Il Bruzio, Persone di Calabria · 2019. 2. 1. · Dovremmo (ri)leggere Persone in Calabria,...

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La Calabria nel mondo il mondo della Calabria PERIODICO TRIMESTRALE - ANNO XI - N. 43 - Settembre/Ottobre 2018 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abb.to postale D.L. 353/03 (conv. in L. n. 46 del 27/02/2004) art.1 comma 1 C/RM/25/2017 In caso di mancato recapito inviare al CMP - via Affile 103 - Roma per la restituzione al mittente previo pagamento resi Anche noi siamo stati migranti, in fuga da tutte le povertà. Dovremmo ricordarcene. Dovremmo (ri)leggere Persone in Calabria, raccolta degli articoli dell’abate Vincenzo Padula, unico redattore de Il Bruzio, che negli anni sessanta dell’800 ha raccontato la grande miseria del popolo, premessa per il grande esodo dei successivi decenni 2 Se Riace insegna qualcosa 3 Arbëria. Minoranza anche nei diritti L’ora della Calabria Il falso alibi del mercato libero 4 Un menu di lunga vita 5/8 Regione Calabria Consulta Regionale dei Calabresi all’Estero 9 Oro rosso 10 Qui dove Oriente e Occidente si incontrano 11 “Stavamo tutti al buio... io accesi un lume” 12 Sartana il mio fratello di latte E poi ci sono i calabresi dell’altrove che con il loro impegno hanno raggiunto vertici di successo, orgogliosi di dirsi “calabresi”. Esempi, dunque, di vite ed esperienze diverse. A cominciare dalla vicenda di Mimmo Lucano sindaco di Riace. Contro la decisione dei magistrati di allontanarlo dalla sua comunità è esplosa tanta solidarietà, in Calabria e nel resto d’Italia, perfino in Francia e Germania. Quanto accaduto ci sollecita pure, accantonando compiacimenti mediatici, a partire proprio dal cosiddetto “modello Riace”, per una riflessione più generale. È allarmante il progressivo spopolamento della regione, soprattutto di giovani. Il “capitale umano”, come ora si dice, lo disperdiamo in mille rivoli. Allora è il momento di ragionare, seriamente, sui possibili “modelli Calabria”, tra immigrazione, emigrazione e “restanza”. O ggi possiamo titolare questo numero di Itaca Persone di Calabria”. Non è un cambiamento da poco. Oggi la Calabria è anche terra di accoglienza, non soltanto da parte di chi è in fuga da una vita di orrore, ma anche di chi la sceglie liberamente perché ne riconosce per sé l’habitat ideale. «Vi prego, deve essere ’na bella fotografia, lo sposu mio è luntanu, e la Merica e ’nto cori sti figghioli li deve tenere» Sapevano, i fotografi, che con la loro scatola magica riuscivano a mantenere vivo l’amore per i cari rimasti al paese e vivo il desiderio di tornare Famiglia Baratta Soveria M.lli, 1924 Persone di Calabria

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Page 1: Il Bruzio, Persone di Calabria · 2019. 2. 1. · Dovremmo (ri)leggere Persone in Calabria, raccolta degli articoli dell’abate Vincenzo Padula, unico redattore de Il Bruzio, che

La Calabria nel mondoil mondo della Calabria

PERIODICO TRIMESTRALE - ANNO XI - N. 43 - Settembre/Ottobre 2018 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abb.to postale

D.L. 353/03 (conv. in L. n. 46 del 27/02/2004) art.1 comma 1 C/RM/25/2017In caso di mancato recapito inviare al CMP - via Affile 103 - Roma

per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Anche noi siamo stati migranti, in fuga da tutte le povertà.Dovremmo ricordarcene. Dovremmo (ri)leggere Persone in Calabria,raccolta degli articoli dell’abate Vincenzo Padula,unico redattore de Il Bruzio, che negli anni sessanta dell’800ha raccontato la grande miseria del popolo, premessaper il grande esodo dei successivi decenni

2 Se Riaceinsegnaqualcosa

3 Arbëria.Minoranza anche nei dirittiL’ora della CalabriaIl falso alibidel mercato libero

4 Un menudi lunga vita

5/8 Regione CalabriaConsulta Regionale dei Calabresi all’Estero

9 Oro rosso

10 Quidove Orientee Occidentesi incontrano

11 “Stavamotutti al buio...io accesiun lume”

12 Sartanail mio fratello di latte

E poi ci sono i calabresi dell’altroveche con il loro impegno hannoraggiunto vertici di successo,orgogliosi di dirsi “calabresi”.Esempi, dunque, di viteed esperienze diverse.A cominciare dalla vicendadi Mimmo Lucano sindaco di Riace.Contro la decisione dei magistratidi allontanarlo dalla sua comunitàè esplosa tanta solidarietà,in Calabria e nel resto d’Italia,perfino in Francia e Germania.Quanto accaduto ci sollecita pure,accantonando compiacimentimediatici, a partire propriodal cosiddetto “modello Riace”,per una riflessione più generale.È allarmante il progressivospopolamento della regione,soprattutto di giovani.Il “capitale umano”, come orasi dice, lo disperdiamo in mille rivoli.Allora è il momento di ragionare,seriamente, sui possibili “modelliCalabria”, tra immigrazione,emigrazione e “restanza”.

Oggi possiamo titolarequesto numero di Itaca“Persone di Calabria”.Non è un cambiamento

da poco. Oggi la Calabriaè anche terra di accoglienza,non soltanto da parte di chiè in fuga da una vita di orrore,ma anche di chi la sceglieliberamente perché ne riconosceper sé l’habitat ideale.

«Vi prego, deve essere ’na bella fotografia,lo sposu mio è luntanu, e la Mericae ’nto cori sti figghioli li deve tenere»

Sapevano, i fotografi, che con la loro scatola magicariuscivano a mantenere vivo l’amore per i caririmasti al paese e vivo il desiderio di tornare

Famiglia Baratta Soveria M.lli, 1924

Persone di Calabria

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A San Demetrio Corone,il Presidente Mattarella e Ilir Meta,presidente dell’Albania, hannoincontrato la comunità arbëresh.L’aspettativa degli italo-albanesiè che finalmente trovi applicazionel’art. 6 della Costituzione

Arbëria Minoranzaanche nei dirittiMaria Frega

I n una delle sue più recenti visite, il Presidentedella Repubblica Sergio Mattarella è stato ac-

colto dal consueto sventolio di bandiere ma, que-sta volta, oltre al tricolore, i cittadini e le istituzio-ni lo hanno accolto anche con un altro simbolo:la bandiera rossa con aquila bicipite dell’Albania.Non ci troviamo al di là dell’Adriatico. Siamo inCalabria e, precisamente, a San Demetrio Coro-ne, in provincia di Cosenza, luogo simbolico e im-portante per tutti gli arbëresh dell’Italia meridio-nale. E, attualmente, resiste una forte comunità –arbëresh, appunto –che, dopo oltre cinque secolidalla fondazione, parla albanese e conserva tra-dizioni e riti legati al paese di origine. L’on. Mattarella era accompagnato da Ilir Meta,presidente e ministro degli esteri giunto da Ti-rana per rafforzare gli antichi legami e cercarenuove opportunità di cooperazione. Un eventoin Arbëria – così si chiama l’ideale Patria degliarbëresh – sicuramente fondamentale, celebra-to proprio nel 550° anniversario della morte del

Principe Giorgio Castriota Skanderbeg, il con-dottiero che guidò nel Sud Italia gli avi degli “at-tuali” calabresi di questa isola linguistica. E si èsvolto in un luogo simbolico: il Collegio diSant’Adriano che, per secoli, ha formato i sacer-doti e i vescovi di rito greco-ortodosso. Qui èstata anche scoperta una targa commemorativadedicata all’eroe del “Paese delle Aquile”.Per alcune associazioni italo-albanesi, questaduplice presenza è stata l’occasione per presen-tare ancora una volta istanze culturali e socialiche, da decenni, restano inevase. Se questa co-munità è riuscita a resistere nel tempo lo si deve,infatti, soprattutto alla forte identità che si tra-manda a livello familiare e personale. Restanoancora inattuate tutte le forme di tutela e salva-guardia espresse nell’articolo 6 della Costituzio-ne. In quanto minoranza linguistica, l’Arberiaavrebbe diritto a fondi per l’insegnamento dellalingua, a strumenti di promozione turistica, aspazi nelle televisioni di Stato, a fondi per la dif-fusione culturale nell’editoria. Quanto scrittonella Costituzione – e ribadito in una legge del1999, la 482 – non è stato tralasciato da Matta-rella che, come giurista, conosce bene i principiche hanno ispirato quell’articolo e il suo princi-pale estensore, il padre costituente CostantinoMortati, arbëresh di Civita. Tutto ciò non è avvenuto per l’Arberia. O almeno,non è avvenuto in modo organico e continuativo,da una parte forse per la mancanza di un legameforte con la “madre patria”, dall’altra la crisi eco-nomica che, al Sud, ha colpito duramente e haprovocato un enorme incremento al costantespopolamento dei paesi italo-albanesi è uno deimotivi.Cosa resta di questa visita, dunque, al di là dellaconferma di amicizia e dei buoni propositi di col-laborazione? Dalla crisi, si sa, possono nascere enascono opportunità; se non ci si nasconde die-tro la soluzione più semplice, con volontà, anchei disagi possono fornire idee innovative.

In questo senso, si colloca l’intervento del presi-dente della Regione Calabria Mario Oliverio che,insieme con i sindaci, ha accolto Sergio Mattarel-la e Ilir Meta. “È stato un fattore di arricchimentoculturale ed umano accogliere le comunità alba-nesi nel corso dei secoli. L’accoglienza – ha dettoOliverio – è per noi un dato di normalità, parte co-stituente della nostra natura. Così come siamostati noi migranti da accogliere, abbiamo saputofarlo da sempre e sempre intendiamo continuarea farlo. All’ingiustizia globale, alimentata dall’o-dio razziale, noi rispondiamo con l’accoglienzacome dato di normalità, perchè per noi una so-cietà è civile se non smarrisce la dignità delle per-sone e questa è la Calabria.”La nostra regione, e le minoranze linguistiche,come ponte culturale fra i popoli è stato anche ilmessaggio del Capo dello Stato, al quale le isti-tuzioni locali (rappresentate da oltre cinquantasindaci per ogni paese italo-albanese di diverseregioni) hanno chiesto progetti per la for-mazione, collegamenti fra università della Cal-abria e dell’Albania per fare ricerca comune a liv-ello europeo. Da qui in poi occorrerà soprattuttorafforzare le iniziative locali, senza disperdererisorse ed energie, a cominciare dalla completaapplicazione della legge regionale n.15 del 2003.Intanto, nella Calabria albanofona si sta lavoran-do per coordinare tutte le piccole associazioniculturali in un più ampio e unitario gruppo senzatuttavia limitarne l’autonomia. Nel 2016 è stataperciò fondata la Federazione delle AssociazioniArberëshe (FAA), tuttora presieduta da DamianoGuagliardi il quale, in occasione della visita diMattarella, ha invitato la Regione Calabria a porsicome guida per “pianificare una politica di co-operazione fra le sette regioni dove vivono comu-nità italo-albanesi con l’Albania e il Kosovo, laMacedonia e il Montenegro”. Non si tratta di unprogetto irrealizzabile: basterebbe applicare tut-ti gli articoli della legge regionale di tutela.

Il falso alibidel mercato liberoAl recente Congresso della Fusiela Federazione unitariadella stampa italiana all’estero,hanno partecipato oltre 70 testatepresenti in tutti i continenti,fra queste anche Itaca

Ilaria Del Bianco*

G li annunciati tagli al sostegno dellastampa italiana all’estero hanno pro-

vocato giustificate preoccupazioni in tutti isoggetti che, in Italia e nel mondo, sono co-involti in questo settore, in primis le asso-ciazioni di emigrazione che giocano in que-sto ambito, da sempre, un ruolo rilevante eche qualificano la loro attività sul territorioin cui operano anche in ragione del legamee della capacità comunicativa con i conter-ranei all’estero.Le modifiche proposte, che andranno a col-pire uno degli strumenti attraverso cui ven-gono mantenuti contatti capillari con le col-lettività italiane nel mondo, sembrano es-sersi delineate con troppa superficialità esenza una approfondita ed ampia disaminadel settore.Lo sviluppo nel senso dell’innovazione deisistemi e degli strumenti di comunicazionenon è in discussione. Molte sono già leesperienze positive in cui i nuovi media,composti da giornali on-line, web radio econtenuti multimediali vari, sono protago-nisti. È una evoluzione, questa, che perònon può essere imposta nei modi ma so-prattutto nei tempi, bensì incentivata ed ac-compagnata in un periodo, non brevissimo,durante il quale le varie modalità di comu-nicazione, cartacea e digitale, dovranno ne-cessariamente essere complementari. Al di là di ogni considerazione efficientistica,abbiamo un impegno morale, e gli operatoridel settore lo sanno bene, nei confronti diquella ancora ampia fascia di persone non ingrado di approcciarsi al mondo del web eche tra l’altro si identifica con coloro che fu-rono i protagonisti della nostra vicenda emi-gratoria. Finché ci sarà anche una sola diqueste persone, abbiamo il dovere di rispon-dere alle loro esigenze, anche a quella di ve-dersi ricordati dalla terra natale con l’invio diun giornale che continui a farli sentire partedella loro comunità di origine.Disinvestire nella comunicazione con la col-lettività italiana all’estero è una scelta deci-samente miope, tra l’altro portata avantiproprio mentre si incentiva e finanzia, daparte del Governo, la promozione integratadel Sistema Italia e del Made in Italy, nell’ot-tica della quale il ruolo della stampa italianaall’estero dovrebbe essere invece valorizza-to e messo in sinergia con le altre strategiepromosse per l’internazionalizzazione delnostro Paese e delle sue eccellenze, così co-me avviene a livello locale, dove le testateedite per le collettività all’estero si pongonoa servizio della promozione dei territori edelle loro eccellenze, nonché per l’incentiva-zione del turismo di ritorno, veicolando con-tenuti e attività in stretta collaborazione coni soggetti istituzionali di riferimento.

