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Il bambino è competente Pagina 1 Estratto da: Jesper Juul IL BAMBINO E’ COMPETENTE Valori e conoscenze in famiglia Ed. Feltrinelli Imparare dai nostri figli richiede molto di più che parlare con loro in modo democratico, significa imporsi di sviluppare un tipo di dialogo che molti adulti non sono in grado di stabilire neppure con altri adulti: un dialogo PERSONALE basato su UGUALE DIGNITA’. I VALORI DELLA FAMIGLIA Quello che abbiamo veramente insegnato per generazioni è il rispetto del potere, dell’autorità e a volte della violenza, non il rispetto per gli altri esseri umani. Non si può nemmeno parlare di metodi perché le interazioni sono personali e uniche, così come le persone che interagiscono e le loro personalità. Fin dalla nascita i bambini sono persone complete, sociali, collaborative e pronte a comunicare , e non sono qualità frutto dell’insegnamento ma innate in ciascuno. D’altra parte perché queste qualità emergano e si sviluppino hanno bisogno di vivere con adulti che si comportino in modo da rispettarne e modellarne il comportamento sociale e umano . Definire un bambino ribelle è solo un modo di chi detiene il potere per mantenerlo subordinato a sé. La convinzione è che il mantenimento della struttura di potere sia la cosa migliore per tutti (e per i genitori certamente la strada più facile). In adolescenza, il numero e l’intensità dei conflitti, nonché i comportamenti a rischio, dipendono tra le altre cose dall’abilità degli adulti di prendere atto del cambiamento del loro ruolo parentale e dall’atteggiamento col quale affrontano lo sviluppo dei figli durante i primi tre – quattro anni di vita del bambino. IMPORRE DEI LIMITI I figli si sviluppano in modo armonioso quando gli adulti della famiglia pongono coerentemente dei limiti, è importante che siano fissati dai genitori e dai figli insieme. Fissare limiti per gli altri è tra le prime e più importanti espressioni di potere. Non è così importante che i genitori siano concordi sul modo di educare i figli. Devono concordare sul fatto che si possa anche non essere d’accordo. I figli diventano insicuri quando i genitori percepiscono le differenze come qualcosa di sbagliato e indesiderabile .

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Il bambino è competente Pagina 1

Estratto da:

Jesper Juul

IL BAMBINO E’ COMPETENTE

Valori e conoscenze in famiglia

Ed. Feltrinelli

Imparare dai nostri figli richiede molto di più che parlare con loro in modo democratico, significa imporsi di sviluppare un tipo di dialogo che molti adulti non sono in grado di stabilire neppure con altri adulti: un dialogo PERSONALE basato su UGUALE DIGNITA’. I VALORI DELLA FAMIGLIA Quello che abbiamo veramente insegnato per generazioni è il rispetto del potere, dell’autorità e a volte della violenza, non il rispetto per gli altri esseri umani. Non si può nemmeno parlare di metodi perché le interazioni sono personali e uniche, così come le persone che interagiscono e le loro personalità. Fin dalla nascita i bambini sono persone complete, sociali, collaborative e pronte a comunicare, e non sono qualità frutto dell’insegnamento ma innate in ciascuno. D’altra parte perché queste qualità emergano e si sviluppino hanno bisogno di vivere con adulti che si comportino in modo da rispettarne e modellarne il comportamento sociale e umano. Definire un bambino ribelle è solo un modo di chi detiene il potere per mantenerlo subordinato a sé. La convinzione è che il mantenimento della struttura di potere sia la cosa migliore per tutti (e per i genitori certamente la strada più facile). In adolescenza, il numero e l’intensità dei conflitti, nonché i comportamenti a rischio, dipendono tra le altre cose dall’abilità degli adulti di prendere atto del cambiamento del loro ruolo parentale e dall’atteggiamento col quale affrontano lo sviluppo dei figli durante i primi tre – quattro anni di vita del bambino. IMPORRE DEI LIMITI I figli si sviluppano in modo armonioso quando gli adulti della famiglia pongono coerentemente dei limiti, è importante che siano fissati dai genitori e dai figli insieme. Fissare limiti per gli altri è tra le prime e più importanti espressioni di potere. Non è così importante che i genitori siano concordi sul modo di educare i figli. Devono concordare sul fatto che si possa anche non essere d’accordo. I figli diventano insicuri quando i genitori percepiscono le differenze come qualcosa di sbagliato e indesiderabile.

