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IL CALCOLO DEL REDDITO DI IMPRESA NELLA CHIUSURA DEL BILANCIO 2017 Bologna, 8 febbraio 2018 Luca Gaiani – Dottore Commercialista

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IL CALCOLO DEL REDDITO DI IMPRESA NELLA

CHIUSURA DEL BILANCIO 2017

Bologna, 8 febbraio 2018

Luca Gaiani – Dottore Commercialista

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INDICE

1. La competenza temporale dei componenti reddituali dopo il DM OIC 3 agosto 2017: la disapplicazione dei requisiti di certezza e determinabilità oggettiva e i fatti accaduti dopo il 31.12

2. Beni immateriali, oneri pluriennali, spese di manutenzione e migliorie su beni di terzi: l’impatto dei nuovi principi contabili sul calcolo del reddito di impresa

3. Il primo esercizio di iper ammortamento: la verifica dei requisiti e il calcolo della deduzione extra contabile

4. Le novità per il Rol e per la deduzione degli interessi passivi nella L. 205/2017

5. Le regole per l’Ace: coefficiente 1,6%, sterilizzazioni per titoli, e ricadute del DM ACE 3 agosto 2017

6. Le rinunce ai crediti da parte dei soci e degli amministratori alla luce della ris. 124/E/2017

7. Altre novità interpretative e giurisprudenziali in materia di reddito di impresa

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LA COMPETENZA TEMPORALE DEI COMPONENTI REDDITUALI DOPO IL DM “OIC” DEL 3 AGOSTO 2017: LA

DISAPPLICAZIONE DEI REQUISITI DI CERTEZZA E DETERMINABILITÀ OGGETTIVA E I FATTI ACCADUTI DOPO IL 31.12 1. Premessa L’art. 13-bis del D.L. n. 244/2016 convertito in L. n. 19/2017 ha disciplinato le ricadute fiscali - in materia di reddito di impresa e IRAP - delle nuove regole contabili applicate, a partire dai bilanci 2016, in forza del D.Lgs. n. 139/2015 e dei principi approvati dall’OIC nel mese di dicembre 2016. La norma ha, tra l’altro, esteso alle imprese con principi contabili italiani (diverse dalle micro-imprese di cui all’art. 2435-ter del Codice civile) il c.d. principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83, comma 1, del T.U.I.R.1. Il comma 1-bis del citato art. 83, introdotto dal D.L. n. 244/2016, stabilisce che per le società che redigono il bilancio in base al Codice civile (escluse sempre le micro-imprese), si applicano “in quanto compatibili” le disposizioni di attuazione previste per i soggetti IAS-adopter contenute nel D.M. n. 48/2009 e nel D.M. 8 giugno 20112. Il D.M. 3 agosto 20173 (“D.M.”), oltre ad apportare talune modifiche al citato D.M. 8 giugno 20114 ha individuato con precisione, all’art. 2, quali disposizioni contenute nei citati decreti ministeriali sono applicabili anche da parte delle imprese con bilanci redatti in base agli OIC. Il D.M. ha in particolare previsto la disapplicazione per tali imprese delle regole contenute nell’art. 109, commi 1 e 2, del T.U.I.R.: l’individuazione della competenza fiscale dei componenti reddituali è dunque d’ora in poi integralmente affidata alle regole contabili correttamente applicate. L’art. 3 del D.M., tenuto conto della tardiva emanazione rispetto alla tempistica del bilancio 2016, introduce una clausola di salvaguardia per eventuali comportamenti non coerenti con le disposizioni del D.M. medesimo, tenuti dai contribuenti con riferimento all’esercizio anteriore a quello in corso all’11 agosto 2017 (data di entrata in vigore del D.M.) per il quale i termini di versamento sono scaduti prima di quest’ultima data. 2. Principio di derivazione e competenza fiscale dei costi e dei ricavi L’indicazione di più ampia portata contenuta nell’art. 2 del D.M. riguarda l’estensione ai soggetti di cui all’art. 83, comma 1-bis, del T.U.I.R. delle disposizioni contenute nell’art. 2, comma 1, del D.M. n. 48/2009 concernenti l’imputazione a periodo dei componenti reddituali. La norma, dopo aver confermato quanto già stabilito dall’art. 83, comma 1, del T.U.I.R. circa la rilevanza fiscale della rappresentazione contabile dei componenti reddituali e patrimoniali in base al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma previsto dai principi OIC, dispone la disapplicazione delle regole sulla competenza fiscale previste dall’art. 109, commi 1 e 2, del T.U.I.R. Si tratta, in particolare:

• dei requisiti di certezza nell’esistenza e di determinabilità oggettiva dell’ammontare (comma 1) e

• delle regole formali che individuano il momento di imputazione temporale dei ricavi e dei costi derivanti da operazioni tipiche (comma 2) quali cessioni di beni mobili e immobili, nonché prestazioni di servizi.

La disapplicazione delle citate disposizioni si è resa necessaria, come fu evidenziato all’epoca della introduzione della norma per le imprese IAS-adopter5, al fine di superare incertezze applicative che si sarebbero generate dalla sovrapposizione tra i criteri dettati dalle regole contabili, generalmente basati su

1 Secondo cui, in sede fiscale, valgono, anche in deroga alle disposizioni del T.U.I.R., i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai principi contabili. 2 Nel corso di Telefisco 2018, le Entrate hanno chiarito che le società che non superano i limiti dell’art. 2435-ter cod. civ. (micro imprese) non applicano il principio di derivazione rafforzata anche se redigono il bilancio in forma abbreviata o ordinaria. 3 Pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 187 dell’11 agosto 2017 ed in vigore dalla stessa data trattandosi di decreto non regolamentare. 4 In forza di quanto stabilito dall’art. 13-bis, comma 11, del D.L. n. 244/2016. 5 Circolare 28 febbraio 2011, n. 7/E, par. 3.1., che richiama la relazione ministeriale al D.M. n. 48/2009.

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aspetti sostanziali (trasferimento di rischi e benefici) e valutativi6, da un lato, e quelli fiscali ancorati a profili giuridico-formali, dall’altro. 2.1. La disapplicazione delle regole di competenza “fiscale” per le operazioni ordinarie La disapplicazione delle regole previste dall’art. 109, comma 2, T.U.I.R.7 comporta dunque che ai fini fiscali (determinazione del reddito di impresa) l’esercizio di competenza dei proventi e degli oneri è quello in cui il componente reddituale viene iscritto in bilancio secondo corrette regole contabili, senza che si debbano o si possano applicare criteri difformi. L’Ufficio non potrà dunque disconoscere la rilevanza temporale di un componente reddituale in base alle norme fiscali, fermo restando che, qualora l’imputazione a bilancio sia effettuata in difformità dai principi contabili, l’Amministrazione finanziaria avrà comunque titolo per operare una rettifica all’imponibile secondo quanto sarebbe risultato da una corretta applicazione di tali principi8. Va peraltro sottolineato che il momento di competenza dei componenti reddituali sancita dagli standard OIC tende generalmente - e salvo talune limitate eccezioni - a coincidere con quello dell’art. 109, comma 2, del T.U.I.R.. Per le cessioni di beni, il doc. OIC 15 (par. 29)9 individua come criterio guida della competenza il momento in cui si verifica il passaggio “sostanziale” della proprietà da individuare nella data del trasferimento dei rischi e benefici. Questo trasferimento, salvo che in presenza di difformi condizioni contrattuali, viene fatto coincidere dal principio contabile con la consegna o spedizione per le vendite di beni mobili (anche in presenza di vendita a rate con riserva di proprietà) e con la stipula del contratto di compravendita per le cessioni di immobili, partecipazioni e aziende (beni che richiedono l’atto notarile). Nella loro declinazione pratica, le regole civilistico-contabili del trasferimento di rischi e benefici tendono prevalentemente a coincidere con quelle “formali” sancite dall’art. 109, comma 2, del T.U.I.R. Solo qualora, alla data in cui si verificano gli eventi sopra indicati, non si possa ritenere effettuato il trasferimento sostanziale di rischi e benefici, il ricavo (o il costo) non assumerà rilevanza, oltre che contabile, neppure fiscale. Ciò può verificarsi in presenza di particolari clausole nel contratto che di fatto operano in questo senso: ad esempio una cessione con consegna del bene all’acquirente, accompagnata da un accordo per la retrocessione del bene (retrovendita) al venditore il quale mantiene altresì la disponibilità del bene pur se fisicamente collocato presso l’acquirente e il rischio di perimento dello stesso. Analogamente, prevarrà anche in sede fiscale la regola civilistico-contabile nel caso in cui il trasferimento sostanziale dei rischi e benefici sia anticipato rispetto al momento in cui si verifica la consegna o spedizione o il passaggio formale del titolo giuridico. Casi di questo tipo si pongono ad esempio in contratti (consignment stock e rapporti simili, riconducibili al contratto estimatorio del cod. civ.) con cui le merci vengono messe nella disponibilità del futuro acquirente, con rinvio del formale passaggio giuridico della proprietà ad una data successiva sulla base di un inventario delle merci nel frattempo prelevate o non restituite al concedente10. In queste situazioni, l’applicazione delle regole “formali” di passaggio giuridico della proprietà posticipato rispetto alla consegna (previsto salvo deroghe dallo stesso principio OIC 15) comporta il rinvio della rilevazione del costo alla data in cui questo passaggio si verifica in forza della clausola contrattuale. Se, peraltro, il soggetto affidatario dei beni può

6 Quanto meno per i principi internazionali IAS-IFRS. 7 Regole che, come noto, prevedono che i ricavi e i costi derivanti da cessioni di beni mobili si rilevano alla data di consegna o sedizione, quelli da cessione di immobili e aziende alla data di stipula dell’atto traslativo e quelli da prestazioni di servizi al momento della loro ultimazione. 8 In questo senso si era espressa, con riferimento all’analogo problema che si pose per le imprese IAS-adopter, la circolare n. 7/E/2011. Al riguardo, Assonime osservò che, in base alla circolare n. 7/E, è attribuito al Fisco un potere di sindacabilità del bilancio sotto il profilo della sua redazione secondo corretti principi contabili e che se “l’imputazione temporale fosse rimessa completamente al compilatore del bilancio, anche quando non conforme al contenuto dei principi contabili internazionali, non sarebbe possibile configurare questo potere di sindacato” (Guida all’applicazione dell’IRES e dell’IRAP per le imprese IAS-adopter, 2011, pag. 74). 9 Che disciplina l’imputazione dei proventi e dei correlati crediti; per i costi e debiti, si veda il doc. OIC 19, par. 38 che contiene regole sostanzialmente speculari. 10 Situazione analoga si ha nel caso di affitti di azienda nei quali anche le giacenze (materie prime, merci, ecc.) fanno parte del ramo concesso in affitto con facoltà dell’affittuario di prelevarle per la propria attività e previsione di un conguaglio sulla base dell’inventario al termine dell’affitto. Sul punto si veda F. Roscini-Vitali, in Il Sole 24 Ore del 27 gennaio 2018.

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controllarli interamente sin dalla loro consegna e ad esso fanno carico i rischi e i benefici riguardanti i beni, può sostenersi che il costo sia da rilevare in via anticipata già al momento della consegna. Va inoltre considerato il principio di correlazione costi-ricavi sancito dai principi contabili e ritenuto applicabile anche in sede fiscale già in passato in base a talune interpretazioni ministeriali limitate però a casi particolari (oneri di ritombamento cave, oneri di urbanizzazione su aree già cedute11). Secondo questo principio, infatti, occorre rilevare in contabilità anche oneri non ancora formalmente sostenuti se strettamente correlati alla produzione di ricavi già imputati (e purché si tratti di oneri ragionevolmente certi e determinabili) come sarebbe nel caso sopra ricordato di prelievi di merci o materie prime detenute in forza di un consignment stock che hanno dato origine a ricavi di vendita delle merci o dei beni prodotti con dette materie prime12. La ricaduta fiscale del principio di correlazione, che negli anni passati era fondata solo su isolate interpretazioni logico-sistematiche della normativa, trova ora piena efficacia anche normativa a seguito della derivazione rafforzata e della disapplicazione delle regole contenute nell’art. 109, commi 1 e 2, del T.U.I.R.. Venendo alle prestazioni di servizi, l’OIC 15 fa ancora riferimento al momento in cui il servizio è “reso” cioè, sostanzialmente, alla ultimazione della prestazione (data in cui sorge contrattualmente il diritto alla percezione del corrispettivo) in modo sostanzialmente aderente all’art. 109, comma 2, T.U.I.R.13. Con riguardo a ricavi (e costi) per servizi in corso di esecuzione (cioè non ancora effettuati, ultimati e fatturabili) al termine dell’esercizio, dunque, il conto economico non dovrà accogliere alcun importo14, in modo conforme alla (previgente) normativa fiscale che il D.M. ora prevede di disapplicare15. Il principio di derivazione rafforzata e la conseguente disapplicazione delle regole fiscali sulla imputazione a periodo avranno invece più rilevanti conseguenze con riferimento ad operazioni atipiche per le quali le regole contabili prevedono modalità specifiche di competenza. Un esempio al riguardo è quello delle plusvalenze derivanti da operazioni di sale and lease back che l’art. 2425-bis, comma 4, del Codice civile e i principi contabili OIC richiedono di imputare a conto economico in correlazione temporale con i canoni del leasing della (retro)locazione finanziaria. Questa modalità di imputazione a periodo che deriva dalla particolare qualificazione della operazione (che viene vista e rappresentata in modo unitario, senza scinderla in una vendita e in un leasing di ritorno) avrà ora efficacia anche fiscale16. 2.2. La disapplicazione dei requisiti di certezza e determinabilità Venendo alle conseguenze della disapplicazione del comma 1 dell’art. 109 T.U.I.R. (che prevede i criteri di certezza e determinabilità oggettiva quali requisiti per l’imputazione fiscale dei componenti di reddito), operata dal citato art. 2 del D.M. n. 48/2009, va evidenziato che, come già avvenne per i soggetti IAS-adopter, la norma non intende stabilire che i componenti reddituali da assumere per la determinazione dell’imponibile non debbano essere certi o determinabili. La disapplicazione in esame comporta invece che la certezza nell’esistenza e la determinabilità oggettiva dell’importo devono essere riscontrati sulla base dei criteri fissati dai principi contabili adottati dall’impresa (IAS o OIC a seconda dei casi) e non in funzione di quelli giuridico-formali fissati dall’art. 10917. Anche in questo caso, peraltro, le ricadute di questa disposizione sono, per le imprese OIC, meno rilevanti di quanto avviene per quelle IAS-adopter, dato che i principi internazionali prevedono in larga misura la

11 Nello stesso senso la recente ordinanza della Cassazione n. 23171/2017 riguardante gli oneri da contratti di prestito d’oro che l’impresa deduce anticipatamente, per correlarli ai ricavi, rispetto alla data in cui contrattualmente esercita l’opzione di acquisto prevista dal contratto con la banca). 12 Il solo utilizzo del principio di correlazione porta nel caso alla stessa conclusione in capo all’acquirente (affidatario) che deve anticipare la rilevazione dei costi, mentre così non è nel caso del venditore. 13 In base allo IAS 18, invece, i ricavi per servizi si rilevano in bilancio (assumendo dunque rilevanza fiscale ai sensi del principio di derivazione e del D.M. n. 48/2009) in base alla percentuale di completamento. 14 Salva la sospensione dei costi sostenuti per la realizzazione del servizio ancora non ultimato; conformemente anche in questo caso alle disposizioni fiscali: art. 92, comma 6, T.U.I.R. 15 Nello stesso senso, Assonime, circolare n. 14/2017, pag. 70, nota 108. 16 In questo senso la risoluzione 23 giugno 2017, n. 77/E che conferma quanto avevamo indicato in L. Gaiani, “Il nuovo conto economico modifica il calcolo dell’IRES e dell’IRAP”, in il fisco, n. 12/2017, par. 5. 17 Assonime, Guida all’applicazione dell’IRES e dell’IRAP per le imprese IAS-adopter, 2011, pag. 73.

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qualificazione delle operazioni sulla base di atti valutativi, mentre così non è generalmente per i principi italiani. La rilevanza della certezza e determinabilità oggettiva si pone, in particolare, per individuare il momento di imputazione temporale dei componenti reddituali (e dei correlati crediti o debiti) che si originano per ragioni differenti dallo scambio di beni e servizi18. Il doc. OIC 15, par. 30 e il doc. OIC 19, par. 39, prevedono l’iscrizione in bilancio quando sorge una obbligazione di terzi verso la società (proventi) o una obbligazione della società verso terzi (oneri), con concetti che in qualche modo paiono riprodurre, seppure sinteticamente, i due requisiti fiscali ora disapplicati. L’eliminazione dei requisiti di certezza e determinabilità non comporta in ogni caso l’introduzione della rilevanza fiscale dei costi stimati o comunque incerti. Una specifica disposizione del D.M. 8 giugno 2011, richiamata dal D.M. anche per i soggetti OIC, è infatti prevista per evitare una simile conseguenza (si veda il successivo par. 2.4). 2.3. I fatti accaduti dopo la chiusura dell’esercizio La disapplicazione, ad opera del D.M., dei criteri formali di certezza e determinabilità di cui all’art. 109, comma 1, del T.U.I.R., unita alla estensione ai soggetti OIC del principio di derivazione rafforzata, modifica i requisiti di rilevanza fiscale dei costi19 imputati nel conto economico per competenza, in base al doc. OIC 29 (par. 39), in forza di elementi (che siano certi e non solo stimati) sorti dopo la chiusura dello stesso, ma prima della sua redazione. Si pensi ad esempio ad un contenzioso giudiziario in corso nel 2017 a seguito della interruzione di un rapporto di agenzia in relazione al quale l’ex agente ha richiesto una indennità aggiuntiva rispetto a quella ritenuta corretta dalla società mandante. Nel mese di febbraio 2018, il contenzioso si definisce per effetto del deposito della sentenza della Corte di Appello e l’importo riconosciuto all’ex agente (certo e determinabile in base alla sentenza) viene rilevato nei costi e nei debiti del bilancio 2017. Casi analoghi sono quelli di una transazione con un fornitore, ovvero di un accordo collettivo o aziendale che riconosce ai dipendenti, nei primi mesi dell’anno 2018, un premio o una integrazione una tantum a valere sulle retribuzioni dell’anno precedente (2017). Lo stesso per l’importo dei costi di utenze, premi assicurativi, MBO dei dirigenti e simili che vengono quantificati in base ad elementi che nascono solo dopo la chiusura dell’esercizio 2017 ma si riferiscono a tale annualità. È da ritenere che una regola analoga valga anche per le rettifiche di costi e di ricavi di un dato esercizio generate da resi, sconti, abbuoni o penalità definite dopo il 31 dicembre, ma prima della data di redazione del bilancio. Prima della novità introdotta dal D.M., l’orientamento dell’Amministrazione, confermato dalla prevalente dottrina, era quello di dedurre questi costi solo nell’anno successivo a quello di imputazione a bilancio (nell’esempio: 2018 e dunque nella dichiarazione REDDITI 2019), cioè nel momento in cui, per effetto del fatto verificatosi successivamente al 31 dicembre (ad esempio la sentenza), il requisito di certezza e quello di determinabilità oggettiva veniva ad esistenza20. Per tradurre la regola in una breve istruzione si era soliti affermare che la certezza e la determinabilità dovevano sussistere entro il 31 dicembre dell’esercizio in cui si effettuava la deduzione.

18 Si pensi, ad esempio, alla rilevazione dei contributi pubblici, degli oneri per danni procurati a terzi, degli indennizzi richiesti in sede giudiziaria e dei rimborsi assicurativi. 19 Diversi dagli accantonamenti di cui al principio OIC 31, per i quali vige come ricordato una regola particolare, che rimanda ai criteri fiscali dell’art. 107 del T.U.I.R.; si veda il par. 2.4 che segue. 20 Si veda ad esempio la R.M. 21 marzo 1981, n. 9/167. Talune sentenze della Cassazione, come ad esempio la n. 19671/2013 e la n. 21239 del 13 settembre 2017, optavano per la deduzione immediata di tali oneri (cioè nel medesimo esercizio di imputazione a bilancio) qualora i fatti che li avevano generati fossero accaduti nell’anno successivo, ma entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi. Ciò in forza di una particolare interpretazione di quanto previsto dall’art. 14, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, secondo cui le società possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiornamenti consequenziali alla approvazione del bilancio fino al termine di presentazione della dichiarazione.

