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IL BOLLETTINO - NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE EX ALLIEVI DEL LICEO VITTORIO ALFIERI DI TORINO , ANNO 12 , NUMERO 56 , DICEMBRE 2013 IL BOLLETTINO - NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE EX ALLIEVI DEL LICEO VITTORIO ALFIERI DI TORINO PAGINA 1 Bollettino dell’Associazione ex Allievi del Liceo “V. Alfieri” di Torino. Sede Sociale ed operativa: presso il Liceo, C.so Dante 80, 10126 Torino Tel 333.8448278 www.exalfierini.it - [email protected] UN PO’ DI STORIA DELL’ISOLATO TRA CORSO MASSIMO D’AZEGLIO, CORSO DANTE, VIA PIO FOÀ E VIA TIZIANO… Il nostro Liceo sorge là dove una volta c’era la Società Ippica Torinese, con un bel maneggio coperto per l’inverno, mentre spesso d’estate si vedevano Cavalieri ed Amazzoni al Valentino. Eccone un po’ di storia. Fondata nel 1932 da un piccolo gruppo di appassionati, tra i quali Vittorio Valletta, Edoardo Agnelli ed il colonnello Adriano Lanza che ne fu il primo presidente, la Società ebbe la sua prima sede presso ”Maneggio Gallina” in Corso Montevecchio angolo via Colli, dopo poco tempo si aggiunse il campo ostacoli del Valentino. Questa soluzione si dimostrò inadeguata e così nacque l’idea della sede in Corso M. D’Azeglio dove sorge il liceo Alfieri. Realizzata nel 1938 dall’architetto Carlo Mollino, con la capacità di ospitare fino a 115 cavalli, maneggio coperto e palazzina club- house iniziarono a funzionare nel 1939. Negli archivi della S.I.T esiste la prima relazione del col. Adriano Lanza, dal suddetto verbale si evince il passaggio della Società ad una scuola di equitazione. Nell’anno 1959 si costituisce l’associazione denominata “Società Ippica Torinese” posta in corso Massimo d’Azeglio n.86, il giorno 8 giugno 1959, con campo ostacoli al Valentino (ove ora è interrato un padiglione di Torino Esposizione) viene nominato il marchese Carlo Pallavicino di Ceva e vice presidente il conte Giuseppe Salvi Del Pero. L’espansione urbanistica della città rese comunque superato questo assetto della società. Nel 1959 fu necessario affrontare il problema del trasferimento, fu merito del Presidente Carlo Pallavicino di Ceva farsi carico della soluzione e alla realizzazione della sede attuale di Nichelino. IL BOLLETTINO ANNO 12 , NUMERO 56 , DICEMBRE 2013

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Bollettino dell’Associazione ex Allievi del Liceo “V. Alfieri” di Torino.

Sede Sociale ed operativa: presso il Liceo, C.so Dante 80, 10126 Torino

Tel 333.8448278 www.exalfierini.it - [email protected]

UN PO’ DI STORIA DELL’ISOLATO TRA CORSO MASSIMO D’AZEGLIO, CORSO DANTE, VIA PIO FOÀ E VIA TIZIANO… Il nostro Liceo sorge là dove una volta c’era la Società Ippica Torinese, con un bel maneggio coperto per l’inverno, mentre spesso d’estate si vedevano Cavalieri ed Amazzoni al Valentino. Eccone un po’ di storia.

Fondata nel 1932 da un piccolo gruppo di appassionati, tra i quali Vittorio Valletta, Edoardo Agnelli ed il colonnello Adriano

Lanza che ne fu il primo presidente, la Società ebbe la sua prima sede presso ”Maneggio Gallina” in Corso Montevecchio angolo via

Colli, dopo poco tempo si aggiunse il campo ostacoli del

Valentino.

Questa soluzione si dimostrò inadeguata e così nacque l’idea

della sede in Corso M. D’Azeglio dove sorge il liceo Alfieri.

Realizzata nel 1938 dall’architetto Carlo Mollino, con la capacità

di ospitare fino a 115 cavalli, maneggio coperto e palazzina club-house iniziarono a funzionare nel 1939. Negli archivi della S.I.T

esiste la prima relazione del col. Adriano Lanza, dal suddetto verbale si evince il passaggio della Società ad una scuola di

equitazione.

