Il Cagliaritano - SPECIALE SANT'EFISIO

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Anno 40, N. 3 40° 40° ANNO ANNO 1 € 1 € LA SAGRA DI SANT’EFISIO Patrimonio dell’umanità THE FESTIVAL OF ST. EFISIO Mankind property FOTO DI COPERTINA, ROBERTO TRONCI

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Numero speciale della rivista Il Cagliaritano interamente dedicato alla festa di Sant'Efisio, con testo in italiano e in iglese.

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Anno 40, N. 3

40°40°ANNOANNO

1 €1 €

LA SAGRA DI SANT’EFISIOPatrimonio dell’umanità

THE FESTIVAL OF ST. EFISIOMankind property

FOTO DI COPERTINA, ROBERTO TRONCI

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LA SAGRA DI

SANT’EFISIOPATRIMONIO DELL’UMANITÀ

Testo, Antonello Angioni

2 · FOTO, ROBERTO TRONCI

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Dal 1657, il 1° maggio, nella città di Cagliari si svolge la sagra di Sant’Efisio: uno straordinario raduno delle genti isolane attraverso il quale si adempie ad un antico voto fatto dalla Municipalità al suo santo protettore. Per comprendere il significato storico e religioso dello spettacolare evento occorre

andare a ritroso nel tempo, sino al 1652, allorché in Sardegna - dopo la spaventosa invasione delle caval-lette provenienti dai lidi africani - serpeggiava un morbo infido e tenace: la peste. Quella stessa descritta dal Manzoni nei Promessi sposi e che nell’Isola, come ogni cosa, era arrivata in ritardo: si dice annidata in un carico trasportato da una tartana spagnola approdata a Porto Conte, nei pressi di Alghero. Dal Nord della Sardegna il morbo si era propagato rapidamente sino alle zone più meridionali e si con-tavano centinaia di morti al giorno. Nel volgere di pochi anni, dal 1652 al 1656, la popolazione era stata decimata. A Cagliari la peste era giunta solo nell’ottobre del 1655 e la prima vittima illustre fu l’arcive-scovo mons. Bernardo de La Cabra la cui morte venne a lungo tenuta segreta1. Ma il focolaio si estese e, nell’ottobre del 1656, infuriò in proporzioni sempre più preoccupanti. Si registrarono punte giornaliere di duecento morti2. Ai cagliaritani, non essendosi rivelato sufficiente l’intervento dei luminari della scienza, non restava che rivolgersi al Cielo. La richiesta di protezione si rivolse a Sant’Efisio cui, fin dalle prime notizie del diffondersi del morbo in Sardegna, si erano elevate preghiere ed il cui simulacro era stato esposto in Cattedrale3. Il voto risale all’11 luglio del 1652 allorché la città non aveva ancora risentito della peste che invece divampava in di-versi centri dell’Isola: insomma, meglio prevenire che curare. Cagliari venne dichiarata “infetta” solo il 6 marzo del 1656.

1 Le cronache dicono che il terribile morbo penetrò per mezzo di un ermellino che l’arcivescovo de La Cabra aveva ricevuto da Suelli o, secondo altri, da San Pantaleo (Dolianova). Per una ricostruzione completa delle vicende che portarono all’istituzione della sagra in onore di sant’Efisio, si veda la monografia di Paolo De Magistris, Dalla peste alla festa. La devozione per sant’Efisio, Cagliari, 1993.2 Tali notizie le fornisce il padre Giorgio Aleo nella Historia cronologica de todos los successos del reyno de Sardana del año 1637 a 1672, manoscritto custodito nella Biblioteca universitaria di Cagliari.3 Il can. Felice Putzu, S. Efisio Martire, Cagliari, 1955, p. 21, racconta che nel 1652, al fine di riavere le reliquie del santo, erano stati inviati da Cagliari a Pisa due padri scolopi. Avevano le giuste credenziali (le lettere dell’arcivescovo e del vicerè indirizzate al granduca di Toscana) per cui la legazione ebbe esito favorevole. Ma all’apertura dell’urna (che conteneva le reliquie dei santi Efisio e Potito) si constatò che i resti mortali si erano ridotti in polvere e che di sant’Efisio mancava persino il cranio. Ma tanto bastava per dare un minimo di substrato fisico all’invocazione.

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Con Sant’Efisio la città doveva avere un ottimo rapporto ove si consideri che, già nel 15484, l’Amministra-zione civica si riconobbe sua debitrice attraverso l’istituzione di un censo per la celebrazione di messe nella chiesa di Stampace: la stessa da cui tuttora prende avvio la processione5. E tutto ciò accadeva no-nostante Efisio non fosse uno dei santi più “accreditati” dalla Chiesa tant’è che più d’uno aveva dubitato persino della sua storicità. Altri si erano affannati alla ricerca delle “prove”. Tutto inutile posto che nes-suna prova è necessaria a chi crede e qualsiasi prova non sarebbe sufficiente per chi non crede. Dunque, prendere o lasciare. Del resto il tramandarsi della fama di un santo e della devozione popolare, che ne alimentano e rafforzano il ricordo nei secoli, non garantiscono di per sé né la certezza della sua esistenza storica, né l’antichità del culto.Che la tradizione si fondi su verità o leggenda poco importa: ciò che conta è che abbia avuto la forza di arrivare sino a noi, attraverso i secoli, da quando per la prima volta il simulacro del santo-guerriero (che alla spada e alla corazza accompagna la palma del martirio) si trovò circondato da genti appositamente venute da ogni contrada dell’Isola a ringraziare e pregare: era il 16576.Secondo la tradizione Efisio era originario di Elia, città della Siria. Giovane ufficiale dell’esercito romano7, dopo aver fatto una brillante carriera alla corte di Diocleziano, viene inviato in missione nell’Italia meri-dionale e poi in Sardegna; si converte alla religione cristiana, viene arrestato e - poiché non abiura la nuova fede - viene incarcerato in una cavità profonda sita nel quartiere di Stampace e poi martirizzato nei pressi di Nora. Tutto ciò si sarebbe verificato nel gennaio dell’anno 3038.