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La giusta alternativa al gioco di potere (dove non vince nessuno) è un DIALOGO APERTO e PERSONALE che tenga conto dei desideri, sogni, necessità SIA dei FIGLI che dei GENITORI. Questo è il comportamento che esprime la vera leadership. “Lo faccio per il tuo bene” “Devi imparare ad obbedire” “Qui decido io” Il figlio impara che non è ammessa la libertà personale e ad auto censurarsi. Oppure dopo un litigio “Adesso dammi un bacio e non parliamone più” “Mi ci hai costretto” “Mi perdoni?” come tra adulti “Rimaniamo amici?” E’ un atteggiamento ingiustificato. In questo modo gli adulti minano la relazione con i figli. Declinano la responsabilità del conflitto assegnandola ai figli, compromettendo la loro stima nei confronti dei genitori e insidiando la loro autostima. Per molti genitori parte del compito educativo consiste nel criticare e correggere i figli quando non agiscono in modo corretto e far ammettere loro di aver fatto qualcosa di male o esprimere rimorso. “Ma non ti vergogni?” Il concetto di lealtà si manifesta anche in quelle famiglie che tentano di non fare differenze tra i figli: stessi premi, stesse punizioni, senza considerare che ciascuno è un essere differente. Così le assegnazioni avvengono come una lotteria, alcuni ricevono ciò di cui hanno bisogno, altri invece no. Le priorità molto spesso si basano su valori esteriori, opinioni comuni, e ci si aspetta che i bambini recitino una parte come in una commedia, senza pensare che possano essere se stessi. INTERLUDIO DEMOCRATICO Ci sono anche le famiglie più democratiche. E’ corretto ad esempio decidere insieme o coinvolgere i figli nella scelta del luogo dove passare le vacanze. Ma attenzione, è più importante, e tale competenza spetta SOLO agli adulti, il processo di interazione, ossia come si comporterà e sentirà la famiglia durante la vacanza. L’umore, l’atmosfera, la qualità dei rapporti interpersonali, come si relazionano tra loro, come si sentono l’uno nei confronti dell’altro. Questo è l’elemento decisivo per la salute fisica e mentale di genitori e figli e per il loro sviluppo. Sono influenzati da: personalità ed esperienze dei genitori, relazione tra loro, visione della vita, consapevolezza dei conflitti e capacità di gestirli, di trovare risorse nei momenti di crisi, ecc.

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Sono gli adulti a determinare la qualità dello spirito in famiglia e NON possono ne CONDIVIDERE ne DELEGARE questa particolare responsabilità ai figli, che non sarebbero in grado di gestirla, bensì hanno bisogno di un adulto che li guidi. Certamente anche il comportamento dei figli influenza il processo, ma NON SONO RESPONSABILI della qualità dell’interazione. Quando la responsabilità viene scaricata sui bambini, il risultato è sempre negativo per tutti. Ciascuno deve prendere seriamente in considerazione le proprie necessità e desideri. I ragazzi hanno un bisogno cruciale, quello di essere considerati membri validi della comunità, e gli adulti devono aiutarli a considerarsi tali. Il principio di uguale dignità significa che le persone sono differenti ma non ci si batte per renderle uguali o eliminare le differenze. Quando una persona assume un ruolo nuovo, come quello di genitore, l’uguaglianza diventa importante solo se la persona che lo assume acquista di conseguenza maggiore importanza. Un padre che si occupa del figlio costruisce una relazione soddisfacente nella misura in cui si sente realmente un essere umano più completo come risultato del suo rapporto col figlio, altrimenti dà solo una mano alla madre. La nostra capacità di rapportarci con eguale dignità con i figli dipende dalle esperienze vissute nella famiglia in cui siamo cresciuti e dai ruoli che abbiamo impersonato. Può essere difficile se non l’abbiamo sperimentata. I FIGLI SONO COLLABORATIVI Integrità à l’io del bambino Conflitto Collaborazione à come reagisce il bambino (copiare, imitare) I bambini non hanno bisogno che gli adulti insegnino loro come collaborare o adattarsi, ma che gli venga insegnato come badare a se stessi quando interagiscono con gli altri. I bambini collaborano quando copiano gli adulti più importanti che hanno intorno a loro. Esempio: il distacco all’asilo. Se la madre è ansiosa all’idea di lasciare la figlia, anche la figlia si dispera. Il messaggio della bambina che piange è: mamma c’è qualcosa che non va tra noi due, l’ho capito e penso che ti assumerai la responsabilità di risolvere il problema così potremo entrambe stare meglio. Se chiedessimo alla madre se secondo lei la bambina sta collaborando risponderebbe di no. Invece la bambina collabora perfettamente perché copia i sentimenti della madre. I bambini, quando sorge un conflitto, dimostrano di aver individuato che esiste un problema che impedisce il raggiungimento di un reale benessere per la famiglia.