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Con la disapplicazione dell’art. 109, comma 1, del T.U.I.R. e più in generale con il principio di derivazione rafforzata, invece, la deduzione si effettua già nella dichiarazione relativa al bilancio in cui il costo viene imputato per competenza (e dunque, nell’esempio sopra riportato, nella dichiarazione REDDITI 2018 riferita al 2017). 2.4. La disciplina dei costi incerti e la deduzione degli accantonamenti L’art. 2 del D.M. rende applicabili ai soggetti che redigono il bilancio secondo le regole del Codice civile (ad eccezione delle micro-imprese anche qualora redigano il bilancio in forma abbreviata o ordinaria) anche l’art. 9 del D.M. 8 giugno 2011 con specifico riguardo alle passività di scadenza o ammontare incerti che presentano i requisiti di cui al documento OIC 31. Questa disposizione, che, per i soggetti IAS-adopter, fu in qualche modo anticipata in via interpretativa dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 7/2011 di commento del D.M. n. 48/2009, stabilisce che si considerano fiscalmente accantonamenti (e non ordinari costi d’esercizio) gli oneri iscritti in contropartita di passività di ammontare o scadenza incerti che presentano i requisiti dell’OIC 31, ancorché disciplinati da un principio contabile differente. Si considerano inoltre accantonamenti, sempre in base al citato art. 9, gli oneri derivanti dalla attualizzazione delle passività di cui sopra. Per questi oneri (fiscalmente equiparati ad accantonamenti), il regime fiscale resta quello dell’art. 107 del T.U.I.R. La deduzione è dunque ammessa solo se si tratta di importi rientranti nei primi tre commi di tale articolo: spese per lavori ciclici delle navi e degli aeromobili; spese di ripristino dei beni gratuitamente devolvibili al termine di una concessione di opere pubbliche e oneri per operazioni e concorsi a premio. La disposizione, come chiarito dalla relazione al D.M., serve ad impedire che oneri non dotati del requisito di certezza (per la scadenza o l’ammontare) possano essere dedotti in forza del principio di derivazione rafforzata laddove, come previsto per diverse casistiche dal doc. OIC 12, essi vengano contabilizzati per natura, non già tra gli “accantonamenti”, ma tra gli ordinari costi della produzione (voci B.6, B.7, B.9, ecc.) o tra gli oneri finanziari. In questo modo si evita, come già ricordato, che l’eliminazione della rilevanza fiscale dei requisiti di certezza e determinabilità oggettiva, disposta dall’art. 2 del D.M., consenta una deduzione generalizzata di costi ancora incerti o comunque stimati. La applicazione delle regole fiscali sugli accantonamenti anche dopo l’introduzione della derivazione rafforzata non interferisce, ad avviso di chi scrive, con la rilevanza immediata dei fatti accaduti dopo la chiusura dell’esercizio illustrata nel paragrafo precedente. Se infatti l’onere assume i requisiti di certezza nell’esistenza e determinabilità nell’importo dopo la chiusura dell’esercizio, ma prima della data di redazione del progetto di bilancio, nel rendiconto dell’esercizio chiuso si dovrà iscrivere un vero e proprio costo a fronte di un debito e non invece un accantonamento a un fondo. 2.5. Il “problema” delle perdite su crediti Un interrogativo – tra i tanti – ancora non risolto in merito alla ricaduta fiscale del principio di derivazione rafforzata in materia di imputazione a periodo delle perdite su crediti previste dall’art. 101, comma 5, del T.U.I.R.. Ci si chiede in particolare se, in forza del descritto principio, l’iscrizione nel bilancio di un dato esercizio di una perdita su crediti possa avere automatica rilevanza fiscale anche in deroga ai criteri previsti dall’art. 101 e in particolare al verificarsi degli eventi ivi previsti. Il problema fu affrontato anche in passato in relazione alla disciplina valevole per le società Ias-Adopter senza peraltro giungere a soluzioni validate in via ufficiale21. È da ritenere – conformemente a quanto sostenuto da Assonime – che per le perdite su crediti derivanti da atti realizzativi (cessioni, rinunce, transazioni) la deroga alle regole dell’art. 109, ed in particolare ai requisiti di certezza e determinabilità, sia pienamente efficace e ne comporti la rilevanza fiscale nel medesimo esercizio in cui esse vengono imputate secondo corretti principi contabili. In questo senso va inoltre quanto stabilito dall’ultimo periodo del comma 5 citato, secondo cui gli elementi certi e precisi che legittima la deduzione sussistono quando si opera la derecognition del credito secondo i

21 Assonime, Guida, cit., par. 3.2.6..

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principi contabili. Per questi atti, vale dunque, ad avviso di chi scrive, quanto affermato con riferimento alla rilevanza anche fiscale dei fatti accaduti dopo la chiusura dell’esercizio laddove essi vengano recepiti in bilancio attraverso la cancellazione del credito. Per la deduzione delle perdite derivanti da atti valutativi (in particolare basati sulla valutazione della insolvenza del debitore) è invece da ritenere che continuino a prevalere e a non essere derogabili le condizioni stabilite dall’art. 101 comma 5 e dunque in generale la rilevanza della data di apertura della procedura concorsuale o degli accordi citati nella norma. Trattandosi di una specifica deroga fiscale alla rilevanza di atti valutativi, che prevale sul principio di derivazione, essa deve essere applicata in modo puntuale e tassativo. Pertanto, per la deduzione della perdita sul credito in un dato esercizio, l’apertura della procedura o l’omologa dell’accordo dovrà avvenire come sancito dall’art. 101 entro la relativa data di chiusura, senza invece che possano assumere rilevanza eventi (dichiarazione di fallimento, decreto di ammissione al concordato preventivo, ecc.) verificatisi nei primi mesi del nuovo anno. 3. Altre disposizioni applicabili alle imprese con bilanci OIC L’art. 2 del D.M. rende applicabili alle imprese di cui all’art. 83, comma 1-bis, del T.U.I.R. (imprese che redigono il bilancio secondo i principi OIC, con esclusione delle micro-imprese di cui all’art. 2435-ter del Codice civile) le seguenti ulteriori disposizioni attuative già previste per le società IAS-adopter. 3.1. Art. 2, commi 1, 2, 3, del D.M. n. 48/2009 La norma oltre a disapplicare le specifiche regole di competenza fiscale contenute nell’art. 109, commi 1 e 2, del T.U.I.R., prevede altresì (comma 2) che si applicano comunque le regole del T.U.I.R. che fissano limiti quantitativi, ovvero la ripartizione pluriennale di componenti di reddito o la tassazione o deduzione per cassa. Infine, si stabilisce la disapplicazione dei limiti dell’art. 106 del T.U.I.R. (svalutazione dei crediti) per i componenti reddituali contabilizzati in sede di prima iscrizione dei crediti (valutazione al costo ammortizzato con attualizzazione). Gli oneri finanziari figurativi iscritti in sede di rilevazione al costo ammortizzato dei crediti oltre 12 mesi (OIC 15) sono dunque interamente deducibili senza sottostare ai limiti (0,5%) delle svalutazioni dei crediti. 3.2. Art. 3, commi 1, 3, 4, e 2, primo periodo, D.M. n. 48/2009 La disposizione impedisce che i criteri contabili possano generare doppie deduzioni o doppie imposizioni in capo al medesimo contribuente. Si regolano altresì i casi di operazioni tra soggetti OIC e micro-imprese alle quali non si applica il principio di derivazione rafforzata. 3.3. Art. 2, comma 2, D.M. 8 giugno 2011 La disposizione stabilisce che i componenti imputati direttamente a patrimonio netto rilevano ai fini IRAP nello stesso modo di quelli iscritti a conto economico ed aventi medesima natura. 3.4. Art. 3, comma 1, D.M. 8 giugno 2011 Per gli immobili di cui al documento OIC 16, la strumentalità (che consente la deduzione degli ammortamenti iscritti in bilancio) si qualifica secondo i criteri dell’art. 43 del T.U.I.R. 3.5. Art. 5, D.M. 8 giugno 2011 La norma disciplina gli strumenti finanziari (azioni e obbligazioni) con richiamo all’art. 44 del T.U.I.R. indipendentemente dalla qualificazione e dalla classificazione adottata in bilancio. Si prevede inoltre (nuovo comma 4-bis dell’art. 5, introdotto dal D.M. e valido anche per le imprese IAS-adopter) la irrilevanza reddituale degli interessi figurativi su finanziamenti infruttiferi o a tassi significativamente diversi da quelli di mercato concessi a (o ricevuti da) società controllate/controllanti ai sensi dell’art. 2359 del Codice civile, imputati, rispettivamente, ad incremento del costo della partecipazione o in una riserva. 3.6. Art. 7, commi 2, 3 e 4, D.M. 8 giugno 2011 Si tratta delle regole riguardanti gli strumenti derivati di copertura che prevedono i criteri per il riconoscimento del requisito di copertura, l’irrilevanza degli effetti della copertura dei flussi finanziari fino a quando non transitano dal conto economico ed infine i requisiti formali affinché la relazione di copertura assuma rilevanza fiscale. 3.7. Art. 9, D.M. 8 giugno 2011

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La disposizione regola gli accantonamenti iscritti in bilancio ai sensi del principio contabile OIC 31, prevedendo che si considerano tali gli oneri iscritti in contropartita di passività di scadenza o ammontare incerti. Tali componenti reddituali, anche laddove classificati in voci ordinarie dei costi (e non negli “accantonamenti” contabili), sono deducibili solo se ricompresi nell’art. 107, commi da 1 a 3, del T.U.I.R.

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BENI IMMATERIALI, ONERI PLURIENNALI, SPESE DI MANUTENZIONE E MIGLIORIE SU BENI DI TERZI: L’IMPATTO DEI NUOVI

PRINCIPI CONTABILI SUL CALCOLO DEL REDDITO DI IMPRESA 1. Premessa Nel bilancio 2017 trovano applicazione per la seconda volta le numerose novità per l’iscrizione e l’ammortamento delle immobilizzazioni immateriali a seguito della revisione delle regole contabili operata dal D.Lgs. n. 139/2015 e recepita dal principio OIC 24 del dicembre 201622. L’art. 13-bis del D.L. n. 244/2016, convertito in Legge n. 19/2017, è intervenuto sulla disciplina fiscale delle immobilizzazioni immateriali, riscrivendo il testo dell’art. 108 del T.U.I.R. e prevedendo una disposizione transitoria per la rilevanza fiscale (IRES e IRAP) dello storno di costi pluriennali capitalizzati in bilanci precedenti. Nelle righe che seguono, si analizza, distintamente per ognuna delle principali voci delle immobilizzazioni immateriali, il regime contabile previsto dall’OIC 24 e quello previsto ai fini IRES e IRAP. Ricordiamo che il Codice civile e il principio contabile OIC 24 distinguono, nell’ambito delle immobilizzazioni immateriali: (i) gli oneri pluriennali costituiti da costi di impianto e di ampliamento, costi di sviluppo e altri costi ad utilità ripetuta nel tempo; (ii) i beni immateriali costituiti da diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, concessioni, licenze, marchi e diritti simili e infine (iii) l’avviamento. Gli oneri pluriennali sono semplicemente dei costi (non si sostanziano in veri e propri beni) che non esauriscono la loro utilità nell’esercizio in cui sono sostenuti. Gli oneri pluriennali hanno caratteristiche più difficili da determinare, con riferimento alla loro utilità ripetuta, rispetto ai beni immateriali veri e propri. I beni immateriali sono invece (veri e propri) beni (non monetari), individualmente identificabili, rappresentati generalmente da diritti giuridicamente tutelati (o tutelabili). Essi sono separabili (cioè possono essere venduti, dati in licenza o in affitto, o scambiati), oppure, anche se non trasferibili, derivano da diritti contrattuali o da altri diritti legali. La capitalizzazione delle immobilizzazioni immateriali segue regole differenti per oneri pluriennali e beni immateriali. Nel primo caso, si tratta di una possibilità (e dunque una sorta di scelta) soggetta a limiti e condizioni particolarmente stringenti. Nel secondo caso, si tratta invece, in presenza dei requisiti per qualificare il “bene immateriale”, di un obbligo. 2. Costi di impianto e di ampliamento 2.1. Contenuto della voce e regole contabili La voce costi di impianto accoglie principalmente gli oneri inerenti l’atto costitutivo, come imposte, spese notarili, consulenza per la redazione dello statuto, ottenimento licenze o permessi per l’avvio dell’attività. Rientrano tra i costi di impianto, come indica il documento OIC 24, anche i costi c.d. di start up. Si tratta degli oneri necessari per progettare e avviare l’impresa (nuova società) o una nuova attività (nuovo ramo d’azienda, un nuovo centro commerciale, nuovo processo produttivo, ecc.). Tra i costi di ampliamento vi sono invece le spese sostenute in relazione alla espansione dell’impresa in attività che in precedenza non erano perseguite; ad esempio, spese per modifiche statutarie, aumenti capitale, fusioni, trasformazioni e scissioni e altre operazioni straordinarie. I costi in esame comprendono i costi del personale operativo, i costi di pubblicità sostenuti in tale ambito, addestramento del nuovo personale, allacciamento di servizi generali, riattivazione di uno stabilimento esistente. I costi di impianto ed ampliamento si imputano integralmente a conto economico nell’esercizio di sostenimento, oppure possono essere capitalizzati (voce B.I.1 dello stato patrimoniale) ed ammortizzati in non più di 5 esercizi, con il consenso del collegio sindacale, solo qualora sussistano congiuntamente tre condizioni: (i) è dimostrata l’utilità futura; (ii) è dimostrato il rapporto causa-effetto tra i costi e la futura utilità che da essi ci si attende; (iii) è stimabile con ragionevole certezza la recuperabilità dei futuri ammortamenti in termini di redditi capienti per coprire le quote di ammortamento dopo aver assorbito tutti

22 Tra le novità più significative, vanno ricordate quelle che impediscono la capitalizzazione dei costi di pubblicità e di quelli di ricerca con obbligo di applicazione retrospettiva anche per gli oneri iscritti in esercizi precedenti ed ancora in ammortamento.

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gli altri costi. L’inizio dell’ammortamento si ha, come per gli altri oneri pluriennali, nell’esercizio in cui l’immobilizzazione è disponibile e pronta all’uso, cioè quando i servizi sottostanti ai costi di impianto sono stati effettivamente resi. 2.2. Regole fiscali I costi di impianto, ampliamento e start up sono deducibili secondo i medesimi criteri utilizzati in sede civilistica, senza necessità di variazioni23: in un unico esercizio (se integralmente imputati a conto economico) oppure ammortizzati secondo il piano adottato nel bilancio. L’unica differenza rispetto alle regole contabili riguarda l’esercizio di (inizio della) deduzione (e dunque della deduzione dell’intero importo se il costo è imputato a conto economico oppure delle quote ammortamento) per le imprese di nuova costituzione: dall’esercizio di conseguimento dei primi ricavi. Questa regola, prevista dall’art. 108, comma 4, T.U.I.R., non vale invece per l’IRAP delle società di capitali in forza del principio di derivazione previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997. Ad esempio, si supponga una S.r.l., costituita nel 2017, la quale ha pagato 10.000 euro di spese di costituzione, iscritte negli oneri pluriennali ed ammortizzate in bilancio per 2.000 euro. Nel bilancio 2017 non sono stati ancora conseguiti ricavi. Nella dichiarazione dei redditi 2018, la S.r.l. effettua una variazione in aumento di 2.000 euro, mentre nessuna variazione deve essere rilevata nella dichiarazione IRAP 2018. 2.3. Costi di addestramento e di qualificazione del personale I costi di addestramento del personale sono generalmente imputati al conto economico, ma possono essere capitalizzati, con il consenso del collegio sindacale, solo se assimilabili ai costi di start up (vedi sopra) e sostenuti in relazione all’avviamento di una nuova società o di una nuova attività. Per le società già in attività, i costi possono essere capitalizzati se relativi ad una riconversione o ristrutturazione industriale (o commerciale, nel caso di agenti), purché il processo sia a fronte di un investimento sugli attuali fattori produttivi e purché comporti un profondo cambiamento nella struttura produttiva (prodotti e processi produttivi), commerciale (struttura distributiva) ed amministrativa della società. La capitalizzazione richiede la sussistenza delle tre condizioni previste per i costi di impianto. Nel caso di ristrutturazioni e riconversioni, inoltre, i costi sono capitalizzabili solo in presenza di un piano approvato dagli amministratori, da cui risulti la recuperabilità cioè la capacità di generare redditi sufficienti a coprire tutti i costi e le spese, ivi inclusi gli ammortamenti dei costi capitalizzati. Le regole civilistiche e fiscali per l’ammortamento sono le stesse dei costi di impianto. 3. Costi di sviluppo 3.1. Contenuto della voce e regole contabili I costi di sviluppo (ma non invece i costi di ricerca) sono capitalizzabili se rientrano nella puntuale definizione del documento OIC 24. Lo sviluppo è costituito dalla applicazione dei risultati della ricerca in un piano o in un progetto per la produzione di materiali, dispositivi, processi, sistemi o servizi, nuovi o sostanzialmente migliorati, prima dell’inizio della produzione commerciale o dell’utilizzazione. I costi di sviluppo sono dunque quelli sostenuti per la progettazione, costruzione e verifica dei prototipi, nonché di mezzi, prove, stampi e matrici concernenti la nuova tecnologia, progettazione, costruzione e attivazione di un impianto pilota (cioè di prova) di dimensioni non idonee per la produzione a regime. Sono inoltre i costi per la progettazione, la costruzione e la prova di materiali, progetti, prodotti, processi, sistemi o servizi nuovi o migliorati e quelli per l’applicazione della ricerca di base. I costi di sviluppo possono essere capitalizzati solo se sono: (i) relativi ad un prodotto o processo chiaramente definito, nonché identificabili e misurabili24. Se è dubbia la correlazione ad un progetto specifico: conto economico; (ii) riferiti ad un progetto realizzabile, cioè tecnicamente fattibile sulla base delle risorse disponibili; (iii) recuperabili, cioè esistono prospettive di redditi dal progetto sufficienti a coprire i costi per lo

23 Art. 108, comma 1, T.U.I.R., come modificato dal D.L. n. 244/2016. Per il regime vigente fino al 2015, si veda la C.M. n. 73/E/1994 e la C.M. n. 108/E/1996 (par. 6.4). 24 Occorre cioè dimostrare che i costi hanno diretta inerenza al prodotto, al processo o al progetto a cui si riferiscono.