Nell’anno 1959 si costituisce l’associazione denominata “Società Ippica Torinese” posta in corso Massimo d’Azeglio n.86, il giorno

8 giugno 1959, con campo ostacoli al Valentino (ove ora è

interrato un padiglione di Torino Esposizione) viene nominato il marchese Carlo Pallavicino di Ceva e vice presidente il conte

Giuseppe Salvi Del Pero. L’espansione urbanistica della città rese comunque superato questo assetto della società. Nel 1959 fu

necessario affrontare il problema del trasferimento, fu merito del

Presidente Carlo Pallavicino di Ceva farsi carico della soluzione e alla realizzazione della sede attuale di Nichelino.

IL BOLLETTINO ANNO 12 , NUMERO 56 , DICEMBRE 2013

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Un po’ di storia dell’isolato tra corso Massimo d’Azeglio, corso Dante, Via Pio Foà e via Tiziano…

Nel 1961 la Società trasferisce la sua sede nel Comune di

Nichelino, in strada Cacciatori, nella sede costruita secondo i progetti degli architetti Aimaro D’ Isola e Roberto Gabetti. Dalle

fila della Scuola, sotto la guida di valenti istruttori e tecnici, sono

emersi cavalieri che hanno rappresentato l’Italia in competizioni olimpiche e mondiali.

In questi ultimi anni si è mantenuta sempre in evidenza sia con

la sua struttura, organizzando importanti concorsi nazionali ed internazionali, sia con i suoi cavalieri.

IL DECANO DEI TERMOSIFONI! Sempre per rimanere nella storia dell’isolato, riportiamo questo interessante e divertente articolo comparso su La Stampa dell’11 novembre 1931

Se, mentre si avvicinano le giornate fredde, parlassimo un poco di termosifoni? L'argomento non stona in

queste colonne, in cui vado rievocando la vita torinese d'altri tempi, perché il termosifone non è affatto

quella invenzione recente che molti credono, e perché la prima applicazione che se ne fece in Italia per il riscaldamento di locali d'abitazione ebbe luogo proprio a Torino, nell'anno di grazia 1838. Un altro impianto

veramente era già stato eseguito nel 1836, dal celebre floricoltore Burdin maggiore, il nome del quale rimase per molti anni alla via dove erano i suoi stabilimenti (ora Via Giuseppe Giacosa); ma serviva soltanto a

riscaldare delle serre; e poi da questo punto di vista Torino dovrebbe dividere il primato con Firenze, dove

un impianto della stessa natura fu eseguito, sempre nel 1836, nelle serre dei sigg. Thellusson. Come riscaldamento di locali abitati, invece, il primato di Torino è indiscusso e indiscutibile. E dove era questa

prima applicazione del nuovo sistema di calorifero, ideato da Bonnemain e perfezionato da Perkins? Probabilmente in qualche albergo, penserà il lettore; le novità di origine estera si introdussero per lo più in

questo modo.

Non si videro forse, sempre al tempo di Carlo Alberto, al quondam Hotel Feder (via S. Francesco da Paola, 2) i primi W. C. a cacciata d'acqua, che fecero, si dice, la ammirazione di tutti i torinesi? Il ragionamento è

plausibile, ma il fatto è diverso. Il primo stabile italiano riscaldato a termosifone non era un albergo. Era

allora la casa di qualche ricco cercatore di novità? Neppure.

Ma insomma questo benedetto Adamo dei termosifoni italiani dov'era?

Era in quell'edifizio, non troppo simpatico, che sta all'angolo di corso Massimo d'Azeglio e via Ilarione

Petitti, e che il popolino una volta chiamava Castel dël Mago — edifizio che serve ora da carcere militare, ma

che nel 1838 era la casa di correzione delle traviate. Sicché le prime persone che godettero in Italia del riscaldamento a termosifone furono proprio quelle signore. Non se ne deduca, per carità, che si sia voluto

con ciò usar loro un trattamento di favore, neppur per sogno, sebbene fra le tante malinconie del romanticismo ci fosse anche la mania di poetizzare le dames aux camelias.