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Quando poi copiano sentimenti e attitudini che preferiamo tenere per noi, allora probabilmente la nostra reazione sarà negativa. I genitori confondono la collaborazione con il comportarsi bene. I figli copiano i genitori in modo diretto. Quelli trattati con rispetto faranno lo stesso con gli altri. INTEGRITA’ Vi sono poi i bambini che ribaltano il modo di collaborare, perché rivolgono verso se stessi il comportamento, ma sempre motivati dal desiderio di collaborare. Preferiscono collaborare piuttosto che pensare a se stessi. Generalmente i figli reagiscono alle violazioni su di loro in modo autodistruttivo, perdendo autostima e accumulando sensi di colpa. E’ un dato di fatto triste che più l’integrità di una persona viene violata più questi tende a collaborare e sottomettersi. Dopo un litigio un bambino non è arrabbiato con i genitori e non li giudica in modo più critico di prima. E’ un po’ meno come vorrebbe e un po’ di più come vorrebbero i genitori, ha perso un po’ di rispetto per se stesso, come tutti i figli ama i genitori senza porre condizioni, a tal punto che è disposto a dare loro il figlio che vogliono senza tenere conto del prezzo da pagare. E’ convinto che loro abbiano ragione e lui torto, e cercherà di reprimere la sua sofferenza e l’umiliazione. Vent’anni dopo farà la stessa cosa con suo figlio. Quanto più una delle parti chiede all’altra di sacrificare la propria integrità, tanto più la cosa funziona e il genitore è convinto di fare la cosa giusta. I figli che vengono criticati criticano a loro volta, o diventano ipercritici verso se stessi. C’è da dire che tutti siamo stati condotti senza colpa al nostro tipo di comportamento, distruttivo o autodistruttivo. Molti ritengono di avere un comportamento affettuoso ma in realtà non lo è. A volte descrivere un comportamento come gelosia è superficiale. Un bambino che dice “Perché non mi volete bene come a lui?” in realtà sta dicendo che non è amato nel modo giusto. Quando i bambini (e non solo) sentono di non essere considerati importanti diventano aggressivi, irritabili, frustrati. E se gli rispondiamo “Ma non è vero, vi vogliamo bene uguale” seppure sia vero, non fa che sentire il bambino sbagliato, perché lui è convinto che diciate la verità, ma non lo sente così. Parlare di capricci di questo tipo per attirare l’attenzione, tenere testa o fissare dei limiti li avvicina solo la parte esteriore del problema. I bambini spesso non sanno ciò di cui hanno bisogno ma sanno ciò che vogliono. Non hanno la capacità per esprimersi e contano sul fatto che siano i genitori ad esprimere ciò che non sanno dire. Dalla parte opposta ci sono i genitori che temono di essere autoritari e non si sentono sicuri sul modo di stabilire il senso del limite e la loro autorità personale.