* Direttore Lucchesi nel mondo

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D urante l’«esilio» forzato dallasua Riace, il sindaco DomenicoLucano ha trovato modo di ali-

mentare la vocazione barricadera: mar-ce, comizi, interventi tv… Per dire che imigranti sono i proletari del terzo mil-lennio e che la solidarietà verso di loroè un dovere. Col suo testone da calabre-se cocciuto, ha rappresentato bene inquesti anni i valori di un popolo acco-gliente, che incrociando uno scono-sciuto, magari su un treno che portavaal Nord, diceva: «Favorite!». E tiravafuori dal fagotto del formaggio, una fet-ta di soppressata, un goccio di vino. Perciò ci ha rattristato profondamentevedere Lucano agli arresti domiciliariper delle presunte irregolarità ammini-strative, robe che di solito riposano ineterno tra gli scaffali delle cancellerie.Mimmo – o me-glio, Mimì, comelo chiamano i fa-miliari e gli amicipiù stretti – ha pa-gato il prezzo diun’utopia irrealiz-zabile, tanto piùnell’Italia di oggi.È stato ingenuo e,forse, un po’ pre-suntuoso. Quan-do una rivista co-me Fortune timette nella listadelle cinquantapersone più in-fluenti al mondo,quando un regi-sta come WimWenders e la tv distato ti dedicanodocumentari e fic-tion, devi aspet-tarti di finire nelmirino, di essere «attenzionato», e de-vi evitare imprudenze o leggerezze. Diqualunque tipo. La speranza è che questa vicenda servaa ripensare l’impegno umanitario versogli immigrati, che non può essere sepa-rato da un altro impegno: il rilancio so-cio-economico del territorio. Senza volipindarici, trovando modalità concreteche consentano di procedere come sudue rotaie di un unico binario.Con la speranza che giunga finalmentein stazione un treno che porti crescitasolidale, lavoro e prospettive di svilup-po. Per tutti.L’istinto fraterno, quello che rende gliuomini degni di loro stessi, mosse Luca-no ad ospitare nel 1998 i curdi naufraga-ti sulla spiaggia del suo paese, lo stesso

luogo in cui furono ritrovati i Bronzi, sim-bolo e orgoglio della Calabria.C’erano le case in collina lasciate vuoteda chi era partito in cerca di fortuna inItalia Settentrionale o all’estero. Unacomunità che rischia di sparire può tor-nare a vivere, si disse. Nacque il «mo-dello Riace» e fu caricato di simboli, diattese, di speranze e di retorica. Unbandiera da sventolare, magari a voltesu cui speculare. L’attenzione verso gli ultimi, i più di -seredati ed emarginati – tratto fonda-mentale della nostra civiltà – divenneuno slogan, anzi, un mantra. Nel frat-tempo, però, i poveri cristi si sono tra-sformati in una massa anonima. Nonpiù solo gente approdata sulle nostrecoste, ma sbarcata a centinaia e centi-naia di chilometri di distanza, condotta

fin da noi e «presain gestione».Nel caso specifi-co, da un piccolocomune di unadelle province piùdepresse d’Italia.Per far cosa?La domanda, unpo’ perniciosa, co-minciò a essere ri-petuta e ripetuta. Ene seguì un’altra,ancor più malizio-sa: si vuol lucraresulla manciata dieuro che lo Statodestina al mante-nimento di profu-ghi e immigrati? Il fatto è che inmolti hanno pen-sato in questi an-ni che il «modelloRiace» fosse la ri-

cetta per risollevare la Calabria e ilSud intero. L’assunto, più o meno,era questo: facciamo ciò che ci riescemeglio, cioè accogliamo, e in cambioriceviamo soldi per creare cooperati-ve, posti di lavoro, per alimentare ilcommercio…Un’economia di sussistenza, fatta dipiccole prebende, mettendo insiemele mance destinate al sostegno di chisi è aggrappato all’Italia come all’as-se di una nave che affonda. Fa un po’tenerezza pensare alla “monetaparallela” stampata da Lucano conimpresso il volto di Che Guevara. Conquei biglietti i «richiedenti asilo» po-tevano acquistare presso i negoziettidi Riace e dintorni riso, pane, latte,merci varie.

Purtroppo la dura realtà è che non sicrea sviluppo e futuro trasformandoun paese in una specie di villaggio-SPRAR. La vera integrazione passadalla capacità di inserire i migranti inun vero circuito lavorativo, culturale,civile. Sarebbe utilissimo a una na-zione sempre più vecchia, che avreb-be bisogno della forza propulsiva dichi arriva. Finora sprecata in atteseburocratiche per definire lo status delrichiedente asilo, in assistenzialismofine a se stesso, che ha attirato anchemafiosi e disonesti. Lo dimostra l’in-chiesta del 2017 sul “C.a.r.a.” di IsolaCapo Rizzuto, il più grande d’Europa.Il clan locale avrebbe gestito l’affaredell’accoglienza attraverso la Confra-ternita della Misericordia (mai nomefu meno appropriato), che gestiva –colmo dei colmi! – un immobile confi-scato alla mafia, avendo come garan-te il parroco, finito anche lui agli arre-sti. Le cronache dicono che ai migran-ti veniva dato il cibo dei maiali, men-tre i confratelli speculavano sul dena-ro stanziato dalle amministrazionipubbliche. Anche alla luce di tutto ciò, sembra of-fensivo, oltre che insensato, riempirecon i disperati dell’Africa o dell’Asia ibuchi lasciati dal-la nostra emigra-zione. Abbiamomandato via i no-stri figli perchénon siamo staticapaci (o non cihanno permesso)di dar loro unaprospettiva di vi-ta; non possiamolavarci la coscien-za stipando nellestanze rimastevuote chi appro-da con un gommone in Europa. Tutti inostri paesi, e Riace come gli altri, so-no desertificati dalla fuga dei giovani,degli intellettuali. Vanno via le forzemigliori, quelle produttive. Qualcunosi ostina ancora a costruire case per ifigli e i nipoti, che rimangono incom-plete e vuote, e i pilastrini di cemento

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armato con in cima i fiocchi di ferro ar-rugginito sono monumenti a un doma-ni che non c’è. Allora, in questa epoca del fuggi-fuggi,del si-salvi-chi-può, con una crisi di si-stema che dall’economia si estende apolitica e società e che ha eroso la spe-ranza, bisogna concentrarsi sulla ne-cessità (o almenola possibilità) dirimanere là dovesi è nati, nei luo-ghi della propriainfanzia e giovi-nezza, quelli checi hanno formato eche meritano dinon essere abban-donati ma presi incura. Questo valeper il calabrese eper il maliano, peril siculo e per il ni-geriano o per l’indiano e per il benga-lese… Serve un elogio della «restan-za», per usare il termine coniato da Vi-to Teti, da contrapporre alla fogadell’erranza. Restare – afferma Teti – èun’avventura non meno decisiva efondante del viaggiare. Non è unascorciatoia, una scelta di comodo, an-

zi è un atto di in-coscienza e, for-se, di prodezza. Parole che nellanostra Calabria«in uscita» an-drebbero medita-te, se si vuol pro-vare a invertire larotta. Senza spe-ranza per sé nonsi può offrire spe-ranza al prossimo.Lavoro, legalità,istruzione, cultu-

ra: così si creano davvero le condizioniper accogliere e integrare, anziché po-steggiare chi tenta l’avventura in Euro-pa. La prima carità da fare non è il piattodi pasta al rifugiato (quello, comunque,sarà dato), ma è garantire un posto allamensa dell’avvenire a chi qui vive (chevi sia nato o sia arrivato da immigratopoco importa). Ognuno metta sul tavo-lo tutto quello che ha a disposizione,

Persone di CalabriaPersone di Calabria

Se Riace Enzo Romeo

insegna qualcosa

Senza Riace,cosa resta della Calabria?Nel diluvio di commenti sulla vicenda Riace,spesso strumentalizzata da interessi di parte,abbiamo apprezzato l’esemplare interventodi Antonello Caporale de Il fatto quotidiano.Lo vogliamo proporre ai lettori di Itacacon a margine una sommessa rassicurazioneall’autore: della Calabria resta ancora tanto

Antonello Caporale

C he cosa resta della Calabria senza Riace? Cosa di po-sitivo di quella regione in questi anni si è conosciuto

nel mondo se non il modello di accoglienza proposto dalsindaco di quel comune? E perché, quali sono i motivi chehanno portato a questo giudizio unanime? Tutti tifosi perpartito preso?Diamo credito, come è nostro dovere, all’inchiesta del-la magistratura. E senza attendere il giudizio definitivoriteniamo pure che il sindaco abbia ecceduto nell’eser-cizio dei suoi poteri: anche se lo scopo è umanitario lalegge dev’essere rispettata. Bene. Ma erano necessa-rie le manette? L’indagato non si è certo difeso negan-do, sottraendo prove o camuffandole, non ha certo ma-nifestato la volontà di scappare, non si è mai reso irre-peribile. Ha dichiarato di aver obbedito al senso diumanità ritenendolo superiore ai codici. Ha sbagliato?Pagherà. Ma perché le manette? E perché ora il divietodi dimora a Riace?È davvero una misura di giustizia, urgente e indifferibile?Qui non c’entra il merito dell’accusa, ma la valenza sim-bolica di questa decisione.

Obbligare Mimmo Lucano a lasciare Riace ha il saporedell’estirpazione di una pianta cattiva, il senso che quelmodello dev’essere raso al suolo. Già il ministero del-l’Interni aveva provveduto a farlo, revocando a Riacel’autorizzazione ad accogliere ed assistere migranti. Lagiustizia sembra purtroppo completare l’opera politica.E lo fa in una terra che non trova mai giustizia, con unaseverità che è sconosciuta nei mille casi di malaffare chein quel territorio si manifestano e si sviluppano, e conun puntiglio che lascia stupefatti. Se il modello di inte-grazione proposto dal comune di Riace, e applaudito nelmondo, non solo è fuorilegge ma agevola comporta-menti criminali, abbiamo la legittima curiosità di cono-scere quello alternativo.Cosa si propone? Dov’è? Ne esiste uno? O per caso, comesembra, l’idea è semplicemente quella di trasformare imigranti in carcerati, i clandestini in delinquenti, le don-ne in prostitute? E poi?Perché non volgiamo lo sguardo a quel che resta dei nostripaesi di montagna, che muoiono perché i vivi scappano?E se non vogliamo che li abitino anche i “neri”, perchépoi chiediamo le loro braccia ogni volta che servono? Araccogliere pomodori e fragole, insalata e angurie. Aspalare letame nelle porcilaie, a respirare l’aria tossicadelle concerie, a far da badanti ai nostri genitori, o dacolf nelle nostre case?Dove dovrebbero abitare, secondo il ministro dell’Inter-no? Nelle stalle, come i sikh a Sabaudia, vero? Nelle ca-panne di lamiera della Capitanata, nei tuguri di Mondra-gone? Ci sono giudici a Sabaudia? Perché non viene mo-strata la forza della legge in provincia di Foggia, in quelladi Caserta e negli altri territori dove è rispettato il sopru-so e non il diritto?La verità è amara purtroppo. Questo solo è il modello checonosciamo. È così che vogliamo continuare, perciò spa-venta tanto Riace: non sia mai trattare gli uomini, queglialtri, da umani. Accatastati come bestie, magari sì.

idee e risorse, per salvare il pezzo dimondo che gli è stato affidato e che staagonizzando.Persone di gran cuore e amiche di Luca-no, come l’ex vescovo di Locri mons.Giancarlo Bregantini, hanno promossoin passato la nascita di cooperative, maoggi al posto delle fragoline di bosco

in Aspromonte sicoltivano le piantedi marijuana. Chiediamoci sesia adesso il mo-mento di rilancia-re quella stagio-ne, magari facen-do tesoro degli er-rori del passato.Perché non mette-re a disposizionedi giovani volente-rosi strutture oggiin mano a enti che

le utilizzano poco e male, per avviareattività produttive, ad esempio nelcampo del turismo? Penso, ad esem-pio, all’edificio annesso al santuario diCosma e Damiano, proprio a Riace. Perora ha ospitato qualche migrante. Mapotrebbe diventare un ostello-albergo,una casa-vacanze, un centro per ritiri econvegni, in un luogo magico, dove ilmito dei Bronzi si incrocia e sovrappo-ne alla devozione cristiana dei santimedici. Si tratta di prendere coscienzadi una realtà potenzialmente attrattivaper un buon flusso di visitatori, non le-gato soltanto alla breve stagione estiva.Domenico Lucano è una persona perbene e un idealista che ha provato adare forma un sogno. Per lui c’è rispet-to e perfino ammirazione. Non ci piac-ciono, però, i professionisti dell’acco-glienza, simili a quelli che in altra epo-ca Leonardo Sciascia chiamò i «profes-sionisti dell’antimafia». Il volontariatova ben organizzato, ma deve rimanereessenzialmente un’azione gratuita. Seprende le sembianze di un business al-lora c’è il pericolo che il migrante dapersona si trasformi, nel migliore deicasi, in “utente”. E chi si trova con lemani in pasta diviene, di fatto, compli-ce degli scafisti che trattano i profughial pari di merce.