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studio, dopo aver dedotto tutti gli altri costi di sviluppo, e quelli di produzione e vendita per la commercializzazione del prodotto. La capitalizzazione richiede il consenso dei sindaci e l’ammortamento si effettua secondo la vita utile, cioè per il periodo durante il quale si prevede di utilizzare il risultato dello sviluppo. Se non è possibile stimare la vita utile, l’ammortamento si effettua entro 5 anni. 3.2. Regole fiscali I costi di sviluppo sono deducibili fiscalmente secondo i criteri utilizzati in sede civilistica, senza necessità di variazioni. Per le imprese di nuova costituzione la deduzione si ha solo dall’esercizio in cui si conseguono i primi ricavi (si veda il precedente paragrafo). Sempre dal punto di vista fiscale, le quote di ammortamento dei beni acquisiti in esito agli studi e alle ricerche sono calcolate sul costo degli stessi diminuito dell’importo già dedotto. Per i contributi pubblici corrisposti a fronte dei costi relativi a studi e ricerche si applica infine l’art. 88, comma 3, del T.U.I.R.25. Detti contributi non rientrano dunque fiscalmente nella definizione di contributi in conto impianti, ma vengono equiparati ai c.d. contributi in conto capitale. 4. Brevetti, altri diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno e Know how 4.1. Contenuto della voce e regole contabili I brevetti industriali rappresentano il diritto esclusivo, tutelato dalle norme di legge, di sfruttamento di un’invenzione. I brevetti per i modelli di utilità e per modelli e disegni ornamentali sono le invenzioni atte a conferire a macchine o parti di esse, a strumenti, a utensili e ad oggetti di uso in genere, una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego. Trattandosi di beni immateriali, si deve effettuare la capitalizzazione nella voce B.I.3 del costo di acquisto e relativi oneri accessori, compresi i costi di progettazione e per studi di fattibilità per l’adattamento del brevetto e per la sua effettiva implementazione. Se il contratto prevede anche una royalty successiva, si iscrive all’attivo solo il costo pagato inizialmente. Per i brevetti realizzati internamente, si capitalizza il costo di produzione e i costi accessori relativi all’ottenimento del brevetto. Sono capitalizzabili anche le somme una tantum per brevetti in licenza d’uso. L’ammortamento civilistico si effettua in relazione alla residua possibilità di utilizzazione e dunque sulla base del minore periodo tra quello di scadenza del brevetto (o di durata della licenza) e il tempo di previsto utilizzo del brevetto. L’inizio dell’ammortamento coincide con il momento in cui l’immobilizzazione è disponibile e pronta per l’uso. 4.2. Regole fiscali Fiscalmente, la deduzione delle quote di ammortamento si effettua per quote (anche non costanti) non superiori al 50% per esercizio26. La deduzione fiscale richiede comunque che le quote siano stanziate nel conto economico; ciò significa che, laddove l’ammortamento civilistico sia effettuato su un arco temporale (ad esempio pari a tre esercizi con quote del 33,33%) superiore al limite fiscale (pari a due esercizi, corrispondenti al 50% del costo), la deduzione seguirà la quota contabile non essendo ammesse variazioni in diminuzione. Per i brevetti utilizzati in licenza d’uso a tempo determinato, l’ammortamento fiscale del costo si effettua invece per la durata della licenza ai sensi dell’art. 103, comma 2, del T.U.I.R. 4.3. Know how I costi per Know how sviluppato internamente o acquistato da terzi e tutelato giuridicamente si iscrivono, insieme al costo dei brevetti, nella voce B.I.3. dello stato patrimoniale. I costi di Know how per tecnologie non brevettate si iscrivono invece nella voce B.I.4. Le regole per l’ammortamento, sia civilistiche che contabili sono sostanzialmente coincidenti con quelle previste per i brevetti. 5. Software

25 Con tassazione nell’esercizio di incasso, ovvero in quote costanti in tale esercizio e nei successivi, ma non oltre il quarto. 26 Art. 103, comma 1, T.U.I.R.

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Il trattamento contabile e fiscale dei costi del software va individuato distintamente in funzione dell’effettivo contenuto della voce, sia in termini oggettivi, sia in termini di modalità di regolazione contrattuale del corrispettivo. 5.1. Sistema operativo della macchina Il costo del sistema operativo della macchina (ad esempio Windows), essendo strettamente necessario al funzionamento della stessa, va contabilizzato ed ammortizzato come onere accessorio unitamente al costo dell’hardware (immobilizzazioni materiali). Fiscalmente, si applicano le stesse regole dei beni materiali (art. 102, del T.U.I.R.) con ammortamento secondo i coefficienti tabellari di cui al D.M. 31 dicembre 1988 (previsti per l’hardware) con riduzione alla metà nel primo esercizio. Il costo del software di base, in quanto accessorio all’hardware, può usufruire inoltre del c.d. super ammortamento 140%. 5.2. Software applicativo tutelato Il software applicativo acquistato a titolo di proprietà (con il c.d. contratto di sviluppo oppure con un diritto esclusivo), nonché acquisito in licenza d’uso a tempo indeterminato o determinato si capitalizza, limitatamente alle somme pagate una tantum, nella voce B.I.3 dello stato patrimoniale. Non vanno invece iscritti all’attivo, bensì imputati a conto economico con le regole di competenza temporale, i canoni periodici o le eventuali royalties successive all’una tantum. L’ammortamento civilistico dei costi capitalizzati si stanzia in relazione alla residua possibilità di utilizzazione (ma non oltre la durata della licenza, laddove il software sia acquisito con diritto a tempo determinato). L’ammortamento parte da quando l’immobilizzazione è disponibile e pronta per l’uso. Nella determinazione del reddito di impresa27 occorre invece distinguere: (i) il costo del software in proprietà oppure acquisito in licenza d’uso a tempo indeterminato si deduce per quote di ammortamento (anche non costanti) non superiori al 50% per ciascun esercizio28; (ii) il costo della licenza d’uso a tempo determinato, rientrando nell’art. 103, comma 2, del T.U.I.R., si ammortizza fiscalmente in misura corrispondente alla durata della licenza. Quanto all’IRAP, invece, valgono le medesime quote stanziate nel bilancio d’esercizio secondo le regole contabili. 5.3. Software applicativo tutelato prodotto internamente Con riferimento al software applicativo tutelato prodotto internamente, si deve capitalizzare il costo di produzione determinato comprendendo i costi diretti nonché pro quota quelli indiretti secondo le regole indicate nel principio OIC 16 per il calcolo del costo dei beni materiali di produzione interna. Le regole per l’ammortamento sono analoghe a quelle sopra indicate (presunto periodo di utilizzo). Fiscalmente, trattandosi di software di cui si detengono diritti illimitati, si rientra nel comma 1 dell’art. 103, del T.U.I.R.: ammortamento con quote non superiori al 50% del costo. 5.4. Software applicativo non tutelato prodotto internamente Il costo del software non tutelato prodotto internamente va rilevato generalmente a conto economico. Si può capitalizzare (voce B.I.7) solo se si sono realizzati programmi utilizzabili per un certo numero di anni. La capitalizzazione riguarda i costi diretti e indiretti nella misura in cui possano essere riferiti alla realizzazione del software. Sono invece esclusi i costi indiretti attribuibili al progetto, quali gli affitti, gli ammortamenti, i costi del personale con funzioni di supervisione ed altre voci simili. La capitalizzazione inizia solo se la società è ragionevolmente certa del completamento e dell’idoneità all’uso atteso del nuovo software. L’ammortamento civilistico si stanzia in relazione alla residua possibilità di utilizzazione. Fiscalmente, la deduzione avviene con le stesse regole contabili29, essendosi in presenza di “oneri pluriennali”. 5.5. Canoni periodici per software in licenza d’uso a tempo determinato Tutti i canoni periodici per software in licenza d’uso, i canoni di manutenzione e assistenza periodica sul software esistente e le spese per aggiornamenti periodici devono essere contabilizzati nel conto economico

27 Per l’IRAP valgono invece direttamene le regole contabili ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997. 28 Art. 103, comma 1, del T.U.I.R. Rientra nel comma 1 dell’art. 103 anche il costo del software acquisito in licenza d’uso senza limitazioni (Cass., sent. n. 16673/2016). La licenza a tempo determinato rientra invece nel comma 2 del medesimo art. 103. 29 Art. 108, comma 1, del T.U.I.R.

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per competenza temporale e si deducono conseguentemente ai sensi degli artt. 108, comma 1, e 109 del T.U.I.R. 5.6. Costi interni od esterni sostenuti su software già esistente (manutenzione e spese implementazione) Di frequente, le imprese sostengono costi per la manutenzione, l’aggiornamento o l’implementazione del software già posseduto ed utilizzato. Per il trattamento contabile e fiscale, occorre distinguere due casi. Se si tratta di manutenzione ordinaria (operazioni di assistenza ricorrenti volte a mantenere in uso il software o a riparare danneggiamenti), il relativo costo va imputato a conto economico. Se invece si tratta di manutenzione straordinaria, cioè di attività per migliorare, modificare o rinnovare il software già esistente, i costi vanno iscritti nella stessa voce del software cui si riferiscono, a condizione che gli interventi producano un incremento significativo e misurabile di capacità o di produttività ovvero prolunghino la vita utile del software. Dopo la capitalizzazione di questi costi (e salvo che non si tratti di un nuovo software sostitutivo di quello precedentemente utilizzato), l’ammortamento si applica in modo unitario avendo riguardo al nuovo maggior valore contabile tenuto conto della sua vita utile residua30. In caso di capitalizzazione, l’ammortamento del costo incrementativo segue le regole del costo del software originario, cui si riferisce l’implementazione. 5.7. Perdita di valore e dismissione del software Se si prevede la dismissione o la cessazione di utilizzo del software prima del periodo originariamente stimato come vita utile, si dovrà procedere a svalutare il costo residuo (conto economico B10c). La svalutazione non è fiscalmente deducibile (né IRES né IRAP) e si prosegue a dedurre le quote di ammortamento secondo il piano originario. Al momento della dismissione (cioè della definitiva cessazione dell’uso del software) si storna il costo contro il fondo ammortamento (e eventuale fondo svalutazione), rilevando la minusvalenza a conto economico in B14. Se è documentata la definitiva dismissione del software con eliminazione dal processo produttivo è ammessa la deduzione della minusvalenza (costo non ammortizzato) ai sensi dell’art. 101, del T.U.I.R.31 6. Concessioni, licenze e simili La voce B.I.4. dello stato patrimoniale accoglie le concessioni per lo sfruttamento di beni pubblici, quelle per l’esercizio di attività regolamentate (autostrade, trasporti, parcheggi, ecc.), le licenze di commercio ed il Know how non brevettato. Il costo (una tantum) per tali licenze si ammortizza in base alla residua possibilità di utilizzazione (durata della concessione/licenza o, se minore, alla durata di presunto utilizzo). Fiscalmente, l’ammortamento si deduce in misura corrispondente alla durata della concessione o della licenza32. 7. Marchi Si comprendono nella voce B.I.4. dello stato patrimoniale anche i costi per l’acquisto, la produzione interna e la licenza d’uso di marchi, limitatamente alle somme pagate una tantum; le eventuali royalty sul fatturato si imputano invece a conto economico per maturazione. È capitalizzabile tra le immobilizzazioni immateriali sia il marchio prodotto internamente sia il marchio acquistato a titolo oneroso da terzi o assunto in licenza con compenso una tantum. Sono invece esclusi dalla capitalizzazione i costi sostenuti per l’avvio del processo produttivo del prodotto tutelato dal marchio e per l’eventuale campagna promozionale. L’ammortamento si stanzia nel bilancio d’esercizio in relazione alla residua possibilità di utilizzazione (presunta durata di utilizzo del marchio, ma non oltre la scadenza), con una durata massima di 20 anni. Fiscalmente (sia IRES che IRAP)33, l’ammortamento si effettua per quote (anche non costanti) non superiori a un diciottesimo (5,56%) per esercizio.

30 OIC 16, par. 50. 31 Si veda la ris. 96/E/2006 riferita a costi di ricerca. 32 Art. 103, comma 2, del T.U.I.R. 33 Art. 103, comma 1, del T.U.I.R. e art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 446/1997.

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8. Avviamento Il costo dell’avviamento è capitalizzabile, con il consenso del collegio sindacale, solo se ricorrono congiuntamente le seguenti quattro condizioni: 1) l’avviamento è stato acquisito da terzi a titolo oneroso (acquisto azienda, fusione, scissione o conferimento di azienda); 2) l’avviamento ha un valore quantificabile perché incluso nel corrispettivo; 3) la posta garantisce benefici/utili futuri; 4) il costo è recuperabile in termini di redditi futuri sufficienti a coprire le quote di ammortamento. L’ammortamento civilistico si effettua secondo la vita utile, cioè in base al periodo durante il quale è probabile si manifesteranno i benefici connessi con l’avviamento dell’azienda. La stima va fatta, in modo attendibile, nel primo esercizio e non può essere modificata. Se la vita utile stimata supera 10 anni, occorrono fatti e circostanze effettive a supporto della stima. In ogni caso, la vita utile non può superare 20 anni. Qualora, in casi eccezionali, non sia possibile stimare la vita utile, l’ammortamento si effettua su un periodo massimo di 10 anni. Fiscalmente, si applicano le stesse regole previste per i marchi (un diciottesimo per esercizio: art. 103, comma 3, T.U.I.R.). 9. Migliorie su beni di terzi (beni in locazione, leasing, comodato) 9.1. Interventi su beni di terzi Sono iscritte nelle altre immobilizzazioni immateriali (B.I.7) solo se non sono separabili da beni cioè non possono avere una loro autonoma funzionalità. Diversamente, si iscrivono nelle immobilizzazioni materiali (nella voce di appartenenza del bene). Il costo sostenuto è capitalizzabile solo se l’intervento si sostanzia in ampliamenti, ammodernamenti, sostituzioni e altri miglioramenti34. Negli altri casi il costo va rilevato a conto economico. L’ammortamento si effettua in base al più breve tra il periodo di utilità futura della miglioria e la durata residua del contratto tenendo conto dell’eventuale rinnovo se dipendente dal conduttore. In caso di cessazione anticipata del contratto, il residuo da ammortizzare si porta a conto economico (B.10c) - altre svalutazioni). La deduzione fiscale avviene secondo le stesse regole previste per il bilancio d’esercizio, senza necessità di variazioni, ai sensi dell’art. 108, comma 1, del T.U.I.R.35. 9.2. Interventi su beni propri Per quanto invece attiene agli interventi di manutenzione, adeguamento e migliorie su beni propri, occorre rifarsi alle indicazioni del doc. OIC 16 che prospetta i seguenti due distinti trattamenti. Manutenzione ordinaria (par. 15). Si tratta di riparazioni e interventi di manutenzione di natura ricorrente (pulizia, verniciatura, riparazione, sostituzione di parti deteriorate dall’uso) effettuati per mantenere il bene in un buono stato di funzionamento per assicurarne la vita utile prevista, la capacità e la produttività originarie (concetto di «mantenimento dello status originario»). Manutenzione straordinaria (par. 16). Sono costituiti da interventi di ampliamento, ammodernamento, sostituzione di parti e altri miglioramenti un aumento significativo e misurabile di capacità, di produttività o di sicurezza dei cespiti ovvero in grado di prolungarne la vita utile (concetto di «miglioria rispetto allo status originario»). Le spese di manutenzione ordinaria devono essere integralmente imputate al conto economico dell’esercizio in cui sono sostenuti. Quelli di manutenzione straordinaria sono capitalizzabili nei limiti del valore recuperabile del bene. Occorre una analisi accurata delle singole voci di costo per individuare quelle capitalizzabili e quelle da imputare a conto economico con una adeguata documentazione a supporto delle scelte operate.. La parte di costi capitalizzata si aggiunge al costo originario ai fini del calcolo dell’ammortamento che si effettuerà unitariamente sul nuovo valore. Es.: Costo 100. Fondo ammortamento 30. Spese incrementative 20: si ammortizza unitariamente 120.

34 Si veda al riguardo la definizione di manutenzione straordinaria contenuta nel documento OIC 16, par. 16. 35 Per le imprese di nuova costituzione, deduzione solo dall’anno di realizzazione dei primi ricavi.

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Sostituzioni. Se la manutenzione «incrementativa» comporta la sostituzione di parti del bene originario, si capitalizza il nuovo costo e si storna il costo riferibile (anche mediante stime) al componente sostituito al netto del relativo fondo ammortamento. Se invece la sostituzione rientra nella manutenzione ordinaria, si lascia invariato il costo del cespite e si imputa la spesa a conto economico. Regime fiscale. Le spese di manutenzione – per la parte non iscritta ad aumento del costo dei beni cui si riferiscono - sono deducibili nei limiti del 5% del costo fiscale di tutti i beni ammortizzabili risultante all’1.1.. La Cassazione, con due recenti sentenze, ha affermato che la norma fiscale consente di esercitare l’opzione tra la capitalizzazione delle spese incrementative, ovvero la loro deduzione immediata entro i limiti quantitativi prefissati (Cass. 7885/2016 e Cass. 18810/2017). Seguendo questa interpretazione, anche prima dell’introduzione del principio di derivazione rafforzata, qualora civilisticamente si ritenga di non capitalizzare spese di manutenzione potenzialmente incrementative (es.: rifacimento del tetto) in quanto – ad es. – si stima che si superi il valore recuperabile, l’importo sarà deducibile nei limiti del 5% senza che il Fisco possa sindacare la scelta contabile. 10. Costi per il trasferimento e riposizionamento di linee di produzione o interi stabilimenti Sono capitalizzabili nella voce B.I.7 dello stato patrimoniale, solo quando è ravvisabile un beneficio futuro misurabile in termini di ampliamento o miglioramento della capacità produttiva e riduzione dei costi di produzione; diversamente, l’onere si imputa a conto economico. Non sono, in ogni caso, capitalizzabili i costi per trasferimenti per cessata locazione o per necessità di sgombero dei locali prima occupati. Fiscalmente, l’art. 108, comma 1, del T.U.I.R. prevede l’applicazione delle stesse regole utilizzate nel bilancio civilistico.

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IL PRIMO ESERCIZIO DI IPER AMMORTAMENTO: LA VERIFICA DEI REQUISITI E IL CALCOLO DELLA DEDUZIONE EXTRA CONTABILE

1. Premessa Nella chiusura del bilancio dell’esercizio 2017 trova applicazione, per la prima volta, la deduzione extracontabile del 150% a titolo di iper ammortamento. Il bonus, che rileva solo ai fini IRES (no IRAP) e non impatta nel calcolo delle imposte differite, risulta dal seguente conteggio (riduzione alla metà nel primo esercizio di entrata in funzione:

[(COSTO FISCALE DEL BENE X 150%) X COEFFICIENTE % AMMORTAMENTO : 2] L. 205/2017ha prorogato l’iper ammortamento per gli investimenti effettuati nell’intero esercizio 2018, nonché, in presenza di ordini e acconti almeno del 20%, effettuati entro il corrente anno, a tutto il 31 dicembre 2019. Non cambiano invece le altre condizioni per avvalersi del bonus. È stata invece introdotta la portabilità del bonus residuo in sede di cessione del bene a condizione che nello stesso esercizio di vendita l’impresa acquista un cespite con caratteristiche previste per l’iper ammortamento e lo interconnetta alla rete. Se il costo è inferiore l’iper residuo si calcola nei limiti del minore importo. Questa disposizione non impatta peraltro sul 2017, primo anno di iper ammortamento. Per svolgere correttamente il calcolo del reddito di impresa occorre verificare la sussistenza dei requisiti di spettanza dell’incentivo, procedendo ad una accurata archiviazione della documentazione che li supporta.

1.1. Soggetti interessati A differenza di quanto previsto per il super ammortamento, incentivo a disposizione di imprese ed esercenti arti e professioni, la fruibilità dell’iper ammortamento è riservata, come chiarito dall’agenzia delle Entrate (circ. 4/E/2017, par. 6.1.1.) solamente ai soggetti titolari di reddito di impresa. Ciò in quanto, in più punti, la norma di riferimento (art. 1, comma 11, L. 232/2016) richiama espressamente le “imprese” escludendo di fatto dall’incentivo i professionisti. Possono avvalersi dell’agevolazione imprese di ogni tipo (soggetti Irpef e soggetti Ires) e dimensione. Sono agevolati anche gli investimenti effettuati da imprese estere mediante loro stabili organizzazioni in Italia. Per quanto concerne le aziende concesse in affitto, l’incentivo, che si sostanzia in una maggior deduzione fiscale a titolo di ammortamento, spetta all’affittuario (o usufruttuario) in tutti i casi in cui non sia stata prevista contrattualmente una deroga all’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ai sensi dell’art. 2561 del codice civile. In queste situazioni, infatti, è l’affittuario a stanziare e dedurre le ordinarie quote di ammortamento e così sarà anche per l’iper ammortamento. In presenza di deroga, invece, sarà il concedente a dedurre ammortamenti ordinari e iper ammortamento.