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Questi finiscono per essere al servizio dei figli, che ottengono troppo di ciò che vogliono e troppo poco di ciò di cui hanno bisogno. Questo crea bambini asociali ed egocentrici. I bambini ed i genitori hanno bisogno di essere avvicinati con simpatia e comprensione NON con critiche ed accuse. Molto spesso essi hanno patito le stesse sofferenze che infliggono ai figli, e per un periodo più lungo. Dobbiamo essere capaci di riconoscere la loro competenza, e di avvicinarli nello stesso modo in cui vorremmo che si avvicinassero ai propri figli. IL CONFLITTO TRA INTEGRITA’ E COLLABORAZIONE In una interazione tra adulti e bambini, un comportamento che giudichiamo buono può in realtà non esserlo affatto. Nel conflitto tra integrità e collaborazione in genere il bambino sceglie di collaborare trascurando se stesso. Nella maggior parte dei casi gli elementi che influenzano i nostri figli sfuggono al nostro controllo. Non sono ciò che diciamo e pretendiamo di insegnare loro bensì sono l’andamento del matrimonio, i nostri conflitti esistenziali, la nostra apertura mentale, problemi di lavoro ed economici, ecc. Un fondamentale diritto del bambino che spessissimo viene violato è il diritto di mangiare quando ne sentono il bisogno e non quando decidiamo noi. In buona fede il genitore si preoccupa che un bambino mangi a sufficienza, ma fa un errore fondamentale: non tiene conto dei segnali che invia il bambino. Dobbiamo essere vigili nel riconoscere segnali e sintomi che sviluppano i nostri figli. La qualità della vita in famiglia dipende dal modo in cui gli adulti riconoscono i segnali che provengono dagli altri componenti e dalla prontezza con la quale affrontano la loro sofferenza individuale. Quanto più sacrificheremo la nostra integrità in favore della collaborazione, tanto più andremo incontro a sofferenza. Se noi stessi e coloro che ci stanno vicini li prendono in considerazione, ne comprendono il significato e cambiano il nostro tipo di reazione, il conflitto si risolve e la sofferenza si attenua o cessa. Se questo non accade, il segnale aumenta o cambia, diventa fisico anziché verbale. Il primo segno è la spossatezza, il segno estremo è il suicidio o l’omicidio. Più la sofferenza è protratta e più i danni diventano permanenti. Ci sono tre modi per violare l’integrità di un bambino: Coercizione fisica eccessiva, abuso o negligenza Imposizione di pratiche cosiddette buone o necessarie Imposizione di opinioni ideologiche Bisogna ricordare che non esiste una crescita collettiva che non sia basata sulla crescita dell’individuo. E’ importante che i ragazzi manifestino dei segnali cosicché gli adulti possano essere informati della rottura dell’equilibrio tra integrità e collaborazione e quindi della sofferenza dei figli.

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I genitori possono avere un ruolo preventivo fondamentale. Gli adulti devono anche imparare ad accollarsi la responsabilità dei propri errori invece di addossarla ai figli come invece spesso fanno. Quando un figlio ha un comportamento distruttivo o asociale sta imitando o collaborando con un adulto. Talvolta quello dell’adulto è quello di impartire una lezione, ma di solito deriva da un impulso autodistruttivo. Quando un figlio smette di collaborare è perché ha collaborato troppo o troppo a lungo nell’ambito di fenomeni distruttivi nella famiglia o perché la sua integrità è stata violata direttamente. Tipici commenti dei genitori: non ascolta nemmeno quello che gli si dice non torna mai a casa all’orario stabilito devo sempre corrergli dietro a riordinare ogni giorno bisogna dirgli di studiare ogni mattina dobbiamo svegliarlo noi perché faccia una cosa bisogna sempre chiederglielo se no non lo vede Ad esempio: non ascolta quello che gli si dice. Quando i bambini non ascoltano di solito è perché i genitori hanno detto qualcosa che non valeva la pena essere ascoltato, o meglio, espressi nel momento o nel modo sbagliato. Molti genitori continuano a credere che i figli debbano imparare ad obbedire o a fare le faccende domestiche, nonostante questa aspettativa generi quasi sempre l’effetto contrario. Questo perché il bambino, come noi, riteniamo offensivo e poco dignitoso il dover obbedire ad un ordine quando saremmo più che disposti a collaborare. Nessuno si sente a proprio agio quando riceve ordini, nemmeno nell’esercito, e la famiglia non è una caserma, ma l’opposto. Non mangia con noi ma mezz’ora dopo ha fame. Il messaggio che il bambino manda è “Se mi siedo a tavola con voi perdo l’appetito, l’atmosfera è tesa e negativa e dato che non riesco ad esprimerla preferisco non mangiare”. Una cosa è certa: il bambino non fa questo per complicare la vita ai genitori, ma anzi si tratta qualcosa di utile alla famiglia perché segnala che qualcosa non va. Altri segnali: Mal di testa, mal di stomaco, tensione muscolare, perdita o aumento di peso. Aggressività fuori casa, eccessivo senso critico, difficoltà di concentrazione, svogliatezza, abuso di droga o alcol. Tentativi di suicidio, silenzio ed isolamento, violenza. Quando i bambini che attraversano un conflitto non risolto sviluppano sintomi o segnali psicosomatici intendono dire: “la vita mi procura sofferenza, non ho trovato un modo costruttivo di oppormici. Non so come fare per parlarne con qualcuno perché non trovo le parole per esprimere la sofferenza, sono bloccato in un conflitto che non so risolvere”.