“La speranzaè che questa vicenda

serva a ripensarel’impegno umanitario

verso gli immigrati, chenon può essere separato

da un altro impegno:il rilancio socio-economico

del territorio trovandomodalità concreteche consentano

di procederecome su due rotaiedi un unico binario”

“Lavoro, legalità,istruzione, cultura:

così si creano davverole condizioni per accogliere

e integrare, anzichéposteggiare chi tental’avventura in Europa”

“Tutti i nostri paesi,e Riace come gli altri,

sono desertificatidalla fuga dei giovani,

degli intellettuali.Vanno via le forze migliori,

quelle produttive”

IlariaDel Bianco

«È inquietante che nelcomportamento di uno

stampatore che blocca l’uscitadi un giornale un magistratonon riconosca traccia di reato».Così Carlo Parisi, segretariogenerale aggiunto dellaFederazione nazionale dellaStampa italiana e segretariodel Sindacato Giornalisti dellaCalabria, e Michele Albanese,responsabile Fnsi per la Legalità,commentano la sentenzadel tribunale di Cosenzache ha assolto ‘perché il fattonon sussiste’ lo stampatoreUmberto De Rose dall’accusadi tentata violenza privatain riferimento al blocco dellerotative – avvenuto nella nottefra il 18 e il 19 febbraio 2014 –che non fece mai arrivare inedicola L’Ora della Calabria,

il quotidiano allora direttoda Luciano Regolo, oggiconsigliere nazionale della Fnsie condirettore di FamigliaCristiana.«Una sentenza che, in attesadi conoscerne le motivazioni,desta comunque grandeperplessità» incalzano Parisie Albanese. «Forte di un

precedente come questo d’orain avanti, il primo stampatoreche si alzi la mattina conl’intenzione di bloccareun giornale potrà farlonell’indifferenza generale?».Nel manifestare «la pienasolidarietà e tutta la vicinanza,umana e professionale,a Luciano Regolo, che ha pagato

e continua, purtroppo, a pagaresulla sua pelle il coraggiodi non essersi piegato al soprusoin una terra devastata dalla piagadella criminalità organizzatae dalla collusione, qualeè la Calabria», Carlo Parisie Michele Albanese pongonol’accento su «un altro elementopreoccupante: l’irrilevanzaevidentemente attribuita allatestimonianza del tecnicospecializzato che, in tribunale,ha escluso qualsiasi guasto allarotativa, ammettendo di esserestato costretto proprio dallostampatore a effettuare unaperizia falsa all’indomani delfamigerato blocco.Una realtà, dunque, nonun’opinione dell’allora direttoredell’Ora della Calabria e dei suoi‘ragazzi’. Un dato di fatto.Che non è bastato, però, a farvincere la libertà di stampa».

L’Ora della Calabria, assolto De RoseLo stampatore impedisce l’uscita del giornale ma per il magistrato ‘il fatto non sussiste’

Carlo Parisi Luciano Regolo

Sergio Mattarella presenta a Ilir Metai Sindaci delle comunità arbëresh

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ANNO XI - n.43 - Settembre/Ottobre 2018 4

Persone di Calabria

Un menùdi lunga vita“Verdure, legumi e frutta a guscio”Questo il consiglio del prof. Valter Longo per starein buona salute e rimanere giovani a lungo.Fa la spola tra la California e la Calabria, soprattutto Molochio,piccolo paese di origine dei genitori dove gli ultracentenarisono numerosi. Ci sarà una ragione, avrà pensato.Per scoprirla ha accantonato la sua passione per la musicache lo aveva portato a Los Angeles, per dedicarsi allo studiodella biochimica e dell’invecchiamento

Antonietta Catanese

L’attualità: il Time l’ha inserita trale 50 persone più influenti nel mon-do. Cosa si prova nel sapere di es-sere un influencera livello globale?Sono contento. Soprattutto in Ame-rica il Time ha molta influenza equesto ci permetterà anche di rac-cogliere più fondi per la ricerca, siaall’università che all’ IFOM, e dun-que per le mie Fondazioni. Poi è unaconferma che quello che stiamo fa-cendo stia già influenzando moltepersone. Non mi è mai piaciuto par-lare solo di ricerca che cambierà lecose in un futuro lontano, ho sem-pre voluto anche pensare a comeaiutare chi ne ha bisogno adesso.

Ci racconti gli esordi: sognava difare questo da bambino?No, da bambino sognavo di fare larockstar. Poi al secondo anno di

università, quando mi hanno chie-sto di dirigere la banda dell’univer-sità come studente di jazz perfor-mance, ho dovuto fare una scelta eho deciso di lasciare gli studi mu-sicali per dedicarmi alla biochimi-ca e all’invecchiamento. Avevo 19anni e non ho mai fatto altro. Hosempre pensato che fosse un cam-po fantastico, sia dal punto di vistascientifico che da quello medico.

Qual è la domanda più frequenteche la “gente comune” le rivolge?La domanda più frequente riguardala dieta mima-digiuno. Mi vienechiesto se davvero “allunga la vita”.

Rispondo che non lo sappiamo, mache sappiamo che riduce una seriedi fattori di rischio per le malattie el’invecchiamento.

La dieta giornaliera e la dieta mi-ma-digiuno. Lei consiglia di nonazzardare il fai-da-te e di rivolgersiagli esperti. Ma c’è qualche rego-letta-base che può consigliare?Spiego: la dieta giornaliera è al100% fai da te, in base alle istruzio-ni e alle ricette che si trovano neimiei due libri. In questi parlo di unadieta “pescetariana”: verdure, legu-mi, un po’ di pasta e pane e pescequalche volta a settimana. Invecenon bisogna improvvisare con la die-ta mima-digiuno. È troppo potenteper essere lasciata al “fai da te”.

Ritornando alle origini, ci raccontacosa successe a Molochio, tra queicentenari che sono stati la chiavedelle sue ricerche? Per la verità tutto parte dalla ricercadi base fatta in California, ma ad uncerto punto ho capito che era fon-damentale trovare il denominatorecomune tra scienza e tradizione. Icentenari calabresi, ma non solo ca-labresi, hanno rappresentato un im-portante pilastro per il mio libro LaDieta della Longevità.

Un aneddoto delle sue interviste ai“nonni” di Molochio?Un bell’aneddoto è quello della si-gnora centenaria di Molochio a cui -durante una intervista con la televi-

Lei si sente – o si è mai sentito – un“cervello in fuga”? No, mai! Anche perché sono andatonegli USA a suonare la chitarra. Quin-di semmai sarei un polpastrello in cer-ca di una Stratocaster americana.

Cosa consiglia ai ragazzi che vo-gliano seguire le sue “orme” sullavia della scienza?Sicuramente di andare fuori dall’Ita-lia per un po’, a lavorare con le per-sone più brave al mondo in un deter-minato settore, anche a costo di la-vorare per loro gratis e fare qualchelavoretto per pagarsi le spese. Even-tualmente però è anche bello torna-re in Italia, soprattutto armati diqueste nuove conoscenze e di que-sta esperienza.

Quando ritornerà in Calabria? Quici sono i parenti: cosa dicono diquesta popolarità? Torno in Calabria tre o quattro volteall’anno. È uno dei miei posti prefe-riti. Diciamo che quello calabrese èun popolo molto caloroso, unagrande famiglia. Ho sicuramente vi-sto molto più entusiasmo in Cala-bria che in Liguria, dove sono nato.

Un’ultima domanda. La RegioneCalabria ha varato recentementeuna Legge sulla Dieta Mediterra-nea. Pensa sia utile? Come ho già scritto, la parola DietaMediterranea ormai non significaquasi niente per gli italiani, per dueragioni. Uno: tutti pensano di farlama quasi nessuno la fa; due: metàdelle indagini realizzate fanno vede-re effetti limitati della Dieta Mediter-ranea, sia sulle malattie che rispettoalla longevità. In genere si parla diriduzioni delle malattie tra il 6 e il13%. Quello che è vero è che sicura-mente è una buona dieta da fare eche è stata testata moltissimo. Peròla dieta della longevità che descrivonel mio libro ha un potenziale dimolto superiore, anche se sicura-mente non validato quanto quellodella dieta mediterranea.

sione francese – ho chiesto: “Maquante volte alla settimana lei man-giava la carne quando era giovane?”.E lei, un po’ confusa, e dopo che la fi-glia le traduce la domanda in dialet-to calabrese, sorride e risponde: “Sì,una volta eravamo riusciti a mangia-re carne dopo che ci siamo infiltratiabusivamente in un matrimonio”.Quindi la carne non la mangiavanoquasi mai.

C’è una più spiccata sensibilità, og-gi, verso l’alimentazione? A cosa laaddebita?Al fatto che siamo circondati da ma-lattie e malati, con terapia farmaco-logiche che spesso non fanno mol-to. Le persone hanno capito chequesto non è il metodo migliore.Adesso viviamo tanto malati. La ri-cerca, e soprattutto quella sulla nu-trizione, ha il chiaro potenziale difarci vivere di più e sani.

Quali sono i tre alimenti della lun-ga vita che non devono mancaresulla nostra tavola? Verdure, legumi e frutta a guscio.

Una dritta per approvvigionare unabuona materia-prima?Selezionare cibo biologico, quandopossibile. Bisogna stare attenti nonsolo a cosa si mangia ma alla prove-nienza del cibo. I miei due libri spie-gano come fare molte di questescelte. Quindi partirei da lì e farei ilpossibile per selezionare al megliofinché non avremo qualcuno che fa-rà questo per noi.

Conosciamo meglio Valter Longo ela sua vita “da scienziato”: qual èla sua giornata-tipo? Ha un hobby? La mia seconda passione è la musi-ca, quindi suono ancora chitarra epianoforte, quando posso. Quandone ho la possibilità cerco anche dicamminare e andare in bicicletta,soprattutto in California.

L’eterno dilemma tra studi umani-stici e studi scientifici. È una falsacontrapposizione? Lei legge poe-sie o romanzi? Sono due tipi di studi molto diversima che possono aiutarsi a vicenda.Purtroppo non ho molto tempo perleggere romanzi e quando riescopreferisco rileggere i classici: Piran-dello, Kafka...

E ra partito per l’America perfare la rockstar. Oggi ValterLongo è famoso quanto Bru-

ce Springsteen e deve la sua popo-larità non a una chitarra elettrica,che continua a suonare molto benequando può, ma alle molecole, alDna e ai suoi sorprendenti studi sul-l’invecchiamento. La rivista ameri-cana Time lo ha scelto tra le cin-quanta personalità più influentidella terra, tra Bill Gates e i neo-No-bel James P. Allison e Tasuku Honjo. Il suo luogo del cuore è Molochio, ilsuo paese di origine nell’Aspromon-te calabro, dove ritorna ogni annomalgrado viva all’altro capo delmondo. Nato a Genova, Longo tra-scorreva a Molochio le vacanze dabambino, col nonno, e a Molochioesiste la comunità di ultracentenaritra le più numerose al mondo doveil giovane gerontologo ha condottouna parte importante delle sue ri-cerche: oggi è direttore del Longe-vity Institute all’Università dellaSouthern California e a capo delprogramma Longevità & Cancrodell’IFOM di Milano. Un numero primo, a soli 51 anni: in-ventore della famosa “Dieta Mima-Digiuno” confluita nel libro-bestseller La Dieta della Longevità, edi-to in Italia da Vallardi, tradotto in 14lingue, e cui è seguito un altro suc-cesso, Alla tavola della longevità.

Semplificando, noi siamo ciò chemangiamo. E Longo ha scoperto co-me bisogna mangiare per rimaneregiovani a lungo, proprio come i non-ni di Molochio. Quando ritorna inCalabria, amici e parenti non gli fan-no mancare un “piatto di pasta evaianedda” (i fagiolini verdi appenacolti nell’orto di casa) che per loscienziato valgono quanto una “as-sicurazione” sulla vita.

Prof. Longo, dove si trova adesso, acosa sta “lavorando” e come dividela sua vita tra l’Italia e la California?Direi cinquanta e cinquanta, mi di-vido equamente tra l’Italia e gli Sta-tes. Adesso mi trovo a Los Angeles.Qui lavoriamo principalmente sulla“longevità sana” e sulla rigenera-zione multi-sistemica, con focussulle malattie dell’invecchiamento.

Walter Longo è venuto spesso in Calabria,a Molochio, paese dei suoi genitoriper incontrare soprattutto nonno Salvatore,recentemente scomparso,nella foto sopra allo scoccare dei 108 anni

Con il nonno, suona e cantano insieme

La ricetta dell’ultra centenario, affidataa un giornalista del National Geografic:“No Bacco, no tabacco, no Venere”.E il giornalista ha potuto testimoniare:”Salvatore Caruso, lucidissimo, camminasenza aiuto, recita Dante ad alta voce,guarda la tv senza occhiali, legge i giornali”

ANNO XI - n.43 - Settembre/Ottobre 2018 5

È come se una città di oltre 400milaabitanti – facciamo conto Bologna –fosse sdradicata dal proprio territorioe trasferita altrove. La voragine che la-scia è enorme.In questo quadro di riferimento laConsulta dell’emigrazione della Re-gione Calabria, non a caso ha aggior-nato, opportunamente, la propriadenominazione in “Consulta dell’e-migrazione dei calabresi all’estero”,segno che l’istituzione regionale hapreso atto della necessità di rivedereassetti organizzativi e obiettivi daraggiungere.Negli ultimi anni la legge istitutivadella Consulta, ormai polverosa, èstata aggiornata a breve distanza ditempo, con due revisioni successive.

«I giovani sono venuti in Italia – affermaMaria Rita Liuni – per intraprendereun viaggio diverso da quello

affrontato dai loro nonni e genitori, un viaggioper ritrovare, come dice Carmine Abate,la lingua del cuore, quella dei loro familiariche, invece, emigrando, hanno dovutoaccantonare, per imparare quella del pane,la lingua straniera che ha dato lorola possibilità di trovare un lavoro,per riappropriarsi della propria dignità.L’obiettivo di questo ritorno è anche quello

di mantenere e consolidare l’identità culturalee la memoria della propria origine ma anchedi accrescere un forte sentimentodi appartenenza che permetta di diffondere,presso le proprie comunità di residenza,l’interesse per la conoscenza della Calabria.«(Ri)appropriarsi della propria identitàè una questione fondamentale e vitaleperché in fondo significa ritrovare i valori,le tradizioni, gli usi, le consuetudinidi cui la nostra Calabria ha una ricca storiae di cui dobbiamo essere orgogliosi.Tutto questo rappresenta il motivo,la vera ragione che ha fatto in modoche le nostre comunità di calabresi,

sperse in tutto il mondo, conservasseroun vivo e forte legame con la propria terra.Questo legame deve essere rinnovatoe i nostri corsi sono delle importantioccasioni per rafforzare e recuperare l’identitàe farla diventare un elemento di arricchimentoper la valorizzazione della cultura a partiredalla conservazione e diffusione della lingua,e al tempo stesso recuperare le tradizioni. «Gli studenti arrivati dall’Argentina,dal Brasile e dall’Uruguay, sono venutiper ritrovare le loro origini, mossi da un forteinteresse per tutto ciò che conoscono già,ma solo attraverso il racconto dei loro cari:visitare il paese di origine delle loro famiglie,

abbandonato con la tristezza nel cuore,capire le ragioni dell’emigrazione,incontrare i lontani parenti ancora in vita,sciogliere i dubbi sulla loro identità etnicae capire che cosa c’è di italiano in loro,significa ricostruire il passato della famiglia.(Ri)allacciare un rapporto con il loro passatoper imparare ad accettare come propri alcuniaspetti culturali che non appartengonoalla società in cui sono nati. E solo recuperando la memoria delle proprieorigini si ravviva e si sostiene il sensodi appartenenza e di identità alla propriacomunità di riferimento».