4 Con delibera assunta il 27 marzo del 1548 si decise di costituire un censo di quarantatré soldi per otto messe da celebrarsi ogni anno “per amore e devozione verso il Beato Efisio e la sua chiesa esistente in Stampace” e ciò “per volontà del viceré di Sardegna oltre che dei consiglieri della città”.5 L’attuale chiesa è il frutto di una ricostruzione del 1780-1782. L’edificazione della struttura primitiva risaliva invece al 430.6 Per un’efficace sintesi delle vicende che portarono all’istituzione della sagra di sant’Efisio v. l’opuscolo Storia di una sagra curato dall’ex sindaco di Cagliari Paolo De Magistris per il Comune di Cagliari.7 Sant’Efisio non è l’unico soldato romano che abbraccia la fede cristiana sino alle estreme conseguenze. Infatti il culto dei santi militari in Sardegna è assai diffuso: da San Costantino a Sant’Espedito ed altri ancora.8 In realtà anche il martirio di sant’Efisio è privo di riscontri storici precisi. La tradizione trae origine dalla vita di sant’Efisio scritta dal presbitero Marco addirittura dopo il Mille: una narrazione assai simile alla Passio del martire orientale Procopio. Tuttavia i bollandisti, i rigorosi critici dell’agiografia che eliminarono tanti santi creati dalla fantasia popolare, riconobbero che il culto verso sant’Efisio aveva i caratteri della storicità.

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Di una chiesa sita in Nora intitolata a Sant’Efisio si ha la certezza nel 1089 allorché Costantino, giudice di Cagliari, ne fece donazione ai monaci dell’abbazia di San Vittore di Marsiglia. Ma già l’anno precedente i pisani avevano portato via dalla chiesa le reliquie di Sant’Efisio assieme a quelle di san Potito9: circostanza che comprova l’esistenza, intorno al santo, di un culto di una certa rilevanza. Si aggiunga che nella relazio-ne del viaggio compiuto in Sardegna dall’arcivescovo di Pisa Federico Visconti - risalente al 1263 - si parla di Sant’Efisio e che lo stesso è raffigurato nei preziosi affreschi realizzati nel 1391 da Spinello Aretino nel camposanto monumentale di Pisa10. Tutto ciò aiuta a comprendere perché i cagliaritani, terrorizzati dal possibile propagarsi della peste, si rivolsero proprio ad Efisio. All’apice della paura e della sofferenza il Magistrato civico fece voto che, se la peste fosse cessata, sarebbe stata organizzata una solenne processione nella quale il simulacro del santo avrebbe ripercorso il tragitto dallo stesso compiuto, dal “carcere” (posto sotto la chiesetta di Stampace) sino al luogo del martirio (la spiaggia di Nora) e viceversa. E poiché la peste allentò la sua micidiale morsa sino a sparire del tutto, nel maggio del 1657, il voto venne adempiuto e da allora si ripete con immutata devozione al calendimaggio. Solo nel 1917, per decisione dell’autorità di pubblica sicurezza, la sagra non potè svolgersi. L’anno succes-sivo a trainare il cocchio non furono i buoi inghirlandati ma i reduci della prima guerra mondiale ricono-scenti per la protezione avuta da Efisio. Nel 1794 invece la sagra venne differita a giugno per paura che gli animi ancora eccitati (alla fine del mese di aprile vi era stata la cacciata dei piemontesi) potessero provocare disordini. Nel 1907, allorché l’inondazione aveva ingoiato i ponti della Scaffa, la processione dovette compiere il suo tragitto lungo le rive della laguna di Santa Gilla.

9 Al riguardo si vedano gli scritti di Giuseppe Manno, storico della Sardegna.10 Paolo De Magistris, Storia di una sagra, cit.

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Anche nel 1943 la città, semidistrutta dai bombardamenti aerei e disabitata, non rinunciò allo scioglimento del voto e un pugno di fedelissimi - omesso ogni fasto - portò ugualmente il santo a Nora su un camioncino. Il mezzo attraversò una città deserta dove il silenzio spettrale si confondeva con l’odore acre della distru-zione e della morte11. Nel cassone, fissata da mani devote, la statua del santo col manto di damasco rosso e la corona. A seguire uno sparuto gruppo di fedeli che, anche in quel tragico momento, non volle rinunziare a chiedere l’intercessione di Efisio in favore della città tenendo fede, al tempo stesso, ad un giuramento (allora) vecchio di quasi tre secoli.Di particolare interesse - anche dal punto di vista demopsicologico - è il rapporto tra la città di Cagliari e il “suo” santo. La città ama intensamente Efisio, lo reputa l’espressione più nobile della propria storia sociale e religiosa. Il culto - che da secoli gli dedica ed investe tutti gli strati sociali - è antico ma, al tem-po stesso, sempre nuovo per le vive espressioni scaturenti dalla genuinità dell’animo popolare12. Il santo peraltro, assai singolarmente, non è considerato un essere soprannaturale ma è strettamente legato alla comunità ed ai suoi problemi; dialoga con la città attraverso un rapporto diretto, per i cagliaritani veraci è semplicemente “Efisio” o addirittura Efixeddu.

11 La vicenda è ricostruita in un interessantissimo documentario realizzato da Marino Cao, ora di proprietà della Sede regionale della RAI.12 Così si esprime Tonino Cabizzosu nella prefazione al libro di Lucio Artizzu, Storia di Efisio martire in Cagliari, pubblicato a Cagliari nel 2001.

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Ai fini di una migliore comprensione del valore della sagra, occorre anche considerare che - intorno alla figura di Sant’Efisio - a partire dalla seconda metà del XVII secolo è fiorita in tutta la Sardegna, ed a Ca-gliari in particolare, una vasta produzione di letteratura popolare. Al riguardo conservano una notevole importanza is goccius13, versi in onore di santi cantati in particolari occasioni religiose. Tali composizioni, a prescindere dal loro valore letterario, hanno il merito di aver tramandato attraverso i secoli la memoria e i prodigi di molti santi, consentendo così che un grande patrimonio storico, culturale e ideale non andasse disperso. Is goccius efisiani - giunti a noi soltanto in lingua sarda - tramandano le vicissitudini del santo e della sua esistenza terrena e danno vita ad una sorta di sacra rappresentazione.La tradizione popolare attribuisce a Sant’Efisio numerosi interventi prodigiosi. Nel 1721 - allorché si sparse la voce che alcuni partigiani della Spagna (la Sardegna era appena passata ai Savoia) avevano intenzione di avvelenare pozzi e cisterne - il santo apparve al viceré, barone Pallavicino di Saint Remy, al quale pre-sagì il grave pericolo che fu pertanto evitato. Nel febbraio del 1793, quando la flotta francese comandata dall’ammiraglio Truguet bombardava Cagliari, Efisio favorì la sconfitta degli invasori sollevando una tem-pesta in mare. Allora la Municipalità pronunciò un altro voto che si tuttora compie con la processione del Lunedì di Pa-squa14. In tale giorno, al termine di una suggestiva processione che parte di buon mattino dalla chiesetta di Stampace, il simulacro del santo viene collocato nel mezzo del Duomo fra quattro ceri. Dell’assedio del 1793 restano ricordi nella memoria cittadina e nella stessa chiesa stampacina di Sant’Efisio ove una lapide così ricorda l’evento: “Gallici furoris specimina adversus Calarim, divanae opis monumenta Sancto Efisio tutelari sacra”.

