani,ma hanno del coraggio da vendere.

— Ed il fratello di Middel? - chieseHarry.

- Ah!… - esclamň l’indiano. - Midimenticavo di dirvi che il ragazzo e giŕqui. Battč due colpi sul disco metallico eal servo accorso alla chiamata, diedeordine d’introdurre il giovane Middel.

Pochi minuti dopo il fratello deldisgraziato capitano della Djumna,entrava nel gabinetto azzurro.

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Era uno dei piů bei campioni di quellarazza chiamata in India holf-cat (meticci).Non aveva che tredici anni, ma aveva giŕuna muscolatura sviluppatissima ed unastatura di gran lunga superiore a quellache sogliono acquistare i ragazzi europeia quell’etŕ.

Aveva una bella testa coperta di capelli,neri come l’ebano e ricciuti; la pelle delviso era d’un bronzo chiaro con certesfumature piů argentee che dorate; il suonaso era regolarissimo, le sue labbrarosse e carnose come ciliege, i denti,candidissimi e gli occhi, grandi, nerissimie vellutati come quelli delle andaluse.Egli indossava un semplice vestitobianco, stretto alla cintola da una fasciarossa e teneva in mano un ampio cappello

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di paglia in forma di fungo.

- Ecco il signore di cui ti ho parlato,Edoardo - gli disse il presidente dellaŤYoung-Indiať, indicandogli il tenente.

- Permettete che vi ringrazi, signore,dell’interesse che avete dimostrato pelmio disgraziato fratello - disse ilgiovanetto.

- Spero di poter fare di piů, ragazzo mio, -rispose Oliviero, - e un giorno forse,renderti ancora il tuo Ali.

- Se ciň dovesse avvenire, la miariconoscenza sarebbe eterna, signore.

— Lascia andare la riconoscenza, per ora;dimmi invece se tu puoi darci qualche

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schiarimento su Ali Middel.

- Nessuno, signore; l’ho giŕ detto alpresidente. Ali mi ha lasciato il dieciagosto, dicendomi che si recava aSingapore con un buon carico epromettendomi di ritornare in novembreod ai primi di dicembre, ma nient’altro!

— E non hai ricevuto piů nessuna notizia?

- Nessuna, signor tenente.

- Prima di partire, ti aveva manifestato deisospetti sul suo equipaggio. : — No,signore.

, - Eri presso qualche parente aChandernagor?

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- No, poiché non ne ho piů in India.Vivevo assieme ad un vecchio servo dimia madre.

- Ti manteneva tuo fratello?

,— Sě, non essendoci rimasta che una solaabitazione con pochi campi.

- Non hai mai veduto i due saniassi chetramarono la rovina di tuo fratello?

- no, ma conoscevo gli altri marinai.

In quell’istante fu bussato all’uscio ePunya, l’astuto giovane indiano, entrň.

- Padrone, - disse, - Garrovi č rientratonel suo bungalow. — Dove sono i nostriuomini?

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- A breve distanza che passeggiano, senzaperň perdere di vista la casa.

- Sono tutti armati?

- Di pugnali e pistole.

- Hanno la ruth?

- č pronta, padrone.

- signor Powell, se credete possiamopartire - disse il presidente.

- Siamo pronti a seguirvi - risposeOliviero.

- Ritirati per ora nella tua stanza, Edoardo- disse l’indiano al giovanetto.

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- Domani saprai tutto.

Levň da un cassetto del tavolo due lunghepistole incrostate di madrcperla e collecanne rabescate, se le nascose sottol’ampio dubgah e uscě preceduto da Punyae seguito da Oliviero e da Harry.

Scesero lo Strand, seguendo la spondadell’Hugly, che in quell’ora era quasideserto, essendo giŕ le undici,attraversarono l’ampia spianata del forte,la cui mole imponente giganteggiavanell’ombra e pochi minuti dopos’arrestavano dinanzi ad una graziosavilla situata presso la riva, in una localitŕdeserta. Punya alzň un dito e indicň lepersiane attraverso alle quali si vedevanosfuggire degli sprazzi di luce.

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- Sta bene - disse il presidente dellaŤYoung-Indiať. - L’amico č ancorasveglio.

Accostň alle labbra un fischietto d’argentoe lanciň tre note, deboli sě, ma che

si potevano udire a duecento passi didistanza.

Quasi subito si videro delle ombresorgere dietro ai cespugli che crescevano

presso il fiume, ed avvicinarsirapidamente ed in silenzio.

In pochi istanti dodici indiani si trovaronoattorno al presidente.

- Siete pronti? - chiese a loro il vecchio.

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- Sě, padrone.

- Preparate le armi e seguitemi albungalow.

IL SAniASSO DELLA DJUMNA

I bungalow dell’India, come si disse, sonocase di campagna o meglio dellepalazzine che hanno uno stile particolare,adattatissime alle necessitŕ del clima eche non mancano d’una certa eleganza.sono tutte ad un solo piano, il quale si alzasu di un basamento di mattoni e SORmontate da un tetto in forma piramidale,che difende molto bene le stanze dal

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l’eccessivo calore del sole.

Tutto all’intorno gira una galleriachiamata varanga, sostenuta da eleganticolonne e riparata da stuoie di coccotiero,mentre le cucine e le scuderie siprolungano ai fianchi della costruzioneprincipale, formando due ali. Le stanzesono tutte ampie, bene arieggiate edognuna ha annesso un gabinetto da bagno,usando gli abitanti immergersi al mattino ealla sera. Le mobilie invece sono poche,ma utilissime: qualche tavola, qualchecassettone di acajů, delle grandi sedie adalti schienali, lunghe un metro per poterdistendere comodamente le gambe, e vastiletti coperti da ampie zanzariere perdifendersi dalle migliaia di zanzare chepopolano le rive dei corsi d’acqua. Il

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bungalow di Garrovi era costruito cometutti gli altri, ma invece di essere tuttocinto da un giardino, la sua facciata sispecchiava nelle acque del Gange, sicchéil suo proprietario, dalla varanga, potevadominare buon tratto di quell’immensofiume.

“Il presidente della ŤYoung-India,ť a cuinulla sfuggiva, prima d’appressarsi allaporta comandň a quattro dei suoi uominidi celarsi fra i cespugli che crescevanosulla riva, poi dispose gli altri intornoall’abitazione, per impedire qualsiasitentativo di fuga da parte del traditore.

Ciň fatto si diresse verso la porta seguitoda Punya, da Oliviero e dal vecchiomarinaio e percosse un gong che stava

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sospeso ad una colonna della varanga. Unistante dopo, un servo del bungalowappariva sul pianerottolo della piccolagradinata di pietra.

— č in casa il tuo padrone? - gli chiese ilpresidente.

- Sě - rispose il servo inchinandosi.

- Introducimi da lui.

— Ma io ignoro chi tu sei.

— Il presidente della ŤYoung-Indiať.

Bastň il nome di quella potente e popolareassociazione, perché la porta si . aprisse

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interamente.

- Entra - disse il servo. - Vado adavvertire il padrone.

l— E inutile - rispose l’indiano,sollecitamente. - Guidaci da lui senzaperdere

?tempo.

Preceduti dal servo, i tre uomini ed ilgiovanotto attraversarono un salotto edentrarono in una stanza illuminata da unagrande lampada, in mezzo alla quale,comodamente sdraiato su di un seggiolonedi rotang, stava un uomo occupato adaspirare il fumo profumato del guraccoche bruciava entro una di quelle grandi

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pipe alte due piedi, di porcellanafinissima e che vengono chiamate hukah.

Era un indiano di statura poco superiorealla media, ma magro come lo sono ingenerale quasi tutti gl’indostani. Le suebraccia nude, parevano bastoni coperti dicuoio, ma certe rigonfiature dimostravanocome quell’individuo, pur essendo cosěesile, dovesse possedere una forzamuscolare notevole. Il suo viso, dallapelle d’un bronzo molto cupo senzariflessi, non aveva quei lineamenti cosěfini come si riscontrano nelle razze puredelle popolazioni dell’India. Aveva lafronte depressa, il naso un po’ grosso, glizigomi assai sporgenti, le labbra carnoseed i suoi occhi, di un nero profondo,avevano qualche cosa di feroce e di tetro.

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Una larga cicatrice, che gli attraversava ilvolto dall’orecchio destro alla guanciasinistra, lo rendeva ancor meno simpatico.

Indossava perň un ricchissimo dubgah diseta bianca fiorata con fiocchi e franged’oro, il quale gli nascondeva il petto e legambe, ed il suo cranio, accuratamenterasato e unto di recente d’olio di coccoprofumato, era semicoperto da unapezzuola di seta rossa.

Vedendo entrare quegli sconosciuti,l’indiano si era alzato con un’agilitŕ dafelino ed i suoi sguardi si fissarono sulpresidente e sui due europei conun’epressione di viva inquietudine.

- Cosa volete voi? - chies’egli, balzando

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in piedi. - Chi vi ha introdotti, senza farviprima annunciare?

- Era inutile - disse il vecchio indiano. -Io sono il presidente della ŤYoung-Indiať.

— A quale onore devo la visita del capodella potente associazione?

- Ora lo saprai.

- Ma… cosa vogliono quegli europei?

- Sono miei amici.

- Io non li conosco - disse l’indiano, lecui inquietudini pareva che aumentassero.

- Non importa: ascoltami. - Parla.

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- Sei tu che ti chiami Garrovi? - Sě.

Il presidente girň intorno gli sguardiammirando i mobili di acajů, le cortine diseta delle finestre e la lampada dorata chependeva dal soffitto, poi incrociando lebraccia e fissando l’indiano che loosservava stupito, disse con vocebeffarda:

- L’antico membro dei poveri saniassi si čcircondato d’un lusso principesco, aquanto pare? Hai fatto fortuna o haitrovato il tesoro del grande Mogollo,Garrovi?

L’indiano, udendo quelle parole, eradiventato pallido, ossia grigiastro e unvago terrore si era manifestato sul suo

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viso.

— L’antico saniasso! - balbettň. - Iocredo che tu t’inganni.

- Infatti, - proseguě il presidente conironia marcata, - tu non hai piů né la barbané i capelli lunghi ed incolti, né il visoimbrattato di fango e di terra colorata, néil bastone, né il vaso di rame come queisaccheggiatori insolenti che

, chiamansi saniassi, ma io non miinganno, Garrovi. Tu sei l’exsaniasso evengo a chiederti cosa sia accaduto d’unagrab sulla quale tu ti eri imbarcato.

- D’una grab! - esclamň Garrovi, fissandosul presidente due occhi terrorizzati. Poi

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facendo uno sforzo supremo, proruppe inuno scroscio di risa, dicendo:

- Ma di che grab parli tu?… Io non ho mailasciato il Bengala, io non sono mai Statoun saniasso e temo che tu prenda me, perchissŕ quale furfante che porta un nomesimile al mio.

- Adunque tu non conosci la Djumna?

- La Djumna!… - esclamň il miserabile,con un tremito nella voce.

- Tu adunque non hai conosciuto AliMiddel? - continuň implacabile ilpresidente della ŤYoung-Indiať.

- Ali Middel!…

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, - E tu adunque non hai abbandonato queldisgraziato in mezzo al golfo del Bengala,dopo d’aver aperti i fianchi della grab?Garrovi questa volta non fu capace diparlare: un terrore inesprimibile gliparalizzava la lingua. I suoi sguardi,smarriti, correvano dall’indiano aOliviero,

, da Harry a Punya. — E della cassacontenente le diecimila sterline, cosa nehai tu fatto? - chiese il

, presidente. - Rispondi, nega ora, se tul’osi!

A quest’ultima accusa, un orribilesogghigno contorse le labbra delmiserabile e nei suoi occhi balenň un

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lampo sanguigno.

- Parla! - ripetč il presidente,avvicinandogli.

Garrovi non rispondeva: di passo in passoche faceva il capo della ŤYoung-Indiaindietreggiava, avvicinandosi alla portache metteva sulla varanga.

- Parla, canaglia! - ripetč ancora ilvecchio indiano.

- Eccoti la risposta!… - urlň ad un trattol’exsaniasso.

Con un rapido gesto aveva rialzato ildubgah ed aveva impugnata una lunga pi,stola. Un lampo balenň seguito da unadetonazione, ma il capo della ,,, ŤYoung-

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Indiať era rimasto in piedi, fra la nuvoladi fuoco.

Oliviero si era lanciato innanzi collasciabola sguainata, mentre Harry aveva

rapidamente estratto il suo coltello damarinaio, ma Garrovi non li aveva attesi.

Con un balzo da tigre si era slanciato sullavaranga e superato il parapetto, era

piombato nel fiume sottostante.

- Il miserabile!…

- č affar mio - gridň Harry.

Stava per balzare sopra il parapetto,quando il presidente della ŤYoung-lndiať,

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sfuggito miracolosamente alla morte perla troppa precipitazione dell’avversario,lo arrestň, dicendogli con voce tranquilla:— č inutile: lasciate fare ai miei uomini. -Ma quel furfante fugge!…

- Non andrŕ lontano: guardate.

I quattro indiani che si tenevano nascostifra i cespugli, scendevano allorarapidamente la riva, tenendo fra le labbrai loro pugnali. S’arrestarono un istantecome per consigliarsi, poi si gettarono inacqua, due sopra il bungalow e gli altricento metri piů sotto, in modo da impedireal nuotatore ogni scampo. La luna chebrillava in un cielo purissimo, permettevadi distinguere nettamente il corsodell’Hugly per un tratto di parecchi

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chilometri e gli uomini che davano lacaccia al miserabile.

Il presidente, Oliviero, Harry e Punya,curvi sul parapetto, guardavano in mezzoal fiume, spiando la comparsa di Garrovi,mentre i loro uomini, introdottisi nelbungalow, impedivano ai servi diaccorrere in aiuto del loro padrone.

I quattro nuotatori s’avanzavanomantenendo la distanza stabilita e di trattoin tratto si tuffavano, temendo forse chel’exsaniasso fuggisse nuotando sottacqua.

Doveva perň quell’uomo essere ben fortee ben abile, poiché un buon minuto era giŕtrascorso senza che avesse fatto vedere afior d’acqua l’estremitŕ del suo naso.

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Ad un tratto perň, a trenta metri della riva,si vide apparire una macchia oscura, mache subito scomparve.

- Ha fatto la sua provvista d’aria - disseHarry. - Il briccone č piů abile d’unpescatore di perle del banco di Mŕnaar.

- Non temete - disse il vecchio indiano. - Imiei uomini valgono quanto lui: guardate!

I quattro nuotatori, che si erano certamenteaccorti della comparsa di Garrovi, sierano pure tuffati, guizzando fra dueacque.

Passň un altro minuto, poi in mezzo alfiume si vide riapparire la macchiaoscura, forse il cranio di Garrovi, ma

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questa volta non s’immerse subito, poichési videro sorgere pure altre quattro teste.

Un grido s’udě al largo, poi si videro deicorpi dibattersi a fěor d’acqua sollevandodegli sprazzi di spuma, quindi echeggiňuna voce limpida: - č nostro!…

- Ve lo avevo detto che l’avrebbero preso- disse il presidente della ŤYoung-lndiať,volgendosi verso Harry.

- Lo condurranno qui? - chiese Oliviero.

- Sě, signor tenente.

- Lo interrogheremo subito? - Appena sarŕgiunto.

- Ma parlerŕ?

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- Ormai non puň negare di essere l’autoredel tradimento: con quel colpo di pistola ecolla fuga si č smascherato. D’altronde sache noi indiani possediamo dei mezziinfallibili per far sciogliere le lingue. -non c’ingannerŕ?

— Lo avvertiremo prima, che rimarrŕ innostra mano fino al giorno in cui saremocerti degli avvenimenti svoltisi nel golfodel Bengala. - Eccoli che ritornano - disseHarry. - Il furfante mi sembra avvilito. -Conducetelo sopra - gridň il presidente,vedendo i suoi uomini risalire la sponda,trascinando con loro l’exsaniasso.

COS’ERA AVVENUTO DELLADJUMNA

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Due minuti dopo, Garrovi si trovavadinanzi a loro, colle gambe strettamentelegate, e col dubgah grondante d’acqua.

Il traditore pareva che avesse perduta tuttala sua audacia. Egli lanciava sguardiamarriti sul presidente e sui suoicompagni ed il suo viso manifestavaun’angoscia inesprimibile. Ormaicomprendeva di essere in piena balěa diquegli uomini e di

non poter piů sfuggire all’interrogatorio,che doveva definitivamente perderlo.

Il vecchio indiano, Oliviero ed Harrys’erano seduti dinanzi a lui, mentre t

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Punya e due altri, colle pistole in pugno,s’erano collocati presso la porta, per

fargli meglio comprendere che nonavrebbe potuto contare sul soccorso deisuoi servi.

- A noi due ora - gli disse il presidente. -Spero che ora piů non negherai di , esserequel Garrovi, imbarcatosi sulla grab diAli Middel, in rotta per Singapore.Abbiamo delle prove schiaccianti controdi te, tali da farti appicare fra Ventiquattroore, se tu ti ostinassi a tacere. Ti avverto,innanzi tutto, che se tu Confesserai ciň chenoi vogliamo sapere, forse un giornopotresti venire graziato e goderti ancoraqueste ricchezze acquistate a prezzo d’unoo piů assassinii, ti avverto pure che se ti

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ostinassi a tacere, noi siamo risoluti,prima di consegnarti alle autoritŕ diCalcutta, a ricorrere ai mezzi piů crudeli,e tu sai che noi indiani siamo maestriformidabili. Parlerai ora?…

- Parlerň - disse Garrovi, dopo una breveesitazione.

— Bada perň che tu rimarrai in maninostre, fino a che avremo controllatascrupolosamente la tua confessione. čquindi inutile che tu ti illuda d’ingannarci:mi comprendi?

Quest’ultimo avvertimento parve chesconcertasse il furfante, il quale aveva

forse in mente l’idea d’ingannarli o di

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giuocare d’astuzia, per guadagnare

tempo.

La sua tinta grigiastra divenne piů pallidae fece una brutta smorfia, mettendo

allo scoperto i suoi denti, che eranoconvulsivamente stretti.

- Chi era il tuo compagno? - gli chiese ilpresidente.

Garrovi udendo quelle parole rialzň ilcapo, lanciando sull’indiano uno sguardocupo.

- Ah! Tu sai anche questo - diss’egli. -Forse che i morti ritornano… Eppure l’hoveduto io, con questi occhi, scendere

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attraverso i limpidi flutti del golfo.

- č dunque morto, Hungse?

Garrovi non rispose: pareva pietrificato.

- č morto? - ripetč il presidente.

- Ma come sai tu quella terribile istoria? -chiese il miserabile, al colmo dellostupore. - Chi ha tratto il segreto daiprofondi abissi del mare!… Non sonoadunque tutti morti?… Eppure la mia lamaaveva colpito giusto!…

- Hungse e anche i malabari?

- I malabari!… Ma chi sei tu? - chieseGarrovi con crescente terrore.

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- Te l’ho detto prima: il presidente dellaŤYoung-Indiať.

- Ma come sai tu ciň che č avvenuto inpieno mare, a cinque o seicento miglia dalBengala?

- Saprai piů tardi come ne fui informato.

- Se tu sai tutto, allora uccidimi.

— Non voglio la tua morte.

- E cosa adunque?

- Ricostruire il dramma svoltosi nel golfo.

- A quale scopo?

- Per salvare Ali Middel.

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- Ali Middel!… Ma č vivo ancoraquell’uomo?…

- Forse.

- Non č andata a picco la sua grab? No.

Garrovi si terse colla destra il freddosudore che bagnavagli la fronte.

- Sono perduto - balbettň.

- Sě, se non confessi tutto - risposeOliviero. L’indiano guardň il giovanetenente.

- Siete voi che avete avuto notizie di AliMiddel? - gli chiese con voce cupa.

— Si, Garrovi.

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- Ah!… Lo avevo sospettato.

- Ci dirai tutto, ora? - gli chiese ilpresidente della ŤYoung-Indiať.

- E non mi ucciderete poi? - Tipromettiamo di salvarti la vita.

- E mi lascerete libero? - Si, un giorno tupotrai essere libero, se non c’inganni.

- Ebbene interrogatemi.

- Quando tu, Hungse ed i malabariabbandonaste Ali Middel, dove si trovavala sua grab?

— Al sud della Piccola Andamana -rispose Garrovi.

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- Sei ben certo di non ingannarti?

- Si, poiché Ali Middel aveva fatto ilpunto a mezzogiorno, rilevandoesattamente la latitudine e la longitudine.A quante miglia dalla costa?

— A circa venticinque miglia.

- Da quale parte soffiava il vento? -chiese Harry, che non perdeva una sillaba.

- Da prora, poiché al mattino ci eravamoavanzati correndo bordate - risposeGarrovi.

- Ora si spiega tutto, - disse il vecchiomarinaio, - e mi rinasce la speranza cheAli Middel sia ancora vivo. Se il ventosoffiava dal sud, ha spinto la grab Verso

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la Piccola Andamana, arenandola suinumerosi banchi di sabbia o sugli s coglicoralliferi che circondano l’isola.Quell’arenamento provvidenziale ha ,impedito di certo alla Djumna diaffondare, ed ha permesso ad Ali ditoccare terra.

- Ma era rinchiuso nella cabina - osservňil presidente della ŤYoung-Indiať. - Sarŕriuscito a sfondare la porta, oppure… -Che cosa vuoi dire? - chiese Oliviero.

- Ali ha scritto che aveva un cane e chenelle ultime ore non lo aveva piů uditoabbaiare. Chissŕ, forse quell’intelligenteanimale si era recato in qualche Villaggiodi andamani, attirando su di luil’attenzione degli abitanti.

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- E tu credi che gli andamani lo abbianoseguito e abbiano liberato Ali? — Losospetto, signor Oliviero.

— Hai ragione, vecchio mio. Cosě deveessere avvenuto. Continuatel’interrogatorio, signor presidente,quantunque ormai la parte piů importanteci sia

nota.

- Hai lasciato la grab colla pinassa? -chiese il presidente a Garrovi.

- Sě - rispose l’indiano. - Chi era con te?

- Hungse e sette malabari.

- Ed i misoriani, di quale malattia erano

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morti?

- Hungse aveva avvelenata la lorominestra. - Hungse o Garrovi?

- Che t’importa? - disse l’exsaniasso convoce rauca. - Sono morti: ecco tutto.

- Sopravvisse nessuno dei tuoi compagni?- No.

- Furono uccisi tutti da te!

L’indiano non rispose: tremava come seavesse la febbre e gettava all’intornosguardi smarriti, come se temesse diveder apparire negli angoli piů oscuridella stanza, gli spettri delle vittime.

- Parla - proseguě il presidente.

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- La cassa d’oro mi tentava - disseGarrovi, dopo una lunga esitazione. - Seavessimo dovuto dividere quellediecimila sterline fra nove persone, anessuno di noi sarebbe rimasto tanto davivere comodamente ed io volevodiventare ricco. Una notte oscura, mentreci trovavamo a cento miglia dalle costedel Bengala ed i miei compagnidormivano profondamente, avvelenail’acqua rinchiusa in un barilotto.

- Ma avevi con te una provvista diveleno?

- Alcune fiale. Dodici ore dopo i malabarierano tutti morti, ma Hungse, che diffidavadi me, era ancora vivo, poiché non avevaassaggiata quell’acqua, avendo osservato

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che nemmeno io l’avevo bevuta. Temendoper la sua vita, si scagliň contro di mearmato di pugnale e impegnň una lottadisperata. Io ero piů forte e piů destro dilui e lo crivellai di ferite mortali,gettandolo poi in mare. Qui, sul viso,porto ancora una traccia di quellatremenda lotta; il pugnale di Hungse miaveva colpito dall’orecchio destro allaguancia sinistra. Ventiquattro ore dopogiungevo all’isola di Baratala… Il restonon vi puň interessare.

- Che fior di canaglia - disse il marinaio. -Ecco un uomo che bisognerŕ ben guardare,se dovrŕ venire con noi alle Andamane.

- Ora sappiamo quanto ci era necessario -disse Oliviero, volgendosi verso il

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presidente della ŤYoung-Indiať. - Lenostre previsioni erano esatte.

Il vecchio indiano uscě sulla varanga,facendo cenno al tenente e ad Harry diseguirlo, mentre Punya e gli altri dueindiani si collocavano ai fianchi diGarrovi.

- Ditemi, signor Powell - disse ilpresidente. - Siete sempre deciso adandare in cerca di Ali Middel?

- La sorte di quel disgraziato mi sta acuore - rispose Oliviero. - Se otterrň unpermesso di alcuni mesi, io mi recherňalla Piccola Andamana per cercarlo.

- Se si tratta di farvi ottenere un congedo,

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m’incarico io di parlare al viceré delBengala e sono piů che certo che non minegherŕ un tale favore. Una escursionealle Andamane puň interessare molto ilgoverno inglese.

- Allora potete disporre di me.

- Quando desiderereste partire?

- Anche domani, non avendo alcunimpegno nel Bengala. - Sarebbe troppopresto, signor Powell, ma, prima dicinque giorni, la spedizione potrŕ esserepronta. La ŤYoung-Indiať si assumerŕtutte le spese, vi presterŕ la nave e unequipaggio scelto e soprattutto fidato. -Ma io intendo di concorrere pure…

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- Assumendo il comando della spedizioneč giŕ molto, poiché voi giŕ sapete che nonč cosa facile sbarcare in quelle isole chegodono una cosě triste fama. Giuocate lavostra vita per una persona a voi ignota equesto č fino troppo, signor tenente, e famolto onore al vostro buon cuore ed allavostra generositŕ. - E di quel Garrovi, checosa ne farete? - chiese Harry. - Pensoche potrebbe esservi utile e viconsiglierei di condurlo con voi - risposeil presidente. - Questa notte lo faremotrasportare nella sede della ŤYoung-Indiať e vi rimarrŕ accuratamentesorvegliato, fino al giorno dell’imbarco. -E imbarcheremo anche il fratello di Ali,se vorrŕ venire - disse Oliviero. - č giŕrisoluto a seguirvi. Signori, possiamoritornare alla ŤYoung-Indiať. Rientrarono

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nel salotto e ridiscesero nel giardino,mentre i due indiani e Punya trasportavanoGarrovi, dopo di avergli legate anche lebraccia. fuori del cancello, quattro indianiattendevano il prigioniero con una ruth,ossia una specie di portantina molto usatain India, assai grande, chiusa sopra ed

Intorno con delle grate di bambů e tiratada due buoi.

Ad un cenno del presidente, l’exsaniassofu cacciato dentro ed i quattro indianis’allontanarono aizzando i buoi.

- il bungalow, lo abbandoneremo ai servidi Garrovi? - chiese Harry. - Rimarrŕguardato da quattro dei miei uomini -rispose il vecchio indiano. - Questa casa

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con tuttociň che contiene ridiverrŕproprietŕ dell’exsaniasso, se sarŕ fedele;oppure ritornerŕ alla ŤYoung-Indiať colcui denaro fu acquistata.

- Affrettiamoci, signori: l’alba č vicina.S

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IL PARIAHSei giorni dopo gli avvenimenti narrati,una bella nave scendeva la corrente dell‘Hugly, col favore del vento e dellamarea, lasciandosi a poppa la capitale delBengala, che allora allora cominciava adindorarsi dei primi raggi dell’astrodiurno.

Era uno di quei navigli che gl’indianichiamano pariah, a due alberi, colla puntaassai acuta, ma non aveva le formebarocche delle navi di questa specie checostruiscono sulle coste del Coromandel odel Malabar. Se portava l’attrezzaturadelle pariah, aveva lo scafo delle grab,costruito i37

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gran parte con alberi di tek, legno bennoto per la sua estrema durezza e colquale si fanno le sbarre e le bordature,mentre la parte immersa era di saliceindiano, legno pesantissimo, che vieneconsiderato come incorruttibile e che puňresistere perfino cento anni ai morsidell’acqua salata. Dodici indianiseminudi, color del bronzo, di statura alta,stavano immobili alle braccia dellemanovre, pronti ad allentare od a stringerele vele, mentre a poppa, un vecchio dallapelle bianca, con una barba brizzolata,teneva in mano la ribolla del largo timone.

A prora invece, un uomo giovane, vestitodi tela bianca, discorreva con ungiovanetto di tredici o quattordici anni,pure vestito di bianco e col capo coperto

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da un grande cappello di fibre di rotang.

Non sarebbe necessario dire che ilvecchio, che stava al timone era Harry, ilgiovane era Oliviero e il suo compagno, ilfratello del disgraziato comandante dellaDjumna.

Il pariah, abilmente diretto, con tutte levele ben gonfie, filava con una rapiditŕ disette od otto nodi all’ora, favorito dallacorrente che scendeva colla marea,passando dinanzi ad una interminabile filadi bungalow, di capanne, di giardini, dipiantagioni e di risaie e guizzandoabilmente fra centinaia di barche e dinavi, che salivano verso la regina delBengala. Coll’alzarsi del sole, il fiumegigante si svegliava. Le sue sponde si

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popolavano di uomini e di animali, gli uniper fare i loro bagni giornalieri e perrecitare le loro preghiere, coi piediimmersi nell’acqua come usano i braminibrigibasi, alla cui casta appartengono icontadini ed i portatori di palanchine, egli altri per dissetarsi. Le barche fluvialiriprendevano i loro viaggi interrotti dallanotte, o lasciavano i loro ancoraggi, percompiere i loro carichi nei villaggi o neigrandiosi magazzini dei ricchi negoziantio delle fattorie europee. L’architetturanavale di tutta l’India aveva i suoicampioni svariati. Si vedevano centinaiadi bangle, grandi barche fluviali chepossono caricare perfino cinquemila monadi riso, con alberi enormi fatti di bambůuniti e con un tetto di foglie, per ripararegli equipaggi; gran numero di poular,

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piccoli bastimenti, ben costruiti, adattialla navigazione interna, colla poppa e laprora alte assai e con un piccolo alberomunito d’una vela quadra; grosse pinasse,divise in tre cabine, con una specie divaranga sul dinanzi, e che vengonoadoperate pel trasporto dei viaggiatori, equindi una infinitŕ di battelli minori, dimurpuriky specie di baleniere colla prorafoggiata a testa di pavone, e di ponga,barchette scavate nel tronco d’un albero.

Non mancavano nemmeno alcune di quellebellissime barche usate dai principiindiani e chiamate fylt-Stiarra ossia tested’elefante, perché a prora portanoscolpita una testa di quei pachidermi,lunghe oltre cinquanta piedi e montate dagran numero di remiganti vestiti

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sfarzosamente. Il pariah perň, chescendeva con crescente rapiditŕ, benpresto oltrepassň gli ultimi sobborghidella grande cittŕ e si trovň quasi solosulla grande fiumana. Solamente alcunegrab lo seguivano, ma ad una grandedistanza, essendo l’Hugly larghissimo aldi sotto di Calcutta.

La sponda sinistra che allorafiancheggiava, essendo colŕ piů sensibilela bassa marea, a poco a poco diventavadeserta, selvaggia. Le immense paludidelle Sunderbunds che formano il deltagangetico, cominciavano colle loro nebbiepestilenziali e colle loro giganteschepiantagioni di bambů, sede dei serpenti edelle tigri.

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Solamente di tratto in tratto apparivaancora qualche piccolo attruppamento dimisere capannucce di foglie, circondateda risaie o da piantagioni d’indaco, maanche quelle non tardarono a scomparire.Alle otto del mattino Calcutta non era piůvisibile sull’orizzonte settentrionale;l’imponente linea dei suoi palazzi e la suaenorme fortezza erano scomparsi. Ilpariah si era allontanato dalla sponda, nonessendo prudente costeggiare le terrepaludose delle Sunderbunds, che sonocinte da banchi fangosi, dai quali non dirado irrompono le tigri che si nascondonofra i paletuvieri, osando lanciarsi talvoltaperfino sul ponte delle navi.

Harry, dopo essersi assicurato che lavelatura era ben disposta, aveva ceduta la

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barra ad un indiano ed aveva raggiuntoOliviero ed Edoardo, che non avevanoabbandonata la prua.

- Tutto va bene - disse. - A mezzogiornopotremo lasciare Diamond-Harbour equesta sera navigheremo nel golfo.

- E quando speri di farci avvistare leAndamane, vecchio mio? - chieseOliviero.

- Se il diavolo non ci mette la coda,approfittando del monsone favorevole,potremo giungere alla Grande Andamanafra una dozzina di giorni. Voi perň sapeteche l’uomo propone e che Dio dispóne, equesto proverbio č piů che esatto in mare.

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— Ti sembrano abili, i nostri uomini?

- Il presidente della ŤYoung-Indiať hascelto un equipaggio che non mi pare anessuno secondo. Tutti bei pezzi digiovanotti e marinai obbedienti, signorOliviero. Io me ne intendo, ve lo assicuroe non m’inganno.

- Ti credo, Harry. Sei un lupo di mare diquelli vecchi. Bada perň che i nostriuomini non abbiano alcun contatto colmariuolo che č rinchiuso nella cabina.Non sempre si puň fidarsi interamente diquest’indiani.

- Non abbiate timore, signor Oliviero. Frai nostri marinai non vi sono né saniassi, néex-saniassi e poi Garrovi non vedrŕ che

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me. Tengo io la chiave della sua cella enon potrŕ corrompere nessuno.

- Sei un carceriere di cui si puň fidarsi.

- Lo credo - disse il marinaio, sorridendo.

- č sempre tranquillo?

- Quando l’ho rinchiuso nella cabina miparve calmo, ma molto scoraggiato.

- Al furfante non piacerŕ di certo ildoversi trovare un giorno di fronte allasua vittima.

- Credo perň che a quel tizzone d’inferno,rincresca di piů la sua vita signorile cosěbruscamente troncata; in causa diquell’oca emigrante. č cosě incallito nel

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delitto, che non si commuoverŕ rivedendoil suo antico capitano.

- Eppure temo che mio fratello non gliperdoni l’infame tradimento - disseEdoardo. - Quando se lo vedrŕ dinanzi, loucciderŕ.

- Sarŕ una canaglia di meno - disse Harry.- Non sarň di certo io che cercherň disalvarlo.

- Gli abbiamo promessa salva la vita, seci sarŕ fedele, vecchio mio.

- E credete, signor Oliviero, che cirimarrŕ fedele?… Quel gaglioffo arde daldesiderio di vendicarsi, ve lo dico io.

- Peggio per lui, Harry: Ma… toh!… Che

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cos’č quel fumo che s’innalza sullasponda?… Un incendio forse?

Harry ed Edoardo si volsero e videro, frale piantagioni di bambů che coprivano leisole fangose dell’Hugly, elevarsiparecchie colonne di fumo sulle qualivolteggiavano nembi di scintille.

- Vi sarŕ qualche villaggio di molanghidietro a quelle canne giganti - disseHarry.

- E lo bruciano? - chiese Oliviero.

- No, signore - rispose Edoardo. -Bruciano dei cadaveri, per poi gettare leceneri nelle sacre acque del Gange.

- Le quali le porteranno diritto in paradiso

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- disse il tenente, ridendo.

- Tale č la loro credenza, signore.

- Odo i tare - disse Harry. - Bruceranno ilcadavere di qualche capo di certo.

- Cosa sono questi tare? - chiese Oliviero.

- Delle lunghe trombe che vengonoadoperate nei funerali. Udite?

Delle note tristi, lugubri, echeggiavano inmezzo alle colonne di fumo, seguite darulli molto sordi, che parevano prodottida molti tamburi e da canti scordati chetalvolta diventavano dei veri ululati.

- Non ho mai veduto una cerimoniafunebre in queste poche settimane che

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sono in India - disse Oliviero. - Si diceche siano paurose: č vero, Harry?

- Poco allegre di certo, - rispose ilmarinaio, - ma molto curiose, signorOliviero. Tra poco il pariah passerŕdinanzi a quel rogo e potrete assistere allafunebre cerimonia.

Infatti la nave, per evitare un grandebanco di sabbia segnalato con ungavitello, poggiava verso la sponda,avvicinandosi a quelle colonne di fumo.Dal castello di prua, su cui si tenevanoOliviero ed i suoi compagni, si potevadistinguere ciň che succedeva sulla riva,senza bisogno di munirsi di cannocchiali.

Il rogo era stato innalzato in una piccola

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radura, aperta fra i bambů e riparata da unmuro. Attraverso al fumo e alle fiammeconsumanti il cadavere, si vedevanoapparire e scomparire parecchie dozzinedi quei brutti molanghi che abitano lepaludi del Gange, uomini di piccolastatura, gracili, dalla pelle nera e quasisempre tremanti di febbre.

Alcuni suonavano i tare, altripercuotevano dei piccoli tamburi, facendoun fracasso infernale, mentre i rimanenticantavano le lodi del morto. Sullamuraglia, gran numero di marabů, grossiuccelli dal lungo e robusto becco e colleali nere, grandi divoratori di carogne, edegli arghilah e dei bozzagri, parevanoche attendessero pazientemente la finedella cerimonia, per impadronirsi degli

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avanzi del cremato.

Di tratto in tratto un indiano s’avvicinavaal rogo e versava dei recipienti pienid’olio profumato per ravvivare le fiamme,le quali allora s’alzavano gigantesche,minacciando di bruciare le penne deivolatili, senza perň che questis’incomodassero a lasciare i loro posti.

Quando il pariah fu di fronte alla piccolaradura, le urla dei molanghiraddoppiarono e i tare echeggiarono piůacuti che mai, mentre un giovane,cacciatosi fra le scintille, percuoteva congrande forza la catasta di legna, con unaspecie di mazza.

- Il morto era un bramino - disse Harry,

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che guardava con viva curiositŕ quei bruttiindiani. - Era di certo un personaggioimportante.

- Da che cosa arguisci che era unbramino? - chiese Oliviero.

- Sapete chi ha percosso con quella mazzadi ferro quell’indiano?

- Il rogo mi pare.

- No, ha rotto il cranio a suo padre. Quelgiovanotto era il figlio del morto.

- E perché lo ha percosso sul capo?

- Diamine, perché l’anima del mortopotesse uscire - rispose il marinaio.

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- Tu vuoi burlarti di me.

- No, signore - disse Edoardo. - Harry hadetto il vero. Ai bramini si usa spezzare ilcranio, quando il cadavere č ormaiincandescente.

- E poi gettano le ceneri nel fiume?

- Sě, ma le ossa vengono raccolte econservate, per gettarle nel fiume inqualche grande occasione - continuňEdoardo.

- Mi hanno detto perň, che gl’indiani nonsempre abbruciano i cadaveri.

- č vero, signore. Talvolta gettano nelfiume il morto senza prendersi la briga dicremarlo. Sono convinti che andrŕ

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egualmente in cielo.

- O nel ventre dei coccodrilli - disse iltenente, ridendo. - Ed č vero che talvoltaaccelerano la morte dei moribondi?

- Verissimo e lo fanno coll’acqua sacradel Gange, costringendoli a berne tanta dascoppiare o poco meno - disse Harry. -Ehi!… Timoniere!… Attento ai banchi!…

Il fiume, che andava allargandosismisuratamente, avvicinandosi alla foce,cominciava allora a diventare pericoloso,in causa dei grandi banchi di sabbia che sistaccavano dalla sponda o che sielevavano in mezzo a delle isole o degliisolotti che si estendevano in tutte ledirezioni.

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Il pariah aveva molto da fare ad evitarequegli ostacoli, che crescevano ad ognimomento di numero, ma ben presto se neliberň, allontanandosi dalla riva eprendendo definitivamente il largo.

Qualche isola perň stendeva i suoipromontori sabbiosi per un lungo tratto,costringendo la nave a descrivere dellelunghe curve.

Tutte quelle terre, divise da migliaia emigliaia di canali e di canaletti,apparivano prive di capanne e di abitanti.

Erano coperte da vere jungle spinose,costituite da ogni specie di bambů, avvintida quelle piante arrampicanti chiamatecalamo, che si allungano

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straordinariamente e che gli indianiadoperano per legare gli elefanti o perattaccare le ancore delle loro barche,tanto quelle fibre sono solide. Di tratto intratto si vedevano apparire sulle spondedei branchi di bufali selvaggi, animali digrossa taglia, colle corna di bellissimaforma, colla fronte larga, selvagginaformidabile, poiché osa gettarsi perfinocontro le tigri e non teme di scagliarsianche contro un esercito di cacciatori.Guatavano cogli occhi sanguigni la nave,poi fuggivano in mezzo ai terrenipaludosi, loro posti favoriti, essendoamanti dell’acqua e del fango. Altre volteinvece si mostravano delle bande di oxis,graziosi animali che hanno del cervo e deldaino, col pelo fulvo picchiettato dibianco o dei reggimenti di sŕras schierati

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in bell’ordine, specie di gru di altastatura, colle penne lisce e d’una tintagrigio-perla.

Alle sei di sera, il pariah, che aveva filatosempre con buona velocitŕ, passavadinanzi a Diamond-Harbour, porticinosituato alla foce dell’Hugly, dove le naviordinariamente si fermano per ricevere gliultimi dispacci, composto d’una casa,circondata da pochi alberi di cocco e d’unfaro.

Harry che si era messo alla barra, virň allargo, lasciando alla sua sinistra l’isola diSaugor, spinse la nave al di lŕ delleSandheads ossia Teste di sabbia, che sonoimmensi banchi pericolosissimi proiettatidal Gange nel golfo del Bengala e un’ora

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dopo, nel momento in cui il sole sparivadietro l’orizzonte, la spedizione si trovavain pieno mare.

I MISTERI DELLA CABINA DIGARROVI

Frescava sul vasto golfo del Bengala.

Col tramontare del sole e col declinaredel calore, cominciava la brezza notturna,la quale soffiava con qualche violenza dalnord-nord-est, spingendo la svelta nave indirezione dell’ottantatreesimo meridiano,sotto il quale si trova il gruppo delleAndamane.

Larghe ondate, color dell’inchiostro, ma

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che talora avevano dei bagliori vividovuti senza dubbio ad un principio difosforescenza, si distendevano nel golfo,sormontandosi con profondi muggiti espruzzando in alto fiocchi di candidaspuma.

Non erano perň ondate pericolose per lanave della spedizione. Il pariah, malgradola sua pesante chiglia di legno di salice,non si trovava imbarazzato a sormontarleed il suo acuto sperone le rompeva contutta facilitŕ, risentendone solamente unbeccheggio un po’ accentuato, che nonsconvolgeva lo stomaco né ad Oliviero,né ad Edoardo e tanto meno al vecchioHarry ed all’equipaggio indostano.

Scomparsa dietro l’orizzonte la luce

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bianca del faro di Diamond-Harbour, ilvecchio marinaro si era messo alla barra,dopo d’aver consigliato Oliviero edEdoardo di ritirarsi nelle loro cabine.

Aveva ampia fiducia nell’equipaggioarruolato dal presidente della ŤYoung-Indiať ma voleva, almeno per la primanotte, vegliare in persona per potergiudicare le buone o cattive qualitŕnautiche del veliero affidatogli. Rimasepienamente soddisfatto, avendo constatatoche quel pariah, quantunque simili legnigodano in India poco buona fama e nonvengano impiegati che per fare un soloviaggio all’anno e sempre approfittandodei monsoni, si comportava benissimoanche con mare grosso.

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Tutta la notte la nave affrontň le largheondate del golfo, superandole facilmente eresistendo a meraviglia ai bruschi colpi divento, che soffiavano irregolarmente dalnord e dal nord-ovest.

In quanto all’equipaggio non smentě lafiducia che aveva in lui riposta ilpresidente della ŤYoung-Indiať,manovrando con molta abilitŕ edobbedendo con precisione ai comandi delvecchio marinaio.

Allo spuntare del giorno, le coste delBengala ion erano piů visibiliall’orizzonte. Il parěah navigava in pienogolfo, con tutte le sue vele sciolte,balzando agilmente sui flutti che salivanodal sud-est con minacciosi brontolěi.

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Frescava sempre, anzi le rafficheraddoppiavano di quando in quando diviolenza, facendo crepitare le vele esibilando su mille toni attraversol’attrezzatura, ma il cielo era limpido enon vi era, almeno pel momento, datemere un cambiamento di tempo.

- Tutto va bene - disse Harry ad Olivieroe ad Edoardo, che erano apparsi sulponte. - Se questo vento si mantiene,giungeremo molto presto alle Andamane,forse prima di sei giorni.

- A quale distanza si trovano dal Bengala?- chiese Oliviero.

- A circa settecento miglia, in linea retta.— Sei contento del pariaH?

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- Sono soddisfatto, signor Oliviero. Tienebene il mare e fila i suoi sei nodi, senzadifficoltŕ. Avrei preferito una grab ma,come dissi, non posso lagnarmi di questanave. - E Garrovi, l’avete veduto?

- Passando dinanzi alla sua cella, miparve di udirlo russare.

- Pare che i delitti non gli pesino tropposull’anima - disse Edoardo.

- Sarŕ cosa prudente fargli una visita -disse il marinaio. - Io non mi fido dellatranquillitŕ di quel furfante. Sono cosěastuti gl’indiani! Se volete seguirmi?…

- Andiamo, Harry - rispose Oliviero.

Scesero la scaletta che metteva nel quadro

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ed entrarono in una piccola stanza cheserviva da salotto, dove vedevansi lequattro poRTe delle cabine. Harry stavaper levare di tasca la chiave, quandos’arrestň, curvandosi innanzi e tendendo ilcapo verso la porta che chiudeva la celladel prigioniero.

- Zitti - disse sottovoce.

- Che cos’hai? - chiese Oliviero, dopoalcuni istanti, avvicinandosi sulla puntadei piedi. Udite?

- Che cosa?

- Ascoltate, signor Oliviero.

Il tenente tese gli orecchi e gli parve diudire, dietro la porta, come un leggero

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mormorIo. Si sarebbe detto che nella celladell’indiano due persone parlavanosommessamente.

- Che cosa vuoL dire ciň? - si chieseOliviero, al colmo dello stupore. - Hai tusolo la chiave, Harry?

- Io solo - rispose il marinaio.

- č tutto in coperta, l’equipaggio?

- Tutto, signore.

- Che Garrovi mormori delle preghiere?

- Lui!… Un birbante di quella specie!…

- Apri!

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Harry introdusse rapidamente la chiave ela girň, facendo scattare il chiavistello,ma la porta non si aprě.

- Garrovi! - tuonň il marinaio.

- Che cosa volete? - rispose l’indiano

- ti sei barricato, furfante?

L’indiano non rispose, ma lo si udětrascinare un mobile che pareva pesante,forse una grande cassa, poi la porta siaprě.

Il marinaio, Oliviero ed Edoardoirruppero nell’interno, girandorapidamente intorno gli sguardi, mavidero solamente Garrovi, il quale stavatrascinando in un angolo la grande cassa

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che conteneva i suoi effetti. Quella cabinaera una stanzetta di due metri quadrati,illuminata da un pertugio cosě stretto danon permettere l’uscita nemmeno ad ungatto e col pavimento coperto da grossestuoie di fibre di cocco, che servivano diletto al prigioniero. Il mobilio consistevain una scranna ed in quella grande cassa.Garrovi, rialzatosi, si era ritirato in unangolo della cabina, guardando con unaspecie di sorpresa il marinaio, Olivieroed Edoardo i quali continuavano a girareall’intorno gli occhi, scrutando le paretied il pavimento.

- Tu non eri solo - disse Harry.

- Che cosa vuoi dire? - chiese l’indiano,stupito.

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- Tu parlavi con qualcuno, poco fa.

- Con qualcuno!… Ma non vedi che nellacabina non ci sono che io?

- Ti abbiamo udito parlare.

- č vero, - rispose Garrovi - facevo le miepreghiere.

- Barricato? - chiese Oliviero.

- Sě, poiché voi non avete il diritto diassistere alle preghiere d’un buon indiano.Visnů non le gradirebbe.

- A me sembrava che tu parlassi conqualche persona.

- Nessuno puň entrare qui, poiché voi soli

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tenete le chiavi. E poi, l’equipaggio čstato scelto dal presidente della ŤYoung-Indiať e fra quegli uomini non vi č alcunoche abbia appartenuto alla mia casta.

- Il furfante ha ragione - disse Harry. -Eppure io giurerei di aver udito due vocidiverse.

- Non vi č alcuna apertura qui, Harry -rispose Oliviero.

- Ma gl’indiani sono astuti!…

- Ma non sono giŕ spiriti per apparire escomparire.

- č vero, signore. Ci siamo ingannati: eccola conclusione.

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Poi, volgendosi verso Garrovi che si eraseduto sulla sua scranna, guardandoli conviva attenzione, come se cercasse diafferrare il senso di quelle parolescambiate in dialetto scozzese, disse:

- Desideri nulla?

- Nulla: lasciatemi tranquillo finchésaremo alle Andamane. Per ora non possoesservi di alcuna utilitŕ.

— Risaliamo, signor Oliviero - disse ilmarinaio.

Uscirono dalla cabina, chiudendo la portacon due giri di chiave e risalirono

la scaletta. Garrovi non aveva lasciato ilsuo sgabello, ma si era curvato innanzi

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come se volesse assicurarsi del loroallontanamento.

Quando non udě piů alcun rumore, la suafaccia abbronzita e fino alloraimpassibile, manifestň una viva ansietŕ ecol dorso della mano destra si tersealcune gocce di sudore chegl’imperlavano la fronte.

- Narsinga - disse con un filo di voce.

Entro la cassa si udě un leggero rumore,poi il coperchio si sollevň lentamente esgusciň fuori una fanciulla dalla pelled’un bronzo chiaro e lucentissima, comese fosse stata di recente unta con olio dicocco.

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Era una figurina esile, di otto o nove anni,con un viso intelligente, dall’ariabiricchina e astuta, con due occhi grandi enerissimi, coi capelli pure neri, raccolti intrecce attorno ad un fiore di sciambaga giŕmezzo appassito. Solamente un piccolosari di percalle rosso, annodato attornoalle gambe, le copriva parte delcorpicino, ma, come tutte le indiane,portava ai polsi dei braccialetti di quellepiccole conchiglie bianche chiamate suk,un piccolo anello d’oro in una narice e sulviso tre piccoli segni neri in forma distella, una sul mento, la seconda in un latodel naso e la terza fra le ciglia. Gettňall’intorno un rapido sguardo, come peraccertarsi che fossero soli, poi andň adinginocchiarsi dinanzi all’exsaniasso,posandogli la piccola testa sulle

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ginocchia.

- Partiti, padre mio? - chiese ella con unfilo di voce.

- Sě, mia piccola Narsinga, ma quanto hotremato per te - rispose l’indiano,posandole le mani sul capo eaccarezzandole i capelli.

- Sono cosě piccola che non mi avrebberotrovata, nascosta come era sotto i tuoivestiti - diss’ella, sorridendo e mostrandoi suoi dentini brillanti come piccole perle.- E poi, che male avrebbero fatto ad unaragazzina? Gli uomini bianchi non sonocrudeli.

- č vero, Narsinga, ma chi mi avrebbe poi

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aiutato a evadere? E chi a vendicarmi ditutte le ricchezze perdute, accumulate contante fatiche?

- Che t’importa delle ricchezze?

- Che cosa m’importa!… - esclamňl’indiano con voce sibilante. - A me nulla,ma a te?… Quando io ti ho adottata, nonho avuto che un pensiero, Narsinga:quello di vederti un giorno ricca. Non čforse per te che io ho lasciata la miacasta?… Non č forse per te che io mi sonoimbarcato colla speranza di guadagnareanch’io, come tanti altri, una fortuna?… Enon č forse per te che io ho lavorato comelo so io?… Io non avevo mai conosciutole gioie d’una famiglia, mai le gioiepaterne, eppure, vedi, da quando io ti ho

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adottata, mi parve di essere diventato unaltro uomo. Mi sono vergognato di farparte dell’immonda casta dei saniassi enon ho avuto che un solo desiderio: fartifelice come la figlia di uno di queglistranieri venuti d’oltre mare o come unadi quelle dei nostri rajah. - Tu sei troppobuono, padre mio, ed io farň per te tuttoquello che vorrai. Sai giŕ che la piccolaNarsinga č capace di tutto.

- Lo so, piccina mia e conto su di te perevadere.

- Pure ti hanno promesso salva la vita e larestituzione dei tuoi beni.

- E lo credi tu?… Ali, credi che miperdonerŕ? Č il suo incontro che io temo e

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che voglio evitare perché sono certo chequell’uomo mi ucciderŕ.

- Vuoi un consiglio dalla tua piccolaNarsinga?

- Parla: tu sei talvolta piů astuta di me.

- Cerca d’impedire a questo straniero ditrovare Ali.

- In qual modo?

- Lo cercherai il mezzo.

- Se fossi libero lo avrei giŕ trovato -disse Garrovi, con voce cupa.

- Non sono libera io?

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- Sě, ma nelle tenebrose cavitŕ della cala.

- Posso salire sul ponte approfittandodell’oscuritŕ della notte. Sono agile comeun cobra-capello.

- Non riusciresti a far ciň che io vorrei epoi… te, no, non voglio esporti ad alcunpericolo, Narsinga.

- Non hai fiducia, padre mio?

- Sě, ma tu non avresti forze bastanti, epoi non voglio che tu commetta delitti.

- Ancora delitti?… - mormorň lafanciulla, rabbrividendo. - Basta, padremio, basta, od un giorno ti uccideranno.

- č vero - mormorň Garrovi, con aria

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tetra. - Ed io non voglio morire, nonvoglio lasciarti sola.

- Allora fuggirai?

- Fuggiremo.

- Quando?

- Quando questo pariah non sarŕ piů ingrado di navigare e di raggiungerci.

- Ho giŕ intaccato il trinchetto.

- Bisognerŕ intaccare anche l’alberomaestro.

- Lo farň, padre mio.

- E poi bisognerŕ sabordare la prora.

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- Quanti giorni ci rimangono?

- Cinque o sei.

- Prima che il pariah giunga alleAndamane avrň terminato, padre mio.Questa notte lavorerň ai piedi dell’alberomaestro.

- Bada a non far rumore.

- Sarň prudente.

- Va’ a dormire, Narsinga. Devi averbisogno di riposo.

- Quando potrň vederti? Mi annoio sola,padre mio.

- Dopo il mezzodě. Quando busserň tre

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colpi vieni: troverai la tua parte delpranzo.

- Addio, padre.

L’indiano afferrň la fanciulla, la sollevň ela baciň su ambe le gote.

- Va’, piccina mia - disse con vocecommossa.

Si curvň, mosse con precauzione le stuoiedi fibre di cocco ed estratti quattro chiodiche dovevano giŕ essere stati primastrappati, spostň una tavola delpavimento, lasciando vedere un forooscuro, largo forse trenta centimetri elungo mezzo metro.

Narsinga si calň in quel buco con agilitŕ

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sorprendente, scomparendo nelletenebrose cavitŕ della cala.

- Ci sei? - chiese Garrovi, con un soffio divoce.

- Sě - rispose la fanciulla.

- Dormi tranquilla.

Lasciň ricadere la tavola, ricollocň aposto i chiodi, poi stese nuovamente lestuoie, mormorando:

- Povera fanciulla!… Quale orribileprigionia sopporta per me!… Ma fraquattro giorni noi saremo liberi!…

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NEL GOLFO DELBENGALA

Intanto il pariah continuava la sua corsaverso il sud, spinto dal vento del nord-nord-ovest, che si manteneva alquantoforte, avvicinandosi all’arcipelago delleAndamane.

Lo stato del mare perň, destava nelvecchio marinaio qualche apprensione. Lelarghe ondate, invece di spianarsi,diventavano piů impetuose di miglio inmiglio che il pariah scendeva versol’Oceano Indiano, come se laggiůimperversasse una violenta bufera.

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Si avanzavano con intervalli di dieci ododici minuti, sempre piů alte, collecreste coperte di candida spuma,rumoreggiando minacciosamente esollevando bruscamente la nave la qualebeccheggiava furiosamente, inchinandosida prua a poppa.

Harry interrogava ansiosamentel’orizzonte meridionale, ma nessunanuvola appariva in quella direzione.

Ciň perň non lo rassicurava. Quantunquenon ignorasse che le grandi ondate deglioceani si spingono talvolta fino a millemiglia dal luogo ove si scatenano letempeste, specialmente quando nontrovano delle terre che le spezzino, pureera inquieto, conoscendo per pratica la

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rapiditŕ e la violenza dei cicloni chescoppiano sotto quei climi caldissimi.