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I bambini che sopportano un eccessivo carico di responsabilità può sviluppare tensione muscolare e mal di testa, mentre chi prova ansia o gravi conflitti emotivi lamenta dolori di stomaco. Alcuni bambini sviluppano sintomi psicosomatici perché non ritengono possibile parlare con i genitori dei propri problemi e del loro stato di angoscia. Oppure perché i genitori hanno continui litigi dovuti a difficoltà interpersonali e i figli non vogliono “disturbarli” con i loro problemi. Il consiglio per i genitori è di osservare ed imparare. Cercate di vedere vostro figlio attraverso i suoi stessi occhi. Potrete conoscerlo in modo nuovo, cosa ben più importante che cercare la causa. Quando i figli diventano distruttivi o autodistruttivi è perché uno o più adulti di riferimento ne violano l’integrità verbalmente o fisicamente o in entrambi i modi. Non sono altro che due forme di collaborazione in risposta a violazioni accettate. AUTOSTIMA E FIDUCIA IN SE STESSI Autostima: conoscenza ed esperienza di quello che siamo, di noi stessi, come consideriamo ciò che sappiamo. Stima di sé: è il pilastro, la base di sostegno. Chi ha un sano senso di autostima ha un senso di completezza ed è soddisfatto di sé. Significa “Mi sento bene, ho un valore perché esisto!” Chi ne è privo è continuamente incerto, critico verso se stesso, accumula sensi di colpa. I genitori che guardano un neonato nella culla lo trovano meraviglioso e prezioso solo perché esiste. Crescendo, questa sensazione passa con l’impulso di “correggere” la loro creatura. Se l’impulso di correggere persiste, può minacciare il benessere del bambino. Solo davanti alla possibilità di perderlo si rendono conto che deve essere amato per quello che è. L’autostima è una qualità esistenziale, fa parte delle fondamenta dell’esistenza psicologica e determina in modo radicale la nostra vita. La fiducia in se invece è la misura di ciò che riteniamo di essere in grado di fare, quanto pensiamo di essere validi e capaci o maldestri e inefficienti. E’ una qualità esterna, acquisita. I genitori devono cercare i rafforzare l’autostima dei figli che ne abbiano bisogno. Bambini e ragazzi credono agli adulti e pensano di essere importanti solo se raggiungeranno determinati obiettivi. La scarsa autostima si manifesta in molti modi, ad esempio paura di fallire, di vivere, disfattisti, senza limiti, senso di colpa, annullamento, ecc. Una scarsa fiducia in se non è un problema psicologico ma pedagogico. La fiducia cresce con la qualità dei risultati che si conseguono. GUARDAMI MAMMA! RICONOSCERE IL BISOGNO DEI BAMBINI DI ESSERE VISTI Il nostro senso di autostima viene alimentato da due esperienze:

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quando una persona per noi importante ci vede e ci identifica per quello che siamo quando sentiamo di essere riconosciuti ed apprezzati dagli altri per quello che siamo Queste due percezioni, oltre alla possibilità di esprimersi con un proprio linguaggio personale, sono i requisiti per instaurare una vita proficua per noi e per gli altri. Non che i genitori non amino i figli, ma spesso non tutti sono capaci di esprimere altrettanto bene questo sentimento. Eppure l’espressione dell’amore è decisivo per lo sviluppo dell’autostima. Non hanno importanza i sentimenti reali dei genitori ma COME VENGONO RECEPITI dal bambino. Se una bambina sullo scivolo dice “Guardami mamma” e la mamma risponde “Brava!”, pur avendolo detto con e per amore, ha collegato l’essere al risultato ottenuto, è come se non stesse comunicando con lei. La bambina non ha mai pensato che ci fosse bisogno di essere brava per divertirsi sullo scivolo, chiede solo che le venga confermato la sua esistenza e la sua esperienza gioiosa. Stessa cosa se un bambino ci regala un disegno e noi rispondiamo “Che bello!” anziché “Grazie, che pensiero gentile, mi fa proprio felice”, presto smetterà di dirci “Guarda cosa ho fatto per te” e inizierà a dire “Guarda com’è bello” spostando l’attenzione da se stesso al risultato. Altri genitori esprimono il loro amore concentrandosi su se stessi: “attento a non cadere e a non farti male”. Quest’ansia incessante frena lo sviluppo dell’autostima perché il messaggio che riceve è “non mi aspetto che tu ce la faccia” e sposta l’attenzione del bambino dalla propria esperienza e la trasferisce ai sentimenti della madre. Se la madre ha spesso questo atteggiamento di preoccupazione e ansia verso il figlio, temendone l’insuccesso sociale, il figlio certamente si metterà a collaborare, diventando schivo ed ansioso a sua volta (collaborazione diretta) oppure maldestro, sbadato, svogliato, facile agli incidenti, goffo, per portarsi al livello delle aspettative negative della madre (collaborazione inversa). Come possono fare allora i genitori per alimentare il senso di autostima dei figli? Basta uno sguardo, un cenno, un saluto, un sorriso con una pacca sulla spalla, dimostrare semplicemente che si è testimoni della loro esperienza. A sua volta il bambino sente di essere visto, soddisfa il suo bisogno d’amore e conferma l’amore della madre. La mamma potrebbe anche dire “sembra davvero divertente … ma è anche un po’ pericoloso vero?” In quel momento dà a sua figlia le parole, con un linguaggio personale, della sua esperienza interiore. E questo è il terzo requisito necessario per lo sviluppo di una sana autostima. Ma i bambini riescono ad acquisire un linguaggio personale solo se i genitori si impegnano a studiarli e interpretare le loro espressioni ed i loro sentimenti per quello che sono e non per quello che ci vedono loro o vogliono vedere. Se non possiamo esprimerci con un linguaggio personale facciamo fatica a capire chi siamo e per gli altri rapportarsi con noi diventa difficile. Un madre che insiste perché la figlia mangi mentre lei non ne ha voglia o non ha fame: se la bambina ha sviluppato un linguaggio personale ad un certo punto potrà dire “no grazie, non ho più fame”. Se invece la madre insiste e cerca di manipolarla, reagirà in modo meno articolato e dirà “non lo voglio” oppure “non mi piace” o qualcosa di altrettanto infastidito.

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In questi casi ha imparato due possibili tipi di reazione: identificarsi con i sentimenti e le necessità della madre oppure respingerle. Ma in ogni caso avrà perso il contatto con se stessa, i propri sentimenti e bisogni e la capacità di esprimerli. Questo durante la crescita la porterà ad avere scontri prima con sua madre e poi nelle relazioni sociali con gli amici, i colleghi, il marito e i figli. Non è eccessivo, è un problema reale e serio che si sviluppa nelle famiglie che apprezzano i valori esteriori come l’esigenza di finire il cibo nel piatto e si preoccupano più del giudizio sociale che delle esigenze dei propri figli. In queste famiglie il linguaggio personale viene scoraggiato o al massimo tollerato finché i figli sono piccoli. Quando crescono, il linguaggio personale viene sostituito da un “buon” linguaggio sociale, inadatto ad affrontare i problemi interpersonali. Esempio di un ragazzo con difficoltà scolastiche. I genitori posso cercare di tirarlo su, spronarlo, oppure cercare di “vederlo”. Nel primo caso diranno “ma perché dobbiamo sempre dirti di studiare? Lo sai che devi farlo!” Questo approccio vecchia maniera ignora del tutto il bambino come essere umano. Oppure potrebbero dirgli “Cosa succede? Sei sempre andato bene e studiavi volentieri …. Hai qualche problema a scuola? Qualcuno ti prende in giro? Qualcosa non va?” Questi commenti esprimono interesse verso la persona ed il suo io. La risposta del ragazzo probabilmente sarà “no, niente” o vaghe frasi del genere. Ci sono due ragioni per questo tipo di risposte: la prima è la difficoltà ad esprimere i propri sentimenti interiori mentre si cerca di rispondere ad una domanda concreta. La seconda è il modo in cui i genitori si esprimono che segnala “per noi rappresenti un problema, ti vogliamo più bene quando sei contento e studi”. Questo significa una perdita di autostima per il ragazzo che invece di imparare qualcosa su se stesso e la sua vita sente che i suoi sentimenti sono un problema. Non gli viene dato modo di esprimerli con un suo linguaggio, cosa che potrebbe portare a due risultati: sollevargli il morale e rendergli possibile rivelare ai suoi genitori il suo vero essere in modo da farsi conoscere meglio. Se i suoi genitori lo vogliono realmente “vedere” non devono fare altro che descrivere ciò che hanno davanti agli occhi e offrire la loro attenzione: “ho notato che ultimamente hai un po’ di problemi con lo studio. Ti sei chiesto come mai?” E’ probabile che la risposta sia ancora “no” ma i genitori potrebbero dire “a noi piacerebbe saperlo. Magari vuoi che ti aiutiamo ad organizzarti?” Il problema non è stato ne definito e nemmeno risolto ma non è questo l’importante. Il fatto significativo è che il ragazzo capisce di essere stato visto e forse più tardi troverà le parole per descrivere quello che gli succede. I bambini ed i ragazzi spesso hanno bisogno di tempo per riflettere, come noi. Esempio di una bambina di cinque anni che riceve in regalo un pacchetto di caramelle da amici ospitati e piena di gioia vorrebbe finirle una dietro l’altra. I genitori devono vederla o educarla?