13 Il termine deriva dal catalano goig o dallo spagnolo gozo.14 Tale processione era stata autorizzata nel 1794 da papa Pio VI col breve Pretegensis e l’arcivescovo di Cagliari Filippo Vittorio Melano di Portula aveva assegnato alla stessa la funzione di riconoscenza al santo per aver preservato la città dall’assedio francese. Solo nel 1814, il Capitolo della Cattedrale di Cagliari fissò il giorno della processione nel Lunedì di Pasqua (prima si svolgeva il 15 gennaio, data del martirio di sant’Efisio).

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Oggi la sagra di maggio è la più grandiosa e genuina manifestazione di fede e folklore alla quale sia possibi-le assistere non solo in Sardegna ma probabilmente in tutta Italia. Il calendimaggio cagliaritano, tra l’altro, vede la singolare confluenza dei riti pagani, propiziatori della primavera, e del tributo di fede a Sant’Efisio, il potente patrono della Sardegna. In questa terra simbologie, ritualità e credenze cristiane si fondono con elementi culturali e materiali del substrato pagano e magico. Spesso - nei preziosi costumi femminili - rosari, amuleti, reliquari, ex voto e talismani convivono e si confondono facendo emergere significativi elementi di continuità. Qui la gente ha una religiosità antica, carica di echi e suggestioni, una spiritualità cristiano-pagana che affonda le radici nella cultura dei vari dominatori dell’Isola: fenici, romani, vandali, bizantini, spagnoli. Ogni popolo che è sbarcato in questa terra ha portato non solo le armi e i desideri di egemonia ma anche le proprie religioni e credenze.Nella sagra tutto è ancora autentico e di singolare bellezza. La processione - che costituisce la parte più importante dell’evento - è il risultato di tre secoli e mezzo di tradizione ed esprime la creatività e la spiritualità del popolo sardo. Il lungo corteo è aperto dai festosi carri addobbati, is traccas15, che costi-tuiscono uno degli elementi caratterizzanti la festa: carri a buoi (alcuni a ruota piena) usati fino a circa quarant’anni fa per i lavori agricoli e come mezzo di trasporto. Provengono da diversi centri del Campidano di Cagliari di cui testimoniano la cultura e l’economia tradizionale. Per la festa sfilano addobbate con co-perte tessute a mano, tappeti, fiori, prodotti della terra, utensili della civiltà contadina. Is traccas, ultimo relitto di un’umanità nomade, costituiscono una sorta di “museo vivente” delle tradizioni agro-pastorali della Sardegna16. Segue la lunga sfilata dei gruppi in costume e infine dei cavalieri che fanno da scorta al simulacro del santo.15 Tale termine dovrebbe derivare dall’italiano antico “trabàcca” (da tràbicus, fatto di travi), che significa tenda e carro aperto, oppure da trai, verbo che nella lingua sarda indica il trasportare.16 Si veda la ricostruzione riguardante lo svolgimento della sagra curata di recente da Paolo Matta per l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Cagliari.

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Le migliaia di costumi che partecipano permettono di abbracciare, in una spettacolare sequenza cromati-ca, l’intero folklore sardo del vestiario. Quello maschile presenta una certa uniformità e risale ad epoche assai antiche (qualche elemento riporta addirittura alla preistoria della Sardegna); quello femminile è più vario, diverso da zona a zona e talvolta evidenzia persino delle differenze a seconda dell’età e della condizione sociale della persona che lo indossa. I preziosi gioielli, che ornano i costumi femminili e in ma-niera più sobria quelli maschili, hanno origini varie. Gli ornamenti più antichi e di tradizione locale sono in prevalenza d’argento. La massiccia partecipazione dei gruppi, provenienti da tutte le contrade della Sardegna, evidenzia la profonda devozione delle genti isolane al martire patrono e dà vita ad una sequenza irripetibile di colori che conferisce alla processione una valenza etnica e culturale senza confronti in ambito mediterraneo. L’etnografo Francesco Alziator così vedeva la sagra: “Il gioco delle gonne, dei corsetti e degli scialli sa di melograno aperto. Tutta la storia dell’Isola è lì, nelle cuffiette arancioni delle prioresse di Desulo, nei cor-petti, ricchi d’oro, delle donne di Quartu S. Elena, nello scarlatto nuziale delle gonne, nei piedi scalzi dei pescatori di Cabras o ancora nella fiera eleganza delle ragazze di Tempio, nel loro abito nero con soggolo in pizzo bianco”.La processione a cavallo, che precede il santo, costituisce la parte più antica e suggestiva della sagra: è aperta dai cavalieri del Campidano. I cavalli hanno finimenti delicatamente ornati con ghirlande e fiori multicolori e sfilano dalla solenne edizione del 1886, anno in cui le reliquie di Sant’Efisio (e non solo le ceneri come era avvenuto nel Seicento) tornarono da Pisa in un tripudio di folla17. Seguono, fieri e stupendi nelle uniformi scarlatte, gli squadroni dei miliziani18 armati di archibugio e scia-bola. All’interno della sagra il loro compito era tutt’altro che coreografico. Infatti dovevano scortare il santo fino al suo arrivo a Nora e difendere i numerosi pellegrini al suo seguito dai non infrequenti attacchi di predoni e persino di pirati. Ancora oggi i miliziani indossano la loro divisa seicentesca col copricapo in panno rosso a forma di cilindro, corpetto analogo con alamari neri e bottoni dorati, gonnellino nero, cal-zoni e gambali19.

17 Tale vicenda è attentamente narrata da Lucio Artizzu, Storia di Efisio martire in Cagliari, Cagliari, 2001, p. 13 e ss.18 I miliziani formavano una sorta di guardia nazionale che fiancheggiava le truppe regolari.19 In proposito si veda il recente saggio di Paolo Matta sulla festa e la sagra di sant’Efisio, cit.