1.2. Beni agevolati L’iper ammortamento spetta su beni strumentali nuovi compresi nell’elenco allegato A) alla L. 232/2016. Il requisito di novità richiede che i beni non siano mai stati utilizzati a qualunque titolo da altri soggetti. Se per la realizzazione di un bene complesso sono stati impiegati anche beni usati, il beneficio spetta a condizione che il costo dei beni usati non sia prevalente rispetto al costo totale. L’iper ammortamento spetta anche in caso di revamping di beni esistenti al fine di fare ottenere le caratteristiche di beni 4.0 ma limitatamente al costo dei dispositivi, strumentazione e componentistica intelligente per l’integrazione, la sensorizzazione e/o l’interconnessione e il controllo automatico dei processi. Circa il requisito di strumentalità deve trattarsi di beni utilizzati direttamente dal possessore (proprietario o conduttore in forza di contratto di leasing finanziario). Nel caso di beni dati a noleggio, l’iper ammortamento spetta all’impresa noleggiante solo qualora il noleggio costituisca la attività caratteristica di tale impresa (circ. 4/E/2017, par. 5.2.). Dovrà comunque essere realizzata l’interconnessione (evidentemente nel sistema aziendale dell’utilizzatore), non essendo chiaro come tale requisito debba essere attestato da parte della concedente. I beni dell’allegato A), per essere considerati iperammortizzabili, devono possedere i 5 requisiti indicati nel par. 11.1 della circolare 4/E/2017: 1) controllo per mezzo di CNC e/o PLC (Programmable Logic Controller);

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2) interconnessione ai sistemi informatici di fabbrica con caricamento da remoto di istruzioni e/o part program; 3) integrazione automatizzata con il sistema logistico della fabbrica o con la rete di fornitura e/o con altre macchine; 4) interfaccia tra uomo e macchina semplici e intuitive; 5) rispondenza ai parametri di sicurezza, salute e igiene del lavoro. Devono poi essere verificate almeno 2 su tre delle caratteristiche (pure riportate nella circolare) necessarie per renderli assimilabili a sistemi cyberfisici: 1) sistemi di telemanutenzione e/o telediagnosi e/o controllo in remoto; 2) monitoraggio continuo delle condizioni di lavoro e dei parametri di processo mediante opportuni set di sensori e adattività alle derive di processo; 3) caratteristiche di integrazione tra macchina fisica e/o impianto con la modellizzazione e/o la simulazione del proprio comportamento nello svolgimento del processo (sistema cyberfisico).

1.3. 140% per il software I soggetti che effettuano investimenti iper ammortizzabili possono fruire di una ulteriore deduzione del 40% per gli acquisti di beni immateriali inclusi nella tabella B) allegata alla L. 232/2016 (in genere software, sistemi e system integration, piattaforme e applicazioni). La circolare 4/E/2017 ha precisato che l’unica condizione per usufruire di questo super ammortamento dei beni immateriali è che il soggetto abbia effettuato almeno un investimento con iper ammortamento 150%. L’agevolazione spetta pertanto anche se si tratta di beni immateriali non correlati al funzionamento dello specifico cespite materiale oggetto di iper ammortamento. È possibile fruire del 140% per più beni immateriali rientranti nell’agevolazione anche se si è acquistato un solo bene materiale iperammortizzabile (Telefisco 2018). Sono agevolati gli investimenti in beni immateriali effettuati nel medesimo periodo previsto per l’iper ammortamento e dunque, per effetto della proroga disposta dalla legge di bilancio, dal 1° gennaio 2017 (L. 232/2016) al 31 dicembre 2018 (L. 205/2017), ovvero fino al 31 dicembre 2019 purché entro fine 2018 venga confermato l’ordine e si versi un acconto almeno del 20%. È da ritenere che possa usufruire del bonus un investimento in software (con i requisiti di legge) effettuato nel 2018 o nel 2019 (proroga della L. 205/2017) realizzato da imprese che hanno acquisito beni iper ammortizzabili nel 2017 (cioè in base alla norma originaria). La maggiorazione, anche per i beni immateriali, si utilizza mediante deduzione di quote di ammortamento secondo le regole fiscali. Il costo del software in proprietà oppure acquisito in licenza d’uso a tempo indeterminato senza limitazioni (Cass. 16673/2016) si deduce in misura non superiore al 50% per ciascun esercizio (art. 103, c. 1); il costo della licenza d’uso a tempo determinato, rientrando nell’art. 103, c. 2, del Tuir, si ammortizza invece in misura corrispondente alla durata della licenza. La deduzione scatta dal periodo di imposta in cui si realizza il requisito dell’interconnessione del bene immateriale e a condizione che l’impresa abbia anche avviato la deduzione dell’iper ammortamento su un bene materiale (non necessariamente correlato a quello immateriale). Come per l’iper ammortamento, anche la deduzione del 40% richiede l’attestazione o la perizia sulla conformità ai requisiti della tabella B) e sull’interconnessione. I software rientrano tra gli investimenti agevolabili anche qualora vengano acquisiti in licenza d’uso, purché siano iscrivibili tra le immobilizzazioni immateriali (OIC 24 ver. 2016). Il principio contabile stabilisce che il software applicativo acquistato a titolo di proprietà (contratto di sviluppo oppure diritto esclusivo), nonché acquisito in licenza d’uso a tempo indeterminato o determinato si capitalizza limitatamente alle somme pagate una tantum. Non vanno invece iscritti all’attivo, bensì imputati a conto economico con le regole di competenza temporale, i canoni periodici o le eventuali royalties successive all’una tantum. I software sono agevolati quando operano “stand alone”, cioè quando non sono necessari al funzionamento del bene materiale. In presenza, invece, di un software integrato (“embedded”) acquistato unitamente ad un bene “iper”, l’intero costo del cespite (comprensivo di quello del software) sfrutterà l’incentivo del 150%. Secondo Assonime (circ. 12/2017, pag. 23), la deduzione cumulativa del 150% sui software necessari al funzionamento di un macchinario scatta anche quanto il software stesso è acquistato da un fornitore differente rispetto a quello del cespite materiale.

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Il comma 32 della L. 205/2017 amplia la definizione di beni immateriali agevolabili modificando il contenuto della tabella B) allegata alla legge 232/2016. A partire dal 1° gennaio 2018, tra i beni agevolabili sono compresi anche i seguenti: sistemi di gestione della supply chain finalizzata al drop shipping nell’e-commerce; software e servizi digitali per la fruizione immersiva, interattiva e partecipativa, ricostruzioni 3D, realtà aumentata; software, piattaforme e applicazioni per la gestione e il coordinamento della logistica con elevate caratteristiche di integrazione delle attività di servizio (comunicazione intra-fabbrica, fabbrica-campo con integrazione telematica dei dispositivi on-field e dei dispositivi mobili, rilevazione telematica di prestazioni e guasti dei dispositivi on-field).

1.4. Momento di effettuazione dell’investimento Occorre poi verificare che l’investimento in beni iper ammortizzabili sia stato effettuato nell’esercizio 2017 (il primo di spettanza dell’incentivo). L’Agenzia delle entrate, nella circolare 4/E/2017, ha precisato che il momento di effettuazione degli investimenti si determina secondo le regole generali della competenza previste dall’articolo 109, commi 1 e 2, del Tuir, in deroga al principio di “derivazione rafforzata”. Con riferimento alle cessioni di beni mobili, l’art. 109, comma 2, del Tuir, stabilisce che il costo si considera sostenuto (e dunque, nel nostro caso, l’investimento si considera realizzato) alla data di consegna o spedizione del bene ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica il passaggio della proprietà. Se viene utilizzato un vettore, rileverà in particolare il momento della “spedizione”, da intendersi, in generale, come data in cui il macchinario viene affidato al trasportatore; il costo si considera sostenuto nella data di partenza della merce, anche qualora i beni pervengano presso l’acquirente in giorni successivi. Il criterio “standard” della consegna o spedizione (con il corollario dell’eventuale differimento di effetti sino alla data di passaggio della proprietà) si applicherà, oltre che negli acquisti diretti, anche nel caso di investimenti realizzati attraverso contratti di locazione finanziaria. Maggiori difficoltà nella individuazione dell’ambito temporale degli investimenti si pongono quando essi vengono realizzati mediante contratti di appalto, ovvero attraverso fattispecie miste tra compravendita e appalto (cosiddetta vendita-appalto). Gli investimenti agevolati per l’iper ammortamento sono infatti generalmente costituiti da impianti o macchinari complessi; in relazione a tali beni, l’obbligazione del venditore si sostanza, evidentemente, non solo nella consegna o spedizione degli apparati, ma anche nella prestazione di svariate attività collaterali (trasporto, montaggio, installazione, messa in opera, ecc.) oltre alla garanzia del buon funzionamento. Come è stato osservato in dottrina 36, occorre stabilire se queste prestazioni sono elementi essenziali della cessione (e dunque del relativo contratto) ovvero se si tratta di attività accessorie alla fornitura del bene. Nel primo caso, si è in presenza della cosiddetta “vendita-appalto”, operazione nella quale il venditore assume una obbligazione complessa ed unitaria tale da far ritenere che il perfezionamento della cessione (effetto traslativo della proprietà) si verifichi solo al momento della ultimazione delle prestazioni di installazione e messa in funzione, con il relativo collaudo. Nel secondo caso, si è in presenza di una “vendita con posa in opera” nella quale, come in ogni altra cessione, la verifica del buon funzionamento è normalmente effettuata già durante la produzione e dunque il momento rilevante per il sostenimento del costo è la data di consegna o spedizione. Se le prestazioni accessorie sono distintamente valorizzate rispetto al corrispettivo del bene, esse potranno concorrere 37 alla determinazione del costo iper ammortizzabile a condizione che la relativa ultimazione avvenga nel periodo agevolato38. Se invece il contratto di cessione con posa in opera non prevede una distinta valorizzazione dei servizi accessori, è da ritenere che alla data di consegna o spedizione l’intero corrispettivo rilevi quale costo iper ammortizzabile ancorché tali prestazioni non siano ancora state eseguite.

36 Assonime, circ. 7/2010, pag. 23. 37 In quanto oneri accessori di diretta imputazione ai sensi dell’art. 110, comma 1, del Tuir. 38 In questo senso, con riferimento alla precedente agevolazione “Tremonti-ter”, si è espressa l’Agenzia delle entrate nella circolare 44/E del 27 ottobre 2009, par. 3.2..

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Con riferimento agli investimenti realizzati in appalto, l’Agenzia delle entrate, nella circ. 4/E/2017 39, ha affermato che il costo si considera sostenuto alla data di ultimazione della prestazione, ovvero, in caso di stati di avanzamento lavori, alla data in cui l’opera (o porzioni di essa) risulta verificata ed accettata dal committente. In quest’ultima ipotesi, cioè, si considera sostenuto, e conseguentemente agevolabile il corrispettivo liquidato all’appaltatore in base allo stato di avanzamento lavori (“SAL”)40. Il sostenimento (di parte) del costo, anteriormente alla ultimazione, in base a stati avanzamento lavori, richiede che detti “SAL” siano “… accettati dal committente, in conformità a quanto stabilito dall’art. 1666 del codice civile41, entro il periodo di vigenza dell’agevolazione”. Circa i requisiti che, nelle opere realizzate in appalto, deve assumere il SAL per consentire, e ad un tempo imporre, di considerare quale “costo sostenuto” (e dunque rilevante per l’agevolazione), la parte di corrispettivo in essa indicata come già conseguita dall’appaltatore, va ricordato che la precisa e rigorosa posizione dell’Amministrazione finanziaria sopra richiamata è il frutto di una consolidata elaborazione interpretativa, la quale, con la circolare n. 4/E/2017, viene confermata anche ai fini dell’iper ammortamento. In passato, la dottrina42 aveva per così dire “suggerito” alle Entrate di consentire alle imprese di quantificare il costo rilevante ai fini delle diverse agevolazioni, sulla base non già di veri e propri SAL riportanti una parte di opera accettata e con corrispettivo liquidato in via definitiva (con le conseguenze dell’art. 1666 del codice civile), ma semplicemente di una valutazione economica effettuata dall’appaltatore con i criteri previsti per la quantificazione delle commesse ultrannuali (art. 93 del Tuir) e risultante da una apposita dichiarazione in tale senso rilasciata al committente. Né l’Amministrazione finanziaria, né, tanto meno, il legislatore43, hanno ritenuto negli anni di aderire ad una simile richiesta dottrinaria sicché il quadro normativo ed interpretativo è rimasto ancorato a quanto sopra indicato 44 e dunque sostenimento del costo che avviene:

• interamente all’ultimazione dell’opera ovvero

• sulla base dell’importo evidenziato nei SAL dai quali risulti l’accettazione definitiva della parte di opera realizzata e del correlato corrispettivo, ai sensi dell’art. 1666 del codice civile.

Documenti di questo tipo, tipicamente previsti negli appalti pubblici 45e non invece nei rapporti regolati dal codice civile, al fine di assumere rilevanza per la quantificazione del costo sostenuto e agevolabile, devono essere previsti dal contratto di appalto (o da sue successive integrazioni46) con clausole volte a consentire l’accettazione parziale dell’opera e ciò anche se non si tratti specificamente di appalti “a porzione” regolati dall’art. 1666 del codice civile. Accettazione parziale che, affinché abbia la valenza indicata nel citato articolo del codice e nei documenti di prassi, comporta che con la sottoscrizione del SAL (che farà seguito alla verifica dei lavori eseguiti in

39 In conformità a precedenti istruzioni: si vedano, ad esempio, la circolare 4/E del 18 gennaio 2002 e la circolare 44/E del 27 ottobre 2009. 40 Cioè, come meglio si dirà nel seguito, sulla base di un documento avente tale (o simile) denominazione mediante il quale le parti individuino la parte di opera realizzata e la relativa valorizzazione onde procedere alla sua accettazione parziale. 41 La norma stabilisce che “Se si tratta di opere da eseguire per partite, ciascuno dei contraenti più chiedere che la verifica (il riferimento è alla verifica finale e alla consegna dell’opera prevista dall’art. 1665; n.d.r.) avvenga per le singole partite. In tal caso l’appaltatore può domandare il pagamento in proporzione dell’opera eseguita. Il pagamento fa presumere l’accettazione della parte di opera pagata; non produce questo effetto il pagamento di semplici acconti. 42 Si veda, ad esempio, Assonime, circ. n. 30 del 2002, pagg. 53 e segg., riferita alla agevolazione Tremonti-bis. 43 Una simile modalità di quantificazione del costo temporalmente rilevante ai fini della agevolazione, che deroga di fatto alle regole dell’art. 109 del Tuir, avrebbe richiesto una specifica modifica normativa. Modifica che in realtà non è mai stata introdotta né per le precedenti, né per l’attuale agevolazione. 44 Si veda Assonime, circ. n. 9/2015, pag. 15. Il motivo del mancato accoglimento delle indicazioni dottrinarie da parte dell’Agenzia sta nel fatto che questo diverso criterio di quantificazione degli investimenti realizzati non trova supporto nelle regole di imputazione a periodo dei costi previste dal Tuir. 45 Dove peraltro hanno prevalentemente la funzione di determinazione degli importi da pagare in acconto, e non tanto quella, indicata dalle Entrate (con richiamo all’appalto a porzioni di cui all’art. 1666 del codice civile), di accettazione della parte di opera realizzata. 46 Nella circolare 44/E/2009, l’Agenzia, con istruzioni che devono ritenersi valide anche ai fini della attuale agevolazione sull’iper ammortamento, ha affermato che la rilevanza dei SAL vale, alle condizioni indicate nel testo, anche nell’ipotesi in cui la suddivisione dell’opera in stati di avanzamento, originariamente non prevista, derivi dall’integrazione del contratto originario mediante l’inserimento a posteriori di una speciale clausola volta a consentire l’accettazione parziale dell’opera stessa.

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contraddittorio tra le parti) il committente attesti la congruità dell’opera e si “auto” precluda la possibilità di invocare ex post l’esistenza di vizi sulla parte di opera realizzata47. Il SAL previsto contrattualmente negli appalti aventi ad oggetto investimenti agevolabili dovrà dunque opportunamente evidenziare che esso viene redatto per procedere alla accettazione e liquidazione della parte di opera realizzata ex art. 1666 del codice civile, al particolare fine di determinare, come da istruzioni ufficiali dell’Amministrazione finanziaria, la quota parte, alla data di riferimento, di costo fiscalmente sostenuto ed agevolabile. La determinazione per “SAL” del costo rilevante per l’agevolazione ha ricadute importanti per gli investimenti realizzati “a cavallo” tra 2016 48 e 2017 comporta dunque la necessità di individuare, con precisione e adeguato supporto documentale quale parte del costo complessivo dell’investimento: a) rientri nell’iper ammortamento e dunque consenta la maggiorazione del 150%; b) rientri invece nel super ammortamento e dunque consenta la maggiorazione del 40%, c) non rientri in alcuna delle agevolazioni. Si considerino ad esempio i seguenti casi.

A. Investimento in macchinario oggettivamente iper ammortizzabile 49 realizzato in appalto con contratto avviato nel 2016 e ultimato nel 2017.

Se il contratto prevede SAL accettati dal committente secondo quanto sopra indicato, la quota parte di costo risultante da SAL riguardanti parte dell’opera realizzate entro il 31.12.2016 non rientrerà nell’iper ammortamento, ma usufruirà del super ammortamento50. Tutto il rimanente corrispettivo (costo sostenuto nel 2017) sarà invece iper ammortizzabile. Se invece il contratto non prevede SAL aventi le caratteristiche sopra indicate, l’intero costo dell’investimento si considera temporalmente sostenuto nel 2017 e risulta dunque iper ammortizzabile.

B. Investimento in macchinario oggettivamente iper ammortizzabile realizzato in appalto con contratto avviato nel 2018 e ultimato nel 2020.

Se il contratto prevede SAL accettati dal committente con le caratteristiche sopra indicate, la quota parte di costo risultante da SAL riguardanti parte dell’opera realizzata nel 2018 e nel 2019 (se entro il 2018 sarà stato pagato almeno il 20% del corrispettivo)51, rientrerà nell’iper ammortamento. Tutto il rimanente corrispettivo (quata parte di costo sostenuto nel 2020) non sarà invece agevolabile52. Se invece il contratto non prevede SAL aventi le caratteristiche sopra indicate, l’intero costo dell’investimento si considera temporalmente sostenuto nel 2020 e non risulta dunque iper ammortizzabile. La descritta impostazione ministeriale sulla rilevanza dei SAL, nei limiti e alle condizioni sopra indicate, per la determinazione temporale degli investimenti iper ammortizzabili richiede poi un coordinamento, tutt’alto che semplice, tra la quantificazione del costo agevolato 53 e l’effettiva applicazione pratica del meccanismo previsto dalla legge. Come noto, infatti, a differenza di precedenti agevolazioni che erano, per così dire, a effetto “immediato”54, l’iper ammortamento:

• spetta sul costo sostenuto nel periodo agevolato;

47 In questo senso, Assonime, circ. 9/2015, pag. 17. In realtà, precisa la Associazione, ciò non significa, neanche nell’ambito del regime dell’art. 1666 del codice civile, che l’opera sia divenuta parcellizzata in modo irreversibile. Non può dunque escludersi che “… in occasione del collaudo finale possano emergere vizi diversi da quelli riferibili ai SAL approvati e, tuttavia, tali per la loro rilevanza da compromettere ex post l’accettabilità dell’intera opera”. 48 Anno in cui l’iper ammortamento non era in vigore, ma valeva già il cosiddetto super ammortamento di cui all’art. 1, comma 91, della L. 208 del 2015 (maggiorazione del 40%). 49 Compreso in tabella A) allegata alla L. 232/2016 e dotato del requisito di interconnessione. 50 In relazione al fatto che ciò che rientra oggettivamente nell’iper ammortamento, si considera rilevante anche ai fini del super ammortamento. 51 La L. 205/2017, come sopra ricordato, prevede l’estensione dell’iper ammortamento anche a investimenti realizzati nel 2018, ovvero anche nel 2019, in presenza di contratti e acconti 20% entro il 31 dicembre 2018. 52 Salva, come detto alla nota precedente, la proroga della disposizione attualmente prevista dal Ddl di bilancio. 53 Cioè per il quale scatta la maggiorazione del 150% nella deduzione di ammortamenti e canoni di leasing. 54 Cioè che si traducevano in una deduzione, ovvero in un credito di imposta, da rilevare nello stesso esercizio di sostenimento del costo agevolato.

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• scatta con la quantificazione di maggiori quote di ammortamento “solo fiscali”, dopo che si sia ulteriormente verificata: (a) l’entrata in funzione del bene e (b) l’interconnessione.