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Possono dire “ti piacciono proprio vero?” oppure “prendine una poi teniamo le altre per domani”. Il secondo commento non solo è superfluo ma deprime il piacere della bimba di fare questa esperienza all’interno della comunità familiare. Imparerà da sola col tempo quante caramelle può mangiare, i commenti dei genitori non sono per il suo bene ma solamente per permettere a loro stessi di sentirsi utili e di confermare la loro reputazione di bravi genitori agli occhi degli ospiti. Si tratta solo di voler vedere le cose per quello che sono. Le cose diventano più complicate se permettiamo che la nostra storia passata, i pregiudizi, i giudizi altrui, le ideologie e l’egoismo si frappongono tra il nostro occhio e le nostre corde vocali, quando il nostro atteggiamento e le nostre idee bloccano l’espressione dell’amore e di una mentalità più aperta. Questo succede in particolare quando il comportamento dei nostri figli è alterato dalla frustrazione e dalla sofferenza. In queste circostanze hanno bisogno soprattutto di essere visti per quello che sono e non essere criticati o giudicati. RICONOSCIMENTO E VALUTAZIONE Fino a pochi anni fa l’obiettivo dell’educazione dei figli era quello di ottenere obbedienza, adattamento ed un buon comportamento. Il bimbo che offre un disegno alla madre offre se stesso, la sua esistenza. In risposta a questa espressione spontanea e personale riceve una valutazione. Se la madre vuole favorire la sua autostima dovrebbe dire qualcosa del tipo “grazie! Mi sei mancato tanto” o qualunque reazione personale e non un generico “che bello”. Dopo varie volte portando un disegno inizierà a dire “guarda come l’ho fatto bene!” “Guarda come sono bravo!” cambia la prospettiva dall’essere a essere capace di … dal esistere al raggiungere. I bambini educati con questo metodo hanno poca autostima e mancano della capacità di valutare se stessi. Sprecano energie nel tentativo di essere benvoluti comportandosi come pensano che gli altri si aspettino, troppo concentrati su se stessi nella loro ricerca di riconoscimento. L’autostima è un meccanismo esistenziale di immunità. Se è ben sviluppato siamo più felici, meno vulnerabili, abbiamo relazioni più soddisfacenti e una migliore qualità di vita. DARE AI BAMBINI IL SENSO DEL VALORE L’autostima dei bambini si fonda sul grado in cui loro percepiscono di essere un valore per la nostra vita. Più permettiamo loro di dare a noi, tanto più sana diventa la loro autostima. E’ importante che sappiano quanto ci rendono felici. Quante sfide esistenziali ci costringono ad affrontare, solo perché sono quello che sono. Ci inducono a riflettere sui nostri comportamenti distruttivi, ci fanno dubitare delle nostre capacità, smascherano i nostri tentativi di manipolazione, affermano il loro diritto ad essere differenti da noi, ci costringono a riconoscere di aver sbagliato. La loro competenza sorprende a tal punto che dobbiamo riconoscerla, o mentire a noi stessi. Chi ha difficoltà a prendersi sul serio esaspera la propria serietà a tal punto da non essere utile a nessuno.