· 9FOTO, ENRICO MURRU MASSA

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La successiva scorta, formata da uomini in frac, ricorda i rappresentanti della Municipalità che pronunciò il voto istitutivo della processione. Ad essi segue l’Alter-Nos che portava sul petto il toson d’oro: onorifi-cenza concessa alla città di Cagliari nel 1679 da Carlo II re di Spagna. Dopo il passaggio della Sardegna dalla Spagna ai Savoia, il toson d’oro venne sostituito con una medaglia nella quale sono incisi l’effigie di Vittorio Amedeo II e lo stemma sabaudo. In origine l’Alter-Nos rappresentava il viceré; quindi dal 1848, allorché (a seguito della “fusione perfetta” con gli Stati di terraferma) venne abolito il vicereame, rappresenta il Sindaco. È il garante del perpetuarsi del voto fatto dalla Municipalità al santo nel lontano 1652. Sfila scor-tato da due mazzieri in livrea seicentesca e partecipa a tutte le manifestazioni in cui si articola la festa dal primo maggio fino alla serata del 4 allorché il cocchio col santo fa rientro nella chiesetta di Stampace.L’Alter-Nos è scortato dai confratelli della Guardiania, corpo scelto dell’Arciconfraternita del Gonfalone sotto l’invocazione di Sant’Efisio martire20. Elegantissimi ed impeccabili nel loro frac nero, con cilindro e fascia azzurra ai fianchi, hanno il compito di accompagnare, a cavallo, il santo nei giorni del pellegrinag-gio. Tra loro spicca il Terzo guardiano, una sorta di cerimoniere della sagra. È lui che alla vigilia della festa, nella chiesetta di Stampace, al termine della messa solenne che si celebra la mattina del 30 aprile, colloca dentro il cocchio la statua del santo21. Durante la processione sfila con la bandiera dell’Arciconfraternita. Attualmente fanno parte dell’Arciconfraternita del Gonfalone circa centocinquanta soci. Il primo maggio i confratelli sfilano in abito penitenziale, mozzetta bianca e saio azzurro su cui spicca il grande rosario bianco; le consorelle partecipano alla processione in nero, col velo in testa e il grande rosario bianco ai fianchi. Seguono i suonatori di launeddas22, le rappresentanze delle Forze Armate e la popolazione tutta. Il primo maggio, a mezzogiorno in punto, al suono delle campane e sotto un’incessante pioggia di petali che vengono gettati dai balconi, l’elegante cocchio seicentesco ove è collocato il santo lascia la sua chiesetta di Stampace e inizia il percorso che, fra due ali di folla, lo porterà verso Nora, luogo del martirio.

20 Si tratta di uno dei più antichi sodalizi della città istituito nel 1539 con bolla di papa Paolo III. Aggregato nel 1618 alla Confraternita del Gonfalone della SS. Vergine del Riscatto, venne elevato ad arciconfraternita nel 1796.21 Il simulacro del santo viene tolto dalla sua nicchia, sistemata in una cappella laterale della chiesa, per essere vestito con gli abiti di gala: mantella di damasco (rossa all’interno e bianca all’esterno), fiocco blu sulle spalle e fascia sul davanti (sovraccarica di ex voto, collane, anelli e gioielli antichi tra cui spicca un fiocco in oro donato da Casa Savoia). L’antico cocchio di stile barocco, laccato in bianco e oro, viene quindi collocato al centro della chiesa. 22 Tale strumento - composto di tre (o talvolta quattro) canne che si chiamano tumbu, mancosa e mancosedda - esprime la pastoralità e la cultura arcaica della Sardegna come testimoniano i reperti archeologici. Attualmente i più famosi suonatori sono Luigi Lai di San Vito, Aurelio Porcu di Villaputzu, Dionigi Burranca di Samatzai e i fratelli Lallai originari di Silius.

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Fonte di notevole carica emotiva è il passaggio del simulacro del santo nella via Roma, davanti al Palazzo Civico, trasformata da sa ramadura in un tappeto di petali di ogni colore. Mentre urlano le sirene delle navi in porto, la musica delle launeddas si fa sempre più penetrante. E dietro quel giogo di buoi rossi, massiccio e imponente, Efisio viene quasi inghiottito da una marea di gente che chiede, almeno per un attimo, di poterlo toccare, di gettare ai suoi piedi una richiesta di grazia, di offrire un prezioso gioiello di famiglia23. È l’apoteosi. Ma il vero significato della festa non si esaurisce nelle vie di Cagliari. Occorre recarsi a Giorgino24, nella chiesetta campestre dedicata a Sant’Efisio, ove si effettua la prima sosta per il cambio del cocchio e delle vesti che verranno custoditi, fino al suo rientro, dalla famiglia Ballero. Qui - ai colori della fantasia, ai canti ed allo scintillio dei costumi - si sostituiscono i piedi scalzi delle anonime donne, che hanno fatto voto per le più segrete angosce, le lacrime dei vecchi artigiani stampacini e dei pescatori della Marina che, spinti da profonde riconoscenze, pregano in silenzio25.Dopo la sosta nella chiesetta di Giorgino, la processione riprende col cocchio di campagna e la statua del santo priva di tutti i paludamenti preziosi: la ragione storica di tale “cambio” si giustifica col timore che, durante il percorso, il simulacro ed il cocchio potessero essere assaliti dai predoni che frequentavano la fascia costiera. Quindi la processione fa tappa in località Su Loi (Capoterra) e a Villa d’Orri ove - nella cappella della famiglia Manca di Villahermosa - viene impartita la benedizione eucaristica col bacio della reliquia. La notte, dopo aver percorso le strade addobbate a festa, il corteo giunge a Sarroch ove il simu-lacro del santo è ospitato nella casa Cossu-Tiddia. Intanto nella parrocchia si celebra una messa solenne. Il 2 maggio, secondo giorno della festa, prima tappa a Villa San Pietro: le strade del paese, per la gloria del santo, sono trasformate in un tappeto di fiori. A mezzogiorno il tradizionale arrivo a Pula ove si svolge una sagra in miniatura. Nella serata la processione giunge a Nora, luogo del martirio.

23 Così si esprime Paolo Matta, Festa e sagra di sant’Efisio, s.d., cit.24 Località ubicata, a pochi chilometri dalla città di Cagliari, nel cordone sabbioso che separa il compendio lagunare di Santa Gilla dal Mare Mediterraneo.

25 Come ha evidenziato Paolo De Magistris, Storia di una sagra, cit., è nella rustica chiesetta di Giorgino che è possibile cogliere il vero senso religioso della festa di sant’Efisio.