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Il decano dei termosifoni!

La spiegazione è diversa: si voleva provare un sistema di riscaldamento nuovo, nel quale si aveva più o

meno fiducia; poteva andar bene, ma poteva anche andar male; e le inquiline del Castel dël Mago servirono per un esperimento in anima vili, press'a poco come servono nei laboratori i porcellini d'India. Non è

cavalleresco, ma è così.

Il Castello del Mago aveva in origine ben altra destinazione; i Padri della Missione che lo avevano fatto

costruire nel 1779 su disegni dell'architetto Biccati, vi avevano una casa per esercizi spirituali. Ma poi nel 1787 Vittorio Amedeo III l'aveva trasformato in Ergastolo, ossia ritiro pe' figliuoli oziosi, che si facevano

lavorare in varie manifatture e particolarmente nel fabbricare coperte di bava ossia moresca, che equivalgono a quelle di Catalogna, colla prerogativa di non esser soggette al tarlo, a detta del Grossi. II...

gentil sesso alloggiava alla Generala, negli informi resti della magnifica villa che era appartenuta al conte

Trucchi di Levaldigi, Generale delle finanze di Carlo Emanuele II. In quel modesto fabbricato aveva già avuto sede l'Opera Manzolina, fondata nel 1779 da Pietro Manzolino, impresario generale delle fatture e vestiario

della Regia Armata, che dava ricovero, pane e lavoro a ragazze di ogni condizione ed età, purché povere e di buoni costumi; opera eccellente, che due anni dopo la fondazione raccoglieva già 220 giovani occupate

dattorno a varj lavori, pel Regio Servizio, e per l'universal del Commercio, ma che purtroppo ebbe vita breve e non tardò a cedere il posto alla casa di correzione femminile.

V'erano poi il ritiro delle Forzate in via S. Domenico, fondato nel 1750 da un privato cittadino, e l'Ospizio

del Martinetto, istituito per le ammalate nel 1776. Tanto all'Ergastolo che alla Generala e al Martinetto il

criterio educativo era uno solo: le busse, somministrate con la massima generosità. Negli antichi regolamenti, richiamati in vigore nel 1814, non si parla che di nerbate, da applicarsi in maggior o minor

copia secondo che piaceva all'illustrissimo Signor Vicario.

Solo ai tempi di Carlo Alberto si capì che per guarire una persona dei suoi difetti, il miglior metodo non è quello di accopparla.

Fu appunto in causa della riforma delle carceri, attuata dal Re

magnanimo, che l'Ergastolo e la Generala si scambiarono gli inquilini: i discoli andarono nella villeggiatura di corso Stupinigi, e il Castel del

Mago accolse le dame della Generala e del Martinetto.

Furono necessari, naturalmente, lavori di adattamento in entrambe le sedi; e i relativi lavori furono progettati e diretti dall'ing. Pernigotti,

ispettore del Genio Civile, e dall'arch. Giovanni Piolti, al quale si deve

l'impianto del termosifone nel castello di cui sopra.

Gli impianti anzi, giacché ve n'erano due, uno per la parte

destinata ad Ospedale, l'altro per il correzionale, dove però non

erano riscaldati che i laboratori e le infermerie.

Si trattava d'un impianto assai primitivo, che bruciava legna anziché carbon fossile; il termosifone dell'ospedale consumava 40 rubbi di legna al giorno nei grandi freddi, 25 negli altri giorni (cioè

rispettivamente 369 e 230 kg.). Quello de) correzionale, più piccolo, si appagava di un quintale al giorno, arrivando solo nei giorni più rigidi a consumare un quintale e mezzo. Si raggiungeva così la temperatura non

tropicale di 12,5 gradi. Così cominciò a funzionare, nell'autunno del 1838, il primo termosifone d'Italia. E.B.

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CENNI SUL SIMBOLISMO DEL NATALE NELLA TRADIZIONE DEL PRESEPIO. di P. Galiano e G. Ersoch

Dietro la mercificazione della festa del Natale si nascondono antichi simboli tradizionali che il mondo

moderno non è riuscito a cancellare completamente e che una mente attenta può invece riscoprire nella più consueta delle usanze di questi giorni, il Presepio.