L’equipaggio invece parevatranquillissimo. Raccolti in gruppi a pruaod a poppa, quegli uominichiacchieravano, si raccontavano le storiepiů meravigliose o masticavanobeatamente quelle foglie rassomiglianti aquelle del pepe o dell’edera, mescolatecon un po’ di calce e di noce diarecchiere, miscela d’un saporeamarognolo e aromatico, un po’ pungente,chiamata betel, largamente usata in quasitutta l’India e che dicesi fortifichi ilcervello, conforti lo stomaco e preservi identi, ma che tinge la saliva d’un colorsanguigno. A mezzodě, quando il pariahgiŕ si trovava a oltre cento miglia dalle

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coste del Bengala, il vento che fino allorasi era mantenuto fresco, quasiimprovvisamente cessň e una calmaassoluta successe, immobilizzando ilveliero. Le onde perň continuavano asalire dal sud e si vedevano montareall’orizzonte sempre piů frequenti, comese avessero fretta di raggiungersi e diurtarsi fra di loro.

- Hum! - fé’ il vecchio marinaio,raggiungendo Oliviero ed Edoardo cheavevano fatto allestire il pranzo incoperta. - Questa calma non pronosticanulla di buono, signor tenente. Se il mioistinto non m’inganna, avremo mare fortecon accompagnamento di raffiche furiose.

- Temi qualche tifone? - chiese Oliviero.

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- Puň essere, signore.

- Il pariah naviga bene, Harry.

- Non dico di no, ma i tifoni dell’OceanoIndiano sono tremendi, irresistibili.Figuratevi che talvolta le onde ed il ventosono cosě furiosi, da respingere perfino leacque del Gange e da spazzar via tutte lenavi che si trovano su quel corso d’acqua,da Saigon a Calcutta. Non ricordo piů inquale epoca precisa, ma so che le acquedel fiume furono respinte con tale impeto,da inghiottire dei quartieri interi dellaCittŕ nera e da rovesciare dei palazzidella Cittŕ bianca.

- č al sud che imperversa la burrasca -disse Edoardo. - Guardate lŕ quelle

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schiere di uccelli marini che fuggonoverso il nord.

- Brutto segno - rispose il vecchiomarinaio. - Se gli albatros e le fregatefuggono, ciň indica che laggiů,nell’oceano, infuria un ventaccio damettere addosso delle gravi apprensioni.

- Non possiamo poggiare su alcun porto,in caso di pericolo? - chiese Oliviero.

- Su nessuno, signore. Le coste orientalidell’India sono quasi prive di rifugi e lecoste arracanesi sono troppo lontane.Ancora bande di uccelli!… Brutto segno!… Brutto segno, signor Oliviero.

- E passano proprio sopra di noi - disse

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Edoardo. - Guardate che uccellacci

- Sono abatros - rispose il marinaio.

- Ecco della carne fresca che farŕ per noi- disse Oliviero.

- Coriacea quanto quella d’un vecchiomulo, signore.

- Ma che i nostri marinai mangerannoegualmente, vecchio mio. - I nostriindiani?… V’ingannate, signor Oliviero.

- Forse che non amano la carne deivolatili?

- Si vede che non conoscete ancoragl’indiani. Mangiare della carne?… Oibň!… Specialmente i nostri marinai che sono

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quasi tutti baniani.

- Non mangiano nessun animale o volatilei baniani? - No, signore, nemmeno i pesci.

- Scherzi, Harry?

- Parlo sul serio. Tutti i baniani aborronol’effusione del sangue e siccome permangiare un animale bisogna prima in unmodo od in un altro ucciderlo, cosě non sinutrono d’altro che di vegetali.

- E risparmiano anche gl’insetti nocivi?

- Colla piů grande cura, signore.Figuratevi che per tema d’ingoiare equindi causare la morte ai moscerini,usano portare sulla bocca un sottile pezzodi tela.

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- Questa č grossa, Harry.

- Ma verissima, signor Oliviero. Spingonola loro tenerezza verso gl’insetti, al puntoda pulire il terreno dove devono sedersi,con una spazzolina delicatissima, per temadi schiacciarne qualcuno. Altri, piůscrupolosi, quando camminano tengono gliocchi bassi per non calpestare qualcheformica e portano in un sacchetto dellafarina o dello zucchero, od un vaso dimiele e quando vedono degli insetti siaffrettano a dare loro da mangiare.

— E anche gli uccelli risparmiano?

- Colla piů grande cura e vi dirň che io homesso piů volte a profětto la lorosuperstizione, per buscarmi delle belle

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rupie.

- In qual modo?

- Fingendo di sparare contro gli uccelliche nidificavano presso le capanne deibaniani. Appena mi vedevano col fucile inmano, gli abitanti si affrettavano adaccorrere, offrendomi delle rupie perchélasciassi in pace quei volatili.

- Volpone - disse Oliviero ridendo. - Maperché i baniani non uccidono alcunessere vivente?

- Perché credono, con tutta serietŕ, che glianimali, i volatili e gl’insetti abbianol’anima d’un uomo. Comprenderete chenon amano uccidere un animale che

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potrebbe contenere l’anima d’un lorofratello, o del padre, o della madre, ecc.

- Infatti ho udito dire che gl’indianicredono alla metempsicosi. E sono i solibaniani che non si cibano di carnid’animali?

- Anche i seguaci di Brahma e di Visnůrispettano tutti gli esseri viventi, e so cheanche molti di loro concorrono almantenimento degli animali infermidell’ospitale di Surate.

- Di quale ospitale?… - chiese Oliviero,stupito.

- Di quello eretto a Surate e che čdestinato a curare tutti i quadrupedi

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infermi, o cadenti per vecchiaia. Čbellissimo, ve lo assicuro, cinto da altemura e occupa uno spazio di venticinquejugeri, in mezzo ad una vasta pianura.

- E cosa vi raccolgono lŕ dentro?

- Buoi, cavalli, cani, pecore, uccelli chesono tenuti entro gabbie e perfino insetti.

- Anche gl’insetti!…

- Sě, signor Oliviero, e per nutrirli paganoun povero uomo, il quale deve dormire suun letto pieno d’insetti, tenendovelo legatoperché non fugga prima che spunti ilgiorno.

- Oh!… I pazzi!… Ma chi fornisce glialimenti a tutti quegli ospiti?

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- I baniani, i bramini ed i seguaci di Visnůdi Surate pagano una tassa apposita, laquale rende dalle cinque alle seimilarupie all’anno. Con quei denari sicomperano foraggi, latte, miele, grano,ecc. Immaginatevi ora se i nostri marinaiavrebbero mangiato gli albatros chepossono nascondere l’anima di qualcheloro parente morto sul mare. Toh!… Unanube che spunta verso il sud!… Hum!…Brutto segno!…

- Ma non soffia vento, Harry.

- Qui, ma al sud temo che soffi forte.Prima che il mare ingrossi, prendiamo lemisure necessarie per assicurare erinforzare i paterazzi e le sartie e issiamola pinassa o le onde ce la porteranno via.

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Ohe!… Tutti in coperta!…

Verso il sud si scorgeva infatti una nuvolaoscura che saliva, lentamenteallargandosi, come se volesse invaderetutta la vňlta celeste. La sua forma variavaad ogni istante con rapiditŕ straordinaria,segno evidente che un vento furioso lasconvolgeva.

Le onde, che poco prima giungevano conpesantezza e ad intervalli regolari,cominciavano ad innalzarsi raccorciandogli spazi e assumevano delle tinte semprepiů oscure.

Ormai non vi era piů alcun dubbio:l’uragano che aveva imperversato al sud,forse al di lŕ delle isole Nicobar, ora si

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avanzava verso le coste del Bengala,sconvolgendo il monsone del nord-ovest.

L’equipaggio, scossa la sua calmaabituale, si era messo alacremente allavoro sotto la direzione del vecchio edesperto marinaio. Dopo d’aver issata incoperta la pinassa, che fino allora erastata tenuta in acqua, legata alla poppa delpariah, si era messo a rinforzare ipaterazzi e le sartie dei due alberi e lemanovre correnti piů importanti, poiaveva teso delle funi sopra le murate, perimpedire alle onde di trascinare gliuomini di quarto.

Alle sette di sera, la nube aveva giŕinvaso buona parte del cielo, nascondendoil sole prossimo al tramonto e la calma

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era stata bruscamente rotta da alcuneraffiche violentissime che soffiavanoancora dal nord-ovest. Il tuono, di quandoin quando, rumoreggiava sinistramente frale masse dei vapori.

Alle otto l’oscuritŕ era cosě profonda, chegli uomini di poppa non scorgevano piůquelli che si trovavano a prua, ed il maremuggiva con crescente rabbia, scagliandole sue masse mobili contro i fianchi delpariah. Harry si era messo al timone edOliviero ed Edoardo si erano collocati aisuoi fianchi. Quantunque questi ultimifossero poco abituati ai furori del mare,pure conservavano una calma ammirabilee guardavano serenamente gli assaltisempre piů tumultuosi delle onde.

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- Non hai paura, ragazzo mio? - chiedevadi quando in quando il tenente, adEdoardo.

- No, signore - rispondevainvariabilmente questi. Poi aggiungevacon fierezza:

- Sono fratello d’un marinaio.

Il vento intanto cresceva, scuotendoviolentemente l’attrezzatura e sibilandofra i cordami e le vele. Il pariah fuggivaverso il sud-est con una velocitŕ di otto onove nodi all’ora, con una forte deriva,lasciandosi a poppa una larga scia chescintillava fra quelle onde nere come ilcatrame.

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Rollava disperatamente, ma teneva testaai marosi, sormontandoli o sfasciandolicoll’aguzza prora.

Potevano essere le dieci, quando unaraffica piů impetuosa delle altre sirovesciň sulla nave facendola cappeggiarein modo tale, da immergere quasi tutta laprua nel seno delle onde spumanti. Quasinel medesimo istante, agli orecchidell’equipaggio giunse un colpo secco, macosě forte, da far temere che qualche partedella nave avesse ceduto.

- Mille tempeste! - gridň Harry,impallidendo. - Cos’č accaduto?…Oliviero ed Edoardo si erano lanciativerso prora credendo che fosse accadutoqualche guasto da quel lato, ma una voce

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aveva gridato:

- Attenti all’albero di maestra!…

- L’albero!… - urlň Harry, abbandonandoprecipitosamente la barra ad un timoniere.- Lesti a imbrogliare le vele!…

Poi si slanciň in mezzo al ponte dove sierano giŕ radunati Oliviero, Edoardo edalcuni uomini dell’equipaggio.

Lanciň un rapido sguardo sull’albero, mal’oscuritŕ non permetteva di distinguere lasua estremitŕ. Afferrň le griselle ed ipaterazzi di babordo e li scrollňfuriosamente, ma tennero duro.

- Ma l’albero resiste - disse.

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- No, padrone - disse un marinaio. - L’houdito vacillare mentre io stavo appoggiatoal suo piede ed ho udito distintamente unoschianto che saliva dalla stiva.

- Una lanterna!… - tuonň Harry.

- Vi č pericolo? - chiese Oliviero.

- Ora lo sapremo: seguitemi!…

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I PRIMI SOSPETTI

Se il marinaio indiano non si eraingannato, il caso era grave e potevaavere delle conseguenze incalcolabili. Lacaduta di quell’albero poteva provocareanche quella del trinchetto, essendocollegati insieme da tutte le manovrecorrenti, e causare entrambi delle avarieforse irreparabili alle murate e fors’ancheal corpo della nave.

E poi, come avrebbe potuto, il pariah,resistere alla furia delle onde, senza unpezzo di tela che potesse dargli un po’ distabilitŕ? Sarebbe stato gettato fuori dirotta, travolto chi sa dove, trascinatolontano e probabilmente infranto contro le

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Teste di sabbia o le scogliere delle isoleche si estendono dinanzi alle Sunderbundsdel Bengala.

Mentre i marinai, venivano incoraggiatidal giovane Edoardo che in quel momentosupremo spiegava una energia incredibileper la sua etŕ, dimostrando un sanguefreddo ammirabile, Harry e Olivieroscendevano precipitosamente nella stiva,passando pel quadro di poppa che avevauna porta di comunicazione.

Tenendo alta la lanterna per non urtarecontro le casse ed i barili di viveri cheingombravano la stiva, in pochi istantigiunsero al piede dell’albero maestro.Stavano per curvarsi, quando parve lorodi scorgere un’ombra sparire rapidamente

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dietro una grande cassa.

- Avete veduto, signor Oliviero? - chieseil marinaio, stupito.

- Ma… sě, come un’ombra passaredinanzi ai raggi della lanterna - risposeOliviero.

- Un folletto? - mormorň il marinaio, cheera un po’ superstizioso.

- Bah!… Sarŕ stata l’ombra delle nostrepersone.

- č probabile, ma…

Uno scricchiolěo acuto che veniva dallaparte dell’albero, tagliň il loro discorso.

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- Mille tempeste!… - esclamň il marinaio.

Abbassň la lanterna e si curvňrapidamente verso la scassa dell’albero.Un grido

di furore gli irruppe dalle labbra, mentrela fronte gli s’imperlava d’un freddosudore.

- Guardate!… - disse, con voce rauca.

Il tenente si era pure curvato. L’albero, adue piedi dalla scassa, portava le tracced’un taglio assai profondo, ma cosěregolare, che pareva fosse stato fatto conuna piccola sega. Era stato intaccato piůdi mezzo e ad ogni colpo di vento, queltaglio s’apriva, minacciando di

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approfondirsi sempre piů e di spezzareviolentemente la parte che ancoraresisteva.

- Un tradimento? - chiese Oliviero, cheera pure diventato pallido. - Untradimento od una avaria causatadall’impeto del vento?

- No un’avaria! Un tradimento, signore -rispose il marinaio. - Quest’albero č statosegato, per farlo rovinare sul ponte aiprimi assalti d’una bufera. Guardate,signor Oliviero: ecco la segatura sparsaintorno alla scassa.

- Ma da chi tagliato?

- Da qualcuno che ha interesse

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d’impedirci di trovare Ali Middel. - Daqualche marinaio?

- Da qualche complice di Garrovi, forse.

- Non sospetti su alcuno?

- No, signor Oliviero.

— Sei certo che prima non esistessequesto taglio?

- Prima di lasciare Calcutta ho visitatoaccuratamente il pariah, perfinol’alberatura, e questo taglio non vi era. Diquesto sono sicurissimo.

- Dunque č stato fatto durante il viaggio.Sě.

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- č perduto l’albero?

- Non ancora, ma se tardavamo un po’ cirovinava addosso. Andiamo a visitare iltrinchetto, signor Oliviero. Per ora,avendo fatto imbrogliare le vele, non vi čalcun pericolo.

Attraversarono la stiva dirigendosi versoprora e s’appressarono all’albero ditrinchetto. Una sorda imprecazione uscědalle labbra contratte del vecchiomarinaio.

Anche quell’albero era stato intaccato, mameno dell’altro, solamente un terzo delsuo diametro. Attorno alla scassa sivedeva pure della segatura bianchissima,caduta di recente, a quanto pareva.

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— Infami! - esclamň Harry. - Volevanodisalberare il pariah per mandarci a piccoo farci naufragare.

- Ma chi? - chiese Oliviero, coi dentistretti. - Se posso scoprire il colpevole, tigiuro Harry, che lo faccio appiccare.Ma… cos’č quell’oggetto che scintillapresso quella botte?… Abbassa lalanterna, vecchio.

Il marinaio obbedě e fece cadere la lucesu una piccola sega che stava appoggiataad una botte. Oliviero la raccolserapidamente e vide che fra i denti vi eranoancora appiccicate delle particelle dilegno.

- Ecco l’istrumento adoperato dal

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traditore per segare gli alberi - disse. Ilmarinaio la prese e l’osservňattentamente.

- č una sega indiana - disse poi. - Questaforma non č adoperata in Europa.

- Vi č un carpentiere a bordo?

- No, signore.

- Non vi č una cassa contenente oggetti dacarpentiere?

- Sě, ma č collocata nella mia cabina.

- Che questa sega ti sia stata rubata?

- Non č possibile, poiché la mia cabina čsempre chiusa e tengo la chiave in tasca.

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Seguitemi, signor Oliviero. Urge ripararequesti due alberi, ora per far fronteall’uragano. Piů tardi cercheremo discoprire i colpevoli. Lasciarono la stiva erisalirono in coperta.

Il mare era sempre assai grosso e le ondemontavano all’assalto del pariah conmille muggiti paurosi, rovesciandosiimpetuosamente in coperta. L’equipaggioindiano aveva imbrogliate rapidamente levele dell’albero maestro e stavaprendendo terzaruoli sulle vele deltrinchetto, temendo che la spintairresistibile del vento abbattesse l’interaattrezzatura. Edoardo, che quantunquegiovane, aveva appreso tutte le manovreda suo fratello, aveva assunto il comandoe con voce calma impartiva gli ordini

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opportuni, mentre i timonieri sisforzavano di mantenere la nave sullarotta primiera e di presentare il tribordoagli urti formidabili di quelle enormimasse liquide.

- Due mani di terzaruoli alle vele ditrinchetto!… - tuonň Harry, appena salitoin coperta. - Quattro uomini di buonavolontŕ con me.

Poi volgendosi verso Edoardo ed altenente:

- Fate mettere il pariah attraverso il vento- disse. - Fra mezz’ora potremo spiegaretela anche Sull’albero maestro.

Seguito da quattro indiani si recň nella sua

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cabina, prese la cassa che conteneva glioggetti da carpentiere e ritornň nella stiva.

- L’albero tagliato! - esclamaronogl’indiani.

- Silenzio - disse Harry. - Si tratta ora diagire senza perder tempo.

Fece portare due traverse di legnorobustissime e delle funi e si mise allavoro febbrilmente, aiutato da quattromarinai.

Si trattava di fare una legatura rinforzataai piedi dell’albero. Collocň le duetraverse verticalmente in modo che colleestremitŕ inferiori toccassero la scassa ecolle superiori il disotto del ponte, poi le

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uně all’albero con una legatura stretta.Compiuta quella prima operazione, conuna grossa lamina di rame fece una

saldatura attorno al taglio,inchiodandovela solidamente, poi unanuova e piů stretta legatura, di manierache la base dell’albero e le due traversedi rinforzo formavano un blocco solo.

- Spero che potrŕ resistere anche alleraffiche piů impetuose - mormorň ilmarinaio. - Fortunatamente ci siamoaccorti a tempo, di questo infametradimento.

Condusse i suoi uomini a prora e rinnovňla saldatura al trinchetto, quantunquequesto, essendo appena stato intaccato,

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non corresse pericolo. Terminata quellaseconda operazione, incrociň le braccia egettando sui suoi uomini uno sguardoirato, disse con sorda rabbia:

- Ed ora mi direte voi chi fu il miserabilea rovinare gli alberi del pariah. Qui vi čun traditore ed io voglio scoprirlo.

- č impossibile che qualcuno dei nostriabbia fatto ciň - rispose un timoniere.

- No, padrone, nessuno puň averlo fatto -confermarono gli altri.

- Conoscete tutti i vostri compagni? -Tutti.

- E non credete che ve ne sia uno capacedi aver commessa questa birbonata?

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- No, padrone. Sono tutti onesti marinai edevoti al presidente della ŤYoung-Indiať- disse il timoniere.

- Non avete nessuno sospetto?

- Nessuno.

- E poi, - disse un altro, - quale interessepotrebbero avere i nostri compagni permandare a picco o rendere il pariah ingrado di non poter piů navigare? SeGarrovi fosse libero!…

- Garrovi!… - esclamň Harry. - Sě, io hosempre diffidato di quell’indiano, ma eglič prigioniero e se non ha un complice nonavrebbe potuto far tagliare i nostri alberi.

— Ma no, non puň aver dei compiici fra

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noi - disse il timoniere. - Nessuno di noilo ha, prima dell’imbarco, conosciuto.

- Ma se ti dico che č sempre chiuso nellasua cabina e che io solo tengo la chiave.

Gl’indiani non risposero, ma volseroall’intorno uno sguardo superstizioso.

- Saliamo - disse Harry, che si era accortodi quegli sguardi. — Piů tardispiegheremo questo mistero.

Quando tornarono sul ponte, il pariah,quasi privo di vele, andava attraverso alleonde, rollando o beccheggiando senzastabilitŕ alcuna. I colpi di mare sirovesciavano in coperta con frequenzaterribile, correndo da prua a poppa come

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una fiumana impetuosa, atterrandogl’indiani e minacciando di trascinarli inmare. Giŕ Edoardo tre volte era statostrappato dall’argano a cui si tenevaaggrappato ed era stato sbattuto contro lemurate ed il tenente era stato purerovesciato e sollevato fin quasi sul bordo.

- La barra all’orza e fuori le vele con duemani di terzaruoli sul maestro e sultrinchetto - gridň Harry, che si era subitoaccorto della gravita della situazione.

Poi, attraversata la coperta e salito sulcassero, si era messo alla ribolla deltimone.

L’equipaggio malgrado il soffio semprepiů impetuoso del ventaccio, si era

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affrettato a obbedire, spiegando la grangabbia ed il pappafico, poi il trinchetto edil parrocchetto.

Il pariah parve che si risollevasse. Cessňquel violento rollio e rimontň le ondateruggenti verso il sud-ovest con unarapiditŕ di nove nodi all’ora.

- Terranno fermo gli alberi? - chieseOliviero ad Harry.

- Lo spero, signore - rispose il marinaio.

- E non hai scoperto nulla?

- Nulla per ora, ma bisognerŕ fare unavisita a Garrovi. Lui solo puň avereinteresse a rovinarci la nave.

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- Ma a quale scopo?

- Chissŕ!… Forse temerŕ l’incontro collasua vittima.

- Siamo ancora molto lontani dalleAndamane?

- Forse trecento miglia. Se la nostravelocitŕ non cessa, le avvisteremo fratrenta o trentacinque ore.

- Ma quest’uragano?

- Speriamo che non peggiori, signore.

- Ma se aumentasse?

- Ci getteremo fra la Piccola e la GrandeAndamana e cercheremo di trovare rifugio

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fra gl’isolotti che le collegano. Nontemete, signor Oliviero; finché ci sarň ioalla ribolla del timone, il pariah noncorrerŕ alcun pericolo. Ho affrontato degliuragani ben piů formidabili di questi, io!…

- Questo mare irato non mi fa paura,Harry.

- E nemmeno al piccolo Edoardo, aquanto pare. Ha del buon sangue nellevene, quel ragazzo!… Guardate come čtranquillo e come comanda la manovra ainostri uomini di prora. Il piccino diverrŕun giorno un abile uomo di mare, al paridi suo fratello. - č un coraggioso, vecchiomio.

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- č se ne intende, il birichino, dimanovre… Mille tempeste!…

- Cos’hai, Harry?

- Mi pare che il vento tenda a girareall’est. Provocherŕ un formidabilerimescolamento di onde, signore. Noncorreranno piů, come ora, verso le costedel Bengala, ma si urteranno di traversoed il pariah danzerŕ disperatamente.

- Siamo ormai abituati al rollio ed albeccheggio.

- Ma temo pei nostri alberi, signorOliviero. Se le scosse aumentano, non sose quello maestro potrŕ resistere molto.Orsů, confidiamo in Dio e nella

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robustezza della nostra nave!…

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GARROVI ENARSINGA

Tutta la notte il pariah lottňvittoriosamente contro l’assalto semprepiů impetuoso dei marosi che loinvestivano da tutte le parti, inondandoloda prua a poppa e contro la furia del ventoche balzava dal nord-est al nord-ovest,come se volesse tramutarsi in un verotifone.

Durante quelle lunghe ore nessuno osňabbandonare la coperta, essendovi lavoroper tutti. Due volte la vela di gabbia fusventrata da quelle raffiche formidabiliche talvolta raggiungevano una velocitŕ di

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ventidue e perfino di ventisette metri perminuto secondo, velocitŕ che solamenteacquistano nelle grandi tempeste.

Fortunatamente a bordo vi erano dellevele di ricambio e la grande gabbia potčessere nuovamente spiegata, malgrado gliscrolli impetuosi che subiva la nave,diventata ormai un vero giuocattolo, unsemplice guscio di noce in balěa di queiflutti irati.

Verso l’alba perň, nel momento che lenubi, verso oriente, cominciavano atingersi dei primi riflessi dell’aurora eche le onde cominciavano a perdere laloro tinta nera, il ventaccio scemň quasibruscamente, concedendo al povero legnoun po’ di tregua.

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Quella calma non doveva perň duraremolto, poiché masse enormi di vaporicontinuavano a turbinare in aria e adaccumularsi nelle profonditŕ del cielo.Harry che da due notti non aveva quasidormito, Oliviero, Edoardo e partedell’equipaggio, approfittarono di quellatregua per prendere un po’ di riposo. Ilmarinaio volle perň prima accertarsi dellostato dei due alberi, specialmente diquello maestro e rimase soddisfatto daquell’esame.

Le legature non avevano ceduto e letraverse non si erano spostate, malgradoquelle scosse violentissime e gli urti delvento.

- Forse resisteranno, - disse ad Oliviero

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che lo aveva seguito - ma quandogiungeremo alle Andamane, sarŕnecessario cambiare l’albero maestro.

- E del traditore hai saputo piů nulla?

- No, signor Oliviero, ma giacchél’uragano ci lascia un po’ tranquilli, primadi andarci a riposare, se credete, faremouna visita a Garrovi. Sarŕ un’idea assurdaforse, ma io temo che quell’uomo sappiaqualche cosa.

- Volevo proportelo, vecchio mio. Intantoda Edoardo e da alcuni uomini faremovisitare la stiva, per evitarci qualchebrutta sorpresa.

- Ben detto: venite, signor tenente.

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Avvertito Edoardo dell’incaricoaffidatogli, scesero nel quadro per fareuna visita a Garrovi. La porta dellapiccola cabina non era barricata collagrande cassa, sicché poterono facilmenteentrare.

L’indiano stava sdraiato sulle stuoie colcapo fra le mani, come assorto in profondipensieri. Vedendo perň entrare il marinaioed Oliviero s’alzň a sedere, lanciando sudi loro uno sguardo che non era privod’una certa inquietudine.

- Cosa volete? - chiese. - Siamo forsegiunti alle Andamane?

- Non ancora - rispose Harry. - Siamo quivenuti per esigere da te una spiegazione.

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- Una spiegazione da me?… - chieseGarrovi con stupore e con un tremito nellavoce.

- Orsů, giů la maschera e narra tutto, o tigiuro che non tornerai piů mai nel Bengalae tanto meno nel tuo elegante bungalow -disse il marinaio. - Chi sono i tuoicompLici?

- i miei compiici?… Di cosa vuoiparlare?

- Abbiamo scoperto tutto!…

Sul viso dell’indiano passň un fremito e sidipinse una viva angoscia, maquell’alterazione ebbe la durata d’unlampo.

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- Non ti comprendo - disse poi.

- Ebbene, ti dirň allora che i tuoicompLici hanno cercato di tagliare glialberi del pariah.

- č impossibile!… - esclamň l’indiano,con suprema energia. - Tu ti sei ingannato:io non ho compiici fra i tuoi marinai.

- Devi averne ti dico, poiché tu solo puoiavere interesse a far naufragare la nave.

- A quale scopo?

- Che ne so io!… Forse tu hai paurad’incontrarti con Ali Middel.

- Mi avete promesso salva la vita e larestituzione delle mie ricchezze, se io vi

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aiutavo a salvare il capitano della grab.Perché dovrei io temere quell’incontro,non ho compLici: tu ti sei ingannato o seistato ingannato.

- Allora tu hai trovato il modo d’usciredalla tua cabina ed hai agito da solo glidisse improvvisamente Oliviero.

- Io!… - esclamň l’indiano, sorridendo. -In quale modo?… Il tuo marinaio nontiene forse la chiave? Č vero che non sonograsso, ma qui non vi e che una solaapertura e quel pertugio che illumina lamia cabina č troppo stretto.

- Visiteremo le pareti.

- E la tua cassa - aggiunse Harry. -

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Potremmo trovare qualche altra sega diprovenienza indiana.

Udendo quelle parole, Garrovi avevatrasalito.

- Quale sega? - chiese, con voce alterata.

Ad Oliviero e ad Harry non era sfuggitaquell’alterazione della voce.

- Ti sei tradito!… - esclamň il tenente.

Garrovi, con uno sforzo supremo,proruppe in una risata.

- Tu vuoi burlarti di me - disse poi. -Esamina la mia cassa, se lo vuoi.

- č quello che facciamo - disse il

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marinaio.

Afferrň fra le robuste braccia la cassa e larovesciň, facendo cadere al suolo deidubgah, dei dootée, dei pezzi di cotonedetti ramai che gl’indiani usano portareattorno alle gambe, alcuni turbanti, dellebabbucce, scialli e parecchie scatole dibetel.

Con un calcio disperse tutti quei vestiti econ sua grande meraviglia, vide volare inun angolo della cabina un sari da donna,drappo di cotone che le indianeadoperano per coprirsi le gambe ed ildorso.

- Una veste da donna! - esclamň.

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- O meglio da fanciulla - disse Oliviero.

- E delle collane di suk - aggiunse ilmarinaio, raccogliendo dal suolo parecchimonili di conchiglie bianche. - Sareicurioso di sapere come trovansi nel tuocorredo delle vesti e degli ornamenti dadonna.

- Che ne so io! - disse Garrovi. - Forse imiei servi ve le hanno messe a caso.

- Non vedi nessun istrumento? - chieseOliviero ad Harry, che continuava adisperdere tutte quelle vesti.

- No, signore.

~ Esamina le pareti della cabina.

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- Le tavole sono solide dappertutto - disseil marinaio, battendo sulle pareti. ~r Nonsaprei davvero spiegare come quest’uomopotrebbe uscire di qui.

- Allora deve avere qualche complice.

- Cosě deve essere.

- Bisogna vegliare attentamente, Harry.

— Qualcuno di noi rimarrŕ sempre incoperta e farŕ delle frequenti visite allastiva. Andiamo a riposare, signore, ma ioandrň a coricarmi fra i due alberi e nondormirň che con un solo occhio.

Garrovi, dopo la loro uscita, rimaseparecchio tempo immobile, colla frontestretta fra le mani e gli occhi fissi al

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suolo, come fosse assorto in profondipensieri. Solamente le sue labbra diquando in quando si contraevano ad unsarcastico sorriso.

- Orsů - disse, scuotendosi. - Bisognainterrogare Narsinga.

S’alzň senza far rumore e andň a origliarealla porta, poi, rassicurato dal silenzioche regnava nel quadro, sollevň le stuoie,ritirň con precauzione i chiodi e la tavolae battč tre colpi.

Un istante dopo il visino intelligente dellapiccola indiana comparve in fondo aquella nera cavitŕ.

- Vieni - sussurrň Garrovi.

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Narsinga alzň le braccia e l’indiano latrasse fuori, tenendosela per qualcheminuto stretta al petto.

- Quante ansie per te, piccina mia -diss’egli, facendosela sedere sulleginocchia e accarezzandole il visino. - Hoprovato non so quali tremende angosce indieci minuti.

- Sai tutto adunque? - gli chiese Narsinga.

- So che si sono accorti che gli alberierano stati semirecisi.

- č vero, padre mio, e per poco non misorpresero.

- T’hanno veduta, forse? - chiese Garrovi,con ansietŕ.

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- No, perché m’accorsi a tempo della loropresenza. Stavo segando l’albero di prora,quando vidi il vecchio scendere incompagnia del tenente. Ebbi appena iltempo di gettarmi dietro ad una cassa,quindi strisciando fra le botti poteiritornare sotto il quadro, ma ho lasciato lasega presso la cassa.

- E l’hanno trovata - disse Garrovi, convoce sorda.

- Non potrň quindi piů riprendere illavoro?

- No, ma ti rimane il succhiello e potraiforare la prora. Bisogna che questo pariahvada a picco od Ali mi ucciderŕ ed io, orache ho te, non voglio morire.

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- Ma nella stiva ora veglieranno, padremio.

- Ma tu sei agile come una serpe e potraipassare inosservata. Chi ti scoprirŕ nellasentina?… Colŕ potrai lavorare a tuo agio,ma bisogna affrettarsi, Narsinga, poiché leAndamane non devono essere lontane.

- Ma come ci salveremo noi, padre, se ilpariah andrŕ a picco?

- I rottami non mancheranno e quandol’equipaggio si sarŕ imbarcato nella pinassa, prenderemo il largo anche noi. Tusai che io sono un forte nuotatore e la miacassa basterebbe per condurti a terra.

- Ma a quale terra, padre mio?

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- Alle Andamane.

- Ma allora t’incontrerai con Ali.

- Ali Middel deve essere approdato al suddella Piccola Andamana, poiché la grab sitrovava presso quell’isola e noi invecemanderemo a picco il pariah al nord diquella terra.

- Ma l’equipaggio?

- Se approderŕ, eviteremo d’incontrarlo.Sotto quei grandi boschi č facilenascondersi.

- Devo adunque agire subito, padre mio?

- Bisogna che fra ventiquattro ore ilpariah faccia acqua.

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- Ma il mare č cattivo. Non odi comemugge e come fischia il vento?

- Le onde non mi fanno paura, Narsinga,anzi affretteranno la catastrofe. č grosso ilsucchiello?

— Sě, padre mio.

- Ma non basterŕ per aprire un grandeforo.

- Cosa devo fare ?

- Hai portato con te il cartoccio dipolvere? Sě.

- E ben avvolto nel filo di ferro?

Strettamente.

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- Vi č la cordicella imbevuta di catrame?- Non vi manca.

- Sta bene: quando avrai aperto un forocol succhiello, v’introdurrai il cartoccio equando udrai l’equipaggio segnalare leAndamane, darai fuoco alla cordicella. Loscoppio produrrŕ una laceratura tale, dafar entrare l’acqua a torrenti. Mi haicompreso, Narsinga?

- Sě, padre mio.

- Va’, piccina mia: non č prudenterimanere qui.

La piccola indiana abbracciň Garrovi, gliscivolň dalle ginocchia con agilitŕstraordinaria e sparve nel buco oscuro.

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L’exsaniasso ricollocň a posto la tavola evi sovrappose la stuoia, poi andňnuovamente ad origliare alla porta dellacabina.

- Nessuno - mormorň. - Cerchino pure ilmio complice, ma non lo troveranno.Narsinga č troppo astuta per lasciarsisorprendere e riuscirŕ a mandare a piccoquesto dannato pariah. Fuori infuria latempesta, ma che importa?… Al momentoopportuno noi lasceremo questa nave equesta cassa, accuratamente incatramata,basterŕ per salvare la mia Narsinga e percondurla su una di quelle isole. No, nonmi troverň di fronte ad Ali Middel!… Soche quell’uomo non mi perdonerŕ iltradimento, la morte del suo equipaggio ela perdita della sua grab ed io non voglio

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morire, ma vivere per la mia Narsinga.

In quell’istante un tuono formidabileecheggiň al di fuori, mentre un lampoproiettava attraverso il pertugio cheserviva da finestra, uno sprazzo di lucelivida. Quasi contemporaneamente si uděsul ponte la voce di Edoardo gridare:

- Tutti in coperta!… Signor Oliviero!…Harry!…

- L’uragano!.. - esclamň l’indiano, mentreuna cupa fiamma gli illuminava glisguardi. - Mancherŕ loro il tempo disorvegliare la stiva e Narsinga potrŕeffettuare il suo progetto. Fra dodici ore,questa nave scenderŕ negli abissi delgolfo del Bengala!…

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LA NAVEFIAMMEGGIANTE

Garrovi non si era ingannato.

L’uragano, che da due giorni minacciavadi scoppiare, si scatenava allora conindicibile violenza, sconvolgendo il vastogolfo dalle coste dell’Orissa e delCoromandel a quelle dell’Arracan e delPegů, da quelle di Ceylan e delle isoleNicobar a quelle del Bengala.

Quantunque fosse appena mezzodě, lemasse di vapori erano cosě enormi, daintercettare quasi del tutto la luce del sole.Una semioscuritŕ, che talvolta diventava

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piů fitta, si estendeva sopra il mare, i cuiflutti erano diventati nerastri come se tuttod’un colpo si fossero mescolati a torrentid’inchiostro. Lampi lividi, ma che oraavevano dei riflessi sanguigni, di tratto intratto rompevano le tenebre, seguiti dalinee di fuoco che si perdevano fra le nubie da scrosci cosě violenti da assordire.Pareva che fra quei vapori volteggiantisulle ali del turbine, si combattesse unafuriosa battaglia colle artiglierie. Ilpariah, colla velatura ridotta, fuggivaverso il sud, spinto innanzi da rafficheviolentissime, ora librandosi sopra lacima delle onde ed ora precipitandoall’impazzata nei profondi avvallamenti,veri baratri che parevano pronti adinghiottirlo d’un solo colpo.

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I suoi alberi scricchiolavano sotto losforzo delle vele e pareva che da unistante all’altro dovessero cedere a queisoffi poderosi, mentre i suoi fianchi,incessantemente percossi da quelle masseliquide, gemevano come si dolessero diquegli urti brutali, che di minuto in minutodiventavano piů impetuosi. Sotto e soprala coperta, tutto traballava. Le casse, lebotti, le corcome di gomene,violentemente spostate, correvano dababordo a tribordo o da prora a poppa,urtandosi e minacciando di sfasciarsi o disciogliersi, mentre in alto, i boscelli dellemanovre scorrenti volteggiavano comefossero semplici piume. Harry, Oliviero,Edoardo e tutto l’equipaggio indianoerano in coperta, pronti a far fronteall’uragano. Si tenevano tutti stretti ai

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bordi o alle gomene per meglio resistereagli assalti delle onde che di tratto intratto superavano le murate, sfuggendo afatica attraverso gli ombrinali.

Il vecchio marinaio, ritto alla ribolla deltimone, colla barba grigia arruffata ed icapelli ondeggianti, comandava lamanovra. La sua voce echeggiava comeuna tromba, coprendo i muggiti deimarosi, i fischi delle raffiche egareggiando cogli scrosci sempre piůformidabili delle folgori.

Il mare perň peggiorava di minuto inminuto. Montagne d’acqua irrompevanonon piů dal sud-ovest, ma dal nord-ovest,accavallandosi confusamente con orribiliscrosci, lanciando in aria colonne di

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spuma, rompendosi e ricostituendosi piůtremende, piů minacciose di prima.Balzavano sul coronamento di poppa delpariah, urlando come molossi infero

citi, lo varcavano attraverso alla copertatutto sconvolgendo sul loro passaggio edatterrando gli uomini disposti ai brŕccidelle manovre. In alto, invece, le nubipareva che roteassero come se volesseroformare una tromba gigantesca. Parevache lassů il vento avesse un movimentorotatorio d’una celeritŕ spaventosa.

Cosa strana perň; quell’immensa tromba,invece di avere la punta del cono verso ilmare, l’aveva verso il cielo edall’estremitŕ di quella specie d’imbuto, adintervalli, si vedeva apparire il sole ma

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pallido, annebbiato. Lungo le paretiinterne si udiva il vento stridere come seinvano cercasse di aprirsi il passaggio frai vapori che si addensavano sempre piů, erumoreggiare quasi incessantemente iltuono.

L’equipaggio, atterrito, guardava quelbaratro strano che perdevasi negliincommensurabili spazi del cielo e chesembrava volesse, da un istante all’altro,assorbire la nave e le acque dell’oceano.

Ad un tratto perň quel cono si ruppeimprovvisamente, il sole scomparve,l’oscuritŕ ridivenne profonda e si rovesciňsul golfo un acquazzone furioso, un verodiluvio, mentre i lampi ed i tuoni sisuccedevano con crescente intensitŕ. Non

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erano goccioloni, erano veri torrenti cheinondavano il pariah e l’equipaggio, matiepidi come se quell’acqua uscisse dauna gigantesca caldaia. Vi erano certimomenti nei quali quelle cortine dipioggia erano cosě fitte, che Harry amalapena poteva distinguere la proradella nave. Quell’acquazzone durň tre oresenza interruzione, ma verso le quattropomeridiane cessň bruscamente e le nubitornarono a formare quello strano cono,col vertice volto verso il cielo.

Il sole riapparve per alcuni istanti, rossocome un disco di metallo incandescente,poi l’oscuritŕ tornň a piombare sul golfodel Bengala. Solamente da quell’immensoimbuto scendevano, ad intervalli, deglisprazzi di luce i quali irradiavano un

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calore torrido.

Alle sei, anche quella luce sparve, mal’oscuritŕ fu ben presto rotta da unlampeggiare incessante, d’una intensitŕpaurosa. Quell’immenso cono pareva infiamme, come se lě si fosse accumulatatutta l’elettricitŕ raccolta nelle nubi. Eranobagliori azzurrognoli simili a quelli chetramandano le lampade elettriche, mamescolati a linee di fuoco, le qualiscendevano lungo le pareti dell’imbuto,scomparendo poi nel seno dei fluttispumanti.

Tuoni formidabili, ora secchi ed oralunghi, si ripercuotevano fra le nubiformando un continuo rimbombo, mentre ilmare, come se fosse attratto da una forza

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misteriosa, si alzava ululandospaventosamente, quasi venisse aspiratoda quella tromba rovesciata.

Harry, Oliviero ed il giovane Edoardo, inpreda ad una viva ansietŕ, contemplavanoquel fenomeno strano che mai prima diallora avevano veduto, mentrel’equipaggio, invaso da un terroresuperstizioso, invocava con vocelamentevole le sue divinitŕ protettrici,Brahma, Siva e Visnů.

- Cosa sta per succedere, Harry? -chiedeva il tenente, che non ostante il suocoraggio, era diventato pallido.

- Non lo so, signore - rispondeva ilmarinaio, la cui voce non era piů ferma.

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- Hai mai veduto un simile fenomeno?

- No, signor Oliviero, ma questo conosomiglia ad una tromba marina rovesciata.

- Col vertice verso il cielo, invece diessere volto verso il mare? Sě.

- Ma il mare si alza come se venisseaspirato, Harry. Guarda le onde, comeingigantiscono.

- Le vedo.

- Che stia per suonare la nostra ultimaora?

- Corriamo come il vento e spero dicondurre il parěah fuori dall’attrazione diquesta misteriosa meteora… Mille

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tempeste!…

- Cos’hai, Harry?…

- Guardate sulla punta del trinchetto!… Sidirebbe una granata incandescente!…

Oliviero alzň gli sguardi e vide un piccologlobo di fuoco, delle dimensioni d’ungrosso arancio, roteare sul mostra-ventodell’albero di trinchetto, proiettandoall’intorno una luce azzurrognola.

- Un fulmine globulare!… - esclamň.

- Io non lo so, signor Oliviero.

- Sono rari, ma talvolta se ne vedono.

- Scoppierŕ?

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- Certo, Harry.

- E l’albero?… Se lo…

Non potč finire. Il globo di fuoco, dopod’aver roteato sul mostra-vento, erabalzato sull’ultimo pennone e correva daun’estremitŕ all’altra, facendo dei balzi.

Ad un tratto scoppiň con grande fracasso,dividendosi in un grande numero diframmenti. La verga della vela dipappafico fu spezzata di colpo e cadde sulponte, mentre la tela ed i cordamiprendevano fuoco.

Un immenso grido di spavento s’alzň fral’equipaggio indiano, mentre un urlo difurore irrompeva dalle labbra del vecchio

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marinaio. La vampa, alimentata dal vento,si era tosto allungata verso la vela diparrocchetto la quale aveva pure presofuoco, mentre le scintille investivanofuriosamente le vele dell’albero maestro.

- In alto i gabbieri!… - tuonň Harry. -Gettate giů le vele!

alcuni uomini si lanciarono sulle grisellecoi coltelli da manovra fra i denti, ma ilpariah subiva allora tali scosse, darendere pericolosissima quella manovra.Per di piů le onde si rovesciavano incoperta con tale foga, da rimbalzare finoai pennoni di trinchetto e di gabbia.

Tre uomini in un baleno furono strappatidalle griselle, precipitati in coperta e

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sbattuti contro le murate cosě malamente,da riportare gravi ferite. Gli altri due,spaventati ed acciecati dalle scintille checadevano dall’alto, si lasciaronostramazzare sul ponte.

- Mille tempeste!… - urlň il vecchiomarinaio. - In alto i gabbieri, o la navebrucerŕ come uno zolfanello.

Edoardo ed Oliviero, senza badare alpericolo, si lanciarono verso prora, ma uncolpo di mare che si sfasciň ai piedi delcassero, li atterrň entrambi. Quando sirisollevarono, anche le vele dell’alberomaestro avevano preso fuoco. Vampeimmense, che il vento sbatteva in tutte ledirezioni, ormai avvolgevano tuttal’alberatura del pariah divorando i

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pennoni, i boscelli, le corde, le sartie, ipaterazzi e facendo piovere sulla copertauna pioggia di scintille.

Era uno spettacolo terribile vedere quellapovera nave in piena balia della tempesta,fra quei flutti muggenti che la assalivanoda tutte le parti rovesciandosi sopra ibordi e coll’alberatura fiammeggiante chespandeva all’intorno riflessi sanguigni,illuminando quella notte d’orrore.

Gl’indiani, spaventati, si erano rifugiatisul cassero, sordi ai comandi e alleminacce del vecchio marinaio. Anche iltenente ed Edoardo esitavano dinanzi aquella pioggia di scintille, di funiinfuocate, di frammenti di pennoni, diboscelli semiconsunti e di pezzi di vele

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ardenti.

Harry pareva che avesse perduto il suosangue freddo dinanzi a quel disastroinaspettato, ma ad un tratto abbandonň labarra ad un timoniere che gli stava vicinoed impugnata una scure, balzň giů dalcassero, gridando:

— Seguitemi o siamo perduti.

Quasi nell’istesso istante si udě unindiano gridare: Terra!…

— Dove ? - chiese Harry. -All’ovest!

— Sei certo di non esserti ingannato?

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- L’ho scorta al chiarore d’un lampo.

- La prua all’ovest!… Seguitemi, amici!…La Piccola Andamana ci č vicina! Si fecesotto l’albero maestro e si mise apercuoterlo furiosamente a grandi colpi discure, balzando a destra ed a sinistra, perevitare i tizzoni che gli piovevanoaddosso.

Oliviero, Edoardo ed alcuni marinai,incoraggiati dall’esempio, s’armarono di

scuri ed accorsero ad aiutarlo, mentrealtri assalivano l’albero di trinchetto ilcui tronco ormai ardeva come unagigantesca fiaccola.

Fra le onde incalzanti che si sfasciavano

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in coperta spumeggiando e muggendo, fragli scrosci delle folgori, i fischi diabolicidel vento, il fumo e le scintille, quegliuomini lottavano coll’energia delladisperazione, animati dalla voce delvecchio marinaio. Di tratto in trattoqualcuno veniva trascinato via dalle ondee sbattuto contro le murate o qualche altrosemiacciecato dai tizzoni o ferito daiboscelli che precipitavano dall’alto,cadeva, ma altri correvano a surrogarli.Ormai tutti avevano compreso che sequell’incendio non si spegneva, il pariahera perduto e lavoravano con lenacrescente, percuotendo rabbiosamente idue alberi, in mezzo al tumulto delleondate.

La nave intanto, quantunque avesse

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perduto le sue vele, correva sempre lungouna costa che era improvvisamenteapparsa a tribordo, lasciandosi dietro unalunga striscia di scintille. Pareva unbrulotto incendiario scagliato contro unaflotta.

Cappeggiava disordinatamente, sirovesciava ora su di un fianco ed orasull’altro, s’inalberava come un cavallosotto le speronate sanguinose d’uncavaliere impazzito, sferzava le acque colsuo bompresso e tuffava la prua o lapoppa lasciandosi strappare, brano abrano, le murate o gli attrezzi. Ad un trattol’albero maestro, reciso alla base e nonpiů trattenuto dalle sartie e dai paterazziche erano stati consumati dalle fiamme,piombň attraverso la coperta con immenso

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fracasso, precipitando alcuni pezzi dipennoni ardenti nel boccaporto che erarimasto aperto. Harry aveva appena avutoil tempo di gridare:

- Indietro tutti!…

Gl’indiani che stavano abbattendol’albero di trinchetto, si erano gettati atribordo ed a babordo, evitando di venireschiacciati, pure, nel momento che i pezzidel pennone cadevano nella stiva, un urloacuto era echeggiato nel ventre della nave,ma un urlo che pareva emesso non da unuomo, ma da un fanciullo.

- Mille tempeste! - urlň Harry. - Chi čcaduto nella stiva?…

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- Edoardo!… - gridň Oliviero,impallidendo.

- Eccomi, signore - rispose il giovanotto,apparendo fra un’ondata che si erarovesciata in coperta.

- Ma chi č caduto? - ripetč Harry.

- Nessuno - risposero gl’indiani di prora.

- Seguitemi!… - gridň il vecchiomarinaio.

In tre salti scese la scala che metteva nellastiva e presso l’ultimo gradino, videdistesa una ragazzina indiana, colla fronteinondata di sangue ed immobile co

me se fosse morta. Accanto a lei

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fiammeggiava ancora il pezzo di pennoneche l’aveva colpita, minacciandod’incendiarle la vesticciuola.

- Da dove esce questa fanciulla?… -esclamň il marinaio, al colmo dellostupore.

- Chi puň essere? - chiese Oliviero, nonmeno stupito, prendendosela fra lebraccia. - Dell’acqua, Harry!.. Lapoverina č ferita e forse mortalmente!…

- Ma… signor… - Taci, Harry!… Piůtardi spiegheremo questo mistero. Poimentre Edoardo spegneva il pezzo dipennone per evitare un nuovo incendio, sislanciň sulle scale sempre tenendo inbraccio la ragazzina e balzň in coperta.

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Quasi nel medesimo istante, dal quadro dipoppa si slanciava fuori Garrovi.L’indiano era irriconoscibile: aveva ilineamenti alterati da un’angosciainesprimibile, gli occhi in fiamme ed ipeli della barba irti come una belvainferocita.

Un grido orribile gli irruppe dal petto,scorgendo Oliviero che teneva fra lebraccia Narsinga colla fronte grondantesangue.

- Garrovi!… - esclamň Harry, mentre gliindiani, compreso l’uomo che stava altimone, atterrito da quell’improvvisaapparizione, fuggivano a prora. - Tu!…Qui!…

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L’indiano non rispose.

Con un balzo di tigre si gettň giů dalcassero, s’avventň contro il tenente cheera rimasto atterrito e gli strappň lapiccina, urlando con una voce che piůnulla aveva d’umano:

- Mia figlia!… Ah!… Maledetti!… Mel’avete uccisa!…

Poi, prima che Harry ed Olivieropotessero rimettersi dalla sorpresacausata da quelle parole, con un altrobalzo rimontň sul cassero e raccolta unascure che era stata abbandonata, tuonň:

- Che il mare v’inghiotta tutti!…

Con un formidabile colpo di quella

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pesante arma recise i cardini del timone,il quale fu strappato via da un colpo dimare, poi tenendosi stretta al petto la suaNarsinga, superň la murata e si precipitňfra le onde spumeggianti lanciandoun’ultima maledizione, mentre il pariah,sospinto dai cavalloni e travoltodall’uragano, si allontanava verso il sud-ovest col suo albero fiammeggiante chelanciava, verso le tempestose nubi, le sueultime scintille!…

Parte Seconda

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LA DJUMNA

Una calma assoluta regnava nel golfo delBengala.

Le onde, mosse dal monsone che avevasoffiato durante tutta notte, ma che erasidileguato ai primi raggi del soleequatoriale, si agitavano pesantemente,senza avere la forza né di urtarsi, néspezzarsi, ma con un rumoreggiare mono’tono, misurato.

Solamente verso un’alta costa chedisegnavasi verso il nord, cinta dascogliere, pareva che fossero irate, poichéin quella direzione si vedevano alzarsicon una certa violenza colle creste irte di

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spuma giallastra e si udivano, di tratto intratto, muggire e scrosciare come seurtassero e traballassero sopra deibassifondi. Una nave, priva di vele,abbandonata a se stessa, poiché nessunuomo vedeva si al timone, andava acasaccio attraverso a quelle onde, spintainnanzi forse da qualche corrente marina odal flusso che montava verso l’estremitŕdel golfo del Bengala.

Quella nave che errava senza direzione suquel mare, minacciando di arenarsi suibassifondi o di sfasciarsi contro lescogliere di quella spiaggia che elevasiverso il nord, era una grab indiana a trealberi, colla prora assai aguzza e adornadi sculture che pareva volesserorappresentare Devendren, Aguini, Nirudi

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e Vaya ossia i piů venerati devertrah osemidei degl’indostani. Era costruitaquasi interamente di quel durissimo legnodi tek che resiste oltre cento anni e chepuň sfidare le palle di cannone di piccolocalibro.

Come si disse, nessuna vela spiegata suisuoi pennoni e nessun uomo la guidava,ma sulla sua coperta si vedeva un canenero, di grossa taglia, d’aspetto feroce,con un largo collare di ferro, e pressol’albero di trinchetto un indiano steso sultavolato, colla fronte spaccata, il visogrigio pallido, i lineamenti alterati eimbrattati di sangue, immobile, irrigiditocome se ormai da parecchie ore avessecessato di vivere.

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Il cane emetteva di tratto in tratto deiguaiti lugubri, che si ripercuotevano entrola stiva, il cui boccaporto era aperto.S’alzava sulle zampe posterioriappoggiando le anteriori alla murata, perguardare verso la costa, poi s’avvicinavaall’indiano fiutandolo e lambendolo, poicorreva a poppa e scendeva nel quadroabbaiando con maggior lena.

Ogni volta che scendeva la scala, si udivauna voce umana sorgere dalle cabine. Erauna voce robusta, potente, che gridava conuna intonazione minacciosa:

- Aprite!… Aprite o vi uccido tutti!…

Poi seguiva un’esplosione d’imprecazioniin lingua indiana ed inglese, ma che non

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avevano per risposta che gli ululatisempre piů lugubri del grosso cane nero.

Intanto la grab continuava ad avanzarsiverso quella costa che ingigantivasull’orizzonte, spinta dalle onde chesalivano lentamente dal sud, e dal flusso.Priva di direzione, senza un uomo chetenesse la ribolla del timone, senza unavela che le desse qualche stabilitŕ, giravasu se stessa, ora presentando la prora edora la poppa alle scogliere che sistaccavano da quella terra. Parve perň chequalche grave avaria fosse toccata al suoscafo, poiché pareva che a poco a pocos’immergesse, come se il suo caricoaumentasse di peso di minuto in minuto.

Giŕ le onde sfioravano i suoi bordi e

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talvolta entravano attraverso le murate chesi vedevano qua e lŕ infrante, come sefossero state demolite a colpi di scure.

Il cane raddoppiava le sue corse ecrescendo le sue inquietudini, continuavaad avvicinarsi all’indiano steso pressol’albero di trinchetto ed a lambirlo comese cercasse di richiamarlo in vita, poiscendeva nel quadro dove echeggiavasempre quella voce minacciosa, quindibalzava sul cassero o sul castello di pruae colla testa volta verso quella costa,raddoppiava i suoi ululati. Talvoltainvece si avvicinava al boccaporto eguardava giů, tendendo gli orecchi.Pareva che cercasse di raccoglierequalche rumore, forse il gorgoglěodell’acqua che doveva irrompere nel

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ventre della nave.

Ad un tratto, un urto violento accadde. Lagrab, che ormai non si trovava che apoche centinaia di metri dalle scogliere,si era rovesciata bruscamente sultribordo, facendo rotolare l’indianocontro la murata, mentre il cane, dopo unabreve esitazione, si slanciava in acqua,abbaiando con maggior forza. Dal quadrodi poppa si udě ancora la voce tuonantegridare: — Ma aprite, dunque!…

L’indiano che aveva la fronte spaccata, eche doveva essere solamente svenuto perla perdita del sangue o per la violenza delcolpo ricevuto, a quell’urto aveva apertogli occhi. Facendo uno sforzo che glistrappň un lungo gemito, si alzň a sedere,

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girando

all’intorno uno sguardo istupidito.

Rimase alcuni istanti in quella posa,guardando il ponte deserto, le onde che

proiettavano dei getti d’acqua attraversole squarciature delle murate ed agli

ombrinali di sfogo, poi aggrappandosi albordo, si rizzň.

Era un uomo sulla trentina, dalla pellequasi nera, di statura alta, col cranio

accuratamente rasato, ma il viso adornod’una barba rada e molto scura. Come

tutti i marinai indiani, indossava solo uno

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stracciato dubgah di colore dubbio,

che gli copriva solamente le anche.

- Vivo!… - esclamň, continuando a girareintorno i suoi occhi nerissimi.

- Credevo di essere giŕ morto e ditrovarmi dinanzi a Visnů!… E Garrovi?…E Hungse?… E tutti gli altri?…

Si portň la destra alla fronte e la ritrassebagnata di sangue.