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Il 3 maggio è ancora apoteosi: durante la mattina vengono celebrate numerose messe; poi a cura del Terzo guardiano e dell’Alter-Nos si procede alla consegna delle elemosine ed all’offerta del pranzo ai poveri con-venuti; nel pomeriggio processione a mare e, in tarda serata, rientro verso Pula. Il 4 maggio si ripercorre in senso inverso il medesimo itinerario: stesse soste fino alla chiesetta di Giorgino. Qui il santo riprende gli abiti preziosi con i quali fa trionfante rientro a Cagliari ove, nella piazzetta antistante la chiesa di Stampa-ce, lo attendono migliaia di fedeli. La sagra, dopo quattro giorni, si conclude con la solenne benedizione: Efisio è nuovamente tutto dei cagliaritani. E i confratelli e le consorelle già pensano alla prossima edizio-ne, affinché il voto si rinnovi con immutata fede.Francesco Alziator, uno dei massimi interpreti delle tradizioni cagliaritane e della Sardegna, ritiene la sa-gra di Sant’Efisio il “più grande convegno folklorico del Mediterraneo”. E in effetti la processione non ha eguali per numero di partecipanti, durata e villaggi coinvolti. Negli ultimi anni oltre cinquemila persone in costume, provenienti da quasi cento comuni dell’Isola, partecipano all’evento che costituisce un’occa-sione religiosa e folkloristica di straordinaria intensità e partecipazione: un incredibile miscuglio di secoli e di genti che racchiude in sé l’identità etnostorica del popolo sardo26.La Sardegna è una terra in cui gli antichi culti non scompaiono ma subiscono processi di graduale adatta-mento che confermano la continuità delle pratiche religiose e delle credenze presenti tra le popolazioni. Stessa continuità è dato reperire nella vasta produzione artigianale: quei medesimi motivi ornamentali ge-ometrici presenti nelle ceramiche che vanno dal VI millennio a.C. fino alla colonizzazione romana li ritro-viamo ancora oggi non solo nei vasi di Assemini e di Oristano ma anche nei tappeti di Mogoro, di Samugheo, di Uras, di Nule, di Isili e di tanti altri centri dell’Isola; e ancora li ritroviamo nelle cassapanche lavorate a Desulo, Tonara e Aritzo: produzioni artigianali che fanno parte integrante della sagra di Sant’Efisio, dando alla stessa anche un peculiare valore etnografico.

26 Sulla sagra di sant’Efisio si segnalano due recenti lavori: Raccolta di documenti editi e inediti per la storia della Sardegna. Documenti sulla peste in Sardegna negli anni 1652-1657, vol. 2, a cura di Marta Galinanes Gallén e Marina Romero Frias (edito dalla Fondazione Banco di Sardegna nel 2003); e Sardae patronus insulae. Il culto di sant’Efisio attraverso i secoli, curato da Mario Corda, edito a Cagliari nel 2005.

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L’artigianato sardo, nelle sue espressioni autentiche, riflette l’indole delle popolazioni, l’ambiente natura-le e le vicende storico-culturali che si sono svolte in questa terra d’antica civiltà. I sardi, pur accogliendo i nuovi impulsi, sono conservatori. Per tale ragione le tecniche di produzione e gli stili dei manufatti sono rimasti sostanzialmente fedeli alla tradizione e, ancora oggi, rivelano una straordinaria ricchezza di fan-tasia che si esprime in oggetti di rara bellezza e originalità. La Sardegna è terra di lunghe persistenze: nei prodotti dell’artigianato racchiude i segni di una civiltà millenaria ed esprime, con grande naturalezza, linguaggi fatti di forme e colori.La continuità ha determinato, nel corso dei secoli, il formarsi di una forte identità culturale, dai connotati etnostorici, che si coniuga con un territorio in cui la qualità ambientale si mantiene generalmente assai elevata. Spesso, soprattutto nelle zone interne, le attività umane fanno parte esse stesse del paesaggio, inteso come insieme di elementi naturalistici ed antropici.Ma la diversità della Sardegna la si avverte immediatamente anche nella straordinaria ricchezza del canto, dei suoni e dei balli popolari. Attraverso i canti è possibile cogliere quel “fondo” autoctono, occulto e mi-sterioso, che differenzia la Sardegna da ogni altra terra. Appartiene al folklore musicale sardo uno dei più antichi strumenti del Mediterraneo, is launeddas, il cui suono misterioso esprime l’anima di questa terra e delle sue genti. La diffusione di tale strumento - che, come si è detto, riveste un ruolo assai importante anche nella sagra di Sant’Efisio - risale ad epoca anteriore alla colonizzazione punica come documenta il bronzetto del suonatore, rinvenuto in agro di Ittiri, attualmente custodito nel Museo archeologico nazio-nale di Cagliari.La sagra di Sant’Efisio - meravigliosa sintesi della cultura sarda - costituisce, al tempo stesso, eredità del passato e patrimonio da preservare per le future generazioni. Attraverso essa la spiritualità dei sardi fende la barriera del tempo e trapassa un diaframma denso di significati profondi ove le sicurezze dell’uomo mo-derno lasciano spazio alle paure ancestrali dei suoi antichi progenitori. Questa sagra è una grande eredità lasciata da quanti hanno popolato la Sardegna negli ultimi 350 anni: un’eredità che non solo appartiene ai sardi di oggi ma è degna di essere conservata e tramandata quale patrimonio immateriale dell’intera umanità.

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FOTO, ROBERTO TRONCI

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THE FESTIVAL OF

ST. EFISIOMANKIND PROPERTYText, Antonello Angioni - English translation, Roberta Figus