La lingua del cuore, la lingua del pane

E migrazione? Storia vecchia ver-rebbe da dire a fronte di quellostraripante fenomeno sociale

dell’immigrazione che sta vivendol’Europa, l’Italia in modo particolare.Non ne è estranea la Calabria che deidue aspetti rappresenta un casoesemplare.Il recente Rapporto Italiani nel Mondo2018 elaborato dalla Fondazione Mi-grantes rivela un dato sorprendenteche consegna la Calabria al vertice diuna graduatoria insospettata. Stiamoparlando dell’AIRE, il registro degliitaliani temporaneamente residentiall’estero. Primo dato: l’indice d’i-scrizione all’AIRE della popolazio-ne italiana è dell’8,5%, quello dellaCalabria 20,7% – due volte e mez-zo – su una popolazione residentedi 1.957.328 abitanti. Significa cheal momento attuale ogni cinque ca-labresi uno ha fatto la valigia versoaltri lidi. Ritornerà? La probabilità èpiù “no” che “sì”.

Ora è la Legge 8 che definisce reali-sticamente, semplificandole, le re-gole del rapporto tra la Regione el’altra Calabria. E occorre dire che aquesto esito si è pervenuti anchecon il significativo contributo deglistessi consultori.Si lasciano al passato certe praticheinconcludenti come la dispersione apioggia dei contributi regionali per co-struire invece ipotesi di lavoro rigoro-se che chiamano alla collaborazionele associazioni fra loro.La novità più rilevante è il “Pianodegli interventi”, già operativo, cheprevede otto grandi progetti finan-ziati con 25.000 euro ciascuno, dueper ogni area continentale. Nellasua realizzazione pratica si misure-rà la capacità reale dell’associazio-nismo all’estero di rappresentare eproporre efficacemente la Calabria.È una svolta: il “contributo” diventa“investimento”.

Se la Regione perdeil suo capitale umano

F ono 160.000, a dar credito a una recente ricerca, i giovani in fuga dal-la Calabria negli ultimi quindici anni.

Costituisce questo un autentico rovello per il Presidente della Regione,Mario Oliverio e per Orlandino Greco, Consigliere regionale con delegaall’emigrazione.C’è, poi, la diffusa consapevolezza che il mantenimento dei rapporti ditipo storico e culturale con le generazioni un po’ più avanti con gli anni,sono destinate ad affievolirsi sempre più, e quindi è fondamentale pen-sare al ricambio se si vuol mantenere un legame identitario con le comu-nità all’estero.Per queste ragioni le scelte del Presidente e della sua Giunta sono d’in-coraggiamento e di sostegno dell’impegno delle Associazioni presentiall’estero rimodulando la dotazione finanziaria complessiva e puntandosu obiettivi di forte riconoscibilità e promozione del patrimonio storico,culturale, ambientale della Calabria.

Maria Rita Liuni, docentedell’Università per Stranieri“Dante Alighieri”di Reggio Calabriaha accompagnato e guidatoi giovani partecipanti al Corsodi Cultura e tradizioni della Calabria

Aria di festa di questi giovani corsisti“Grazie per tutti questi 15 giorni di felicità”, hanno scritto

Page 4: Il Bruzio, Persone di Calabria · 2019. 2. 1. · Dovremmo (ri)leggere Persone in Calabria, raccolta degli articoli dell’abate Vincenzo Padula, unico redattore de Il Bruzio, che

I dentità culturale e memoria delleorigini. Intorno a questo temasi sono svolti, negli ultimi anni,

i corsi di studio dei giovani di originecalabrese. È stata questa l’iniziativa piùsignificativa che la Regione Calabriaha intrapreso a favore delle propriecomunità residenti all’estero.Un esperimento che ha bisognodi essere incoraggiato perché possaripetersi stabilmente concaratteristiche di partecipazionela più larga possibile e con unadurata temporale di ciascun corsopiù estesa rispetto alle attualidue settimane.

Puntare sui giovani è sicuramentela scelta più efficace. L’emigrazionepiù antica, quella che è partitadalla Calabria, è destinata a esaurirsie se le nuove generazioninon raccolgono l’eredità di memoriae attaccamento dei padri alleproprie radici, si spegneràdefinitivamente quel sentimentodi appartenenza che è baseessenziale per qualsiasi altrodiscorso. Sotto questo profilo,la partecipazione entusiastica deigiovani finora registrata, è rassicurante. Ecco cosa essi scrivono, primanel chiedere l’ammissione al corsoo dopo averlo effettuato.

ANNO XI - n.43 - Settembre/Ottobre 2018 7

R acconta Manuela Frontera«Si va a verificare attraversole interviste, ovviamente

registrate, se e quanto la linguadel paese ospitante abbia modificatoo cancellato la “pronuncia”di alcuni suoni peculiari dellevarietà dialettali analizzate.«Le interviste rappresentano,a mio avviso, la parte piùemotivamente intensa della ricerca:si percepisce la voglia, a volteil bisogno, di raccontarsi,di raccontare, ma soprattuttola gioia di trovarsi di frontea una “paesana” e di poter vederee ascoltare, attraverso i suoiracconti, come è cambiatala loro Calabria. «L’euforia di poter tornare a parlarecon qualcuno la loro lingua,il dialetto, abbatte qualsiasi

barriera e ci si ritrova travolti dailoro racconti, nei loro orticelli(dove fieri continuano a coltivarei prodotti della terra, mostrati conorgoglio), nelle loro case, dovevengo accolta come un’amica fidata,con la promessa di rincontrarsie saluti fatti di abbracci sinceri.Un’esperienza unica.Anche le diverse associazionicalabresi riservano sempreun’accoglienza speciale, radunandoal momento del primo incontrotutti i loro soci, impegnatiattivamente nel “reclutamento”delle persone da intervistare:traspare la voglia di regalarealla memoria futura partedella loro esperienza e dellaricchezza culturale e linguisticache li contraddistingue.Per qualche giorno divengo parteintegrante del loro microcosmo,fino a trovarmi insieme a loro sul

palcoscenico delle Colectividades(Rosario), con abiti tradizionalie la bandiera italiana in mano,ballando insieme la tarantellae vivendo la festa come se fossiparte del gruppo.

«Ogni giorno è una nuovaavventura, una nuova esperienza,ma la sensazione è sempre quelladi trovarmi in un’altra Italia,dove di diverso c’è solo la lingua.

La cultura di origine continuaad essere parte fondamentalee viva di questo popoloe la speranza di tutti, me inclusa,è che anche i discendentipossano farsi portavoce di questaricchezza e perseguire le tradizioni

e i costumi dei propri nonni,senza i quali tutto questo potrebbeandare perso.Mi sento fortunata ad aver potutotestare e conoscere di persona

questa realtà, e poternecondividere per lo meno una parteattraversole mie ricerchemi fa sentire utile alla causa.«Nel frattempo, qualcosa di unicodi queste comunità verrà di certopreservato: le loro voci».

PER ACCEDEREAI CORSII Corsi di Cultura

e Tradizione della Calabriae di Lingua italiana,sono affidati dalla

Regione all’Università”Dante Alighieri”per Stranieri

di Reggio Calabriae all’UNICAL di Cosenza

Sono ammessi i figli di emi-grati calabresi residenti all’e-stero di età compresa tra 18 e35 anni.La struttura dei Corsi prevedeuna parte di attività teorichecon lezioni frontali e una par-te di attività laboratoriali e se-minariali presso realtà azien-dali presenti in Calabria.Alla chiusura del Corso è con-segnato a ciascun partecipan-te un attestato di frequenza.Per essere ammessi ai Corsioccorre compilare i questio-nari forniti dalla Segreteriadella Consulta degli Italianiall’Estero. Sarà poi il Consul-tore competente per territo-rio a indicare l’accettazioneo meno della richiesta, te-nendo anche conto della dis-ponibilità dei posti.

DIALETTOdeposito di memorieManuela Frontera, ricercatrice presso la cattedra di

Linguistica Generale del prof. Luciano Romitodell’Università della Calabria, è impegnata nel progetto

CMA (Calabrian Migrants in Argentina)di ricerca sul campo che mira a ricostruire

le abitudini linguistiche conservatedagli ultimi emigrati calabresi

di prima generazione, nell’usodei propri dialetti di origine

Cosa rimane di quei dialettie come si sono evoluti nel tempo?

e si cerca in ogni modo di proteggere dalrigido inverno canadese, con piccole ser-re amatoriali, l’albero di fichi, che im-mancabilmente perisce al clima nord-americano. Infatti fino ad un ventenniofa, prima che le compagnie aeree pones-sero delle restrizioni, non era raro incon-trare nell’aeroporto di Lamezia Terme ilcalabro-canadese, che rientrando dallevacanze estive, portava con sé il famoso

“panaro” di fichi, ben coperto dalle fogliedel frutto stesso.A casa di mia nonna, che abita a Wood-bridge, e in quella di ogni emigrato cala-brese che si rispetti, sono presenti duecucine: una al primo piano, immacolata eintoccabile, fatta di marmi e legni pregia-ti, che ha la mera funzione di mostrarsiagli ospiti; e una nel seminterrato, diqualità inferiore (solitamente è quelladella vecchia casa di St.Clair, il quartieredove in un primo momento si concentròla popolazione italiana), che assolve ap-punto alla funzione di cucina. Inoltre èimmancabile il parquet in ogni stanza,(esclusi cucina e pianterreno), che è trat-tato quasi con religiosità e venerazione,in quanto simulacro del successo econo-mico. Ancora, immancabile è la macchi-netta per il caffè espresso da due tazze,posta ben in evidenza come simbolo diappartenenza alla cultura italiana. Rara-mente si trova questo “feticcio” nelle ca-se degli italiani di seconda e terza gene-razione, in quanto  preferiscono il caffèlungo, tipico del Nordamerica.L’orto dietro la casa rappresenta il lega-me con la terra  d’origine e anche la pos-sibilità di reperire cibo facilmente; riman-da al desiderio di mantenere vive le pra-tiche alimentari della terra d’origine e di

conservare i legami con essa. In realtà, lacucina, grande e bella, rappresenta la li-berazione dall’inedia sofferta in Calabria.Fu la “fame” uno dei motivi propulsori al-la scelta migratoria di quelle famiglie cosìnumerose.Nei miei viaggi ho assistito più volte, trala fine di agosto e gli inizi di settembre,alla conversione dei garages, delle belleed eleganti detached houses di Wood-bridge, in opifici, dove intere famiglie siriuniscono per realizzare la nostra salsadi pomodoro, la cosiddetta “conserva”o “purè”.

Embassy Drive, la strada dove mia nonnavive e dove vi abitano molti altri calabresi,ma anche pugliesi e siciliani, quando si fail purè, diventa teatro di convivialità e ar-monia; si parla in dialetto, si mangia in-sieme al next door (che è sicuramente unrendese o proviene da un altro paesino li-mitrofo) e si fa inevitabilmente un tuffonel passato, ricordando quando questistessi lavori si effettuavano in quei vico-letti strettissimi del centro storico di Ren-de o di Marano Principato o di qualsiasialtro comune del Cosentino.La presenza, poi, degli italiani in Canadaha dato origine a un fenomeno linguisticosingolare: l’italiese, termine coniato daGianrenzo Clivio nel 1975. È il risultato delcontatto tra l’italiano e l’inglese, in cui siadattano e si combinano termini delledue lingue.Spesso e volentieri la L1 si ibrida con la L2,ovvero la lingua inglese, quella ufficial-mente parlata nel paese di accoglienza.Da questa ibridazione nasce l’Italiese. Eallora alla luce di ciò non bisogna stupirsise in una delle case di Woodbridge si sen-te: “dammi na beghiceddra ca pigliu duetomati nella backyarda” cioè “dammi unabusta piccola che vado a raccogliere i po-modori nell’orto dietro casa”! Interessan-te è il termine beghiceddra, da  bag, busta

che se di piccole dimensioni in dialettoviene identificato come busiceddra da quibeghiceddra! Così anche tomati deriva datomatoes e backyarda da backyard. Si po-trebbe approntare un intero vocabolariosui termini italiesi!I simboli di una comunità in sociologia so-no definiti core valuese l’aspetto associa-zionistico e religioso sono due identifica-tori molto forti della comunità calabrese.L’associazionismo nella città di Toronto edintorni è importantissimo per la promo-zione e conservazione della nostra culturae del nostro folklore.Infatti, se non fosse per il lavoro costantee vigoroso di queste numerose associa-zioni di provincia e di paese, le nostre tra-dizioni sarebbero scomparse da tempo inun contesto così globalizzato come quel-lo canadese. Della provincia di Cosenza,nella sola città di Toronto,esistono oltreventi circolidi paese.