Prima di tutto ricordiamo perché il Natale, a differenza della

Pasqua che è festa mobile, cada proprio il giorno del 25 dicembre: la ricorrenza della nascita del Cristo venne fissata

intorno al III – IV sec. in tale data (in altre Chiese cristiane si festeggia invece al 6 gennaio), la quale era la stessa in cui

l’Impero romano già festeggiava il Dies natalis Solis invicti, cioè il

giorno di nascita di Mithra, il Dio identificato con il Sole o comunque in diretta connessione con esso. Il Trovatore,

rinomato per la trama poco comprensibile, ineguagliabile in quanto a consenso popolare (Il famoso “do di petto”, poi, dell’

arcinota aria “Di quella pira l’orrendo foco” fece parlare di sé per

decenni, a proposito della propria legittimità o meno).

Questa data venne adottata non solo per sovrapporsi alla festa di

Mithra, molto sentita nel mondo romano anche perchè molti

Imperatori erano iniziati ai Misteri del Dio, ma anche per la posizione calendariale di questo giorno, in stretto rapporto con il

Solstizio d’Inverno e quindi con la ri-nascita del Sole: il significato allegorico e simbolico del Dio che nasce insieme al Sole è troppo

evidente per richiedere ulteriori spiegazioni.

Notiamo come il 25 venga tre o quattro giorni dopo il 21 o il 22 dicembre (a seconda dello spostamento annuale dell’evento

solstiziale) e questa differenza rispetto al Solstizio d’Inverno è

analoga a quanto si riscontra nel Calendario romano, nel quale la comparsa della prima falce lunare il giorno delle Kalendae viene

confermata nel giorno delle Nonae, in cui si annunciavano le festività del mese appena iniziato solo dopo essersi fatti certi che la

Luna seguiva il suo corso regolare (rimandiamo a tal proposito a

L’armonia dell’anno, Simmetria 2007).

L’episodio della nascita di Gesù è narrato solo in due Vangeli:

Luca riferisce che dopo la sua nascita Egli venne deposto “in una

mangiatoia”, senza specificare se si trattasse di un edificio o di una grotta, e che i pastori furono chiamati dagli angeli a

conoscerlo e adorarlo, mentre Matteo parla di una “casa” e riferisce della visita dei Re Magi, i nomi dei quali ci vengono da

uno dei Vangeli apocrifi, il Vangelo degli Ebrei o dei Nazareni, in

una citazione di epoca medievale (Erbetta Gli apocrifi del Nuovo Testamento pag. 130).

Due Vangeli apocrifi che vengono fatti risalire intorno al II sec.

d.C. danno maggiori particolari sull’episodio: il Protovangelo di Giacomo (cap. XVIII) precisa che Gesù nacque in una grotta e il

Vangelo dello pseudo Matteo (cap. XIV) dà notizia della presenza del bue e dell’asino, i quali “lo adoravano senza sosta”. Ambedue

i testi (rispettivamente al cap. XIX, 2 e XIII, 2) specificano che

per tutto il tempo della permanenza di Maria nella grotta, o almeno al momento della nascita del Bambino, questa

risplendeva di luce: “la grotta cominciò a farsi piena di splendore e a rifulgere di luce come se vi fosse il sole, così la luce divina illuminò la spelonca”.

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Cenni sul simbolismo del natale nella tradizione del presepio.

Nella fantasia popolare la storia della nascita del Cristo diventa invece un racconto ricco di personaggi e di situazioni, che trova la sua espressione nella forma del Presepio quale molti di noi in questo mese

allestiscono nelle proprie case e la cui origine si fa risalire a San Francesco d’Assisi, mentre il suo sviluppo più fastoso e “codificato” si avrà molto più in là nel tempo, a partire dal XVII-XVIII secolo.

Queste semplici statuette di terracotta o di altro materiale sono in grado di raccontarci una storia molto più

complessa e profonda di quanto appare in superficie: vediamo di tracciare gli elementi fondamentali di questa che potremmo chiamare una “versione esoterica” del Presepio, precisando subito che si intende qui

parlare dal punto di vista del simbolismo tradizionale, senza voler entrare nella dimensione religiosa e

specificatamente cattolica del fatto.