- Miserabili - mormorň. - Ora mi ricordotutto!… Ma da quante ore hanno lasciatala grab?…. Devo essere rimasto svenutolungo tempo, poiché quando caddi, quellacosta era ancora assai lontana… Ma ilcapitano!… Che l’abbiano ucciso, dopo

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d’avermi spaccata la fronte con quelcolpo di scure?

In quell’istante udě gli abbaiamenti delcane, ma che si perdevano in lontananza.

S’aggrappň alla murata e guardň. Il caneaveva giŕ raggiunto gli scogli e correvaverso la costa, passando sui banchi disabbia.

- Anche Pandu mi abbandona - mormorň ildisgraziato.

Ad un tratto retrocesse, traballando.Solamente allora si era accorto che lagrab era immersa fino ai pertugi dellecabine di poppa.

- Hanno aperto i fianchi della Djumna -

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mormorň.

Radunň le sue forze e cercň di emettere ungrido, ma la vista gli si intorbidě, legambe gli si piegarono e ricadde sullacoperta, colto da un secondo svenimento.

Quanto tempo rimase privo di sensi?…Parecchie ore senza dubbio, poichéquando ritornň in sé, il sole che prima eraancora alto, precipitava all’orizzonte e letenebre scendevano con quella rapiditŕche č particolare di quelle calde regioni.

Si alzň con grande fatica, reggendosi perun miracolo d’equilibrio, poiché le sueforze erano esauste. Provň una nuovavertigine, ma reagendo con energia, riuscěad aggrapparsi alla murata di babordo ed

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a guardare al di fuori. La grab eraperfettamente immobile. Semicoricata sudi un bassofondo che le aveva impedito disommergersi completamente, si eraincagliata in tale modo, che nessunamanovra sarebbe riuscita a rimetterla agalla. L’indiano guardň sulla copertacercando il cane, ma Pandu non era piůritornato. Tese gli orecchi sperando diraccogliere qualche lontano abbaiamento,

ma solamente la brezza notturna facevaudire i suoi sibili attraverso l’attrezzaturadella grab.

- Abbandonato da tutti - ripetč ildisgraziato. - Cerchiamo dell’acqua.Aggrappandosi alle murate per tenersi inpiedi, si recň a poppa, dove si trovava

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una botte d’acqua, incassata fra ilboccaporto del quadro e la parete delcassero.

Afferrň avidamente la tazza di ferro che vistava legata e bevette parecchi sorsi,spegnendo l’arsura causatagli dallafebbre, poi inzuppň un pezzo di tela davele e si fasciň la fronte.

Aveva appena terminato, quando nelquadro udě un colpo formidabile che feceoscillare la bussola dell’abitacolo.Pareva che qualcuno avesse cercato disfondare la porta d’una cabina.

- Chi č? - gridň l’indiano, stupito espaventato.

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Un nuovo colpo, piů violento del primo,echeggiň nel quadro, seguito da unoscricchiolěo.

- Chi batte? - ripetč il ferito.

Una voce rauca s’alzo dal piccoloboccaporto: Aprite!…

- Il padrone!… - esclamň l’indiano,trasalendo. - Ma non l’hanno adunqueucciso?…

Senza perdere tempo si trascinň verso ilboccaporto, e si lasciň scivolare giů dallascaletta.

Il salotto era tutto inondato: le casse, lesedie e perfino la tavola galleggiavano,urtandosi ogni volta che l’acqua veniva

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turbata dall’alzarsi o dall’abbassar sidelle ondate esterne. L’indiano s’immersefino alle anche, dicendo:

- Siete voi, padrone?

- Sě, sono io - rispose la voce di prima. -E tu, chi sei? -Sciapal.

- Sciapal!… Ma non sei fuggito, tu?

- No, padrone.

- Hai una scure?

- Vi č sul cassero quella che ha adoperatoGarrovi per spaccarmi la fronte.

- Garrovi!… - esclamň l’uomo che sitrovava prigioniero, con accento feroce.

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- č ancora vivo quell’uomo?

L’indiano non rispose. Aveva risalita lascala e trascinatosi a poppa, avevaraccolto una scure che era ancoramacchiata di sangue. .— Eccomi, padrone- disse, ridiscendendo la scala.

- č vivo Garrovi? - ripetč il padrone, conmaggior rabbia. - Rispondi, Sciapal.

- Lascia che ti apra. - Rispondi!…

- č fuggito, padrone.

- E Hungse?

- Con lui.

- E gli altri malabari?

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- Tutti fuggiti.

- Maledizione su loro!… E la mia grab?

- č perduta.

- Arenata, forse?

- Sě, padrone.

- Lo avevo sospettato. Apri!… Soffoco!…

L’indiano alzň la scure e percosse la portadella cabina, ma le sue forze erano

cosě deboli ed il legno cosě resistente,che la intaccň appena. Raddoppiando

perň i colpi e percuotendo soprattutto icardini, dopo alcuni minuti riuscě a

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farla cadere.

Un uomo si slanciň allora fuori, risalěcome un lampo la scala e si precipitň in

coperta, girando attorno gli occhi iniettatidi sangue.

Quell’uomo era Ali Middel, ilcomandante della Djumna.

ALě MIDDEL

Come suo fratello Edoardo, il capitanodella grab era uno dei piů belli e dei piůrobusti tipi usciti dall’incrocio del sangue

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europeo coll’indiano, ma come il ragazzopareva che, all’infuori della statura, pocoo nulla avesse ereditato dal padre, poichénon aveva né gli occhi azzurri, né i capellibiondi, distintivi particolari della razzaanglosassone.

Aveva quasi doppia etŕ del fratello, maera anche piů alto, piů complesso, conspalle larghe, braccia muscolose, un pettoampio, un collo grosso. Si comprendeva aprima vista, che quell’angloindianodoveva possedere un vigore poco comune.

La sua pelle era d’un bronzo dorato, il suoviso bellissimo, ombreggiato da una barbanerissima e ricciuta, tagliata a due punte;aveva gli occhi grandi, pure assai neri, ilnaso diritto e le labbra rosse come ciliege

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mature. Il clima ardente dei mari indianipareva perň che avesse influito anchesulla sua robusta costituzione, poiché,quantunque fosse ancora giovane, dellerughe precoci solcavano la sua fronte ed icapelli inanellati, che gli sfuggivano disotto l’ampio cappello di paglia, sivedevano brizzolati. L’acqua, che forse daparecchie ore aveva invaso la sua cabina,aveva ridotto

in uno stato compassionevole i suoicalzoni e la sua giubba di tela bianca,stretta alla cintura da una fascia rossa anodi svolazzanti. Era tutto inzuppato,lordo di fango entrato colle onde cherimescolavano il banco su cui erasiadagiata la grab e qua e lŕ strappato, forsein causa degli sforzi fatti dal proprietario

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per abbattere la porta della cabina.

Lo sguardo acuto di Ali Middel, percorsein un solo istante il mare che circondavala grab, la sponda che si rizzava verso ilnord, le scogliere ed i banchi di sabbia.

- Fuggiti!… Scomparsi!… - esclamň ilmarinaio con voce sibilante. - Canaglie!… Fuggiti dopo d’avermi derubata lacassa d’oro, dopo d’avermi ribellatol’equipaggio, d’avermi rovinata la nave ed’avermi chiuso nella cabina perchémorissi affogato come un topo nellatrappola!…

Poi, scorgendo l’indiano che lo avevaraggiunto e che si era arrestato a pochipassi, appoggiandosi alla murata, chiese:

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- Ma tu, cosa fai qui?… Č forse nelladivisione dell’oro che t’hanno spaccata latesta?

- No - rispose Sciapal. - Io sono rimastoperché non volevo abbandonare il miopadrone.

Ali lo guardň senza rispondere, ma i suoisguardi che lanciavano fiamme, a poco apoco perdevano quella luce sinistra eminacciosa.

- Tu sei rimasto perché non voleviabbandonarmi - disse finalmente, convoce meno acre. - Devo io crederti?

- Non ti basta la mia fronte spaccata da uncolpo di scure? - rispose l’indiano.

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- Se io avessi voluto seguirli nella lorofuga, chi me lo avrebbe impedito?… Nonsi sono forse imbarcati tutti gli altrimalabari, coi traditori?… Nessuno di loroč stato ucciso o ferito, padrone.

- č vero - disse Ali. - Ma quando sonofuggiti?

- Io non lo so, poiché sono rimastosvenuto molte ore, forse un giorno intero eforse di piů.

- Erano trentasei ore che io mi trovavoprigioniero nella cabina! Sono fuggitisubito, dopo aver rubata la cassacontenente l’oro?

- Sě, padrone.

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- Cos’č avvenuto dopo il furto?

- Ma… io non so… - rispose l’indiano,esitando.

- Voglio sapere tutto, Sciapal, od io,parola da marinaio, ti finisco coll’istessascure che ti ha servito per rendermi lalibertŕ.

- Mi perdonerai tu?… Ero stato tentato daquel maledetto oro.

- Narra tutto, poi vedremo - rispose Ali,mentre la sua fronte si aggrottavaburrascosamente.

- Hungse e Garrovi erano riusciti aribellarci contro di te, dicendoci chequella cassa custodita nella tua cabina

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conteneva tanto oro e tanti diamanti, dafarci ricchi come nababbi.

ŤEra stato deciso di abbandonare la grabappena avremmo potuto impadronircidella cassa, ma senza farti alcun male, nonavendo noi alcun motivo per odiarti.

ŤUna notte Garrovi riuscě a gettare unnarcotico nella tua bottiglia d’acqua edaiutato da Hungse, potč rubarti, senzacorrere pericolo, la cassa. ŤStavamoimbarcandoci dopo d’aver ammainate levele per tema che il vento spingesse lagrab contro la Piccola Andamana duranteil tuo sonno e andasse a picco, quandoudimmo dei colpi sordi rimbombare nellastiva. ŤIo, te lo giuro padrone, mi erolasciato trascinare a quella mala azione

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contro la mia volontŕ e mi rincresceva diaver preso parte a quel tradimento.ŤUdendo quei colpi, sospettai cheGarrovi, che era rimasto ancora a bordo,contro la promessa data, cercasse diaprire i fianchi alla grab per mandarla apicco assieme a te.

ŤRisalii sulla nave e vidi il saniasso cheteneva ancora in pugno la scure.Ť“Cos’hai fatto, miserabile?” gli gridai.

Ť“Mando il tuo capitano a tenerecompagnia ai pesci” mi rispose egli,ridendo beffardamente.

Ť“Allora tu puoi partire, ma senza di me”gli dissi. “Io non permetterň una taleinfamia.”

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Ť“Allora va’ tu pure a tenerglicompagnia” mi rispose. ŤIl traditore, neldire quelle parole, aveva alzatorapidamente la scure, colpendomi inmezzo alla fronte. Mi parve che la miatesta fosse stata schiacciata come unanoce. Caddi col viso inondato di sangue,poi smarrii i sensi. ŤPrima di chiudere gliocchi, mi sembrň di udire dei latrati e divedere, come attraverso a una nebbiasanguigna, il traditore alle prese col tuofedel cane, poi non ricordo piů nulla.

ŤNon sono ritornato in me che qualcheora fa, quando la grab, rovesciandosi sultribordo, mi fece rotolare contro lamurata.ť

- čČ tutto qui? - chiese Ali, quando

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l’indiano tacque.

- Tutto, padrone.

- Volevo ucciderti… ma ora ti perdono.

- Grazie, padrone.

- E sono adunque fuggiti, quei miserabili?- chiese il capitano, stringendo le pugna.

- Tutti, padrone.

- Ah!… Ma un dě tornerň nel Bengala,Sciapal, e per quanto l’India sia grande,troverň i due traditori, né sarň contentofinché non li avrň veduti appiccati.

Poi, come se avesse esaurita tutta la suaenergia in quell’ultimo scoppio di rabbia,

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si lasciň cadere su di un barile che glistava presso, stringendosi la fronte fra lemani. Un gemito lo strappň da quellaspecie di abbattimento.

- Ah!… Mi dimenticavo che tu eri ferito -disse, scuotendosi.

- Soffro, padrone - disse l’indiano, che siera seduto sul ponte.

— Lascia che esamini la tua ferita.

Gli levň con precauzione la fascia eosservň attentamente il taglio prodottodalla scure. S’accorse subito che era piůdoloroso che pericoloso, poiché l’arma,forse male adoperata dall’assassino,aveva solamente intaccato l’osso, senza

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spaccarlo.

- Se Garrovi avesse avuto il polso piůfermo, non saresti qui a chiacchierare conme - disse Ali. - Fortunatamente quelmiserabile aveva troppa fretta. Con manoabile riuně i margini della ferita, pulě lafronte del sangue che si era coagulatosopra, poi rimise a posto il pezzo di tela,dopo d’averlo nuovamente bagnato.

- Fra una settimana o due saraicompletamente guarito, - disse, - ma tirimarrŕ una cicatrice che ti ricorderŕsempre di Garrovi.

- Se un giorno lo troverň, ti assicuropadrone, che mi vendicherň - risposel’indiano. - Se potrai giungere prima di

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me!… Stai meglio, ora?

- Sě, padrone.

— Ma… dov’č Pandu?… L’ho uditoabbaiare sempre ed ora non lo vedo sullagrab. ‘

- č fuggito a terra appena la Djumna toccňil banco. - Il mio cane fuggito!.. čimpossibile, Sciapal.

- L’ho veduto io nuotare fino agli scogli,poi correre attraverso i banchi.

- Quell’animale č intelligente ed avrŕcompreso che solamente a terra potevamosperare degli aiuti; ma se quegli isolani sene stessero lontani, sarei piů contento.

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- Sono forse cattivi, padrone?

- Hum! Non godono buon nome di certo,Sciapal. Ho approdato due volte -allaPiccola Andamana e non ho mai avuto dalodarmi di loro. Sono ladri, cattivi e sidice che siano anche antropofaghi.

- Mi fai venire i brividi. Pure, bisognerŕsbarcare. - E perché?

- Non abbiamo alcuna scialuppa.

- Costruiremo una zattera e cercheremo diapprodare alle coste arracanesi.

- Ma mancano i viveri, padrone. - iviveri!… La dispensa era piena.

- Ma Garrovi e Hungse l’hanno vuotata.

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- Tutta!… - esclamo Ali, impallidendo.

- Hanno caricato la pinassa.

- Mille inferni!… E non rimane piů nullada porre sotto i denti?

- Ma tu avevi delle provviste nel quadro,padrone.

- Solamente pochi chilogrammi di biscottie alcune scatole di pesce conservato.Canaglie!… Rubare perfino tutti i viveri!…

- Vedi, padrone, che bisogna sbarcare.

Ali non rispose. Appoggiato alla muratadella grab, colla fronte aggrottata, glisguardi fissi, pareva che osservasse

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attentamente, agli ultimi bagliori delcrepuscolo, la costa, la quale apparivacoperta da una folta vegetazione. Non siscorgeva alcuna capanna sulla spiaggia,né alcun canotto navigare fra le scogliere,ma invece si vedevano volteggiare in ariagrande numero di uccelli cherassomigliavano ad oche emigranti.

Una brusca scossa, che fece oscillarel’alberatura della grab ed inclinaremaggiormente la coperta, strappň ilcapitano dalle Sue osservazioni.

- Cosa succede? - chiese.

- La Djumna si č spostata - risposeSciapal.

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- Ma non poggiava sul banco?

- č vero, padrone.

- Che il riflusso la rovesci?

Si curvň sul bordo e guardň fuori.L’acqua, che era trasparente come uncristallo azzurro-verdognolo, permettevadi scorgere distintamente il banco, che labassa marea, la quale giŕ cominciava aritirarsi, minacciava di lasciare in partescoperto.

Ali s’accorse subito che la grabappoggiava solamente col fianco su quellesabbie e che poteva, da un istanteall’altro, o rovesciarsi del tuttomancandole il sostegno dell’acqua o

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scivolare di nuovo in mare, per andarepoi a picco in causa delle squarciaturefattele da Garrovi. Una imprecazione gliuscě dalle labbra.

- Dunque, cos’č accaduto, padrone? -chiese Sciapal.

- Uno spostamento grave - rispose Ali. -Se non ci affrettiamo a lasciare la grab,andremo a picco.

- Ma non abbiamo piů la pinassa.

- Costruiremo una zattera o ci getteremo anuoto.

- A nuoto!… Guardate laggiů, padrone -disse l’indiano indicandogli le scogliere.

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Ali guardň nella direzione indicata, emalgrado il suo coraggio, rabbrividě.All’incerto chiarore del crepuscolo, sivedevano delle masse oscure alzare sopral’acqua delle teste strane, che mostravanodelle enormi bocche.

Erano degli squali formidabili,appartenenti alla specie dei pescicani, madiversi nella forma, poiché la loro testasomigliava perfettamente ad un martelloda calzolaio, ma eguale da ambo le parti ecogli occhi situati all’estremitŕ. Sono piůpiccoli dei pescicani, ma non sono menovoraci, né meno ghiotti di carne umana.

- i mangiatori d’uomini!… - avevaesclamato Ali. - Bah!… Passeremoegualmente e se ci assaliranno, li

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prenderemo a fucilate. - i traditori hannorubato anche i fucili, padrone.

- Non monta; ho le mie due pistole. Orsů,non perdiamo tempo.

Afferrň la scure, arma formidabile nellesue mani e si mise a demolire le muratedella grab, non senza emettere perňqualche sospiro, poiché amava la suavalorosa nave, che per lunghi anni loaveva trasportato attraverso all’OceanoIndiano.

Mentre accumulava i pezzi di fasciame,Sciapal si era recato nella cabina eportava in coperta i viveri, le carte dibordo, gL’istrumenti necessari per fare ilpunto, le due pistole, le poche munizioni

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trovate ed alcune vesti. Erano tutte le lororicchezze e non volevano perderle.

Ottenuto il legname sufficiente percostruire la zattera, i due naufraghiabbassarono due pennoni che dovevanoservire a formare lo scheletro delgalleggiante, quindi si misero a unire idiversi pezzi, adoperando dei chiodi edelle corde.

Si affrettavano poiché la grab continuavaa spostarsi in causa del continuo scemaredell’acqua sul banco ed a piegarsi. Ormaila coperta aveva una inclinazione di 45GRADIe continuava ad abbassarsi versoil tribordo, rendendo il lavoro assaimalagevole.

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Giŕ Ali e Sciapal avevano inchiodatedieci tavole, quando la Djumna si scossebruscamente. Si raddrizzň di alcuni gradi,poi tornň ad inclinarsi, quindi parve chescivolasse sul banco, indietreggiando ababordo.

- Padrone! - esclamň Sciapal.

Ali stava per rispondere, quando fuatterrato. La Djumna si era rialzatacompletamente e tornava a trovarsi libera,ma per pochi minuti, per pochi secondiforse, perché giŕ cominciava ad affondare.

Nel ventre della nave si udě un cupomuggito prodotto dall’acqua interna che siriversava a prora, a poppa ed a babordo,riprendendo il primiero livello, poi un

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getto di schiuma schizzň dal boccaportodisperdendosi pel ponte, mentre le ondeche flagellavano il banco, irrompevanoattraverso alle squarciature delle murate.suI ROTTAMI

Ali Middel, balzato in piedi, con un solosguardo si era reso conto della gravitadella situazione.

Ormai mancava il tempo non solo perultimare la zattera, ma anche di gettare inacqua le poche tavole riunite. Bisognavaabbandonare prontamente la nave, per nonvenire inghiottiti dal vortice che quellamassa doveva scavare nella sua rapidadiscesa attraverso i flutti.

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Con un balzo Ali s’impadroně delle suecarte, delle sue due pistole e dellemunizioni, mentre Sciapal afferrava lascure e raccoglieva quante scatole dipesce conservato poteva contenere il suodubgah annodato e ripiegato attorno alleanche.

- In acqua! - grido Ali.

Balzarono rapidamente sulle murate e sislanciarono sul banco, guadagnando uncumulo di sabbie che la bassa mareaaveva lasciato scoperto. La Djumnaaffondava rapidamente. Le ondeinvadevano ormai la coperta correndo daprora a poppa e rovesciandosi nel quadroe nella stiva, dove si riunivano all’acquainterna che montava con sordi fragori. La

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povera nave oscillava da babordo atribordo radendo il margine estremo delbanco e tentava di girare su se stessa, masenza riuscirvi, in causa delle sabbie chela toccavano.

Ad un tratto s’abbassň bruscamente, comese un peso enorme fosse piombato nellasua stiva. Le onde guadagnavano sempre,correndo ora verso il castello di prora edora verso il cassero e rovesciandosi al disopra dei bordi. Sparvero le murate, poile grue delle scialuppe, la ribolla deltimone, il bompresso, poi l’intera massas’immerse; formando un gorgo gigantesco,una specie di tromba rovesciata.

Un’alta muraglia liquida si disteseall’intorno, risalendo il banco con un

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lungo muggito, poi i tre alberis’immersero rapidamente fino allecrocette, lasciando visibili i soli alberettidi maestra e di trinchetto.

- č finita - mormorň Ali, con voce sorda. -Povera Djumna!… Non credevo diperderti cosě presto!

Una rapida commozione si dipinse suisuoi energici lineamenti, ma ebbe ladurata d’un lampo.

- Orsů - disse, scuotendo il capo. - Erascritto!

Poi volgendosi verso l’indiano checontemplava in silenzio la muraglialiquida che s’allontanava, infrangendosi

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contro le scogliere dell’isola, continuň:

- Raccogliamo i rottami. Prima che tornil’alta marea, bisogna aver raggiunte lescogliere o gli squali banchetteranno collenostre gambe.

Alla pallida luce della luna, che allorasorgeva sull’orizzonte tingendo il mare

di riflessi argentei, si vedevano deilegnami galleggiare sopra il luogo oveerasi sommersa la graB.

Erano gli avanzi delle murate abbattutedal capitano, ma la zattera perň non sivedeva piů. Certo era stata inghiottita dalgorgo aperto dalla nave. Sciapal osservňprima l’acqua per accertarsi che non vi

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erano squali, poi si sbarazzň del dubgahcontenente le scatole di pesce conservato,ma tenne la cintola passandovi dentro lascure, quindi si gettň innanzi nuotandovigorosamente.

Ali era rimasto sul banco, ma avevaarmate le pistole per allontanare gli squaliche da un istante all’altro potevanogiungere.

Con poche bracciate l’indiano giunse sulluogo ove erasi inabissata la Djumna espinse verso il banco gli avanzi chegalleggiavano. Ohimč!… Erano ben pochie affatto insufficienti per costruire unazattera di due o tre metri d’estensione.

Non vi erano che un pennone, una cassa

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vuota ed un barile pure vuoto, mafortunatamente turato e cinque tavolelunghe due o tre metri ciascuna.

- č tutto questo, padrone - disse l’indiano,risalendo il banco.

- č poca cosa, Sciapal, ma il tragitto čbreve. — Magli squali?

— Li terremo lontani a colpi di pistola.

- Scarseggiamo di munizioni, padrone.

- Abbiamo diciotto o venti palle, ma duelibbre e piů di polvere: speriamo chebastino. Aiutami, Sciapal; l’alta mareanon tarderŕ a ritornare ed a coprire ilbanco.

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Radunarono i loro scarsi rottami e liunirono, servendosi d’una fune chependeva dal pennone e che erasufficientemente lunga. Non era unazattera, era un galleggiante informe,appena capace di sostenerli e che nonpoteva difendere le loro gambe, perché amalapena potevano reggersi tenendosi acavalcioni. Spezzata una tavola perfoggiare alla meglio due pagaie,s’imbarcarono portando con loro le pochericchezze che possedevano.

La notte era chiara: le stelle brillavanonel cielo sgombro di nubi, riflettendosisulle acque ombreggiate dalle scogliere,mentre la luna, piů grande del solito,proiettava i suoi raggi sulla costa,rischiarandola come in pieno giorno e sul

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mare circostante, cospargendolo dipagliuzze d’argento. Una fresca brezzaprodotta dal monsone del sud-ovestspirava, turbando la superficie del grandegolfo bengalese, la quale alzavasi inpiccole ondate. Un silenzio profondoregnava attorno al banco, appena rotto dalgorgoglěo prodotto dai due remi. Ilgalleggiante s’avanzava lentamente, conprecauzione, dirigendosi verso lescogliere che si estendevano per lungotratto dinanzi alla costa. I due uomini, acavalcioni l’uno del barile e l’altro dellacassa, ma colle gambe immersenell’acqua, tacevano, ma di quando inquando si rizzavano piů che potevano perscrutare la superficie.

Avevano giŕ attraversata felicemente

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mezza distanza che li separava dalleprime scogliere, quando l’indiano ritirňbruscamente la sua tavola, dicendo:

- Fermati, padrone!

Aveva udito, a breve distanza, un raucosospiro ed aveva veduto sollevarsiun’onda spumeggiante, che poi erasiallargata in direzione del banco di sabbia.

- Fermati, padrone - ripetč Sciapal, conaccento di terrore.

Ali aveva pure ritirato il suo remo escrutava l’acqua con estrema attenzione,mentre teneva la destra appoggiata alcalcio d’una delle sue pistole.

- Una zigaena? - chiese, dopo alcuni

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istanti di silenzio.

- Sě, padrone.

- L’hai veduta?

- No, ma ho udita la sua respirazione.

- Aspettiamo che si mostri - disse Ali, convoce tranquilla.

Si era levata una pistola dalla fascia el’aveva aRMnata, puntando la canna versoil punto che l’indiano gl’indicava.

Un istante dopo, una di quelle testefoggiate a martello, appariva bruscamente,fra un fiotto di spuma argentea. Era benbrutta quella zigaena, coi suoi occhisporgenti situati all’estremitŕ dei battenti,

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a riflessi giallastri e con quella bocca ches’apriva al posto del collo, di formasemicircolare e irta di lunghi e acuti denti.

L’indiano, scorgendo quel feroce squalo,che pareva pronto a precipitarsi sulfragile galleggiante ed a metterlo a pezzicon pochi colpi della sua formidabilecoda, era diventato pallido e anche Aliaveva provato un brivido. Il mostro stetteun istante immobile, lasciandositrastullare dalle onde, poi girando su sestesso, si avvicinň lentamente algalleggiante, come se prima di assalirlovolesse accertarsi con quale nemicoaveva da fare.

- Padrone! - disse Sciapal, battendo identi.

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- Non temere - rispose Ali.

Aveva disteso il braccio armato di pistolae mirava con grande calma. Unadetonazione rimbombň, ripercuotendosicontro le rocce e le scogliere dell’isola.La zigaena, colpita alla testa, fece unbrusco salto uscendo piů di mezzadall’acqua, poi ricadde in un cerchio dispuma e scomparve.

- Toccata - disse Sciapal, respirando.

- E alla testa - rispose Ali. - Le mie pallecolpiscono sempre.

- Che sia morta?

- Hum!… Quei pesci hanno la pelle dura eci vorrebbero delle palle di carabi

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na per ferirli mortalmente, ma spero checi lascerŕ tranquilli dopo una simileaccoglienza. Se poi osasse…

- Taci, padrone!

- Cos’hai udito?

- Un lontano guaito.

- Il mio cane, forse?

- č probabile.

- Sono molte ore che ha lasciato laDjumna?

- Poco prima del mio secondosvenimento.

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- Allora sarŕ Pandu. Quell’animaleintelligente ci ha fiutati e cerca, coi suoiguaiti, di guidarci.

Si rizzň meglio che potč sulla piccolazattera e guardň verso il nord. La costa,che la luna illuminava come se fossegiorno, non essendo lontana che un miglio,si distingueva abbastanza chiaramente, maessendo coperta da fětte foreste, le qualipareva che bagnassero le loro radicinell’acqua, non si poteva distinguere unanimale nero e della grossezza di Pandu.Lo sfondo era troppo oscuro perché ilcane spiccasse su quegli ammassi ditronchi d’albero e di cespugli cheproiettavano una fitta e cupa ombra.

- Odi nulla? - chiese Ali che sapeva, per

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esperienza, come l’udito del malabarofosse piů acuto del suo.

- No - rispose Sciapal, dopo d’averascoltato con profonda attenzione.

- Ti sarai ingannato. - Non lo credo.

- Non importa: fra un quarto d’ora saremoa terra e Pandu ci ritroverŕ facilmente.

Ripresero le due tavole e si misero aremare spingendo il rottame verso lacosta. La prima scogliera giŕ non eralontana che alcune centinaia di passi e conpochi sforzi potevano, in breve tempo,raggiungerla.

Pur continuando a remare, osservavanoattentamente l’acqua, temendo un

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improvviso ritorno della zigaena. Il ferocesqualo, dopo d’essere stato ferito non erapiů apparso alla superficie, ma potevaspiarli tenendosi sottacqua e mozzare lorole gambe.

Ad un tratto, quando si trovavano a solecinquanta braccia dalle prime scogliere,lo videro bruscamente emergere a soliquindici passi. Girň su se stesso come secercasse la preda, ma poi tornň ainabissarsi, formando alla superficie unpiccolo risucchio.

- Padrone! - balbettň Sciapal,rabbrividendo. - Ci raggiungerŕ nuotandosottacqua!

- Lascia la tavola e afferra la scure -

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rispose Ali.

- Ma ci mozzerŕ le gambe.

- Ritiriamole.

Alzarono precipitosamente le gambe estettero in ascolto cogli occhi fissisull’acqua. Alcune bollicine d’aria che siruppero alla superficie, li avvertirono chelo squalo cercava di avvicinarsi, nuotandosenza essere scorto. D’improvvisoapparve sul babordo della piccola zattera,urtandola colla sua pelle rugosa in cosěbrusco modo, da farla immergere da quellato. Ali fu pronto a scaricargli addosso laseconda pistola, mentre l’indiano, resoaudace dall’imminenza del pericolo, gliscagliava una tale botta col rovescio della

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scure, da fracassargli l’estremitŕ delmuso.

Lo squalo tentň, con un formidabile colpodi coda, di sfasciare quell’ammasso dirottami, ma non riuscě che a sfondare ilbarile.

La zattera, priva di quell’appoggio, mancňsotto ai naufraghi, ma essendo stata spintainnanzi da quel potente urto, si trovň apochi passi da un banco, sul quale siarenň.

Ali e Sciapal furono lesti a mettersi insalvo, mentre la zigaena, nuovamenteferita, si dibatteva furiosamente,sollevando colla robusta coda delle vereondate.

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- Alla costa - disse il capitano.

Raccolsero i loro viveri e gli oggettisalvati e s’inoltrarono attraverso lescogliere, lasciando che la zattera sisfasciasse a suo comodo fra le onde dellarisacca. Essendo quelle scoglierecollegate fra loro da banchi di sabbia chela bassa marea aveva lasciati quasiscoperti, era un’impresa facileraggiungere la costa meridionale dellaPiccola Andamana.

Giŕ non distavano che cento passi, quandoSciapal, che camminava dinanzi ad Ali,s’arrestň dicendo:

- Padrone, vedo un’ombra vagare sotto glialberi della costa.

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- Pandu, forse? - chiese il capitano.

- Non lo posso distinguere bene.

Ali accostň due dita alle labbra, emisedue fischi acuti, poi tese gli orecchi. Nonfurono gli abbaiamenti del fedele cane chegli risposero, ma una di quelle gridarauche, paurose, che altre volte avevaudite nelle folte jungle del Bengala.

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LE ISOLEANDAMANE

Le Andamane sono un gruppo d’isolesituate in mezzo al vasto golfo delBengala, piů vicine alle Birmania cheall’India, essendo situate fra ilquattordicesimo grado di latitudinesettentrionale e l’ottantaduesimo el’ottantatreesimo grado di longitudine. Illoro numero č considerevole, masolamente sei hanno una superficienotevole e la maggiore č quella chiamatala Grande Andamana, la quale ha una

lunghezza di trenta leghe e una larghezzamedia di otto: baie moltissime, montagne

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alte e boscaglie immense.

Quantunque queste isole siano cosěprossime all’India, la cui civiltŕ čantichissima, molto piů di quella europea;e quantunque siano situate in un golfo cosěpercorso da un infinito numero di naviappartenenti a tutte le nazioni del mondo,cosa strana, inesplicabile, si puň dire cheanche oggidě ben poco si sa intorno aquelle terre e sui loro abitanti.

Perfino gl’inglesi, padroni di quei mari edelle terre vicine, non se ne sono quasimai occupati e quantunque si vantinopossessori di quelle isole, non vi tengonoalcuna guarnigione. Č pero vero che moltianni or sono, nel 1789, occuparono unadelle piů piccole, fondando una colonia

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penale a Port-Blair, ma tre anni dopo,decimati dal clima assolutamentemicidiale agli europei, l’abbandonaronoper farvi ritorno alcuni anni dopofondando Port-Corwall, ma che piů tardipure abbandonarono.1

Sembra che queste isole, al pari di quelledi Nicobar che si trovano piů al sud, sianole sommitŕ di una catena di montisottomarini, i quali dipartendosi dallacosta settentrionale di Sumatra terminanonelle vicinanze del capo Negrais situatonel Pegů.

Appunto per questo sono tutte montagnose,specialmente la Grande Andamana che haun monte alto 2400 piedi chiamato Piccodella Sella. Qualcuna, come quella di

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Basser, che č situata a circa quindicileghe del gruppo principale, ha deivulcani i quali lanciano ad una enormedistanza dei massi del peso di ben centoquintali.

Quelle montagne perň, sono fatali a quelleterre, perché essendo esse situate inquella parte dell’Oceano Indiano ovedomina con maggior violenza il monsonedel sud-est, arrestano le nubi, sicché ottomesi dell’anno sono inondate da continuepiogge.

Quell’abbondanza eccessiva d’acqua chesi raccoglie nelle immense e folte forestedi quelle isole, rende il soggiorno bentriste e anche micidiale. Quell’umiditŕcostante cagiona febbri terribili, le cosě

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dette febbri de’ boschi, contro le qualinulla puň, nemmeno il chinino.

Se gli europei non possono reggere e seperfino gl’isolani ne soffrono, neavvantaggia la flora la quale si sviluppastraordinariamente. Dalle spiagge allevette piů alte, i boschi si succedono: ifichi dell’India, i mandorli, gli alberi chedanno l’olio, gli alberi del ferro, idammar che producono la resina, i bambůgiganti, i legni rossi, gli ebani, i suduo chedanno un ottimo legname da costruzione, ikoutch che producono la cosě detta terragiapponica, i manghieri ecc.

nota 1 Nel 1858 hanno fondata una

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piccola colonia penitenziaria, ma č quasidisabitata in causa del perfido clima chedistrugge forzati e guardiani.

vi sono a milioni. Cosa curiosa perň: icocchi, che sono cosě abbondanti in tuttele isole indiane, sono invece rarissimialle Andamane. Tre o quattromilaindividui abitano quelle terre chepotrebbero contenerne comodamentequattrocentomila. Non hanno centri:vivono come i veri selvaggi in fondo ailoro tetri e umidi boschi o alle estremitŕdelle loro baie, cacciando gli animalicolle lance e colle frecce o pescando condelle piccole reti. Non avendo abitazioni,poiché si accontentano d’un riparo

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qualunque, errano a capriccio conducendocon loro le famiglie, alle quali perň assaici tengono e che proteggono con selvaggiofurore contro qualunque attentato. Sembrache non isdegnino, quando si presental’occasione, la carne umana, ma non fumai accertato ciň.

Questi indigeni che conducono la vitadegli animali delle foreste, hanno forseuna sola virtů: il sentimentodell’indipendenza. Č per questo che sonoinsocievoli e sospettosi, che fanno cattivaaccoglienza agli stranieri che osanosbarcare sulle loro spiagge. Se poi siaccorgono che si attenta alla loro libertŕ,accorrono tutti in difesa delle loro terre,combattendo con una ferocia senza pari.Gli andamani sono senza dubbio gli

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uomini piů piccoli della regione asiatica,poiché gli uomini in generale nonsuperano un metro e quaranta centimetrid’altezza e le donne giungono appena adun metro e trentadue centimetri; sono perňproporzionati.

Hanno la testa piccola e rotonda, collocorto ma grosso, corpo robusto, ma lespalle poco larghe, ventre piuttostoprotuberante, fronte alta, fisonomiabestiale e stupida. I loro occhi sonopiccoli, il naso pure piccolo e nondepresso, le labbra grosse e la loro pelleč bruno-oscura come quella dei cafri.Sono tutti bravi pescatori e abilissimicacciatori, ma anche grandi divoratori,quando si presenta l’occasione. Masembra perň che siano anche in grado di

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sopportare dei lunghi digiuni senzasoffrire troppo.

Non sanno rizzare alcuna costruzione,nemmeno una misera capanna come sannofare tutti i selvaggi del globo, ma sonoperň abilissimi nel costruire i canotti chescavano nei lunghi e grossi tronchi deglialberi. La loro religione consistenell’adorare la luna che salutano congrida e con danze rassomiglianti alkorrobory degli australiani. Hanno pure uncerto rispetto pei morti che seppellisconocolle gambe piegate e che poidissotterrano per conservarne le ossa.

Ali e il malabaro, nel momento in cui si

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preparavano ad approdare alla PiccolaAndamana, che č la piů meridionale delgruppo, come si disse, si erano bru

scamente arrestati, scorgendo quell’ombranera vagare, con passo silenzioso, sullaspiaggia.

L’urlo emesso da quell’animale, avevafatto impallidire il marinaio e corrugare lafronte al capitano della Djumna. Natientrambi nell’India, l’avevano udito benaltre volte nelle jungle e fra i cannetigiganti della foce del Gange peringannarsi.

- Ecco un’accoglienza che non miaspettavo - disse Ali, arrestandosi dinanziall’ultima scogliera. - Sarŕ cosa prudente

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ricaricare le mie pistole.

- Vuoi assalire quella tigre, padrone? -chiese Sciapal, che batteva i denti.

- Se avessi fra le mani una buonacarabina, ardirei forzare il passo, ma conqueste pistole sarebbe una pazzia chepotrebbe costarmi la pelle.

- Non possiamo approdare piů lontani?

- L’acqua č profonda attorno allascogliera, Sciapal. Se vogliamoapprodare, bisognerŕ proprio fugarequella dannata bestia.

- Aspettiamo l’alba.

- Ma se l’alta marea sopraggiunge, coprirŕ

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questi scogli e noi faremo un bagno moltolungo. Il flusso viene dall’est e si elevaordinariamente otto piedi e né io né tutocchiamo i sei. Vedi bene che vi sarŕtanta acqua da annegarci.

- Nuoteremo, padrone.

- E perderemo le nostre provviste.

- Cosa vuoi fare adunque?

- Giungere a tiro e scaricare le mie armi.La tigre potrebbe spaventarsi e lasciarci ilpasso libero. Animo, Sciapal: andiamo avedere se Sua Signoria, come la chiamatevoialtri, si decide ad andarsene.

- Ti sbranerŕ, padrone. Puň essere unatigre admilanevallah (tigre che ha

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assaggiata la carne umana).

- Meglio, cosě avrŕ minor slancio,essendo le admikanevalla quasi semprevecchie.

Caricň le sue pistole con grande cura equantunque il malabaro continuasse asconsigliarlo, salě risolutamente lescogliere, avanzandosi con precauzioneverso la costa.

La tigre ronzava sempre sulla spiaggia,tenendosi sotto la fosca ombra proiettatadagli alberi, ma se non era semprevisibile il suo corpo, la tradivano i suoiocchi dai riflessi giallastri.

Pareva in preda ad una certa agitazione,

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poiché non sostava un istante, ma non sidiscostava troppo dalla scogliera. Dovevaaver compreso che i due uomini, nonavendo altri passaggi, erano costretti adapprodare in quel luogo e si teneva prontaa piombare su di loro.

Probabilmente doveva essere moltoaffamata, perché di solito, questi ferocianimali non osano assalire di fronte senon sono prima feriti. Preferisconol’assalto improvviso in mezzo ai boschi enon sempre ardiscono prendersela cogliuomini, soprattutto se sono di razzabianca; sapendo ormai per esperienza,specialmente quelle dell’India, che sonosempre meglio armati e piů risoluti degliindigeni.

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Vedendo Ali avanzarsi, la tigre lasciň glialberi e si spinse verso la spiaggia,strisciando fra le folte erbe che coprivanoil penděo ed emettendo dei sordimiagolěi. Sembrava proprio decisa adassalire i due naufraghi. Ali giunto a ventipassi, s’arrestň dietro ad una roccia,volendosi tenere fuori di portata dalloslancio della pericolosa avversaria.

Alzň lentamente la pistola che tenevanella destra, mirň alcuni istanti con grandeattenzione, poi premette il grilletto.

La belva, colpita di certo dalla palla delvalente tiratore, fece un balzo in arialanciando un furioso miagolěo ma cherassomigliava ad un vero ruggito, moltopiů rauco e piů prolungato di quelli che

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mandano i leoni, poi appena ricaduta, sislanciň innanzi, ma Ali aveva puntatarapidamente la seconda pistola. Sia che latigre si fosse accorta di essere stata cosěgravemente ferita da non essere piů ingrado di piombare, con un grande salto,sulla preda o che fosse spaventata dalluccicare della canna percossa dai raggidella luna, s’arrestň bruscamente, poi fattoun rapido voltafaccia, scomparve sotto lacupa ombra degli alberi.

- Buon viaggio - le gridň dietro Ali. - Horisparmiata una palla che piů tardi avreiforse rimpianta.

- č fuggita? - chiese il malabaro.

- Non la vedo piů - rispose

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l’angloindiano.

- O che invece si sia nascosta perpiombarci addosso a tradimento? - Credoche abbia compreso che non siamo uominida lasciarci mangiare come due bistecche.Odi nulla?

- No, padrone.

- Allora possiamo salire la sponda.

- Sta’ in guardia, padrone.

- Ricaricherň prima la pistola e apriremobene gli occhi.

Cacciň una nuova carica nell’arma che loaveva cosě bene servito, poi s’arrampic ňsulla spiaggia, seguito da Sciapal.

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Giunti sotto i primi alberi s’arrestaronoscrutando attentamente le erbe e le piante,tesero gli orecchi ascoltando conprofondo raccoglimento, poi rassicuratidal silenzio che regnava in quel luogo, sisdraiarono ai piedi di un mangostanoselvatico.

- Aspettiamo l’alba - disse Ali. - Domanivedremo cosa si potrŕ fare, per uscire daquesta situazione che e cosě poco allegra.

- Dici disperata, padrone.

- Non ancora, Sciapal.

- Hai qualche speranza di abbandonarequest’isola selvaggia?

- Non ho alcuna intenzione di terminare i

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miei giorni fra queste foreste.

- Ritorneremo un giorno al Bengala?

- Voglio rivedere ancora mio fratelloEdoardo. Povero ragazzo! Come sarŕinquieto, non ricevendo piů alcuna mianotizia!

- Qualche volta le navi approdano aqueste isole?

- Mai, Sciapal, anzi le evitano con grandecura, sapendo che nulla hanno daguadagnare dai selvaggi andamani.

- Non so allora in quale modo noilasceremo questa isola.

- Lo troveremo.

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- Ricorrendo ai selvaggi?

- Tutt’altro: cercheremo di tenerci lontanida loro.

- Allora bisognerŕ costruirci unascialuppa.

- Vedremo, Sciapal.

S’appoggiarono contro il tronco delmangostano, tenendo le armi dinanzi aloro e attesero pazientemente chespuntasse l’alba.

La luna tramontava rapidamente assiemealle stelle, mentre verso orientecominciava ad apparire una pallida luce.Fra qualche ora il sole doveva spuntaresull’orizzonte.

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Un silenzio quasi assoluto regnava suquella costa, che doveva esserecertamente disabitata, e sotto i grandi ecupi boschi. Solamente le onde venivanoa morire, gorgogliando, fra le scogliereche si estendevano, per un lungo tratto, indirezione del banco, presso cui erasiinabissata la Djumna. La tigre dovevaessersi allontanata, poiché non si era piůudito il suo rauco urlo. Forse ne avevaavuto abbastanza di quel colpo di pistola.Anche gli abbaiamenti del nero Panduerano cessati. Forse il fedele cane si eraspinto assai lontano colla speranza dirichiamare l’attenzione di qualcheselvaggio, aiuto niente desiderato dal suopadrone, almeno pel momento. I duenaufraghi, entrambi silenziosi, tendevanoperň accuratamente gli orecchi, non

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ignorando che in quelle foreste mille sonoi pericoli da cui guardarsi e aprivanobene gli occhi, scrutando la fitta e ancortenebrosa massa di verzura. La pallidaluce intanto aumentava sempre, tingendo ilmare di riflessi color dell’acciaio efugando i notturni flying-fosc, stranivolatili, somiglianti a giganteschipipistrelli, colle ali nere che misuranosovente un metro, il corpo rivestito da unafolta pelliccia rossastra e la testaappuntita come quella delle volpi. Fra leerbe acquatiche ed i paletuvieri, siudivano giŕ innalzarsi delle strida rauche.Gli uccelli della spiaggia cominciavano asvegliarsi, salutando l’alba.

- Sono oche emigranti - disse Sciapal,vedendo Ali guardare verso i paletuvieri.

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- Un arrosto eccellente - rispose ilcapitano.

- E facile da procurarsi, quando sipossiede un fucile carico a pallini, poichévolano in grandi bande. Con una scaricase ne possono gettare parecchie a terra; misorprende perň che quelle oche si trovinoancora qui.

- E perché, Sciapal?

- Perché ai primi d’agosto soglionoabbandonare le isole ed emigrare nelBengala e nell’Orissa, dove vanno anidificare.

- Sei certo?

- Conosco le abitudini di questi uccelli

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emigranti.

- Credi che anche queste oche lascerannopresto l’isola?

- Fra qualche giorno si affretteranno araggiungere le compagne. Ma perchét’interessi tanto di questi volatili,padrone?

- Perché possono salvarci, Sciapal.

- Le oche? - esclamň l’indiano, constupore. - Vuoi scherzare, padrone?

- No, Sciapal, ma bisognerebbe che neprendessi una viva.

- La cosa non e difficile, padrone; non haile pistole?

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- Ma se le scarico contro un volatile louccido.

- Niente palle.

- Vuoi abbatterle colla sola polvere?

- No, leva le palle e aspettami.

L’indiano si alzň senza spiegarsi di piů,scese la riva e andň a frugare e rifrugarefra gli scogli e sui banchi. Poco doporitornň, facendo vedere ad Ali due manatedi sabbia un po’ grossa e perfettamenteasciutta.

- Carica le tue pistole con questa -diss’egli. - Le oche cadranno al suolostordite, forse un po’ ferite, ma in grado diriprendere il volo dopo un breve riposo.

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Con un fucile carico di sabbia, ho presogiŕ parecchi uccelli vivi, per un ingleseche voleva conservarli in gabbia.

- Ma le oche sono grosse, Sciapal.

- Ma questa sabbia č pure grossa,padrone. Ecco che le oche cominciano adalzarsi: affrettiamoci finché non siaccorgono della nostra presenza.

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LE OCHEEMIGRANTI

Quantunque, come aveva detto Sciapal,l’emigrazione dovesse essere cominciatagiŕ da alcune settimane, le oche eranoancora numerose su quella spiaggiadeserta.

Si vedevano alzarsi in grandi bande fra ipaletuvieri, volando pesantemente al disopra delle scogliere, mostrando ai primiraggi del sole le loro candide penne, leloro ali orlate di nero ed i loro ciuffisituati sulla testa. Le loro grida rauche ediscordi, risuonavano dappertutto.

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Ali, che aveva caricate le pistole collasabbia e Sciapal, scesa la sponda, sierano appiattati fra gli scogli easpettavano il momento propizio per fareun buon doppio colpo. Pareva perň che leoche avessero fiutato un insolito pericolo,poiché o si tenevano lontane o passavanosopra di loro, fuori di portata.

Ad un tratto perň, uno stormo di due otrecento volatili, che si avanzava dall’est,prese la direzione degli scogli come sevolesse cercare della pastura in vicinanzadella spiaggia.

- Attento, padrone - mormorň Sciapal. -Vengono verso di noi e sono basse assai.

- Sono pronto - rispose Ali.

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Lo stormo in breve si trovň sopra gliscogli, filando proprio sopra le teste deinaufraghi, a soli dieci passi d’altezza. Ali,puntate rapidamente le armi, le scaricň nelpiů folto della banda. Tre oche cadderoperdendo gran numero di penne, mentre leloro compagne, spaventate da quelledetonazioni, si disperdevano mandandorauche grida.

Sciapal si era precipitato sulle prede.Un’oca, colpita alla testa da, qualchegranello di sabbia piů grosso, eraagonizzante, ma le altre due eranosolamente stordite e un po’ spennacchiate.

- Padrone! - esclamň. — Ve ne sono duevive!

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- Bada che non ti fuggano.

- Sto legando le loro zampe.

Mentre l’indiano le imprigionava, Aliaveva sciolto un pezzo di tela cerata cheracchiudeva le sue carte di bordo,cercandovi dentro qualche cosa, ma ad untratto impallidi e lanciň una sordaimprecazione. Si mise a frugarsi le tasche,o palpeggiare le fodere della giacca, masenza alcun frutto.

- Perduta! - mormorň, coi denti stretti.

- Cosa cerchi, padrone? - chiese Sciapal,che lo guardava.

- Una matita che avevo messa fra le cartedi bordo.

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- Cosa volevi farne?

- Ma non hai compreso adunque, a checosa dovevano servirmi le oche? -No,padrone.

- A recare in India la notizia del nostronaufragio.

- Ma… io ho la testa dura e non ticapisco.

— Io volevo affidare a queste due oche undocumento, colla speranza che qualchecacciatore le uccidesse, cosa non forseimprobabile, ammazzandoseneannualmente, soprattutto nelleSunderbunds, delle migliaia. Il cacciatore,trovando quelle note, non avrebbe di certo

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indugiato a recarle alle autoritŕ inglesi.Altri naufraghi, servendosi di altri uccelliemigranti, sono pure riusciti a far giungereloro notizie in paesi molto piů lontani.

- Ed ora non puoi attaccare una carta aquesti volatili?

- Se ho perduto la matita non possoscrivere e…

- Che cosa? - chiese Sciapal, vedendo Alibattersi improvvisamente la fronte edarrestarsi.

- No, Sciapal, tutto non č perduto.

- Cosa vuoi dire, padrone?

- Fra le carte di bordo ho i documenti

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necessari. Credendomi ormai perduto,avevo scritto giorno per giorno, tutto ciňche era accaduto, sperando che qualcunoabbordasse la grab e mi vendicasse.

Aprě rapidamente il giornale di bordo elevň cinque foglietti, tre dei qualiparevano pezzi di pagine strappate, macoperti di una calligrafia fitta, gli istessiche un mese dopo dovevano cadere nellemani del tenente Oliviero Powell e delvecchio Harry.

- Ecco le mie note - disse, mostrandole aSciapal. - Non mancano né le date, né lamia firma, né tutto ciň che puň costituireuna terribile accusa contro quelle canagliedi Garrovi e di Hungse. Ah!… Se potessiaggiungere che la Djumna č andata a picco

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e che io, assieme a te, mi sono salvatosulla costa della Piccola Andamana!…

- Non lo avevi scritto? - chieseingenuamente Sciapal.

- Come volevi che io sapessi che avreiriacquistata la libertŕ? Queste note siarrestano al 20 agosto, anzi l’ultimoperiodo č spezzato, poiché nel momentoche stavo ultimandolo, ho udito il tuopasso e mi sono bruscamente arrestato.Guarda, la scrittura finisce qui: ŤIl miocane non urla piů. Ha guadagnato la terraod č morto? Eppure io…ť Perň sottol’ultimo foglio, per precauzione, avevo giŕfatta la mia firma, temendo che qualcheavvenimento improvviso potesseimpedirmelo.

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- Affidiamo egualmente, a una di questeoche, i tuoi foglietti.

- č quello che farň, Sciapal.

- Ma l’oca, tuffandosi in mare perprendere i granchiolini o per impadronirsidelle erbe acquatiche, non guasterŕ idocumenti?

- Li ripareremo per bene colla tela cerata.

- Che poi spalmeremo di gomma - disseSciapal, che guardava gli alberi dellacosta. - Vedo lŕ delle piante gommifereche ci daranno una specie di resina,facendo una incisione sul tronco.

- Va’ a raccoglierne un po’ in un gusciod’ostrica.

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Mentre l’indiano risaliva la costa, Aliaveva ripiegati in quattro i foglietti, poitagliň un pezzo di tela cerata e li misedentro, legando e rilegando il pacchettocon un pezzo di cordicella.

Aveva giŕ scelto l’oca piů robusta,quando Sciapal ritornň. Portava unaconchiglia ripiena di materiaattaccaticcia, resinosa e una fibravegetale, sottile, solida e lucente come laseta.

- Lega il pacchetto con questa fibra - dissead Ali. - Resiste all’acqua molto piů dellecorde di canapa.

Coprirono la tela d’uno strato di quellamateria resinosa, poi legarono il

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pacchetto sotto l’ala destra dell’ocascelta, assicurandolo in modo che ilvolatile non potesse perderlo.

- Va’ ora al tuo destino e possa tu, collatua morte salvarci - disse Ali. L’oca,sentendosi libera, s’innalzňrumorosamente gettando un grido rauco evolň verso l’est, radendo la superficie delmare. I due naufraghi, che parevano assaicommossi, la seguirono cogli sguardi,finché si perdette sul luminoso orizzonte.

- Speri, padrone? - chiese Sciapal.

- Penso che se Dio ci ha salvati, veglierŕancora su di noi.

— Credo che anche il mio Dio non

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abbandonerŕ uno dei suoi piů devoti

credenti - disse l’indiano. - Sono in due:speriamo che facciano piů d’uno

solo.

Ali non potč frenare un sorriso, allariflessione del fervente seguace di Siva.

- Andiamo a far colazione, Sciapal -disse. - Arrostiremo una di queste oche.

- Ne ho bisogno, padrone. Son sfinito dallungo digiuno e per la perdita del sangue.

Risalirono la spiaggia e sedutisiall’ombra di un damrnar, dal cui troncopoco prima Sciapal aveva estratta laresina, accesero un allegro fuoco, avendo

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portato con loro l’acciarino e dell’esca.

Spennacchiarono rapidamente l’oca, lasventrarono e infilatala in un ramostrappato ad un albero del ferro, cosichiamato per l’estrema durezza del suolegno, la misero ad arrostire sui carboni.

Mentre l’indiano si occupava a girare erigirare l’arrosto, Ali si era messo apercorrere il margine di quella forestaimmensa, per vedere se vi erano dellefrutta da raccogliere.

Enormi gruppi d’alberi crescevano gli uniaccanto agli altri, lasciando radi passaggi,ma non erano fruttiferi. Si vedevanomacchioni di taipot, delle cui fogliegl’indiani si servono per fare dei

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bellissimi e artistici ventagli; di palmezuccherine, di borassi flabelliformi, dibetel, di sandalo rosso dal dolce profumo,di nagassi o alberi del ferro e di palmed’ogni specie, ma tutte selvatiche.Abbondavano invece i fiori in mezzo aquei boschi, spandendo all’intorno acutiprofumi. Si vedevano dei gruppi dimussende frondose cariche di corollepurpuree ricoperte da grandi fogliebianche, di sidrimani, che si aprono allequattro del mattino e che si rinchiudononel pomeriggio alla stessa ora, con

una esattezza cronometrica; e parecchie diquelle piante chiamate melanconiche,perché invece si aprono alla sera e sirinchiudono all’alba. Girando e rigirando,Ali potč finalmente scoprire un

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giacchiero, albero che non ha le fruttasospese ai rami come nelle nostre piante.Il frutto, che č cosi grande da bastare persei od otto persone, pesandoordinariamente trenta libbre, escedirettamente dal tronco. č d’un bel coloregiallo dorato e d’una fragranza cosi acuta,che nelle case dove viene mangiato,l’odore si conserva parecchi giorni dopo.

Ali lo staccň, se lo caricň sulle spalle eritornň al campo nel momento in cui ilmalabaro stava levando dal fuocol’arrosto.

Essendo assai affamati, fecero moltoonore al pasto, poi si distesero sullafresca erba, all’ombra dell’albero.

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- Ora discorriamo - disse Ali. - Mentreandavo in cerca di frutta, pensavo allanostra situazione e al miglior modo diuscirne.

- E l’hai trovato questo mezzo, padrone?Si tratta forse di scavare una scialuppa?

- Con una scure cosi piccola sarebbe unlavoro lunghissimo e quasi impossibile.Credo che sarebbe migliore partitorisalire la costa verso il nord, quellaorientale od occidentale e cercarcelo uncanotto.

- Cercarlo! Ma dove?

- Gli andamani ne posseggono, essendo icostieri tutti bravi pescatori.