Abitudini familiarie consuetudini sociali

portate in valigia imbarcandosiverso il Canada, connotano

le comunità dell’emigrazione.Cultura, folclore, religiosità

sono i segni distintivi, esposti,comunque, alle contaminazioni

inevitabili nell’incontrocon realtà diversissime

Angela Zanfino

Le associazioni degli emigrati perno della nostra identità

Francisco Jesus Mangiavalori (Argentina)

aveva scritto: «Condividere abitudini e modi di

vita nel posto in cui vissero i miei antenati

rappresenta un’opportunità unica che non vorrei

lasciar perdere». Ce l’ha fatta: «Sono molto grato di essere riuscito

a vivere questa meravigliosa esperienza e sarei

felicissimo di poterci ritornare al più presto»

Noelia L. Serra, 24 anni, si è laureata in ScienzePolitiche all’Università di Buenos Aires (UBA). «Mio padre è nato in Calabria a Vena Inferiore.È arrivato in Argentina quando aveva quattro anni,con sua mamma. Dopo è venuto mio nonnoe qui è nata mia zia.«Io sono la minore di quattro figli. I miei genitorici hanno trasmesso l’amore per la cultura italianae anche la responsabilità di farla conoscere.«Penso che tutti i giovani dobbiamo conoscerela propria origine, la storia dei nostri genitori,dei nostri nonni, le loro tradizioni, la loro cultura,perché questo è anche un modo di capire tantecose che non abbiamo vissuto ma che oggifanno parte del nostro presente e faranno partedel nostro futuro»

Veronica Morello, figlia di un emigrato giunto

da Fuscaldo (CS) all’età di nove anni, oggi m

olto

attivo nella comunità italiana – è direttore,

fra l’altro del programma radiofonico

“Mattinata italiana,”in onda ogni sabato mattina

per quattro ore – è fortemente impegnata

sul fronte artistico, particolarmente musicale.

La sua maggior passione, facendosi aiutare anche

dagli anziani, è la ricerca della musica popolare

del Sud Italia. Lei stessa “cantora molto brava”

come l’ha definita Edoardo Bennato, durante

un concerto fatto insieme a Buenos Aires, affe

rma:

«Cerco di spiegare in ogni concerto, da dove

viene ogni canzone, di cosa parla, cosa signi

fica

il suo ritmo, come si balla.

«Sento come una specie di “missione, la possibilità

attraverso l’arte di unire le generazioni

e guarire un po’ l’angoscia di quelli che han

no

abbandonato il loro paese»

Politiche nuoveper emigrazione einternazionalizzazioneGiovani di seconda e terza generazione, discendentida emigrati calabresi all’estero, hanno partecipato,con grande entusiasmo, in Calabria, ai corsi di linguaitaliana, storia e cultura regionale. L’esigenza,ora, è di rendere sempre più duraturo il rapportocon le tantissime comunità calabresi nel mondo

«Il mio nome è M

aria Teresa Carus

o Florio

e ho 19 anni. Ap

partengo alla te

rza generazione

di emigrati in Ve

nezuela. Studio

comunicazione

presso l’Universi

dad Católica An

drés Bello a Car

acas,

e sono interessata

a saperne di più

sulla cultura

e la lingua della

Calabria.

«Oltre ad essere

intelligente, estr

oversa e carisma

tica,

ho le competenze

per creare storie

, scrivere proget

ti

che producono u

n benessere socio

culturale.

«Per questo moti

vo vorrei andare

in Calabria

per intraprender

e un progetto au

diovisivo

che potrebbe pro

muovere la cultu

ra calabresa

e anche il turism

o, quindi: quale

la migliore

occasione per im

parare tutto su q

uesta bella terra

che altrettanto a

ppartiene ai mie

i nonni

e contiene quindi

la mia origine?

»

Maria Candela LolliniGrazie alla Regione Calabrese abbiamo avutola possibilità di partecipare al Corso di Culturae Tradizioni della Calabria presso l’Universitàper stranieri Dante Alighieri di Reggio di Calabria.Abbiamo trascorso insieme ad altre ragazzedall’Argentina, dall’Australia, dal Venezuelae dal Belgio due settimane bellissime, imparandosulla musica, sulla cucina, sulla storia,sul cinema e sulla cultura calabrese. È stataveramente un’esperienza unica e indimenticabile.Il primo giorno a Reggio di Calabria abbiamo fattouna visita guidata presso il Palazzo TommasoCampanella, sede del Consiglio Regionaledella Calabria dove sono esposti i Bronzi di Riaceed altri reperti archeologici. Inoltre la RegioneCalabrese ci aveva preparato delle visite guidateper farci conoscere altri luoghi della Calabria:Tropea, Pizzo, Palmi, Vibo Valentia e Bova.A Pizzo abbiamo visitato la Chiesa di Piedigrottae abbiamo assaggiato il tartufo. A Vibo Valentiasiamo andati al Museo Archeologico pressoil Castello dove si trovano dei reperti archeologicidella Grecia Antica. A Palmi abbiamo visitatola Casa della Cultura “Leonida Repaci” avendol’occasione di avvicinarci al mondo della letteraturacalabrese. A Bova dopo della visita guidataalla Chiesa e al Museo di Scienze naturaliabbiamo assaggiato dei prodotti tipici calabresiveramente ottimi! E anche avevamo avutola possibilità di conoscere la città di Tropeacon la sua bellissima spiaggia.Grazie per tutti questi giorni meravigliosi!»

Si potrebbe continuare a lungo nelle citazioni, ma possiamoesprimere in una sola parola che riassume il sentimento

generale per l’esperienza fatta: “Entusiasmante!”

Nella foto del titolo,Manuela Frontera, a sinistra,in abiti tradizionali

Sopra, nello stand culturaledell’Associazione FamiliaCalabresa di Rosario.Subito sotto, il Gruppo folk“I Strinari di Calabria”

A sinistra,Maria Carnuccio, presidentedell’Associazione Calabresedi La Falda.A destra, Manuela Fronterainsieme al presidentedell’AssociazioneFamilia Calabresa,Antonio e la moglie Lina

Visita dei corsistiad Altomonte (CS)

Ad ogni partecipante un attestato di frequenzaa conclusione del Corso

Q uando i miei bisnonni materni, as-sieme ai figli, nel dicembre del1964 giunsero al porto di Napoli

per salire sulla nave “Queen Frederica”che li avrebbe condotti al Porto Pier 21 diHalifax (Nuova Scozia, Canada), erano per-fettamente consapevoli di aver scelto di vi-vere il resto della loro vita altrove, lontanodalla loro amata Rende (CS), ma erano al-trettanto consapevoli che questa separa-zione dal luogo natio sarebbe stata solo fi-sica, mai mentale, mai culturale. I loro usie costumi, l’arte culinaria, il dialetto e le lo-ro tradizioni, emigrarono con loro.A Woodbridge, che fa parte della città diVaughan,  dove sono stata più volte, il re-tro della casa del calabrese, la backyard,non è adibito a giardino, come quello delcanadese, ma ad orto, dove si piantanopomodori, zucchine, peperoncini piccanti

Page 5: Il Bruzio, Persone di Calabria · 2019. 2. 1. · Dovremmo (ri)leggere Persone in Calabria, raccolta degli articoli dell’abate Vincenzo Padula, unico redattore de Il Bruzio, che

ANNO XI - n.43 - Settembre/Ottobre 2018 9

Giuseppe Antonio Martino

D alla Calabria in Cina. Da Dia-mante a Chongqing. Da unpiccolo paese di cinquemila

abitanti a una delle più grandi città delmondo di 30 milioni di abitanti. EnzoMonaco ha percorso a ritroso la “Viadella seta” e l’ha fatta diventare la“Via del diavolillo”. Fondatore dell’Ac-cademia italiana del peperoncino,ideatore del Peperoncino Festival, èdiventato presidente della World Chil-li Alliance, l’Associazione mondialeche promuove la cultura piccantee hasede a Chongqing. Tutto comincia aDiamante nel 1992 con la prima edi-zione del Peperoncino Festival. Poi èarrivata l’Accademia, centinaia di ini-ziative in tutto il mondo, decine di pre-stigiosi riconoscimenti in Italia e all’e-stero.

Monaco, come è iniziato tutto que-sto? Come ti è venuta l’idea del Fe-stival e dell’Accademia?È stata una scommessa o forse una ri-picca. Nel 1992 si celebravano a Ge-nova le Colombiadi in ricordo di Cri-stoforo Colombo e dei cinquecentoanni della scoperta dell’America. Conun gruppo di amici abbiamo chiestoagli organizzatori di ricordare anche ilpeperoncino, arrivato in Europa a bor-do delle caravelle di Colombo. Non cihanno nemmeno risposto e abbiamodeciso di fare da soli. Approntato uncomitato abbiamo organizzato unaserie di iniziative con un titolo elo-quente “1492-1992 Cinquecento annipiccanti”. Tutto per strada, tutto a ri-cordo del peperoncino. È stato subitoun trionfo. Ne hanno parlato i quoti-diani nazionali con La Repubblica intesta. Io fui chiamato a Roma e Uno-Mattina ci dedicò un servizio di ottominuti. Non potevamo tirarci indietro.Abbiamo continuato l’anno dopo epoi tanti altri anni ancora. Fino allaventiseiesima edizione di Settembre.

Il Peperoncino Festival è stato defi-nito dalla stampa internazionale “ilpiù bello del mondo”. Ma che cosaha di diverso e di particolare questoFestival? Tutti i festival dedicati al peperoncinosi occupano di solito degli aspetti ga-stronomici e qualche volta della bio-logia della pianta. Il Festival di Dia-mante è un’esplorazione completadel “pianeta peperoncino”. Parte dal-la gastronomia e dedica spazi impor-tanti a tutte le produzioni che si pos-sono definire “piccanti” in senso me-taforico: nel cinema, nella satira, nellafotografia e nel cabaret, fino alla me-dicina e alla musica.

Quindi nell’Accademia e nel Festi-val prevalgono sempre i momenticulturali. E il peperoncino divental’occasione per fare cultura. Un re-taggio delle tue passate esperien-ze culturali?In effetti il mio approdo alla gastrono-mia è tardivo. Arriva dopo molteesperienze: nel CISS (Centro ItalianoStampa Studentesca, N.d.R.), nelteatro col Consorzio teatrale calabre-se di Enzo Siciliano, nel cinema col Ci-necircolo Maurizio Grande, nel gior-nalismo col Giornale di Calabria diPiero Ardenti, con le riviste Italiaduee CittàCalabria promosse da AntonioMinasi. Nel turismo con l’invenzionedella Riviera dei cedri. Così il pepe-roncino è diventato un contenitorenaturale di cultura, un ancoraggiodelle passate esperienze. Come mo-stra il sottotitolo che ho scelto per ilFestival: “Arte, cultura e gastronomiain salsa piccante”.

Il Festival ha una grossa valenza tu-ristica. Nel mese di Settembre portaa Diamante e in tutta la riviera oltreduecentomila visitatori. Questograzie anche al supporto dell’Acca-demia. Quando è nata l’Associazio-ne e che rapporti ha col Festival? L’Accademia è nata subito dopo, nel1994, quando il successo del Festivalci richiedeva uno strumento operativostabile. In pratica un’organizzazionecapace di lavorare tutto l’anno. Perpromuovere la cultura del peperonci-no e per organizzare, oltre al Festival,tutte le iniziative necessarie per ap-profondire e diffondere la conoscenzadel “diavolillo” che ci vedeva indietrorispetto agli altri Paesi del mondo.Non dimentichiamo infatti che l’Italiaconosce il peperoncino da cinquecen-to anni. Niente a confronto di tantipaesi dell’America latina che lo cono-scono da otto o novemila anni.

Per fare tutto questo come è orga-nizzata l’Accademia?La struttura è fatta da novanta “dele-gazioni accademiche” operative intutta Italia. All’estero sedi di rappre-sentanza nelle principali città d’Euro-pa. A fianco alla presidenza opera uncomitato scientifico composto daspecialisti che studiano e approfondi-scono i vari aspetti della cultura lega-ta al peperoncino. Come casa editricel’Accademia pubblica libri e riviste.Sua Maestà il Peperoncino che hoscritto nel 2001, è stato tradotto an-che in giapponese; Peperoncino,amore mio è stato definito la “Bibbiadel peperoncino”. Con Sharo Gambi-no abbiamo pubblicato la Ceceide diAmmirà e un’antologia di poesie cala-bresi dedicate al diavolillo. Per pro-muovere la cultura piccante due colla-ne: CucinaPic con le ricette e OrtoPic

“Via della seta” un loro patrimonioancora valido e ancora da utilizzare.Sono grandi produttori di peperonci-no. Lo utilizzano molto nei loro piattima soprattutto lo considerano “stru-mento di amicizia e di fratellanza fra ipopoli”. Per questo hanno dato vita aun’Associazione mondiale che perse-gue queste finalità, la World Chilli Al-liance. Sono venuti al Festival di Dia-mante per due anni di seguito. Siamodiventati amici e mi hanno voluto no-minare Presidente mondiale della lo-ro Associazione, assieme a Dave De-Witt il “papa” del peperoncino e Lì De-jian il più grande produttore di pepe-roncino al mondo.

Con la via del peperoncino la nostraspezia piccante va alla conquista

del mondo. E pure ad oggi viaggiasenza carta d’identità visto che ilpeperoncino calabrese non ha anco-ra un marchio di qualità.È vero, il peperoncino potrebbe girareil mondo e potrebbe diventare “ororosso”, autentica risorsa economica.Non lo fa e non lo potrà fare senza undocumento di riconoscimento. La pra-tica per il marchio europeo di IGP,Identificazione Geografica Protetta, èpartita dalla Regione Calabria diecianni fa ma non è mai andata a termi-ne, nonostante il continuo interessa-mento dell’Accademia. Per la nostraassociazione un grande fallimento euna grande delusione.

Il peperoncino viene anche definitoil “principe della Dieta mediterra-nea” e molti studiosi gli attribui-scono virtù salutistiche. L’Accade-mia è impegnata anche su questofronte?Sicuramente. Il peperoncino è unoscrigno di sostanze utili all’uomo apartire dalla Vitamina C che AlbertSzent-Györgyi, premio Nobel per lamedicina, ha isolato studiando i pepe-roncini. Mangiare peperoncino fa be-ne alla salute come è testimoniato dal-le molte “ricette piccanti” presenti neiricettari studiati a Nicotera da AncelKeys. Quelle che sono alla base dellaDieta mediterranea, grande patrimo-nio della gastronomia calabrese.