Conseguentemente si potrebbe presentare il caso (si veda il primo dei due esempi sopra riportati) di un investimento iper ammortizzabile per una parte del costo e super ammortizzabile per un’altra quota (o anche non agevolabile per il residuo). In questo caso, il contribuente dovrà, nell’esercizio di entrata in funzione del bene (che ipotizziamo coincidere con quello di interconnessione) e in quelli successivi, dedurre in dichiarazione un importo pari al 40% della quota di ammortamento riferita alla parte di costo super ammortizzabile sommato al 150% della quota di ammortamento riferita alla parte di costo iper ammortizzabile. Ad esempio, si supponga un investimento iper ammortizzabile di costo totale pari a 1.000.000 (coefficiente di ammortamento fiscale pari al 15%) di cui 600.000 risultante da SAL accettati nel 2016, che viene ultimato nel 2017 ed entra in funzione e viene interconnesso alla rete nel 2018. Bilancio esercizio 2018 Ammortamento a conto economico: (1.000.000 x 15%) x 50%55 = 75.000. Dichiarazione Redditi 2019 Variazione in diminuzione per super ammortamento: (600.000 x 40%) x 15% x 50% = 18.000. Variazione in diminuzione per iper ammortamento (400.000 x 150%) x 15% x 50% = 45.000.

1.5. Il calcolo del costo iper ammortizzabile Il costo agevolabile per l’iper ammortamento si determina seguendo il disposto dell’art. 110 del Tuir, quindi sulla base del prezzo di acquisto risultante dalla fattura, maggiorato degli oneri accessori di diretta imputazione. Le diverse quantificazioni contabili previste dal criterio del costo ammortizzato con attualizzazione (OIC 19) non rilevano. Ad esempio, si pensi ad un bene con coefficiente del 15%, di prezzo pari a 100 che, per il criterio del costo ammortizzato, viene iscritto in bilancio a 90 (10 di interessi passivi figurativi). L’ammortamento contabile si calcolerà su questo importo (quote di: 6,75-13,5-13,5 ecc.) mentre l’iper ammortamento si dedurrà sul 150% di 100 quindi su 150 (quote di: 11,25-22,50-22,50 ecc.). Se a fronte dell’investimento sono erogati contributi pubblici in conto impianti, gli stessi, che pure riducono (direttamente o indirettamente) il costo ammortizzabile, non impattano sull’iper ammortamento. Ad esempio, per un bene di costo pari a 100, con contributo in conto impianti di 30, l’ammortamento contabile sarà quantificato su 70, mentre l’iper ammortamento sarà sempre pari a 150. L’Agenzia delle entrate nella ris. 152/E/2017 ha confermato che, agli effetti dell’iper ammortamento, rilevano anche gli oneri accessori di diretta imputazione di cui all’art. 110, comma 1, lett. b), del Tuir; per la loro individuazione occorre riferirsi a quanto previsto dal principio contabile OIC 16. Quest’ultimo documento contabile elenca, a titolo esemplificativo, i seguenti costi accessori relativamente ad impianti e macchinari:

• costi di progettazione; trasporti; dazi su importazione; costi di installazione; costi ed onorari di perizie e collaudi; costi di montaggio e posa in opera; costi di messa a punto.

La risoluzione afferma peraltro che non rientra tra gli oneri accessori, e che dunque non può usufruire dell’iper ammortamento, il costo della perizia giurata richiesta dalla legge (in particolare per opere di costo non inferiore a euro 500 mila) per attestare che i beni hanno le caratteristiche tecniche 4.0 nonché che sono dotati dell’interconnessione al sistema aziendale. Con specifico riguardo alle opere murarie ed edili, l’Agenzia delle entrate chiarisce che esse devono essere tali da non configurare una “costruzione”, dato che fabbricati e costruzioni sono esclusi dal novero dei beni agevolabili. Possono dunque considerarsi oneri accessori “iper ammortizzabili” quelli relativi a opere murarie che, oltre che necessarie per l’installazione del bene, siano tali da non presentare una “consistenza volumetrica apprezzabile” e quindi non assumano la natura di costruzioni ai sensi della disciplina catastale. Per maggiori dettagli, si fa rinvio alla circolare n. 2/E del 2016 con cui le Entrate hanno tra l’altro precisato che la categoria “costruzioni” afferisce a “qualsiasi opera edile avente i caratteri della solidità, della stabilità,

55 Aliquota ridotta alla metà nell’esercizio di entrata in funzione.

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della consistenza volumetrica, nonché della immobilizzazione al suolo, realizzata mediante qualunque mezzo di unione, e ciò indipendentemente dal materiale con cui tali opere sono realizzate. A titolo esemplificativo, rientrano in tale categoria i fabbricati, le tettoie, i pontili, le gallerie, le opere di fondazione e di supporto in genere, così come quelle di sbarramento, approvvigionamento, contenimento e restituzione di materiali solidi, liquidi e gassosi, quali le dighe e le opere di presa e di scarico delle acque, i canali, i serbatoi, le cisterne e le vasche, le torri, le ciminiere e i pozzi, che siano posti a monte e a valle dei processi produttivi svolti all’interno delle unità immobiliari in argomento”. La risoluzione 152/E non ha invece affrontato la questione, che pure si è posta nella prassi, del momento in cui gli oneri accessori devono considerarsi sostenuti ai fini della spettanza, o meno, della agevolazione. Il punto è stato chiarito nel corso di Telefisco del Sole 24 Ore del 1° febbraio 2018 nel corso del quale è stato affrontato il seguente quesito

Gli oneri accessori di diretta imputazione riguardanti investimenti iperammortizzabili, che possono aggiungersi ai costi agevolabili (risoluzione 152/E/2017), si considerano temporalmente sostenuti “per correlazione” nello stesso esercizio di questi ultimi oppure se la loro imputazione a periodo segua regole autonome?

Ad esempio, qualora, per installare un macchinario 4.0 acquistato nel 2017, sia stato realizzato un basamento ultimato nel corso del precedente anno 2016, il relativo costo va aggiunto a quello del macchinario, in quanto accessorio ad un investimento agevolabile, o va invece escluso dall’iperammortamento perché sostenuto in un esercizio anteriore a quello di decorrenza dell’agevolazione?

RISPOSTA: Per gli oneri accessori di diretta imputazione valgono le stesse regole temporali dettate per il bene principale, per cui il costo accessorio, ai fini della spettanza dell’agevolazione, deve essere sostenuto nel medesimo periodo previsto per il bene principale. Anche per gli oneri accessori il costo deve considerarsi sostenuto secondo i criteri dettati dall’articolo 109 del TUIR. Riconoscere l’agevolazione per costi sostenuti in esercizi anteriori al 2017 significherebbe violare le regole dettate dal legislatore per circoscriverne l’ambito temporale.

La risposta delle Entrate sostanzialmente afferma che la data di sostenimento degli oneri relativi ad operazioni ed elementi accessori (laddove contrattualizzati e fatturati a parte rispetto al corrispettivo della macchina), va individuata in modo autonomo rispetto a quella dell’investimento e sulla base delle ordinarie regole di competenza fiscale. Pertanto, affinché tale onere possa usufruire dell’iper ammortamento, al pari del macchinario a cui si riferisce, è necessario che esso sia sostenuto nel periodo agevolato e dunque a partire dal 1° gennaio 2017. Possono rientrare nel calcolo del costo iper ammortizzabile anche attrezzature e altri beni strumentali che, seppure non compresi tra quelli elencati nell’allegato A) alla legge n. 232/2016, costituiscono dotazione ordinaria del bene agevolabile. La rilevanza di queste attrezzature o elementi accessori richiede che: (i) esse siano strettamente indispensabili per il funzionamento del macchinario 4.0 e dunque per

consentirgli di svolgere la funzione che esso è destinato a svolgere nel processo produttivo; e (ii) esse costituiscano normale dotazione del macchinario stesso. Il requisito di “dotazione ordinaria” dei beni accessori e strettamente indispensabili può considerarsi forfettariamente realizzato entro un tetto pari al 5% del costo del macchinario principale. Pertanto, qualora detti accessori abbiano un costo inferiore al 5% di quello del macchinario, tutto l’importo sarà agevolabile. Qualora invece il costo degli accessori superi il descritto limite del 5%, l’importo iper ammortizzabile sarà limitato a quello che deriva dalla applicazione del 5%. Ad esempio: macchinario iper ammortizzabile di costo pari a € 800.000. Attrezzature di per sé non iper ammortizzabili (ad esempio, supporti, stampi, carrelli, o elementi similari), ma acquistate in quanto indispensabili al funzionamento della macchina nel processo produttivo, di costo pari a € 70.000. L’iper ammortamento di queste ultime potrà stanziarsi nei limiti di € 40.000. Le indicazioni sopra riportate valgono, conclude l’Agenzia, sia nel caso in cui le attrezzature siano acquistate presso il medesimo fornitore del macchinario 4.0, sia qualora vengano acquisite presso imprese terze.

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In ogni caso, aggiungiamo, dovrà essere rispettato il requisito temporale anche con riferimento al sostenimento dei costi di tali attrezzature o cespiti.

1.6. Il meccanismo applicativo e la verifica delle condizioni formali Requisiti sostanziali e formali Per poter applicare l’iper ammortamento nel calcolo delle imposte 2017, occorre che, entro il 31.12.2017 si siano verificate tre condizioni “sostanziali”:

a) L’investimento sia stato realizzato e il costo sia sostenuto secondo le regole dell’art. 109 del T.U.I.R.; b) Il bene sia entrato in funzione; c) Il bene sia stato effettivamente interconnesso alla rete di gestione aziendale.

È inoltre necessario che sia realizzato il requisito formale di redazione di una dichiarazione del legale rappresentante ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, ovvero, per i beni aventi ciascuno un costo di acquisizione superiore a 500.000 euro, una perizia tecnica giurata rilasciata da un ingegnere o da un perito industriale iscritti nei rispettivi albi professionali ovvero un attestato di conformità rilasciato da un ente di certificazione accreditato, attestanti che:

• il bene possiede caratteristiche tecniche tali da includerlo negli elenchi di cui all’allegato A alla L. n. 232/2016

• il bene è interconnesso al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura. Le descritte dichiarazioni o perizie devono essere prodotte entro la fine del periodo di imposta a partire dal quale il bene entra in funzione, ovvero, se successivo, entro il periodo di imposta in cui il bene è interconnesso al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura. In quest’ultimo caso, l’agevolazione sarà fruita solo a decorrere dal periodo di imposta in cui si realizza il requisito dell’interconnessione. Per il solo anno 2017 è stato consentito che la perizia fosse giurata nei primi giorni del 2018 purché redatta con data certa entro il 31.12.2017 (ris. 152/E/2017). Né la legge né la circolare chiariscono invece cosa accade se, in presenza delle tre condizioni sostanziali, la perizia giurata – per un qualsiasi motivo – venga ritardata e sia dunque redatta nell’anno successivo a quello di interconnessione. Stando alla lettera delle istruzioni l’impresa perderebbe in toto la iper ammortizzabilità del bene (potendo sfruttare eventualmente il solo super ammortamento), anche se una tesi meno formale indurrebbe a ritenere che la perdita del beneficio dovrebbe limitarsi all’esercizio (o agli esercizi) antecedenti a quello di redazione della perizia. Si pensi al caso di un bene che ha i 5+2 requisiti per l’iper ammortamento, acquistato ed entrato in funzione nel 2017, che sempre da tale esercizio viene anche interconnesso. L’impresa per complessità burocratiche non riesce a far ultimare la perizia entro il 31.12.2017. La perizia giurata viene dunque redatta nel corso del 2018. In questo caso per il 2017 l’impresa non potrà certamente sfruttare l’iper ammortamento ma solo il super ammortamento del 140%. Dal 2018, peraltro, si dovrebbe ritenere che, ferma restando la non recuperabilità della maggior quota del 2017 (150% - 40% = 110% ragguagliata al coefficiente di ammortamento), per le quote maturate dal 2018 essa dovrebbe poter sfruttare appieno l’incentivo. La questione richiede peraltro una conferma ufficiale. Il calcolo L’iper ammortamento si sostanzia, come ricordato in precedenza, in una deduzione complessivamente pari al 150% del costo effettuata con variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi (e non invece nella dichiarazione Irap) applicando i coefficienti ministeriali di ammortamento del bene. Ad esempio, per un macchinario con coefficiente di ammortamento pari al 17,50% (coefficiente ridotto alla metà nel primo esercizio), di costo pari a 500.000 euro, che sia stato acquistato, sia entrato in funzione e risulti interconnesso nel 2017, l’impresa dedurrà le seguenti quote di iper ammortamento. Esercizio 2017: [(500.000 x 150%) x 17,50% / 2] = 65.625. Esercizi 2018-2019-2020-2021-2022: [(500.000 x 150%) x 17,50%] = 131.250 all’anno. Esercizio 2023: 28.125. Con una deduzione totale di 750.000 pari al 150% di 150.000.

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La deduzione extracontabile secondo i coefficienti ministeriali vale anche qualora in bilancio l’impresa applichi una percentuale più o meno elevata. Ad esempio, se civilisticamente l’impresa ammortizza il macchinario in 4 anni, la deduzione annua dell’iper ammortamento rimarrà comunque quella sopra descritta. Nella circolare 23/E/2016, riferita al super ammortamento, ma le cui indicazioni sono valide anche per l’iper, è stato precisato che, in presenza di beni agevolabili aventi un valore inferiore alla soglia di 516 euro (si pensi ad esempio ad un piccolo apparato necessario al funzionamento di un macchinario più complesso), il cui importo è ammesso in deduzione integrale nell’esercizio, la maggiorazione del costo fiscale non è tale da influire sulle modalità di deduzione. Ad esempio, per un bene di costo pari a 500 euro, con iperammortamento 150% di 750 euro, la società potrà dedurre, nel medesimo esercizio, 1.250 euro, di cui 500 nel conto economico e 750 nella dichiarazione dei redditi. Se però l’impresa capitalizza all’attivo e ammortizza i beni in questione, anche la deduzione dell’iper ammortamento (come pure del superammortamento) deve avvenire attraverso la applicazione, di anno in anno, dei coefficienti previsti dal Dm 31.12.1988 (ris. 145/E/2017). Per i beni acquisiti in leasing, la deduzione del 150% - che si applica alla sola quota capitale dei canoni – segue invece il periodo fiscale minimo di deduzione dei canoni a prescindere dalla durata contrattuale. Periodo fiscale che, per tutti i beni diversi dagli immobili, è pari alla metà del tempo di ammortamento (senza considerare la riduzione del primo esercizio). Tornando all’esempio del coefficiente del 17,50%, la durata dell’ammortamento è di 5,714 anni (1/17,50) e il periodo del leasing (valido per la ripartizione dell’iper ammortamento) sarà di 2,86 anni cioè 34,3 mesi. Laddove il contribuente deduca in via extracontabile un importo inferiore rispetto a quello spettante in base al coefficiente fiscale di ammortamento, l’eccedenza non sarà recuperabile negli esercizi successivi.

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LE NOVITÀ PER IL ROL E PER LA DEDUZIONE DEGLI INTERESSI PASSIVI NELLA L. 205/2017 L’art. 1, comma 994, della L. 205/2017 modifica l’art. 96 del T.U.I.R. cancellando la rilevanza, nella quantificazione della soglia di deducibilità degli interessi passivi, dei dividendi incassati da partecipazioni in società controllate estere. La modifica, in deroga allo Statuto del contribuente, si applica già dall’esercizio 2017. Come noto, nel calcolo del limite di deducibilità degli interessi passivi, le holding industriali costituite in forma di società di capitali si trovano sistematicamente penalizzate dal fatto che il Rol non comprende i proventi finanziari e i dividendi distribuiti dalle partecipate. Per evitare una cronica indeducibilità di interessi, le holding possono attivare il consolidato fiscale con le controllate operative effettuando un calcolo (interessi e Rol) di gruppo, recuperando Rol eccedente da compensare con i propri oneri finanziari. Fino al 2015, le holding potevano altresì includere, in una sorta di consolidato “virtuale”, cioè ai soli fini della deduzione degli interessi, anche il Rol e gli oneri finanziari delle controllate estere potenzialmente consolidabili. Questo meccanismo fu eliminato dal D.Lgs. 147/2015 in quanto, secondo la relazione, era in grado di generare “potenziali effetti distorsivi” e fu sostituito, con decorrenza dal 2016, da un sistema che prevede l’inclusione nel Rol dei dividendi distribuiti da società estere controllate ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1, del Codice civile. La legge di bilancio ha cancellato, dopo un anno dalla sua entrata in vigore, anche quest’ultimo correttivo sostenendo che la modifica (così la relazione ministeriale) è coerente con i principi desumibili dall’art. 4 della Direttive antielusione 2016/1164/UE. La Direttiva, in effetti, non prevede correttivi “forfettari” come quello vigente, stabilendo peraltro la possibilità di calcolare il Rol e gli interessi a livello di gruppo anche con riferimento a entità che non consolidano fiscalmente i risultati dei propri membri. L’eliminazione del computo dei dividendi esteri, senza il ripristino del consolidato virtuale in precedenza previsto, penalizza le holding che detengono rilevanti partecipate estere rispetto alle controllanti di gruppi italiani (che attivando il consolidato assumono il Rol delle operative). La legge di bilancio 2018 ha inoltre previsto che gli interessi passivi sostenuti dalle SIM di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998 concorrono, per il 96% del loro importo, alla formazione sia del reddito imponibile IRES, sia del valore della produzione ai fini IRAP.

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LE REGOLE PER L’ACE: COEFFICIENTE 1,6%, STERILIZZAZIONI PER TITOLI, E RICADUTE DEL DM ACE 3 AGOSTO 2017

1. Premessa Nel calcolo dell’Ires da iscrivere nel bilancio 2017, alla riduzione dell’aliquota dal 27,5% al 24% fa da contraltare il depotenziamento dell’agevolazione Ace, la cui disciplina è stata interessata tra il 2016 e il 2017, da svariate modifiche. Vanno considerati i seguenti elementi:

• Riduzione del coefficiente da utilizzare per determinare la deduzione dal 4,75% all’1,60%

• Sterilizzazione per investimenti in titoli prevista dalla L. 232/2016 e disciplinata dal D.M. 3 agosto 2017; sterilizzazione già applicabile dal 2016 (pur se le istruzioni ministeriali sono giunte solo nel mese di agosto del 2017);

• Ricadute sull’Ace dei nuovi principi contabili in vigore dal 2016 e disciplinate dal D.M. 3 agosto 2017 ma con clausola di salvaguardia che ne ha di fatto consentito una applicazione solo dall’esercizio successivo;

• Nuove disposizioni antielusive – in particolare estensione alle operazioni con società del gruppo non residenti - che hanno generalmente efficacia dal 2018, ma che i contribuenti, se favorevoli, potrebbero applicare già dal 2017 (circ. 26/E/2017).

2. Riduzione all’1,60% del coefficiente

Dopo aver determinato la base Ace, le società, nel calcolo della deduzione da apportare al reddito 2017 devono utilizzare il nuovo coefficiente dell’1,60% che sostituisce quello del 4,75% dello scorso esercizio 2016. Il coefficiente è peraltro già stato considerato in sede di versamento degli acconti secondo quanto stabilito dal D.L. n. 50/2017.

3. Sterilizzazione degli investimenti in titoli La sterilizzazione ai fini del calcolo della base Ace dell’incremento di titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto al saldo esistente al 31.12.2010 è stata introdotta dalla L. n. 232/2016 con decorrenza dall’esercizio 2016. La norma ha trovato attuazione nel D.M. 3 agosto 2017 che ha fornito diverse indicazioni sia con riguardo ai requisiti soggettivi, sia all’ambito oggettivo che al meccanismo di calcolo.

3.1. Ambito soggettivo Dal punto di vista soggettivo, la legge prevede che sono esonerate dalla applicazione della nuova sterilizzazione solo le banche e le compagnie di assicurazione. L’art. 5, c. 3, del D.M. 3 agosto 2017 ha chiarito, ampliando il dato letterale della norma, che sono interessate dalla sterilizzazione tutte le imprese diverse da quelle che svolgono attività finanziarie ed assicurative di cui alla sezione “K” della tabella Atecofin 2007, tranne le holding non finanziarie. Queste ultime, cioè, applicano la sterilizzazione al pari di ogni impresa industriale o commerciale. La relazione ministeriale afferma che si tratta delle holding il cui attivo patrimoniale è costituito prevalentemente da partecipazioni in società diverse da quelle finanziarie. Rientrano in quest’ultima categoria anche quei soggetti che svolgono attività che non configurano operatività nei confronti del pubblico sulla base di quanto stabilito dal D.M. n. 53/2015. Ad esempio, la sterilizzazione si applicherà, nell’ambito di un gruppo industriale o commerciale, anche alle cosiddette società captive di un gruppo, cioè società che erogano finanziamenti (o gestiscono la tesoreria accentrata, o acquistano crediti o stipulano leasing) solo a favore delle società del gruppo.