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- Speri di trovare qualche villaggio?

- Si, Sciapal.

- E ce lo cederanno un canotto?

- Ce lo prenderemo noi, approfittando diqualche notte oscura.

- E dove andremo poi?

- Cercheremo di giungere alle isoleMergui nel golfo del Pegů.

- Ma… e il documento affidato all’oca?

- Non dobbiamo contare esclusivamentesu quel volatile, Sciapal. Se non venisseucciso, a cosa ci gioverebbe?

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- č vero, padrone.

- E poi, invece di percorrere le costeorientali ci terremo su quelle occidentali,cosi potremo vedere se una nave approdaper cercarci.

- Quando partiremo?

- Sei stanco?

- No, padrone, ma farei volentieri unadormita d’un paio d’ore.

- Allora chiudiamo gli occhi eschiacciamo un sonnellino. Di giorno lefiere non lasciano i loro covi e nessuno cidisturberŕ.

Rassicurati dal silenzio che regnava nei

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vicini boschi e invitati dal monotonogorgoglio delle onde che venivano amorire fra le scogliere, non tardarono adaddormentarsi.

Quel sonno si prolungň piů di quantoavevano stabilito, poiché quandoriaprirono gli occhi, il sole scendevalentamente verso occidente. Essendoviperň ancora parecchie ore di luce,decisero di porsi egualmente in cammino.Raccolsero i loro viveri, si armarono d’ungrosso bastone per difendersi contro iserpenti che non dovevano mancare inquell’isola boscosa e si misero in marcia,costeggiando le immense boscaglie.

Gli alberi si succedevano agli alberi,senza lasciare passaggi verso l’interno

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dell’isola. Primeggiavano soprattutto itek, alberi grandissimi, frondosi, collacorteccia assai resistente e di color bigio,colle foglie poste l’una dirimpettoall’altra, aguzze, argentee sotto epunteggiate di bianco sopra e carichi digruppi di fiori bianchi in forma dipannocchie.

Questi colossi sono ricercatissimi,essendo il loro legno quasi incorruttibile eperciň adoperato nella costruzione deivascelli.

La loro ombra č perň nocevole e glioperai incaricati del taglio di quellepiante soffrono assai, e di radoraggiungono una etŕ avanzata.Abbondavano pure gli alberi della

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cannella o cinnamomi, piante di altezzamediocre, ricche di rami, colla cortecciacolor grigio oscuro, le foglie lunghe,d’una bella tinta verde sopra e piů pallidasotto e carichi di certe frutta carnose informa di olive, di un colore azzurrastropicchiettato di bianco. Č dalla scorza diqueste piante che si estrae la cannella.Non mancavano anche varie piante chesarebbero state utilissime in altre regioni,ma che non dovevano essere di alcungiovamento ai selvaggi abitanti diquell’isola. In mezzo a quel caos divegetali si vedevano apparire gruppi dijusticia tinctoria dalle cui piante si ricavauna bella tintura verde assai adoperata inIndia; dei rayoc che producono un colorgiallo assai ricercato; dei lausoniaspinosa che danno il legno rosso e grandi

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macchioni di poan dalle cui frutta siricava l’olio.

In mezzo a quei fitti vegetali, si vedevanoapparire molti uccelli. Dei pappagallidalle penne variopinte, dei chiurli, unaspecie di cuculi che emettevano dellegrida melanconiche, delle grosse civettecogli occhioni giallastri che guardavanostupidamente i due naufraghi e stormi diquei piccoli rosignuoli chiamati bubul,molto leggiadri, colle penne picchiettate ela coda rossa, con un ciuffo di piumemobili sul capo che da loro un’ariagalante. Si vedevano lottare fra di loro,cercando di colpirsi col becco e collezampine, essendo assai battaglieri. Moltospesso non cessano la lotta se uno ol’altro degli awersari non soccombe.

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Ali e Sciapal continuarono la loro marcia,senza perň affrettarsi e muovendo primacoi bastoni le alte erbe, per tema di veniremorsicati dai serpenti che potevanotenersi celati sotto le foglie secche deglialberi. Il sole era tramontato quandodecisero di accamparsi sotto un grandealbero, d’aspetto maestoso, che crescevaisolato sul margine della foresta e pressoil quale scorreva un rivoletto d’acquadolce.

Divorarono gli avanzi dell’oca arrostita almattino, poi accesero un fuoco perdifendersi dagli animali selvaggi, sapendogiŕ per prova che non osano avvicinarsiad un accampamento illuminato.

Non essendo perň prudente addormentarsi

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tutti e due potendo il fuoco spegnersi, Alis’incaricň di vegliare le prime quattroore. Sciapal, che era meno robusto e piůsfinito in causa del sangue perduto,doveva surrogarlo dopo la mezzanotte.

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LA FUNESTAOMBRA DELMANZANILLO

Ali, riattizzato il fuoco, si era appoggiatoal tronco di quel grande albero chesorreggeva un numero infinito di lunghirami ricadenti verso terra, in formad’ombrello immenso.

Aveva poste dinanzi a sé le pistole, peressere piů pronto ad afferrarle, in caso dipericolo.

Sciapal, disteso al suo fianco su d’unmucchio di foglie fresche, si era subitoaddormentato, russando sonoramente.

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Nessun rumore turbava il silenzio cheregnava su quella costa selvosa. Perfino ilmare taceva, essendo liscio come uncristallo. Solamente in aria si udivano diquando in quando le strida di qualchegrande pipistrello, ma che subito siperdevano in lontananza.

Essendosi il cielo coperto da una cortinadi vapori piuttosto densa, l’oscuritŕ eraprofonda sui margini della foresta e anchesotto quel grand’albero, quantunque ilfuoco proiettasse qua e lŕ degli sprazzi diluce. Ali contava di passaretranquillamente il suo lungo quarto diguardia, parendogli che quella costa nonfosse frequentata da animali pericolosi.Ad un tratto perň, gli parve di provare unostrano malore e gli sembrň, che sotto la

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cupa ombra di quel gigantesco ombrello,si diffondesse lentamente una temperaturatroppo fredda per quel clima che č ardenteanche alla notte. Dapprima non vi fecegran caso, attribuendo quel cangiamento aqualche corrente d’aria freddaproveniente dal mare o dall’umiditŕtrasudante dalla vicina foresta, maaumentando sempre e provando anchequalche brivido, cominciň a diventare unpo’ inquieto.

- Che abbia la febbre? - si chiese. - Mihanno detto che quelle dei boschi delleisole Andamane sono tremende e chespesso uccidono. Si alzň facendo alcunipassi attorno al fuoco, credendo che fosseun malore

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passeggiero, ma i brividi invececontinuavano e piů frequenti. Si sentivascorrere per la ossa come un gettod’acqua gelata.

Si sedette accanto al fuoco per riscaldarsile membra, ma pareva che anche lafiamma avesse perduto il suo calore.

- č strana! - esclamň Ali, le cuiapprensioni aumentavano. - Non ho maiprovato nulla di simile! Che vi siaqualche palude, che esala dei miasmipestilenziali, in questi dintorni? Ma nonmi sembra verosimile che possa farmitremare cosě, come se fossi piombato frale nevi dell’Himalaya.

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Si serrň addosso i panni, ma invano. Ilfreddo continuava a invaderlo: le suemembra tremavano, i suoi denti battevano,lo stomaco pareva che gli si stringesse e ilcuore gli batteva in siffatto modo, dacredere che volesse sfondare lo stomaco.

Ali era coraggioso, lo si sa, ma cominciňa provare un vago terrore, non trovando laspiegazione di quello strano malore.

S’avvicinň a Sciapal per vedere se il suosonno era irrequieto, ma vide che dormivaplacidamente. Gli toccň le membra es’accorse perň che anche quelletremavano.

- Sciapal! - esclamň.

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Il malabaro non rispose: continuava arussare.

- Svegliati - disse Ali, scuotendolovigorosamente.

- Cosa vuoi, padrone? - chiese ilmarinaio, aprendo gli occhi con fatica.

- Dimmi, provi nulla tu?

- Un freddo acuto che mi mette indosso ibrividi. - Null’altro?

- Ma sě… mi pare di non sentirmi bene.

- A cosa lo attribuisci?

- Non lo so, padrone.

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- Alla febbre forse?

- Puň essere un po’ di febbre. Lasciamidormire, padrone; ho la testa pesante epoi… tutto passerŕ.

Il malabaro che cadeva proprio dal sonno,rinchiuse gli occhi e si volse sull’altrofianco, ricominciando a russare.

- Sarŕ l’umiditŕ di queste foreste -mormorň Ali. - Questa indisposizione nonpuň avere altra causa.

Tornň presso il fuoco e vi si rannicchiňaccanto, cercando di scaldarsi, ma le

sue sofferenze aumentavano sempre.

Oltre i brividi e quella sensazione di gelo,

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provava ora dei dolori acuti al capo.

Gli pareva che le tempie gli venisserostrette da un cerchio di ferro, mentre il

cervello gli veniva come percosso da unmartello o attraversato da aghisottilissimi. Alla febbre si era unital’emicrania, ma una emicraniadolorósissima, insopportabile. Cosainesplicabile perň: Ali, fra quellesofferenze, provava pure, di quando inquando, delle sensazioni deliziose! Era unmiscuglio di torture e di benessere.

- Ma che io sia impazzito! - esclamň ilcapitano della Djumna. - Si direbbe cheho preso dell’iuztehis.

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Ad un tratto un sospetto gli attraversň ilcervello. Facendo uno sforzo si rizzň eguardň l’enorme albero che stendevasopra di lui i lunghi e frondosi rami, maquasi nel medesimo istante si sentěmancare improvvisamente le forze e lepalpebre rinchiudersi, come fosse statopreso da un sonno fulminante. Cercň direagire, ma le sue forze se ne andavanorapidamente. Cadde accanto a Sciapal, ilsuo cervello fu preso da un rapidoturbamento e rimase immobile come sefosse morto.

Pure non aveva cessato di vivere, poichécontinuava a respirare, ma affannosamentee per di piů sognava. Ma quali stranisogni! Ora gli parea di vedere sfilarsidinanzi delle splendide donne che gli

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offrivano tazze ricolme di bevandedeliziose; ora delle giovanette che loinvitavano a danzare in mezzo a loro; orainvece dei mostri orrendi, degli animali diproporzioni gigantesche, coperti di lunghipeli, con delle bocche smisurate armate diformidabili denti e che minacciavano didivorarlo in un solo boccone o dellescimmie alte quanta una torre, con dellebraccia smisurate e delle code lunghe unagomena. Poi vedeva delle aurore rosee,dei soli che lo acciecavano col fulgoredei loro raggi, quindi delle nottioscurissime, delle tenebre cosě fitte danon permettergli di vedere nulla, quindinuove luci, nuove oscuritŕ, nuovi mostri enuove visioni.

Quanto dormě? Molte ore di certo, poiché

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quando riaprě gli occhi non era piů notte:uno splendido sole brillava in un cielosenza nubi, facendo piovere su di lui,proprio a piombo, dei raggi ardenti.

S’alzň bruscamente a sedere e con suagrande sorpresa si trovň sulla spiaggia,lontano dal grand’albero sotto cui erasiaddormentato. Girň intorno gli occhistupiti e vide a pochi passi un grosso canenero, che stava trascinando Sciapal, ilquale pareva ancora profondamenteaddormentato. Un grido gli irruppe dallelabbra: - Pandu!

Il fedele cane, udendo la voce del padroneabbandonň il malabaro e gli balzňaddosso emettendo latrati giocondi.Pareva che fosse impazzito: lo leccava,

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gli posava le zampe sulle spalle, come sevolesse abbracciarlo, gli balzava attornoagitando festosamente la lunga e villosacoda, poi correva dal malabaro abbaiandoe lambendogli il viso come se volesseforzarlo a svegliarsi.

- č stato adunque Pandu? - si chiese Ali. -Ma perché ci ha trascinati qui?

Ma… toh! Non provo piů il malore che miaveva colto ieri sera e non ho piů

freddo!

S’alzň: era ancora un po’ debole, ma lasua emicrania ed i suoi brividi erano

scomparsi. Guardň l’albero gigantescoche si rizzava isolato sul margine della

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foresta: un grido gli sfuggě.

- Ora comprendo tutto! - esclamň.

In quel momento Sciapal, svegliato dagliabbaiamenti del cane, si rialzava.

- Padrone! - gridň. - Quando č ritornato ilnostro fedele cane?

- Non lo so.

- Ma… perché mi hai trascinato qui?

— č Pandu che ci ha sottratti all’ombravenefica di quell’albero. Se non citrovava, a quest’ora noi saremo morti,Sciapal.

- Morti! Ma cosa č accaduto adunque,

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mentre io dormivo?

- Guarda sotto quale albero ci eravamosdraiati.

Il malabaro guardň la pianta gigante e nonpotč trattenere un moto di terrore.

- Un manzanillo! - esclamň.

- Sě, Sciapal, noi ci eravamo coricatisotto quell’albero la cui ombra, come tusŕi, uccide.

- Ora si spiegano i nostri brividi e lasonnolenza irresistibile che mi avevainvaso.

- Sě, Sciapal. Se Pandu, guidato dal suomeraviglioso istinto, non veniva a

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trascinarci via, nessuno di noi avrebberiveduto l’alba di domani od il tramontodi questa sera.

- E non ci eravamo accorti d’essercicoricati sotto l’ombra d’un manzanillo!D’ora innanzi, guarderemo prima glialberi che ci serviranno di ricovero,padrone.

- Lo credo, Sciapal, poiché siamo sfuggitialla morte miracolosamente. BravoPandu! Quanta affezione e quantaintelligenza in questo animale!

- Ma dove sia stato finora?

- Forse avrŕ vagato per le forestecercando dei selvaggi.

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- Che qualche banda di andamani lo seguada vicino?

- Quei selvaggi sarebbero giŕ giunti qui epoi vedo che Pandu non da segno diagitazione.

Infatti il cane era tranquillo e si tenevasdraiato ai piedi del suo padrone, senzastaccare da lui gli occhi. Doveva essereassai stanco perň, poiché ansavafortemente, come avesse fatto unalunghissima corsa.

- Povero Pandu - disse Ali,accarezzandolo. - Forse sarai anche moltoaffamato. Accendiamo il fuoco, Sciapal, earrostisci la seconda oca, mentre io vadoa cercare delle ostriche.

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Mentre il malabaro raccoglieva dei rannisecchi, Ali scese la sponda seguito

dal cane. Avendo notato che dei banchi disabbia, lasciati scoperti dalla bassamarea, si spingevano molto al largo,voleva dare anche uno sguardň alla costala quale descriveva, in quel luogo, unacurva sporgente. Quei banchi eranotappezzati di quelle splendide conchiglie,cosě ricche di tinte e cosě svariate diforme, che non si trovano che nell’acquedell’Oceano Indiano.

Si vedevano le magniftche murex ramosa,grandi assai, bianche con riflessimadreperlacei all’esterno, i bordi internirosa pallidi e l’estremitŕ terminante in unapunta aguzza; le triton, pure assai grosse,

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acuminate inferiormente striate di bianco,di nero, di azzurro, di caffč, le ovalicymbrium, dall’apertura vastissima, gialleall’esterno, ma rosse sui bordi interni eincrostate di madrcperla e una grandequantitŕ di quelle conchiglie bianchissime,piccole, dette kauri e che presso diversipopoli dell’Africa e dell’Asia vengonoadoperate come moneta spicciola.

Nell’Oceano Indiano non costano checinque o sei lire ogni sacco, il quale necontiene ordinariamente dodicimila, manei paesi lontani accrescono il lorovalore. Giŕ nel Siam ogni sacco si pagadieci e perfino dodici lire, ma il loroprezzo aumenta considerevolmente inAfrica, perché, cosa stranissima, quellepiccole conchiglie che si pescano anche

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sulle spiagge di Zanzibar, servono dimoneta anche in molti stati dell’internodell’Africa!

Nel Bornů e nel Vaddai, stati che sonosituati al di lŕ del deserto di Sahara, hannoancora valore. A Cuca, per esempio,tremilacinquecento conchiglie bianchecostano cinque lire; a Kano popolosa ericca cittŕ del Bornů, se ne danno invecequattromilacinquecento allo stesso prezzoed a Rupe settemila. Si puň immaginarequante persone o quanti animali sononecessari per un povero negoziante chedebba fare degli acquisti per alcunemigliaia di lire, quando si pensi che unuomo non puň portare piů di trentamilakauri che rappresentano un valore ditrentuna lira, un cavallo appena

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sessantamila e un asino quarantamila!

Ali fece un’ampia raccolta di molluschi,impadronendosi anche di un limulus,stravagante crostaceo, difesosuperiormente da una specie di corazzaossea somigliante a quella delletestuggini, divisa per metŕ nella parteinferiore, del diametro di quarantacentimetri e fornita d’una coda assailunga, poi si spinse attraverso ai bambůper esaminare la costa.

Nessun villaggio si scorgeva su quellespiagge, né alcun canotto solcava queltratto di mare. La grande ed impenetrabileforesta si estendeva, senza interruzione,verso il nord-nord-ovest, spingendo leradici fino alle prime scogliere.

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- Bah! Troveremo qualche barca un dě ol’altro - mormorň. - Č impossibile chetutta questa costa sia deserta.

Prese le sue conchiglie e ritornň sullaspiaggia, dove Sciapal stava cucinando laseconda oca.

Verso le dieci del mattino, dopo di essersisatollati, si rimettevano in camminoseguendo sempre il margine della foresta.

FRA LE FORESTE DELLA PICCOLAANDAMANA

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Per quattro giorni i naufraghi dellaDjumna proseguirono il loro cammino, mafacendo pochissima strada in causa dellegrandi curve che descriveva la spiaggia edegli ostacoli che incontravano sul loropassaggio, essendo sovente costretti adaprirsi il passo fra i vegetali, adoperandola scure. Il quinto giorno, avendo esauritele loro scarse provviste, decisero diarrestarsi per cercare delle nuoveprovvigioni. Gli alberi che fino alloraavevano veduti, non avevano frutta, manell’interno della foresta speravano ditrovarne, sapendo che la flora delle isoleAndamane non č molto diversa da quelladella vicina India.

Dopo d’aver rizzato un ricovero conalcuni bastoni e poche foglie di mecche,

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preceduti dal cane, si avventurarono nellaoscura e umida foresta, aprendosipenosamente il passo fra quel caos divegetali e aprendo per bene gli occhi pernon venire sorpresi da qualche tigre chepoteva tenersi in agguato. Prima perň dimettere i piedi innanzi, frugavano le erbee le foglie secche coi bastoni, per fugare irettili. Avevano giŕ veduto qualcheminute’Snake o serpente del minuto, unodei piů piccoli della specie, nongiungendo ai venti centimetri di lunghezza,con un diametro di tre o quattromillimetri, colla pelle nera a macchiegiallastre, ma uno dei piů terribili, poichéin novantasei secondi uccide l’uomo piůrobusto.

Anche alcuni biscobra erano stati veduti

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fuggire sotto le foglie secche. Quellegrosse lucertole, d’aspetto orribile, irte dipunte, colla lingua divisa in due dardicornei, non sono meno da temersi dei piůpericolosi serpenti, anzi sono forsie piůpotenti, emettendo un veleno attivissimo,senza rimedio. Mentre sulla sponda delmare regnava un silenzio quasi assoluto,sotto quella foresta satura di umiditŕ,infetta di quei miasmi pericolosi cheproducono le febbri dei boschi, si udivanomille rumori. Insetti che stridevano, fischilamentevoli, urla lontane, cicalecci,ronzěi acuti.

Fra le erbe si vedevano correre acentinaia, a battaglioni, quelle formichebianche chiamate termiti fatali o caria, unpo’ piů grosse delle nostre, col corpo

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biancastro e la testa gialla, ma armnate ditenaglie d’una robustezza incredibile.Nulla puň resistere alle mandibole quasiinvisibili di quei piccoli esseri. Riduconoin brandelli i panni, i cuoi piů spessi;trapanano e polverizzano i legni piůresistenti, forano i muri delle casescavandosi delle gallerie tortuose deldiametro d’un porta-penne, distruggono oindeboliscono le travature mettendo inpericolo le costruzioni piů robuste esbriciolano perfino le ossa! Poi eranoscolopendre o centogambe, ma didimensioni esagerate, che fuggivanonascondendosi in mezzo ai cespugli.Questi insetti, cosě numerosi in tuttal’India e nelle isole vicine, sono di uncolore rossastro, col dorso coperto disquame ed il ventre biancastro e sono

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lunghi talvolta parecchi pollici: i duenaufraghi si guardavano bene dalle loromille punte che sono velenose come imorsi degli scorpioni.

Talora invece erano grossi ragni vellutati,non meno pericolosi, che intessevanodelle ragnatele cosě robuste daimprigionare i piccoli volatili o degliscorpioni di tutte le specie e di tutti icolori che Sciapal s’affrettava a fugare oad accoppare con un buon colpo dibastone.

I volatili non mancano in mezzo agli altirami di quegli alberi. Si vedevanonumerosi corvi appollaiati sulle cime deidammar, dei bozzagri, dei nibbi, deipappagalli che cicalavano a piena gola,

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delle tortorelle colle penne bianche chelanciavano deboli grida, dei grossipiccioni colle penne variopinte e di trattoin tratto delle Joscie pMippine, rittesull’orlo dei loro nidi barcollanti, informa di bottiglia, meravigliosamenteintrecciati con una specie di cotone e conpagliuzze e sospesi ai rami con un filoleggero.

Ali e il malabaro avevano percorsocinque o seicento metri, quando il cane siarrestň, facendo udire un sordo brontolěo.

- Qualche animale? - chiese Ali, armandoprecipitosamente una pistola.

- Ora lo sapremo - disse il malabaro.

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Scostň con precauzione i rami chegl’impedivano di vedere piů oltre, masubito si ritrasse mormorando con vocerotta:

- Un malapŕmba, padrone!

- Cos’č questo malapŕmba? - chiese Ali.

- Uno di quegli enormi serpenti che sitrovano anche nelle foreste del mio paese.

- Sono pericolosi quei rettili?

- Non sono velenosi, ma si dice chestritolano le persone fra le loro spire.

- Vediamo, Sciapal.

Ali allontanň i rami e ai piedi di un

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manghiero vide un serpente cosě lungo,che mai ne aveva veduto uno simile nelBengala. Misurava venti piedi ossia piů disei metri, con una circonferenza di cinquepalmi e la sua pelle era coperta di scaglieverdastre con delle chiazze oscure.

L’enorme rettile stava assorbendo un caneselvaggio, una specie di sciacallo colpelame corto, bruno fulvo e la coda rosa,grosso quasi quanto un lupo, e

che di certo aveva sorpreso durante lanotte. Ne aveva ingoiato giŕ mezzo e si

sforzava di mandar giů anche il rimanente,dilatando piů che poteva la sua

bocca.

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Questi serpenti, al pari dei tornilivenganaa, che sono pure lunghi daiquindici

ai venti piedi, e che si trovano numerosinella bassa India, specialmente nel

Malabar, sono capaci d’inghiottire delleprede dieci volte piů grosse di loro,

tanta e la elasticitŕ del loro stomaco.

Si sono veduti alcuni assorbire, č laparola, poiché non possono masticare le

prede, perfino dei piccoli vitelli interi.

- Non meriterebbe la pena di assalirlo, maquel serpente č sdraiato ai piedi di quelmanghiero ed io non lascerň quelle frutta

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che sono giunte a perfetta maturanza -disse Ali. - Dammi la tua scure, Sciapal.

- Non ucciderlo, padrone - dissel’indiano. - Puň avvolgerti fra le sue spiree stritolarti.

- Non sarŕ tanto agile con quella carognache sta assorbendo.

Prese la scure e balzň addosso al rettile.Questi, disturbato nella sua laboriosadigestione, s’alzň saettando sulcoraggioso marinaio due sguardi chemandavano fiamme e arrotolandorapidamente la coda, ma imbarazzato dalcane che non poteva né rigettare, néingoiare in un solo colpo, non era piů datemere.

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Ali, niente spaventato dai sibili acuti chemandava l’avversario, con due colpid’accetta lo distese al suolo senza vita,mozzo in tre parti.

- Vattene al diavolo! - esclamň ilcapitano, asciugando la lama della scuresull’erba. - Aiutami a fare la raccolta,Sciapal.

L’albero sotto cui giaceva il rettile, eracarico di quelle deliziose frutta chiamatedagli indiani ham, lunghe tre o quattropollici, di forma ovale, con una bucciaverdognola e dura, contenente una polpagiallo dorata d’un sapore aromaticosquisitissimo e avvolgente un grossonocciuolo.

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Quando sono poco mature, hanno un odoreacuto di terebentina e mangiandoleproducono delle eruzioni cutanee e dellefebbri perniciose, ma quando sono giuntea maturanza perfetta sono buonissime esalubri. Si mangiano crude o secche, madi solito gl’indiani le mescolano al carri,condimento largamente usato in tutta lapenisola indostana, composto di carne odi pesci cucinati con erbe, aromi, polpa ditamarindi ed altri ingredienti. Ali el’indiano fecero un’ampia raccolta diquelle frutta che fino ad un certo puntopotevano surrogare il pane, poicontinuarono ad internarsi nella foresta,volendo abbattere qualche capo diselvaggina o qualche grosso volatile,prima di ritornare alla spiaggia.

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Quella parte della boscaglia parevainvece che non fosse frequentata da nessunanimale e nemmeno dagli uccelli.

per quanto Ali e Sciapal tendessero difrequente gli orecchi, non udi> alcunrumore fra i folti cespugli, né alcun cantosulle cime degli alberi. fjpoi Pandu, se sifosse accorto della presenza di qualchenilgň, quei graziosi cervi cheordinariamente abbondano nelle forestedell’India e anche in quelle delle isole delgolfo del Bengala, o della vicinanza diqualche belva, non avrebbe tardato asegnalarli. procedeva tranquillo,annusando invano il terreno per cercarequalche traccia.

Cominciavano giŕ a disperare e stavano

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per far ritorno verso la costa, quando adun tratto Pandu si fermň di colpo,piantandosi sulle rampe e tendendo ilcollo.

- Il mio bravo cane ha udito qualche cosa- disse Ali, impugnando le pistole. - Cheabbia fiutata la pista di qualche buon capodi selvaggina? - chiese Sciapal, con unpo’ d’inquietudine. - In queste foreste tuttosi deve aspettare, anche dei terribiliincontri.

- zitto-disse Ali.

Pandu ascoltava sempre, conservando unaimmobilitŕ assoluta. Stette cosi qualcheminuto, poi si volse verso il padroneagitando la coda e mandando un ringhio

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appena percettibile. Alě lo accarezzň,dicendo a Sciapal:

— Se Pandu non osa slanciarsi e nonabbaia vuol dire che non si tratta diselvaggina. Conosco bene il mio cane. čcoraggioso ma anche prudente e nonespone mai il suo padrone ad un pericolo.- Che cosa avrŕ sentito?

Se potesse parlare ce lo avrebbe giŕ detto.Dobbiamo indovinarlo noi. - Padrone -disse Sciapal, sorpreso dalla stranacondotta del cane, che conoscevatemerario. - Che abbia sentito l’accostarsidi selvaggi? - č quello che pensavoanch’io - rispose Ali. - Sciapal, battiamoin ritirata; mi trovo piů al sicuro presso lacosta, dove potremo trovare dei rifugi fra

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le Scogliere, piuttosto che qui dove čfacile tenderci una imboscata o colpirci at radimento con una volata di frecce.

- Sě e presto, padrone - rispose l’indiano.- Pandu comincia a dar segnid’inquetudine. Difatti l’intelligenteanimale non si mostrava piů tranquillo.Fiutava l’aria a sinestra e a d estra, poigirava bruscamente su se stesso eascoltava colla testa abbassata alzando gliorecchi, quindi si slanciava verso ilpadrone e cercava di afferrargli la

mano come per invitarlo a fuggire.

Ali, ormai convinto che si aggirasse nellaforesta qualche banda di selvaggi, coiquali non aveva nessun desiderio di fare

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la conoscenza, si mise in cammino

verso la costa.

Pandu li Precedeva segnandogli la via enon vi era pericolo che quell’animale nonritrovasse la pista.

Si affrettava, correndo innanzi, poitornava verso il padrone, guardandolo conquei suoi occhi che avevano qualche cosadi umano e pareva che volesse dirgli:

- Piů presto! Piů presto!

L’angloindiano e Sciapal avrebbero bendesiderato raddoppiare il passo, ma nonosavano per paura di attirare l’attenzionedei selvaggi. E poi la foresta era semprefoltissima ed erano costretti sovente a

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scivolare sotto i cespugli per non urtare irami.

Avevano percorso giŕ qualche mezzochilometro, guardandosi sempre allespalle, per paura di vedersi piombareaddosso i selvaggi, quando Sciapal, cheaveva l’udito finissimo, si arrestň,dicendo:

- Fermatevi qui sotto, padrone. Ilcespuglio č folto e ci copre per bene.

- Chi hai veduto?

- Nessuno, invece ho udito. - i selvaggi amarciare?

— Ascolta: essi camminanoparallelamente a noi.

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Ali accostň un orecchio al suolo e si misein ascolto, trattenendo il respiro. Panduche, come dicemmo, li precedeva,vedendo il padrone fermarsi, era tornatosollecitamente indietro e gli si eraaccovacciato presso. Un rumore vago, chepareva prodotto dalla marcia di parecchiepersone, giungeva all’orecchiodell’angloindiano.

Sciapal invece distingueva il fruscio dellefoglie, lo scricchiolěo dei rami ed il lievescrosciare dei detriti vegetali ormaisecchi.

- Hai udito, padrone? - chiese l’indianovedendolo rialzarsi.

- Sě - rispose Ali. - Degli uomini si

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avanzano attraverso la foresta.

- Che ci abbiano scoperti?

- Udiamo ancora.

Tornň ad appoggiarsi al suolo, ma piůnessun rumore giungeva ai suoi orecchi.

- Brutto segno - mormorň. - Se si sonofermati, vuol dire che si sono accorti chenoi abbiamo sospesa la nostra marcia.

- Piů nulla, č vero, padrone? - chieseSciapal.

- Piů nessun rumore - disse Ali. - Vorreisapere se sono vicini o lontani e se č noiche seguono.

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- Non ne dubito.

- Pur troppo anch’io sospetto che seguanole nostre tracce. Che vengano a cercarci?

- Lo sapremo a tempo - disse Sciapal, chesi era alzato vivamente.

- In quale modo? - chiese Ali.

- Guardate quell’albero che sta di fronte anoi. Non vedete dei quadrumani fra lefoglie?

Ali scostň adagio adagio i rami e guardňnella direzione indicata dall’indiano. Suun albero, che superava di parecchi metrii cespugli vicini, Ali scorse distintamenteuna coppia di scimmie non piů grossedegli scoiattoli, gracilissime, mentre la

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testa l’avevano grossa e bruttissima,traforata da due occhi grandissimi quasigialli, simili a quelli delle civette e chespiccavano maggiormente in causa di duecerchi brunastri.

Riconobbe subito in quelle due piccole ebruttissime scimmie, due lori gracili,chiamati dagl’indiani tevanga, animaliassolutamente innocui, d’abitudinipiuttosto notturne e d’una sospettositŕestrema, perché perseguitatiaccanitamente da tutti gli abitantidell’India e anche dagl’isolani e non giŕper le loro carni che sono pessime, ma peri loro grandi occhi, onde impedire che glistregoni se ne servano per fare dei filtri.

č perciň che quegl’inoffensivi quadrumani

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vengono cacciati rabbiosamente, tenendoliposcia sul fuoco finché i loro occhiscoppino.

- Che cosa c’entrano quei tevanga coiselvaggi che ci danno la caccia? - chieseAli, non poco sorpreso.

- Non vedete come sono tranquilli?

- Infatti non si muovono.

- Se i selvaggi si accostassero,fuggirebbero, padrone. Finché rimangonolassů non abbiamo nulla da temere.

- Ebbene, Sciapal, in tale caso non siamofortunati. Si sono accorti dell’avvicinarsidi persone dalle quali hanno tutto datemere e si preparano a mettersi in salvo.

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I due lori che pareva sonnecchiassero, sierano bruscamente rialzati sulle loro esiligambette, arrampicandosi lestamente suuno dei piů grossi rami. Furono vedutiarrestarsi un momento presso uncrepaccio del tronco poi scomparire.

- Che cosa ne dici, Sciapal? - chiese Ali.

- Che sarebbe meglio riprendere la nostramarcia.

- E tale č anche la mia intenzione - risposeAli. - Alla spiaggia, Sciapal, e di corsa.Non abbandonare la scure.

Si alzarono, balzarono fuor dal cespuglioe si misero a fuggire a tutte gambe.

Non avevano percorsi cinquanta passi che

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si udirono echeggiare delle grida

selvagge.

Ali si volse e vide una dozzina di negri,bruttiussimi, che balzavano fra le piante

coll’agilitŕ di kanguri e che agitavanoforsennatamente delle lunghe aste, che

dovevano essere delle lance e dei nodosibastoni, che dovevano essere mazze.

Qualcuno aveva anche l’arco.

- Gambe! Gambe! - gridň a Sciapal.

Correvano a tutta lena, preceduti daPandu, il quale indicava sempre loro la

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via, ciň che sarebbe stato impossibilescoprire, non avendo avuta la precauzionedi far nessun segno sulle piante.

Quando li sopravanzava troppo, Pandutornava velocemente indietro e tentava discagliarsi contro i selvaggi, abbaiando apiena gola e mostrando i suoi acuti denti.

Vedendo quel cagnaccio tutto nero e cheforse essi scambiavano per qualchepericolosa belva, essendo la razza caninaaffatto sconosciuta alle Andamane, iselvaggi rallentavano la corsa ediventavano piů prudenti. Ali e Sciapaltosto approffittavano di quelle fermate deiselvaggi, per guadagnare nuovamente via.

Giŕ cominciavano a perdere il respiro,

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quando videro apparire fra le piante lascintillante superfice del mare.

- Non ne poteva piů - disse Ali, con vocerotta. - Per un po’ che questa corsa fossedurata, sarei caduto completamenteesausto.

- Dove ci rifugeremo padrone? - chieseSciapal.

- Fra le scogliere. Colŕ ci difenderemomeglio.

Con un ultimo sforzo raggiunsero ilmargine del bosco, scesero a precipizio lariva e si gettarono fra gli scogli, balzandofra i canali ed i canaletti che l’alta mareacominciava a coprire.

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- Lŕ, su quello che č il piů alto - disse Ali,indicando una rupe che sorgeva a tre oquattrocento metri dalla spiaggia. - Unultimo sforzo, Sciapal! Passarono sopraun banco di sabbia e s’inerpicarono su perlo scoglio, raggiungendo la cima, dove giŕPandu abbaiava festosamente.

FRA LA MAREA ED I SELVAGGI

Quella rupe sulla quale si erano rifugiati,preferendola alla foresta dove potevanocadere in qualche imboscata e venirebersagliati da tutte le parti dalle piccole,ma non meno micidiali frecce dei

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selvaggi, era uno scoglio di non vasteproporzioni, alto una mezza dozzina dimetri e che terminava in una piccolapiattaforma.

Era il piů avanzato verso il mare, quindiun accerchiamento da parte degli andamani non poteva avvenire, senza canottio scialuppe. E poi, fra la riva e la rupecorrevano tre o quattrocento metri dispazio ingombro da scoglietti e da banchidi sabbia ed intersecato da canali, che adalta marea non potevansi varcare che anuoto.

Ali era stato quindi fortunato nella suascelta e poteva aspettare tranquillamentel’assalto dei selvaggi.

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Questi erano giŕ comparsi sulla spiaggia,ma non avevano osato scendere verso lescogliere, pensando forse, ed a ragione,che i due fuggiaschi non avrebbero potutosottrarsi cosi facilmente alla caccia.Erano perň accresciuti di numero. Inveced’una dozzina erano diventati venti

o ventidue e si aggiravano fra le sabbie,senza mostrare, almeno pel momento,delle intenzioni ostili.

Dovevano appartenere a qualche tribůdiversa dagli andamani. Infatti mentrequesti sono ordinariamente di statura assaibassa ed esilissimi, quegli isolani eranopiuttosto alti, ben complessi, con spallequadre e meno oscuri dei primi. Forsefacevano parte di qualche colonia venuta

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dalle isole Nicobar, se pur su quelle isolenon esisteva internamente una razza un po’diversa e piů robusta di quella costiera.

- Sembravano malcontenti della nostrapronta ritirata - disse Ali che li osservavaattentamente. - Essi speravano di certo disorprenderci prima che lasciassimo laforesta.

- Padrone - disse Sciapal. - Credi chequei selvaggi siano realmente pericolosi?

- Veramente, come giŕ ti dissi, non houdito mai parlare troppo bene degliandamani. Alcuni assicurano che nonfacciano delle smorfie dinanzi ad unarrosto di carne umana. Che ciň sia verood una esagerazione non te lo saprei dire.

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Converrai perň anche tu che facciamobene a tenerci lontani ed a non lasciarciprendere.

- E se non fossero antropofaghi ed iviaggiatori avessero raccontato dellefrottole? - Hai mai udito a parlare dellasorte toccata all’Onueih?

- No, padrone.

- Se ci fosse qui il mio amico Bak, non tidarebbe certo delle buone informazionisugli andamani. Se avremo il tempo, tinarrerň quella istoria e ti persuaderai cherazza di bricconi sono questi isolani anchenon essendo cannibali. Apriamo gli occhi,Sciapal e non lasciamoli avvicinarsi. Laschiavitů non fa per me e nemmeno per te.

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Che cosa fanno quei bruti? Ritornanonella foresta lasciando perň dellesentinelle. Hum! Tuttociň non mitranquillizza affatto, mio caro Sciapal.

I selvaggi dopo d’aver ronzato qualchetempo fra le prime scogliere che la mareaa poco a poco scopriva, si eranonuovamente ritirati sulla spiaggia e lamaggior parte di essi era rientrata nellaforesta, lasciando una mezza dozzina dicompagni nascosti dietro le rocceemergenti ancora dalle acque.

- I furfanti! - esclamň ad un tratto Ali. -Ora comprendo il loro piano.

- Ed io nulla affatto, padrone - dissel’indiano.

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- Scommetterei le mie pistole contro unodei loro archi, che si preparano adassalirci dalla parte del mare.

- Con che cosa?

- Con delle zattere e con qualche cosa disimile. Ah! Se avessi un buon fucile fra lemani come sloggerei intanto quegli spioniche ci tengono d’occhio, mentre conqueste anni nulla posso tentare.

— Garrovi ha portato via tutto.

— Sě, quel miserabile! - gridň Ali, presoda un subitaneo furore. - Ma lo ritroverňun giorno, dovessi frugare l’India intera enon avrŕ grazia da me! Orvia, non

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occupiamoci di lui per ora, bensě di queiselvaggi, sulle cui intenzioni nondobbiamo farci troppa illusione. Il solesta per calare e fra qualche ora sarŕ notte.Aspetteranno le tenebre per sorprenderci.

- E noi non saremo cosě sciocchi daaddormentarci, č vero, padrone?

Ali non rispose. Aveva abbassati glisguardi verso i banchi e le scogliere iquali a poco a poco venivano copertidall’alta marea. Una profonda ruga erasiimprovvisamente delineata sulla suafronte. Rialzň il capo, guardando Sciapal.Nei suoi occhi brillava una inquietudinecosě intensa che non sfuggě all’indiano.

- Che cos’hai, padrone? - gli chiese.

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— Temo che noi abbiamo commessa unagrave imprudenza rifugiandoci su questoscoglio.

- Perché?

- Le maree sono forti nel golfo delBengala e lo scoglio č ben poco alto.

- Non ti comprendo.

— Quando la marea avrŕ raggiunta la suamassima altezza, saremo ancoraall’asciutto? Hai tu pensato a questopericolo, Sciapal? E guarda che l’ondacomincia a diventare forte, spinta esollevata dalla brezza della sera.

L’indiano era diventato grigiastro, ossiapallidissimo.

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- La marea - disse.

- Stamane, prima che noi ci cacciassimonella foresta, l’hai notata questa rupe? Lamarea allora era alta.

- No, padrone.

- Allora vuol dire che noi passeremo unapessima notte e che correremo il pericoloo di venire trascinati via dalle onde dellarisacca o affogati. Né io, né tu potremmoresistere delle ore nuotandocontinuamente intorno allo scoglio. Nonsiamo troppo abili nuotatori.

- Credi che la marea copra interamentequesta rupe?

- Stamane nessuno l’aveva scorta.

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- Sicché dovremo resistere all’assaltodelle onde ed agli andamani?…

Ali era diventato muto. Guardava l’ondaprodotta dalla marea che battevafortemente lo scoglio e che s’infrangevacon violenza contro le pareti con deimuggiti prolungati.

Le maree del golfo del Bengala nonraggiungono le altezze straordinarie che siosservano nella Manica, pure sononotevolissime, specialmente quandosoffiano i monsoni.

Non č raro vederle toccare i sei, anche gliotto metri, mentre quello scoglio nonemergeva che per sei e qualche piede.

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Avrebbero potuto, quei disgraziati,resistere all’impeto della risacca, chedoveva essere foltissima con quel fondorotto da banchi sabbiosi e da scoglieretagliate quasi a picco?

- Padrone - disse Sciapal. - Che cosapossiamo fare? Se cercassimo, col favordelle tenebre, di tornare nella foresta?

- E gli andamani? Oh! Veglieranno pernon lasciarci fuggire, non dubitare.

- E non vi č nessun scoglio piů alto pressodi noi!…

- E vedo anche degli squali nuotare neicavi delle onde - disse Ali, la cui frontediventava sempre piů pensierosa. - Bella

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notte! Sarŕ un miracolo se noi domanisaremo ancora věvi. O cadremo sotto lefrecce degli isolani o tagliati in due daidenti delle zigaene o dei pescicani! Bruttaprospettiva, mio caro Sciapal! Tuttavianon disperiamo. La marea puň esseremeno di quello che crediamo e potrebbedarsi il caso che le onde non giungesserofino a noi. Che cosa fanno i selvaggi?

— Cercano d’avvicinarsi.

- Ah! Alto lŕ, miei cari, ho ancora le miepistole e delle munizioni.

Ali si era voltato verso la spiaggia.Gl’isolani che erano tornati nella forestanon si erano ancora fatti vedere.

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I loro compagni invece, che dovevanoaver ricevuto l’incarico di sorvegliare idue fuggiaschi, cercavano dal canto lorodi tentare qualche cosa. Uno, che pareva ilpiů alto di tutti e che doveva esserequalche capo, a giudicarlo dal grannumero di scaglie di testuggine che gliornavano il petto, formando parecchie filedi collane, aveva giŕ attraversato a nuotodue canali e si era issato su uno scogliettoche si trovava a soli cinquanta passi dallarupe occupata da Ali e dall’indiano.

Teneva in mano un lungo arco e parevache misurasse la distanza, come sevolesse accertarsi se una freccia potevagiungere fino al rifugio dei fuggiaschi.

- Medita una aggressione - disse Sciapal.

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— Le loro frecce, lanciate ad una certadistanza, non sono molto pericolose disseAli. - Hanno la punta formata da una spinadi pesce, non conoscendo questi isolani ilferro.

- Provati a mandargli una palla, padrone.

- Aspetta che si avvicini. Le mie pistolesono di buon calibro, ma non hanno moltaportata, come d’altronde si verifica intutte le armi corte.

- Sapendoci armati, diverranno piůprudenti.

- S’accosterŕ, non ne dubito.

Il selvaggio, incoraggiato forsedall’inazione dei due fuggiaschi e

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credendoli sprovvisti d’armi, non essendoda presumersi che conoscesse le pistole,era sceso dallo scoglio e stavaattraversando un terzo canale, tenendo frai denti l’arco. Prese terra a trenta passidalla rupe, arrampicandosi su un altroscoglietto che la marea non avevainteramente coperto. Desideroso di dareuna prova di valore ai suoi compagni chelo osservavano dalla spiaggia,incoraggiandolo con alte grida, si gettň aterra e tese l’arco incoccando una freccia.

- Bada, Sciapal - disse Ali. - Imita la suamanovra, tu che non hai che una semplicecamicia, insufficiente ad arrestare queidardi.

L’indiano si era appena coricato, quando

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una freccia, lanciata da una mano abile,passava sullo scoglio, precisamente nelpunto poco prima occupato dall’indiano.Oltrepassň il posto d’una diecina di metri,cadendo in mare.

- Il furfante č valente - disse Ali. -Anch’io perň non sono un cattivo tiratore.

Puntň una delle due pistole, mirando congrande attenzione. Il selvaggio stava inquel momento alzandosi per giudicarel’effetto del suo dardo e si mostrava inpieno, profilandosi sull’infuocatoorizzonte. l’ angio-indiano, a cui premevadare un saggio della sua abilitŕ e far anchecomprendere agli assalitori che non eraassolutamente inerme, aveva fatto fuoco.

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La detonazione era appena echeggiata,quando si vide il selvaggio accasciarsi suse stesso, lasciandosi sfuggire l’arco.

Si tenne un momento ritto sulle ginocchia,poi stramazzň giů dalla scogliera,scomparendo fra le onde.

In quell’istesso momento il solescompariva in mare ed una oscuritŕ quasifulminea piombava sull’isola e sul vastogolfo del Bengala.

- č andato - disse Sciapal, mentre iselvaggi rimasti sulla spiaggia fuggivanoin tutte le direzioni, urlando come unabanda di oche spaventate. - Un bel tiro infede mia, padrone, specialmente conun’arma cosě corta.

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- Sono contento di essere ancora un buonbersagliere - rispose Ali. - Vedremo orase quei selvaggi, dopo una simile lezione,oseranno assalirci. Le armi da fuocoproducono sempre un profondo effetto suipopoli primitivi. E la marea?

- Monta sempre, padrone. Ali si alzň eguardň lo scoglio.

L’acqua l’aveva giŕ coperto per tre quartie la schiuma delle onde, prodotta dallarisacca che si faceva sentireviolentissima, cominciava a spruzzare lapiccola piattaforma.

Anche Pandu si mostrava inquieto elatrava incessantemente, mostrando identi.

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- Che cosa dici, padrone? - chieseSciapal.

Ali Middel scosse il capo senzapronunciare parola.

Stette cosě parecchi minuti, guardando leonde che venivano dal largo, scrosciandoe rimbalzando sui banchi, poi disseall’indiano:

- Vedo dei fuchi che mi sembrano secchi,dispersi per la piattaforma. Raccoglili ecerchiamo di accendere un fuoco. Cosěalmeno vedremo se gli andamani siavvicinano.

Mentre Sciapal s’affrettava ad obbedire,si diresse verso il margine che

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prospettava la riva.

Le tenebre avevano ormai avvolto il maree la terra, perň vi era ancora qualchebarlume di luce che si proiettava versol’isola.

Osservň attentamente la spiaggia e nonscorse nessuno. Avevano gli andamani,dopo l’uccisione del loro compagno,rinunciato all’idea di assalire i duefuggiaschi, ora che li sapevano inpossesso delle temute armi da fuoco o sipreparavano silenziosamente ad assalirlidalla parte del mare? Assai inquieto,tornň verso Sciapal, il quale intanto avevaraccolti tutti i fuchi che l’ardente caloredel sole aveva perfettamente disseccatidurante la giornata.

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Avendo sempre l’acciarino, li accese, poisi sedette presso la fiamma e vuotň letasche che erano piene di manghi.

- mangiamo, Sciapal - disse.

Si misero a mangiare in silenzio alcunimanghi, entrambi preoccupatissimi,mentre Pandu coricato presso l’orlo dellapiattaforma ringhiava alle onde, chesalivano sempre muggendo cupamente frale tenebre.

Verso la costa non si scorgeva piů nulla.Essendo il cielo coperto da una nebbiapiuttosto folta e non essendovi la luna, eraimpossibile discernere la foresta. Ma checosa facevano dunque gli andamani? Sierano ritirati nel folto delle loro selve,

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stimando troppo pericoloso assalirequegli stranieri, o approfittandodell’oscuritŕ, stavano avvicinandosi disoppiatto per sorprenderli? Ecco quelloche si chiedeva ansiosamente Ali, il qualea quel silenzio avrebbe preferito unattacco diretto.

Nessun pericolo perň in quel momentodoveva minacciarli. Pandu se ne sarebbeaccorto e avrebbe dato l’allarme mentreinvece se ne stava tranquilloprendendosela solamente colle onde chesalivano coll’alta marea. Ali e Sciapal,sdraiati presso il fuoco che consumavarapidamente non essendovi altri fuchi peralimentarlo, aspettavano senza parlare.Entrambi di quando in quando si alzavano,per dare uno sguardň verso la costa, poi

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tornavano a riprendere il loro posto.

Avevano cenato da qualche ora, quandoun’onda s’infranse contro l’orlo dellapiattaforma e spense bruscamente il fuoco.

Ali e l’indiano si erano alzati di colpo,scuotendosi di dosso la spuma che avevainzuppate le loro vesti.

- Ecco la marea che ci piomba addosso -disse Ali. - Fra poco saremo in acqua.

- Padrone, - disse l’indiano, - prima chele onde ci spazzino via, lasciamo questoscoglio.

- E dove vuoi andare?

- Da qui alla spiaggia non vi sono che

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quattrocento metri e l’onda della risaccaci porterŕ.

- E se la costa fosse guardata? Chi ciassicura che gli andamani abbianoabbandonato i loro progetti?

- Sarebbero giŕ venuti con qualche zattera,mentre io non scorgo nulla. E poi la notteč oscura e potremo approdare senzavenire scorti.

- Ed i pescicani?

- Speriamo di non incontrarne.

Ali fece il giro della piattaforma, le ondevi giungevano giŕ impetuosamente,spazzandola da un capo all’altro.

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Senza un buon punto di appoggio sarebbestato assolutamente impossibile resisterea quegli assalti.

Era meglio tentare la sorte, prima chegiungessero anche gli andamani adaggravare maggiormente la loro situazionegiŕ abbastanza critica.

- Sě - disse Ali. - Andiamocene, Sciapal.Aspetta che mi leghi le pistole e lemunizioni sul capo onde non ci troviamosenza armi da fuoco, poi ci getteremo inacqua.

In quel momento udirono Pandu latrarelungamente, colla testa voltata verso lacosta.

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- Il cane ci segnala un pericolo - disseAli, trasalendo.

— Che gli andamani stiano per giungere?- chiese Sciapal.

Il capitano della Djumna guardň lo spazioracchiuso fra la spiaggia e lo scoglio, chele onde percorrevano balzando erimbalzando sui bassifondi e fra gliscoglietti e gli parve discernere unagrand’ombra, che ora appariva sullecreste ed ora affondava negliavvallamenti.

— Che sia una zattera? - si chiese.

Si legň rapidamente le pistole e le borsecontenenti le munizioni, assicurandosele

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bene sul capo colla sua lunga fascia dilana rossa e riparandole col cappello alarghe tese, poi disse a Sciapal ed aPandu:

- In acqua!

L’INSEGUIMENTO

Un momento dopo, il capitano, Sciapal ePandu si trovavano fra le onde. I dueprimi non erano molto forti nuotatori,tuttavia un tragitto di quattro ocinquecento metri, anche con mare mosso,non era tale cosa da spaventarli. Perrisparmiare le loro forze si lasciavano

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portare dai cavalloni, limitandosi atenersi a galla, sicuri di giungereegualmente alla costa, provenendo l’altamarea sempre dal largo.

Pandu, che era un nuotatore infaticabile,tale da poter competere e forsevantaggiosamente coi famosi Terranuova,si teneva presso il padrone, il quale,essendo completamente vestito, faticavaassai piů dell’indiano che era seminudo esenza scarpe.

Quando lo udiva ansare o quando vedevagiungere l’onda, l’intelligente animale loaddentava pel colletto della giacca, peraiutarlo a mantenersi meglio a galla. Sitrovavano allora sopra i bassifondi e gliscoglietti e correvano il pericolo di

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urtarvi contro o di fracassarsi le gambe,specialmente quando le onde dopo aversalita la spiaggia, si ritiravano finché nongiungevano le altre. Giŕ piů d’una voltaavevano toccato senza perň riportarealcuna scalfittura, poiché il cavallonesusseguente subito li investiva,risollevandoli e spingendoli innanzi.

Quando succedeva un momento di sosta,si guardavano intorno per cercare discoprire quella massa nera che potevaessere costituita dagli andamani, senzaperň riuscirvi, giacché la schiuma subitoli avvolgeva, accoccandoli. Si erano cosiavanzati di parecchie centinaia di metri,quando scorsero a poche braccia laspiaggia.

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- Sciapal - disse Ali, con voce affannosa.- Appena l’onda ci scaglia, alzati e fuggěsubito se non vuoi venire trascinatonuovamente in mare.

- Si, padrone - rispose l’indiano.

L’onda giungeva e altissima, colla crestacoronata di candida spuma. Si rovesciň sudi loro alzandoli e spingendoli innanzicon velocitŕ incredibile. Ali si lasciňportare, poi si sentě scaraventare sullesabbie della spiaggia. Quantunque fossetutto ammaccato, avendo forse urtatocontro qualche scoglietto, prima chel’altra onda sopraggiungesse e lo portassevia, balzň in piedi fuggendo verso laforesta.

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Quando si vide al sicuro si volse e consorpresa e anche con ispavento non videpiů né Sciapal, né Pandu.

- Che l’onda li abbia trascinatinuovamente al largo o scaraventati suqualche roccia e uccisi? - si chiese conangoscia.

Ridiscendendo in quel momento l’acqua,si precipitň verso la spiaggia collasperanza di trovare almeno i lorocadaveri e non vide altro che ammassi difuchi.

Aprě la bocca per chiamarli, ma subito larinchiuse. Gli andamani potevano esserevicini e non era prudente segnalare loro lasua presenza con un grido. In quel

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momento gli parve di udire, fra ilrompersi delle onde, un latrato.

- č Pandu! - esclamň. - Egli non halasciato Sciapal e cercherŕ di ricondurloalla spiaggia.

Sciolse la fascia di lana, guardň se lepistole erano bagnate e soddisfatto daquell’esame le impugnň, dirigendosilestamente verso il sud. Seguiva laspiaggia, allontanandosi dal luogo che gliandamani avevano occupato durante ilgiorno, non essendo possibile ammettereche fosse stato veduto ad approdare. Maperché il latrato lo aveva udito in quelladirezione? Forse in quel luogo esistevaqualche corrente che andava verso ostro eSciapal doveva essere stato trascinato in

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quella direzione.

Dopo qualche minuto udě un nuovo latratoe poco dopo un terzo piů fioco. Non vi erapiů da dubitare: il cane e l’indianocercavano di approdare piů al sud, ondeevitare di farsi sfracellare dalle onde, chein quel luogo si rompevano con furore,indizio certo che colŕ esistevano dellescogliere sommerse. Ali si era messo acorrere velocemente, ora accostandosialla riva quando la risacca si ritirava edora rimontando la spiaggia quandotornava ad avventarsi.

I latrati si udivano sempre, ora distinti edora piů deboli, ma non la voce dě Sciapal.

Eppure che fossero insieme, Ali non ne

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dubitava. Se fosse stato solo, il cane,

anche a rischio di essere scaraventatosugli scogli, non avrebbe indugiato a

raggiungerlo.

Si era avanzato di qualche chilometro,quando udě dinanzi a sé un nuovo e piů

forte latrato. Non proveniva dalla partedel mare; era echeggiato invece dietro

una duna di sabbia.

- Pandu č approdato! - esclamň ilcapitano, con commozione. - Speriamoche non sia giunto solo.

La spiaggia in quel luogo era meno ripida

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e l’onda della risacca si stendevatranquilla senza rimbalzo e contorcimento.

Il fondo non doveva avere scogli e banchi,quindi l’approdo non poteva offrire troppipericoli.

In pochi minuti varcň la distanza e saltňdietro la duna.

Non si era ingannato. Pandu era lŕ etrascinava sulla sabbia un corpo umano

che pareva privo di vita, per sottrarloall’assalto delle onde.

Vedendo il padrone, il bravo animalemandň un guaito lamentevole e gli saltň

addosso.

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- Sě, sono qui pronto ad aiutarti - disseAli, commosso, accarezzandolo. -Vediamo se questo povero Sciapal čancora vivo.

L’indiano giaceva sulla sabbia come unmasso, assolutamente inerte. Era avvoltodai fuchi che la risacca aveva spinto finlŕ.

Ali lo sbarazzň delle erbe marine e loprese fra le braccia, portandolo dietro unaseconda duna la cui sabbia era benasciutta e dove la risacca non potevagiungere. Mise una mano sul cuoredell’indiano e lo udě battere.