In un Presepio in genere troviamo la grotta in cui il Bambino è deposto nella mangiatoia, tra Maria e Giuseppe, e riscaldato da due animali sempre presenti, l’asino e il bue; vicino alla grotta vi sono i pastori con

le loro greggi e gli Angeli che li chiamano per adorare il Bambino; spesso è presente una scena di osteria o di mercato, mentre in disparte, fino al giorno dell’Epifania, vi sono i tre Magi con il loro corteo di servitori e di

animali.

Tutti questi elementi possono essere basati sul ricordo dei testi, canonici e apocrifi, che abbiamo sopra citato: ma è possibile, ponendo attenzione ad

una lettura in chiave tradizionale, riconoscere nel Presepio un significato che

va al di là della rappresentazione allegorica.

La grotta è un simbolo universale: essendo all’interno della terra o di una montagna la grotta è simbolo del Centro del Mondo ed è per eccellenza il

luogo della nascita e della ri-nascita, è il centro spirituale del macrocosmo che è l’universo, poiché il tetto della grotta rappresenta il cielo e il pavimento

la terra; la grotta dei Misteri di Mithra presenta in modo esplicito questo simbolismo, e il mithraismo, come sappiamo, ha dato al nascente

cristianesimo molti elementi.

La grotta è anche figura del cuore e in questa accezione è il centro del

microcosmo che è l’uomo: la “più piccola camera del cuore”, nella quale per la tradizione vedica ha sede l’Atma, il Principio cosmico. Per il suo essere un

“luogo della nascita o ri-nascita” la grotta è anche una figura dell’utero.

È nella caverna che nasce Lao Tze, il sapiente cinese fondatore del Taoismo, e la caverna del Bambino irradia luce come in Giappone la Dèa Amaterasu emana il suo abbagliante splendore dal profondo dell’antro

in cui si trova.

Come tutti i simboli anche la grotta presenta un duplice significato: essa è il luogo dei morti e la porta degli Inferi, la regione dei mostri e dei draghi, e sono i draghi che custodiscono il tesoro che l’Eroe deve

conquistare uccidendone il guardiano.

Nella grotta il Bambino è riscaldato da due animali domestici: l’asino e il bue, due tranquille bestie la cui presenza in una stalla è assolutamente

normale.

Ma l’asino è un importante simbolo bivalente: è l’animale malefico simbolo di oscurità, ignoranza e morte; in India è la cavalcatura del Re dei Morti, in

Egitto è l’animale di Seth, il Dio del Caos primordiale, signore della terra

arida che si oppone alla fertile terra nera ai lati del Nilo, e lo stesso Seth è raffigurato proprio con la testa di onagro, l’asino selvatico che vive nel

deserto.

L’asino rappresenta a livello microcosmico la sensualità ed i bassi istinti dell’uomo, come tale è al centro del racconto iniziatico di Apuleio L’asino d’oro o Le Metamorfosi.

Per questo il colore dell’asino è il rosso, colore della bestialità e dell’ira.

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Cenni sul simbolismo del natale nella tradizione del presepio

Esso ha però un aspetto positivo: è la bianca asina su cui il Cristo entra in Gerusalemme nel giorno delle

Palme, alla quale corrisponde l’asino che porta sulla groppa gli oggetti sacri nei Misteri di Dioniso; infine

secondo Pindaro è il nobile animale che gli Iperborei sacrificano al Sole-Apollo.

Il bove ha un aspetto positivo che lo contrappone al toro, simbolo della forza temibile dei re e degli Dèi: è l’animale pacifico usato nel tiro del carro e dell’aratro, simbolo di bontà e di tranquillità, è la cavalcatura di

Lao Tze, l’animale tanto sacro per i greci che il sacrificio per eccellenza è l’ecatombe, letteralmente “il (sacrificio di) cento buoi”.

In India è simbolo della sapienza, che in sanscrito è go-kara, il “pascolo dei buoi”. In linea con il pensiero

indù, per lo pseudo Dionigi il bove è l’animale che scava con l’aratro nella terra che è l’uomo i solchi che ricevono la pioggia vivificante della sapienza.