3.2. Ambito oggettivo Per la definizione di titoli o valori mobiliari diversi dalle partecipazioni ci si deve rifarea quanto indicato nell’art. 1, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 58/1998, includendovi altresì le quote di OICR. Quest’ultima disposizione considera quali “valori mobiliari” le categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali come ad esempio le azioni di società (che sono comunque irrilevanti per la sterilizzazione in esame) e gli altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e

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certificati di deposito azionario; le obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i certificati di deposito relativi a tali titoli; qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquisire o di vendere i valori mobiliari di cui sopra; qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari sopra indicati, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure. Non andranno dunque considerati gli investimenti in pronti contro termine. Questi ultimi, peraltro, dovranno essere presi in esame, secondo la relazione ministeriale, nel calcolo nella sterilizzazione antielusiva per finanziamenti erogati ad altre società del gruppo. Qualora nell’ambito del gruppo vengano acquistati titoli obbligazionari o titoli di debito emessi da altre società, al fine di finanziarle, detti titoli non rientrano per la società che gli acquista nella sterilizzazione in esame, ma vanno considerati quali crediti di finanziamento per la relativa sterilizzazione antielusiva. A maggior ragione, saranno esclusi dal novero degli investimenti finanziari rilevanti i depositi bancari, anche se vincolati, e i rapporti di conto corrente, in quanto non riconducibili alla definizione di valori mobiliari rinvenibile nell’art. 1, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 58/1998 (alcune polizze aventi natura finanziaria sono incluse nella lettera w-bis dell’art. 1, norma non richiamata dal D.M.).56. La relazione precisa infine che non sono da includere nel saldo dei titoli gli acquisti operati per fini strettamente funzionali ad assicurare la compensazione e la conclusione di contratti su mercati regolamentati. Il richiamo tassativo all’art. 1, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 58/1998 per definire l’ambito oggettivo della nuova sterilizzazione, senza dunque l’estensione analogica ad ogni ulteriore strumento che abbia analoga funzione di investimento finanziario, dovrebbe inoltre consentire di escludere dal calcolo della nuova sterilizzazione anche le polizze assicurative, comprese quelle che hanno un contenuto prevalentemente finanziario con rischio di performance a carico dell’assicurato (c.d. polizze unit linked)57. L’eventuale inclusione di queste polizze tra gli investimenti da sterilizzare potrebbe a nostro avviso effettuarsi solo ricorrendo alla norma anti abuso di cui all’art. 10-bis della Legge n. 212/2000 e dunque in presenza dei presupposti ivi stabiliti.

3.3. Modalità di calcolo Gli incrementi di titoli e valori mobiliari, come chiarito dalla relazione ministeriale al D.M. 3 agosto 2017, si quantificano confrontando il saldo emergente dai due bilanci di riferimento, comprendendo le componenti valutative. Il metodo, che era stato criticato da Assonime, ha il pregio (una volta tanto) della semplicità di calcolo. Si tratta, come detto, di una sterilizzazione della base ACE e non invece di un decremento definitivo: laddove in un dato esercizio vi sia un incremento rispetto al 2010, la base ACE verrà conseguentemente ridotta; qualora, al termine dell’esercizio successivo, la consistenza di titoli sia scesa al di sotto dal saldo 2010, nessun decremento verrà operato per tale periodo di imposta. Un ulteriore aspetto non specificamente trattato dal D.M. 3 agosto 2017 riguarda la quantificazione della sterilizzazione nel caso in cui il portafoglio titoli posseduto al 31 dicembre 2010 venga attribuito a soggetti terzi, non già a seguito di un disinvestimento, ma per effetto di una scissione. Il carattere successorio della operazione induce a ritenere che, ai fini dei conteggi ACE, la società beneficiaria erediti con criterio proporzionale il valore della consistenza dei titoli esistente presso la scissa alla data di riferimento iniziale. Da ultimo, va segnalato che questa norma non ha valenza antielusiva, costituendo solamente una modalità applicativa della disposizione58. In tal senso essa non può essere disapplicata a differenza delle altre sterilizzazioni previste dall’art. 10 del D.M. 14 marzo 2012 (ora art. 10 del Dm). Come ha avuto modo di osservare Assonime (circ. 17/2017), essa può peraltro interferire con la applicazione delle disposizioni antielusive vere e proprie. Un caso diffuso potrebbe essere quello di un acquisto di un ramo di azienda da una società controllata,

56 In questo senso si è espressa Assonime prima della emanazione del D.M. (circ. 17/2017), ma l’indicazione è certamente da confermare anche alla luce delle nuove norme attuative. 57 In relazione alla inclusione o meno di tali polizze si esprimeva in forma dubitativa Assonime nella circolare n. 17/2017, emanata anteriormente alla diffusione del D.M. 3 agosto 2017. 58 Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 8/E/2017.

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fattispecie che, a norma dell’art. 10, comma 3, lett. a), del D.M. 14 marzo 2012 (disposizione confermata dal Dm), riduce la base ACE per un ammontare pari al prezzo di acquisto sostenuto. Qualora tra le attività del ramo acquistato siano presenti titoli non partecipativi, la relativa sterilizzazione finisce per duplicare quella prevista dalla norma antielusiva59. Per evitare una (illegittima) doppia penalizzazione, i contribuenti, dopo aver applicato la sterilizzazione per i titoli (norma strutturale), dovrebbero operare la riduzione antielusiva per acquisto di azienda intercompany solo per la parte di prezzo di acquisto non coperta dall’incremento di titoli (oggetto della precedente sterilizzazione)60. Una ulteriore situazione in cui la nuova sterilizzazione sui titoli potrebbe interferire con situazioni antielusive è quella di una società Beta che riceve un conferimento in denaro di 1.000 dalla controllante Alfa, che a sua volta aveva usufruito di un aumento di capitale versato dai suoi soci. Beta (controllata) impiega le somme ricevute per effettuare un investimento in titoli non partecipativi (1.000). Beta genera una base ACE di 1.000 (conferimento da Alfa) che però sterilizza interamente in quanto pari all’incremento di titoli (in ipotesi sempre pari a 1.000, essendo il saldo iniziale di riferimento pari a zero). Alfa, a sua volta, deve sterilizzare la propria base ACE di 1.000 per i conferimenti effettuati a controllate residenti61. Secondo una certa tesi, Alfa potrebbe disapplicare quest’ultima riduzione di base ACE a seguito della sterilizzazione operata da Beta che impedisce la duplicazione del beneficio nel gruppo. Secondo Assonime (circ. 17/2017) a questa tesi62 va invece preferita quella (contraria) che sostiene che in questo caso la sterilizzazione di Beta (titoli) e quella di Alfa (conferimenti a controllate) possono coesistere dato che Beta incrementa pur sempre il suo patrimonio netto.

4. Le nuove norme antielusive L’art. 10 del D.M. 3 agosto 2017 ha modificato le regole antielusive volte a evitare la proliferazione del beneficio all’interno del medesimo gruppo di imprese. La più rilevante novità è costituita dalla estensione del perimetro applicativo di tali regole ai soggetti, società o persone fisiche, non residenti. Il precedente D.M. 14 marzo 2012 limitava la norma ai soggetti che potevano usufruire dell’agevolazione (società italiane di capitali o di persone), che a loro volta erano controllati o controllanti di società che pure usufruivano dell’ACE, con l’esclusione dunque di controllate e controllanti non residenti. Vengono inoltre introdotte alcune esimenti circa le indagini necessarie in presenza di conferimenti provenienti dall’estero qualora vi siano uno o più soci domiciliati in Stati diversi da quelli inclusi nella white list prevista dal D.M. 4 settembre 1996 e successive modifiche e integrazioni63. Ad esempio, potrà d’ora in poi rientrare nelle riduzioni antielusive della base ACE l’acquisto di partecipazioni in società controllate effettuato da una società italiana nei confronti di una persona fisica estera (controllante). Le nuove disposizioni antielusive si applicano, come ha confermato la circolare n. 26/E/201764, dall’esercizio successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del D.M. 3 agosto 2017 e dunque, in generale, dal 2018 (dichiarazioni REDDITI 2019). Esse non interessano dunque il calcolo delle imposte del bilancio 2017. Nel determinare la base ACE del 2018 degli anni successivi, però, occorrerà considerare anche le operazioni rientranti nel nuovo art. 10 (norma antielusiva) effettuate sin dal 2011 e dunque anteriormente alla decorrenza della norma.

59 Si pensi ad un ramo di azienda con un valore attivo di 10.000, di cui 8.000 per attività materiali e immateriali e 2.000 costituite da titoli. Si ipotizzi che il passivo sia pari a 4.000, con un corrispettivo di (10.000 - 4.000) = 6.000, portato a riduzione della base ACE. L’acquirente, a fine anno (ipotizzando che non abbia altri titoli né al 31 dicembre 2010 né al 31 dicembre 2016), dovrà inoltre sterilizzare 2.000 per incremento di titoli, importo che peraltro aveva già concorso a formare il prezzo di 6.000. 60 Riprendendo l’esempio della nota precedente, la società, seguendo la tesi di Assonime, opererebbe prioritariamente sterilizzazione di 2.000 e successivamente una riduzione antielusiva per acquisto di azienda pari all’eccedenza di prezzo di acquisto sull’incremento di titoli: (6.000 - 2.000) = 4.000. 61 Art. 10, comma 2, D.M. 14 marzo 2012. 62 Che per essere applicata richiederebbe un costante e complicato monitoraggio dei titoli posseduti da Beta, che in un secondo momento ben potrebbe disinvestire, rigenerando base ACE a seguito del conferimento ricevuto. 63 Paesi che garantiscono un adeguato scambio di informazioni. 64 La quale altro non fa che ribadire quanto già affermato dalla relazione ministeriale al D.M. 3 agosto 2017.

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La circolare 26/E ha aggiunto che, in applicazione di quanto stabilito dall’art. 12, comma 2, del D.M. 3 agosto 2017, sono fatti salvi i comportamenti tenuti dai contribuenti nelle dichiarazioni dei redditi riferite agli anni dal 2011 al 2017 anche se non coerenti con le nuove disposizioni. È dunque preclusa ai contribuenti la presentazione di dichiarazioni integrative (a favore o a sfavore) per adeguare quelle originarie alle regole introdotte dal citato art. 10. È invece possibile, per le dichiarazioni relative al 2017, tenere conto anticipatamente delle nuove disposizioni antielusive, purché la applicazione delle stesse sia integrale e cioè riguardi in toto il nuovo art. 10. Poiché peraltro, come ricordato, la nuova regola antielusiva è generalmente più stringente di quella precedente, una simile applicazione anticipata (su base volontaria) appare scarsamente probabile. L’unica situazione in cui i contribuenti potrebbero avere interesse ad avvalersi del nuovo art. 10 già nel 2017 (od eventualmente nel 2016) riguarda il contenuto dei nuovi commi 4 e 5 e dunque la possibilità di limitare, in taluni casi, l’indagine sui soci non residenti in presenza di conferimenti provenienti dall’estero e le modalità di ripartizione delle sterilizzazioni di base ACE in caso di applicazione di tale norma65. Chi intendesse usufruire in via anticipata di queste nuove esimenti, potrà farlo, ma dovrà, secondo quanto stabilito dalla circolare, adottare anche le altre regole tra cui, in particolare, quelle relative al nuovo ambito soggettivo delle operazioni da sterilizzare che comprende come detto i rapporti con società estere.

5. Ricadute dei nuovi principi contabili Ultimato il periodo coperto da clausola di salvaguardia disposta dall’art. 12 del D.M. 3 agosto 2017, nel calcolo dell’IRES dell’esercizio 2017, occorre tenere conto delle ricadute sul calcolo della base Ace dei principi contabili OIC 2016.

5.1. Azioni proprie L’art. 5, c. 4, del D.M., ha precisato che tra le riduzioni di riserve rilevanti per la base Ace rientrano – in ogni caso - anche le riduzioni di patrimonio causate dall’acquisto di azioni proprie effettuato ai sensi dell’art. 2357-bis del codice civile. La Relazione ministeriale specifica che in questo caso la riduzione di patrimonio netto assume carattere di definitività, richiamando a tal fine il caso, disciplinato dall’art. 2357-bis, di acquisto di azioni proprie in esecuzione di una delibera di riduzione di capitale sociale. La base ACE in questa ipotesi viene ridotta in misura pari all’importo delle azioni acquistate a prescindere dalla formazione del patrimonio netto e dunque come se si trattasse di una distribuzione di riserve e/o rimborso di capitale. Le riduzioni di patrimonio derivanti da acquisti di azioni proprie di cui all’art. 2357 del codice civile, cioè non finalizzate di fatto alla riduzione del capitale, decrementano invece la base ACE nei limiti della variazione in aumento per utili accantonati a riserva. La Relazione opportunamente precisa che la riduzione riguarda solo gli utili che, “in precedenza”, hanno contribuito ad incrementare la base ACE, chiarendo che l’iscrizione della riserva negativa su acquisti fatti anteriormente al 2011 non può generare riduzioni della base dell’agevolazione. Per le operazioni successive, cioè acquisti fatti in vigenza dell’ACE, la riduzione deve farsi in via prioritaria a fronte di accantonamenti di utili effettuati dal 2011 in poi. Ad esempio Bilancio al 31.12.2016 Riserve di utili ante 2011 € 2.000.000 Riserve di utili post 2011 (rilevanti ACE) € 1.000.000 Versamenti soci in c/capitale post 2011 € 800.000 Acquisto azioni proprie del 2017 per € 1.500.000 L’iscrizione della riserva negativa di € 1.500.000

65 Il comma 4 prevede, in estrema sintesi, che se nella compagine sociale vi sono soci - anche non di controllo - domiciliati extra white list, la conferitaria italiana deve escludere dal calcolo della base ACE gli apporti provenienti dall’estero. Per stabilire la eventuale applicazione di questa norma antielusiva, si dovrà svolgere una analisi a ritroso sulla compagine sociale tenendo conto di due esimenti: (i) se tra i soci vi sono società quotate, l’analisi potrà limitarsi ai controllanti della società-socia; se non vi sono controllanti, l’analisi si ferma alla quotata; (ii) in presenza tra i soci di un fondo estero di un Paese white list, non è necessario risalire ai sottoscrittori del fondo. Inoltre, in presenza di apporti provenienti dall’estero e con soci residenti anche in Stati extra white list, la riduzione della base ACE è ripartita proporzionalmente tra le società del gruppo che hanno ricevuto conferimenti esteri (comma 5).

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comporta la riduzione di base ACE per 1.000.000 (nonostante vi siano ulteriori riserve ante 2011 di importo capiente). In caso di cessione delle azioni, stabilisce ancora il Dm, si ripristina la base ACE nei limiti di quanto in precedenza sterilizzato. Se la rivendita è fatta ad un prezzo superiore al costo, l’eccedenza percepita si considera quale conferimento in denaro rilevante ai fini ACE. Proseguendo nell’Esempio Rivendita delle azioni a € 1.750.000 Ripristino di riserve di utili rilevanti ACE € 1.000.000 Incremento conferimenti in denaro € 250.000 Se invece la cessione avviene ad un valore inferiore a quello di acquisto, la riduzione di base ACE diviene definitiva per la differenza tra i due valori. Proseguendo nell’Esempio Rivendita delle azioni a € 1.200.000 Riduzione Base ACE definitiva € 300.000 Ripristino di Base ACE (1.000.000 – 300.000)= € 700.000 Infine, qualora, dopo un acquisto di azioni proprie ordinario, si decida di annullare le azioni riducendo il capitale, si avrà una riduzione di Base ACE definitiva pari al costo di acquisto delle azioni annullate e dunque, per l’eccedenza rispetto a quanto già ridotto in sede di acquisto. Proseguendo nell’Esempio Annullamento azioni proprie € 1.500.000 Ulteriore riduzione di Base ACE (1.500.000 – 1.000.000)= € 500.000 La riserva negativa da azioni proprie non si considera nel calcolo del limite del patrimonio netto (art. 11 DM. 3 agosto 2017). In pratica, anche per i soggetti Ita-gaap, il patrimonio netto (come confermato dall’Agenzia delle entrate durante Telefisco 2018) a seguito della descritta esclusione si incrementa di un ammontare pari alla citata riserva negativa. Derivati L’art. 5, c. 8, lett. a), del Dm esclude espressamente la rilevanza, nel calcolo della base ACE, delle riserve formate con utili iscritti per la valutazione a fair value di strumenti finanziari derivati. Come precisato dalla Relazione ministeriale, la disposizione riguarda in generale gli utili derivanti dalla valutazione al fair value dei derivati a prescindere dalle modalità di contabilizzazione. In particolare ci si riferisce:

- agli utili da valutazione di derivati non di copertura, che non sono distribuibili ma solo utilizzabili per altri fini;

- alla riserva da valutazione dei derivati di copertura di flussi finanziari attesi (riserve di cash flow hedge), indisponibile in modo assoluto e non formata con utili realizzati.

La relazione indica altresì che per le ipotesi di copertura di fair value, occorre compensare gli effetti della valutazione del derivato con quelli del sottostante; solo l’eventuale utile netto del derivato (che eccede, cioè, l’oscillazione negativa del sottostante) deve essere neutralizzato ai fini ACE.

5.2. Finanziamenti infruttiferi Con riguardo ai finanziamenti infruttiferi dei soci, i nuovi principi contabili OIC 15 e 19 del 201666 hanno previsto che qualora l’infruttuosità sia motivata dal sostegno patrimoniale dato da una controllante (creditrice) ad una partecipata (debitrice), e tale motivazione risulti da adeguate formalizzazioni societarie, gli interessi figurativi (passivi per la debitrice, attivi per la creditrice), da rilevare via via a conto economico al tasso di mercato e da imputare (criterio del costo ammortizzato) riducendo il valore di iscrizione del debito o del credito, devono avere come contropartita, non già una voce di conto economico, ma, rispettivamente, una riserva (debitrice) e un maggior valore della partecipazione (creditrice).

66 Si veda ad esempio l’OIC 15, par. 45 ed Esempio 2B.

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L’art. 5, comma 5, ultimo periodo, del D.M. 3 agosto 2017 prevede che l’incremento di patrimonio netto derivante (società debitrice) da finanziamenti infruttiferi dei soci non assume rilevanza quale conferimento in denaro. Altrettanto (società controllante/creditrice), nella applicazione delle sterilizzazioni “antielusive” per versamenti in conto capitale alle controllate, non si dovrà tenere conto dell’incremento di valore delle partecipazioni derivante dalla contabilizzazione dei suddetti finanziamenti infruttiferi (art. 10, comma 2). I finanziamenti infruttiferi vengono dunque considerati ai fini ACE secondo la loro ricostruzione giuridico-formale (in tal senso la relazione ministeriale) e non rileverà dunque la conversione figurativa di parte del debito in capitale (o di parte del credito in partecipazione) posto che, a scadenza, il debito dovrà comunque essere rimborsato per l’importo nominale 67. Anche se il D.M. non lo specifica espressamente, alla irrilevanza dell’incremento iniziale di patrimonio per la debitrice, dovrebbe associarsi anche una corrispondente irrilevanza degli interessi passivi (o degli interessi attivi, per la creditrice) figurativi iscritti successivamente a conto economico; l’utile accantonato a riserva dovrebbe cioè quantificarsi ai fini ACE aggiungendo l’importo di tali interessi68. Diversamente le società che adottano questa regola contabile finirebbero per essere doppiamente penalizzate. Il punto dovrebbe opportunamente essere confermato dalle Entrate.

5.3. Rettifiche per prima adozione di principi contabili L’art. 5, c. 7, del Dm stabilisce che, nel calcolo della base ACE formata da accantonamenti di utili a riserva, assumono rilevanza (solamente) le seguenti due ipotesi di rettifiche operate in sede di prima adozione dei principi contabili:

(i) stralcio di costi di ricerca e di pubblicità da ammortizzare e (ii) utilizzo del criterio del costo ammortizzato.