- Bah! Non č che svenuto - disse. - Egl’indiani hanno la pelle dura. Quanto mi

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sarebbe rincresciuto perdere questo bravocompagno!

In quel momento sentě sotto la manoqualche cosa di viscido e di caldo. Laritir ň e la vide insanguinata.

Solo allora s’accorse che dalla frontedell’indiano scendeva un rivoletto disangue.

La ferita prodottagli dalla scure diGarrovi si era riaperta, forse in causa diqualche urto.

Si strappň una manica della camicia egliela fasciň, poi riprese fra le braccial’indiano e lo portň nella foresta,deponendolo sotto un banano, le cui foglie

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gigantesche bastavano a nasconderli.

Si mise allora a strofinarlovigorosamente, finché un sonoro sternutonon lo avvertě che Sciapal stava pertornare in sé. Ed infatti un momento dopol’indiano apriva gli occhi fissandoli sulpadrone.

- Dove sono? - chiese. - In fondo al mareo dove.

- Ringrazia Pandu che ti ha portato qui -disse il capitano. - Senza questo bravoanimale a quest’ora saresti a tenere pocoallegra compagnia ai pesci.

- Pandu! - esclamň Sciapal, accarezzandoil cane, che gli balzava intorno scuotendo

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la coda e cercando di posargli le zampesulle spalle. - Ah! Sě, mi ricordo,padrone… m’aveva afferrato pel collettonel momento in cui, completamentesfinito, stavo per andarmene a picco. Sě, aPandu devo la vita. Senza di lui, non sareimai giunto alla costa.

- Com’č che non hai preso terra quandosono giunto io? - chiese Ali.

- Non avevo fatto tempo a salire laspiaggia - rispose Sciapal. - Quando vollitentarlo, la seconda ondata giungeva conun fragore infernale e con una rapiditŕinaudita.

ŤMi sentii rotolare fra le sabbie collatesta abbasso e le gambe in aria, poi

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trascinare al largo e sommergere.

ŤQuando tornai a galla trovai al miofianco Pandu. Mi aveva preso pel collettodella camicia e stringendo forte coi dentimi sorreggeva. ŤIo non so che cosasuccesse poi. Una rapida corrente chescendeva verso il sud ci trascinava nonostante i nostri sforzi e fu forse una verafortuna. La spiaggia era irta di scogliere ese noi avessimo tentato di approdare,saremmo stati infallantemente sfracellati.

Quanto durň quella corsa? Non ve losaprei dire. Mi ricordo vagamente diessermi lasciato andare a fondo permancanza di forze… poi piů nulla.ť

- č Pandu che ti ha portato alla riva?

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- Sě, padrone, č stato lui. E gli andamani?

- Non ne so piů nulla di loro - disse Ali.

- Non vi hanno veduto approdare?

- Non credo.

- Che si siano tutti imbarcati su quellazattera che hai scorta?

- Puň darsi. Non credere perň che io siatranquillo. Guarda Pandu.

Il cane da qualche istante si mostravaagitato. Erasi alzato e, come nella foresta,pareva che ascoltasse colle orecchiebasse ed il muso a fior di terra. Il capitanodella Djumna che sapeva quanto valeva ilsuo cane, si era pure alzato, stringendo le

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pistole.

- Che quei bricconi non vogliano propriolasciarci tranquilli? - si chiese. Fececenno a Sciapal di non muoversi e sceseverso la spiaggia, tenendosi al riparodell’ombra proiettata dalle alte piantedella foresta.

Sentiva per istinto che il pericolo nondoveva essere ancora cessato. D’altrondePandu glielo confermava colla suaagitazione.

Da cane prudente non abbaiava, tuttavia sifermava sovente guardando il padrone,poi si metteva in ascolto.

Si era inoltrato di qualche dozzina di

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metri, quando gli parve di scorgereun’ombra umana scivolare verso ilmargine della foresta e rifugiarsi dietro iltronco d’un albero.

Il capitano aveva del coraggio da venderee poi sapeva di essere in buonacompagnia con Pandu, un cane che potevaatterrare facilmente un uomo e tanto piůuno di quei magrissimi e tutt’altro cherobusti isolani. Avendo notato la pianta,dietro il cui tronco si era nascostol’isolano, vi si avvicinň cautamente,fiancheggiato da Pandu il quale dovevagiŕ essersi accorto della vicinanza di quelnemico.

Girň intorno all’albero senza averlotrovato. Probabilmente il selvaggio,

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vedendosi cercato, aveva approfittatodell’oscuritŕ per passare dietro qualchealtro. Il capitano, non fidandosi diinoltrarsi nella boscaglia per paura dicadere in qualche agguato, stava pertornare verso la spiaggia, quando udě unsibilo. Ebbe appena il tempo di fare unsalto indietro. Una corta lancia, unaspecie di caarino, si era profondamenteinfissa nel tronco dell’albero, nelmedesimo punto che aveva appenalasciato.

Se si fosse indugiato un quarto disecondo, fors’anche meno, l’avrebbeinfallantemente ricevuta in pieno petto.

Pandu, prima ancora che Ali avessepensato a trattenerlo, si era scagliato sotto

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un banano.

Si udě un grido acutissimo che siripercosse nella notte profonda, poi unringhio furioso accompagnato da unospezzarsi d’ossa.

- Qui, Pandu! - aveva gridato Ali.

All’urlo del selvaggio, a cui Pandudoveva lacerare e dilaniare la gola, avevarisposto un griděo assordante.

Gli andamani, che forse si erano accortidella fuga dei due stranieri dallo scoglio,accorrevano vociferando e rompendo leradici e le liane che ostacolavano il loroslancio. Il capitano si era precipitatoverso il banano sotto cui stava Sciapal.

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- Presto, fuggiamo! - gli gridň. - Stannoper piombarci addosso.

E tutti e due, senza preoccuparsi del cane,si scagliarono nella tenebrosa foresta,correndo all’impazzata, senza sapere dovefuggivano. Fortunatamente per loro, quellaparte della immensa boscaglia non eracosě folta da impedire una pronta ritirata.Essendo formata da alberi piuttosto bassi,i cespugli non avevano avuto campo dicrescere, sicché in pochi minuti poteronopercorrere uno spazio piů che sufficienteper mettersi al sicuro da un improvvisoattacco.

Quando, estenuati da quella furiosa corsa,si decisero ad arrestarsi per riprendere ilrespiro, non si udiva piů nulla.

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Si erano fermati in mezzo ad unmacchione di piante basse, grondanti diumiditŕ, dove nemmeno una belva avrebbepotuto scovarli.

- Restiamo qui per ora - disse Ali. - Sonosfinito e poi i selvaggi non ci inseguonopiů.

- E poi non dobbiamo allontanarci troppoda Pandu - rispose Sciapal. - Č un canetroppo prezioso per perderlo, padron mio.

- Non ho inquietudini per lui. Presto otardi ci ritroverŕ.

- Ma perché tarda tanto ?

- Avrŕ voluto finire prima quel selvaggioche stava per sorprenderci.

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- Sono furbi quei bricconi, signore.Credevamo che fossero ancora sullascogliera ed eccoli invece che sipreparavano a prenderci nella foresta.Che cosa vorranno dunque fare di noi?

- Qualche motivo serio deve spingerli acatturarci. Come ti dissi potrebbero averbisogno di schiavi o… di costoletteumane.

- Mi fai rabbrividire, padrone.

- Ah! Non ti ho ancora raccontata la tristeistoria dell’Orweh. - I selvaggi e l’altamarea non ve ne hanno lasciato il tempo.

- E non mi pare che sia nemmeno questo ilmomento per raccontarla. Toh! Odi questo

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fracasso?

- Ancora i selvaggi?

- Ma no… ascolta - disse Ali alzandosi.

Cominciava allora ad albeggiare ed unpo’ di luce si diffondeva anche sotto glialberi permettendo di distinguerne itronchi.

In mezzo a un gruppo di tamarindicolossali, s’era udito echeggiare unimprovviso clamore, accompagnato dauna serie di fischi stridenti e da mugolěirauchi. Ali e Sciapal si erano guardatil’un l’altro con qualche ansietŕ.

- Queste sono belve che lottano - disse ilcapitano.

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- lo ho udito ancora queste urla stridenti -disse l’indiano. - Solo il rinoceronte puňmandarle.

- Cattivo vicino, mio caro Sciapal.

- E anche questi mugolěi rauchi - continuňl’indiano. -Tigri, forse?

- No, padrone, pantere.

- Non sono meno pericolose del primo.

Le urla continuavano e cosě acute espaventevoli che nulla potrebberiprodurne la tonalitŕ stridente, furiosa,metallica. Erano muggiti, ora gravi ed oraacutissimi e fischi e sibili che parevanomandati da una legione di serpenticolossali. Ali, spinto da una irresistibile

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curiositŕ, era uscito, non ostante Sciapallo avesse consigliato a non mostrarsi, pernon raddoppiare la collera del mostro. Lamacchia perň era cosě fitta che non sipoteva distinguere nulla. Che uncombattimento furioso avvenisse fra itamarindi non vi era da dubitare. Sivedevano le cime ondeggiare, come seuna massa urtasse poderosamente controgli elastici tronchi e si udiva unfracassamento di rami.

- Lascia che il rinoceronte se la sbrighi dasolo e teniamoci invece pronti adarrampicarci su qualche grosso albero -disse Sciapal, arrestando il capitano. Ache servirebbero le tue pistole contro quelcolosso che č corazzato?

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- Hai ragione, Sciapal - disse Ali. - Nonconviene affrontare quel bruto cosěfacilmente irritabile. E poi vi sono anchedelle pantere. Alla larga da queglianimali.

Si erano rintanati sotto i cespugli quandoudirono un galoppo sfrenato epesantissimo. Pareva che una macchinaferroviaria corresse all’impazzataattraverso la foresta.

Gli alberi si piegavano o cadevano alsuolo, atterrati da una spinta irresistibile efoglie e frutta rimbalzavano da tutte leparti.

Un momento dopo videro slanciarsi fuoridalla macchia un colossale rinoceronte,

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tutto coperto di fango e che portava ingroppa due splendidi animali dal pelomacchiato a rosette variopinte, duepantere.

Le belve, probabilmente affamate,avevano assalito il colosso e lomordevano rabbiosamente, tentando disquarciargli la grossa pelle che come si sač cosě spessa e dura, da far soventedeviare le palle delle migliori carabine.Le orecchie erano state giŕ troncate, illungo labbro carnoso era statoatrocemente mutilato dagli aguzzi dentidelle pantere e perfino gli occhi eranoscomparsi.

Il povero rinoceronte, impotente asbarazzarsi dei suoi awersari, pazzo di

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dolore, correva a casaccio, urtando controi tronchi degli alberi e mandando clamoricosě spaventevoli da far rintronarel’intera foresta. Giunto in uno spiazzo,girň vertiginosamente su se stesso, poi sirizzň sulle zampe deretane e si lasciňcadere sul dorso.

Una pantera, con un salto fulmineo si erascagliata a terra, fuggendo subito in mezzoai cespugli; l’altra, che forse non avevaavuto il tempo di sbarazzare gli artigli,troppo profondamente infěssi nella grossapelle, era rimasta schiacciata sotto quellamassa pesantissima.

Il rinoceronte, quantunque cieco, si erasubito rizzato mandando un lungo gridostridente, un grido di vittoria, poi,

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sentendo fra le zampe la pantera, spintodalla rabbia della distruzione, la investěcol como, sbudellandola e schiacciandolaposcia sotto le larghe zampacce. La suaperň era una vittoria ben peggiore diquella di Pirro. Aveva il dorso dilaniato,il collo rosicchiato e la pelle in piůluoghi, non ostante il suo spessore, glicadeva a brandelli, mostrando la carneviva. Una pioggia di sangue lo inondava,formando sotto le zampe delle larghepozze. Si era fermato e rantolavaaffannosamente.

- č gravemente malato - disse Ali che siteneva prudentemente nascosto dietro iltronco d’un albero. - Non potrebberonemmeno portarlo all’ospedale se irinoceronti ne avessero uno. Per Bacco!

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Come l’hanno conciato le pantere!Dovevano avere degli artigli piů duridell’acciaio meglio temperato. Che cosane dici, Sciapal?

- Che quel bestione non ha dieci minuti divita.

- Si dice che la carne dei rinoceronti nonsia cattiva, č vero?

- č mangiabile, padrone, specialmentequando sono ben grassi e quello lě lo čassai.

- Un arrosto non giungerebbe in cattivomomento - disse il capitano. - Lasciamoche esali l’ultimo respiro. Ah! Pandu!

A breve distanza aveva udito un latrato

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sommesso poi uno scrosciare di foglie.

Entrambi si erano voltati.

Pandu giungeva a corsa sfrenata, tuttoinzaccherato e col muso lordo di sangue.

- Ah! Il bravo animale! - esclamň Sciapal.- Quanto dovremo a lui se riusciremo alasciare questa maledetta isola!

Pandu si era slanciato verso il padrone,ma si arrestň subito vedendo a breve

distanza il rinoceronte.

Temerario come sempre, si avventň versoil colosso, mordendogli le zampe de

retane. Credeva forse che si preparasse a

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caricare il suo padrone e cercava di

stornare la sua attenzione e obbligarlo avoltarsi.

Il povero colosso aveva ben altro da fare.Ansava penosamente, colla testa

quasi appoggiata al suolo vomitandosempre sangue dalla gola dilaniata. La

massa intera era scossa da un brividoincessante.

Non sentiva piů nulla e rimanevainsensibile ai morsi del cane.

- Qui, Pandu - comandň Ali. - Lascialomorire in pace.

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Aveva fatto tornare il cane, quando unrauco gorgoglěo uscě dalla gola delrinoceronte.

Rialzň per un momento la testa sbarrandole mascelle come se cercasse di mandargiů una ultima boccata d’aria, pois’accasciň improvvisamente su se stesso,rovesciandosi poscia su un fianco.

- č nostro - disse Sciapal afferrando lascure.

- Adagio - disse Ali, arrestandolo. - Nondimentichiamo l’altra pantera.

- Vedendoci non ardirŕ mostrarsi,padrone. Di rado osano assalire l’uomo inun luogo scoperto. Assalgono solamente a

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tradimento e nelle folte macchie dovepossono celarsi.

— Allora andiamo e poi siamo in tre e lemie pistole sono di buon calibro. Quelrinoceronte era uno dei piů grossi che Aliavesse veduto fino allora. Aveva quasi lataglia d’un elefante di mediocre statura,tolto le gambe che nei rinoceronti sonomolto piů basse se non meno massicce.Come si sa, questi animali, i piů violentied i piů brutali di quanti ne esistano , sulglobo, hanno una pelle che si puňchiamare una vera corazza, piů resistentedi quella degli elefanti, penetrabile soloalle armi da fuoco moderne, eppure leunghie delle pantere avevano prodottodegli squarci notevoli. Per di piů la suatesta, che č di forma quasi triangolare,

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provvista sul naso d’un corno d’avorio,lungo talvolta piů d’un metro, era stataorrendamente mutilata e le orecchie nonesistevano piů. Le belve le avevanointeramente divorate.

- Che bestiaccia - disse Ali. - Avrai dafare a squarciare questa armatura, miocaro Sciapal.

- Taglierň nella coscia, padrone - risposel’indiano. - La pelle qui č meno spessa.

Dopo sette od otto colpi di scure benapplicati, l’indiano riuscě a staccare unpezzo di carne di parecchi chilogrammi,che poteva bastare per un paio di giorni.

- Ora accendiamo il fuoco - disse il

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capitano. - Sono affamato come quellepantere.

- Ed i selvaggi?

- suppongo che avranno smarrite le nostretracce. Finché Pandu non da segnid’inquietudine, possiamo mangiaretranquilli.

Aiutato dall’indiano, piantň nel suolo duerami in forma di forca, ne tagliň un

terzo infilzandovi la carne, poi accesedelle foglie ben secche gettandovi sopra

della legna.

Pandu intanto ronzava fra le macchie, peraccertarsi che nessuno si accostasse.

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Vedendolo tranquillo i due naufraghiavevano ragione di credere che gliandamani, finalmente scoraggiati,avessero rinunciato a quell’inseguimentoche

era durato giŕ fin troppo e che era costatola vita di due guerrieri.

Ali e Sciapal, quando credettero l’arrostosufficientemente cotto, lo levarono

dal fuoco deponendolo su una bella fogliadi banano che serviva ad un tempo

da tovaglia e da tondo e si misero adivorare con un appetito invidiabile,senza

dimenticare il bravo Pandu.

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Avevano giŕ finito, quando un raucobrontolěo si fece udire a breve distanza.

- Che cosa c’č ancora? - chiese Ali senzaalzarsi e trattenendo Pandu che stava perscagliarsi.

- č la pantera che reclama la sua parte,signore - rispose Sciapal. - Dopo tutto nonha torto. Le abbiamo levato il boccone dibocca.

- Diamole la colazione, Sciapal.

- Volevo proporvelo. Quando quelle fieresono sazie lasciano tranquilli gli uomini.

- E noi non abbiamo bisogno di esseredisturbati.

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Prese la scure dell’indiano e staccň dallazampa mutilata del rinoceronte un enormepezzo di carne che lanciň destramenteverso la macchia da cui mugolava semprepiů minacciosamente la belva.

- Prendi e vattene - disse.

La pantera s’era scagliata sul pezzo dicarne con velocitŕ fulminea. Afferrarla escomparire fra le piante fu l’affare dipochi secondi.

- Ed ora, mio caro Sciapal, - disse ilcapitano della Djumna, - giacché misembra che nessuno ci minacci,approfittiamo per schiacciare unsonnellino. Pandu farŕ la guardia epossiamo fidarci di lui.

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LA RITIRATA DEISELVAGGI

Trovato un albero assai fronzuto, i cuirami si curvavano verso terra anzichéstendersi orizzontalmente od in alto eabbastanza lontano dal luogo in cuigiaceva il rinoceronte, Ali e Sciapal siprepararono un comodo e fresco lettoformato di foglie di banano e, fidandonella sorveglianza del cane,s’abbandonarono placidamente fra lebraccia di Morfeo.

Pareva invece che la loro maligna stellaavesse decretato di non lasciare unmomento di tregua a quei due disgraziati.

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Avevano appena cominciato a russare chefurono svegliati prima dai latrati furibondidi Pandu, poi da un concerto spaventevoleche avrebbe sfondato i timpani piů solidi.

- All’inferno i disturbatori! - gridň Ah,alzandosi assai di cattivo umore. - Chenon si possa riposare un solo istante suquest’isola dannata!

- Sono gli sciacalli che accorrono da tuttele parti a far la festa a quel poverorinoceronte - rispose Sciapal. - Sono dapreferirsi ai selvaggi, padrone.

- Ma non ci lasceranno dormire.

- Faranno presto a spolpare quel colosso.

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Devono essere in due o trecento elavorano bene di denti quegli animali. Inun’ora, una delle loro bande divora ancheun elefante per quanto grosso sia. Turatigli orecchi, padrone, e fěngi di non udirli.Non udirli! Anche un sordo non sarebbestato capace di dormire con quelle urladiaboliche che straziavano e sfondavanogli orecchi. Ali dovette per una buona orasopportare quel supplizio, ma poi,essendo le urla cessate, potč finalmenterichiudere gli occhi. Mezz’ora dopo,nuovi latrati di Pandu. Ali si era rialzatofurioso.

- Altri sciacalli che si avvicinano? -chiese a Sciapal. - No, padrone - risposel’indiano. - Si annunciano da lontano colleloro urla mentre non odo nulla.

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- Eppure Pandu non abbaia per nulla.

- Ah! Padrone! - esclamň l’indiano,afferrando rapidamente la scure e girandoall’intorno uno sguardň spaventato.

- Che sia la pantera che ritorna?

- Che non ne abbia avuto abbastanza dellacolazione che le abbiamo regalata?

- Meno male che il sole č alto e che lapotremo scorgere a tempo se avrŕ dellecattive intenzioni. Sciapal! - esclamň adun tratto. - E se fossero ancora i selvaggi?

- Padrone, andiamocene ancora. Conquesta pulce che m’avete messo negliorecchi non sarei piů capace di dormire.

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— Confesso che anch’io non ne avrei ilcoraggio - disse Ali. - E sai che cosa mifa supporre che si tratti d’uomini anzichédi belve?

- Il silenzio improvviso di Pandu, č vero,padrone?

- Sě - rispose il capitano. - Ah! Silenzio!E troppo tardi per lasciare questonascondiglio.

Pandu che si era un po’ allontanato,ritornava verso il padrone cogli orecchi ela coda bassa.

Due uomini, quasi nudi, cosě magri dapoter contare senza fatica tutte le lorocostole, uno armato di lancia colla punta

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formata da un osso di pesce e non

per questo meno pericolosa delle altre, sebene maneggiata, ed il secondo munitod’un grand’arco, s’avanzavanocautamente, tenendosi curvi per non urtarecontro i rami e non farsi scorgere.

- Sono ancora essi - bisbigliň il capitanoche tormentava i grilletti delle pistole. -Comincio ad averne fin sopra i capellidella testardaggine di quei bricconi. Mache cosa vogliono da noi che non abbiamodato loro alcun fastidio?

I due selvaggi pareva che seguissero unatraccia. Furono veduti arrestarsi presso ilfuoco che i naufraghi avevano accesoqualche ora o due prima e rovistare le

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ceneri, poi dirigersi lŕ dove giganteggiavalo scheletro del rinoceronte,accuratamente pulito dagli acuti dentidegli sciacalli.

- Che si dirigano dalla nostra parte? - sichiese con ansietŕ il capitano dellaDjumna. - Se fossero soli non esiterei afar fuoco, ma dietro di loro vi devonoessere gli altri.

- Non tentare nulla, padrone - dissel’indiano. - I loro compagni non sarannomolto lontani.

Pandu, come se avesse compreso che lasalvezza del suo padrone dipendeva dalsuo silenzio, non fiatava.

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Seguiva perň le mosse dei due selvaggicogli occhi sanguigni, pronto a scagliarsisu di loro al primo indizio d’un prossimopericolo. I due isolani girarono parecchievolte intorno allo scheletro delrinoceronte, chiedendosi probabilmentechi aveva potuto abbattere un animalecosě colossale, contro la cui pelle sispuntavano le punte delle loro lance edelle loro frecce, poi si videro ripartiresalendo la boscaglia verso il settentrione.Ali, vedendoli scomparire sotto gli alberi,aveva mandato un lungo sospiro dicontentezza.

- Se hanno preso quella direzione noisiamo salvi - disse a Sciapal. - Mentreessi si inoltrano nei boschi noi torneremoalla spiaggia e volgeremo loro le spalle.

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- Sě, padrone - rispose l’indiano.

- Ora aspettiamo che passino anche glialtri.

Un quarto d’ora dopo videro comparireuna piccola banda. Questa, sapendo diaver dinanzi due esploratori, s’avanzavasenza precauzione, seguendo le tracce dicoloro che la precedevano.

Quattro, scelti fra i piů robusti, portavanosulle spalle un involto, avviluppatostrettamente fra foglie di banano legatecon sottili liane e che aveva la forma d’uncorpo umano.

- Che cosa avranno lŕ dentro? - chieseSciapal.

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- Scommetterei che č il cadavere delcapo, ucciso da me - rispose Ali. - Nonavranno voluto lasciarlo ai pescicani e losospenderanno a qualche albero del suovillaggio. Buon viaggio, bricconi, e viauguro l’incontro di tutti i serpenti e ditutte le tigri e le pantere che infestano lavostra isola.

I selvaggi, che camminavano con passolesto, erano giŕ scomparsi.

- Credi ora che possiamo dormire,Sciapal? - chiese Ali. — Mi pare chesarebbe tempo - rispose l’indiano.

- Buttati giů e, quando ci risveglieremo,torneremo verso la costa. Č dalla partedel mare che noi possiamo sperare la

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nostra salvezza.

Si ricoricarono, colla certezza di nonvenire disturbati e non si svegliarono cheverso le due pomeridiane.

- Alla costa ora, e strada facendocerchiamo di procurarci la cena - disseAli. Si erano appena incamminati quandoudirono sulla loro destra delle gridastridenti.

- č la cena che ci viene incontro - disse ilcapitano in tono allegro. - La malignastella che finora ci ha perseguitati sta pertramontare.

- Devono essere pavoni - disse Sciapal.

- Un arrosto che merita una palla - rispose

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Ali.

Trattenendo il cane per impedirgli dispaventare quei bellissimi volatili chevivono in grandi bande fra le fitte forestedell’India e delle isole del Bengala,s’inoltrarono con precauzione, scostando irami senza far rumore. Le gridaaumentavano, di passo in passo che siavanzavano verso quella nuova direzione.Vi doveva essere qualche centinaio divolatili radunati in qualche radura.

S’inoltravano allora fra boschetti diminai, graziosi arbusti alti due o tre metri,coi rami lunghi e sottili, le foglie d’unverde languido, lanceolate e coperti dagrappoli di bellissimi fiori leggermentegialli, ed esalanti un profumo

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delicatissimo.

Da quelle foglie disseccate si estraequella polvere colorante, verdognola,conosciuta col nome di henne, e collaquale si forma quella pasta adoperata dagran numero di popolazioni asiatiche, pertingersi di giallo le palme delle mani e deipiedi e le unghie. Anche le donne turchene fanno grande consumo. Superati queimacchioni, l’angloindiano ed il malabaroscorsero, radunati in uno spazio scoperto,tre o quattrocento pavoni.

Quei superbi volatili correvano intornoalle femmine facendo la ruota, vibrando estarnazzando le loro lunghe penne sullequali la porpora e l’oro si univano alletinte scintillanti degli smeraldi e degli

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zaffiri e agitando l’elegante ciuffetto cheornava le loro teste.

Quegli uccelli meravigliosi, che sonooriginari dell’India e delle isole delBengala, come si disse, vivono in bandenumerosissime in mezzo ai boschi, allostato selvaggio. Talvolta s’incontranodegli stormi di mille e perfino di milleduecento volatili.

Assai di rado, anche se disturbati, sisalvano volando, quantunque possanoinnalzarsi. Preferiscono correre e sonocosě agili da sfidare perfino i cani.

Solamente alla sera si rifugiano sui ramidegli alberi, dai quali scendono all’albaper andare in cerca di semi che

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inghiottiscono interi, A nche il nido locostruiscono in terra, riparandolo allameglio con rami e con foglie, ma appena ipiccini mettono le ali, le madri siaffrettano a portarli sugli alberi perinsegnare loro a volare.

Ali, sapendo che i pavoni, se hannol’udito debole hanno invece la vista assaiacuta, ordinň a Sciapal di arrestarsi colcane e si mise a strisciare fra i cespugli

cercando di non farsi scorgere.

Giunto a buona portata, scaricň entrambele pistole in mezzo alla banda. Duecaddero, ma gli altri spaventati da quelledetonazioni, fuggirono rapidamente,scomparendo in mezzo agli alberi.

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Ali stava per slanciarsi innanzi, quandoudě sulla sua destra un fracassoassordante, spaventevole. Pareva cheattraverso alla boscaglia si avanzasse unuragano: i cespugli cadevano al suoloatterrati; i giovani alberi piombavano adestra ed a sinistra spezzati da urtiirresistibili; il suolo tremava come se vipassassero sopra dei reggimenti dicavalleria o dieci locomotive, e dovunquesi udivano dei sordi muggiti.

Pandu si era lanciato in mezzo alla forestaabbaiando con furore, mentre Sciapalurlava:

- Fuggě, padrone! Stiamo per venire fatti apezzi!

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Quantunque Ali ignorasse ancora qualepericolo lo minacciava, udendo le gridadel malabaro improntate al piů profondoterrore, aveva abbandonati i pavoni ebalzando fra i cespugli di minai lo avevaraggiunto ai piedi d’un albero assai alto,ma dal tronco poco grosso, chepermetteva una rapida ascensione. —Presto, sali, padrone - gli disse Sciapal.

Ali abbracciň il tronco e si mise adarrampicarsi coll’agilitŕ di una scimmia,Seguito dal malabaro. Quantunque quellapianta fosse alta per lo meno quindicimetri, in dieci secondi si trovaronoentrambi sulla cima, in mezzo a grandifoglie piumate, larghe come parasoli edisposte in forma di ventaglio. Quasi nelmedesimo istante irrompeva, colla furia

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d’un uragano, tutto distruggendo edabbattendo sul suo passaggio e con unfragore assordante, paragonabileall’improvviso straripare d’un fiumegigante, una turba immensa di animalidall’aspetto pauroso e di taglia enorme.Erano due o trecento jungli-kudgia obhainsa (bufali delle jungle) animaliformidabili, piů da temersi delle tigri,poiché quando sono lanciati contro unavversario, nessun ostacolo li arresta,nemmeno l’artiglieria.

Questi bufali, che vivono allo statoselvaggio in mezzo alle jungle o allegrandi for este, somigliano piů ai bisontidell’America settentrionale che ai buoicomuni. Sono di forme massicce, alticinque piedi e mezzo, lunghi nove dal

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muso all’o

rigine della coda, ossia tre metri; hanno ilcollo grosso e breve, una gobba moltopronunciata che si estende, come neibisonti, fino alla metŕ del corpo, una testacorta e quadra, la fronte alta e larga,coronata da ciocche di peli lunghi erossicci e armata di corna formidabili, diforma ovale, lunghe, ricurve indietro mache poi si rialzano in punta.

I loro occhi che sono sempre iniettati disangue, quelle corna che pare minaccinosempre di sventrare l’avversario, quelpelame nero e lungo che ricopre la lorogobba mentre quello del corpo črossastro, danno a quegli animali unaspetto tale, da far tremare il piů intrepido

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cacciatore. Spaventati forse da quelle duedetonazioni e credendosi assaliti, si eranoscagliati innanzi con impeto irresistibile,sfondando colle corna e colle robustefronti, quel macchione di cespugli, perprevenire senza dubbio l’attacco. Maleserviti perň dai loro occhi, che sonopiuttosto deboli, passarono sotto l’alberosenza arrestarsi, urtandolo perň con talefurore, da temere che lo spezzassero, mapercorsi due o trecento metris’arrestarono di colpo. Il loro odorato,che č invece molto fino, non dovevatardare ad avvertirli che i creduti nemicinon erano dinanzi, ma dietro a loro.

Infatti Ali e Sciapal li videro fare unbrusco fronte indietro ed arrestarsi apochi passi dall’albero. Pareva perň che

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la loro collera fosse pel momento sfumata,poiché guardavano i due uomini piů concuriositŕ che con rancore. Si misero agirare e rigirare attorno alla pianta,alzando i loro rosei musi e guatandosospettosamente quei due esseri che sitenevano aggrappati ai grossi gambi dellefoglie, poi si misero a pascolaretranquillamente, mentre alcuni sisdraiavano all’ombra degli alberi,ruminando.

- Siamo prigionieri - disse Ali.

- E forse per lungo tempo, padrone -rispose Sciapal. - Conosco latestardaggine di questi bhainsa.

- Che vogliano proprio assediarci?

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- Sě, padrone.

- Diavolo!… E non abbiamo nulla daporre sotto i denti e nemmeno un sorsod’acqua. Se provassi a spaventarli con uncolpo di pistola?

- Non farlo, padrone. Se montano infurore, sono capaci di schiantare l’albero.

- Mi sembra solido, Sciapal.

- Lasciamoli tranquilli, padrone.

- Ma se l’assedio si prolunga, dovremosoffrire la sete?

- Ma no, padrone - disse Sciapal, cheaveva guardato l’albero. - La nostra buonastella ci ha guidati su una pianta preziosa

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che ci darŕ da mangiare e da bere. Ibhainsa aspetteranno un bel po’ la nostradiscesa e perderanno la pazienza. Ah!Padrone! Io ti farň assaggiare un buonbicchiere di vino!

L’ASSALTO DEI BHAINSA

Quella promessa doveva sembrarestraordinaria, inverosimile, in quelmomento ed in cima a quell’albero;eppure il malabaro aveva parlato con tuttaserietŕ e non doveva tardare a mantenerela promessa.

Quell’albero su cui si erano posti in

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salvo, era un borasso, a foglie in forma diventaglio, pianta assai comune in queiclimi e una delle piů utili e delle piůstrane.

Come si disse, era alta una quindicina dimetri, col tronco svelto che siassottigliava all’estremitŕ superiore,coperta di foglie folte, disposte aventaglio, lunghe un metro e mezzo elarghe come un parasole.

Era carica di frutta grosse come la testad’un bambino, a tre anni, arrotondate,colla corteccia giallastra.

Il malabaro estrasse il suo coltello dimanovra che teneva stretto nella fascia,s’alzň in piedi, strappň un pezzo di foglia,

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e foggiň una specie di bicchiere in formadi corno, poi recise un ramo dei piůgiovani, che da poco aveva fiorito e vimise sotto quello strano recipiente,mantenendolo ritto con alcuni filamentivegetali.

Ciň fatto arrptolň altre foglie, recise altrirami giovani, ve le sospese sotto e attese.

Poco dopo da quei tagli, Ali che stavaattento, vivamente curioso di sapere inqual modo il malabaro poteva offrirgliuna tazza di vino, vide colare nei cornettidi foglie un liquido che spandeva unodore leggermente alcoolico.

- Bevi, padrone - disse il malabaro,quando uno di quei bicchieri fu pieno. Ali

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assaggiň quel liquido, poi lo bevetteavidamente. Era dolce, leggermentepiccante e aveva il sapore del vino.

- Ma č davvero eccellente! - esclamň. -Ho bevuto ancora qualche cosa di simile,il toddi.

- Si, ma questo č migliore, padrone - disseSciapal. - Bevi pure; i rami continuerannoa darcene per molto tempo.

- Purché non ci ubriachiamo e poicapitomboliamo dall’albero.

- Se lo lasciassimo fermentare ciubriacheremmo, ma lo berremo prima.

- Si potrebbe anche estrarre dellozucchero da questo liquido, ma

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bisognerebbe possedere un recipientespalmato di calce per impedire lafermentazione e del fuoco per farlocondensare; perň pel momento nonpossediamo l’uno e non possiamoaccendere l’altro.

- č vero, padrone. Aspetta un momento.

Staccň una di quelle frutta, l’apri con uncolpo di coltello ed estrasse due specied’uova, grosse come quelle di un’oca ebianche.

- Mangiale, padrone - disse,porgendogliele.

Ali si mise a rosicchiarne una e la trovňbuonissima. Aveva il sapore delle nostre

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mandorle.

- Ecco un albero che č la veraprovvidenza, specialmente in questomomento, - disse. - Per due o tre giornipotremo tirare innanzi a dispetto degliassedianti.

Aprirono altre frutta facendo raccolta diquelle grosse mandorle, ritirarono icornetti giŕ pieni di liquido eaccomodatisi meglio che poterono, simisero a far colazione, senzapreoccuparsi dei bufali.

Questi, dal canto loro, pareva che pelmomento avessero rinunciato all’idea disloggiare gli assediati. Alcuni, sdraiatiall’ombra degli alberi, ruminavano

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pacificamente, mentre gli altripascolavano attorno al borasso, ma nonperdevano di vista i due prigionieri.

Anzi, qualcuno si spingeva di tratto intratto sotto l’albero, guardava i dueuomini coi suoi brutti occhi iniettati disangue e urtava il tronco colle robustecorna, come se volesse accertarsi dellasua resistenza.

Ad un tratto perň quella calma fubruscamente interrotta dalla comparsa diPandu.

L’intelligente animale, che fino allora siera tenuto celato in mezzo agli alberi,vedendo che la prigionia del suo padronesi prolungava troppo, era bruscamente

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balzato fuori e si era scagliatocoraggiosamente sul bufalo piů vicino,azzannandogli un orecchio.

Il grosso ruminante, sentendosi lacerarequella parte delicata, parve cheimpazzisse. Si mise a girare su se stesso,spiccando salti indiavolati e muggendofuriosamente, ma il bravo cane,quantunque venisse sbattuto in tutti i sensi,teneva duro e stringeva con maggiorenergia, incoraggiato dalle grida di Ali eSciapal, i quali avevano bruscamenteinterrotta la colazione. Gli altri bufali,vedendo il loro compagno in pericolo, siprecipitarono in suo aiuto, galoppandoall’intorno e abbassando le formidabilicorna. Pandu, comprendendo che stavaper venire sventrato, abbandonň

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l’avversario, ma non lasciň il campo.Sfuggendo a quelle cariche disordinate,con un’agilitŕ sorprendente, balzava oraaddosso all’uno ed ora addosso all’altro,abbaiando ferocemente, mordendo igarretti a questo od a quello, o la estremitŕdelle lunghe code o gli orecchi e senzamai lasciarsi prendere. — Bravo Pandu! -gridava Ali. - Mordi bene!

- Strappa loro gli orecchi! - urlavaSciapal.

I bufali, resi furiosi da quegli assalti chesi moltiplicavano e contro i quali nonpotevano difendersi, galoppavanoall’impazzata, fracassando i cespugli,falciando coi robusti zoccoli le alte erbe,muggendo e scagliando cornate in tutte le

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direzioni. Ali, temendo pel suo valorosocane, credette giunto il momento di far usodelle sue armi. Armň le pistole e fecefuoco su di un vecchio maschio, chepassava di galoppo sotto l’albero.

Colpito replicatamente, ma nonmortalmente, avendo la pelle assai dura, ilbhainsa s’impennň come un cavallotoccato dallo sperone, poi, comprendendoche quei proiettili dovevano essere statimandati dai due assediati, si scagliň atesta bassa contro l’albero.

L’urto di quell’enorme massa fu cosěviolento, che il borasso oscillňviolentemente, scricchiolando.

Sciapal aveva avuto il tempo di

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aggrapparsi alle grandi foglie, ma Ali, cheaveva ancora in mano le pistole, perdutobruscamente l’equilibrio, fu scaraventatonel vuoto.

Il disgraziato emise un urlo terribile,credendo di andarsi a sfracellare contro ilsuolo, ma fortunatamente, pel colpo subitodal tronco elastico dell’albero, caddemolto piů lontano, nel bel mezzo d’unfolto cespuglio di mussenda. Quélcapitombolo che doveva riuscirgli fatale,da quell’altezza di quindici metri, in altrecircostanze non avrebbe avuto nessunaconseguenza in causa dei rami cheavevano ammorzato il colpo, ma vi eranoi bufali. Vedendo precipitare quel corpo,quindici o venti si scagliarono a testabassa contro il cespuglio. Ali, quantunque

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stordito da quella repentina caduta, si eraaffrettato a balzare in piedi.

Vedendo rovinarsi addosso quellavalanga di corpi enormi, si gettňprontamente fuori dal cespugliomettendosi a fuggire attraverso allaforesta, ma gli era impossibile gareggiarecon quegli animali che corrono come icavalli. In un istante fu raggiunto da unodei piů agili e scagliato in aria con unaviolenza inaudita.

Sciapal, pallido, atterrito, impotente, videil capitano roteare tre o quattro volte nelvuoto, poi piombare fra la biforcazione diun grosso albero e rimanere imprigionatofra le foglie ed i rami. - Padrone! - urlň,curvandosi innanzi. - Sei ferito?

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Ali non diede segno di vita. Steso fra irami folti di quell’albero, che gl’impedivano di cadere a terra, giaceva inerte,colle braccia penzoloni. Sotto di lui, ibufali balzavano come indemoniati,cercando di urtare il ramo che era pocoalto da terra, ma senza riuscire nel lorointento, mentre gli altri, aizzati senza posadal valoroso cane, correvano attorno alborasso. Parve finalmente che ne avesseroabbastanza di quei morsi e diquell’avversario instancabile e cosě lestoche sfuggiva alle loro corna, poichécominciarono a sbandarsi galoppandoverso l’interno dell’isola. Alcunicontinuarono a inseguire Pandu ancora perpochi minuti, ma vedendo gli altriallontanarsi, non tardarono a seguirli.Quando il fracasso prodotto da quella

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valanga di corpi enormi si perdette in

lontananza, Sciapal, che pareva pazzo didolore, si lasciň scivolare a terra e corsesotto l’albero, fra i cui rami giaceva Ali.

- Padrone, sono fuggiti! - gridň. - Scendiche non corriamo piů alcun pericolo e…S’arrestň di colpo, gettando un gridod’orrore: delle gocce di sangue tiepido glierano cadute sul viso.

- Grande Siva! - esclamň. - L’hannoucciso! S’arrampicň sul tronco e giunseben presto accanto al padrone.

Ali, pallido come un cencio lavato, cogliocchi semichiusi, pendeva inerte fra irami, come se fosse morto. La sua giacca

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di tela bianca era macchiata di sangue, ilquale usciva a larghe gocce da un foroperfettamente circolare, prodotto senzadubbio dal corno del bufalo. Sciapal gliposň una mano sul cuore, ma sentě chebatteva ancora.

- Speriamo - mormorň. - il padrone črobusto.

Sciapal era magro come tutti gl’indiani,ma possedeva dei muscoli di ferro. PreseAli fra le robuste braccia, lo liberň dairami che lo imprigionavano, poi adagioadagio, senza scosse, lo calň in mezzo adun cespuglio che stava sotto, servendosidella sua larga fascia.

Ciň fatto balzň a terra, lo spogliň della

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giacca e della maglia azzurra ed esaminňla ferita. Il disgraziato aveva ricevuto unacornata sotto la sesta costola e l’aguzzaarma del bufalo gli era entrata perparecchi centimetri, ma senza produrreguasti interni, almeno cosě speravaSciapal, il quale, come quasi tutti i suoicompatrioti, aveva una certa conoscenzain fatto di ferite. La settima cestola perňera stata spezzata brutalmente ed Alidoveva essere svenuto in causa deldolore, il quale doveva essere statotremendo.

- La guarigione sarŕ lunga, ma il padronenon correrŕ pericolo alcuno - disse ilmalabaro. - Temevo di peggio.

Avendo scorto a breve distanza uno

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stagno, si strappň un pezzo di dubgah,andň a inzupparlo d’acqua e lavňaccuratamente la ferita, poi delicatamentericongiunse la cestola spezzata.

Ciň fatto gli fasciň il petto per arrestarel’emorragia che poteva avere gravissimeconseguenze.

- Ora fabbrichiamo un ricovero - disse. -Il trasporto alla costa č assolutamenteimpossibile senza una barella.

Stava per alzarsi, quando Ali apri gliocchi emettendo un sordo gemito.

- Sciapal - mormorň.

- ccomi, padrone - disse il malabaro,curvandosi su di lui.

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- Cos’č… accaduto? Provo… un acutodolore… qui… al fianco destro.

- Hai ricevuto una cornata da un bufalo,padrone.

- Il bufalo! Ah! Si… mi ricordo… erostato gettato in aria… sono fuggiti,adunque?

- Sě, padrone. Pandu li ha costretti ariguadagnare la foresta.

- Pandu! č vivo ancora? Dov’č? Lasciache lo veda?

- Il bravo animale sarŕ occupato aperseguitare i bufali per impedire loro diritornare.

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- Coraggio Pandu! Sono feritogravemente?

- Hai una costola spezzata e una feritaprofonda, ma guarirai.

- Ma non potrň muovermi per lungotempo, Sciapal. -Non ci sono io?

- Ma tu solo non puoi trasportarmi allacosta ed io non sono capace di reggermiin piedi.

- Rimarremo qui, padrone. Costruirň unricovero per difenderci dagli animali edalle intemperie, io caccerň colle tue armiassieme a Pandu e tu riposerai tranquillo.Fra un mese o quaranta giorni, noipotremo rimetterci in marcia.

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- Un mese, immobile! Non potevatoccarmi una disgrazia maggiore, Sciapal.

- Consolati che sei ancora vivo.

- č vero.

- Basta: sdraiati su queste fresche foglie eriposa tranquillo, io ti costruirň unacapannuccia, poi andrň a cercare i pavonie delle erbe che rimargineranno presto latua ferita. Tu sai che noi indiani neconosciamo di quelle che sonoefficacissime.

- Lo so, Sciapal. Prima cerca le miepistole.

- So dove si trovano.

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- Credi che ritorneranno i bhainsa!

- Non lo credo; ma poi ci troveranno alriparo. Sciapal sa costruire delle solidecapanne. Dormi, padrone: io penserň atutto.

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UNA NAVE INFIAMME

Sciapal si era messo al lavoro, conalacritŕ straordinaria. Prima che il sole,tramontasse e che l’umiditŕ della foresta,cosě pericolosa in quelle isole,piombasse sul ferito, con quell’abilitŕ chedistingue gl’indiani ed in particolare imalabari, aveva costruito una solidacapanna con leggeri tronchi d’albero,coperta da un tetto di grandi foglied’orecche.

Aiutato da Pandu, che era ritornato, avevapure ritrovati i due pavoni abbattuti fra icespugli di minai e fatta una provvista di

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frutta di borasso, le sole che pel momentoaveva trovate nei dintorni.

Quella prima notte, passata in pienaforesta, trascorse tranquilla, sebbene ilmalabaro avesse quasi sempre vegliato,non per tema che gli animali selvaggi

assalissero la capanna che era ben chiusae solida, ma per rinnovare le compressebagnate al suo disgraziato capitano.

L’indomani, il malabaro si mise in cercadi alcune erbe a lui note, che hanno laproprietŕ di rimarginare moltorapidamente le ferite e riuscě a scopriredelle pianticelle conosciute col nome dilingua di serpente, il cui succo viene assaiadoperato, e con esito felice, dagli

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esculapi indiani.

Ali, che soffriva assai, provň un verosollievo col liquido estratto da quellefoglie miracolose. Giŕ al terzo giorno laferita aveva cominciato a rimarginarsi, mala costola spezzata richiedeva perň unriposo assai lungo, una immobilitŕ diparecchie settimane.

Il bravo malabaro tuttavia non rimanevamai inoperoso e si moltiplicava per nonfare mancare i viveri al suo padrone.

Ogni mattina s’inoltrava nella folta eumida foresta, lasciando Pandu a guardiadella capanna, e quelle scorrerie nonerano mai infruttuose. Ora ritornava conqualche pavone, o con qualche sŕras

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chiamata anche gru antigone, uno dei piůgrandi volatili che si trovano in quelleisole, essendo alta perfino un metro emezzo, col corpo grosso, rivestito dipenne grigie, lucenti come la seta, collatesta fina, armata d’un becco corto eadorno di penne rosse, col collo lungo ediritto e le gambe alte, grosse.

Questi uccelli sono l’emblema dellafedeltŕ coniugale, vivendo sempreassieme maschio e femmina. Anchequando uno viene ucciso, il compagno nonlo abbandona e continua a svolazzare sulcadavere emettendo strida lamentevoli.Un giorno era anche riuscito ad abbattere,con una pistolettata fortunata, uno di queipiccoli cinghiali neri che sono cosěnumerosi nelle isole Andamane e un altro

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un nilgň, antilope di grossa taglia, grandequanto un cervo, ma di forme piů eleganti,colla testa somigliante a quella deicavalli, ma armata di corna acuminate,diritte, lunghe trenta centimetri ed ilpelame azzurregnolo. Aveva purescoperto parecchi alberi fruttiferi: deimanghieri, dei giacchieri, qualche cavolopalmizio, un albero carico di noci dicocco e dei banani deliziosi dalle fruttapiccole, chiamati musa sapientium dainaturalisti, perché furono in ogni tempocibo gradito dei sapienti e dei sacerdoti diBrahma. Ali, mai si era trovato fra tantaabbondanza, dal giorno in cui era sbarcatosu quell’isola selvaggia, e ne approfittavaper mettersi in forze, con grandesoddisfazione del bravo malabaro.

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Quattro lunghe settimane erano in talmodo trascorse, senza che alcun cattivoincidente avesse turbato il riposo delferito. Giŕ questi cominciava ad alzarsi eda fare qualche breve passeggiata intornoalla capanna, quando una scopertainaspettata venne a mettere delle serieinquietudini nell’animo dei due naufraghi.Sciapal, come era solito fare tutte lemattine, erasi recato nella foresta percercare delle frutta fresche, quando Ali,che si era seduto sul tronco d’un alberoatterrato, sotto la guardia di Pandu, lovide ritornare, correndo come se fosseinseguito da qualcuno.

- Cos’hai, Sciapal? - chiese il capitano,afferrando la pistola che il malabaro gliaveva lasciata, onde fosse in grado di

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difendersi durante le assenze.

- Padrone - rispose il marinaio. - Vi sonodei selvaggi nei dintorni. — T’inseguonoforse?

- No, ma credo che non siano lontani.

- Hai scoperto le loro tracce?

- Sě, padrone.

- Potrebbero essere vecchie, Sciapal.

- No, poiché il fuoco era ancora acceso.

- Diamine! Racconta tutto.

- Mi ero inoltrato nella foresta, quandopassando presso un grosso albero che

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aveva nel suo tronco un profondo cavo,con mia grande sorpresa sentii giungermial viso un buffo d’aria caldissima.Guardai entro quel cavo e vidi che erapieno di cenere. Rimescolandola collapunta del mio bastone, m’accorsi che sottovi era della brace e che il legno siconsumava lentamente.

- Comprendo - disse Ali. - Era un fornodei selvaggi.

- Un forno!

- Sě, Sciapal. Per arrostire i loro viveri,gli andamani accendono il fuoco al pieded’un grosso albero ed a misura che lafiamma consuma la corteccia e la midolla,estraggono i carboni, finché si forma una

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cavitŕ la quale poi serve di forno.

- Potrebbero arrostire la loro selvagginasui tizzoni.

- č vero, ma quei forni hanno un grandevantaggio e cioč di conservare il fuocoper delle settimane intere, sotto la cenereche si forma. Non possedendo, gliandamani, alcun istrumento per procurarsiprontamente il fuoco, ricorrono a quelsistema che č molto comodo.

- Ma come accendono gli alberi?

- Strofinando lungamente due pezzi dilegno ben secchi, operazione che richiedeuna certa abilitŕ e molto tempo.

- Dunque il forno che io ho scoperto, puň

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aver servito molti giorni fa.

- Puň essere, Sciapal. Nondimenoveglieremo e cercheremo di non farcisorprendere. Appena poi potrň camminareci affretteremo a guadagnare la costa.Sono giŕ guarito e spero, fra qualchegiorno, di andare a respirare una boccatad’aria marina.

Quantunque fossero persuasi di non venirescoperti in mezzo a quelle fitte boscaglie,alla notte vegliarono per turno, temendoche Pandu svelasse il loro rifugio con deilatrati inopportuni.

L’indomani Sciapal andň a perlustrare idintorni, ma fu costretto a ritornare moltopresto. Il tempo, che fino allora si era

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mantenuto assai buono, minacciava didiventare pessimo.

L’acqua cadeva a torrenti sotto i boschi esi udiva il mare ruggire sordamente versola costa, la quale non era lontana piů di unpaio di chilometri. Sciapal fu costretto adammassare sul tetto un gigantesco cumulodi foglie, per impedire che la pioggiainondasse la capanna, ed a rinforzare lepareti, soffiando un ventaccioimpetuosissimo anche sotto quelle foreste.Nei giorni seguenti la pioggia continuň acadere con crescente violenza,accompagnata da tuoni formidabili e dascariche elettriche. Sciapal si videcostretto a rinunciare alle sue corse ed atenere compagnia ad Ali; fortunatamenteaveva ucciso il nilgň e la carne non

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mancava, avendo avuta la precauzione diseccarne una parte.

Una notte, mentre dormivano l’unoaccanto all’altro, furono bruscamentesvegliati dai latrati di Pandu.

Credendosi assaliti, balzarono in piedicolle armi in pugno. Il cane, colla testavolta verso il mare, abbaiava con furore efaceva sforzi disperati per aprire la porta.

- Che Pandu abbia sentito qualche cosa? -chiese Sciapal.

- Certo - rispose Ali.

- Dei selvaggi forse?

- Apri, Sciapal.

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Il malabaro obbedě, Appena Pandu sivide dinanzi lo spazio, si slanciň indirezione della costa, abbaiando concrescente forza.

La notte era tempestosa e pioveva adirotto, ma lividi lampi rompevano letenebre. Ali e Sciapal guardarono sotto glialberi, ma nulla videro di sospetto: teserogli orecchi, ma non udirono che gliscrosci formidabili delle folgori.

Chiamarono Pandu, ma il cane dovevaessere ormai lontano: solamente adintervalli si udivano i suoi latratiecheggiare fra le urla della tempesta, madiventavano rapidamente fiochi.

- Qualche cosa succede verso la costa -

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disse Ali. - Pandu non ci avrebbe lasciati.

- Che una nave sia stata spinta sullescogliere dell’isola? - chiese Sciapal.

- č possibile, con questo uragano.

- Andrň a vedere, padrone. — Non avraipaura?

- Si tratta forse della nostra salvezza etutto si puň affrontare.

- Va’ Sciapal e affrettati.

Il malabaro si armň d’un bastone e dellascure e si slanciň attraverso alla foresta,orizzontandosi alla luce dei lampi. Inlontananza udiva sempre echeggiare ilatrati di Pandu. Rami, foglie e frutta,

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strappate dal ventaccio che ululavasinistramente sotto gli alberi, glipiovevano addosso, ma il malabaro non siarrestava, anzi raddoppiava la corsa,spinto dalla speranza di veder approdarequalche nave. Dopo un quarto d’oragiungeva sulla sponda. Il mare, sollevatodalla bufera, si scagliava con impetoirresistibile contro le coste, come sevolesse spazzare via l’isola intera. Ondemostruose, spumeggianti, si rompevanoscrosciando e muggendo, lanciando i lorosprazzi fino ai piedi degli alberi. Allaluce di un lampo, Sciapal vide il caneritto su di una roccia, colla testa voltaverso il nord-ovest e che abbaiavafuriosamente.

Guardň in quella direzione e scorse, ad

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una distanza di tre o quattro miglia, unvivo chiarore. Pareva che una fiaccolagigantesca scorresse sul mare tempestosocon fantastica rapiditŕ, lasciandosi dietroun lungo codazzo di scintille. Subito,avendo gli occhi abbagliati dai lampi,Sciapal non potč distinguere che cosafosse, ma osservando meglio, si accorseche non era una fiaccola, ma bensě unanave, un pariah in fiamme!

La sua alberatura bruciava come un falňimmenso, tingendo di riflessi sanguigni leonde.

Quello spettacolo tremendo, terribile inmezzo a quel formidabile rimescolamentodelle onde, durň poco. Una partedell’alberatura cadde, poi la nave, spinta

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dal vento, si perdette in lontananza.

Sul tenebroso orizzonte, Sciapal distinseancora per qualche minuto un puntoluminoso che rimpiccioliva rapidamente,poi scomparve fra le nubi e la pioggia.

- Disgraziati! - esclamň, rabbrividendo. -Quale sarŕ la loro sorte?

Pandu non abbaiava piů. Aveva provato aseguire quella nave fiammeggiantecorrendo lungo la costa, poi era ritornatoverso il malabaro, emettendo un ultimourlo lamentevole.

- Ritorniamo - disse Sciapal. - Il padronesarŕ inquieto.

Si rimise in cammino, ma Pandu non

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pareva disposto a seguirlo di buonavoglia. S’arrestava di frequentevolgendosi verso il mare, lanciava delleurla che avevano qualche cosa di lugubree certe volte, coi denti afferrava l’indianoper la veste, come se volesse costringerload arrestarsi.

- Č inutile, mio bravo Pandu - rispondevail malabaro. - Quella non approder ŕ quiper salvarci.

Ah! Se avesse potuto comprenderel’intelligente animale non avrebbe di certoguardata, quasi con indifferenza, quellanave fiammeggiante che l’uragano avevaspinto cosě presso al suo padrone, néavrebbe cosě presto abbandonato quellaspiaggia, verso la quale le onde

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trascinavano il loro piů mortale nemico!

Quando giunse alla capanna, trovň Alisulla porta, in preda ad una viva curiositŕed anche a una certa ansietŕ.

- č passata qualche nave? - chiese aSciapal.

- Sě, padrone, - rispose il malabaro, - mauna nave preda delle fiamme e travoltadall’uragano.

— Pandu non si era adunque ingannato?

— No, padrone, ma nessun soccorsopossiamo sperare da quel legno, temo anziche non vada molto lontano.

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- Poveri marinai! - esclamň Ali. - La naveč passata molto vicina alla costa?

- A tre o quattro miglia.

— Dovevano spingerla verso la spiaggia,se volevano salvarsi. Una nave cheabbrucia, non ha altra risorsa, quando laterra č vicina. Dove andava?

- L’uragano la spingeva verso il sud.

- Chissŕ che non vadano a naufragare sullecoste meridionali, Sciapal.

- In tal caso poco vi gioverebbe il loroaiuto, padrone.