Se gli Angeli, gli “annunziatori”, sono un chiaro riferimento

all’emanazione dell’Uno manifestatosi nella caverna nel suo passare dall’unità alla molteplicità, più complesso è il simbolismo dei pastori.

Il pastore è la guida del gregge degli agnelli e per tale ragione è

identificato con il Re o il Sacerdote, colui che conduce il popolo, ma su di un

livello superiore egli è simbolo del Vegliante, del sapiente che vigila nella notte e conosce il percorso della luna e delle stelle, e quindi sa riconoscere

le fasi del tempo, è il nomade che percorre i sentieri della terra come nomade è l’anima nel mondo della materia, alla ricerca della via che la

riporterà al mondo celeste da cui è venuta.

Solo colui che veglia nella notte e conosce i segni del cielo può ascoltare il richiamo degli Angeli e riconoscere che Colui che è nella mangiatoia è la Via

da seguire, che occorre rifarsi bambino per trovare la strada che porta alla

terra perduta attraverso il sacrificio della propria parte inferiore.

Per questo il pastore è signore degli agnelli, gli animali simbolo per eccellenza dell’offerta sacrificale, il cui nome è simile a quello di Agni, il Dio vedico del fuoco e del sacrificio.

Notiamo che, non a caso, nel Presepio sono presenti tra i pastori due figure altamente significative: un

pastore nell’atteggiamento di ascoltare l’Angelo ed un secondo il quale invece è steso per terra addormentato; è molto chiaro il simbolismo espresso da queste figure: l’anima che non è pronta non è in

grado di “sentire” la chiamata angelica, di portare cioè a termine la ricerca per cui si trova su questa terra.

Più chiaramente, la divisione tra le “anime che cercano” e le “anime ottenebrate” è data dalla presenza accanto ai pastori di personaggi intenti ai godimenti materiali dell’osteria o alle cure degli affari nel

mercato: sono il simbolo della completa immersione nella materialità, dove non è più possibile ascoltare la voce degli Angeli.

Ultimi a comparire sulla scena del Presepio sono i Re Magi: nel testo di

Matteo non sono riferiti né i nomi né il loro numero, che in testi non canonici

dei secoli successivi varia da due fino a dodici, ma la tradizione del Presepio in modo sapiente sceglie il numero tre e i doni offerti al Bambino sono

sempre gli stessi, cioè l’oro, l’incenso e la mirra.

I tre doni sono riuniti nella religione ebraica nel rituale dell’offerta di incenso a Jahweh: la tavola d’oro delle offerte viene prima unta con mirra

purissima e poi su di essa si brucia incenso (Cardini I Re Magi).

Ognuno dei doni ha però di per sé un significato ben preciso: l’incenso è l’aroma che si offre agli Dèi, l’oro è prerogativa dei Re e la mirra è la sostanza che rende incorruttibile il corpo del defunto preservandolo per

l’eternità. Essi quindi rappresentano il triplice stato del Bambino che è nato nel Centro del Mondo che è la grotta: Egli è un Dio, un Re e un Uomo immortale, rappresenta quindi la completezza dell’”essere uomo”.

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Cenni sul simbolismo del natale nella tradizione del presepio

Possiamo ora riassumere brevemente quanto detto riportandolo sui due piani del macro e del microcosmo.

Da un punto di vista macrocosmico il Principio Creatore, al quale sono propri gli attributi di divinità, potenza ed eternità, si manifesta come luce nella tenebra del caos equilibrando le opposte forze del Bene e

del Male; a Lui si dirigono le anime che vegliano nella notte aspettando l’ora del ritorno, chiamate dalle manifestazioni molteplici dell’Uno, poiché esse sono ancora immerse nella molteplicità del materiale e tali

forme “angeliche” sono le uniche forme che possono vedere prima di conoscere la Verità suprema della Luce.