Sono tutte rose e fiori allora. Il pe-peroncino va alla grande. Nessunrammarico? Nessun sogno nelcassetto?Il sogno nel cassetto è organizzare ilFestival internazionale del peperon-cino prima in Cina e poi in Calabria. Ilrammarico è uno solo. Quello che leistituzioni, Regione in testa, non uti-lizzano appieno il peperoncino comeambasciatore di calabresità in Italia enel mondo. Non lo valorizzano comesimbolo gastronomico e culturaledella regione, “unico simbolo unita-rio” come lo definisce Vito Teti in unaterra divisa da mille gelosie e millecampanilismi.

con le schede e i semi di peperoncino.Ogni anno poi pubblichiamo la miglio-re tesi di laurea sul peperoncino pre-miata dall’Accademia con un concorsonazionale. La sede è a Diamante in unastruttura di 300 mq nel Parco fluvialeEnzo La Valva. Ospita l’Università del

gusto e il Centro sperimentale Massi-mo Biagi, due strutture parallele che sioccupano di gastronomia e della colti-vazione del peperoncino.

Le attività dell’Accademia e del Fe-stival hanno fatto conoscere il pepe-roncino in tutto il mondo assiemealla gastronomia calabrese, la Cala-bria e Diamante. Convegni nelle va-rie Università italiane e anche aNew York alla Stony Brook Univer-sity. Un mare di successi e di ricono-scimenti. Qual è quello che hai dipiù nel cuore?In verità c’è stato un crescendo di suc-cessi. Per il peperoncino e per la Cala-bria della quale il peperoncino è diven-tato grande ambasciatore in Italia e

nel mondo. A livello personale mihanno commosso la nomina di Acca-demico dei Georgofili e il riconosci-mento dell’Istituito italiano di socio-logia rurale che mi ha nominato pri-ma Difensore del mondo rurale e poiCantore del peperoncino. Oltre i con-fini nazionali la notorietà mi è venutadal mio libro Peperoncino, amoremio edito da Rubbettino apprezzatoanche in Messico.

E la Cina? La “Via della seta” comeè diventata la “Via del diavolillo”?I Cinesi guardano di buon occhio al-l’Europa e al mondo. E considerano la

Persone di CalabriaNato quasi per ripiccail Peperoncino Festivalha superato le 25 edizioniLa sfida piccante di Enzo Monacostabilisce oggi alleanze in tutto il mondoma con un solo rimpianto:disinteresse? incapacità?delle istituzioni regionali a far conseguireal peperoncino il riconoscimento dopcosì da poterlo utilizzare appienocome ambasciatore di “calabresità”

Enzo Monaco, si è prodigato nel tempo, in una intensa attività, a livello internazionale,di promozione delle virtù del peperoncino. Sopra, a un convegno in Turchia e accantocol cinese Li Dejian, il maggiore produttore di peperoncino del mondo.Nelle foto sotto, in TV con Lidia Bastianich e un intervento alla Stony Brook University di New York

È stato Cristoforo Colomboa portare in Europa il peperoncino.Nel 1992, cinquecento anni dopo,al rifiuto del Comitato delle Colombiadidi ricordare anche il peperoncino, ci pensòEnzo Monaco con un gruppo di amici.Nacque il Festival, un successo immediato,ininterrotto ormai da 26 anni

Luigi, qual èil tuo progetto?

Voglio raccontarvi un aneddoto… Mi trovavo a Boston, per la precisionea Cambridge, nella zona universitaria del M.I.T. e di Harvard, ed ero

andato al Cinema Kendall Square. Proiettavano Le quattro volte, un filmitaliano diretto da Michelangelo Frammartino, che nelle sale italiane nonè stato nemmeno proiettato. Si narra la vita di un pastore nella Calabriainterna, ed è stato girato tra Alessandria del Carretto nell’Alto Jonio e SerraSan Bruno nel Vibonese. Le quattro volte sono rappresentate dalle quattrostagioni che il nostro pastore osserva in silenzio sotto una quercia mae-stosa, fino al giorno della sua morte, in cui è inquadrato nel suo letto ve-gliato dalle sue capre. Sentendomi imbarazzato dagli interminabili silenzi del film mi rivolgevo aimiei compagni di visione, colleghi americani, chiedendo se fossero annoia-ti, visto il ritmo travolgente dei loro film. La risposta fu: «Nemmeno per so-gno Matteo. È affascinante sapere che esiste un mondo così arcaico e pa-cifico al giorno d’oggi. Ma è veramente così la tua Calabria?». Il documen-tario registrò il tutto esaurito per un mese. Lì fui fulminato da un’idea: quel-la di rendere fruibili certe pratiche che noi consideriamo cascami in via diestinzione, ai cittadini colti del mondo postmoderno che li apprezzano peraverli perduti.Ma come rendere fruibili le nostre tradizioni? La mia esperienza negli USAmi ha insegnato tante cose al riguardo. Mi riferisco al finanziamento dellenuove idee, magari idee di giovani che hanno studiato e si sono laureati neitre Atenei calabresi, ma che non hanno i mezzi economici per realizzarle. Equi voglio raccontarvi un altro aneddoto: il mio primo figlio, ormai trenta-settenne, vive in Illinois da quando ne aveva diciannove. Mi aveva chiestodi andare a studiare in uno di quei meravigliosi Campus Universitari cheavevamo visitato durante i miei soggiorni di studio. Io lo accontentai ven-dendo un appartamento di proprietà, e investendo nella sua formazione,una operazione che noi economisti chiameremmo “disinvestimento in ca-pitale fisico e investimento in capitale umano”. Luigi, questo il nome di mio figlio che ora fa il ricercatore al Centro Nazio-nale per Supercomputing all’Università dell’Illinois in Urbana-Champaign,racconta che aveva un compagno di studi, Jawed, il quale durante le lezionisi informava spesso su quale fosse il suo progetto. “Progetto? Quale pro-getto?” rispondeva Luigi, “Io faccio i compiti a casa assegnatimi dai pro-fessori, e seguo le lezioni. Che altro dovrei fare?” Non capiva proprio a checosa si riferisse il suo amico Jawed. Dopo essersi laureato ed essere stato assunto al Centro per Supercompu-ting, una mattina Luigi si avvia ad assistere a un seminario tenuto da unodei fondatori di YouTube, e indovinate un po’ chi era costui? Sì, avete capitobenissimo, il suo compagno di Università Jawed Karim, quello che gli chie-deva dei suoi progetti, e che evidentemente era riuscito a far diventare real-tà il suo progetto. Perché vi ho raccontato questa storia? Perché a mio avviso è un esempiolampante di ciò che serve per creare sviluppo: capacità imprenditoriale daparte dei giovani e propensione al rischio da parte dei finanziatori. Senzaentrambi questi ingredienti (domanda di capitali e offerta di capitali) nonandremo da nessuna parte. La mobilità sociale – il cosiddetto sogno ame-ricano, l’American dream – è purtroppo una caratteristica che stenta ad af-fermarsi nel nostro paese. La nuova ondata di globalizzazione ha stravolto il vecchio modello migra-torio: non c’è più un’andata senza ritorno, ma giovani laureati che partonoe rimangono collegati elettronicamente e attraverso i viaggi low cost allaterra d’origine. L’esempio canonico che si fa al riguardo è quello fornito dall’India, cheospita una parte delle software house collegate alla Silicon Vallley, per-ché i giovani Indiani che hanno studiato nelle università americane, sonoritornati nel loro paese, ma rimanendo in contatto imprenditoriale con iloro professori americani. A questo modello è stato dato il nome di dia-spora. La diaspora è diversa dalla emigrazione, perché rimane il contattocon la terra madre verso cui si aspira a ritornare, senza tuttavia perdereil contatto con la terra di arrivo, quella che ha insegnato loro un nuovo epiù moderno stile di vita.Io credo che la consulta dei Calabresi all’estero dovrebbe servire a raffor-zare questa diaspora: costruire networks che rompano l’isolamento, e con-tribuiscano al cambiamento culturale sia dei luoghi di partenza che dei luo-ghi di arrivo dei migranti.

Matteo MariniOrdinario di Teorie dello Sviluppo Economico Dipartimento di Scienze Politiche Sociali dell’Università della Calabria

il sentimento identitario di appar-tenenza ma anche di tutela dei lorodiritti.

• progetti per aree-paese promossicongiuntamente da più associazio-ni (o da una federazione) con l’o-biettivo della promozione all’este-ro della Regione Calabria, ovvero lapromozione del suo patrimonioculturale e monumentale, dellesue produzioni (comprese quelleoggetto di tutela comunitaria), del-le tradizioni eno-gastronomiche,del territorio e della offerta turisti-ca. Tali progetti possono prevedereazioni diversificate tra cui:

a produzioni e promozioni (anche tra-mite l’istituzione di appositi premi erassegne) di prodotti multimedialiche descrivono la storia, la cultura,le tradizioni, il territorio, il patrimo-nio monumentale della Calabria; lericostruzioni storiche possono an-che riguardare la storia migratoriadei Calabresi (da realizzare anchesotto forma di percorsi virtuali e in-terattivi) così come le esperienze, leattività e le forme di aggregazionedelle comunità calabresi nelle diver-se regioni del mondo;

b festival e rassegne musicali da or-ganizzare all’estero, anche attra-

L e Associazioni iscritte nell’Alboregionale sono oltre 150 dellequali alcune riunite in federa-

zioni – dieci – che operano su basestrettamente volontaristica. Il contri-buto della Regione per le attivitàmesse in campo costitituisce pertan-to un sostegno alla promozione all’e-stero del patrimonio culturale, delleproduzioni e del territorio regionale.Le priorità individuate potranno es-sere perseguite attraverso differentiattività e scelte organizzative tenen-do conto del buon uso delle risorsedisponibili.

Proviamo a individuarle più specifica-mente:• Incontri periodici del Comitato di-

rettivo da svolgere prevalentemen-te in video conferenza;

• attivazione di un sito internet chefavorisca la comunicazione digitalee l’adozione di modalità di comuni-cazione quanto più interattive pos-sibili (anche con la promozione dieventuali blog tematici);

• eventi ed iniziative promossi local-mente dalle associazioni e federa-zioni con l’intento sia di consolida-re i legami tra i Calabresi che vivo-no all’estero e mantenere così vivo

verso eventi itineranti o l’istituzionedi premi, per promuovere la cono-scenza delle tradizioni folkloristi-che della Calabria e l’incontro conle tradizioni folkoristiche locali;

c riconoscimenti da conferire, con larealizzazione di eventi pubblici, aCalabresi residenti all’estero che sisiano distinti in ragione di meritiprofessionali, culturali o politici;

d manifestazioni per la promozionedella cultura eno-gastronomica re-gionale; le iniziative in questionepossono anche prevedere eventi iti-neranti o l’istituzione di premi cosìcome Stage e programmi dedicatialla divulgazione delle tecniche tra-dizionali utilizzate nella produzionee lavorazione di diversi prodotti (es.pane, dolci, salumi, conserve, li-quori…); gli eventi e i programmi di-vulgativi possono anche essereprogettati per essere veicolati at-traverso i canali di comunicazionetradizionali o attraverso il web oprevedere altresì la presenza dichef e testimonial di richiamo;

e manifestazioni e mostre aventi aoggetto la produzione artigianaleregionale con eventuali seminari oeventi dimostrativi delle tecnichedi lavorazione tradizionali in settoriquali, ad esempio, l’oreficeria, laliuteria, la produzione di ceramichee vasellame, la produzione di tes-suti e tappeti...

f percorsi guidati alla scoperta del-le opportunità di partnership eco-nomiche da realizzare nelle regio-ni di maggiore insediamento dellecomunità dei Calabresi nel mon-do; iniziative che possono ancheprevedere azioni di supporto e in-termediazione a favore della na-scita di partenariati istituzionali ecommerciali;

g creazione di siti web finalizzati a:far conoscere e promuovere leesperienze delle comunità dei Ca-labresi nel mondo; consentire for-me di cooperazione a distanza trale diverse comunità e tra queste ei corregionali in Calabria; favorirelo scambio di esperienze e sensi-bilizzare l’opinione pubblica suitemi che riguardano la cittadinan-za, la tutela dei diritti, i servizi ga-rantiti dai consolati, la partecipa-zione politica.

Quale sarà la Città simbolodella Calabria all’estero?L’ intento è di dare grande visibilità alla cultura, le tradizioni, i talenti,i luoghi e la storia della Calabria scegliendo come palcoscenicouna sola città all’estero tra quelle in cui la presenza dei Calabresi o deidiscendenti dei Calabresi è più significativa. Insomma promuovere unasorta di grande festival nel cuore di una città che per il 2019 diventeràuna città simbolo della Calabria cosmopolita.

Si potranno organizzare stands espositivi, spettacoli (musica, danza,recitazione…) mostre, convegni e dibattiti. Si potranno anche promuo-vere forme di collaborazione istituzionale, scambi o forme di collabo-razione tra università (con la mobilità di studenti e docenti), accademiee istituzioni musicali.

Tutte le associazioni e federazioni dei Calabresi all’estero potranno pre-sentare una candidatura attraverso un progetto elaborato sulla basedelle indicazioni contenute nell’apposito Avviso pubblico che sarà pre-disposto dall’ Amministrazione regionale.