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Since 1657,on May 1st, in the city of Cagliari has been taken place the festival of Sant’Efisio: an extra-ordinary meeting of insular people through which the municipality keeps a vow to his patron saint. To understand the historical and religious importance of this special event, it needs to go back over the

times, in 1652, when in Sardinia – after a terrible grasshoppers invasion, coming from African lands – spread an insidious and strong disease: Black Death. The same described by Manzoni in the “Promessi Sposi”, that in the Island, like every thing, it arrived late: it is said that it was hidden in a cargo, shipped by a Spanish tartan docked at Porto Conte in the outskirts of Alghero.Disease spread from North Sardinia down to the South and hundreds of dead people could be counted in a day. In a few years, from 1652 to 1656, the population had been decimated. In Cagliari, Black Death arri-ved in 1655 and its first famous victim was the archbishop Monsignor Bernardo de la Cabra, whose death was hidden for a long time1. The centre of infection expanded and on October 1656 raged more and more. Every day two hundred people died2. Cagliaritanian people could only pray, because science was unable to do anything.This prayer was addressed to Sant’Efisio that, from the beginning of the disease spreading in Sardinia, pe-ople asked for a divine help, his simulacrum was exhibited in the Cathedral3. This vow dated back to 11th July 1652, when in the city disease was not yet diffused, but it was breaking out in several towns of the Island. Cagliari was declared “infected” only on 6th March 1656.The City probably was on good terms with Sant’Efisio, if we consider that in 15484 the local government admitted to be in dept to him, through the institution of a tribute to celebrate masses in the church of Stampace: the same from which the procession still set off5. Everything occurred although Efisio was not one of the favourite saints of the Church, in fact some people even doubted of his historicity. Someone searched evidences, but everything was useless, because no evidence is necessary for a believer, and there is no evidence good enough for no religious people. So, take it or leave it. However , the handing down to posterity of a saint’s history and people devoutness, it is not a guarantee.

1 Chronicles tell that disease arrived by means of a stoat, which was an archbishop de la Cabra’s present arrived from Suelli, or from San Pantaleo (Dolianova). For more informations see the monograph by Paolo de Magistris, Dalla peste alla festa. La devozione per Sant’Efisio, Cagliari, 1993.2 We find this informations in the Historia cronologica de todos los successos del reyno de Sardeña del año 1637 a 1672, by Father Giorgio Aleo, this manuscript is kept by the Biblioteca Universitaria of Cagliari. 3 See S. Efisio Martire, by Chanc. Felice Putzu, Cagliari, 1955, p. 21.4 On March 27th, 1548, with a resolution, it was decided to set up a tribute of forty-three pence to celebrate eight masses every year. 5 The present church is a rebuilding (1780-1782). The first structure dated back to 430.

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It is not important or not, if the tradition is based on truth or legend: but if it is arrived since us, through the ages, it was 16576, when for the first time the simulacrum of this warrior-saint (that together with his sword, his armour and a martyred palm) was surrounded by people, that came expressly from all over the Island to thank and to pray him.According to the tradition, they said that Efisio came from Elia, a Syrian city. He was a young officer of the Roman Army7, and after a brilliant career at the Diocletian’s court, he was sent on a mission in South of Italy. In Sardinia he was converted to the Christian religion, he was arrested and – as he didn’t abjure the new faith – he was made prisoner in a cave in the quarter of Stampace, and he was martyred somewhere near Nora. It is supposed to have happened in January 303 A.D.8

In 1089 Costantino, judge of Cagliari, presented San Vittore monks of Marsiglia Abbey with a church in Nora. They then dedicated this church to Sant’Efisio. Already in the previous years pisans took the relics of Sant’Efisio and San Potito9 from the church: because they believed in the existence and the faith in the saint. We could also add the pisan archbishop Federico Visconti’s relation of his travel in Sardinia, - dated back to 1263 – where he spoke about Sant’Efisio. Sant’Efisio is represented in some frescos of great value in the monumental churchyard of Pisa10 carried out by Spinello Aretino in 1391.All these things help us to understand why Cagliaritanian people, terrified by the possibility of a Black De-ath spreading, they prayed to Efisio.

6 For more informations see the booklet Storia di una sagra written by the ex-mayor of Cagliari Paolo de Magistris.7 Sant’Efisio is not the only roman soldier that was converted on the Christian religion, in fact we have other examples like San Costantino and Sant’Espedito.8 Sant’Efisio’s martyrdom have not an historical base. However, the critics of hagiography think that Sant’Efisio cult have historicity characters. 9 See works by Giuseppe Manno, a Sardinian Historian.10 Paolo de Magistris, Storia di una sagra, cit.

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At the height of his fear and pain the civic magistrate made a vow, if Black Death stop, they will organise a solemn procession, in which the simulacrum of the saint will go along the same paths that he did, from “the prison” (underneath the little church of Stampace) to the place of his martyrdom (Nora beach) and back. As Black Death lost its grip, it disappeared completely, on May 1657 the vow was kept and since then it has been repeated with the same devotion on May calends. In 1917, the authority of public security decided that the festival could not take place. The following year the chariot was not drawn by wreathed oxen, but by the first world war ex-servicemen, who were very grateful to Efisio for his help. Whereas, in 1794 the festival was put off to June, because there was fear that people still upset ( in fact at the end of April, there was the Piemontesi expulsion) could cause disorder. In 1907 as a flood destroyed the Scaffa bridges, the procession had to change his way and passed along the Santa Gilla lagoon shores.Also in 1943, the city, bombed-out and deserted, did not renounce to fulfil the vow and a few believers – without any magnificence – took all the same, the saint to Nora in a pick up truck. The vehicle went through a deserted town, where a spectral silence was mixed with an acrid smell of destruction and death11. In the body – well fixed – there was the statue of the saint with a red damask mantle and a crown. In this tragic moment, behind the status there was a procession of a small group of believers, who did not renounce to ask for an intercession for the town, keeping a promise to an oath of three centuries ago.

11 The event was reconstructed by Marino Cao in a documentary, that now is a property of the RAI regional seat.

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A special interest had – from a socio-psycological point of view – the relationship between the city of Ca-gliari and “his saint”. The city loves deeply Efisio, and considers him the highest expression of its social and religious history. The creed – which over the centuries have concerned every social class – is old but, at the same time, ever new thanks to the authenticity of the popular soul12. However, the saint is not considered a supernatural creature, but he is bounded up with the community and its problems; he talks with the city because between them there is a direct relationship. For genuine Cagliaritanian people he is simply “Efisio” or “Efixeddu”.In order to a best comprehension of this festival value, it is good to consider that – around the Sant’Efisio character – from the second half of the XVII century flourished in Sardinia, and above all in Cagliari, a large production of popular literature. In this connection have a great importance “is goccius”13, which are ver-ses in honour of saints, that were sang in some particular religious events. Those compositions, apart from their literary value, have the worth to hand down to posterity the reminiscence and wonder of many saints, so in this way a big historical and cultural patrimony would not be wasted. Efisian goccius – come to us only in Sardinian language – hands down the saint vicissitudes and his life, setting up a sort of miracle play.The popular tradition attributed to Sant’Efisio lots of this prodigious interventions. In 1721 – when was spread a rumour that some Spanish partisan (Sardinia was now under Savoia power) intended poisoning wells and water-supplies – Sant’Efisio appeared to the viceroy, the Pallavicino of Saint Remy baron, to whom he predicted the serious risk, that in this way was avoided. On February 1793, the French fleet, whom Capitan was the Admiral Truguet, bombed Cagliari, but Efisio defeated invaders causing a storm.