Quanto al primo punto, va ricordato che lo stralcio dall’attivo di tali oneri pluriennali richiesto dai principi contabili 69 ha comportato, nel bilancio 2016, una corrispondente riduzione di una riserva del patrimonio netto 70, riduzione che, in base a quanto stabilito dal Dm, va considerata anche nel calcolo dell’ACE a prescindere dalla tipologia di riserva utilizzata. Quindi, la riduzione di base ACE (evidentemente nei limiti dell’importo di accantonamenti di utili rilevanti, cioè formati dal 2011) avviene anche se in bilancio lo stralcio di tali oneri pluriennali è stato imputato a riserve “non ACE” cioè formate con utili ante 2011. L’art. 11 del Dm prevede inoltre che queste rettifiche impattano anche sul valore del patrimonio netto previsto come limite massimo di determinazione della base ACE. La rilevanza di questi movimenti patrimoniali iniziali consente, secondo la Relazione ministeriale, di non dover operare rettifiche future all’utile destinato a riserva, in funzione del fatto che la società stanzierà a conto economico minori ammortamenti. Quanto al secondo punto, ci si riferisce, come chiarito dalla Relazione ministeriale, all’applicazione retroattiva 71 del criterio del costo ammortizzato con attualizzazione nella valutazione di crediti e debiti con scadenza oltre 12 mesi, oltre che dei titoli.

67 Una analoga prevalenza dell’aspetto giuridico formale è prevista anche per le ricadute dei finanziamenti soci infruttiferi in ambito IRES. L’art. 1 del decreto di coordinamento nuovi OIC-norme fiscali, emanato il 3 agosto 2017, aggiungendo un comma 4-bis all’art. 5 del Dm 8 giugno 2011, stabilisce che, nei finanziamenti erogati (ricevuti) da società controllanti (controllate) assumono rilevanza fiscale esclusivamente i componenti reddituali rilevati a conto economico in base al contratto, qualora siano iscritti nello stato patrimoniale importi derivanti dalla attualizzazione. Conseguentemente, come ricorda la relazione ministeriale a tale decreto, la società finanziata non darà rilevanza fiscale né all’incremento delle riserve, né ai conseguenti interessi passivi imputati a conto economico (variazione in aumento). La finanziatrice, dal canto suo, detasserà gli interessi attivi figurativi (variazione in diminuzione) e non considererà fiscalmente rilevante il maggior costo della partecipazione (disallineamento da inserire nel quadro RV). 68 Ciò in coerenza con quanto stabilito dal decreto di coordinamento nuovi OIC – norme fiscali (si veda la nota precedente). 69 OIC 24, ver. 2016, parr. 100-101. 70 Conto Utili esercizi precedenti, o altra riserva. 71 Applicazione retroattiva che peraltro era solamente facoltativa nei bilanci 2016.

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L’applicazione retroattiva di tale criterio ha comportato movimenti del saldo di apertura (in aumento o in diminuzione) delle riserve di utili 72. Ogni altra ipotesi di rettifica contabile derivante dalla prima applicazione dei principi contabili, chiarisce la Relazione ministeriale, non comporta alcun impatto sul calcolo della base ACE.

5.4. Errori contabili “rilevanti” La Relazione ministeriale ha affermato che in caso di correzione di errori contabili “rilevanti” (che impattano sul patrimonio netto) la determinazione della base ACE è da operare mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa, senza dunque che si debba considerare il movimento del patrimonio netto. Per i più diffusi errori contabili sotto soglia di rilevanza, che si imputano a conto economico nell’anno in cui vengono scoperti (non trattati dalla Relazione ministeriale), non pare esservi invece alcun obbligo di dichiarazione integrativa.

5.5. Decorrenza L’art. 12 del D.M. 3 agosto 2017, senza prevedere alcuna decorrenza specifica delle disposizioni in esso contenute, contiene due differenti “clausole di salvaguardia” per i comportamenti tenuti dai contribuenti in modo difforme da quanto stabilito dal D.M. stesso. Il comma 1 riguarda la salvaguardia di comportamenti tenuti, in relazione alle nuove regole introdotte in attuazione dell’art. 13-bis del D.L. n. 244/2016, nelle dichiarazioni riferite ad esercizi anteriori a quello in corso alla data di entrata in vigore del D.M., per i quali i termini di versamento delle imposte sono scaduti anteriormente a tale data73. Il richiamo alle regole del D.M. emanate in attuazione del citato art. 13-bis lascia intendere che siano coperti da questa salvaguardia i comportamenti riferiti a tutte le (nuove) disposizioni che regolano le ricadute ACE dei principi contabili OIC 2016 introdotti a seguito del D.Lgs. n. 139/2015, nonché le analoghe disposizioni riguardanti le imprese IAS-adopter. Si pensi, a puro titolo di esempio, alla irrilevanza delle movimentazioni patrimoniali derivanti dalla imputazione degli interessi figurativi su finanziamenti infruttiferi ricevuti dalle controllanti o al contrario alla rilevanza delle movimentazioni da prima adozione dei principi contabili (bilancio 2016) riguardanti lo stralcio di costi di ricerca o pubblicità. Al riguardo, la relazione ministeriale al D.M., dopo aver evidenziato che le disposizioni riguardanti i nuovi OIC74 hanno la medesima decorrenza della norma da cui traggono origine75, afferma che il comma 1 dell’art. 12 “fa salvi, in buona sostanza, eventuali comportamenti adottati dai soggetti IAS-adopter in modo non coerente (ovvero coerente) con le nuove norme”. La mancata indicazione, tra i soggetti che posso usufruire della salvaguardia per comportamenti non coerenti, delle imprese OIC-adopter, che sicuramente sono quelle maggiormente coinvolte dalle nuove disposizioni del D.M., non trova in realtà alcuna giustificazione logica o giuridica, sicché la affermazione della relazione ministeriale che parrebbe limitare la clausola alle sole società con bilanci IAS è da ritenere non corretta se non addirittura il frutto di un mero refuso76. La clausola di salvaguardia è stata infatti introdotta al fine di rispettare il principio del legittimo affidamento77, vista la assoluta tardività con cui il D.M. 3 agosto 2017 è stato emanato78 e questa finalità è evidentemente per lo più riferita alla tutela delle imprese OIC-adopter che nel bilancio del 2016 hanno tutte dovuto applicare nuovi principi contabili. Su questo punto è dunque auspicabile una conferma da parte delle Entrate.

72 Anche in sede di prima applicazione dei principi contabili, resta invece ferma la irrilevanza ACE della iscrizione a patrimonio degli interessi passivi figurativi sui finanziamenti soci infruttiferi. Chi dunque avesse applicato retroattivamente (in via facoltativa) la regola contabile per i finanziamenti soci (estendendola a quelli già in essere al 31.12.2015) non considererà ai fini ACE i movimenti contabilizzati sul patrimonio netto di apertura.

73 Si tratterà in genere delle dichiarazioni relative al 2016 (i cui termini ordinari di versamento sono scaduti entro la fine del mese di luglio 2017) e a esercizi precedenti.

74 Contenute in particolare nell’art. 5, commi 4, 5, 7 e 8, lett. a), del D.M.

75 Applicandosi, dunque, dai bilanci dell’esercizio 2016.

76 Si tenga conto che tra le disposizioni “coperte” dalla salvaguardia, citate dalla stessa relazione, ve ne sono alcune tipicamente riguardanti (bilancio 2016) le imprese OIC-adopter come quella del comma 7 dell’art. 5 sullo stralcio di costi di pubblicità a seguito della prima adozione di nuovi principi contabili.

77 Art. 10, comma 2, Legge n. 212/2000, che prevede l’esimente da sanzioni in caso, tra l’altro, di comportamenti conseguenti a ritardi od omissioni dell’Amministrazione finanziaria.

78 In base al disposto dell’art. 13-bis del D.L. n. 244/2016, infatti, il D.M. di coordinamento ACE avrebbe dovuto essere emanato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione n. 19/2017 e cioè entro il 30 aprile 2017.

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LE RINUNCE AI CREDITI DA PARTE DEI SOCI E DEGLI AMMINISTRATORI ALLA LUCE DELLA RIS. 124/E/2017

1. Rinunce ai crediti dei soci Nel sistema vigente fino all’esercizio 2015, anteriormente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 147/2015, la rinuncia ai crediti vantati dai soci non generava mai sopravvenienze attive imponibili ai sensi dell’art. 88 del T.U.I.R. Questo regime, in presenza di crediti rinunciati aventi valore fiscale inferiore al nominale, ha generato, in talune situazioni, un disallineamento tra la posizione dei diversi soggetti e dunque possibili salti di imposta all’interno del sistema. Esempio. Il caso era, in particolare, quello di una società (Alfa) che acquista pro soluto (da una banca ovvero da un’altra società) un credito vantato verso una società partecipata (Beta), di valore pari a 100.000 euro, per un corrispettivo di 20.000 euro, credito che Alfa procede successivamente a rinunciare. La banca, all’atto della cessione del credito, rileva una perdita deducibile di 80.000 euro a seguito della cancellazione del credito dal bilancio, mentre Beta, a seguito della rinuncia operata dal socio Alfa, storna il debito, rilevando l’importo in una riserva di patrimonio netto (versamenti soci) per 100.000 euro. Alfa iscrive la rinuncia del credito in aumento del costo (contabile e fiscale) della partecipazione in Beta, senza alcun immediato effetto reddituale. Beta, fino all’esercizio 2015, non effettuava alcuna variazione in aumento e si creava un disallineamento con la perdita dedotta dalla banca cedente. Il comma 4-bis dell’art. 88 del T.U.I.R., introdotto dal D.Lgs. n. 147/2015, con decorrenza dall’esercizio 2016, stabilisce l’imponibilità della sopravvenienza attiva generata dalla rinuncia per l’importo che eccede il valore fiscale del credito del socio. Il socio, precisa la norma, deve attestare il valore fiscale del credito rinunciato mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio; in mancanza della dichiarazione, il valore si assume pari a zero (con l’integrale tassazione della rinuncia sulla partecipata). Riprendendo l’esempio precedente, Beta, con la nuova normativa, una volta ricevuta la dichiarazione di Alfa circa il valore fiscale del credito rinunciato (20.000 euro), dovrà operare una variazione in aumento di 80.000 euro (eccedenza del valore rinunciato rispetto all’importo fiscale) nella propria dichiarazione dei redditi.

2. Rinuncia al credito per Tfm e regime delle sopravvenienze attive Un aspetto problematico che si pone nella determinazione del valore fiscale dei crediti rinunciati riguarda le poste che sono sorte direttamente in capo al socio per effetto di redditi maturati, ma non ancora sottoposti a tassazione, come ad esempio nel caso di crediti per trattamento di fine mandato dei soci-amministratori o di crediti per prestazioni professionali di soci-lavoratori autonomi. La questione ha formato oggetto della risoluzione n. 124/E del 13 ottobre 2017, con la quale l’Agenzia delle entrate ha esaminato l’interpello di una società che ha, per diversi esercizi, accantonato e dedotto fiscalmente gli importi spettanti agli amministratori a titolo di trattamento di fine mandato (Tfm). La risoluzione sottolinea che la deduzione per competenza delle quote di Tfm spetta (risoluzione n. 211/E del 22 maggio 2008) solo se l’attribuzione del Tfm stesso risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto. In occasione della vendita della società, gli amministratori (soci e non soci) procedono a rinunciare ai crediti maturati in relazione al Tfm. La società ha richiesto, mediante interpello, quale sia il corretto trattamento fiscale della rinuncia in questione, sia per la società stessa che per gli amministratori. In merito ai riflessi in capo alla società della rinuncia operata dai soci-amministratori, la risoluzione, nel ricordare il regime previsto dall’art. 88, comma 4-bis, del T.U.I.R., afferma in primo luogo che l’intassabilità opera (nei limiti del valore fiscale del credito rinunciato) solamente quando la rinuncia è giustificata dalla volontà del socio di patrimonializzare la partecipata. L’Agenzia delle entrate afferma poi che, in presenza di crediti per il Tfm dovuto a persone fisiche non imprenditori, “non è ravvisabile alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore

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nominale”. Conseguentemente, conclude la risoluzione, la partecipata non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva ai sensi della disposizione sopra citata. Nel caso, precisa l’Agenzia, neppure risulterà necessario il rilascio della attestazione circa il valore fiscale del credito rinunciato, non potendosi verificare quelle distorsioni, dovute al disallineamento tra valore nominale e valore fiscale dei crediti, che sono ravvisabili in presenza di una attività di impresa. A questo riguardo, va però segnalato che la norma sulla tassazione delle sopravvenienze attive si applica certamente anche in presenza di soci-creditori persone fisiche, in particolare nel caso in cui gli stessi vantino crediti che derivano da un precedente acquisto effettuato ad un prezzo inferiore al valore nominale. In queste situazioni, pertanto, la dichiarazione sostitutiva circa il valore fiscale del credito risulta indiscutibilmente obbligatoria. La generica affermazione ministeriale deve dunque essere applicata con estrema prudenza, essendo dunque sempre opportuno il rilascio della dichiarazione sostitutiva anche in presenza di soci non imprenditori. Qualora la rinuncia al Tfm sia invece attuata dagli amministratori non soci, troverà applicazione il regime generale delle sopravvenienze attive (art. 88, comma 1, T.U.I.R.) e la società debitrice dovrà sottoporre a tassazione l’importo rinunciato, trattandosi del venir meno di oneri dedotti dal reddito di impresa in precedenti esercizi. La coincidenza, sostenuta dalle Entrate, tra il valore fiscale ed il valore nominale del credito per Tfm rinunciato dal socio-amministratore, che porta a non ritenere tassabile la sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata, desta invero più di una perplessità anche per effetto della mancanza di una puntuale definizione normativa del concetto di “valore fiscale”79. In assenza di disposizioni specifiche, potrebbe ritenersi che il “valore fiscale” del credito sia, in generale, costituito dall’importo da contrapporre fiscalmente al valore percepito, in caso di realizzo (incasso o cessione del credito), per determinare l’imponibile del creditore. Per i crediti che sorgono a seguito di un provento maturato, ma non ancora tassato80, adottando questa interpretazione si giunge dunque alla conclusione che il valore fiscale del credito è pari a zero, dato che, a seguito del realizzo del credito stesso (sia per effetto dell’incasso, sia per effetto della relativa cessione), il contribuente consegue un reddito esattamente pari all’importo percepito (valore nominale del credito), senza alcuna deduzione. La posizione del socio persona fisica con credito maturato ma non assoggettato ad imposta (redditi imponibili con criterio di cassa) corrisponde dunque alla posizione dell’impresa che vanta un credito commerciale (sorto a fronte di un ricavo imponibile) che viene successivamente svalutato (con svalutazione interamente dedotta)81. La deduzione - che “azzera fiscalmente” il ricavo originariamente tassato - porta l’impresa in una situazione analoga a quella di una persona fisica che ha maturato un provento (e un correlato credito) che non è stato mai tassato82. L’incasso di una somma a seguito del realizzo del credito (pagamento da parte del debitore o cessione a terzi del credito) comporterà in entrambi i casi un identico ammontare di reddito imponibile. Sulla base di questo inquadramento del concetto di “valore fiscale”, laddove il credito del socio-amministratore per Tfm maturato fosse pari al suo valore nominale, come è stato indicato dall’Agenzia delle entrate nella risoluzione in commento, un successivo realizzo del credito stesso (ad esempio per la cessione a titolo oneroso ad un prezzo pari al valore nominale) non dovrebbe generare alcuna tassazione in capo al creditore, conclusione che è evidentemente in contrasto con le regole della imponibilità per cassa dei redditi delle persone fisiche.

79 Il disposto dell’art. 110 del T.U.I.R., che definisce il concetto di costo (fiscale) dei beni, pare difficilmente applicabile al caso dei crediti sorti in capo ad un contribuente a fronte di proventi non assoggettati ad imposte sui redditi.

80 Oltre al caso del Tfm, esaminato nella risoluzione n. 124/E/2017, potrebbe trattarsi di un credito per compensi professionali fatturati dal socio alla società, ma non ancora tassati in quanto non percepiti.

81 Si pensi al caso di un credito derivante da ricavi imponibili (per 1.000 euro) realizzati nei confronti di un cliente (società partecipata) successivamente dichiarato fallito. L’impresa creditrice svaluta integralmente il credito (deducendo 1.000 euro) ai sensi dell’art. 101 del T.U.I.R. e il credito, che mantiene un valore nominale di 1.000 euro, assume “valore fiscale” pari a zero. Reddito tassato: (1.000 - 1.000) = zero. Valore fiscale del credito (1.000 - 1.000) = zero.

82 Si pensi ad un contribuente persona fisica che ha emesso una fattura di 1.000 euro verso un cliente (società partecipata) che non è stata incassata. Reddito tassato = zero. Valore fiscale del credito = zero.

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La risoluzione non prende in esame i profili fiscali della rinuncia, da parte di amministratori-soci, a compensi ordinari maturati ma non pagati. Trattandosi di oneri che, per la società, sono deducibili solo all’atto del pagamento, la rinuncia al credito non rientrerà mai tra le ipotesi considerate sopravvenienze attive dall’art. 88, comma 1, del T.U.I.R., essendosi in presenza del venir meno di costi “non dedotti” in precedenti esercizi. Mancando il presupposto impositivo “generale” (comma 1 dell’art. 88), e ciò sia per amministratori-soci che per amministratori non soci, neppure si dovrà stabilire l’applicabilità della norma esonerativa “speciale” (comma 4-bis dell’art. 88). In questo caso, non vi dovrebbe dunque essere nessun riflesso fiscale né per la società (nessuna tassazione) né per il socio-amministratore (non applicandosi cioè il “teorema” dell’incasso giuridico; si veda il punto successivo).

3. IL “TEOREMA” DELL’INCASSO GIURIDICO La risoluzione n. 124/E/2017, dopo aver affermato l’irrilevanza in capo alla società debitrice della rinuncia al credito vantato dal socio-amministratore, stante la asserita coincidenza tra il valore fiscale e il valore nominale del credito sorto in capo ad una persona fisica, esamina la posizione del socio rinunciante. Viene a questo riguardo richiamato il principio del c.d. incasso giuridico sostenuto nella datata C.M. n. 73 del 27 maggio 1994 e successivamente ripreso da alcune sentenze della Cassazione. Richiamando i principi interpretativi dettati da tali sentenze, l’Agenzia delle entrate afferma che nel caso di soci-amministratori, la rinuncia con finalità di patrimonializzazione della partecipata, producendo un incremento del costo della partecipazione corrispondente al valore fiscale del credito rinunciato, dovrà generare la tassazione in capo al socio in forza dell’avvenuto incasso giuridico. La società, pertanto, dovrà assoggettare l’importo rinunciato alle ritenute alla fonte come se lo stesso fosse stato materialmente erogato. Nel caso invece degli amministratori non soci, in assenza di contropartita alla rinuncia, e non potendo dunque la rinuncia stessa incrementare il costo della partecipazione, il principio dell’incasso giuridico non troverà applicazione. L’atto di rinuncia darà origine, peraltro, e come in precedenza ricordato, alla tassazione della corrispondente sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata.

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ALTRE NOVITÀ INTERPRETATIVE E GIURISPRUDENZIALI IN MATERIA DI REDDITO DI IMPRESA

1. Modifiche alla disciplina del transfer pricing (art. 110, c. 7, T.U.I.R.) Il D.L. n. 50/2017 ha modificato il testo dell’art. 110 comma 7 del T.U.I.R. che disciplina la valorizzazione fiscale dei componenti reddituali delle operazioni con parti correlate non residenti. Per allineare il dato letterale alle regole OCSE si è sostituito il riferimento al “valore normale” dei beni e servizi scambiati con “le condizioni e i prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili”. La novità assume, nella pratica applicazione del transfer pricing, una portata assai limitata, dato che da tempo nella valorizzazione dei rapporti con società consociate estere l’Amministrazione finanziaria fa espresso riferimento ai criteri dettati dalle linee guida OCSE (si veda ad esempio il provvedimento del 29 settembre 2010 sulla documentazione per l’esimente da sanzioni). Nel senso della natura interpretativa della norma si è espressa ASSONIME nella circ. 17/2017.

2. Incremento dei limiti di costo rilevante per i canoni di noleggio delle auto di agenti e rappresentanti

La L. n. 232/2016 ha modificato l’art. 164 del T.U.I.R., incrementando a € 5.1764,57 il limite (in precedenza 7 milioni di vecchie lire) di costo rilevante per i canoni di noleggio a lungo termine di autovetture utilizzate da agenti e rappresentanti di commercio (soggetto poi alla deducibilità dell’80%).