- Ma in molti si possono fare molte cose,amico mio: resistere ai selvaggi, costruire

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un piccolo legno cogli avanzi dell’altronaufragato… Sciapal, noi ritorneremoverso il sud.

— Hai delle speranze, adunque!

- Se quell’equipaggio si č accorto dellavicinanza dell’isola, sono certo che avrŕspinto lŕ nave alla costa. Questa speranzacomincia a radicarsi nel mio cuore.

- Se vorrai, ritorneremo al sud. - Sě,Sciapal. Domani posso cominciare acamminare e scenderemo lungo laspiaggia.

In quell’istante Pandu che si eraaccovacciato sulla soglia, emise un lungoguaito. Teneva la testa volta verso il

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mare, e pareva che tendesse gli orecchi aimille fragori dell’uragano.

- Padrone, - disse Sciapal, - non ho maiveduto il tuo cane inquieto come questasera. Cercava perfino d’impedirmi diritornare.

- Spererŕ che la nave ritorni per salvarci -rispose Ali. - Povero Pandu! Quantaaffezione!

- Ma non odi che guaiti lugubri? Sidirebbe che prevede una qualche gravedisgrazia.

- Bah! Sono superstizioni, Sciapal, allequali io non ho mai creduto. Orsů andiamoa riposare.

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Chiusero la porta, ma Pandu non volleentrare e rimase fuori, accovacciato sottoun cespuglio.

Poco dopo entrambi russavano, madurante la notte Sciapal fu molte voltesvegliato dai guaiti del cane, i qualiecheggiavano ad intervalli fra i ruggitidella bufera.

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LATSCIMI

L’uragano imperversň tutta la notte, con untuonare assordante, accompagnato dalampi abbaglianti, svegliando piů voltel’indiano ed Ali i quali si sentivano difrequente bagnare, non bastando le fogliedi banano a ripararli. Pandu invece siostinň a rimanere sempre fuori, come setemesse che qualche pericolo minacciasseil padrone e l’indiano.

Fu solamente verso l’alba che la pioggiacessň di cadere e che il vento s’indebolě,lasciando in pace gli alberi della foresta.

Essendo finalmente, verso le otto delmattino, ricomparso il sole, Ali e Sciapal

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decisero di lasciare il loro ricovero e diriprendere il viaggio. Cominciavano atrovarsi a disagio in quella capanna,regnando nella boscaglia un’umiditŕstraordinaria, che poteva cagionare dellegravi malattie, soprattutto quella temutafebbre dei boschi, che mai perdona aglistranieri e che uccide l’organismo piůrobusto in meno di ventiquattro ore. E poiavevano urgente bisogno di procurarsi deiviveri, soprattutto qualche pezzo diselvaggina, avendone fin sopra i capellidelle frutta, eccellenti senza dubbio, mapoco nutritive.

- Ti senti di poter camminare, padrone? -chiese Sciapal.

- Sono ancora un po’ debole, - rispose

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Ali; - perň una passeggiata e una buonaboccata d’aria marina mi faranno meglioche rimanere qui, su questo terrenoimpregnato d’acqua. Dedicheremo questagiornata alla caccia e quando avremoraccolto dei viveri sufficienti per unasettimana, daremo un addio a questi luoghie ci avvieremo verso il sud. Ho unasperanza che mi si č fortemente radicatanel cuore.

- Quale, padrone?

- Di ritrovare, un dě o l’altro la nave chetu hai veduta. L’indiano crollň la testa.

- Dubiti? - chiese Ali.

- Il mare era tempestoso e la nave

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bruciava. č un miracolo se č riuscita adapprodare in qualche baia.

- Simili miracoli talvolta succedono, miocaro Sciapal.

- Il vento soffiava forte e alimentava levampe.

- L’incendio puň aver distrutto solamentel’alberatura, lasciando intatto lo scafo.Non disperiamo troppo presto. In caccia,Sciapal. Sento il bisogno di porre sotto identi un po’ di carne. Ah! Se avessi unfucile!

- Ti servi bene delle tue pistole, padrone.

- Ma hanno la portata corta.

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Presero le loro armi e uscirono. Panduappena vide il padrone lo guardň,mandando un lungo latrato che aveva unnon so che di triste.

- Che cos’ha il tuo cane? - chiese Sciapal.- Si direbbe che ha perduto la suaallegria.

- Non lo comprendo piů - rispose Ali. -Mi sembra molto triste, mentre dovrebbeessere lieto vedendomi guarito. Bah!Ritornerŕ gaio quando gli daremo unpezzo d’arrosto.

Avevano percorso alcune centinaia dipassi, osservando attentamente lemacchie, colla speranza di potersorprendere qualche capo di selvaggina,

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quando fra i rami piů alti degli alberis’udirono delle grida discordi:

- Craaok!… Craaok!…

Ali si era arrestato, armando rapidamentele pistole.

Guardň in aria e vide, appollaiati sui ramid’un enorme tara, una dozzina distravaganti volatili lunghi oltre un metro,colle piume nere sul dorso, a riflessibrillanti, col ventre e la codabianchissima e colla testa armata d’unbecco mostruoso, lungo una trentina e piůdi centimetri, grosso dieci o dodici allabase, di colore giallo-aranciato esormontato da una escrescenza rivolta inaria, in forma d’una virgola.

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Quei volatili stavano spogliando l’alberodelle sue frutta, operazione piů difficile diquanto si creda perché quei disgraziati,non ostante i loro becchi enormi, eranocostretti a gettare prima in aria il cibo epoi a prenderlo fra le mandibolespalancate, lasciandolo caderenell’esofago.

- Che cosa sono, padrone ? - chieseSciapal.

- Dei calaos rinoceronti - rispose Ali. -Degli uccelli ben strani, come vedi.

- Che becchi! lo mi domando, comepossono reggerli?

- Non pesano piů che se fossero composti

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di cartapesta. Sono formati da un tessutospugnoso, coperto solamente da unleggero strato di sostanza cornea, assaidura perň e che da al becco una soliditŕ atutta prova.

- Un becco che č piů d’imbarazzo che diutilitŕ, padrone.

- Vedi bene quanto lavoro devono farequei poveri diavoli per mandar giů unboccone.

- Sono almeno mangiabili?

- Eccellenti, Sciapal e meritano un colpodi pistola.

- E sono ben grassi.

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- Molte piume e poca carne; tuttaviacercheremo di abbatterne qualcuno, se silasceranno avvicinare. Sono astuti edeccessivamente diffidenti. Ecco che cihanno giŕ veduti.

I calaos dopo d’aver lanciato un craaokassordante, se n’erano andati, ma Ali chesapeva quali pessimi volatori fossero nons’inquietň. Ed infatti percorsi settanta odottanta metri, i caiaos erano ricaduti su unaltro albero che s’alzava fra un caosinestricabile di piante di fusto basso,munito di foglie immense.

- Li sorprenderemo - disse Ali.

Fece cenno a Pandu di non muoversi, poigirň la macchia, seguito dall’indiano e si

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gettň in mezzo ai cespugli scivolandovisotto come un serpente. I caěaos, nonvedendo piů i due cacciatori e credendoche si fossero allontanati, si erano rimessia mangiare.

Ali, avanzando con estrema prudenza,potč giungere inosservato sotto la pianta.

Si rizzň senza far rumore, puntň le duepistole e fece fuoco. Due volatili che sitrovavano sui rami piů bassi,capitombolarono, girando su se stessi,mentre gli altri fuggivanodisordinatamente e sbattendo furiosamenteleali.

Sciapal che aveva veduto dove eranocaduti i due colpiti, si slanciň fra le foglie

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e potč afferrarli prima che cercassero disgattaiolare fra le radici. Con due colpidati col rovescio della scure li fině e liportň al padrone, dicendo:

- Chi avrebbe potuto supporre che uccellicosi grossi dovessero pesare cosi poco?Sono tutte penne, signore.

- Te lo avevo detto - rispose Ali.

- č molto se pesano tre chilogrammi fratutti e due.

- Gli č che questi uccelli sono fornitiabbondantemente di sacchi aerei. Fra lapelle e la carne hanno un gran numero ditasche che si riempiono d’aria quando ilcaěaos respira e che si dilatano. Ve ne

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sono perfino nelle dita e nelle ali, senzacontare quelle del corpo. Ecco perché icaěaos veduti dall’alto sembrano cosěpesanti, mentre in realtŕ sono cosě leggeri.Tu li credevi grossi per lo meno quantoun’oca.

- Mentre non pesano piů d’una gallina,padrone.

- Non importa, Sciapal. La colazione e lacena sono per ora assicurati. Chissŕ cheprima di sera non guadagnaremo il ciboanche per domani. Gettateli sulle spalle eandiamo alla costa. Li arrostiremo sullaspiaggia.

- E vi aggiungeremo delle ostriche,signore.

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Quando giunsero alla spiaggia, il mare eraancora agitato e larghe ondate correvanoad infrangersi contro le scogliere,rimbalzando a grande altezza. Essendo ilvento quasi cessato, la calma non dovevatardare a ristabilirsi. Ali percorse con losguardň la superfice del golfo, poi laspiaggia che si incurvava verso il sud,interrotta da insenature profonde, doveuna nave, anche sbattuta dalla tempesta,avrebbe potuto trovare un rifugiosufficiente contro la rabbia delle onde.

- A quale distanza č passata quella nave?- chiese Ali.

- A quattro o cinquecento metri - risposeSciapal.

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- Vi erano molti uomini a bordo?

- Mi parve che l’equipaggio fossepiuttosto numeroso per un pariah.

- Tutti indiani quei marinai?

- No - disse Ali, dopo aver pensatoqualche istante. - Noi non portiamo mai ilberretto, mentre ne vidi alcuni chel’avevano. Quelli dovevano essereeuropei o per lo meno degli anglo-indiani.

- Dove si sarŕ rifugiata quella nave! - sichiese Ali, come parlando fra sé.

- certo avrŕ cercato di cacciarsi entroqualche cala per spegnere l’incendio eriparare alla meglio i danni se…

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Si era bruscamente interrotto facendorapidamente alcuni passi innanzi.

- Sciapal - disse. - Non vedi qualche cosache le onde trastullano e che spingonoverso la spiaggia?

- Sě, padrone. Mi sembra l’albero d’unanave.

- Appartenente forse a quel pariah? Se siarenasse sarei contento.

- Per che cosa farne, padrone? - Potrebbefornirci almeno il nome di quella nave.Non di rado lo si imprime a fuocosull’alberatura.

- A che gioverebbe? - chiese Sciapal.

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- Conosco quasi tutte le navi, chefrequentano Calcutta ed i piccoli portidella costa e anche moltissimi capitani.Quello che comandava quel pariahpotrebbe essere un mio amico.

L’albero a poco a poco veniva spintoverso la spiaggia. Ora sorgeva quasi tutto,

agitandosi sulle creste delle onde ed oraaffondava per mostrarsi poco dopo.

Aveva ancora appesi dei cordami, dellesartie e dei paterazzi e un’antenna.

Finalmente fu gettato attraverso laspiaggia, rimanendo incastrato fra alcuni

scoglietti.

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Ali e Sciapal si erano slanciati innanzi,curiosi di osservarlo.

- č un albero maestro - disse il capitanodella Djumna.

- č stato segato alla base. — Non portaalcun nome?

Nessuno.

Un urlo lamentevole gli fece volgere latesta.

Pandu correva intorno all’albero dandosegni di una intensa agitazione e lo

fiutava e rifiutava, ora latrando ed oraurlando.

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- Padrone - disse Sciapal. - Cos’hadunque Pandu? Che sia impazzito?

- Vi č sotto qualche mistero che sarei benlieto di spiegare - rispose Ali che eradiventato pensieroso. - O che Pandu hariconosciuta quella nave o che a bordo vič qualche persona che conosce.

- E chi?

- Che ne so io? Non trovo naturalel’agitazione del mio cane.

- Che vi fosse qualche vostro amico suquel pariah!

- Puň essere - rispose Ali. - Pandupossiede un istinto meraviglioso e me neha dato piů volte delle prove stupefacenti.

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Sciapal, č necessario cercare quella nave.

- Domani ci metteremo in marcia, signore.Oggi non affaticatevi troppo.

- Si, non sono ancora troppo in gambe -disse Ali. - Mangiamo un boccone,Sciapal. L’aria del mare mi ha messoindosso un appetito invidiabile.Raccolsero della legna, spennacchiaronoun calaos e lo misero ad arrostire, poifecero raccolta di molluschi, essendovenemoltissimi dispersi fra le sabbie. Panduinvece non aveva piů abbandonatol’albero, dando senza posa segni diun’agitazione inesplicabile. Lo fiutava, lograttava colle zampe e guaivalamentosamente.

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Qualche volta correva incontro ad Ali, loguardava latrando a piena gola, poitornava verso l’albero.

Se avesse avuto la favella, chissŕ che cosaavrebbe voluto dire e quanto ne sarebbestato lieto il capitano della Djumna!

Terminata la colazione ed essendosi ilgolfo un po’ calmato, Ali e Sciapaldecisero di fare una passeggiata verso ilsud, colla speranza di trovare sullaspiaggia qualche altro avanzo del pariah.

Percorsero un paio di chilometri, senzapoter scoprire nulla. Salirono ancheun’alta scogliera, dalla cui cima si potevadominare una immensa estensione dellacosta e del golfo.

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- Non vedi del fumo verso il sud? - chieseAli.

- No, padrone - rispose Sciapal dopo unlungo esame.

- Allora si puň sperare che l’equipaggiosia riuscito a spegnere il fuoco. Oh! Noiritroveremo quel pariah, ne sono certo.Torniamo alla capanna, Sciapal, e domaniriprenderemo la nostra vita errante.

Rimontarono verso il nord, seguendosempre la spiaggia, poi rientrarono nellaforesta, fermandosi qua e lŕ a raccoglierequalche mango o qualche banano giunto aperfetta maturanza. Era quasi sera quandogiunsero alla loro capanna.

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Stavano per entrarvi, quando videroPandu spiccare tre o quattro salti edigrignare i denti come se si preparassead assalire qualcuno. Assai sorpresi daquell’improvviso furore del cane,prepararono le armi, credendo che neidintorni si nascondesse qualcuno o chequel Ťqualcunoť si fosse nascosto nellacapanna.

- Adagio, Sciapal - disse il capitano. -Pandu ha fiutato un nemico o dei nemici.

- Lo vedo - rispose l’indiano. - Torna adimpazzire! Ali impugnň le pistole cheaveva ricaricato ed entrň con precauzionenella casupola, tenendo le armi tese,pronto a far fuoco.

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Con sua sorpresa non vide nessuno. Lefoglie di banano non erano state smosse etutto era in ordine.

D’altronde se vi si fosse nascostoqualcuno, Pandu non avrebbe esitato aslanciarsi sull’imprudente ed astrangolarlo, mentre invece era rimasto aldi fuori fiutando il suolo.

- Usciamo - disse Ali.

Guardň il suolo e vide delle orme umaneimpresse sull’umido terreno, che il solenon aveva ancora asciugato. Erano perňcosě piccine da sembrare quelle lasciatedal piedino d’un fanciullo.

- Qui c’č stato qualcuno? - esclamň Ali. -

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Un uomo no, di questo ne sono certo.

- Che qualche ragazzo si sia spinto finoqui?

- Puň darsi che sia passata per questaforesta qualche tribů e che un fanciullo,staccatosi per cercare delle frutta, abbiascoperto il nostro rifugio.

- Che ritorni?

- Hum! Gli andamani, che io sappia, nonsi fermano piů d’un giorno nel medesimoluogo. Sono d’indole randagia e nonriescono ad accasarsi, né ad accamparsiin alcun luogo. Sono piů nomadi degliarabi e dei beduini. Non preoccupiamoci,Sciapal.

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Rinnovarono il loro giaciglio tagliandoaltre foglie, divorarono gli avanzi dellacolazione e qualche frutto, poi siaddormentarono incoraggiati anche dallatranquillitŕ del cane. L’indomani, Sciapalera in piedi, prima ancora che spuntasse ilsole.

- Padrone, - disse, prima di partire, - vadoa fare provvista di frutta ed a cercare diabbattere qualche altro calaos o un capodi selvaggina. Il mattino č umido e unriposo d’un paio d’ore ancora, vi farŕbene.

- Va’, Sciapal - rispose Ali. - Nonpartiremo che dopo il mezzodě, quando ilsole sarŕ ben caldo.

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L’indiano prese le due pistole del padronee s’inoltrň attraverso alle grandi piante edai cespugli, procedendo con precauzione eguardando a destra ed a sinistra congrande cura, per non perdere qualcheoccasione propizia. Sapeva che glianimali non scarseggiavano in quei luoghie cercava di sorprenderne qualcuno e deipiů grossi.

Si era allontanato giŕ d’un chilometro,avvicinandosi verso la costa, quando inmezzo ad un folto gruppo di cespugli, videergersi solitario un grand’albero coltronco diritto, di diametro notevole, coirami rialzati in forma di braccia dicandelabri e colle foglie d’un verde assaicupo che formavano, colla loro massa,una specie di cupola di dimensioni

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gigantesche. Un’esclamazione di gioia gliirruppe dalle labbra.

- Un mhowah! - disse, stropicciandosiallegramente le mani. - Ecco i biscotti!Davvero che non potevo trovare unapianta piů preziosa.

Sciapal aveva ragione di essere contento,poiché quegli alberi, che chiamatisi anchemhauah dai malabari, e dai naturalisticassialari/olia, sono i piů utili che

crescano in quelle regioni, preziosi al paridei cocchi dai quali gli indostani sannotrarre molte cose necessarie alla loroesistenza.

I mhowah cominciano dopo il febbraio a

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produrre. Appena il sole acquista un po’di forza, si coprono, in pochissimi giorni,d’una quantitŕ incredibile di fiori collacorolla giallognola, rassomigliarne ad ungrano d’uva, carnosa, densa, la qualeemette gli stami da un’aperturastrettissima.

Giunta a maturanza, la carnosa corollacade e allora comincia la cosě dettapioggia della manna dette jungfe.

Quella pioggia di bacche, poiché sonovere bacche, continua per parecchi giornie quelle piccole frutta vengono ogni seraraccolte con grande premura daicontadini. Si calcola che ogni albero neproduca circa centoventi o centotrentalibbre.

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Quando quelle corolle sono fresche hannoun gusto gradevole, dolcissimo, maesalano un acuto odore di muschio che glieuropei difficilmente possono sopportare.

Per lo piů perň si seccano su dei graticcidi vimini, finché perdono quel profumo dicaimano, poi si pestano, ricavando unaspecie di farina assai nutritiva, che poi siconverte in pani.

Messe quelle bacche a fermentare,ricavasi invece una specie di vino bianco,piccante, ma che non dura perň;distillandolo, si ottiene un’acquaviteeccellente che puň gareggiare perfino colcognac, e dai residui si estrae finalmenteun buon aceto.

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Piů tardi poi, quegli alberi mettono dellefrutta grosse come le mandorle, ricoperted’un mallo color violaceo. Quellemandorle, che sono bianche, lattiginose, sipestano, ricavando dell’olio buonissimo euna farina che serve pure a fare dellefocacce.

Perfino la corteccia dei mhowah čutilizzabile, facendosi delle corderesistenti e anche il legname vieneadoperato nelle costruzioni, avendol’impareggiabile vantaggio di resisterealle distruzioni di quelle formidabiliformiche che hanno le tenagliette cosědure da sbriciolare perfino le ossa.

Essendo ormai la stagione avanzata, ilmhouah scoperto dal malabaro era privo

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di fiori, ma dai rami pendevano ancoradelle frutta. Frugando fra i cespugli,Sciapal era certo di trovarne un grannumero, dovendo le altre essere giŕcadute.

Stava per aprirsi il passo fra quelmacchione di piante per giungere sottol’albero, quando volgendo gli sguardiverso la sua dritta, gli parve di vederequalche cosa di oscuro strisciarelestamente sotto i rami.

- Oh!… Oh!… - mormorň, sorpreso. - Chequalche animale mi disputi il raccolto?Armň prontamente una pistola e guardňattentamente lŕ dove aveva veduto

scivolare quella forma indecisa e

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s’accorse che alcuni rami tremolavanoancora. Senza alcun dubbio, qualcheanimale cercava di battersela senza farsiscorgere e di guadagnare la foresta.

- Sarŕ qualche cinghiale, - disse Sciapal, -ma non lo lascerň fuggire senza mandargliuna palla nel cranio.

Tenendo nella destra la pistola e nellasinistra il bastone, s’inoltrň fra i cespugli,dirigendosi lentamente verso il punto oveaveva veduto agitarsi quel ramo.Aguzzava gli occhi per vedere se ilsupposto animale cercava di aprirsi ilpassaggio, ma nulla riusciva a scorgere.

Pareva che quel cinghiale non fossedisposto ad andarsene cosě presto. Giunto

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dinanzi ad un gruppo di rami, Sciapal limosse e quindi li aprě. Fu tale la suasorpresa, che rimase immobile, collabocca aperta, gli occhi sbarrati,senz’essere capace di pronunciare unaparola.

Sotto quel cespuglio, ben nascosta fra lefoglie, si teneva rannicchiata unaragazzina che, anche a prima vista, pelcolorito della sua pelle, pei suoilineamenti e soprattutto pel costume cheindossava, si riconosceva non giŕ per unaselvaggia andamana, ma per unabengalese.

- Che cosa fai qui? - chiese finalmenteSciapal, rimessosi dal suo stupore. Quellaragazzetta si alzň lentamente, lasciando

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cadere alcune manate di mandorle eapparve tutta intera agli occhi, sempre piůstupiti, del malabaro.

Era una figurina graziosa, assai esile,colla pelle d’un bronzo chiaro, a riflessigiallastri, con due occhioni intelligenti,biricchini, brillanti come i diamanti neri econ una capigliatura lunga, scarmigliata,pure nerissima. Non dimostrava piů dinove o dieci anni, ma aveva giŕ, come ledonne del Bengala, il suo sari di percalleannodato attorno alle gambe, e il colloadorno di una collana di quelleconchigliette bianche chiamate suk.Sembrava perň che fosse ferita, poichéaveva la fronte cinta da un pezzo di telamacchiata di sangue.

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- Che cosa fai qui? - ripetč Sciapal.

La piccola bengalese guardň il malabarocon quei suoi occhioni che mandavanolampi, poi disse, con una voce quasiinfantile, ma senza esitare un solo istante:

- Lo vedi: raccoglievo delle frutta dimhowah.

- Ma chi sei tu?

- Una bengalese.

- Una bengalese qui! Su quest’isola! Seiforse prigioniera dei selvaggi?

- No - rispose la piccola indiana. - Mihanno spinta qui le onde.

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- č naufragata la nave che montavi?

- Non lo so. Sono stata trascinata via dallacoperta durante l’uragano, da un colpo dimare. - Ma quando?

— L’altra sera.

Sciapal si battč la fronte con ambe lemani.

— Forse da una nave che bruciava? -chiese.

Questa volta la piccola bengalese guardňil malabaro quasi con diffidenza, ma poirispose: - sě. - Ma io l’ho veduta quellanave! - esclamň Sciapal. - Era un pariah, čvero? - Sě, un pariah. — Dove andava? -Non lo so.

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- Come si chiamava?

- Lo ignoro.

- Ma da chi era montato?

- Da alcuni bengalesi.

- Ma cosa facevi tu a bordo?

- Nulla: mi avevano raccolta presso lafoce del Gange, essendo stataabbandonata dalla mia famiglia.

— Sei approdata sola? - Sě, sola.

— Ma tu sei ferita.

- č nulla - disse la ragazzina, sorridendo. -Ho urtato contro una roccia

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nell’approdare.

— Ed č dall’altra sera che tu erri solasotto questi boschi? - Sě.

— Come ti chiami? — Latscimi.

- Ebbene, Latscimi, raccogliamo questemandorle, poi ti condurrň dal padrone.

— Da qual padrone? - chiese labengalese, guardandolo fisso. - Tu non mihai ancora detto perché ti trovi qui.

- Io ed il padrone siamo naufraghi: lui čbengalese ed io sono malabaro.

— Come si chiamava la tua nave? - LaDjumna.

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La piccina, nell’udire quel nome, trasalě eguardň con stupore il malabaro.

— La Djumna! - esclamň.

— Conoscevi quella nave, forse? - chieseSciapal.

- Ah! No! Mi pareva di aver udito ancoraquesto nome, ma forse m’inganno.

Ma come si chiama il tuo padrone? - AlěMiddel.

Latscimi tornň a trasalire, anzi fece ungesto di sorpresa, ma subito si frenň.

- Non l’ho mai udito nominare - disse poi.

Poi si curvň rapidamente come se volesse

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nascondere quell’inesplicabile turbamentoe si mise a raccogliere le frutta delmhowah.

Sciapal, che nulla aveva notato, s’affrettňa imitarla, frugando fra i cespugli. Fattaun’ampia raccolta di quelle mandorle, simisero in cammino per ritornare allacapanna.

La ragazza perň pareva preoccupata esembrava che seguisse di mala voglia ilsuo protettore. Di tratto in tratto siarrestava come se cercasse di raccoglierequalche rumore e lanciava degli sguardisotto gli alberi, come se temesse di vederapparire qualcuno.

Dopo pochi minuti giungevano alla

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capanna.

Si puň immaginare la sorpresa di alě, nelveder ritornare il malabaro in compagniadi quella piccina. Quando fu informato ditutto, disse a Latscimi che continuava aguardarlo con strana insistenza:

- Rimarrai con noi, piccina mia, e tiproteggeremo contro gli animali dellaforesta e contro i selvaggi. Se riusciremoa ritornare in India, io non ti abbandonerňe se tu vorrai, io diverrň per te un veropadre.

- Grazie, padrone - rispose Latscimi. - Tusei buono.

- Dimmi ora - riprese Alě, - La nave che

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tu montavi cercava di approdare aquest’isola?

- Non lo so.

- Correva grave pericolo?

- Tutta la sua alberatura era in fiamme.

- Ma come era scoppiato il fuoco?

- Non lo so, trovandomi in quel momentonella stiva. Quando salii sui ponte, le veleed i pennoni bruciavano.

- Vi erano molti uomini a bordo?

- Una dozzina. -Tutti indiani?

- Tutti, padrone.

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- E non sai dove si recava quella nave?

- Molto lontano, ma non so in quale paese.

- Forse la ritroveremo.

- Ma dove? - chiese Latscimi, con unacerta inquietudine.

- Sulle coste meridionali, Vedendosi inpericolo, l’equipaggio avrŕ cercato dispingerla verso terra.

- Quegli uomini sono cattivi, padrone.

- Forse che sono dei pirati?

- Lo credo.

- Forse t’inganni.

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- No, padrone, quegli uomini sono cattivi- ripetč la piccina con suprema energia. -Rubano le persone.

- Allora saranno negrieri, ma io non litemo e andrň a cercarli. , - Miriprenderanno - disse Latscimi,manifestando un vivo terrore.

- Forse che ti maltrattavano a bordo!

- Mi battevano sempre.

- Bah? Non oseranno strapparti a me. AlěMiddel non teme né i pirati, né i negrieri.Partiamo per la costa, Sciapal, o questaumiditŕ ci sarŕ fatale. Mangiarono alcunemandorle ed il loro ultimo pezzo di carnesecca e si misero in marcia lentamente,

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essendo Alě ancora debole.

Avevano percorso tre o quattrocentopassi, quando Sciapal s’accorse chePandu non era piů con loro. — Dov’č ilcane? - chiese.

- Mi ha lasciato prima che tu tornassi -rispose Alě, - Credevo che si fosse messoin cerca di te.

- Io non l’ho veduto, padrone.

- Forse avrŕ scoperto qualche selvagginae sarŕ occupato a seguirla. Perň mi parevain preda ad una viva agitazione e miparve, ora me lo rammento, che si (fossediretto verso il sud.

- Che abbia fiutato lo sbarco di quegli

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uomini?

- Quelli della nave che ardeva?

- Si, padrone.

— č possibile, Sciapal. Quel Pandu ha unolfatto meraviglioso e fiuta delle personea distanze incredibili. Quando sarŕ stancodi correre, ci raggiungerŕ alla costa.

La piccola Latscimi pareva che avesseprestata molta attenzione a quello scambiodi parole. Pur continuando a camminare,si era tenuta molto vicina ai suoiprotettori, per non perdere una solasillaba.

Verso il mezzodě giungevano sullaspiaggia che era inondata da una pioggia

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di

raggi caldissimi. Alě si arrestň respirandoa lungo quell’aria pura, impregnata di

salsedine vivificante.

Il mare si era calmato dopo la terribilebufera dei giorni precedenti. Solo diquando in quando, qualche lunga ondataveniva a infrangersi, rumorosamente,contro la spiaggia e contro i banchi. - Ciarresteremo qualche giorno - disse Alě, -Bisogna rinnovare le nostre provviste epoi, mi sento ancora debole, Sciapal.Quel dannato bufalo mi ha guastato lamacchina, eppure era prima cosě solida!

Essendo il sole cocentissimo, si

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costruirono un nuovo ricovero, avendolol’altro abbattuto l’uragano, poi scesero suibanchi per cercare delle ostriche.

Ne trovarono a josa, ma furono anche piůfortunati, poiché riuscirono adimpadronirsi d’una grossa testugginemarina che avevano sorpresa su di unbanco, mentre stava deponendo le uova inun buco scavato nella sabbia. Alla sera,dopo un delizioso arrosto di tartaruga, sisdraiavano sotto la loro capannuccia,mentre la luna sorgeva all’orizzonte,specchiandosi nelle acque tranquille delgolfo.

L’ODIO DI GARROVI

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Alě e Sciapal dormivano da qualche ora,russando sonoramente, quando una formaumana scivolň lestamente, ma senza farrumore, fuori dalla capannuccia,arrestandosi all’aperto.

Quella forma umana era la piccolabengalese. I suoi occhioni chescintillavano stranamente ai raggi dellaluna, si fissarono a lungo sul capitanodella Djumna che stava coricato sul fiancosinistro, tenendo sotto di sé le due pistole,quindi sul malabaro che si teneva strettafra le mani la scure, per essere piů prontoa servirsene in caso di pericolo.

Pareva che gli sguardi della piccina si

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fissassero, piů che sui due uomini, sulleloro armi. Stette cosě immobile parecchiminuti, poi scosse la testa facendoondeggiare i suoi lunghi e neri capelli,come se volesse allontanare un pensieroimportuno.

Si alzň e guardň la foresta, curvandosiinnanzi come se volesse meglio ascoltare,ma da quel lato non si udiva alcun rumore.Pareva che le fiere fossero ancorarintanate e che non avessero ancoracominciate le loro scorrerie sotto i cupiboschi.

Rassicurata forse da quel silenzio, lapiccina si mise risolutamente in cammino,seguendo la costa.

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Dove andava, in quell’ora inoltrata, tuttasola e inerme, mentre poteva venireimprovvisamente assAlěta da qualchetigre affamata e divorata in tre bocconi?Quella ragazzina doveva avere un motivoben urgente, ma doveva anche possedereun coraggio straordinario ed una energiaincredibile, per affrontare i mille pericolidelle selve.

Procedeva lesta, quasi correndo, leggeracome un uccello senza produrre alcunrumore e senza esitare, come se giŕconoscesse perfettamente quella costa.

Doveva aver percorso due chilometrialmeno, salendo e scendendo le dune ocosteggiando la foresta, quando si arrestňfissando alcuni grandissimi alberi che

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formavano un gruppo gigantesco. Staccňda un cespuglio una foglia, se la mise frale labbra e lanciň alcune note c herassomigliavano a quelle che i suonatoriindiani cavano dal bansy.1 q uei suonidolci ma acuti, dovevano espandersi agrande distanza, fra il silenzio perfetto cheregnava sul mare e sotto la vicinaboscaglia. L atscimi attese, curva innanziper meglio ascoltare, rattenendo perfino ilreI’ ‘ spiro, poi fra la limpida atmosferaecheggiarono alcune altre noteperfettamente eguAlě e che uscivano dalbosco.

- č lui - mormorň Latscimi, sorridendo,mentre un lampo di gioia le illuminava gliocchioni.

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Si rimise in cammino costeggiando gli altialberi che proiettavano sulla spiaggia unacupa ombra, poi tornň a emettere quelsegnale. L a risposta non si fece attendere,ma cosě vicina, che pareva uscire da unmacchione di cespugli che coronava lacima di una rupe di poca elevazione,lontana appena cento passi.

La piccina si mise a correre verso quellamacchia, aprě bruscamente i ramilasciando che i raggi dell’astro notturno vipenetrassero e scorse, rannicchiato entrňuna specie di incavo aperto in un masso didimensioni enormi, un uomo. j1’,’ Era unindiano di statura meno elevata degli altriindostani che sono generalmente alti,magro come un fakiro, con certe membranodose che parevano |V composte

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solamente di ossa e muscoli, colla pellemolto oscura, senza quei ri-w’ ‘flčssigiallastri che si scorgono nelle altre razzedi quei paesi dal sole bruciante.Scorgendo la piccina alzň il capo,mostrando una faccia scarna, colla frontedepressa, un naso un po’ grosso, duelabbra sporgenti e due occhi nerissimi,profondi, cupi.

— Mia brava Narsinga! - esclamň, con unaccento che tradiva una viva inquietudine.- Sono dieci ore che ti attendo con ansiaindicibile! Ti sei smarrita nella foresta,forse? Imprudente! Non lo sai che suquest’isola vi sono delle tigri che possonodivorarti?

- Non mi sono smarrita, padre mio -

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rispose la piccina, sedendosi accanto a luie coprendolo affettuosamente con unaspecie di stuoia grossolanamenteintrecciata con nervature di foglie.

- Non ti sei smarrita! Ma allora, dove seistata? ‘ť Sono stata incontrata da alcuniuomini.

— Da dei selvaggi?

- No, da un uomo bianco, da lui, padremio.

- Da chi?… - Dal capitano della Djumna.

nota. * Specie di flauto col becco, ma chegl’indiani, invece di porselo fra le labbra

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per soffiarvi dentro, si mettono nel naso.

L’indiano guardň la piccina con due occhiche mandavano vivi bagliori, mentre isuoi lineamenti si alteravano, rendendoun’espressione terribile.

- Lui!… Alě! - esclamň finalmente, convoce sibilante. - č Siva o sono i genicattivi che me lo mandano?… Quell’uomoč morto!…

S’alzň di scatto stringendosi attorno ailombi un dubgah semilacerato, ma subitoricadde, emettendo un sordo gemito.

- Maledizione!… - rantolň. - Mi scordavoche ho una gamba spezzata! Narsinga,

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narrami ogni cosa.

La piccola bengalese, che si nascondevasotto il nome di Latscimi per un eccessodi prudenza, gli narrň in quale modoaveva incontrato Sciapal, l’interrogatoriosubito, come aveva trovato Alě,l’abbandono della foresta e quindi la suafuga.

- Ah!… - esclamň l’indiano, quandoNarsinga tacque. - Anche Sciapal č vivoancora! Ed io che credevo di averloucciso con un colpo di scure? E quel Pandu? Quel cane č forse piů pericoloso ditutti.

- Padre mio, - disse Narsinga, - che devofare?

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L’indiano Garrovi, poiché era proprio lui,non rispose; meditava profondamente. Adun tratto perň si scosse e guardando fissola piccina che gli stava seduta dinanzi, lechiese:

- A quale distanza accampano?

- A due chilometri, padre mio.

- Ah! Se potessi trascinarmi fin lŕ!

- č impossibile: la via č aspra.

- Ma bisogna che io uccida quegli uomini,Narsinga.

- Padre mio, forse quell’Alě non ti odiaquanto tu credi.

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- Se io non l’uccido egli ucciderŕ me,Narsinga.

- Potrebbe perdonarti. - Lui!… Mai,Narsinga!

- Eppure non mi sembra cattivoquell’uomo.

- Ma lo diverrebbe vedendomi e poi,anche perdonandomi, mi toglierebbequell’oro che io ho destinato a te.

- Non nei avrei piů bisogno. — Perché,Narsinga?

- Perché Alě Middel mi terrŕ come suafiglia.

- E tu mi abbandoneresti?

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- Si, ma per salvarti la vita.

- Oh, mai! Io ti amo come se tu fossi miafiglia, lo comprendi, Narsinga, e hoassassinato per farti ricca.

- Ma io rinuncio a quell’oro che non homai desiderato, e che tu hai guadagnato aprezzo di chissŕ quanti delitti. Io ho orroredi tutto quello che hai commesso e cheprima ignoravo. - Ma credi tu, che quandoti raccolsi sulla via polverosa di Rangpur,morente di fame e ti adottai come tu fossidel mio sangue, volessi affigliarti allamiserabile setta dei saniassi!… No,Narsinga! Quando ti ebbi, sentiisprigionarsi in me un affetto strano cheprima non avevo mai provato durante lamia vita errabonda in compagnia della

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mia tribů. Ho sentito il mio cuore batterecome quello d’un padre che adora i suoifigli e da quel giorno, non ebbi che unsogno: quello di fare ricca mia figliaadottiva. č per te, Narsinga, cheabbandonai la setta; č per te chem’imbarcai e che mi feci marinaio,sperando di guadagnare una fortuna neipaesi lontani; per te che aprii i fianchidella Djumna, che tradii il mio capitano,che rubai la cassa ricolma d’oro, cheavvelenai tre misoriani, che uccisi tutti imalabari, che si erano imbarcati con me, eche poi assassinai a tradimento Hungse.

- Padre - disse Narsinga, rabbrividendo efacendo un gesto di ribrezzo. - Basta!…Mi fai paura!

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- Credi tu ora, - riprese Garrovi, - che iovoglia perderti? Un padre non rinuncia aisuoi figli.

- Allora fuggiamo: io ti aiuterň.

- Allora perderei tutto ed io non vogliorivederti povera.

- Ma ti ho detto che non voglio quell’oroche č insanguinato. Fuggiamo, padre mio,e lasciamo che Alě Middel ritrovi i suoiamici.

- No, Narsinga - disse Garrovi conincrollabile fermezza.

- Ma cosa vuoi fare? Cosa speri?

- Cosa voglio fare? Ucciderli tutti!

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- Alě e Sciapal? - E anche gli altri, cosěpiů nessuno mi contenderebbe il possessodelle mie ricchezze.

- Non lo farai, padre mio.

— Chi č che me lo impedirŕ? - chieseGarrovi con veemenza.

- Hai una gamba spezzata.

- Che importa? Mi trascinerň come iserpenti e colpirň Alě nel sonno.

- E Sciapal ucciderŕ te.

- Oh! Non gli lascerň il tempo.

- Ti uccideranno gli altri, se sonosbarcati.

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- Tengo qui, nascosta in una cucitura deldubgah, una fiala contenente un veleno chenon perdona e basterŕ per tutti. Quando liavremo sterminati, cercherň il mezzo perritornare nel Bengala e ricupererň le miericchezze… Ah! Dimenticavo ilpresidente della ŤYoung-Indiať, ma aquello penserň piů tardi. Narsinga,nell’udire quelle parole, represse agrande stento un gesto di orrore:quell’uomo, che fino allora aveva amatosinceramente, come se fosse suo padre, leincuteva ormai una invincibile ripugnanza,le faceva paura.

- Cosa devo fare? - gli chiese, dopoalcuni istanti di silenzio.

- Ritornare da Alě: non bisogna che si

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accorga della tua scomparsa o siallarmerebbe. Quando lascerŕ la costa? -Domani, forse.

- Glielo impedirai.

- In quale modo?

- Accusando un malore qualunque.

- Non mi crederŕ.

- Tu sei astuta e puoi ingannarlo. - E poi?

- Domani notte, quando la luna sarŕtramontata, io ti raggiungerň e liuccideremo.

- Padre!…

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- Taci, Narsinga. Addio! La piccinas’alzň, lasciando cadere a terra dellemandorle che teneva nel suo sari, pois’allontanň senza volgersi indietro.

S’avanzava lungo la costa lentamente,immersa in profondi pensieri, senzaguardarsi attorno. Di tratto in tratto perňcrollava la testina e mormorava con unaenergia incrollabile:

- Alě non morrŕ!

Aveva giŕ percorsa mezza distanza ecominciava a scorgere la capannuccia,quando si sentě improvvisamente afferrarealle spalle da due braccia robuste edatterrare.

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Prima ancora che potesse lanciare ungrido, o fare una mossa qualunque, fuimprigionata in una specie di rete formatada fibre vegetali, risollevata e portata viacome se fosse una semplice balla dimercanzia. Un gruppo d’uomini, sbucatosilenziosamente dalla vicina foresta, lacircondava. Erano quindici o ventiselvaggi affatto nudi, ma armati di archi,di lunghe e grosse lance colle punte dischegge di selce o di pesce e cheportavano, per loro difesa, degli scudi discorza d’alberi.

Erano tutti di bassa statura, poiché nondovevano superare il metro e mezzo, mabene proporzionati. Avevano la pellefuligginosa come gli alfurassi dellaMalesia o come i papuasi della Nuova

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Guinea, le spalle molto alte, le braccia ele gambe magre, il ventre molto sporgente,quasi aguzzo e la testa grossa adorna dicapelli neri e crespi. I loro lineamenti poierano tutt’altro che belli con quegli occhipiccoli e rossastri, con quelle labbrasporgenti e grossissime e quei nasischiacciati; avevano anzi un non so che diferoce e di bestiale. Camminavano lungola spiaggia in silenzio, l’uno dietroall’altro, impugnando le loro armi. I dueultimi portavano la rete contenente lapiccola Narsinga, appesa ad un lungobastone.

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GLI ANDAMANI

Non si poteva ingannarsi sulle lorointenzioni: quei bruti muovevano diritti

Verso la piccola capanna occupata da Alěe da Sciapal.

Giunti a trenta passi s’arrestarono,disponendosi in circolo attorno alricovero. Stettero alcuni istanti immobili,come se ascoltassero, poi si misero astrisciare Ťinnanzi.

Narsinga aveva veduto tutto. Con un gridoavrebbe potuto destare bruscamente Alě eSciapal e metterli in grado di far fronte aquell’improvviso assalto, ‘ina invece

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stette zitta.

Forse aveva il suo scopo; forse pensavache quei selvaggi, malgrado il loro

aspetto poco rassicurante, potevanoessere meno pericolosi dell’odioimplacabile di Garrovi.

Radunatisi attorno alla capannuccia, iselvaggi vi si precipitarono dentroemettendo urla formidabili. Alě e Sciapal,che dormivano profondamente, nonebbero nemmeno il tempo d’impugnare learmi. In meno che lo si dica, si trovaronolegati e avvolti strettamente da retivegetali che impedivano loro qualsiasimovimento. il selvaggi, compiuta la loroopera, sospesero le reti a due bastoni,

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come avevan fatto per Narsinga e sicacciarono sotto i boschi, camminandovelocemente. All’alba, dopo d’averscambiato piů volte i portatori, siarrestarono in una radura circondata dafitte boscaglie, e in mezzo alla quale sirizzavano alcune misere capanne, aperteda tutti i lati e riparate da ammassi difoglie disposti

senz’ordine.

L’entrata nel campo dei rapitori, fusalutata da un concerto indiavolato di urlar auche, che ben poco avevano di umano.

Una ventina di donne, miserabili creaturequasi completamente nude, magre

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tanto da far paura, tremanti per la febbre euna dozzina di demonietti affatto

nudi e spalmati di fango per difendersidalle punture degli insetti, uscirono

Correndo da quelle tettoie, festeggiando irispettivi mariti e padri con urla da

guastare gli orecchi meglio costruiti e consgambettamenti da scimmie.

I selvaggi deposero i prigionieri sotto unacapannuccia, sbarazzandoli delle reti

che li tenevano prigionieri, ma legandolisolidamente ad alcuni pali piantati

profondamente in terra, poi se neandarono senza aggiungere sillaba.

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Alě, che era furioso, lanciň al loroindirizzo una interminabile filzad’insolenze,

senza ottenere alcuna risposta, anzi senzanemmeno far loro volgere la testa

- Non ti comprendono, padrone - disseSciapal.

- Ma se posso spezzare questi legami, mifarň comprendere a calci. Bruti!…Selvaggi ributtanti!… Cosa avevamo noifatto loro, per assalirci? E anche tu,piccina mia, sei caduta nelle mani di queifurfanti! Ah! Se vi fosse stato Pan du, nonci avrebbero di certo sorpresi e avremmofatto pagar caro l’assalto!

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- Ma cosa vorranno fare di noi, padrone?

- Non lo so, Sciapal.

- Che vogliano metterci allo spiedo? Mihai detto che gli andamani sonoantropofaghi.

- Lo si crede da taluni, ma altri navigantil’hanno negato.

- Dunque non sei certo che sianomangiatori di carne umana?

- No, Sciapal.

- Ma allora, perché ci hanno fattiprigionieri?

- Speriamo di saperlo. Toh! Ecco uno di

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quei furfanti che viene verso di noi. Unselvaggio, un po’ piů alto dei suoicompagni, ma non meno brutto, coi capellitinti di ocra rossa, colle braccia adorne diconchigliette bianche e le anche coperteda un pezzo di stoffa scolorita, s’avanzavaverso la loro capanna, ma con una certadiffidenza.

Giunto dinanzi ai prigionieri; rivolse loroalcune parole in una lingua che nessunocomprese.

Vedendo che nessuno rispondeva e che loguardavano come per chiedergli ciň chevoleva dire, li interrogň in bengalese:

- Da dove venite?

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- Toh! - esclamň Alě, - Il nostro selvaggioconosce la nostra lingua! Parrebbe che gliandamani abbiano avuto qualche contattocoi nostri compatrioti del golfo.

Il capo selvaggio doveva averlocompreso perfettamente, poiché sorrise.

- Sono stato nel Bengala, nella miagioventů - disse poi. - Tu!

- Sě, rapito da alcuni indiani che eranoqui sbarcati - rispose il selvaggio.

- Ed ora sei diventato il capo della tuatribů?

- Sě, dopo d’aver ucciso quello checomandava prima.

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- Un bel briccone! - esclamň Alě, - Edora, vuoi dirmi perché ci hai assAlěti?

- Perché voi uomini del Bengala, sapetefare molte cose che noi non siamo ingrado di procurarci. In quella grande cittŕove rimasi come schiavo due anni, hoveduto delle cose meravigliose e voi mele fabbricherete.

- E credi tu che noi siamo capaci di farle?Certo.

- Ma noi non siamo che marinai.

- Sono contento di saperlo, poiché micostruirete una di quelle grandi casegalleggianti.

- Noi sappiamo guidarle, ma non

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fabbricarle.

- Tu lo dici perché non vorresti farmela,ma io ti costringerň.

- E se io mi rifiutassi?

- Quando la fame ti tormenterŕ lo stomaco,ti metterai al lavoro se vorrai mangiare.

- Sei un grande furfante, capo di selvaggi.

- Poi costruirete per me una di quellegrandi abitazioni che ho veduto nella cittŕe delle case minori pei miei sudditi.

- E poi? Desideri qualche cosa d’altro?

- Sě, di quelle armi che tuonano come lefolgori e che uccidono a grande distanza.

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- E vorrai anche della polvere per fartisaltare in aria, pazzo selvaggio! - urlňAlě, - Vi lascio due giorni di riposo, -continuň il capo, - poi vi metterete allavoro.

Ciň detto, girň sui talloni e se ne andň,senza rispondere alle insolenze di Alě edi Sciapal.

- Ma costui č pazzo! - esclamň il capitano.- Se continuava ancora un po’, spezzavo ilegami e lo strangolavo!

- E poi ci avrebbero uccisi, padrone -disse il malabaro.

- Sciapal, bisogna fuggire o quellacanaglia ci farŕ morire di fame. - Non

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domando di meglio, padrone, ma mi pareche non sia cosa facile spezzare questecorde. Se avessimo almeno un coltello!Ma quei furbi ci hanno prese tutte le armi.

- Cercheremo di rodere le funi.

- Ma ci sorvegliano. Guarda quei selvagginascosti dietro a quei cespugli; non ciperdono di vista.

- č necessario tentare la sorte. Noi nonsiamo in grado di costruire una nave senzagli arnesi necessari. E poi, costruire deipalazzi e delle armi! č pazzo, Sciapal, telo dico io.

- Ma č un pazzo che ci darŕ da fare.

- La vedremo.

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In quell’istante alcuni selvaggi, usciti dauna capanna, si diressero verso di lororecando certi canestri di foglie intrecciate,che deposero sotto la tettoia. Slegarono aiprigionieri le mani, stringendone invece lecorde delle gambe, poi si sedettero al difuori, tenendo in pugno le loro lance ed iloro archi. Quei canestri contenevano deipezzi di scimmia cucinati al forno, alcunecheppie arrostite, dei cattivi manghimacerati in acqua ed esalanti un acutoodore di terebentina e una di quelle nocichiamate dagli indiani tavarcarrč, grossecome la testa d’un uomo, che le ondespingono sovente su quelle isole,

rubandole alle foreste delle isole

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Seychelles, frutta assai pregiate per leloro virtů medicinAlě e che si paganocarissime anche nei luoghi ove crescono,ma poco adatte per una colazione.

I tre prigionieri, malgrado la lorosituazione fosse poco brillante, feceromolto onore al pasto, forse temendo dinon veder regnare piů tanta abbondanzanei giorni seguenti.

Quand’ebbero finito, i selvaggi tornaronoa legarli, ma dovettero lottare a lungo echiamare in loro soccorso parecchi altricompagni per vincere Alě, il quale non lavoleva capire di lasciarsi attaccare alpalo. Alcuni perň uscirono malconci daquella lotta e piů d’uno ebbe il nasoschiacciato dal robusto pugno dell’uomo

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di mare.

— Rassegniamoci, padrone, - disseSciapal, vedendo Alě fare sforzi disperatiper spezzare i legami - o questi selvaggiperderanno la pazienza e finiranno coll’ammazzarci.

- Non l’oseranno, Sciapal - risposel’angloindiano. — Sono selvaggi,padrone.

- Ma quel furfante di capo sa quanto siapossente l’Inghilterra in India e non oserŕtoccarci un dito.

- Siamo in mezzo ai boschi e affattoabbandonati da tutti. Chi civendicherebbe?

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- Gli uomini della nave fiammeggiante -disse Narsinga, che fino allora era semprerimasta silenziosa.

Alě guardň la piccina con sorpresa.

— Speri che abbiano approdato? — lechiese. Sě.

- Allora avevano manifestata l’intenzionedi poggiare su quest’isola?

- Venivano proprio qui, padrone - disseNarsinga, guardandolo fisso.

- Ma tu prima ci avevi detto che ignoravila loro rotta.

- č vero.

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— Per quale motivo?

- Lo saprai piů tardi.

— Dimmi almeno chi sono quegli uomini.

— Vuoi saperlo?

- E me lo chiedi?

- Bengalesi guidati da un marinaio biancoche si chiama Harry.

— Non so chi sia questo Harry.

Questa volta fu Narsinga che guardň Alěcon sorpresa.

- Non lo conosci? - chiese. No.

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- Ed il tenente Oliviero?

- Nemmeno.

— Allora conoscerai forse un giovanettoche si chiama Edoardo. ,…— Edoardo! -esclamň Alě, che ebbe un lampo disperanza.

- Si, Edoardo Middel.

Alě emise un grido, ma una di quelle gridadi gioia che di rado erompono da un pettoumano.

- Edoardo! Mio fratello! Qui! - esclamňcon voce rotta. - Fanciulla! Bada di noningannarmi!

- Non t’inganno, padrone.

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— Ma chi sei tu! Parla!

- Una fanciulla che doveva commettere unterribile attentato a bordo della nave checonduceva qui i tuoi salvatori.

- Tu! Cosě piccina! Eh via! Tu vuoischerzare! - No, padrone.

— Narrami tutto o tu mi farai impazzire.

- Si, parla, racconta - disse Sciapal.

- Si, parlerň, ma bisogna che tu, padrone,mi conceda la vita d’un uomo.

— La vita d’un uomo! Ma di chi?

- Quella d’un uomo che tu odi. - Io!

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- Sě, padrone.

- Ma dove si trova quest’uomo? - Suquest’isola.

- Ma dove?

- A breve distanza.

— In questo accampamento forse?

- No, ma č vicino e se i selvaggi non tiavessero fatto prigioniero ed io nonavessi lasciato che ti sorprendessero,forse a quest’ora ti avrebbe ucciso. Ioavrei perň cercato di salvarti, poiché ionon volevo che tu morissi. Alě e Sciapalguardavano Narsinga come istupiditi: essisi domandavano se eran svegli o sesognavano.

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— Ma spiegami tutti questi misteri, -disse finalmente Alě, - od io impazzirňdavvero.

— Promettimi di non far male aquell’uomo e ti spiegherň tutto.

- Ma voglio sapere il nome suo.

— č mio padre adottivo.

- Non ne so di piů.

- Te lo dirň poi, il suo nome.

- Ebbene ti prometto che non gli farň alcunmale. —. Conto sulla tua parola. -Ilsuonome?

- Garrovi.

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Questa volta non fu un grido di sorpresa,quello che irruppe dal petto del capitanofu un vero ruggito.

- Lui! - gridň con un intraducibile accentod’odio. - Bisogna che lo uccida!

- Mi hai promesso di salvarlo, padrone.

- Ti dico che lo ucciderň.

- Sě, lo uccideremo padrone - disseSciapal. - Tu hai da vendicare i tremisoriani, la tua Djumna, l’oro delpresidente della ŤYoung-indiať ed io ilcolpo di scure.

- Ho la tua promessa - ripetč Narsinga.

- Ma io nulla ho promesso ancora, - disse

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Sciapal, - e se lo risparmierŕ il padrone,lo strangolerň io Garrovi.

Narsinga chinň la testa sul petto e duelagrime le spuntarono sul ciglio, le primeforse da quando era nata. Nel vederpiangere quella piccina, Alě si sentěstranamente commosso.

- Bizzarra creatura! - esclamň. - Ma loami tu quel tizzone d’inferno.

- Mi ha amata come fossi sua figlia e forsedi piů.

- Lui! č impossibile!

- Sě, padrone, ed ha assassinato e rubatoper me.

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- Tu menti per salvarlo.

- No, te lo giuro su Siva.

- Odimi, fanciulla: narrami tutto quelloche sai, poi giudicherň se Garrovi meritala morte.

- Interrogami.

- č vero che Edoardo, mio fratello, č qui?

- Sě, padrone. La nave che Sciapal haveduto, era montata da Edoardo Middel,da un vecchio marinaio che si chiamaHarry e da un tenente dei sipai delBengala.

- Ma come ha saputo, mio fratello, che ioero qui?

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- Garrovi mi ha narrato che il tenente deisipai aveva ucciso un uccello sotto le cuiali vi erano delle lettere.

- L’oca emigrante! - esclamň Sciapal. -Avevi ragione di sperare, padrone.

- Ora si comprende tutto. Quel tenente sisarŕ recato da mio fratello e fors’an chedal presidente della ŤYoung-Indiať.

- Sě, anche dal presidente - disseNarsinga. - Fu lui che scoprě Garrovi eche armň il pariah che doveva recarsi inqueste acque.

- Avevan dunque fatto prigionieroGarrovi? - chiese Alě,

- Sě, e lo avevano imbarcato. - Assieme a

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te?

- Oh no! Io mi era imbarcata di nascosto.

- Per che cosa fare?

- Per cercare di far fuggire mio padre.Approfittando della mia piccola statura,mi ero nascosta in una cassa contenente lesue vesti, portando con me parecchiistrumenti, succhielli, delle piccole seghe,degli scalpelli ecc., tuttociň insomma chepoteva occorrere per fare un foro neifianchi della nave.

- Te lo aveva suggerito Garrovi?

- No, poiché dopo che era stato fattoprigioniero, piů non avevo potutoavvicinarlo.

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- Quanta astuzia e quanta intelligenza inquella testina! - esclamň Alě, conammirazione. - Continua, piccina.

- Temendo di venire scoperta e sbarcata,attesi che il pariah fosse lontano dallecoste del Bengala, prima di lasciare ilmio nascondiglio e comparire dinanzi aGarrovi, il quale era stato rinchiuso in unapiccola cabina di poppa. Credo chesolamente da quell’istante Garrovimeditasse la perdita della nave. Tuo

i fratello ed il presidente della ŤYoung-Indiať gli avevano promesso salva la vitase conduceva la nave nel punto ove avevalasciata la Djumna e per di piů gliavevano promesso di lasciargli l’ororubato, ma egli ti temeva. Sapeva che lo

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avresti ucciso. ŤCorrendo io il pericolodi venire ad ogni istante scoperta, Garrovischiodň

;,due tavole del pavimento e mi nascosenella sentina. Non uscivo che di notte coninfinite precauzioni, per mangiare ciň cheegli serbava per me. Il suo piano perrovinare la nave fu presto ideato. Volevadisalberare il pariah prima, poi

sabordarlo per farlo affondare.