12 Tonino Cabizzosu in the preface of Storia di Efisio Martire in Cagliari by Lucio Artizzu, Cagliari, 2001.13 This term is derived from the Catalan goig or from the Spanish gozo.

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So, the municipality made another vow which came to an end with the Easter Monday procession14. In that day, at the end of an evocative procession, which left the little church of Stampace in the early morning, the saint simulacrum is placed in the middle of the Cathedral among four candles. This siege in 1793 could be remembered by citizens thanks to an inscription in the little church of Sant’Efisio, where we can read: “Gallici furoris specimina adversus Calarim, divanae opis monumenta Sancto Efisio tutelary sacra”.Today, this May festival is the most splendid and genuine demonstration of faith and folklore that it is pos-sible to see not only in Sardinia, but probably everywhere in Italy. Among other things, the Cagliaritanian May calendar is particular, as it has all the pagan ceremonies and also this faith tribute to Sant’Efisio, the Sardinia patron.Symbologies, rituality and Christian believes in this Land are fused together with some cultural elements of the pagan and magic substratum. Often – in the women’s traditional costumes – rosaries, amulets, reliqua-ries, ex voto and talismans coexists, establishing a continuity. Here, people have an ancient devoutness, a pagan-christian spirituality, which find its origins in the various dominators’ culture: Phoenician, Roman, Vandal, Byzantine and Spanish. All these populations, that landed in Sardinia, introduced not only arms and their supremacy, but also their religion and believes.In this festival everything is still genuine and beautiful. The procession – which is the most important part of the event – is the result of three half centuries of tradition, and it expresses the Sardinian creativity and religiousness. This long parade headed by decorated carts, “Is Traccas”15, that are one of the characteristic elements of the feast: more or less forty years ago oxen carts were used for agricultural jobs or as means of transport. They come from different villages of the Campidano, attesting their culture and traditional economy. They march on parade embellished with handwork blankets, carpets, flowers, agricultural produ-ces and farmer’s tools. Is traccas are a sort of “Sardinian agro-pastoral traditions living museum”16. After them there is a long procession of groups with traditional costumes and at the end some horsemen (saint simulacrum guards).

14 This procession was authorized in 1794 by the Pope Pio VI. Only in 1814 the procession day was fixed on Easter Monday (before it took place on January 15th, Sant’Efisio martyrdom day ).15 Probably this term is derived from the ancient italian trabàcca, which means tent and cart, or from the verb trai that in Sardinian language means to carry.16 See the recent reconstruction about the festival by Paolo Matta.

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The march in parade of thousand of traditional costumes outlines the situation of Sardinian folklore clo-thes. Men’s clothes present a certain homogeneity and date back to an old age (some elements go back to Sardinian early history), women’s dresses are more different, they change from town to town and some-times they are different according to the age or the social status. There are precious jewels that adorn women’s costumes. The men’s clothes have different origins, they are more sober and their jewels are mainly in silver.The massive attendance of groups, coming from every Sardinian district, underline the deep devotion that the islanders have for the patron martyr. They create an incredible sequence of colours, that gives to the procession an ethnic and cultural value beyond comparisons in the Mediterranean. The ethnographer Francesco Alziator described in this way the festival: “the interplay of colours of flared skirts, corsets and shawls seems to be an open pomegranate. All the Island history is there, in those orange prioresses’ bon-nets coming from Desulo, in bodices rich of gold of women coming from Quartu Sant’Elena, in women who wear scarlet wedding flared skirts, and barefeet fishermen’s coming from Cabras or the proud elegance of the girls coming from Tempio, in their black dresses with a white wimple in lace”.The cavalcade, that come before the saint, represent the most charming and ancient part of the festival: it is opened by “Campidanian Cavaliers”. Horses have harness finely decorated with garlands of multicolour flowers and they have marched in parade since 1886. In that year Sant’Efisio’s relic came back from Pisa17.After the “Miliziamen squadron”18, wonderful and prod in their scarlet uniforms, armed with arquebuses and sabres. Inside the festival their job was far from be choreographic, in fact they had to escort the saint down to Nora and protect pilgrims from the frequent attacks of robbers and sometimes of pirates. Until today, miliziamen wear their seventeenth-century uniform with a red hat in a cilindric shape, a bodice with black frogs and golden bottoms, a black short skirt, trousers and boot legs19.

17 See Storia di Sant’Efisio martire in Cagliari by Lucio Artizzu, Cagliari, 2001, p.13 and foll.18 They were a sort of National guard.19 See the recent essay written by Paolo Matta about the Sant’Efisio’s festival, cit.

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The successive escort is made up of men in tailcoat, in memory of the municipality that made the vow. After this group follows the “Alter-Nos”, on their jacket they have the “Toson d’oro”: a decoration given by Charles II, king of Spain, to the city of Cagliari in 1679.When Sardinia passed under Savoia rules, the “Toson d’oro” was replaced by a medal with a Vittorio Ame-deo II image and the Sabaude coat of arms. Originally the “Alter-Nos” portrayed the viceroy; but, since 1848, when there was the Italian unity and the vice-kingdom was abolished, it has been representing the Mayor, who is the guarantor of the vow perpectuation, made by the municipality in 1652. The Mayor mar-ched on parade escorted by two people dressed in a seventeenth-century livery and he takes part at all the festival manifestations from 1st to 4th May, when the chariot with the saint will come back in the little church of Stampace.The Alter-Nos is escorted by the Guardiania brethren, they are crack corps of the Gonfalone arch-confra-ternity under the Sant’Efisio martyr invocation20. They are very elegant and faultless in their black tail-coat, with a top hat and a blue band on the hips, their duty to go with the saint on pilgrimage. The third guardian shows up among them, he is a sort of festival master of ceremonies. The day before the feast, in the little church of Stampace, he puts the status of the saint on the chariot, after the celebration of a solemn mass; it happens on April 30th in the morning21. During the procession he marches on parade with the arch-confraternity flag.

20 Pope Paolo III founded this order in 1539, and in 1618 it was joined to the Confraternita del Gonfalone della SS. Vergine del Riscatto.21 The simulacrum of the saint is placed in a side chapel of the church, and it is dressed with a formal dress, a red damask mantle (red inside and white outside), a blue bow in the back, a band and a lot of old jewels. The chariot is in the Baroque style, lacquered in white an gold.