A livello microcosmico il Presepio è figura dell’anima che rinasce dopo l’iniziazione, nascita da Vergine

perché la rinascita spirituale è inversa a quella materiale, è un “ritorno nell’utero” che si attua passando

attraverso la morte: nella notte della morte il Rinato splende di luce essendo divenuto egli stesso Sole e può richiamare a sé le potenze psichiche che gli appartengono e dalle quali si è separato per passare attraverso

l’oscurità della disgregazione, per purificarsi e rinascere Uno. La conferma del suo reale compimento sul piano iniziatico è nel triplice attributo che riceve come Dio, Re ed Immortale.

da simmetria.org

UN FRANCESE A CASALE ospite d’onore dell’aristocratica Accademia Filarmonica di Attilio Piovano

Pur con un eccellente passato alle spalle e un palmarès di tutto rispetto, non si è mai adagiata sulle

proprie benemerenze artistiche, al contrario è costantemente protesa in avanti, al passo coi tempi.

Parliamo dell’Accademia Filarmonica di Casale Monferrato, blasonata e aristocratica istituzione ultra centenaria. Merito del suo direttore artistico Anna Maria Valdengo Depetris, una speciale attenzione ai

giovani. E così da tempo si assicura il primo concerto del vincitore del ‘Viotti’, tra i più prestigiosi e selettivi concorsi internazionali che, ad anni alterni, laurea pianisti destinati ad imporsi sulle scene concertistiche.

In genere, nei concorsi musicali, come nello sport, si dice ‘vinca

il migliore’, anche se non sempre è così. Specie nelle faccende

dell’arte - dove non è questione di fermare il cronometro due decimi di secondo prima e spesso entrano in gioco gusto e

divergenti concezioni interpretative, fatta salva la perfezione tecnica e la dimensione atletica - talora non è detto che vinca

davvero il migliore, a volte vince quello che ha più appeal, benché sia musicista più superficiale.

Ebbene quest’anno, per la 64° edizione del ‘Viotti’, non è

andata affatto così e la sera dello scorso 26 ottobre al Teatro

Civico di Vercelli una giuria internazionale presieduta da Pietro Borgonovo (tra i membri il russo Boris Petrushansky, il francese

Gabriel Tacchino e la finlandese Hamsa Al-Wadi Juris) ha premiato davvero il migliore, il giovanissimo francese Jonathan

Fournel (nella foto).

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IL BOLLETTINO - NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE EX ALLIEVI DEL LICEO VITTORIO ALFIERI DI TORINO – PAGINA 8

...continua…

Un francese a casale

Ventenne, un’aria timida e lievemente spaurita, ha dita d’acciaio, grande musicalità e un temperamento

eccezionale; sicché ha sbaragliato imponendosi tra i finalisti (i russi Alexander Panfilov e Alexey Sychev, terzo premio ex aequo) dopo una selezione durissima che ha visto la partecipazione di oltre 140 candidati

giunti dai quattro capi del mondo (financo dalla Nuova Zelanda), con un’esecuzione purissima e toccante del

raffinato Concerto in fa minore di Chopin. Un vero fuoriclasse che annovera tra i suoi maestri Jean Micault e Aldo Ciccolini. E scusate se è poco. E allora, a fine serata, lacrime ed emozioni. Poi l’incontro in palcoscenico

e la richiesta di formulare il programma che avrebbe proposto tre giorni dopo a Casale.

Nessuna esitazione e il programma lo ha snocciolato come un concertista di consumata esperienza.

Un programmone, impegnativo e corposo, non certo un recital messo su tirando al risparmio con Mozart a far da aperitivo (Sonata K 457), poi Chopin (Studio op. 25 n° 10 e Polacca op. 53), di Debussy L’Isle joyeuse

e infine di Brahms le impervie e sublimi Variazioni su un tema di Haendel op. 24. Chapeau. Scambio di mail, abbracci, autografi e appuntamento a Casale.

E così la sera del 29 ottobre, una serata nebbiosa di autunno,

giungendo nelle vicinanze di Palazzo Gozzani di Treville (nella foto)

dall’aulico scalone, è stata una bella emozione riconoscere la ‘mano’ di Jonathan (ormai un amico) provare alcuni passaggi,

prima del concerto. Poi il silenzio, il pubblico composto nella sala dorata, assessore alla cultura e giornalisti in prima fila e le note

che iniziano a fluire. Un Mozart - quello di Fournel - forse fin troppo granitico, ma certo a fuoco stilisticamente, già presago di

Beethoven. Se in Chopin ha potuto sfoderare una tecnica

agguerrita e solidissima (che vigore nelle martellanti ottave della Polacca ‘militare’), ecco che del luminoso brano di Debussy ha

colto l’effervescenza mediterranea e il singolare charme.