COSA FARE NEL PROSSIMO ANNOPer il 2019 ammonta a 300.000 mila euro la dotazione della Regione per le attività

della Consulta dell’Emigrazione e del suo Comitato direttivo, con una indicazione a valorizzarequelle azioni che si ritiene possano assumere un valore strategico e virtualmente propulsive

COSA SERVE PER CREARE SVILUPPOBuenos Aires. La grande festadei Calabresi d’Argentina.Al centro Mario Oliverioaccompagnato alla sua destra,dal Consigliere regionaleOrlandino Greco

Un’immagine dal film Le quattro voltedi Michelangelo Frammartino

sullaVia della Seta

Page 6: Il Bruzio, Persone di Calabria · 2019. 2. 1. · Dovremmo (ri)leggere Persone in Calabria, raccolta degli articoli dell’abate Vincenzo Padula, unico redattore de Il Bruzio, che

Nella visione pessimistica nel secoloche gli toccò vivere e nonostanteuna reclusione durata 27 annie l’implacabile giogo della censura,Tommaso Campanella sviluppòla sua riflessione filosofica e politicafino a concludere con la necessitàdi un governo universale sottoil potere della monarchia spagnola.Saverio Ricci,con un impegnativoe corposo volume,offre nuoviapprofondimentisulla vicenda spirituale,politica e umanadel frate domenicanodi Stilo che dedicòla sua esistenza a cercarerisposte profetichealle devastazionidel suo tempo

Francesca Lotti

T ommaso Campanella è certamente unodei calabresi più noti in Italia e nel mon-do; nato a Stilo il 5 settembre 1568, fu un

personaggio di primo piano nel panorama intel-lettuale ma anche politico dell’Europa del tardoRinascimento. La sua fu una storia costellata diarresti, processi, prigionie, ma fu anche caratte-rizzata da un impegno speculativo continuo, di-stillato in una vasta mole di scritti quali la Philo-sophia sensibus demonstrata (1591) e il De sen-su rerum et magia (1609), e coronato dalla ste-sura di una delle più importanti e note opere fi-losofiche del tempo, la Città del Sole: un dialogocomposto nel 1602, fondato sulla Repubblicaplatonica e considerato unanimemente uno deimigliori frutti dell’utopismo rinascimentale in-sieme all’Utopia di Thomas More del 1517.

Campanella, nel corso della sua travagliata esi-stenza, fu in contatto con i vertici del potere ec-clesiastico e politico europeo; lo protessero, tragli altri, il cardinale Richelieu e il re di Francia Lui-gi XIII, presso la cui corte morì, lontano dalla pa-tria, il 21 maggio 1639. La vita di Campanella è, da secoli, oggetto di unacceso dibattito storiografico; e oggi la biblio-grafia a lui dedicata si arricchisce di un nuovo eimportante studio, redatto da Saverio Ricci – cheinsegna Storia della Filosofia all’Università della

Tuscia – e pubblicato per i tipi diSalerno Editrice.Questa corposa biografia rappre-senta il coronamento di una lun-ga stagione di studi campanellia-ni portati avanti da Ricci muoven-do in primo luogo – e poi, natu-ralmente, ampliando lo sguardofino a coprire l’intera vicenda esi-stenziale del filosofo – dal conte-sto del controllo inquisitoriale edella censura delle idee filosofi-che e scientifiche nel XVI e XVIIsecolo; un terreno di studio par-ticolarmente fertile soprattutto inseguito all’apertura ufficiale aglistudiosi degli archivi del S. Uffi-zio e Indice nel 1998.Un evento, questo, di cui cade

quest’anno il ventesimo anniversario, e che hadecisamente incrementato l’interesse – maid’altronde sopito – della comunità scientificaverso Campanella e gli altri protagonisti (primitra tutti Giordano Bruno e Galileo Galilei) diquella «non ingloriosa tragedia» – come ebbe adefinirla Luigi Firpo – che portò alla prigione,all’abiura o al rogo diversi filosofi italiani in queltorno d’anni che va dalla fondazione del Sant’Uf-fizio nel 1542 all’abiura di Galileo nel 1633.Tra i filosofi che, nell’immaginario collettivo delnostro Paese, sono stati circondati da un aloneromantico ed eroico ed assunti come simbolinazionali della libertà di pensiero e della ribel-lione al giogo della censura, Campanella rap-presenta certamente uno dei più noti e celebra-ti; lo ricordano le strade e le piazze a lui intito-late in tutta Italia, i monumenti dedicatigli e per-sino un film, girato da Gianni Amelio nel 1973;moltissime monografie gli sono state dedicatesolo negli ultimi due secoli, con dovizia di docu-menti e testimonianze, attraverso un’accurataricostruzione di rapporti e contesti e un conti-nuo confronto tra letture storiografiche a voltecontrastanti. Tuttavia, come scrive Saverio Riccinella Premessa al volume, «nel dibattito inter-pretativo, la categoria di “ambiguità”, riferita aun personaggio dai tratti comunque “eroici”, eal suo pensiero, percepito di problematica “uni-tarietà”, anche per la vastità della produzione,è stata adoperata forse più del necessario. Essasembra dare per irresolubili […] delle radicali al-ternative: Campanella machiavellico “libertino”e cospiratore “repubblicano”, oppure cattolicomedievalizzante, o indisciplinato interprete del-la Controriforma; “utopista” o “teocratico”; filo-spagnolo o filo-francese, per tattica, o per con-vinzione; capace comunque di costanti finzionio dissimulazioni».

Il filo unitario della personalità e dell’opera del fi-losofo appare invece all’Autore «costituito dall’in-sofferenza verso il disordine del mondo, percepitocome intreccio di falsità filosofica, sperequazione,spreco, carestia, malattia, conflitto»; è ben nota,d’altronde, la visione integralmente pessimisticadi Campanella in proposito del secolo che gli toccòvivere: un secolo a cui conveniva «l’abito negro»,perché pieno di «ignoranze e paure», di tradimentie cattiverie, come scrisse in uno dei suoi sonetti diargomento filosofico; ed è altrettanto ben nota lasua integerrima volontà di porre rimedio, una voltaper tutte, a questa devastazione, attraverso, comescrive ancora l’Autore, «un governo universale, ri-sposta politica a quella prima globalizzazione chesembrò data a fine Cinquecento da un mondo piùunito da navigazione, commerci, tecniche, e diffu-sione della fede cristiana, ma pieno di ingiustiziee falsità fra loro profondamente collegate, e colle-ganti continenti e civiltà diverse».

La vicenda e l’opera di Campanella, la sua ten-sione politica, la sua volontà incrollabile di agireper cambiare il suo presente lo rendono un per-sonaggio di primo piano in quel periodo di gran-de fermento in cui si gettarono i semi che si sa-rebbero poi sviluppati nell’età delle rivoluzioni. Nasce così la Monarchia di Spagna, un trattatoin cui “ragion di stato” e profetismo si intreccia-no per additare infine il regno iberico come «lapotenza mondiale destinata ad attuare l’unifica-zione dell’orbe sotto un solo potere e l’erezionedella monarchia cristiana» (L. Firpo); e nasce co-sì la sua supposta implicazione nella congiura diCalabria del 1599, che, insieme ad altre accuse

di eresia, gli comportò unareclusione lunga 27 anni.«L’idea di una continuità –scrive Ricci – tra Monarchia diSpagna, congiura e Città delSole, come di un consequen-ziale passaggio dalla teoriaalla prassi della rivoluzione, edi qui a un’utopia, fallita la ri-voluzione, è suggestiva, e ap-pare coerente con l’immagi-ne di Campanella, già sboz-zata nelle cronache coeve,come di un rivoluzionario checercasse di mettere in praticaun piano insurrezionale». E

tuttavia, ricorda l’Autore coerentemente con ilsuo lavoro di ricostruzione di una biografia cheè stata oggetto, nel corso dei secoli, di interpre-tazioni variegate e a volte contraddittorie, «quel-le cronache risentirono della “verità” giudiziariastabilita in un processo intossicato dagli inqui-renti secolari». Proprio in questo aspetto risiede l’importanzadel lavoro di Saverio Ricci: ovvero nell’intento dioffrire, agli studiosi e al pubblico, uno strumen-to che raccolga e indaghi, in modo quanto piùpossibile completo ed esaustivo, la massa difonti e testimonianze a nostra disposizione,giungendo a una sintesi che accompagna il let-tore attraverso la vita di Campanella con l’obiet-tivo primario di discernere la realtà storica inmezzo alla selva delle interpretazioni, serven-dosi di una solida impalcatura teorica e docu-mentaria nonché di un’accuratissima ricostru-zione del contesto in cui essa si svolse, e dandoconto degli innumerevoli riferimenti, contatti,rapporti che il filosofo poté intessere negli annidella formazione, della vita “mondana”, dellaprigionia e poi della fuga in Francia.Tra ripetuti e interminabili processi – con rela-tivi conflitti giurisdizionali –, orride segrete etorture indicibili, ma anche attraverso una in-defessa speculazione filosofica nell’ambitodella «nuova scienza» inaugurata dall’amatomaestro Bernardino Telesio, con incursioni nel-la magia e nell’astrologia – che gli valsero lesimpatie di Urbano VIII –, con la necessità dimuoversi con una continua circospezione chespesso tralasciò e che gli comportò la messaall’Indice di gran parte delle opere, nonché de-lazioni e accuse d’eresia che tanto erano comu-ni all’epoca dei conflitti confessionali, la figuradi Campanella riassume perfettamente il pro-fondo dissidio tra ragione e fede che caratteriz-zò l’Europa del “secolo di ferro”: un momentostorico che ci ha dato personalità filosofiche escientifiche di assoluto rilievo, spesso accomu-nate da sorti drammatiche, chiaro segno delladifficoltà oggettiva attraversata dai nascentiStati nazionali nel definire il concetto di libertàe la linea di demarcazione tra potere politico eautorità religiosa. Saverio Ricci ha ricostruito la sua biografia attra-verso una narrazione allo stesso tempo scrupo-losa e avvincente, che permette al lettore di im-mergersi in quel grande movimento di idee checaratterizzò la filosofia del Rinascimento e i cuiprotagonisti, primo tra tutti Campanella, seppe-ro aprire spiragli di luce e immaginare nuovimondi, nuove architetture dell’universo, nuovestrutture del pensiero umano.

ANNO XI - n.43 - Settembre/Ottobre 2018 11

Persone di Calabria

PERIODICO TRIMESTRALEAnno XI- n. 43 - Settembre/Ottobre 2018Registrazione n. 2/08Tribunale Palmi (RC) del 17.01.2008Iscrizione al ROC n. 29583 del 25.05.2017Associato FUSIEPOSTE ITALIANE S.p.A.Spedizione in A. P. D. L. 353/03 - conv. in L. n. 46del 27/02/2004 - art. 1 comma 1 C/RM/25/2017

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Stampa - Albano Laziale (RM)

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“Stavamo tutti al buio...io accesi un lume”

Saverio Ricci

La città di Stilo, sulla costa jonica reggina, dominatadalla celeberrima chiesa bizantina della Cattolica (IX-X sec.).Nacque qui Tommaso Campanella

ANNO XI - n.43 - Settembre/Ottobre 2018 10

Persone di Calabria

F rédéric Vermorel, anacoreta del terzomillennio, ha scelto la Calabria per rea-lizzare la sua speciale vocazione, attrat-

to da una terra dove si percepisce nettamentel’incontro tra oriente e occidente cristiano.Dal 2003 vive nel Santuario di Sant’Ilarione,nell’entroterra di Caulonia, l’antica Castelve-tere. Grazie a lui ha ripreso vita un luogo cheper lunghi secoli era stato adottato dagli ere-miti basiliani di tradizione bizantina. Il suocompagno fedele è il fiume che quasi accarez-za il monastero: l’Àllaro, ovvero il Sagra diepoca magnogreca, famoso per la battagliatra le colonie di Crotone e Locri. Vermorel cer-cava un posto in disparte ma non troppo iso-lato, abbastanza spazioso per accogliere de-gli ospiti e che richiedesse tanto lavoro.«Trovai tutto questo più altre due cose: un’an-tica storia di preghiera, interrotta solo nel1952, quando un terribile alluvione costrinse

l’ultimo monaco a lasciare il romitaggio; e ilfiume, che mi ricorda le vacanze della miagiovinezza». Con la sua barba bianca, i capelli a spazzola euna posa resa precaria dagli acciacchi, Frédé-ric somiglia a un profeta dell’Antico Testamen-to. Scomodo, come tutti i profeti, perché avver-te dei pericoli che molti preferirebbero ignora-re. Ha denunciato l’inquinamento del fiume eil suo smodato sfruttamento, che ha portato

ad autorizzare l’installazione di un chiassosolido balneare a pochi passi dall’eremo. Ha,inoltre, alzato la voce contro la presenza ma-fiosa che condiziona queste contrade. Qualcu-no non gradisce e manda segnali. L’ultimo loscorso ottobre, col trafugamento della statualignea settecentesca di Sant’Ilarione.«Credo che le persone che ho intorno sianoun po’ disorientate: pensavano di avere a chefare con un prete e invece c’è un tipo che nonpuò dir messa, uno strano monaco che vive eprega fuori dai loro canoni tradizionali; siaspettavano un fraticello tranquillo ed eccoinvece uno che spesso dice cose scomode».Eppure la battaglia da fare è comune. L’entro-terra si spopola. Né il paese, né l’eremo vo-gliono sparire. San Nicola aveva quattrocentoabitanti quando arrivò l’eremita, oggi ne so-no rimasti meno di duecento.Com’è finito in questo lembo di terra italo-bi-zantina un uomo nato a Le Mans e laureatosi aParigi in scienze politiche?

«Da ragazzo frequentavo Taizé, dove conobbiGianni Novello, uno dei primi fratelli cattolici adaffiancare Frère Roger Schutz. Agli inizi degliAnni Ottanta, Gianni mi invitò a Rossano Cala-bro, dove aveva da poco fondato una piccolacomunità religiosa. Stavo maturando la mia vo-cazione monacale e decisi di trasferirmi lì. Visono rimasto dodici anni, affascinato da unaterra dove si percepisce l’incontro tra Oriente eOccidente cristiani».