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At the moment more or less 150 people are members of the Gonfalone arch-confraternity. On May 1st brethren march on parade wearing penitential clothes, a white mozzetta and a blue frock with a big white rosary; nuns too take part in the procession dressed in black, with a veil on the head and a big white rosary on the hips. After we have some “Launeddas players”22, the armed forces and the whole population. At Midday, at the ringing of the bells under a rain of petals, the elegant seventeenth-century chariot leaves the little church of Stampace and starts the way, which will bring the saint to Nora, the martyrdom place.One of the most moving moments is when the simulacrum of the saint passes in front of the Civic Palace, in Via Roma; the road is a carpet of flowers. At the same time ships, that are in the port, start to sound the sirens and musicians start to play launeddas, which sound becomes more and more penetrating. Behind the red yoke of oxen, there is Efisio, that seems to be swallowed by crowds of people asking to touch him, for an instant at least, and offering him some precious family jewels23. It is the apotheosis.However, the real sense of this feast does not dry up in the streets of Cagliari. On his journey to Nora, Sant’Efisio arrives on his first stop in the quarter of Giorgino24, where there is a rural church dedicated to him, here there is the change of dresses (dresses will be guarded by the Ballero family till his return).Here colours, songs and costumes are replaced by anonymous barefeet women, who have kept a secret vow and pray in silence25.

22 This instrument – made up of three reeds (sometimes four) called tumbu, mancosa and mancosedda – is expression of an old Sardinian tradition. At the moment the most popular launeddas players are: Luigi Lai (from San Vito), Aurelio Porcu (from Villaputzu), Dionigi Burranca (from Samatzai) and the Lallai brothers (from Silius).23 Festa e sagra di Sant’Efisio, by Paolo Matta, n.d., cit.24 A place close to Cagliari, which divides the Santa Gilla lagoon from the Mediterranean Sea.25 Storia di una sagra, by Paolo de Magistris, cit., in this book he explains that the real religious sense of this feast it is here, in the rural church of Giorgino.

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After this stop in the little church of Giorgino, the procession takes up again with the country chariot and the status of the saint is deprived from all precious ornament: the historical reason of this “change” must be searched in the fear of being attacked by robbers all along the way. Then the procession makes another stop at Su Loi (Capoterra) and at Villa d’Orri, where – inside the Manca di Villahermosa family’s chapel – there is the Eucharistic benediction, and a kiss given to the relic. During the night, the cortège arrives in Sarroch, and the simulacrum of the saint is put inside the Cossu-Tiddia’s house. In the meantime in the parish church they are celebrating a solemn mass. On May 2nd, the second day of the feast, the first stop is at Villa San Pietro: streets are transformed in carpets of flowers. At Midday there is the traditional arrival in Pula, and here takes place a miniature festival. In the evening the procession arrives in Nora, martyrdom place.On May 3rd celebrations continue: in the morning they celebrate lots of masses; then the “Third Guardian” and the “Alter-Nos” proceed to the delivery of alms and they also offer lunch to poor people; in the af-ternoon there is the procession along the sea. Late in the evening, they return to Pula. On May 4th they take the same route, they make the same stops down to the little church of Giorgino. Here, the saint takes again his precious dresses and comes back to Cagliari where, in front of the church of Stampace, about a thousand of believers are waiting for him. The festival, after four days, ends up with a solemn benedic-tion, at the same time brethren and nuns start to think about next edition of the feast, so that the vow could be repeated.Francesco Alziator, one of the greatest interpreter of Cagliaritanian and Sardinian traditions, thinks that Sant’Efisio’s festival is “the biggest folkloristic meeting in the Mediterranean ”. Actually, the procession have no equal for number of people present, duration and villages involved. In the last few years more then five thousand people in costume, coming from more or less one hundred of Sardinian villages take part in this event which is a circumstance both religious and folkloristic: an incredible mixture of centuries and people, that contains the Sardinian people identity26.Sardinia is a country where creeds do not disappear, but they gradually change, it is a sort of adaptation, that confirms a continuity of religious practices and believes.

26 Two recent works about the Sant’Efisio’s festival: Raccolta di documenti editi e inediti per la storia della Sardegna. Documenti sulla peste in Sardegna negli anni 1652-1657, by Marta Gallinanes Gallén and Marina Romero Frias, ed. Fondazione Banco di Sardegna, 2003, and Sardae patronus insulae. Il culto di Sant’Efisio attraverso i secoli, by Mario Corda, 2005.

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It is possible to find the same continuity in the island in its vast handcraft production: in fact, ornamental geometric motives that were carved in ceramics (from VI century B.C. to the Roman colonization), are still present in vases made in Assemini and Oristano, but also in the carpets of Mogoro, Samugheo, Uras, Nule and Isili; or in the baskets of Desulo, Tonara and Aritzo: this handcraft production is part of the festival, giving an ethnographic value.Sardinian crafts reflect the population character, the environment and the historical-cultural events that occurred in this old land. Sardinian people are conservative, for this reason crafts production techniques and styles are still attached to tradition, which reveal an extraordinary richness of fantasy, beauty and originality. Sardinia is a land of long persistences: crafts contain symbols of a millenary civilization and express languages made up of forms and colours.This continuity has determined, over the centuries, a strong cultural identity, with ethnohistorical charac-ters, that is well combined with a territory and an environment of high quality. Often, above all in the inte-rior area, human activities are part of the landscape, as a whole of naturalistic and anthropical elements.It is possible to feel this Sardinian diversity also in the extraordinary richness of singing, sounds and popular dancing. Through songs we can catch this autochtonous, secret and mysterious “deep”, that differentiate Sardinia to the others. One of the oldest Mediterranean musical instruments belongs to the Sardinian mu-sical folklore, is launeddas, which sounds expresses the soul of the people and of the land. This instrument has an important role in the Sant’Efisio’s festival and dates back before the Punic colonization (documen-ted by a “bronzetto”, discovered in Ittiri, at the moment it is guarded by the National Archaeological Museum of Cagliari).The Sant’Efisio’s festival – a wonderful Sardinian culture synthesis – is at the same time, a past legacy and a property that we must safeguard for the future generations. Through this festival, Sardinians are able to go back in time and break the barrier of then and now, it is a big heritage that the last 350 years Sardinian populations have left us: this legacy belongs to the whole world, so it is worth guarding and handing down to posterity as an immaterial mankind property.

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