Poi le sublimi Variazioni brahmsiane dalla polifonia serrata affrontate con una souplesse e una sicurezza rare in un giovane di vent’anni. Applausi convinti e, come bis, ancora Brahms: la virtuosistica Rapsodia in si

minore op. 79.

Complimentandoci con lui riflettevamo che non s’era risparmiato nemmeno nel bis, ed era ormai notte fonda. «Fra poche ore, alle cinque, sarò a Malpensa, volo a Parigi, un cambio di terminal e poi dritto a

Istanbul per un nuovo concorso; suonerò Brahms e allora - ci confessava con disarmante candore - tanto

valeva collaudare il pezzo ancora una volta in pubblico, stasera».

Rientrando in auto in città tra banchi di nebbia, con l’intero ricordo uditivo del concerto a far da colonna

sonora, lo immaginavamo ormai proiettato sul mondo. Vita da concertisti, eternamente in aereo, tra una

tournée e l’altra. E dire che i suoi coetanei hanno appena finito il Liceo, o poco più.

BUON NATALE!

…e che l’anno nuovo sia l’anno del GRANDE SALTO!

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IL BOLLETTINO - NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE EX ALLIEVI DEL LICEO VITTORIO ALFIERI DI TORINO – PAGINA 9

Continua la collaborazione con gli studenti che stanno attualmente frequentando il Liceo e che ci ricordano, con i loro periodici scritti, avvenimenti, compleanni…. Questa volta è Alessandra Speziali della II B, che ci parla del

1713: LA PACE DI UTRECHT

Marzo-Aprile 1713: i rappresentanti di Francia, Spagna, Inghilterra, Province Unite e Ducato di Savoia si

ritrovano ad Utrecht per firmare una pace che ponga finalmente fine alla guerra di successione spagnola.

In occasione del trecentesimo anniversario ripercorriamo brevemente gli avvenimenti che hanno portato al trattato, che ha influito in modo significativo anche sulla nostra storia passata.

La guida dell’opposizione al Re Sole, che con la sua aggressiva politica estera rappresentava una minaccia

per l’equilibrio esistente tra le potenze europee, era stata assunta da Guglielmo d’Orange, lo statolder d’Olanda, divenuto anche re d’Inghilterra. Da questo momento, l’Inghilterra divenne la forza predominante

nella lotta contro le aspirazioni francesi sul continente europeo.

Nel 1700 il trono di Spagna è vacante, poiché il sovrano, Carlo II, è morto senza lasciare eredi. Sia la

Francia sia l’Impero tentano di insediare sul trono spagnolo un loro rappresentante, per ampliare la loro potenza in Europa. Gli sfidanti: da una parte la Francia, alleata con la Spagna; dall’altra l’Impero, alleato con

l’Inghilterra. Il Ducato di Savoia – stretto tra due fuochi – decide di schierarsi dalla parte dell’Impero. La politica delle alleanze è sempre stata fondamentale per la sopravvivenza della dinastia sabauda. La Francia

stabilisce, quindi, l’occupazione del Ducato.

Nel 1706 Torino viene assediata dalle truppe franco-spagnole; il duca Vittorio Amedeo II, con l’aiuto del cugino, Eugenio di Savoia,

generale dell’esercito imperiale austriaco, riesce a liberare la città.

E’ un fatto d’armi assai importante, poiché segna la fine del lungo dominio franco-spagnolo. In quell’occasione si distingue il coraggio

di Pietro Micca che, in cambio della sua vita, blocca il passaggio ai francesi, attraverso le gallerie sotterranee della Cittadella.

Al termine del conflitto a Vittorio Amedeo viene assegnata la

Sicilia e il titolo di re, da parte dell’Impero, in riconoscenza dell’aiuto ricevuto. In seguito, nel 1720, in applicazione del

Trattato di Londra, stipulato due anni prima, la Sardegna sostituirà

la Sicilia.