ŤNon potendo e non osando egli lasciarequella cabina, dovetti incaricarmi io delpenoso e lungo lavoro. Ogni notte, munitad’una piccola e sottile sega, lavoravo conaccanimento, fino al completoesaurimento delle mie deboli forze. ŤIo

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non sapevo chi erano gli uomini chemontavano il pariah, né conoscevo loscopo del loro viaggio; sapevo solo cheGarrovi era prigioniero, che correva ilpericolo di venire ucciso e che dallaperdita della nave dipendeva la suasalvezza.

ŤQuando scoppiň la tempesta, l’alberomaestro cedette, ma non cadde del tutto.L’equipaggio, accortosi a tempo delpericolo, rilegň l’alberatura. Fu allora cheGarrovi, perduta la speranza, mi comandňdi sabordare la nave, ma il tempo mancň.

ŤUn fulmine incendiň l’alberatura, unpezzo cadde nella stiva nel momento ineui io passavo, per salvarmi nel mionascondiglio, e caddi ferita nella fronte.

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ŤEro scoperta, ma nel momento che mitrasportavano sul ponte, Garrovi, che

era uscito attraverso le tavole delpavimento, comparve improvvisamente.Seppi poi, poiché io era svenuta, che eglimi aveva strappata dalle mani del tenentedei sipai, che con un colpo di scure avevafracassato il timone del pariah e che poierasi gettato in mare nuotando versoquest’isola.

ŤRiuscě a salvarmi, ma le onde,spingendolo violentemente contro laspiaggia, gli avevano spezzata unagamba.ť

— Ma dove si trova ora? - chiese Alě,

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- Nascosto in mezzo alla foresta.

- Guarito.

- No, poiché approdammo la notte cheSciapal vide la nave fiammeggiante.

- Ma l’ami tu quell’uomo ?

- L’ho amato.

- Ed ora?

- Lo compiango.

- Strana creatura!

- Egli aveva rubato per me, padrone.

- A quale scopo?

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- Voleva farmi ricca.

- Ma tanto ti amava, quel furfante?

- Alla follia.

- Eppure non sei sua figlia.

- No, poiché egli mi raccolse su di unavia, morente di fame.

- Ma chi erano i tuoi genitori?

- Non lo so. Quando Garrovi mi trovň, eroassai piccina, forse non contavo due anni.

- Eri stata abbandonata o perduta?

- Lo ignoro. Padrone, perdonerai aGarrovi? io non lo amo piů, perché so ora

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quanto era cattivo, ma mi adorava.

— Una parola, prima. Parla.

- Credi che la nave montata da miofratello sia qui?

- Garrovi lo crede.

- Ma lo hai tu veduto?

- Sě, ieri notte. Non puň muoversi ementre voi dormivate, io sono andata atrovarlo per portargli delle mandorle.

- Ammirabile piccina!

- Ebbene, padrone, perdonerai aquell’uomo?

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- Forse - disse Alě, come parlando a sestesso. Poi, volgendosi al malabaro:

- Sciapal, - disse, - bisogna fuggire etentare di raggiungere mio fratello.

- Ma come vuoi fare? Non vedi padroneche questi brutti nani ci sorveglianoattentamente e che hanno degli archi, degliarpioni e delle lance?

- Oh! Se potessi spezzare queste dannatecorde!

— Posso tentarlo padrone - disseNarsinga.

- Tu?

— Ho i denti piccoli; ma molto acuti ed

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un’altra volta ho roso le corde che ,stringevano Garrovi. Ho la testa libera edil corpo pure e posso curvarmi verso;dite. - Se tu potessi farlo! - Aspetta lanotte e proverň.

- Ma dove fuggiremo? - chiese Sciapal.—Nei boschi, per ora - rispose Alě, -Bisognerebbe avere delle armi.

- E vero ma… Toh! Un’idea!

- Quale? i <r Aspetta, Sciapal. Se possoriavere le mie pistole, questi brutti naninon mi

riprenderanno di certo.

Poi volgendosi ad uno dei suoi guardiani,gli disse:

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- Va’ a dire al capo che devo parlargli.

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LA FUGA DEIPRIGIONIERI

Forse il selvaggio non lo aveva compreso,essendo poco probabile che conoscesse ilbengalese, ma sapendo che il capoparlava la lingua dei prigionieri, nonindugiň a chiamarlo.

Il capo andamano, immaginandosi forseche i bengalesi avessero da fare delleComunicazioni importanti, s’affrettň arecarsi da loro, ma aveva preso perň lesue precauzioni, mostrandosi armato d’ungrande arco lungo due metri, stretto , nelmezzo ma molto largo alle due estremitŕ econ una manata di frecce lunghe mezzo

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metro e munite di acute spine. Di certo sifidava poco della tranquillitŕ dei suoiprigionieri.

— Mi hai fatto chiamare? - chiese,rivolgendosi al capitano della Djumna.

- Sě, capo - rispose questi. — E che cosadesideri?

- Dirti che noi cediamo alle tue pretese.

L’andamano non potč frenare un moto digioia, udendo quelle parole, e fissňsull’angloindiano uno sguardo ardente.

- Mi costruirai adunque una di quellegrandi case galleggianti? - chiese, - Sě -rispose Alě,

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- Ed anche una di quelle case alte assai,che ho vedute a Calcutta?

— Anche un gran palazzo.

- E mi fabbricherai delle armi che tuonanoe che uccidono a grande distanza?

- Anche dei cannoni, se vuoi.

- Io ti darň da mangiare finché vorrai! -esclamň il capo.

- Ma non basta - disse Alě,

- Cosa vuoi ancora?

- Mi occorrono delle armi per lavorare illegname necessario alla casa galleggiante.

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- Te le darň.

- Ma tu non hai armi adatte. Le tue lancenon sono sufficienti.

- Ho la tua scure.

- Non basta.

- Cosa vuoi ancora?

- Le mie pistole.

- Cosa vuoi farne delle armi che tuonano?

- Mi serviranno per far cadere gli alberi.

- Io non ho mai veduto ciň a Calcutta.

- Forse che non hai mai veduto il fulmine

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far cadere degli alberi nelle foreste?

- č vero - disse il selvaggio.

- E le armi mie non tuonano come ilfulmine?

- Anche questo č vero.

- Dunque me le darai o non avrai né lacasa galleggiante, né le case per te e peituoi sudditi.

- Io ti darň tutto ciň che vorrai.

- Basta cosě: domani ci metteremo allavoro.

Il capo, tutto contento per quellepromesse, se ne andň urlando a piena gola

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aulcoJarictě, grida che quei selvaggiemettono quando son pienamentesoddisfatti.

- Vedremo se domani griderai ancoraaukcdariců - disse Alě, - Aspetta cheabbia in mano le mie pistole, vecchiapelle!

- Non fuggiamo questa notte, padrone? -chiese Sciapal.

- No - rispose Alě, - Senz’armi nonandremmo molto lontano ed in questeboscaglie correremmo il pericolo dimorire di fame o di venire divorati dalletigri. Il colpo lo faremo domani.

- Ma che cosa vuoi fare?

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— Al momento opportuno lo saprai. Toh!Ecco il capo che comincia a rifornirci diviveri: speriamo che la cena sia piůabbondante del pranzo. Le sue speranzefurono perň deluse. Era bensě abbondante,ma solamente adatta ai palati dei selvaggidelle Andamane, palati tutt’altro cheschizzinosi. Quella cena consisteva ingrosse lucertole arrostite d’aspettoripugnante, in un mezzo gatto selvatico chetramandava un odore poco incoraggiante,in un po’ di miele d’api selvatiche ed inun cestello di molluschi e di crostacei. Iprigionieri fecero onore al miele, aimolluschi ed ai crostacei, poi essendocalata la notte ed essendo stati allentati iloro legami, si sdraiarono alla meglio.gotto la capannuccia, cercando diaddormentarsi.

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I loro guardiani non li avevanoabbandonati, anzi altri ne erano giunti e sierano accoccolati intorno ad un grandefalň per difendersi dall’umiditŕ dellanotte, che č terribile alle isole Andamane.

Il sonno dei prigionieri fu perň tutt’altroche tranquillo. Pareva che nei dintorni diquel villaggio si fossero radunate tutte lezanzare dell’India, poiché piombavano sudi loro a migliaia, e migliaia,martorizzandoli e dissanguandoli.

Se fossero stati liberi avrebbero di certoimitato gli andamani, i quAlě perdifendersi da quelle feroci punture usanoimbrattarsi per bene di fango, prima dicoricarsi.

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Al mattino, il capo seguito da una dozzinadei suoi sudditi armati di lance e di archi,andň a svegliare i prigionieri che si eranofinalmente addormentati. Alě vide subitoche portava la scure, le due pistole e lepoche munizioni che erano rimaste.

— Sei pronto? - chiese il capo.

— Sbarazzaci dalle funi e andiamo -rispose il capitano.

— Ma… non fuggirete?

- Non hai i tuoi guerrieri?

- č vero, ma so che gli uomini del Bengalasono robusti ben piů di noi.

— Ma voi siete molti e noi solamente due

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e una piccina inoffensiva.

- č vero; andiamo.

Ad un suo cenno gli andamani tagliaronole funi ed Alě e Sciapal balzarono inpiedi, stirandosi le membra indolenziteper quella lunga ed incomoda posa.

— Conducimi in una foresta che abbia deigrandi alberi - disse Alě, - Mi occorremolto legname per costruire la casagalleggiante.

— Vieni e ne troverai finché vorrai.

La truppa, preceduta dal capo, si mise incammino cacciandosi sotto i boschivicini. Alě, tenendo per mano Narsinga,camminava dietro al capo e subito dopo

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venivano Sciapal e gli andamani, i quAlěnon staccavano gli occhi dai prigionieri enon abbandonavano le armi.

Anzi alcuni, temendo qualche sorpresa,tenevano le frecce sulla corda degli archi,per essere pronti a scagliarle al menomosospetto. Ben presto si trovarono in mezzoad una boscaglia fittissima, formata da unagglomeramento intricatissimo di borassi,di splendidi ficuS’pisocarpa, di alberiresinosi di dammar, di tek altissimi egrossissimi e di artocarpi selvatici legatifra di loro da immense reti di calamosmisurati, in mezzo ai quAlěvolteggiavano ed eseguivano salti edevoluzioni disordinate, numerose bande di

grosse scimmie dal pelame nerissimo, con

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un grande ciuffo sul capo ed una lungacoda.

Alě s’arrestň, girando attorno un lungosguardň, poi alzň gli occhi su di un tekcolossale, alto per lo menoquarantacinque o cinquanta metri e cosěgrosso che tre uomini non sarebbero staticapaci di abbracciarlo.

- Ecco un albero che fa per noi - disse,volgendosi verso il capo.

- Come? Vuoi abbattere quell’enormepianta? - chiese l’andamano, stupito.

- Certo, - rispose Alě, sorridendo, - mabisogna che i tuoi uomini mi aiutino.

- Ma se quell’albero cade ci schiaccerŕ

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tutti.

- Io so come farlo precipitare senza che ciammazzi, purché tu mi aiuti unitamente aituoi uomini.

- Che cosa dobbiamo fare? Alě indicň unaltro tek, alto quanto il primo, situato abreve distanza, dicendo: - Tu ed i tuoiuomini salirete lassů e tenderete per benele funi che avremo legate al primo albero.

- Ma tu?

- Io assAlěrň il tek alla base colla scure ecolle mie pistole e lo troncherň.Comprendi ora, capo?

- Sě.

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- Al lavoro, adunque.

Sciapal in quel frattempo aveva fattitagliare parecchi calamus lunghi uncentinaio di metri, e aggrappandosi airami piů bassi, si era inerpicato sul tekche si doveva abbattere ed aveva legate leestremitŕ di quelle corde vegetali sui ramipiů alti.

Gli andamani, che forse avevano capita lamanovra, salirono sul secondo tek,tenendo le opposte estremitŕ dei calamus esi accomodarono fra il fogliame.

Il capo perň pareva che si sentisse pocodisposto a seguirli. Un resto di diffidenza,lo teneva ancora a terra.

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- Orsů, le armi e poi sali - disse Alě,

- Ma… e non fuggirai tu? - chiese il capo,guardandolo fisso.

- Non hanno le frecce i tuoi uomini?

- Sě, ma preferirei rimanere a terra.

- Il tek puň ucciderti.

- Mi terrň in guardia.

Alě lo guardň con due occhi chemandavano lampi, ma si frenň, dicendo: -Giacché diffidi, rimani pure, ma guardati.

- Non temere - rispose il selvaggio, conun risolino malizioso. - Ecco la scure.

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- E le pistole?

- So anch’io spararle e quando mel’ordinerai, le scaricherň contro l’albero.Alě si sentě una voglia pazza di gettarsisul furfante e di strangolarlo, ma non eraancora giunto il momento di agire.

Afferrň la scure e recatosi ai piedidell’albero, si diede a percuoterlo confurore, facendo balzare intomo schegge ebrani di corteccia. Sciapal, che dovevaessere stato ormai istruito, intantoradunava, ai piedi del secondo tek, unagrande quantitŕ di erbe secche e di grossirami morti che abbondavano in queidintorni.

Quella strana manovra parve che mettesse

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qualche sospetto nell’animo del capo,poiché chiese ad Alě, il quale continuavaa percuotere l’albero, ma con pocosuccesso, essendo il legno dei tekestremamente duro: - Che cosa fa il tuoschiavo?

- Prepara la legna per bruciare i ramidell’albero - rispose il capitano.

- Ma lassů vi sono i miei uomini,

— Quando il tek sarŕ caduto,scenderanno. Sta’ zitto e lasciamilavorare o non potrň fabbricarti la casagalleggiante.

Si rimise al lavoro, continuando apercuotere il colosso, ma sempre con

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poco esito, mentre Sciapal continuava adaccumulare legna come se dovessearrostire una dozzina di buoi. Ad un trattoil marinaio s’arrestň, dicendo: ‘- Hofinito.

- Levati di qui, Narsinga - disse Alě amezza voce. - Bada alle frecce. Ťť-Nontemere, padrone - rispose la piccina.

Il capitano lasciň cadere la scure, come sefosse affranto da quel lavoro, evolgendosi verso il capo, disse:

- Le armi da fuoco faranno il resto.

- Devo scaricarle? - chiese l’andamano.

- Sě, ma prima avvertirai i tuoi uomini ditenersi pronti, appena udite le detonazioni,

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a dare alle corde una violenta strappata.

- E credi che l’albero cadrŕ.

— Subito - rispose Alě,

Poi, volgendosi verso Sciapal, disse:

- Accendi un ramo di dammar. Bisognabruciare le foglie del tek. Mentre Sciapals’affrettava ad obbedire, accendendo ungrosso ramo resinoso che doveva arderecome una torcia, gli andamani, avvertitidal loro capo, avevano infisse le lorolance nel tronco dell’albero che lisorreggeva e appesi gli archi ai rami, permeglio afferrare i calamus.

— A te ora - disse Alě al capo.

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L’andamano che ormai non aveva alcunsospetto, s’avvicinň al tek percosso daAlě, appoggiň contro il tronco le duepistole, chiuse gli occhi per paura dellafiamma e dopo una breve esitazione fecefuoco.

Il colossale tek, come era da prevedersi,rimase ritto; invece cadde il capo,abbattuto da due poderosi pugniscaricatigli sulla testa, colla rapiditŕ dellampo, da Alě, Quasi nell’istesso istanteSciapal scagliava la fiaccola nel belmezzo della catasta di legna rizzataattorno al secondo tek, la quale in unbaleno avvampň, lanciando verso gliandamani aggrappati ai rami, nubi di fumoe turbini di scintille.

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- Fuggiamo, padrone! - urlň l’indiano.

Alě non era rimasto inattivo. Abbattuto ilcapo e vedutolo inerte, gli si eraprecipitato addosso, strappandogli le duepistole e le poche munizioni, poi avevaraccolta la scure e si era precipitato inmezzo agli alberi, preceduto da Narsinga.Gli andamani, vedendo fuggire iprigionieri, avevano abbandonati icalamus ed impugnati gli archi, ma eraormai troppo tardi. Non potendo scenderein causa del fuoco che bruciava ai piedidel tek, si sfogavano con urla feroci,sperando forse di venire uditi dai lorocompagni rimasti al villaggio. Intanto Alě,Sciapal e Narsinga fuggivano aprecipizio, inoltrandosi nell’immensaforesta. Finché il fuoco durava, non

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avevano da temere e perciňapprofittavano per frapporre fra loro ed iselvaggi il maggior spazio possibile.

- Presto, Sciapal - gridava Alě, divorandola via. - Su, lesta, Narsinga! Quei furfanti,appena si spegnerŕ il fuoco, li avremo tuttialle spalle.

- Che brutta sorpresa per loro - diceval’indiano. - Credo che al capo sarŕpassata la voglia di avere una casagalleggiante.

La foresta diventava sempre piů fitta e piůdifficile in causa della moltitudine ditronchi, di cespugli e di calamus e degliostacoli che si presentavano ad ogniistante, ma i tre fuggiaschi continuavano

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sempre ad avanzarsi, senza piů curarsidella direzione.

Si cacciavano fra i macchioni, strisciandocome i serpenti, scalavano i tronchi cadutiper decrepitezza o sotto le percosse dellefolgori, s’aggrappavano alle reti vegetali ,si cacciavano in mezzo ai cespugli eguadavano dei torrenti dalle acque nere epestifere. Volevano allontanarsi ad ognicosto, da quella parte della foresta abitatadagli andamani.

Dopo due ore, sfiniti, colle vesti lacere, lemani insanguinate, si arrestavano sullerive di una palude che si estendeva inmezzo ad una boscaglia oscura e caricad’umiditŕ.

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- Credo che non ci troveranno piů - disseAlě, - Possiamo arrestarci qui.

- Ma questo luogo č pericoloso, padrone -disse Sciapal. - La febbre dei boschi deveregnare sempre qui.

- Non vi resteremo che qualche giorno.Quando saremo certi che gli andamanihanno perduto le nostre tracce,cercheremo di giungere alla costa. ForseEdoardo ci cerca di giŕ; č vero, Narsinga?

- Lo credo, padrone - rispose la piccina.

- Povero fratello!.. E forse mi crederŕmorto!

— Lascia i tristi pensieri, padrone - disseSciapal. - Un giorno o l’altro lo

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troveremo. Pensiamo ora a trarcid’impiccio.

- Hai ragione, Sciapal. Orsů, cerchiamoun nascondiglio, prima che quei dannatiselvaggi ci scoprano. Saranno smaniosi divendicarsi e cercheranno tutti i mezzi perprenderci.

- Soprattutto il capo. Mi pare che tu nonl’abbia ucciso. - No, ma devo avergliguastata la zucca in tale modo, che ne avrŕper un bel pezzo. L’ho percosso per benesulla nuca. Venite: cerchiamo un postodove, in caso di attacco, ci possiamodifendere senza farci infilzare dallefrecce.

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LE SABBIE MOBILI

Come si disse, la loro fuga precipitosa liaveva condotti sulle sponde d’una paludenascosta nel mezzo d’una boscaglia assaifolta e d’aspetto selvaggio. Le piante chela circondavano erano cosě alte e cosěfronzute, che sopra quelle acque regnavauna semioscuritŕ ed una umiditŕ tale, chelarghi goccioloni stillavano dall’estremitŕdei rami e scendevano lungo i tronchi. Unodore di putredine, derivato senza dubbiodal disciogliersi delle foglie cadute, delleradici dei colossi e dei rami abbattuti daiventi, regnava sotto quelle oscure vňlte diverzura, togliendo quasi il respiro.

Alě si era spinto sull’orlo di quel bacino

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che aveva una estensione di qualchechilometro si in lungo che in largo, eguardava attentamente quelle acque oscuree fangose, come se volesse accertarsi secelavano delle sabbie mobili o deipericolosi ospiti. Aveva notato che quasinel mezzo della piccola palude Sorgevauna specie d’isolotto coperto da unmacchione d’alberi, e gli era venuta l’ideadi cercare di raggiungerlo, certo che colŕnon sarebbero stati facilmente scopertidagli andamani.

Con un colpo di scure spezzň un lungoramo e lo immerse. L’acqua era pocoprofonda, poco piů d’un metro, ed ilterreno gli parve abbastanza solido. -Tentiamo la traversata - diss’egli. - Unsoggiorno di trenta o quaranta ore, non ci

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sarŕ fatale, spero.

Si prese Narsinga in braccio, se la mise acavalcioni delle spalle, le affidň le pistolee le munizioni per non bagnarle ed entrňrisolutamente in quelle acque nere efangose, appoggiandosi al bastone.

Sciapal non si era fatto pregare perseguirlo, ma anche lui si era armato d’unlungo e solido randello, temendo chequelle acque nascondessero deicoccodrilli.

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LE SABBIE MOBILI

Il fondo del bacino dapprima parveabbastanza solido, ma poco dopo divennecosě viscido e cosě fangoso, che i dueuomini cominciarono a diventare inqueti. Iloro piedi sprofondavano entro una motatenace, che li chiudeva come in unamorsa, e di tratto in tratto sentivano ilterreno cedere bruscamente, come se sottosi estendessero dei banchi di sabbiemobili.

Dei rettili disturbati da quei gorgoglěidell’acqua, fuggivano e venivano acontorcersi alla superficie, per poi tostoimmergersi. Alě e Sciapal avevanocreduto dapprima che fossero coccodrilli,

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ma si erano ben presto accorti che sitrattava di grandi lucertole lunghe duemetri chiamate bewah, affatto inoffensivee molto paurose.

Procedendo con estrema prudenza etastando sempre il fondo, erano giŕ giuntia cinque o sei metri dall’isolotto, quandoAlě sentě a mancarsi il terreno sotto ipiedi, immergendosi fino alle spalle.

- Sciapal!… - esclamň. - Un banco disabbie mobili!…

- Ma no, padrone - disse l’indiano. - Ilterreno č solido sotto i miei piedi.

- Affondo, Sciapal.

- Aspetta che vengo in tuo aiuto.

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- No, ci annegheremmo tutti e tre.

- Che devo fare? - chiese l’indiano, conterrore.

- Vai sull’isolotto e porgimi un lungoramo. Bada di non avvicinarti oaffonderai anche te.

- Puoi resistere qualche minuto?

- Lo spero.

- Non muoverti o t’immergerai piů presto.

L’indiano s’avanzň verso l’isolotto,scandagliando il fondo col bastone, mas’avvide subito che il banco di sabbiemobili si estendeva in quella direzione,tagliandosi la via.

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Si mise a girarlo, continuando a spingereinnanzi il bastone, ma perdeva un tempoprezioso che poteva diventare fatale adAlě ed a Narsinga. Il capitano rimanevaperfettamente immobile, non ignorandoche la minima mossa, il piů piccolotentativo fatto per sottrarsi aquell’assorbimento, avrebbero affrettatala sua discesa nel banco traditore, maanche restando fermo, a poco a pocovedeva l’acqua montare.

Giŕ cominciava a sentirsi bagnare il mentoe la bocca era a breve distanza. Ancora unminuto, forse meno, e non avrebbe potutopiů respirare. Narsinga taceva, maguardava montare, con due occhi smarriti,la nera superficie di quell’acqua. Sentivache il suo valoroso salvatore a poco a

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poco, millimetro per millimetro, scendevanell’orribile tomba delle sabbie mobili.

- Presto, Sciapal! - esclamň Alě cheaveva giŕ l’acqua sotto le labbra. - Prestoo sono perduto.

- Eccomi, padrone - urlň l’indiano.

Aveva trovata una lingua di terra solidaed aveva raggiunto l’isolotto. Con : (;unastrappata irresistibile spezzň un ramolungo parecchi metri e solido e lo

porse rapidamente ad Alě, tenendo benstretta l’estremitŕ opposta. i - Grazie -ebbe appena il tempo di mormorare ildisgraziato capitano. - Ora…

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La seconda parola gli fu soffocatadall’acqua, che gli entrava ormai nellagola.

S’aggrappň disperatamente al ramo eSciapal operň una energica trazione,

strappandolo lentamente da quel bancoche doveva inghiottirlo. ; A poco a poco ipiedi furono liberati ed Alě potčfinalmente giungere presso

l’isolotto, sulle cui rive si lasciň cadere,dopo d’aver deposta Narsinga.

- Mio padrone - disse la piccolabengalese, prendendogli la testa fra lemani, - Tu mi hai salvato: sono tua.

- Ci siamo salvati insieme - rispose Alě,

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sforzandosi a sorridere. - Diamine!… Nonho mai avuto paura della morte comepochi minuti fa. Quelle sabbie sono benterribili! Sento rizzarmi ancora i capellisul capo, pensando che stavo per venireassorbito vivo.

- Ed io ho tremato piů di te, padrone -disse Sciapal. - Temevo di non giungerein tempo a salvarti e di vedervi spariretutti e due.

- Non dimenticare la direzione del banco,Sciapal.

- Perché.

- Perché saremo costretti a riattraversarela palude.

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- č vero, ma so dove esiste il passaggio enon lo scorderň.

- Visitiamo la nostra possessione ora. Misembra che il nascondiglio sia tale, dapermetterci di riposare in piena sicurezza.

- Tanto piů che č difeso dalle sabbiemobili - aggiunse l’indiano.Quell’isolotto, che sorgeva quasi al centrodella palude, aveva un diametro diventicinque o trenta metri ed era formatoda un agglomeramento di radicisemidisorganizzate e di foglie giŕ quasitramutate in terriccio. Su quell’ammassodi legni e di terra erano sorti rigogliosidodici o quindici alberi, alcuni bananiselvatici che portavano delle frutta sottilie probabilmente poco gustose, alcuni

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manghi e due o tre dammar resinosi.

Quella foresta microscopica erasi giŕpopolata, poiché si vedevano correre suitronchi degli alberi delle lucertolecantatrici simili a quelle che si vedono in

grande numero a Giava ed a Sumatra e chelanciano, quasi senza interruzione, ungrido strano che suona geh’ko, mentre suirami cicalavano degli uccelletti piccolidai colori brillanti a riflessi metallici,somiglianti ai trochilidi americani e dellegeopeěie, specie di colombe.

- č un nascondilio quasi impenetrabile -disse Alě, dopo d’aver fatto il girodell’isolotto. - Se gli andamani si sonomessi in caccia, non sospetteranno di

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certo che noi ci siamo rifugiati qui.

- Ma mi sembra che la selvaggina nonabbondi, padrone - disse Sciapal.

- Pensa che non abbiamo ancora fatta lacolazione.

- Vi sono dei manghi.

- Che saranno impregnati di resina equindi detestabili.

- Vi sono dei banani.

- Che basteranno appena per oggi.

- Pel domani penseremo e poi…

- Zitto, padrone! - esclamň Sciapal.

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- Cos’hai udito?

- Ascolta!

In lontananza si udirono echeggiare delleurla le quAlě durarono qualche minuto,poi bruscamente cessarono. Gli uccellidelle foreste, spaventati, erano subitodiventati silenziosi, ma poco doporipresero i loro gorgheggi e le loro strida.

- Che gli andamani abbiano scoperte lenostre tracce? - si chiese Alě, aggrottandola fronte. - O che l’albero sia caduto! -disse Sciapal.

- Non č possibile, - rispose il capitano, -e poi deve essere assai lontano.

- Che cosa facciamo, padrone?

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- Nulla, per ora. Speriamo che queifurfanti non si accorgano che noi ci siamonascosti qui. Finché abbiamo del tempodisponibile, raccogliamo i banani ed imanghi.

- M’incarico io di ciň - disse Narsinga.

La piccina, che era agile come unascimmia, s’arrampicň sul manghi,raccogliendo le frutta, mentre Sciapal sicacciava fra le smisurate foglie deibanani, staccando i grossi grappoli.

Alě da parte sua frugava in mezzo aicespugli delle rive, sperando di trovarequalche animale, ma invano. Stava perraggiungere i compagni, quando vide deipesci lunghi dieci centimetri, muniti di

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pinne che parevano robuste, rinforzate dacerti lobi carnosi che sembravano zamperudimentAlě, balzare fuori dall’acqua,saltellare sulle rive aiutandosi colle codee colle pinne, e cacciarsi fra le erbe.

- Toh toh! - mormorň il capitano,sorpreso. - Dei periophtolmus. Ehi,Sciapal, vieni ad aiutarmi.

- Hai trovato qualche animale, padrone? -chiese l’indiano, accorrendo. - No, deipesci, ma che sono saltellanti.

- Hai trovato una rete forse?

- Non occorre, poiché si sono nascosti frale erbe ed i cespugli.

- Ah! Questa č strana! Dei pesci che si

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nascondono fra i cespugli!

- Guarda come guizzano. L’indiano sicurvň e vide infatti due o tre dozzine dipesci che balzavano fra i cespugli,inseguendo gl’insetti che fuggivanoattraverso le erbe. Quantunque fossestraordinariamente sorpreso, s’affrettň adar loro la caccia, aiutato da Alě,riuscendo a prenderne una ventina. Glialtri, spaventati, si erano slanciati giůdalla riva, scomparendo sotto l’acqua. -Non ho mai veduto una cosa simile,padrone - disse l’indiano.

- Ed io ho veduto degli altri pesci perfinoin mezzo a dei campi coltivati - rispose ilcapitano. - A Giava ed a Sumatra hotrovato degli anabas, si chiamano cosě

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quei pesci, a due o trecento passi dallerive dei fiumi o del mare.

- Vivi?

- Vivissimi, anzi ne vidi alcuni chestavano cercando di salire perfino sugliarbusti. Si dice che salgono anche suglialberi, ma non so se ciň sia vero.

- Oh

- Ancora le grida?

- Sě, padrone. — Ma quei furfanti, nonvogliono proprio lasciarci tranquilli unsolo momento. - Il capo avrŕ giurato difarti pagare i due pugni.

- Ma se me lo vedo ancora dinanzi gli

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regalerň invece due buone palle nellazucca, mio caro Sciapal. — Hai parecchicolpi ancora?

- Undici.

- Sono pochini, padrone.

- Basteranno per quelle canaglie. Eccoche si avvicinano: nascondiamoci, ‘Sciapal.

Si erano appena celati fra le piantedell’isolotto, quando videro apparire unselvaggio. L’astuto andamano procedevalentamente e con mille precauzioni,esaminando attentamente le erbe ed icespugli per cercare le tracce deifuggiaschi.

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Dopo di aver girato qua e lŕ attorno aglialtissimi alberi, sempre investigando, s‘arrestň dinanzi alla palude, guardandosospettosamente le oscure acque. Parevache cercasse le tracce sul fondolimaccioso del bacino. Ad un tratto sirialzň di colpo, guardando l’isolotto conuna viva curiositŕ. Il suo istinto d’uomodei boschi non lo aveva ingannato. Alzň lebraccia e mandň tre grida acute. Pochiistanti dopo due altri selvaggi apparivanopresso la riva della palude, armati di duegrossi archi e di due fasci di frecce.

I tre andamani si scambiarono delleparole additandosi l’un l’altro l’isolotto,poi uno di essi scese risolutamente inacqua, dirigendosi verso il nascondigliodi Alě e dei suoi compagni. Doveva

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conoscere la pericolosa qualitŕ del fondo,perché si avanzava lenta

mente e tastando le sabbie. I suoi amiciavevano intanto armati gli archi e parevache si tenessero pronti a lanciare dellefrecce.

- Padrone, - disse Sciapal, - siamoscoperti.

- Non ancora - rispose Alě, il quale perňaveva armato risolutamente le pistole. -Stiamo zitti e non facciamoci vedere.

- Ma fra pochi minuti quel dannatoselvaggio sarŕ qui.

- Hai dimenticate le sabbie mobili?… Čvero che quei nani pesano molto meno di

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noi, ma non passeranno, Sciapal. Se perňtroveranno il passaggio, ho le pistole efarň presto a spacciarli.

- E poi avremo addosso tutti gli altri e ciassedieranno.

- L’assedio lo prevedo e lungo.

- Brutta situazione, quando la dispensa čcosě magra.

- Si vivrŕ come si potrŕ e stringeremo lecinture quando il ventre comincerŕ adiventare vuoto.

Intanto l’andamano continuava adavanzarsi, sempre con precauzione,incoraggiato dai suoi compagni.

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Giŕ non distava che venti passidall’isolotto, quando lo si vide arrestarsibruscamente, mandando un grido diterrore.

— Le sabbie lo hanno preso - disse Alě,

- Lo vedo - rispose Sciapal.

— Non muoverti.

— Lascia che lo inghiottano.

L’andamano sentendosi afferrare peipiedi, si era messo a dibattersi, sperando

di sottrarsi alla spaventosa stretta, mainvece non faceva altro che aumentare

l’assorbimento e sprofondava sempre piů.

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I suoi compagni, terrorizzati, non osavanogettarsi in acqua. Urlavano come

ossessi, tendevano le braccia verso ildisgraziato, correvano ora innanzi ed ora

indietro, ma non scendevano la sponda.

Alě, vedendo quel povero diavolo inprocinto di scomparire, aveva fatto un

passo innanzi per afferrare un lungo ramoe porgerglielo, ma Sciapal lo aveva

arrestato, dicendogli:

- No, padrone! Ci farai scoprire esalvando quell’uomo perderesti noi.

- Sta per morire, Sciapal - disse Alě,

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- Lo vedo, ma č necessario che s’affoghi.Se tu ti trovassi al suo posto, gli andamani invece di aiutarti a uscire daquelle sabbie, ti prenderebbero a colpi difreccia.

- Sarŕ vero, ma io non posso assisteretranquillo alla morte d’un uomo, sia pured’un nemico. Accada ciň che si vuole, iolo salverň.

- Padrone…

— Sono deciso, Sciapal.

Strappň un lungo ramo, balzň sulla rivadell’isolotto e lo stese. Il disgraziatoSelvaggio, che aveva giŕ l’acqua allelabbra, vedendo quel bastone in mano al

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nemico, emise un urlo terribile credendoche l’uomo bianco volesse spaccargli ilcranio, mentre i suoi due compagniraddoppiavano le grida.

- Aggrappati… presto - disse Alě,

il selvaggio vedendo il ramo a portatadelle mani lo afferrň con vigore disperato,gettando sul suo salvatore uno sguardňatterrito.

- Non lasciarlo - continuň il capitano.

Poi si mise a tirarlo fuori dalle sabbie,con piccole scosse e lo trasse sulla riva.L’andamano appena si senti salvos’arrampicň lestamente sull’isolotto ecadde ai piedi dell’uomo bianco, dicendo

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in bengalese:

- Mi uccidi o mi concedi la vita?

- Se non ti ho lasciato affogare, vuol direche volevo salvarti. Alzati: nulla hai datemere.

- Sono tuo schiavo: fa’ di me quello chevuoi.

- Vedremo se ci sarai utile. Ma dove sonoi tuoi compagni?

- Sono scomparsi - rispose Sciapal,venendo avanti.

- Il diavolo se li porti.

- Non se li porterŕ via, perché

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ritorneranno, padrone e ci assedieranno.— Ci difenderemo, Sciapal. - Con questonemico in casa? - č nostro schiavo. - E tifidi, padrone?

- Per Bacco!… Al primo sospetto lorigetto in acqua e ti giuro che dalle sabbiemobili non lo leverei piů. Orsů, facciamocolazione finché abbiamo un po’ di tempo.

FRA I NAIA ED I SERPENTI DELMINUTO

L’andamano salvato da Alě, era uno deipiů piccoli della sua tribů, poiché nonmisurava piů di un metro e quaranta

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centimetri; ma pareva perň che fosse assairobusto a giudicarlo dall’ampiezza delsuo petto e dai muscoli delle sue braccia.Come i suoi compatrioti era quasi nudo,non avendo che una sola cintura dicorteccia d’albero ed al collo alcuniframmenti di scaglie di testuggini e delleconchigliette bianche.

Il suo arco che teneva in mano quando erastato preso dalle sabbie mobili, lo avevaperduto nel momento d’aggrapparsi alramo sportogli dal capitano, perciň sitrovava inerme, in piena balia dei suoisalvatori e nell’impossibilitŕ di nuocere.

Non pareva perň che si preoccupasse diciň, ma dimostrava piena confidenza.Forse aveva saputo che gli uomini del

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vicino continente, non sono feroci comegl’isolani delle Andamane.

Dopo d’aver detto che era schiavo di Alě,si era accoccolato accanto al padrone,senza piů interessarsi dei suoi compagni iquAlě perň erano ormai scomparsi.Sciapal aveva portate tutte le provvisteraccolte, consistenti in una ventina dipesci, in due dozzine di manghi e unatrentina di banane molto smilze e pocosuccose a quanto sembrava.

Alě, da uomo previdente, divise queiviveri in tre mucchi, dicendo: — Per oggi,per domani e per posdomani.

- Magre razioni, padrone, - disse Sciapal,- specialmente ora che vi č una bocca di

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piů.

- Meglio essere affamati che morire difame, mio caro.

- E se l’assedio continuasse?

- In tre giorni possono accadere moltiavvenimenti.

- Ma su che cosa speri?

- Vedremo - rispose Alě, - Orsů, acolazione.

Narsinga aveva acceso il fuoco,servendosi dell’acciarino e della pietrafocaia del capitano, e sui tizzoni avevamesso ad arrostire alcuni pesci, i quAlě inpochi istanti si erano cucinati.

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La magra colazione fu fatta rapidamente el’andamano ebbe la sua parte che in pochibocconi divorň, poi, non vedendocomparire alcun nemico sulle rive dellapalude, Alě e Narsinga si stesero fra leerbe per fare una dormita sotto la guardiadi Sciapal, non essendo sicuri di passareuna notte tranquilla. Il selvaggio perň, cheforse temeva o attendeva il ritorno deisuoi compatrioti, si era accoccolatoaccanto all’indiano, tenendo gli sguardifissi sulle rive dello stagno. Ogni qualtratto perň si curvava innanzi e pareva cheascoltasse attentamente.

Sciapal non lo perdeva di vista, pronto aprecipitarlo nelle sabbie mobili al primomovimento sospetto.

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Ad un tratto l’andamano gli additň unagrande macchia di banani, che sorgevasulla riva che stava di fronte a loro.

- Che cosa vuoi dire? - chiese Sciapal.

- Vengono - rispose il selvaggio, incattivo bengalese. - I tuoi compagni?

- Si.

- Ma io non li vedo.

- Ma Kalari li ode.

- Ah! Ti chiami Kalari?… Ebbene, amicoKalari, dove sono i tuoi compagni?

- Strisciano attraverso ai banani. IsMĚ:

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- E credi che siano risoluti a prenderci? -Il capo vuole la casa galleggiante.

— Alla malora le navi… Ma credi chetenteranno di attraversare il bacino? - Si1- Ma vi sono le sabbie mobili.

- Ma il capo č astuto.

- E tu lo aiuterai, č vero Kalari?

— No, perché ormai sono vostro schiavo.

- Non avrei mai creduto di trovare ungalantuomo fra questi selvaggi - disseSciapal fra sé.

Poi, rivolgendosi all’andamano:

- Si avvicinano sempre?

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— Si, sono nascosti in mezzo ai banani.

- Che vogliano assediarci e farcicapitolare per fame? - mormorň l’indiano,le Cui inquietudini crescevano.

Guardň Alě che dormiva tranquillamenteaccanto a Narsinga, ma poi si rivolseverso la macchia di banani, dicendo:

- č inutile svegliarlo. Farŕ buona guardiaquesta sera.

Si nascose fra due cespugli tenendo prontele pistole del capitano ed attesepazientemente la comparsa dei nemici persalutarli con una scarica. Pareva perň chegli andamani non avessero alcuna fretta dimostrarsi, poiché non lasciavano la folta

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macchia che li proteggeva. Dovevanoessere tuttavia occupati in qualchemisterioso lavoro, perché Sciapal vedevadi tratto in tratto le grandi foglie deibanani agitarsi, ed anche dei corpi neriuscire dalla macchia, scivolare fra le alteerbe ed i tronchi degli alberi e poco doporitornare. Cosa stavano preparando?Nulla di buono di certo, se prendevanotante precauzioni per non farsi vedere eSciapal sempre piů s’inquietava. Diquando in quando interrogava ilprigioniero, ma anche questi, quantunqueaguzzasse per bene gli occhi, non riuscivaa scorgere ciň che facevano i suoicompatrioti. Verso sera Alě si svegliň el’indiano s’affrettň ad informarlo dellapresenza dei nemici e dei loro misteriosigiri nella foresta.

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- Che preparino delle zattere per assalirciquesta notte? - si chiese il capitano. Se ciattaccano da tutte le parti, sarŕ unafaccenda seria.

- Cosa pensi di fare, padrone?

- Di vegliare attentamente, per ora.Vedremo poi cosa si potrŕ intraprendere.

- Ma se irrompono sull’isolotto?

- Ci rifulgeremo sugli alberi.

— E accenderanno i cespugli sotto di noi.

- Sono troppo verdi per prendere fuoco,Sciapal. Occorrerebbe molto tempo edintanto io abbatterei un bel numero diassalitori a colpi di pistola. Scarseg

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giamo di munizioni, ma basteranno perquei selvaggi, che hanno tanta paura dellearmi da fuoco.

- Situazione poco brillante, padrone. - Manon disperata, Sciapal. Nascondiamoci frai cespugli e prepariamoci a sosteneregagliardamente l’attacco.

Il sole era tramontato dietro i grandialberi della foresta e le tenebre calavanorapidamente sopra il bacino,addensandosi sotto i rami fronzuti. Frapochi minuti l’oscuritŕ doveva esserecompleta in quel luogo, che era giŕ pocoilluminato anche in pieno giorno.

Alě, Sciapal, Narsinga e anche ilprigioniero, il quale pareva ormai devoto

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dopo la sua sottomissione e la suadichiarazione di essere schiavo dei suoinuovi padroni, sparsisi sulle rivedell’isolotto, non perdevano di vista imargini della foresta, aspettandosi diminuto in minuto qualche sorpresa. Gliandamani non si mostravano, ma quando ilventicello notturno cessava dal farestormire le foglie degli alberi, si udivano.Parevano occupati a tagliare od astrappare dei rami, poiché agli orecchidegli assediati giungevano di quando inquando degli scricchiolěi e dei colpisecchi.

Dovevano essere le undici quandoSciapal udě, proprio dinanzi al macchionedei banani, come un tonfo. - Padrone -disse. - Qualcuno si č gettato in acqua.

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Alě che sorvegliava la riva opposta, fupronto ad accorrere con una pistola inpugno, deciso a mandare una palla nelcranio del nuotatore.

- Lo vedi? - chiese all’indiano.

- Vedo qualche cosa che galleggia pressola riva, ma non mi sembra una formaumana.

- č vero. La si direbbe piuttosto unapiccola zattera formata da pochi ramiintrecciati e da un ammasso di foglie.

— Con due foglie di banano rizzate a mo’di vela — aggiunse Sciapal. — Guarda: ilvento la spinge lentamente versol’isolotto.

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- Che vi sia un uomo nascosto?

- Non č possibile. La zattera č troppopiccola e troppo leggera, padrone.

Un altro tonfo si udě poco lontano edun’altra piccola zattera, fornita pure didue foglie di banano mantenute ritte daalcuni bastoncini, si vide galleggiare edirigersi verso l’isolotto.

Pochi istanti dopo una terza fu lanciata inacqua, quindi parecchie altre, formandouna dozzina di galleggianti.

- Cosa conterranno? - si chiedeva Alě, alcolmo della sorpresa. - Non riesco acomprendere cosa vogliano fare i selvaggicon quelle piccole zattere.

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- Kalari - disse Sciapal, rivolgendosi alprigioniero che era pure accorso.

- Comprendi qualche cosa, tu?

- No - rispose l’andamano, dopo qualcheistante di riflessione. - Sta’ in guardia,perň, poiché il capo č astuto assai e puňgiuocarti qualche brutta sorpresa. -Vedremo cosa vorranno fare con quellepiccole zattere - disse Alě, - Sono assaicurioso di saperlo.

Intanto i galleggianti, spinti dal venticellonotturno che agiva sulle foglie di banano,s’avvicinavano lentamente all’isolotto.Come Alě ed i suoi compagni avevanoosservato, erano formati da pochi ramiintrecciati e coperti da mucchi di foglie.

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Né dinanzi né di dietro si vedevanonuotare i nemici, era quindi naturale lacuriositŕ degli assedianti, i quAlě nonsapevano indovinare a cosa potesseroservire quelle piccole zattereassolutamente incapaci non solo direggere un uomo, ma nemmeno unascimmia.

Ben presto le due o tre prime si arenaronopresso l’isolotto, incastrandosi fra leradici degli alberi ed i rami dei cespugliche si curvavano sull’acqua. Sciapal edAlě, muniti di due randelli, scesero la rivaper vedere cosa contenessero, mal’indiano, che era stato piů lesto, ad untratto s’arrestň, esclamando con vocetremante:

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- Padrone… fermati!…

- Che cosa vedi? - chiese Alě,

Alcuni sibili lamentevoli partirono fra lefoglie che coprivano i galleggianti.

- Per Siva!… - esclamň Alě,impallidendo.

- Padrone, il sibilo dei naia neri!…

- E dei serpenti del minuto, Sciapal. -Fuggiamo o siamo perduti.

- Affondiamo le zattere.

- No, padrone, č troppo tardi… vengono.

L’indiano diceva il vero. I serpenti dal

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veleno mortale, vedendo dinanzi a lorol’isolotto, s’affrettavano ad abbandonare igalleggianti sui quali non dovevanotrovarsi a loro agio.

Fu con vero spavento che Alě vide queirettili agitare le foglie che li coprivano,poi sollevarle, quindi strisciarerapidamente, su per la sponda,cacciandosi fra i cespugli.

Vi erano dei naia neri chiamati anchecobra-capelli, serpenti terribili poichéuccidono l’uomo piů robusto in meno d’unquarto d’ora e dei minute-snoke o serpentidel minuto, cosě chiamati perché uccidonoin poco piů di sessanta secondi.

Sciapal ed Alě, atterriti, si erano ritirati

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precipitosamente, non sentendosi l’animodi contrastare il passo a quei nuovinemici.

- In acqua, Sciapal - disse Alě, prendendofra le braccia Narsinga.

- Ci faremo uccidere, padrone o cadremofra le sabbie mobili.

- Ma i rettili stanno per invaderel’isolotto.

- Rifugiamoci sugli alberi. Lassů saremosicuri.

- č vero: non perdiamo un istante.

In mezzo all’isolotto si rizzava un grossodammar fornito di numerosi rami, i quali,

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essendo disposti in cerchio, potevanooffrire un rifugio abbastanza comodo. Alěalzň Narsinga, poi quando la vide issarsifra i rami, s’affrettň ad arrampicarsi sultronco, seguito da Sciapal edall’andamano.

In pochi secondi si trovarono tutti in alto,in salvo dai morsi mortali dellaformidabile banda dei rettili.

Le altre zattere erano pure giunte pressol’isolotto ed altri serpenti salivano lesponde emettendo sibili lamentevoli o deifischi acuti. Si vedevano contorcersi,passare gli uni addosso agli altri, poistrisciare sotto i folti cespugli di quelbrano di terra.

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Ve ne dovevano essere almeno cento e divarie specie, poiché Sciapal aveva pureudito i sibili dei serpenti gulabi, dei boa edi altri ancora.

- Fischiate fin che volete, non vilasceremo di certo salire fin qui - disseAlě, che si tergeva il freddo sudore chebagnavagli la fronte. - Mia piccolaNarsinga, siamo sfuggiti a un tremendopericolo. Furfante di capo!… Chi puňavergli suggerito un’idea cosě atroce?…Se non vi fossero stati questi alberiprotettori, ci avrebbe costretti a sloggiarepiů che presto.

- Ed ora ci tiene piů prigionieri di prima,padrone - rispose Narsinga. - Comefaremo a lasciare l’isolotto, ora che č

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pieno di serpenti?

- Come?… Non lo so davvero e temo chetu abbia ragione. Diavolo! La nostrasituazione peggiora di minuto in minuto ecomincio a temere che quei dannatiselvaggi finiscano col prenderci.

- Non lo credo, padrone - disse Sciapal.

- E perché? Hai qualche progetto?

- No, ma credo invece che il capo,disperando di poterci costringere afabbricargli la casa galleggiante, ci abbiacondannati ad una morte spaventosa.

- A morire di fame?

- O morsicati dai serpenti.

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Alě provň un brivido e si sentěaccapponare la pelle.

- E vero, Sciapal - mormorň. - Nonardirebbe venire su quest’isolotto perprenderci, ora che č pieno di rettili. Madove avranno trovato tanti serpenti?

- Nei boschi, padrone.

- Che il capo sia un incantatore diserpenti?

- Puň esserlo diventato durante il suosoggiorno nel Bengala.

- Allora potrebbe anche richiamarli a sé.

- Sě, se questo lembo di terra non fosse unisolotto. Tu sai che i serpenti amano

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l’umiditŕ talvolta, ma non l’acqua, almenoi cobra, quelli del minuto ed i gulabi.

- Lo so, Sciapal.

- Come vedi, siamo perduti, se nontroviamo un mezzo per evadere. Sotto dinoi i serpenti ed attorno a noi le sabbiemobili.

- E non possiamo contare su nessuno!…

- Forse su qualcuno - disse in quell’istanteNarsinga.

- Su chi? - chiese Alě, che ebbe un lampodi speranza.

- Hai dimenticato il pariah e tuo fratello?-Edoardo!…

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- Sě, padrone.

- Magra speranza, Narsinga. Chissŕ dovel’uragano avrŕ trascinati quei valorosi.

- Dovevano sbarcare qui e forse aquest’ora ti cercano.

- Siamo lontani dalla costa e prigionieri.

- Ma uno č libero, padrone - disseSciapal. Echi? - Il nostro bravo Pandu e tusai quanto sia intelligente quell’animale.

- č vero! Ah!… Se li avesse trovati!Chissŕ! Speriamo in lui, amici!

ASSEDIATI SULL’ALBERO

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Quando l’alba sorse, gli assediati, chedurante l’intera notte si erano tenuti inguardia, temendo qualche altra diabolicasorpresa da parte degli andamani,s’accorsero con quali nemici formidabiliavevano da fare. L’isolotto pullulava diorribili rettili e quasi tutti di naturavelenosissima. Si vedevano contorcersidei naia neri lunghi quasi due metri, collatesta semicoperta da una specie dicappuccio di forma ellittica, su cuispiccavano due strani occhiali giallastri;dei serpenti del minuto, i piů piccoli ditutti poiché non superano i quindicicentimetri di lunghezza, ed anche i piůesili, avendo una circonferenza di tre oquattro millimetri, ma i piů velenosi di

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tutti i rettili conosciuti; dei gulabi, i piůbelli della specie, essendo color rosa-pallido picchiettati di rosso vivissimo, mapure assai pericolosi; dei cobra-manillalunghi un piede e colla pelle d’un azzurrobrillante e perfino alcuni boa lunghi tremetri, d’un bel color verde-azzurroguolo,segnati da anelli irregolari e da bellissimestriature, per cui furono anche chiamatipitoni tigrati.

Erano almeno cinque dozzine e parevanotutti furiosi di trovarsi in cosě numerosacompagnia, su quel piccolo lembo diterra. Scendevano e strisciavano lungo lerive, cercando di trovare un passaggio,poi tornavano in mezzo ai cespugli etrovandosi ancora in cosě gran numero, siazzuffavano fra di loro, mordendosi

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ferocemente.

Gli andamani erano tutti accorsi sullesponde dello stagno, per vedere se gliassediati erano ancora vivi o se si eranodecisi a gettarsi in acqua. Erano unaquarantina armati di archi, di lance collepunte di osso e di alcuni arpioni. In mezzoa loro si distingueva il capo, il qualeaveva la testa fasciata da un pezzo di telafabbricata con corteccia battuta e poifilata alla meglio. Vedendo gli assediatirifugiati sull’albero in compagnia del lorocompatriota, parvero impazzire dallacollera. Urlavano come ossessi, sidimenavano ed agitavanominacciosamente le armi.

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Alcune frecce furono scagliate, mal’isolotto era troppo lontano e nongiunsero a destinazione.

- Se le mie pistole avessero una portatamaggiore, vedreste come farei scoppiarela testa al vostro capo - mormorň Alě, -Se avessi almeno salvata una buonacarabina, a quest’ora non vi vedreidinanzi a me, ad urlare ed a minacciare.Sfogata la loro collera, il capo si feceinnanzi, spingendosi con precauzionenella palude e parve che volesse parlare.

- Cosa vuoi ? - chiese Alě,

- Che gli uomini del Bengala mi ascoltino- rispose l’andamano.

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- Parla, canaglia.

- Io posso ancora salvarvi.

- L’isolotto č pieno di serpenti.

- Li uccideremo o li farň ritornare.

- Sei uno stregone, tu?

- Gli uomini del Bengala odano le paroledi Mangabo.

- Ti ascolto, signor Mangabo.

- Volete costruirmi la casa galleggiante?

- E poi?…

- Io vi libererň, ma bisogna che prima tu

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mi ceda le armi che mandano fuoco.

- Per poi ammazzarci, signor Mangabo!…

- Non ho detto questo.

- Ma lo leggo nei tuoi occhi, furfante.

- Mi hai udito?

- Si, ma ti rispondo che le mie armi leterrň io, per impedirti di uccidermiappena ci avrai nelle tue mani.

- Allora morrai!

- Lo vedremo.

- Non puoi scendere dall’albero.

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- E tu non puoi venire sull’isolotto.

- Ma la fame ti costringerŕ a scendere.

- Scenderň, signor Mangabo. - Ma vi sonoi serpenti.

- Ma le mie armi uccidono i serpenti.

— E noi saremo pronti a cacciarti nellesabbie mobili.

- Provati e vedrai che le mie pistoleuccideranno te ed i tuoi uomini.

Il capo emise un urlo di rabbia e si ritirňsulla riva facendo un gesto di minaccia,mentre i suoi sudditi si disperdevano tuttiintorno alla palude per impedire agliassediati di fuggire, precauzione inutile

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del resto, poiché Alě ed i suoi compagnisi trovavano nell’impossibilitŕ diabbandonare l’albero protettore, almenopel momento.

Il capitano e Sciapal, dopo il cattivo esitodi quel colloquio, si erano messiseriamente a pensare per cercare unmezzo qualunque che permettesse loro disfuggire al pericolo o di morire di fame odi veleno, ma invano si torturavano ilcervello.

In quanto alla resa non vi pensavano,sapendo ormai che il capo ardeva daldesiderio di far pagare loro cara lagherminella e anche i due pugni. Eranoormai convinti che tutte le sue promessealtro non fossero che un tranello per

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averli nelle sue mani.

E nondimeno era necessario che in unmodo o nell’altro abbandonasseroquell’isolotto, che era diventato una veratrappola. I viveri non avrebbero tardato amancare e la fame non era un supplizio dapotersi sopportare parecchi giorni diseguito.

Alě si era provato ad uccidere alcuniserpenti, i pitoni specialmente, chepotevano, spinti dalla fame, saliresull’albero, ma ben presto s’accorse chele sue munizioni non sarebbero bastate epoi ci teneva molto alle sue ultime caricheper respingere gli andamani, nel caso chesi fossero decisi ad assalirli. Si provňanche ad abbattere un bozzagro nel

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momento in cui passava sopra l’albero,ma il volatile cadde fra i serpenti, i qualise lo disputarono ferocemente e le magreprovviste degli assediati nonaumentarono, anzi scemarono dopo lacolazione, quantunque Alě avessedispensato ai suoi compagni delle razioniinfinitamente piccole.

Avevano perň la fortuna di potersidissetare a loro piacimento, poichéspingendosi un ramo dell’albero sopra lapalude, con un cono formato di foglie eappeso alla corda che serviva a Sciapaldi cintura, potevano attingere quantaacqua volevano.

Nessun avvenimento accadde durantequella prima giornata d’assedio.

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Solamente una banda di scimmie vauvauvenne a distrarre un po’ Alě ed i suoicompagni, coi suoi esercizi ginnastici,colle sue smorfie e colle sue grida acute.Era una truppa composta di quindici oventi individui, che si era installata sullecime di un macchione di alberi altissimi.Quei quadrumani avevano il pelame d’unabella tinta azzurrognola, la testa

piů larga che alta, la faccia nuda maadorna d’una folta barba e le braccia cosělunghe che stando col corpo ritto, colledita si toccavano il malleolo dei piedi.