3. Ammortamento dei terreni sottostanti a distributori di carburanti: Sentenza a SS.UU. n. 10225/2017

La Cassazione, con sentenza delle Sezioni unite n. 10225/2017, ha affermato che il costo del terreno su cui insiste un impianto di distribuzione carburanti è fiscalmente ammortizzabile a condizione che il terreno abbia una utilizzazione limitata nel tempo. La sentenza della Cassazione si riferisce a fatti di causa precedenti al 2006, e dunque prima della entrata in vigore dell’art. 37 del Dl 223/2006, norma che ha introdotto nell’ordinamento fiscale il principio di irrilevanza del costo delle aree sottostanti o pertinenziali a fabbricati strumentali ai fini del calcolo delle quote di ammortamento di questi ultimi. Ciononostante, la sentenza afferma principi interpretativi validi anche nel vigente quadro normativo. Secondo la Cassazione, infatti, anche l’attuale disposizione deve esser interpretata nel senso che il costo dei terreni occupati dal fabbricato (ancorché separatamente individuato) è ancora oggi ammortizzabile, nonostante l’espressa indeducibilità dell’ammortamento riferito alla quota parte del costo dell’immobile attribuibile al terreno, poiché quest’ultima disposizione va comunque derogata se si tratta di terreni (come quelli sottostanti a stazioni di sevizio) che hanno una vita utile limitata a seguito dei rilevanti costi di bonifica al termine del periodo di utilizzo. La sentenza si sofferma poi sul contenuto del recente principio OIC 16 (vers. 2016), secondo cui “se il valore dei fabbricati incorpora anche quello dei terreni sui quali insistono, il valore del fabbricato va scorporato, anche in base a stime, per essere ammortizzato”. Secondo la Cassazione, anche nei bilanci redatti con i nuovi principi contabili, lo scorporo non esclude l'ammortamento del costo del terreno, ove ne ricorrano le già viste eccezionali condizioni riguardanti la vita utile e i costi finali di ripristino.

4. Spese di manutenzione: libertà del contribuente tra capitalizzazione e deduzione nei limiti del 5%. La Cassazione con la sentenza n. 18810/2017 ha affermato che l’art. 102 del T.U.I.R. “consente all'imprenditore di esercitare l'opzione tra la capitalizzazione delle spese incrementative, quale aumento del costo del bene ammortizzabile, ovvero la loro deduzione immediata entro i limiti quantitativi prefissati (deduzione di importo non superiore al 5% del costo complessivo dei beni ammortizzabili; deduzione dell'eccedenza per quote costanti nei cinque esercizi successivi)”.

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5. L’uscita del bene strumentale dal processo produttivo senza la sua eliminazione fisica non consente la deduzione di quote di ammortamento fino al momento della cessione (Cassazione Sent. n. 21239/2017)

Con la Sentenza 21239/2017, la Cassazione ha affermato il principio secondo cui in relazione ai beni per i quali è venuta meno ogni utilità rispetto ai processi produttivi, ancorché i beni stessi vengano fisicamente eliminati solo in un momento successivo, si deve sospendere l’ammortamento fiscale negli esercizi in cui i beni stessi non vengono utilizzati, portando in diminuzione del reddito d’impresa l’eventuale minusvalenza derivante dalla cessione di tali beni al momento della loro eliminazione “fisica”. La Sentenza detta dunque due regole:

a. La deduzione dell’ammortamento fiscale va sospesa sui beni definitivamente dismessi dal processo produttivo.

Questa regola va confrontata con le disposizioni contabili. Il doc. OIC 16, par. 57, afferma che l’ammortamento è calcolato anche sui cespiti temporaneamente non utilizzati. Le immobilizzazioni materiali che vengono successivamente destinate all’alienazione sono riclassificate nel circolante e non sono più oggetto di ammortamento (par. 79). La stessa disciplina si applica anche ai cespiti obsoleti e in generale ai cespiti che non saranno più utilizzati o utilizzabili nel ciclo produttivo in modo permanente. Tali beni sono valutati al minore tra il valore netto contabile e il valore recuperabile, oltre a non essere più oggetto di ammortamento (par. 80).

b. La norma contenuta nell’art. 102, comma 4, del T.U.I.R. secondo cui per i cespiti eliminati dal processo produttivo il costo residuo è ammesso in deduzione si applica solo al momento di “eliminazione fisica” del bene e non in caso di mero distacco, anche se definitivo, del bene dalle sue funzioni in azienda.

Sul punto, l’orientamento di parte della dottrina è contrario. L’eliminazione fisica del bene sarebbe disciplinata, rispettivamente dal comma 1 (minusvalenza da realizzo) o dal comma 5 (perdite dei beni strumentali, con l’aggiunta delle regole formali del D.P.R. n. 441/1997) dell’art. 101 del T.U.I.R. e dunque la disposizione contenuta nell’art. 102 non può che essere riferita ad una “eliminazione” in senso tecnico-economico e non fisico. Nello stesso senso si esprimeva peraltro la relazione ministeriale allo schema di Testo unico delle imposte sui redditi.

6. Oneri per difesa penale di dipendenti non inerenti: Cassazione Sent. n. 6185/2017

La Cassazione con sentenza n. 6185/2017 ha ritenuto non deducibili le spese di difesa penale dei dipendenti. La Sentenza afferma che “rimborsando le spese di difesa sostenute da propri dipendenti per difendersi nel procedimento penale dalla querela proposta da altri dipendenti, la contribuente abbia agito per un proprio interesse; ciò non basta però a giustificarne la deduzione, in assenza di qualsiasi correlazione fra la spesa con "un'attività potenzialmente idonea" a produrre utili, secondo la nozione di inerenza così come precisata dalla giurisprudenza di questa Suprema corte (Cass. 27 febbraio 2015, n. 4041; Cass. 21 gennaio 2009, n. 1465; Cass. 27 febbraio 2005, n. 4941). Torna qui utile ricordare, seppure la fattispecie sia diversa, che la deduzione delle spese di difesa è negata dalla giurisprudenza anche se il rimborso abbia riguardato spese sostenute dal "legale rappresentante imputato in un procedimento penale, a nulla rilevando che il capo d'imputazione concernesse fatti compiuti nello svolgimento dell'incarico" (Cass. 14 dicembre 2012, n. 23089).”

7. Spese di sponsorizzazione La Cassazione continua ad occuparsi della qualificazione delle spese di sponsorizzazione adottando una tesi rigida che porta ad equiparare tali oneri a quelli di pubblicità, anziché di rappresentanza, solo dimostrando una diretta aspettativa di ritorno commerciale dalla sponsorizzazione. Cassazione Sent. n. 3341/2017: “Le spese di sponsorizzazione non sono infatti spese di pubblicità ma costituiscono spese di rappresentanza che, a differenza delle spese di pubblicità che sono interamente deducibili, lo sono solo nei limiti dell'art. 108 (del D.P.R. n. 917 del 1986, ex 74, comma 2), ove il contribuente non provi che all'attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale (Sez. 5, Sentenza n. 21977 del 28/10/2015)”.

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Cassazione Sent. n. 28690/2017: “Costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l'immagine dell'impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese di pubblicità o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell'attività svolta, con la conseguenza che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti della norma menzionata, ove il contribuente non provi che all'attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale”. Si è invece confermato che, laddove la sponsorizzazione sia effettuata nei confronti di una società sportiva dilettantistica il costo sostenuto fino ad € 200.000 annui è comunque deducibile ai sensi dell’art. 90 della L. n. 289/2002 senza possibilità per il fisco di entrare nel merito della inerenza della spesa: Cassazione Sent. n. 21578/2017.

8. Spese di ospitalità tra oneri commerciali e di rappresentanza: Cassazione Sent. n. 8850/2016 Nella Sentenza 8850 del 4 maggio 2016, la Cassazione ha affrontato il caso83 di spese sostenute da una società organizzatrice di mostre e sfilate, per ospitare ed intrattenere giornalisti specializzati in occasione di tali eventi. L’Agenzia, diversamente dal contribuente, aveva qualificato tali oneri tra le spese di rappresentanza (rendendo dunque indetraibile l’Iva ad essi afferente ai sensi dell’art. 19-bis1 DPR 633/1972), mentre i giudici di merito ne avevano affermata la natura pubblicitaria, in relazione al fatto che la domanda di spazi espositivi è comunque stimolata dagli interventi dei media e dell’editoria specializzata, nei cui confronti erano indirizzate le spese in esame. La Cassazione ha condiviso l’orientamento dei giudici di merito ritenendo che si trattasse di costi pubblicitari. La Cassazione ricorda preliminarmente che costituiscono spese di rappresentanza quelle per iniziative volte ad accrescere il prestigio o l'immagine dell'impresa, mentre vanno qualificate come spese di pubblicità quelle sostenute per iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell'attività svolta. Con riguardo ai costi sostenuti per offrire ospitalità (vitto, viaggio, alloggio, intrattenimento), la sentenza evidenzia che vi sono state talune oscillazioni interpretative nei giudizi di legittimità: ad esempio, i pranzi offerti alla clientela sono stati considerati attività pubblicitaria in taluni casi (7803/2000 e 10959/2007) mentre in altre situazioni, insieme alle spese di alloggio, si sono qualificati come rappresentanza. Nella fattispecie oggetto del contenzioso, i giudici affermano che il successo delle iniziative realizzate dalla società (che, come detto, organizza eventi e sfilate di moda) “dipendono in larga misura (…) dalla risonanza che gli eventi da essa organizzati sono in grado di conquistarsi nella vasta platea degli interessati”. Se dunque il bene o il servizio si vende, perché gli operatori del settore lo considerano utile al proprio business, e se a suscitare l'interesse di costoro sono i resoconti che la stampa specializzata vi dedica, è da ritenere che le spese per ospitalità ai giornalisti non siano spese di rappresentanza indeducibili, ma spese di pubblicità funzionalmente collegate a fatti generatori di ricavi. Conseguentemente, afferma la Sentenza, anche le spese per l'ospitalità della stampa specializzata che è chiamata a presenziare agli eventi fieristici contribuiscono alla vendibilità del bene o del sevizio che essa produce e vanno conseguentemente inquadrate tra le spese pubblicitarie. Le affermazioni della Cassazione84, devono essere calate nell’attuale quadro normativo – caratterizzato da disposizioni specifiche riguardanti sia gli eventi fieristici e simili, sia le spese di ospitalità - per verificare se una analoga conclusione possa essere tratta anche con riferimento a spese sostenute negli esercizi correnti. L’art. 1, comma 1, lett. d), del DM 19 novembre 2008 inquadra nell’ambito della rappresentanza le spese per

83 La contestazione riguardava la detraibilità dell’Iva ai sensi dell’art. 19-bis1 del DPR 633/1972, ma le conclusioni a cui giungono i Supremi Giudici possono estendersi anche alle imposte sui redditi dato che la norma, come in precedenza ricordato, si occupa degli acquisti che costituiscono spese di rappresentanza in quest’ultimo ambito impositivo. 84 Situazioni simili possono porsi in relazione alla ospitalità, nel corso di eventi di comunicazione (mostre, fiere, sfilate, ecc.), offerta a tutti quei soggetti la cui attività, analogamente a quella dei giornalisti specializzati nei diversi settori (moda, automotive, food, materiale sportivo, ecc.), ha impatto sulle scelte dei consumatori o comunque dei clienti dell’impresa, come nel caso di architetti o designer da parte di aziende che producono mobili, arredi o materiali da costruzione, chef famosi da parte di aziende del settore food and beverage, ecc..

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feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di mostre, fiere ed eventi simili in cui sono esposti i beni e servizi prodotti dall’impresa. Il comma 5 del medesimo art. 1 esclude invece dal novero della rappresentanza, le spese per l’ospitalità (viaggio, vitto e alloggio) offerta nei confronti di clienti, anche potenziali, in occasione dei medesimi eventi sopra individuati, nonché durante visite a sedi, stabilimenti ed unità produttive dell’impresa. La distinzione tra le due disposizioni, entrambe come detto riferite a spese sostenute in occasione di mostre, fiere e simili, è data dal fatto85 che, nel primo caso (spese per feste e, in genere, per intrattenimento), la spesa è integralmente di rappresentanza, ancorché alla festa o al ricevimento intervengano clienti attuali o potenziali86, mentre, nel secondo caso (viaggio, vitto, alloggio), la spesa, limitatamente a quanto sostenuto per clienti anche potenziali 87, esula dal concetto di rappresentanza e costituisce ordinario onere commerciale inerente, posto che il comma 5 del DM costituisce disposizione speciale che prevale su quella del comma 1, lett. d)88. L’Agenzia delle entrate, nella circolare 34/E/2009, ha inoltre affermato che qualora le spese di ospitalità (comma 5 del DM) siano sostenute in maniera indistinta sia per i clienti che per soggetti diversi 89, esse vengono attratte dal regime delle spese di rappresentanza (comma 1, lett. d) non potendosi applicare il comma 5 che come detto presuppone una (documentata) fruizione esclusiva da parte dei clienti 90. Non è chiaro, alla luce delle due norme sopra richiamate, quale sia il trattamento da riservare a spese per intrattenimenti (che rientrerebbero nel primo gruppo, cioè sempre spese di rappresentanza) organizzati esclusivamente (e in modo documentato e documentabile) a favore di clienti, come ad esempio nel caso di feste in occasione di visite allo stabilimento o ad una showroom per la presentazione di prodotti, ovvero ancora in un punto vendita in concomitanza con l’uscita di nuovi prodotti o collezioni. Si dovrebbe ritenere91 che tali spese vadano assimilate a quelle commerciali (comma 5) piuttosto che a quelle di rappresentanza (comma 1, lett. d). Venendo ora alla analisi, in relazione alle vigenti disposizioni, del caso sottoposto al vaglio della Cassazione nella sentenza sopra richiamata92, va ricordato che l’Agenzia delle entrate, nella circolare 34/E/2009, ha fornito una definizione estremamente ristretta del concetto di “clienti, anche potenziali” a cui si riferisce il comma 5 del DM. È stato infatti affermato che, per clienti, s’intendono “i soggetti attraverso i quali l’impresa consegue attualmente i propri ricavi”, mentre con la locuzione clienti potenziali ci si riferisce ai “soggetti che abbiano, in qualche modo, già manifestato o possano manifestare un interesse di natura commerciale (acquisto) verso i beni ed i servizi dell’impresa”. La potenzialità può essere dedotta, continua la circolare, dalla attività del soggetto che partecipa all’evento, la quale deve essere affine, o collegata nell’ambito della filiera produttiva, a quella dell’impresa organizzatrice. Conseguentemente, secondo l’Agenzia, vanno esclusi dal novero di coloro che legittimano la deduzione integrale delle spese di ospitalità sostenute in occasione degli eventi sopra indicati, tutti gli altri soggetti, quali i fornitori o i giornalisti, nonché gli agenti di commercio.

85 C.M. 13 luglio 2009, n. 34/E. Sul punto anche Assonime, circ. 16/2009, pag. 17. 86 Si tratta infatti di spese per servizi (si pensi ad un concerto organizzato nel corso di una fiera) che hanno come fruitori una serie di soggetti indistinti, e che dunque non possono essere analiticamente riferite a clienti o potenziali clienti. 87 Fatto questo che deve risultare da una specifica documentazione. 88 C.M. 34/E/2009, par. 6.1.2. 89 La circolare formula l’esempio di un buffet offerto durante una fiera a cui partecipano sia clienti che terzi in genere. 90 Secondo Assonime (circ. 32/2009, nota 6), in realtà, tranne che in alcune ipotesi marginali di fruizione cumulativa, dovrebbe essere sempre possibile enucleare in modo preciso le singole spese per viaggio, vitto e alloggio riferite ai clienti, ottenendo la loro deduzione a norma del comma 5. 91 Assonime, circ. 16/2009, nota 15. 92 Il caso, lo ricordiamo, riguardava una società organizzatrice di eventi (mostre e sfilate di moda) che ospitava giornalisti specializzati. Anche per queste fattispecie, il comma 5 del DM 19 novembre 2008 prevede la deducibilità delle sole spese di ospitalità riguardanti clienti e potenziali clienti (e non giornalisti). La C.M. 34/E/2009 ha altresì affermato la deducibilità integrale delle spese sostenute da tali società per organizzare conferenze tenute da personalità nello specifico settore oggetto della manifestazione, mentre non si è prevista alcuna deroga per l’ospitalità a giornalisti o soggetti simili.

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Le affermazioni della Cassazione, circa la rilevanza commerciale e pubblicitaria della ospitalità offerta a giornalisti qualificati in occasione di eventi commerciali quali mostre, fiere, sfilate, ecc., deve dunque ritenersi superata dal più recente quadro normativo, o vi è spazio per ritenere ancora valide tali indicazioni? La restrittiva lettura del comma 5, data dalla C.M. 34/E/2009, porta indubbiamente a ritenere che, secondo l’Agenzia, i principi affermati dalla Suprema Corte non siano applicabili nell’attuale contesto. Il fisco, interpretando in modo letterale il concetto di “clienti”, esclude infatti espressamente ogni altro soggetto – compresi i giornalisti - dal regime di deduzione integrale, senza, apparentemente, alcuna possibilità di diversa argomentazione. Attraverso una interpretazione più ampia della norma, che rivaluti, al di là delle specifiche casistiche contenute nel comma 5, i principi generali per l’individuazione delle spese di rappresentanza può invece esservi spazio per giungere ad una differente conclusione. Se si considera che, come afferma la Cassazione, le attività volte a sollecitare i giornalisti specializzati a partecipare ad eventi commerciali (offrendo loro viaggio, vitto e alloggio), affinché li illustrino con propri interventi sui giornali e sui mezzi di comunicazione per i quali lavorano, contribuiscono direttamente alla vendibilità del bene o del servizio nello stesso identico modo dell’acquisto di una pagina pubblicitaria su un giornale o sul web, si può sostenere che la spesa dovrebbe, a monte, essere esclusa dal concetto di rappresentanza, per essere ricompresa nelle ordinarie spese commerciali da dedurre secondo le regole dell’inerenza dell’art. 109 del Tuir. In questo senso, potrebbe ritenersi che, anche dopo l’emanazione del DM 19 novembre 2008, l’ospitalità a giornalisti specializzati e a soggetti che (differentemente da fornitori, consulenti, autorità o personaggi semplicemente “noti”) operano professionalmente nel campo della comunicazione specializzata sui prodotti dell’azienda, o comunque che indirizzano le scelte dei consumatori e dei clienti verso cui si rivolge l’impresa, esuli dalla disciplina in esame. Mancherebbe, in altri termini, il requisito stesso della “gratuità” 93 posto che l’ospitalità viene offerta al fine di garantirsi la comunicazione e la diffusione di informazioni sui prodotti presentati nell’evento commerciale 94, esattamente come avviene quando la società acquisisce una pagina pubblicitaria. Questa tipologia di spesa potrebbe dunque essere assimilata a quella per l’ospitalità offerta ad agenti e rappresentanti in occasione della presentazione dei prodotti, per la quale la stessa Agenzia ha affermato che, pur se manca un collegamento diretto con la produzione dei ricavi (come invece si verifica per quella offerta a clienti), “l’inerenza deve essere valutata alla stregua dei principi generali dell’articolo 109 del Tuir, prescindendo dalla applicazione della disposizione”. La particolare rilevanza della questione meriterebbe peraltro uno specifico intervento ufficiale.

93 E ciò anche in assenza di alcun accordo contrattuale che vincoli il giornalista, dato che quest’ultimo (a differenza ad esempio dei VIP beneficiari di capi griffati, come si dirà nel successivo par. 4) interviene all’evento in cui è ospitato proprio e solo al fine di illustrarlo con articoli sui mezzi di comunicazione. 94 Si pensi ad un giornalista di una rivista di moda invitato a spese di un’impresa di abbigliamento alle sfilate ove vengono presentate le nuove collezioni. La “controprestazione” di questa ospitalità (che dunque non sarebbe realmente connotata dalla gratuità) consisterebbe nella pubblicazione dell’articolo illustrativo e del correlato materiale fotografico sulle pagine della rivista.