Dissoltasi la comunità di Rossano, Frédérictornò in Francia e lavorò come volontario al-l’Arche.Jean Vanier, il fondatore, divenne per lui quasiun padre. Quando gli consigliò di tornare suilibri per perfezionarsi in teologia, Frédéric nonesitò e dall’oggi al domani si ritrovò a Bruxel-les, presso l’istituto dei Padri Gesuiti. Furonocinque anni intensi di studio. Ora bisognavadecidere che forma dare alla propria esisten-za. Frédéric provò varie strade, finì anche inBrasile, presso la comunità benedettina diGoiás, marcata dalla presenza di Marcelo Bar-ros de Sousa, teologo terzomondista già col-laboratore di Dom Hélder Câmara. Ma più siallargavano le esperienze, più si faceva largola scelta della vita eremitica. Il suggerimento decisivo venne da don Gior-gio Scatto, della Piccola Famiglia della Resur-rezione di Marango, in provincia di Venezia,altra piccola comunità monastica frequentatada Frédéric.

«Era la Pasqua del 2002. Don Giorgio, che sa-peva del mio legame con la Calabria e del miodesiderio di deserto mi disse: “Vai da Bregan-tini, qualcosa accadrà”. Fu come un corto cir-cuito. Erano le parole che attendevo, un verosegno di Dio».Padre Giancarlo Bregantini, allora vescovo diLocri, propose a Frédéric di sistemarsi a San-t’Ilarione, nei pressi della frazione San Nicoladel comune di Caulonia, dove da mezzo secoloil tempo sembrava essersi fermato. Era l’approdo che da tanti anni stava cercando,quello in cui applicare tre semplici parole: pre-ghiera, lavoro, accoglienza. «Le difficoltà prati-che all’inizio furono tante. Non c’era acqua cor-rente, né luce elettrica. Ma ero euforico, nientemi avrebbe fermato. Fui “adottato” dalla gentedel posto, che desiderava come me che questoluogo risorgesse. La mia non è stata una vera epropria scelta eremitica. Per me era chiaro chedovevo ricominciare il cammino di fede da solo,il resto sarebbe venuto da sé». Frédéric, nel si-lenzio rotto solo dalla “voce” del fiume, scrissela sua regola, approvata dal vescovo. Già da mol-ti anni è ufficialmente riconosciuto come «ere-mita diocesano» e scandisce le sue giornate conla liturgia delle ore. L’orazione è accompagnatadal suono della cetra, nella chiesa vetusta e mal-concia. Non importa se ad ascoltare le salmodie,a parte Dio, siano solo un gatto e due cani me-ticci: per chi crede, la preghiera ha la capacità diespandersi fino agli estremi confini e di coinvol-gere tutti quelli che si portano nel cuore.L’inflessione francese si avverte a malapena.Fratel Frédéric parla un italiano fluente, con l’an-damento pacato di chi non ha fretta, scegliendole parole giuste. Sul tavolo di legno grezzo in-torno a cui siamo seduti c’è un cesto di pane eun commentario del Vangelo di Luca. Cibo per il

corpo e per l’anima. Dalla finestrella della vec-chia cucina annerita l’eremita francese guardacome un innamorato il greto sassoso, dove l’ac-qua scorre impetuosa tra alte pareti di roccia.«Il fiume è una benedizione, prega e canta an-che quando io non lo faccio. La mistica non èmai separata dai luoghi. Il francescanesimo nonsarebbe quello che è senza i panorami dell’Um-bria e del Centro Italia. Il paesaggio ti entra den-tro. Guarda i contrasti che ci sono intorno a noi:gli strapiombi aridi, la vegetazione rigogliosa, leombre e i colori vividi… Questa bellezza dram-matica ti scolpisce l’anima». Un’esperienza solitaria, quella di Vermorel, manon fine a se stessa.«Spero che la mia solitudine sia feconda, che ungiorno arrivino qui dei fratelli o delle sorelle cheproseguano questa esperienza. Ho più di ses-sant’anni e sento il desiderio di lasciare un’ere-dità. Mi dispiacerebbe che dopo di me questoluogo fosse riconsegnato ai pipistrelli».

dove Orientee Occidentes’incontrano Enzo Romeo

Una vocazione, a lungo coltivata, al silenzioe alla preghiera, ha spinto fin quaggiù,in un angolo piuttosto sperduto di Calabria, Frédéric Vermorel. Ma la sua presenzaeremitica non è di nascondimentoma di attenzione alla realtà che lo circondae come un profeta dell’Antico Testamento,se necessario, alza la voce…

FrédéricVermorel

La statua lignea settecentescadi Sant’Ilarione trafugata

da ignoti nello scorso ottobre.Un segnale da partedi chi non gradisce,afferma Vermorel,

“uno che dice spessocose scomode”

Una rappresentazione d’epocade La Città del Sole,l’opera più notadel frate domenicano

Page 7: Il Bruzio, Persone di Calabria · 2019. 2. 1. · Dovremmo (ri)leggere Persone in Calabria, raccolta degli articoli dell’abate Vincenzo Padula, unico redattore de Il Bruzio, che

ANNO XI - n.43 - Settembre/Ottobre 2018 12

F ummo fratelli senza saperlo.Nati a pochi giorni e a pochecase di distanza, la nostrastoria è quella dell’intero

quartiere, lo Schioppo. Fu donna Te-resina a farci incontrare in una seratadi primavera.

“Massara Rosina, fermatevi unmomento”. “Che c’è, donna Teresi-na? Devo correre a casa, sono quasiarrivata!” “Massara, fate una carità,allattate ‘a Ninettedu, sta deperendo.Sua mamma, e voi lo sapete, è moltomalata, pure di nervi, e non ha latte.In sovrappiù, una razione di botte incasa non manca mai”.

Moglie di don Turi, agiato proprie-tario di uliveti e di un frantoio posto al-l’angolo dello stradone che segnava ilconfine dello Schioppo con la Chiazza,donna Teresina era una donna autore-vole e ascoltata, sempre pronta a por-gere una bottiglia di olio, una buonaparola, un incoraggiamento.

Con mia madre, ogni sera al ritor-no dai campi, sempre la stessa scena.“Massara, fermatevi” e, a quella in-vocazione, mi consegnava dalle suebraccia forti e nodose al petto di don-na Teresina, morbido e odoroso di bo-rotalco. Piccola e rotonda, al primoaccenno di pianto iniziava a dondo-larmi per interrompere subito provatadal mio peso. Mia madre non perdevad’occhio la situazione, anche se im-pegnata ad estrarre dal canestro, ap-pena portato in testa, un limone chetagliava a metà e sfregava sul suo ca-pezzolo prima di avvicinarlo alle lab-bra di Nino, il quale, dopo una smor-fia di disgusto, non smetteva di suc-chiare se non quando sfinito dalla sa-zietà. Solo allora sua madre compari-va sull’uscio, emaciata e dolente, perriprendersi il figlio, mentre la mia ri-peteva l’operazione con l’altra metàdel limone per disinfettare di nuovo ilseno prima di riconsegnarlo al suopiagnucoloso destinatario.

Così, per diverso tempo, a sera, con-dividemmo l’abbraccio di mia madre elo sguardo tenero e pietoso di donna Te-resina e del vicinato: eravamo fratellinella miseria, ignari e felici.

E in quella condizione attraver-sammo l’adolescenza. Eravamo cosidiversi! Sempre pensieroso, io, e pru-dente, al contrario di Nino, rapido eistintivo. Elementare nei suoi ragio-namenti, lo ammiravo e gli volevo be-ne, pronto com’era in ogni momentoalla rissa e a intervenire in mio aiuto.Alto e grosso e dal passo spavaldo, conun viso dagli zigomi pronunciati, gliocchi stretti e i capelli lisci da farlosembrare quasi un mongolo, ed erafelice nel sentirselo dire, pur non sa-pendo chi fosse costui. Seduti sul gra-dino di casa mia, rimaneva affascina-to dai miei racconti di storia e quantevolte ho dovuto raccontargli il duellotra Ettore e Achille per il quale parteg-giava, apprezzandone lo spirito ag-gressivo. Si appassionava a quel mon-do, per lui magico e ignoto, al puntoche dopo la narrazione de “L’ultimo

dei Mohicani” volle subito andare nelcampo dei miei genitori per costruireun arco e trafiggere le pale dei fichid’india. Nel suo fervore, aveva un ap-proccio lieve verso la vita, al contrariodi me, arrovellato su ogni cosa, anchela più banale, e forse proprio per que-sto lo seguivo senza problemi alla ri-cerca di avventure, se non di fughe.

Ci rifugiavamo al fiume a costrui-re con pesanti sassi una sorta di pic-cola diga dentro il cui bacino fare ilbagno, nudi e liberi. Felici soltantoper gli schizzi d’acqua gelata che cilanciavamo addosso. Quanti sogni esperanze, indifferenti a quel sole co-cente. “Dove vuoi andare, da grande?A Milano!” rispondeva pronto “e tu?A Roma!”, senza immaginare in qualiminiere di sale saremmo arrivati.

E mentre avanzavamo nella vita, au-mentava anche il numero dei nostri fra-telli che rendevano la mia modesta casae il suo misero basso più affollati e ru-morosi di un circo, obbligandoci a pren-dere il posto delle madri nella loro cura.

Siamo cresciuti anzitempo, io e lui,sostituendo anche i padri, irascibile emanesco, il suo, malinconico ed appar-tato, il mio. Andavamo, infatti, ognitanto a raccogliere frutti dagli alberi,pomodori e verdure negli orti lungo laferrovia, consegnando orgogliosi a ca-sa il risultato delle nostre fatiche. E fu

cosi che Nino, contro quella vita preca-ria, un giorno partì per Milano, por-tandosi via i fratelli ancora piccoli. An-ch’io abbandonai lo Schioppo per Ro-ma e mai più ci vedemmo, senza cheperò ne smarrissi il ricordo. Arrivava-no, di lui, storie raccontate dai coetaneiche di tanto in tanto tornavano da Mi-lano, facendolo diventare ai nostri oc-chi un eroe, un mito. Invenzioni, pro-babilmente, dicerie, ma, amplificate dinarrazione in narrazione, resero la suavita una saga popolare, quella, presun-ta, di Sartana, come il protagonistagiustiziere nei film western. Insieme aqualche compagno di ventura dellostesso paese, a metà strada tra il para-dossale e il velleitario, si ritrovò, rac-contano, a fare il palo a San Siro e apoco fruttuose visite in banca.

Fu mia madre, ormai anziana, ariportare le vicende di Nino nella loroesatta dimensione. Trasferiti ormai datempo in un altro quartiere, la nostraconversazione, durante i miei ritorni,andava sempre allo Schioppo, a co-m’era cambiato, a coloro che non c’e-rano più o erano partiti per costruirsiun futuro. A casa nella ricorrenza deidefunti, per un’improvvisa fulmina-zione della memoria, le chiesi di Nino.“Viene sempre a trovarmi a Settembredurante la festa di San Rocco”, rispo-se illuminandosi. “Suonano al cam-

panello, vado ad aprire il portone e miappare Ninettedu. Mi conoscete?, midice ogni volta. E come non vi ricono-sco, vi facevo allattare al mio pettocon mio figlio! Mi racconta della suafamiglia, dei figli, e del suo lavoro dilevigatore. E Ciccio, Ciccio come sta?È perduto, pure lui? E dov’è chescianca la vita? Ditegli che a Nataleverrò a cercarlo apposta, ditegli di far-si trovare!”

Mancava poco più di un mese aNatale e sentivo che nell’attesaavrebbe preso forma dentro di me unposto dove saremmo stati, io e Nino,semplicemente bambini, un posto checi attendeva e stava là, fiducioso emai confuso nel suo diritto a unagrande gioia. Come avrei potuto ce-lebrare e vivere in modo più profon-do quel momento così sacro, se nonnella commovente convinzione che,sublime e dolorosa al tempo stesso,rendeva il cuore scintillante e l’ani-ma leggera? Questo – fantasticavo –è il Natale, avvertire dentro di sé, unavolta l’anno, questa aspettativa equesto fermo diritto che niente puòdeludere. Mai avevo atteso Natalecon tanta apprensione e speranza.Avrei rivisto finalmente il mio fratel-lo di latte e ci saremmo potuti raccon-tare le nostre vite di adulti con la lin-gua dell’adolescenza. Oltre che Ni-no, avrei ascoltato anche Sartana.Era vero, o no, quello che si raccon-tava di lui?

E le sue parole sarebbero state ac-compagnate dalle nenie natalizie chesi diffondevano per le strade del paesein onore di un bambino povero comelo eravamo stati noi. Avremmo visitatoin Chiesa il grande presepe simile adun villaggio incantato, che avrebbe ri-proposto alla nostra anima il misterodi quella divinità. Tutta la luce dellanostra infanzia si sarebbe di nuovoracchiusa nelle serate da trascorrereinsieme, passeggiando sotto la neveche regalava a noi tutti un momentodi quiete. Ci saremmo, io e Nino, fi-nalmente sentiti fratelli in modo inti-mo e profondo anche con gli angeliche fin lì avevano protetto la nostra vi-ta e la grazia del nostro cuore ciavrebbe sollevati verso uno spazio so-speso e colmo di prodigi.

Ma non ebbi modo di trovare quelluogo riservato. La mattina del 12 di-cembre, scorrendo i giornali, accanto alservizio sull’incidente agli operai dellaThyssen Krupp, un quotidiano nazio-nale riportava brevemente in cronacalocale una notizia che mi fulminò.

“Antonio P., 57 anni, è morto pocodopo le 8.30, a Milano, cadendo dalquinto piano di una casa dell’Alernella zona di Città Studi. La vittima,originario di Cittanova e residente nelcapoluogo lombardo, lavorava comepiastrellista per conto di una ditta pri-vata impegnata in una ristrutturazio-ne. Ha perso l’equilibrio ed è precipi-tato dall’altezza di quindici metri, mo-rendo sul colpo”.

Sartanail mio fratello di latte

Francesco Adornato

Sono tornato al mio paese e ho ritrovato tutto come prima. Soltanto non c’era mio padre né quelli del mondo di prima... Corrado Alvaro, Il viaggio

Ma nel cuore /nessuna croce manca. È il mio cuore /il paese più straziato. Giuseppe Ungaretti, San Martino del Carso

Frida Kahlo La mia nutrice (1937)