Dotate d’una agilitŕ prodigiosa,eseguivano degli esercizi straordinarisenza preoccuparsi, a quanto pareva, delleleggi della gravita, slanciandosi da un

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ramo all’altro come se fossero fornited’ali,

Vedendo perň che gli andamani cercavanodi avvicinarle per abbatterle a colpi difreccia, non tardarono a fuggire in mezzoai boschi piů fitti. Anche una piccolatruppa di lar, altre scimmie che sonomolto comuni in quelle isole, alte quasi unmetro, col pelame nero come il carbone,ma segnato d’una striscia bianca sullafronte, venne verso il tramonto a far udirele sue grida di uluk, uluk; ma anche queiquadrumani non tardarono a fuggire,appena s’accorsero della presenza degliandamani.

- Lŕ tanta selvaggina e qui tanta penuria -disse Alě, con tristezza. - Come finirŕ

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quest’assedio? E non possiamo contare sunessuno, nemmeno su Pandu che forse čstato ucciso dai selvaggi o divorato daqualche tigre affamata. Sciapal, intanto,colla sua corda aveva riunito alcuni rami,preparando alla meglio un’amaca perNarsinga, temendo che la piccina, vintadal sonno, precipitasse fra i serpenti; poisi era accomodata fra le biforcazioni deirami per riposarsi qualche po’.

Alě e Sciapal non osavano perň dormire,temendo che gli andamani approfittasserodelle tenebre per tentare qualche sorpresa.

I loro timori non erano infondati, poichéverso la mezzanotte la loro attenzione fuattirata da un tonfo sordo, come sequalche massa enorme fosse precipitata in

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acqua.

- Hai udito, padrone? - chiese Sciapal.

- Sě - rispose Alě,

- Che sia stato qualche coccodrillo?

- Non avrebbe prodotto un simile fragoree poi non ne abbiamo veduti in questapalude. Odi l’onda che s’infrangesull’isolotto?

- Sě, padrone.

- Deve essere stato gettato in acquaqualche cosa di ben pesante e di moltovolume per produrre quella ondulazione.

- Qualche barca?

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- O qualche zattera? Mi pare di scorgereuna massa nera galleggiare presso la rivadella palude.

- č vero, padrone, e vedo delle ombreagitarsi sopra di essa.

- Prepariamoci a riceverle, Sciapal.

- Non ardiranno sbarcare.

- Ma si avvicineranno a tiro di freccia e cisaetteranno. - Passiamo dietro al tronco.

- Presto, sveglia Narsinga ed ilprigioniero.

Intanto il galleggiante, che era una zatteradi dimensioni non piccole, s’avvicinavalentamente ed in silenzio all’isolotto.

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Quantunque l’oscuritŕ fosse assaiprofonda sopra la palude, si scorgevanoquindici o venti uomini muniti di lunghibastoni, dei quali si servivano perspingere innanzi quell’ammasso ditronchi. Alě, Sciapal, Narsinga ed ilprigioniero si erano nascosti dietro altronco dell’albero a diverse altezze,mantenendosi a cavalcioni dei rami.

- S ciapal - disse il capitano all’indianoche gli stava sopra. - Incaricati dellemunizioni e spicciati a caricare le armi.Finché abbiamo polvere e palle, quellecanaglie non oseranno avvicinarsi.

- Sono pronto, padrone.

In quell’istante un sibilo lamentevole si

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udě fra le tenebre ed un dardo lungomezzo metro passň a pochi pollici daltronco dell’albero, un po’ sopra l’indiano,piantandosi in un ramo.

- Ci sono a tiro, - disse Alě; - ma se levostre frecce giungono fino a noi, anche lemie palle possono toccarvi.

Si curvň da un lato e scorgendo la zatteraferma a soli trenta passi dall’isolotto, teserapidamente la destra armata di pistola,mirň alcuni istanti, poi fece fuoco. Ladetonazione fu subito seguita da urlafuriose che s’alzarono sulla zattera e sullerive della palude, mentre i serpenti,spaventati da quel lampo, si svegliavanofacendo udire un concerto di sibili.

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- Colpito padrone? - chiese Sciapal,ricaricando prontamente la pistola cheAlě gli aveva data.

- Lo spero - rispose il capitano. - Attentialle frecce!…

Una volata di dardi giungeva fischiandofra i rami, piantandosi nel troncodell’albero. Alě scaricň la secondapistola.

Questa volta udě distintamente un urlo didolore, l’urlo d’un uomo colpito a morte.

- Toccato, Sciapal - gridň.

- IL capo forse?…

- Non l’ho veduto sulla zattera.

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- Il poltrone!

- A me la pistola carica.

- Continui, padrone?

- Ancora, Sciapal.

Una terza detonazione rimbombň destandogli echi della foresta, seguita da un altrourlo.

- Il piombo morde! - esclamň l’indiano,raggiante. - Se puoi… Ah! Cane!…Padrone! Aiuto!…

Alě sorpreso e spaventato da quelle grida,alzň il capo e vide il prigioniero che erapiombato addosso all’indiano serrandoglile dita attorno al collo, e facendo sforzi

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disperati per precipitarlo dal ramo.

- Ah! Traditore! - tuonň.

Sciapal, aggrappato strettamente al ramoche lo sorreggeva, non era in caso didifendersi per tema di piombare fra iserpenti. Resisteva colla forza delladisperazione, ma il selvaggio spingevasempre e minacciava di strangolarlo. Adun tratto si udě un colpo secco, come uncolpo di bastone avventato sul cranio d’unuomo. L’andamano emise un vero ruggitoed allentň la stretta. Quel colpo era statovibrato da Narsinga. La brava piccina,che si trovava piů alta di tutti, vedendosotto di sé l’assalitore, aveva strappato unramo secco e se n’era servitapercuotendo, con quanta forza aveva, il

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cranio del prigioniero. Sciapal, cheteneva fra i denti la pistola del capitanoche aveva appena caricata, sentendosilibero, impugnň colla sinistra l’arma.

L’andamano, intontito dalla legnata, si erapresto rimesso e stava per piombarglinuovamente addosso, balzando sul ramocome una scimmia, ma ricevette la scaricain pieno petto. Quantunque mortalmenteferito, cercň di tenersi stretto all’albero,ma Alě, furioso, si era alzato e afferratoloper una gamba lo strappň giů,precipitandolo fra i serpenti.

- Grazie, Narsinga - disse Sciapal,respirando a pieni polmoni.

- Le pistole! - urlň il capitano. - Presto,

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Sciapal, o quei furfanti sbarcheranno.

- Un momento solo, padrone.

La zattera si avanzava verso l’isolotto, masenza fretta.

Gli uomini che la montavano continuavanoa scagliare frecce ma senza successo,poiché il tronco dell’albero, che eragrosso, bastava a nascondere gli assediati.Alě riprese il fuoco, cercando diabbattere i selvaggi che meglio scorgeva,ma l’oscuritŕ non gli permetteva di mirarecon precisione. Tuttavia al sesto colpo, unaltro urlo lo avvertě che un altro nemicoera caduto.

- E tre - diss’egli.

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- No, quattro - corresse Sciapal. - Ancheil prigioniero non č piů nel numero deiviventi.

- Si decidono ad andarsene?

- Non ancora, padrone.

- Ecco un altro che si mostra! Prendi! Va’a casa del diavolo!

Un altro selvaggio cadde ferito o morto,ma la zattera non indietreggiň, ma nonvenne nemmeno innanzi. Gli andamanicominciavano ad avere paura di quellearmi, a quanto pareva.

Le frecce continuavano nondimeno afischiare attorno all’albero, impedendoagli assediati di abbandonare il tronco

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protettore. Talvolta anche qualche lanciapassava fra i rami sfrondandoli.

- Prendete! - urlava Alě, continuando ascaricare le armi.

- Accoppane un altro, padrone - dicevaSciapal, che gli porgeva le armi cari, che.

- Come stiamo a munizioni? - chiese ad untratto il capitano.

— Abbiamo quattro colpi soli.

- E non si decidono ad andarsene!Prendete, canaglie!

E sparň due altri colpi, ma senza frutto.Vedendo quel cattivo esito, si sentěbagnare la fronte da un freddo sudore. -

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Sciapal!…

— Padrone!…

- Stiamo per venire presi o uccisi.

- Ecco i due ultimi colpi.

- E poi?

- Ho la scure.

— Non servirŕ contro le frecce.

- A te le pistole.

- Esito a bruciare la cariche, Sciapal.

I selvaggi mi sembrano spaventati. Non siavanzano piů.

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- Ma non fuggono. Vada un colpo ancora!

Si spinse innanzi piů che potč,mantenendo perň il corpo riparato dietroal

tronco e guardň. Un selvaggio si agitavasull’orlo della zattera, preparandosi a

scagliare la lancia.

Lo mirň per qualche istante e bruciň la suapenultima carica.

L’assalitore si accasciň su se stesso, poicadde nella palude, scomparendo sotto

le nere acque.

- A te l’ultima palla - disse Sciapal.

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Alě tremň nell’impugnare la pistola chel’indiano gli porgeva. L’aveva puntata duevolte e due volte si era trattenuto. Stavaper allungare il braccio per la terza volta,quando udě un sonoro latrato echeggiarein mezzo ai boschi.

Una pazza speranza gli balenň nelcervello.

- Sciapal! č Pandu! - gridň.

Un secondo latrato echeggiň, piů acuto delprimo. Sciapal mandň un urlo di gioia.

- Sě, Pandu! Pandu! - gridň.

- Ed odo delle grida - disse Narsinga.

— Dove? - chiese Alě,

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— In mezzo ai boschi.

- Vada allora l’ultima palla!…

Ed abbattč un altro selvaggio chestrepitava in mezzo alla zattera.

L’ARENAMENTO DEL PARIAH

Avanti che questi ultimi avvenimentiaccadessero sulle spiagge della PiccolaAndamana, il pariah montato da Edoardo,da Oliviero e dal vecchio Harry, in predaalle fiamme e ormai privo del timone,veniva travolto dalla tempesta. Lasituazione del disgraziato veliero potevaben chiamarsi disperata. Privo di vele,senza l’albero maestro, col trinchetto

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ancora fiammeggiante, senza direzionealcuna, dopo il colpo di scure deltraditore che aveva scardinato il timone,si poteva considerare come un rottame inbalěa delle onde ed in procinto disfasciarsi, poiché il forte vento lospingeva contro le scogliere meridionalidell’isola.

Harry, Oliviero ed Edoardo, ancorasorpresi da quell’improvviso colpo discena e dalla scomparsa di Garrovi,precipitatosi fra le onde spumanti assiemea quella fanciulla, non si erano subitoaccorti della gravitŕ di quel colpo discure.

Fu un vero urlo di disperazione quello cheirruppe dai loro petti, nello scorgere la

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ribolla spaccata ed il timone galleggiantesulla cresta di un’onda.

- Siamo perduti! - esclamň Harry,strappandosi una ciocca di capelli. - Ilmiserabile ci ha rovinati!

- Che i pescicani inghiottiscano quel canedi Garrovi! — urlň Edoardo.

- Harry, vecchio mio - disse Oliviero, chepareva avesse prontamente riacquistato ilsuo sangue freddo. - La costa č lŕ, a menodi tre miglia: raggiungiamola.

- Ma le onde infrangeranno la nave,signore - rispose Harry.

- Noi perň salveremo la nostra vita.

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- Temo il contrario, signore. Questo mareci spazzerŕ via tutti, assieme ai rottami.

- Tentiamo la sorte.

- No! Vi č ancora una speranza.

- Quale, Harry?

- Silenzio, signore.

Poi, rizzandosi sul cassero, tuonň:

- Quattro uomini al trinchetto: tagliatelo egettatelo in mare. Sei uomini a poppa conun pennone ed alcune tavole! SignorOliviero, datemi delle funi! Mentre alcuniindiani assalivano l’albero che ancorafiammeggiava, cercando di farlo cadere,altri portarono a poppa un pennone che

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era sfuggito all’incendio ed alcune tavolestrappate alla murata di babordo.

- Che cosa vuoi fare, Harry? - chieseOliviero, porgendogli delle funi.

- Surrogare il timone spezzato da Garrovi- rispose il marinaio.

- In qual modo? - Lo vedrete.

Afferrň le tavole e le legň all’estremitŕdel pennone, poi, avendo chiesto deichiodi, le saldň le une colle altre,formando una specie di pala, ma cherassomigliava, bene o male, ad un remo.Ciň fatto immerse il pennone a poppa,legando l’estremitŕ opposta al cardinesuperiore del timone. — Vi sono dei

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rottami a prua? - chiese.

- Sě - risposero gl’indiani.

- Alzate un alberetto e spiegate una veladi ricambio.

Mentre l’equipaggio s’affrettava adobbedirlo colla massima rapiditŕ, l’alberodi trinchetto, tagliato alla base, cadeva ababordo, tuffando l’estremitŕ in mare efracassando parte della murata.

I pennoni, le vele ed i cordami che ancorafiammeggiavano, si spensero bruscamente,evitando in tal modo che l’incendio siestendesse e permettendo all’equipaggiodi manovrare liberamente.

Una vela di ricambio, spiegata sul

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castello di prua, sopra due pennonimantenuti ritti lungo le murate esolidamente legati, giŕ si gonfiava sotto ifuriosi colpi di vento. Harry fece agire ilsuo lungo remo e vide che la naveobbediva.

- La prora a terra, - diss’egli - econfidiamo in Dio!

La spiaggia non era lontana piů di tremiglia, ma in quel luogo non offrivaapprodi. Non vi erano né seni, né cale, néaperture dove si potesse trovare un rifugiocontro le onde incalzanti. Scendeva ripidacome una muraglia e per di piů, dinanzi aessa, s’estendevano delle lunghe file discogliere e di banchi, segnalate dalrimbalzare furioso dei flutti.

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- Dove approderemo, Harry? - chieseOliviero.

- Non lo so ancora, signore - rispose ilvecchio. - Questa oscuritŕ m’impedisce didistinguere la costa.

- Sei certo che sia la Piccola Andamana,quella che ci sta dinanzi?

- Non m’inganno.

- Credi che sia possibile tenere il marefino all’alba?

- Temo che il mio timone si spezzi e chel’uragano ci trascini lontani.

- Allora bisogna cercare un rifugio.

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- Sě, signor Oliviero.

- E Garrovi, dove sarŕ andato?

- Che le onde stritolino quella canaglia!

- Ma quella fanciulla? Forse non haveruna colpa.

- Lo credete? Ed io invece credo che siastata quella briccona a guastarcil’alberatura.

- Lei, cosě piccina!

- Garrovi non lasciava la sua cabina,signor Oliviero; di questo sono certo.

- Ma come si trovava a bordo quellafanciulla? — Non lo so.

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- Vorrei spiegare questo mistero.

- Temo che non lo spiegheremo mai. Čimpossibile che Garrovi abbia potutoraggiungere la spiaggia, conquest’uragano. Si sarŕ affogato con quellabriccona di sua figlia. Ohe!… Scoglieredinanzi a noi?

- Sě - gridň Edoardo, che si trovava aprua.

- Corna di bisonte!… Vi č un passaggio?

- Sě - risposero gl’indiani.

- Mi pare di vederlo - rispose il vecchiomarinaio.

- Non possiamo girarlo al largo? - chiese

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Oliviero.

- č impossibile, signore. L’uragano cispinge innanzi e la vela non č sufficienteper virare di bordo.

Urteremo?

- Lo sapremo piů tardi: tentiamo la sorte.

Dinanzi al pariah, a tre o quattrocentometri, si vedeva una lunga fila di scogli,la quale, staccandosi dalla spiaggia, siestendeva verso l’ovest per parecchiemiglia, a quanto pareva.

Il vento impetuosissimo e le ondespingevano la nave appunto verso quellescogliere. Fortunatamente quella lineapareva interrotta da un largo canale, entro

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cui si precipitavano, muggendo, i marosi.

Harry, quantunque, non ignorasse ilpericolo che stava per affrontare, nonpotendo conoscere la profonditŕ di quelcanale, né sapere se era sgombro dibanchi, lanciň risolutamente il pariahdiritto quel passo. - Fermi in gambe! -gridň.

Il pariah, travolto dalle onde, si cacciň nelcanale colla velocitŕ d’un cavallo lanciatoventre a terra, ma d’improvviso avvenneun cozzo violento e s’arrestň di colpo,sbandandosi sul tribordo.

Le onde che lo seguivano a poppa,trovandosi improvvisamente dinanziquell’ostacolo, varcarono le murate

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spazzando la coperta ed atterrando gliuomini che ancora si mantenevano inpiedi.

- Corna di bisonte! - urlň Harry,risollevandosi lestamente. - Siamoarenati!… Maledizione su Garrovi!…

L’intero equipaggio, spaventato, si eraprecipitato verso poppa, urlando come segiŕ stesse per venire inghiottito dalleonde.

- Tacete, banda di corvi! - urlň Harry.Affondiamo!…

- č la vostra testa che affonda! - tuonň ilvecchio. - Non vedete che la nave čimmobile?… Signor Oliviero, signor

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Edoardo!…

- Eccoci - risposero il tenente ed ilgiovane angloindiano, accorrendo.

— Siete salvi?… Allora non vi č alcunmale.

- Resiste il pariah? - chiese Oliviero.

- Si č incagliato cosě bene, che non simuoverŕ per un bel pezzo e forse piů mai.

- č perduto?

- Non potrei dirlo ora, ma temo che lacosa sia molto grave.

- Non possiamo tentar nulla?

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- Assolutamente nulla, ma non corriamoalcun pericolo, quantunque il mare siamolto cattivo. Le scogliere che siestendono a babordo ed a tribordo, ciproteggono i fianchi ed il pariah non verrŕdemolito.

- Ma se non potremo piů disincagliarlo,come ritorneremo al Bengala, Harry? - Losi vedrŕ piů tardi. Andiamo a vedere se sipuň scorgere il banco.

Il vecchio marinaio, seguito da Oliviero,da Edoardo e dall’equipaggio, il qualeormai cominciava a rassicurarsi, vedendoche il legno non si muoveva e che nonaccennava a spaccarsi, si recň a prora,malgrado le onde che irrompevanocontinuamente in coperta.

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Harry non si era ingannato. Proprio inmezzo al canale si estendeva un banco digrandi dimensioni, ma che le tenebre nonavevano prima permesso di scorgere. Ilpariah, spinto innanzi dal vento e dalleonde, l’aveva risalito per qualche tratto,sprofondando la chiglia nelle sabbie, poi,perduto l’equilibrio, si era rovesciato sulbabordo, appoggiando il fianco contro unagrande roccia. Non vi era pericolo cheaffondasse, ma le onde, sollevandolo dapoppa, lo facevano trabalzare e vi era datemere che la chiglia si spezzasse. Siudivano il paramezzale, i corbetti ed ipuntali della stiva scricchiolarelungamente, ogni volta che la poppaveniva spostata.

- Speriamo - disse Harry, crollando perň

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la testa. - Mi pare che la nave sia solida eforse non si spezzerŕ la spina dorsale.Bisognerebbe che questo tempaccio sicalmasse presto.

- Quale disgrazia! - esclamň Edoardo. -Naufragare qui, mentre forse mio fratelloč vicino!

- Lo cercheremo egualmente - disseOliviero. - Appena potremo prendereterra, ci metteremo in marcia.

- Ma il pariah?.

- Cercheremo di disincagliarlo, signorEdoardo - disse Harry. - Quando il maretornerŕ tranquillo, visiterň il banco.

- Ma se non si potesse toglierlo da queste

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sabbie?

- Ho fatto imbarcare alcuni carpentieri emi aiuteranno a costruire un piccolo legnocoi rottami del pariah. Mentre voicercherete Alě, noi lavoreremo. Abbiamodei viveri per quattro mesi, delle armi perdifenderci contro i selvaggi e nessuno hafretta di ritornare.

- č vero - disse Oliviero. - Speriamodomani di poter sbarcare e di cominciarele nostre ricerche.

Fu una speranza vana, poiché il mare simantenne cosě cattivo, da rendereimpossibile uno sbarco non solo, ma fuanche impossibile farsi un’idea dellasituazione del pariah, poiché le ondate si

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mantennero costantemente altissime fraquelle scogliere.

Fortunatamente la nave resisteva sempre,essendosi solidamente arenata sul bancoed appoggiata contro la rupe. Furono perňore di continua angoscia per tutti, temendosempre un imminente disastro.

Verso sera il tempo si rischiarň, ma dopole otto il ventaccio, che soffiava ora dalsud, ricominciň a imperversare conestrema violenza, risollevando il mareburrascosamente.

Nessuno osň dormire, per tema che lanave si spostasse e si fracassasse controle vicine scogliere.

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Verso la mezzanotte, Harry credette diudire dei latrati echeggiare verso la costa.

- Udite? - chiese ad Oliviero e adEdoardo che gli tenevano compagnia.

Il tenente ed il giovane angloindianotesero gli orecchi e fra i muggiti delleonde ed i fischi del vento, udirono infattidei latrati. - Vi č un cane sulla spiaggia -disse Oliviero.

- Che vi sia qualche tribů di selvaggi? -chiese Edoardo.

- Ma no - disse il marinaio, che parevaassai sorpreso. - Non ho mai saputo chesu queste isole vi siano dei cani, anzicredo che gli andamani non sappiano che

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animAlě siano.

- Che sia il cane di qualche naufrago?

- Forse, signor Oliviero.

- io giurerei, signor Oliviero, di averudito altre volte questi latrati - disseEdoardo, che aveva ascoltato con vivaattenzione.

- Dove?

- A bordo della Djumna.

- Possibile!… Aveva un cane vostrofratello?

- Sě, un grosso cane nero, assaiintelligente, che si chiamava Pandu.

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- Che la nostra buona stella ci abbia spinticosě vicini a vostro fratello?

- Non oso sperare tanta fortuna - risposeEdoardo, con voce commossa.

- Ascoltate attentamente.

Edoardo si spinse sul bompressotendendo gli orecchi, ma le urla del canenon giungevano che confusamente, incausa dei crescenti muggiti delle ondesfasciantisi contro le scogliere, e deifischi del vento.

- Mi č impossibile sapere se sia proprioPandu - disse il giovanetto, ritornandopresso Oliviero. - Ah! Se potessi vederlo!… - Fra un’ora spunterŕ l’alba - disse

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Harry.

- Provate a chiamarlo - suggerě Oliviero.

Il giovanetto portň le mani alle labbra eformando una specie di portavoce,

lanciň due tuonanti chiamate: ,

- Pandu!… Pandu!…

Tre latrati, perfettamente distinti, virisposero.

Edoardo emise un grido.

- č Pandu! Signor Oliviero! Harry! Č ilcane di mio fratello!

- Harry, - disse il tenente; - credi che sia

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possibile lo sbarco?

- No, signor Oliviero. Con queste ondenon possiamo attraversare il canale;attendiamo l’alba.

- Cerca un mezzo, vecchio mio. Un’ora mipare lunga un secolo, in questo momento.

- Vi dico che č impossibile.

In quell’istante un latrato piů distinto, piůvicino, si alzň fra le onde.

- Pandu! Pandu! - gridň Edoardo.

- Il cane si č gettato in acqua - disseHarry. - Vedo una massa nera dibattersifra i marosi.

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Oliviero si volse verso gl’indiani, chestavano raggruppati dietro la murata dibabordo.

- Venti rupie a chi prende quel cane -disse.

Quella somma era rilevante per queipoveri marinai; tale da indurre anche imeno coraggiosi, a tentare la sorte perguadagnarla.

Tre malabari si fecero legare delle funisotto le ascelle e si precipitarono fra leonde, mentre i loro compagni tenevano leestremitŕ dei cavi. Il cane era ormaivisibile, essendovi molta spuma attorno alpariah e cominciando il cielo a tingersidei primi albori. Era un animale grosso,

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col pelame nero e s’avanzava latrando enuotando vigorosamente. Le onde lotravolgevano, lo subissavano, ma tosto lasua testa ricompariva e si rimetteva anuotare, cercando di avvicinarsi allanave. Edoardo, fuori di sé per la gioia, lochiamava coi piů dolci nomi,incoraggiandolo. Ormai non aveva piůalcun dubbio: era proprio Pandu, il canedi suo fratello. Come si trovava su quellacosta selvaggia? Era solo od il padrone loattendeva?

i Non importava di saperlo, pel momento.Se era ancora vivo, forse era vivo ancheAlě e questo bastava.

I tre malabari, che lottavano pureenergicamente contro i marosi che

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cercavano di sbatterli contro i fianchi delpariah, a poco a poco riuscirono adavvicinare il cane. Quello che si trovavapiů innanzi allungň un braccio e lo afferrňper collare.

- Issa! - gridň.

I marinai si misero a ritirare rapidamentela fune, innalzandolo. Il cane,comprendendo che lo si conduceva abordo, si lasciava trasportare senza fare ilmenomo movimento, forse per la tema diimbarazzare il suo salvatore.

Pochi istanti dopo il nuotatore toccava ilbordo. Pandu, appena si vide sulla murata,con un balzo repentino si liberň dellastretta e si precipitň addosso a Edoardo

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con tale furia, da rovesciarlo sul ponte.

II bravo animale lo abbracciava collezampe anteriori, lo lambiva e gettavalatrati festosi.

- Pandu! Mio bravo Pandu! - esclamňEdoardo, che piangeva di gioia. - Sei tuche mi rechi notizie di mio fratello?… čvivo?… E tu non puoi dirmelo, poveroanimale! Dimmi, Pandu, dov’č Alě?…

Il cane, udendo quel nome, gli sfuggědalle mani, balzň sul cassero e di lŕ,volgendo i l capo, verso la spiaggiadell’isola, emise tre sonori latrati.

- č lŕ Alě? - chiese Edoardo, che lo avevaseguito, e che additava la costa.

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Il cane che pareva avesse compresa ladomanda, addentň la giacca del giovanettoe si mise a indietreggiare verso poppa,trascinandolo con tutta la sua

forzza. Quando lo vide presso la murata,lo lasciň, poi balzando sul coronamento eguardando ancora la costa, lanciň trenuovi latrati. - Alě č lŕ! - gridň Edoardo,con voce singhiozzante. - Signor Oliviero,Harry,

Dio ci ha protetti! - Si - disse il tenente,con voce commossa. - Alě č laggiů e frapoco, mio povero amico, ve lorestituiremo. Il destino ci doveva questafortuna!

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LA PUNIZIONE DIGARROVI

Quando le tenebre si diradarono,Oliviero, Harry e Edoardo erano pronti arecarsi a terra per mettersi in cerca delcapitano della Djumna. Ormai Panduaveva date troppe prove, per noningannarsi sulla vicinanza di Alě,Essendosi l’uragano un po’ calmato,deliberarono prima di visitare il banco,per accertarsi se il pariah era ancora ingrado di riprendere il mare, o seconveniva farlo a pezzi e coi rottamiintraprendere la costruzione d’un piccololegno. Messa in acqua la grandescialuppa, il vecchio marinaio, seguito da

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Oliviero e dai carpentieri, si portň sulbanco che la bassa marea aveva lasciatoscoperto

in gran parte. ,

Bastň ad Harry un solo sguardň, peraccertarsi che l’arenamento era menograve di quanto aveva sospettato. Il pariahsi era scavato una specie di canale fra lesabbie ed allargandolo, potevasirimetterlo a galla, approfittando diqualche marea straordinaria.

Con qualche ancorotto a poppa e unosforzo coll’argano combinato coll’azionedelle vele, il disincagliamento potevadirsi assicurato.

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- Orsů, tutto va bene - disse Harry, adOliviero. - Mentre i nostri carpentieritaglieranno due nuovi alberi nelle forestedell’isola e li attrezzeranno colle gomenee colle vele di ricambio e costruiranno unnuovo timone, noi potremo metterci incerca di Alě Middel. Al nostro ritorno,penseremo a rimettere in acqua il pariah.

- Ti sembra che la chiglia non abbiasofferto? - chiese il tenente.

- No, ne sono certo. Queste navi sonocostruite con legnami a prova di scoglio.

Ritornarono a bordo per ultimare ipreparativi della spedizione. Si munironodi armi, di munizioni, di provviste esbarcarono sulla spiaggia accompagnati

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da Edoardo, dal cane e da sei marinai,scelti fra i piů robusti ed i piů coraggiosi.

- Lasciamo che ci guidi il cane - disseHarry.

Quel consiglio era inutile, poiché Panduaveva subito preso Edoardo per la giaccacercando di trascinarlo verso la spiaggiaoccidentale, che in quel luogo si ripiegavabruscamente.

- Ti comprendo, mio buon Pandu - disseEdoardo, accarezzandolo. - Non temere; tiseguiamo.

Il cane, vedendo che si dirigevano lungola spiaggia, si era messo a saltellaredinanzi a loro. Ora correva innanzi

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scodinzolando allegramente la grossacoda villosa ed abbaiando, ed ora tornavaverso il drappello, balzando intornoall’uno o all’altro, come per invitarli afare presto.

Harry, perň, non procedeva che adagio econ precauzione, non ignorando che gliabitanti delle Andamane sono tutt’altroche ospitali e che le loro selve sono ancheabitate da pericolose tigri e da grannumero di serpenti. Prima di avventurarsisui margini delle boscaglie, ascoltavaattentamente e non si rimetteva incammino se prima non era certo che lŕsotto regnava un silenzio quasi perfetto.

- La prudenza non č mai troppa - ripeteva.- Ora che stiamo per ritrovare Alě,

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cerchiamo di non perdere qualcuno di noi.

Quelle coste perň parevano disabitate,poiché non si scorgeva alcuna traccia diabitazioni recenti od antiche. Non sivedevano che stormi di pappagalli di tuttele tinte immaginabili e di pavoni selvaticie sulle piů alte cime degli alberi dellescimmie, dei gitemi, quadrumani moltovenerati dagli indiani, che vivono ingruppi, avendo un certo spirito di societŕe di congregazione, e che soventemuovono guerra alle altre scimmie perscacciarle dalle foreste meglio fornited’alberi fruttiferi.

A mezzogiorno, dopo d’aver percorso unadozzina di chilometri, aprendosifaticosamente il passo attraverso ad una

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massa non interrotta di ebani d’India, ditAlěpot, di borassi, di betel, di valeriaindica, di canne da zucchero selvatiche edi palme d’ogni specie, s’arrestavanosotto un tamarindo di dimensionicolossali, per prendere un po’ di riposo eper ripararsi dalla pioggia che non eraancora cessata.

I tamarindi, che sono comunissiminell’India, sono piuttosto rari nelle Andamane. Sono d’aspetto maestoso, forniti dirami immensi coperti da un fogliame fitto,che ripara perfettamente dai raggi delsole.

Hanno la corteccia grossa, bruna,screpolata; i fiori che mettono sonobianco-giallastri con striature rosse e

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spuntano all’estremitŕ dei rami ingruppetti di nove o dieci; le frutta, che,come si sa, sono acide e refrigeranti, sonousate largamente dagli indiani non comemedicinAlě, ma come condimento. Infattiadoperano la polpa per bagnarvi i pesci, ipolli ed altri cibi e l’adoperanospecialmente nel carri.

Mentre stavano allestendo la colazione,Harry che si era spinto verso la spiaggia,vide Pandu che stava fiutando delleconchiglie che si trovavano accumulatealla base di una roccia. Le voltava erivoltava col muso e colle zampe, poiabbaiava guardando Edoardo che si erasdraiato sotto il tamarindo, a fianco diOliviero.

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- Vediamo - disse il vecchio marinaio. -Pandu vuole segnalare qualche cosa.Balzň sulla sabbia, ma subito si arrestň,scorgendo, nettamente impresse, quattroorme umane: due appartenevano ad unuomo fornito di stivAlě e le altre ad unuomo scalzo.

- Signor Oliviero! Signor Edoardo! -gridň.

- Cos’hai, vecchio mio? - chiese iltenente, accorrendo.

- Credo di aver scoperto le tracce di Alě,

- Di mio fratello! - esclamň Edoardo.

- Credo, ma vi č una cosa chem’imbarazza.

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- E quale, Harry? - chiese Oliviero.

- Qui vi sono le tracce d’un uomo calzatoe d’uno senza scarpe. Il documento di Alě,non faceva cenno che sulla Djumna fosserimasto qualche marinaio.

- No, Harry.

- Che Alě abbia trovato un compagno?

- Garrovi perň non ha detto che sulla grabavesse lasciato qualche malabaro.

- Forse Alě si sarŕ unito a qualcheselvaggio.

- Ma quali prove avete, che quelle ormesiano state lasciate da mio fratello? chieseEdoardo.

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- Guardate queste conchiglie vuote, chePandu continua a fiutare. Io sono certo chesono state raccolte da vostro fratello.Affrettiamoci a fare colazione

e poi rimettiamoci in marcia, signori miei.Ormai non dubito piů che Alě sia sbarcatosu queste coste.

Mezz’ora dopo, quantunque la pioggiacontinuasse a cadere, si rimettevanoanimosamente in cammino, spronati dallasperanza di trovare in breve il capitanodella Djumna.

Pandu li precedeva sempre, costeggiandola spiaggia e con continui latrati, parevache li invitasse ad affrettarsi.

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Gli ostacoli perň, che crescevano dinumero ad ogni passo, essendo la spiaggiainterrotta da rocce che erano costretti asuperare con grande fatica, da profondespaccature che parevano letti d’antichitorrenti e da smisurate radici, rendevanola marcia assai lenta.

Di tratto in tratto perň, sui terrenisabbiosi, ritrovavano le tracce cheavevano prima scorte sulla spiaggia.Erano sempre le stesse: due piedi calzatie due nudi. Ciň li imbarazzava non poco,ignorando chi fosse quel compagno diAlě, Erano perň piů convinti che ilcapitano avesse incontrato qualcheselvaggio, piuttosto che avesse trovatoqualcuno dei suoi marinai.

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Verso sera, uno dei malabari, che si eraavanzato per tener compagnia a Pandu,s’arrestň bruscamente, esclamando:

- Una capanna dinanzi a noi.

— Preparate le armi - disse Harry.

Quasi nell’istesso istante il cane sislanciava verso la capanna, emettendo dei

sonori latrati.

- Che sia abitata da selvaggi? - chieseOliviero.

- Mi sembra mezza diroccata - disseHarry. - Procediamo tuttavia conprudenza. S’avanzarono coi fucili pronti afar fuoco, ma s’accorsero subito che

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quell’abitazione, costruita sul marginedella foresta, era vuota, poiché Pandu vientrava ed usciva liberamente. Parevaperň che il cane fosse in preda ad unaviva agitazione, poiché balzava attornoall’abituro come un pazzo, lanciava deiguaiti lamentevoli e volgeva il capo oraverso il mare ed ora verso la foresta.

- Che cos’ha Pandu? - chiese Harry. —Che abbia perduto le tracce?

- Pandu! Mio buon Pandu! - gridňEdoardo.

Il cane, invece di accorrere, fece udire unurlo che aveva qualche cosa di lugubre.

- Brutto segno - mormorň il vecchio

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marinaio, scuotendo il capo. - Che siaaccaduta qualche disgrazia?

- Andiamo a vedere - disse Oliviero.

Quella capanna pareva che fosse statacostruita di recente, poiché le foglie chela coprivano erano ancora fresche. Unaparete, composta di fronde e di rami, erastata sfondata, come se avesse cedutosotto un uno violento e anche il tettopareva in procinto di cadere.

Tutto all’intorno si vedevano erbecalpestate, cespugli spezzati e strappati,come se fosse avvenuta una lotta violenta.

L’interno della capanna era vuoto. Vi sitrovavano solamente delle mandorle di

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whowah, disperse qua e lŕ negli angoli epochi gusci di conchiglie.

- Ma qui deve essere avvenuta qualchelotta - disse Harry. - Vedo all’intornonumerose orme di piedi nudi.

- Che mio fratello sia stato assalito daiselvaggi? - chiese Edoardo, impalli’dendo.

- Non lo so, signore.

- Cerchiamo nei dintorni - disse Oliviero.

Si misero a frugare i cespugli vicini e lealte erbe, e poco dopo un malabaroscopriva una freccia colla punta formatada una scheggia d’osso.

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- Qui sono venuti dei selvaggi - disseHarry, aggrottando la fronte. - Ciň čgrave.

- Mio povero Alě! - esclamň Edoardo. -Forse me l’hanno ucciso!

- Gli andamani sono cattivi, ma nonuccidono gli uomini bianchi - disse ilmarinaio. - Alcuni viaggiatori, č vero,hanno detto che sono antropofaghi; ma ionon lo credo. Forse lo avranno fattoprigioniero, ma senza fargli male.

- Ma siamo certi che Alě si sia quiarrestato? - chiese Oliviero.

- Pandu ci ha guidati qui, signore e qui sič arrestato.

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- Ma che cosa faranno di mio fratello? -chiese Edoardo.

- Non lo so, - disse Harry, - ma se lohanno fatto prigioniero noi lo libereremo,ve lo assicuro. Nove fucili bastano permettere in fuga una tribů intera di queiselvaggi.

- Ma dove l’avranno condotto?

- Si sono internati nella foresta - disse unmalabaro. - Si vedono distintamente leloro tracce.

- Le seguiremo - disse Harry.

— Pandu, mio bravo animale, qui - gridňEdoardo. - Tu ci guiderai. Il cane, invecedi accorrere, si slanciň lungo la spiaggia.

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Latrava con furore ed il suo folto pelamenero gli si era arruffato. Pareva chevolesse avventarsi contro qualche nemico.

- Pandu! - ripetč Edoardo. - Qui, Pandu!

Il cane non obbediva: continuava acorrere, latrando con crescente rabbia.

- Che vi siano i selvaggi laggiů! - esclamňHarry. - Seguiamolo, signori!

Si misero tutti a correre dietro al cane chesi era gettato in mezzo ad un fitto

macchione di cespugli che coronava lacima d’una roccia.

A un tratto, fra i latrati furibondi di Pandu,echeggiarono delle grida umane.

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- Aiuto!… Aiuto!… - aveva gridatoqualcuno che si trovava in mezzo aicespugli.

- Pandu! Qui Pandu! - comandň Edoardo.

Il cane non obbediva. Fra la macchia siudivano urla strozzate ed i mugolěi delcane. Pareva che lŕ sotto succedessequalche cosa di grave.

Harry, Oliviero e tutti gli altri salirono laroccia correndo e si precipitarono in

mezzo ai cespugli.

Colŕ videro il grosso cane che azzannavaferocemente un uomo, il quale ormai

non opponeva piů alcuna resistenza.

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Edoardo lo afferrň per la coda e con unosforzo disperato lo trasse indietro.

Un grido d’orrore gli sfuggě. L’uomo chegiaceva fra i cespugli era Garrovi, ma

ridotto in uno stato indescrivibile. Gliacuti e formidabili denti dell’animale

gli avevano aperta la gola, fracassateambe le braccia e strappata tutta la parte

inferiore del viso.

- Garrovi! - esclamň Oliviero. -Quest’uomo ancora qui? Si era dunque saivato?

- Ma credo che questa volta sia mortodavvero - disse Harry. - Pandu ha

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vendicato il suo padrone.

Si curvň sull’exsaniasso, ma vide subitoche non vi era piů nulla da fare.

- č morto - disse, rialzandosi.

- Ma la piccina che aveva con sé? - chieseEdoardo. - Io non la vedo.

- Si sarŕ annegata - rispose il marinaio. -Questo birbante aveva la pelle ben dura,per uscire illeso da quella tempesta.

- No, illeso - disse Oliviero. - Questopovero diavolo aveva una gambaspezzata.

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— Ora si spiega il perché non ha potutoevitare l’assalto di Pandu. Bah! Un granbriccone di meno.

- Sě, - disse Oliviero, - questa canagliameritava la morte.

- Andiamocene, signori. S’incaricherannole tigri di seppellirlo nei loro ventri.

- Ma la piccina - insistette Oliviero.

- Se si trovasse in questi dintorni, Pandul’avrebbe giŕ scoperta.

- E mi pare che la cerchi - risposeEdoardo. - Non vorrei che toccasse a leiuna simile morte.

- Lo terremo a guinzaglio. Dov’č quel

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bravo cane?

- Si dirige verso il bosco.

- Raggiungiamolo e teniamolo con noi.

- Che abbia invece ritrovato le tracce diAlě? - chiese il tenente.

- č probabile, ma non ci avventureremosotto i boschi di notte. Accampiamoci edomani mattina ci rimetteremo in marcia.

Ritornarono alla capanna, accomodandoalla meglio il tetto con delle foglie erinforzandolo con dei rami, e dopo unaparca cena vi si sdraiarono sotto, mentreun malabaro montava il primo quarto diguardia in compagnia di Pandu.

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IL CAPITANODELLA DJUMNA

Essendo tutti sfiniti per la lunga e faticosamarcia, non tardarono ad addormentarsi,certi anche che la notte sarebbe passatatranquilla. Giŕ un altro malabaro avevasurrogato il primo nella guardia, quandofurono bruscamente allarmati dai latrati diPandu.

Harry, Edoardo ed Oliviero, svegliati disoprassalto, si affrettarono ad uscire incompagnia dei marinai, tenendo in pugnole armi.

- Cosa succede? - chiese il primo, al

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malabaro di guardia.

- Non lo so, ma il cane č inquieto.

- Hai veduto nulla.

- E non hai udito alcun rumore? No.

- Se Pandu abbaia, deve avere qualchemotivo - disse Edoardo.

- Lo credo anch’io - aggiunse il tenente.

- Lasciate libero il cane - comandň Harry.

Pandu, che era stato legato ad un palodella capanna, per tema che continuasse lesue ricerche, allontanandosi nella foresta,fu tosto sciolto. Appena si sentě libero, sislanciň in mezzo agli alberi latrando con

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furore.

- Che abbia scoperta la piccina diGarrovi? - chiese Oliviero, che si eramesso dietro a Pandu, seguito da tutti glialtri.

- Lo sapremo presto - rispose Harry.

Il cane, percorsi centocinquanta metri, siera arrestato dinanzi ad un macchioneassai fitto, latrando con crescente furore.

- Qui, Pandu - gridň Edoardo, temendoche trovando la piccina le saltasse allagola.

L’intelligente animale obbedě dapprima,ma poi tornň a balzare dinanzi alcespuglio, senza perň entrarvi.

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- Chi puň nascondersi lŕ dentro? - sichiese Harry, inquieto.

- Che vi siano dei selvaggi? - disseOliviero.

- O qualche tigre? - chiese Edoardo.

Il vecchio marinaio armň risolutamente ilfucile e s’avanzň in mezzo ai cespugli coldito sul grilletto, scostando i rami collacanna. Un grido rauco, selvaggio, loavvertě che qualcuno si nascondeva nelmacchione, ma non era l’urlo d’una belva,bensě un grido umano.

- Toh!… - esclamň il marinaio. - Unnegro!…

Non si era ingannato. Un andamano di

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piccola statura, armato d’un arpione, siteneva accoccolato fra le piante, mavedendo il marinaio era tosto scattato inpiedi, mandando quell’urlo e prendendoun atteggiamento difensivo.

- Ehi, piccolo uomo - disse Harry. -Abbassa il tuo arpione o ti caccio unapalla nelle reni.

Il selvaggio, che non doveva comprenderela lingua inglese, invece di obbedire feceun balzo indietro tentando di vibrare uncolpo d’arpione, ma i malabari erano pureentrati nella macchia e l’avevano afferratoper le braccia, strappandogli l’arma.

- Ecco una cattura che puň giovarci - disseHarry.

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- Cosa speri, vecchio mio? - chieseOliviero.

- Che questo selvaggio ci dica dove čstato condotto Alě,

- Credi che appartenga alla tribů che lo hafatto prigioniero?

- Sě, signor Oliviero. Lo abbiamo presocosě vicino alla capanna assalita dagliandamani, da farmi supporre che egli nesappia qualche cosa di quell’attacco.

- Ti comprenderŕ?

- Il bengalese non č cosě sconosciutocome lo si crede, su queste coste. Qualchevolta gli andamani fanno degli scambi coinostri indiani del grande golfo ed anche

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coi malabari.

- Provatevi, signor Harry - disse Edoardo.- Come sarei felice di sapere che cosa čaccaduto a mio fratello.

Il vecchio marinaio non se lo fece ripeteredue volte ed interrogň il selvaggio inbengalese, ma senza ottenere risposta. Ilprigioniero lo ascoltava con vivaattenzione, ma pareva che noncomprendesse quella lingua.

- Lasciate fare a me, padrone - disse unmalabaro. - Conosco un po’ la lingua deiselvaggi di queste isole.

Gli rivolse alcune parole ed ottennesubito risposta.

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- Mi comprende - disse il malabaro.

- Traduci ciň che io ti dirň, - disse Harry,- e ciň che risponderŕ. Il marinaio indianos’affrettň a obbedire.

- Non ti faremo alcun male a condizioneche tu risponda alle nostre domande

- disse al selvaggio. - Se non cercheraid’ingannarci, ti lasceremo poi libero e tiregaleremo un coltello.

— Interrogami - rispose l’andamano, neicui occhi era brillato un lampo dicontentezza, per la doppia promessafattagli.

- Hai veduto un uomo bianco su questecoste? - Sě.

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- Dove?

- č stato fatto prigioniero presso la costa.

- Quando?

- Due notti or sono.

- Da chi?

- Dalla mia tribů.

- č stato ucciso?

- No, perché č fuggito.

- E dove si trova ora?

- Assediato in mezzo ad una palude, mihanno detto.

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- č lontana questa palude?

- Non lo so.

- Sapresti dirci in quale?

- No perché ve ne sono molte nei nostriboschi.

- č solo l’uomo bianco?

- No: ha con lui un uomo che ha la pelleoscura come te, ed una ragazzina.

- Una ragazzina? - esclamarono Harry edOliviero, appena il malabaro ebbetradotto la risposta del selvaggio. - Chisarŕ?

- Che sia la piccina di Garrovi? - disse

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Edoardo.

- Ma come č caduta nelle sue mani? -chiese il tenente.

- E chi sarŕ l’uomo che accompagna Alě?- disse il vecchio marinaio. - Che qualcheindiano sia sopravvissuto al disastro dellaDjumna?

- Ma i documenti trovati sotto l’aladell’oca emigrante non accennavano adalcun indiano - disse Oliviero.

- Signor Oliviero, signor Harry, miofratello č assediato e da un istanteall’altro puň venire preso e ucciso - disseEdoardo.

- č vero - risposero il tenente ed il

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vecchio marinaio. - Partiamo senzaindugio. Tentarono un’ultima volta dicostringere l’andamano a guidarli allapalude, ma vedendo che questi si ostinavaa ripetere che non sapeva ove si trovasse,lo lasciarono libero di andare dovevolesse, contando sulla sagacia di Pandu.Harry perň, fedele alla promessa, gliaveva fatto dare un coltello, armapreziosa per quegli isolani che non sannolavorare il ferro.

La piccola truppa si rimise tosto in marciaattraverso le foreste, quantunque l’oscuritŕfosse ancora assai fitta; ma pareva chePandu avesse smarrite le tracce di Alě,poiché procedeva senza una direzioneesatta, descrivendo delle curve, dei grandigiri e tornando sovente sui propri passi o

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piegando verso la spiaggia.

Al mattino si trovavano ancora a pocadistanza dal mare, ma erano saliti diqualche miglio verso settentrione.

Dovettero arrestarsi un’altra volta, poichéla marcia lunghissima del giornoprecedente e quella notturna li avevanosfiniti.

Ripartirono verso le dieci ricacciandosinella gigantesca foresta, ma senzaritrovare le tracce di Alě, Panducontinuava a cercarle, ma senza alcunfrutto. Alla sera si accamparono in mezzoad una piccola radura. Tutti erano tristi escoraggiati e Edoardo aveva le lagrimeagli occhi. Cominciavano a disperare ed a

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temere che il disgraziato capitano, cheormai sapevano assediato, ricadesse nellemani dei selvaggi.

Vinti dalla stanchezza, sonnecchiavano daalcune ore, quando furono destati da urlaacute che echeggiavano verso l’est e daalcuni spari.

Pandu era balzato prontamente in piedi,latrando a pierai gola e gli uomini sierano pure alzati colle armi in pugno,credendosi aggrediti.

- Chi ci assale? - chiese il vecchio Harry,agli uomini di quarto.

- Nessuno, ma pare che nella foresta sicombatta - risposero i marinai. - Abbiamo

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udito degli spari.

- Degli spari!… - esclamarono il tenenteed Harry.

- Si - confermarono i malabari.

- Non vi siete ingannati?

- No, li abbiamo uditi distintamente.

- Ma gli andamani non posseggono armida fuoco - disse Harry.

- Udite!… - esclamň Edoardo.

Nuove urla echeggiarono nella foresta,accompagnate da uno sparo d’arma da

fuoco.

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- I selvaggi assalgono mio fratello! - gridňEdoardo con angoscia. - Lo temo - disse ilvecchio marinaio.

- Dov’č Pandu? - chiese Oliviero.

- č fuggito nel bosco - risposero imalabari.

- Avanti! - tuonň l’ufficiale. - Se Pandu čpartito, vuol dire che ha sentito ilpadrone.

I nove uomini si precipitarono sotto glialberi, avanzandosi rapidamente fra quelcaos di tronchi, di cespugli, di radici e dicalami.

Le grida echeggiavano sempre e parevanourla di selvaggi furibondi e di tratto in

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tratto si udivano degli spari, ma cheparevano prodotti da armi di calibromolto inferiore a quello dei fucili, ed ilatrati di Pandu.

II drappello cercava di affrettare il passo,girando attorno ai macchioni enormi, chedi quando in quando chiudevano il passoed evitando i folti cespugli, temendo divenire improvvisamente assaliti daqualche tigre.

Aveva percorso sette od ottocento passi,quando Harry, che si trovava alla testa,malgrado la sua etŕ avanzata, si arrestňbruscamente, gridando:

- Fermi! Tutti a terra!…

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Gli otto uomini che lo seguivano silasciarono cadere fra le erbe, armandoprecipitosamente i fucili.

Duecento passi piů innanzi, una bandad’uomini si agitava sulle rive d’unostagno, urlando ed agitando le lance e gliarchi. - I selvaggi? - chiese Oliviero.

- Sě - rispose Harry.

In quell’istante, in mezzo agli alberi, aduna certa altezza da terra, si vide balenareun lampo seguito tosto da una detonazionee dai latrati furiosi di Pandu.

- Un colpo di pistola - disse Oliviero.

- č mio fratello - gridň Edoardo.

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- Fuoco su quei selvaggi! - tuonň Harry.

Nove spari rintronarono, formando unasola detonazione.

Gli andamani che si agitavano sulle rivedello stagno, udendo quegli spari e

vedendo cadere alcuni compagni,fuggirono a precipizio, cacciandosi inmezzo

alla foresta.

Oliviero, Edoardo, Harry ed i malabari siprecipitarono verso il bacino, sulle

cui rive latrava Pandu.

- Alě, fratello mio, sei tu? - gridň

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Edoardo, con voce singhiozzante.

- Per centomila navi fracassate! - urlň unavoce, che partiva da un gruppo d’alberisituati su di un isolotto che si trovava inmezzo al bacino. - Chi mi chiama?

- Alě!… Alě!… - ripetč Edoardo. -Finalmente ti ritrovo!

— Per mille vascelli!… - tuonň ilcapitano della Djumna. - Tu, Edoardo!Tu! E anche Pandu!… Sciapal, Narsinga,siamo salvi!… Edoardo! Fuoco su quellazattera! Non ho piů munizioni!

Solamente allora Harry ed i suoicompagni s’accorsero d’un gallegiantemontato da alcuni uomini, che si trovava

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in mezzo al bacino e che si dirigevafrettolosamente verso la riva piů vicina.Prima perň che le armi fossero ricaricate,gli andamani che vi si trovavano sopraavevano preso terra, salvandosi neiboschi circostanti.

— Alě vieni! - gridň Edoardo. -1 nemicisono tutti fuggiti.

- č impossibile, fratello. L’isolotto čpieno di serpenti e non possiamoabbandonare l’albero.

- Amici - disse Oliviero. - Alla zattera eandiamo a salvarli.

- Badate, vi sono almeno sei dozzine direttili velenosi - disse Alě,

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- Abbiamo delle armi e li stermineremo -risposero Harry ed il tenente.

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CONCLUSIONE

Due ore dopo, quando i malabari cheerano sbarcati sull’isolotto colle dovuteprecauzioni, ebbero uccisi a colpi dibastone od arrostiti con fasci di erbeaccese e con rami di cespugli resinosi,tutti i serpenti, Alě, Sciapal e Narsingascendevano dal loro albero protettore.

Quando il capitano si trovň dinanzi a suofratello, parve che la gioia di rivederlo glitogliesse le forze e la parola, poichérimase dinanzi a lui immobile e muto.

- Alě, il mio buon fratello! - esclamňEdoardo, balzandogli al collo. - Ti avevopianto come morto!

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- Per mille vascelli! - tuonň finalmentel’uomo di mare, serrandosi al petto ilgiovane. - Non č un sogno, adunque?…Sei proprio tu, Edoardo? - Si, sono ioAlě, lo vedi.

- Ancora mezz’ora di ritardo, fratello mio,e non mi avresti ritrovato vivo, perchéquando udii i latrati di Pandu scaricavo ilmio ultimo colpo. Ma… questi marinai…- Signor Oliviero, Harry! - disse Edoardo,che pareva fosse impazzito per la gioia.

Poi volgendosi verso Alě:

- Ringrazia questi valorosi - disse. -Hanno affrontato mille pericoli per venirea salvarti.

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Il capitano, che era ancora estremamentecommosso, si levň il berretto e porse ladestra ai suoi salvatori, dicendo:

- Grazie, signori. Non potrň mai scordarequanto avete fatto per me. Oliviero edHarry, invece di stringere la manodell’intrepido capitano della Djumna, loabbracciarono calorosamente.

- Ma… come la piccina di Garrovi sitrova con voi? - chiese ad un trattoOliviero.

- Ve lo dirň poi, signore - disse Alě, -Sappiate perň, che questa intelligenteragazzina mi ha reso dei grandi servizi eche mi ha salvato dal coltello di quelmiserabile Garrovi.

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- Ma hai veduto Garrovi? - chieseEdoardo.

- No, poiché se l’avessi veduto nonsarebbe piů vivo.

- Non lo e piů, Alě; Pandu ti ha vendicato.

- Pandu!

- Si, lo ha strangolato l’altra sera.

Alě guardň Narsinga; la piccina avevachinato il capo sul petto e due lagrime lescendevano silenziosamente sulle brunegote. Il marinaio se la prese fra le braccia,dicendole:

- Hai perduto un cattivo padre, miapiccola Narsinga; ma ne hai trovato uno

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migliore. Io ti adotto come figlia.

- Ed io sarň tuo fratello - aggiunseEdoardo.

La ragazzina sorrise attraverso le lagrimee baciň il marinaio su ambe le gote,dicendo:

- Grazie, padre mio…

Dodici ore dopo, senza subire altremolestie da parte dei selvaggi, Alě,Narsinga, Oliviero e tutti gli altriritornavano a bordo del pariah. Durante lamarcia, Alě aveva raccontato tutte lestraordinarie avventure toccategli suquella selvaggia isola e che giŕ i lettoriconoscono.

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Una settimana piů tardi, avendo icarpentieri rinnovata l’alberatura ed imarinai allargato il solco scavato nelbanco dalla prora, approfittando di unamarea straordinaria, riuscivano adisincagliare il pariah.

Lasciarono senza rimpianti quelle spiaggeinospitali, che per poco non erano riuscitefatali a tutti, e misero la prora verso ilBengala. Dopo un viaggio felice, favoritodal monsone, gettavano l’ancora aCalcutta. Il presidente della ŤYoung-Indiať tosto avvisato del loro arrivo, sirecň a bordo del pariah ad abbracciareAlě ed i suoi coraggiosi salvatori.Apprendendo che il capitano avevaadottata Narsinga, regalň alla piccina ilbungalow che Garrovi si era fabbricato

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coll’oro rubato a bordo della Djumna, edOliviero, acquistata una nuova grab, neaffidň il comando al bravo Alě, Narsinganon abbandonň piů il padre adottivo, né ilbuon Edoardo, né mai dimenticň iltenente, né il vecchio Harry.

Cosa strana perň: in fondo all’animaserbava ancora una lontana affezioneall’exsaniasso e tutte le volte che udiva ilnome di lui, diventava triste. Ella sirammentava certo, che quell’uomol’aveva un giorno raccolta morente difame sulla polverosa via di Rangpur, chel’aveva amata come fosse sua vera figlia,anzi che appunto per lei, per vederla riccae felice, aveva commesso quella sequeladi abbominevoli tradimenti e di trucidelitti.

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Scansionata da Giovanni Forasacco il 23settembre 2005. corretto da Giovanni eMaureen Forasacco.