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I ragazzi con Handicap, o in affido, hanno allo stesso modo bisogno di essere visti e sentirsi valutati. Chiedere aiuto per un handicappato, un anziano, un malato, è umiliante e demoralizzante per la propria autostima. Molti genitori temono di ferirli e si concentrano su ciò che possono realizzare. Invece hanno bisogno di relazioni spontanee e personali. FIGLI INVISIBILI In alcune famiglie i figli sono invisibili, non sono mai visti per quello che sono e che sentono. Esempio di una figlia in sovrappeso. I genitori si preoccupano dello stato di salute della figlia e controllano cosa e come mangia, se fa progressi, si preoccupano che qualcuno possa prenderla in giro e minare la sua autostima, creando la stessa situazione dalla quale si vorrebbe proteggerla. Senza volerlo i genitori con la loro preoccupazione insistente non vedono la figlia ma solo il problema in superficie. Dovrebbero invece capire che se è così è perché mangia troppo e se mangia troppo significa che c’è a monte qualche ragione che la rende infelice. Se riuscissimo a determinarla, il tutto cesserebbe. BAMBINI INVISIBILI Talvolta i bambini diventano invisibili agli occhi dei genitori. Alcuni genitori ritengono che i bambini debbano comportarsi come si deve e non credono che sia importante essere se stessi, altri sono troppo oberati di impegni, spesso lo diventano se sono stati “catalogati” in un certo modo. Esempio di una figlia che chiede di andare in collegio. I genitori le chiedono perché e lei non sa rispondere, perché non sa rispondere a domande di tipo personale. Quando un genitore le fa una domanda, ad esempio se c’è qualcosa di cui non è soddisfatta, lei riflette seriamente e cerca di trovare le parole giuste per esprimere ciò che sente. Ma prima che ci riesca i genitori hanno già perso la pazienza e la incalzano con discorsi del tipo “pretendiamo troppo da te? Dicci cosa non va!”. L’impazienza le blocca le parole, si vergogna delle sue difficoltà. Qualche tempo dopo riesce a rispondere dicendo “credo che forse riuscirei a trovare me stessa se andassi ad abitare fuori casa”. La risposta è profonda e sincera, la sua integrità non è stata danneggiata perché è stata invisibile ma i suoi genitori sono stati disponibili e premurosi in altri modi. Il suo vero io esiste ancora dentro di lei insieme al suo bisogno di essere vista. Ha abbandonato la speranza di poter essere vista dai genitori e spera di poter ritrovare se stessa allontanandosene. Lei è convinta di essere ciò che i genitori pensano che sia e non la persona che lei stessa sente di essere. Ha capito che l’unico modo di stabilire un buon contatto con la famiglia consiste in un diverso modo di trovare se stessa. Ha bisogno di esprimersi tra persone che non abbiano preconcetti nei suoi confronti. Cosa può fare un genitore che si accorge di avere un figlio invisibile?

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Ci deve essere la disponibilità e l’impegno ad imparare qualcosa di nuovo sulla famiglia, sui figli e su se stesso. Se il senso di colpa predomina, anche se represso, il ragazzo lo sente e lo interpreta in questo modo: i miei pensano di essere dei cattivi genitori perché non sono soddisfatti di come sono, altrimenti non si sentirebbero in colpa. In tal caso la sua autostima diminuisce sempre più e ogni tentativo costruttivo è vano. La violenza è violenza e non serve mai a nulla. L’impatto della violenza su chi la subisce è più o meno forte a seconda che i genitori se ne accollino la responsabilità o la scarichino sui figli. La violenza rischia di perpetrarsi di padre in figlio perché chi l’ha subita: rimuove l’ansia e la sofferenza ricordando l’infanzia come felice mentalmente sarà convinto che ai fini educativi è accettabile avrà poca autostima e sarà indotto a comportamenti autodistruttivi E se scappa saltuariamente uno schiaffo? L’effetto si mitiga se: il genitore cerca di calmarsi ammette a parole ed emotivamente la responsabilità piena dell’accaduto lascia al bambino la possibilità di rimanere solo con le sue reazioni ristabilisce il contatto dicendo “mi dispiace di averti dato uno schiaffo. Quando l’ho fatto pensavo fosse colpa tua ed invece è colpa mia e mi vorrei scusare” non distribuire la colpa tra genitore e figlio, promettere di non farlo più o chiedere il perdono. RESPONSABILITA’, ESSERE RESPONSABILI E POTERE La responsabilità sociale è quella che abbiamo l’uno verso l’altro. La responsabilità personale è quella che ci prendiamo per la nostra vita, la nostra salute e lo sviluppo fisico, psicologico e mentale. Quando i bambini sono educati ad avere un senso di responsabilità sociale spesso diventano socialmente responsabili, anzi iper responsabili. Purtroppo queste persone mancano di responsabilità personale, in parte o del tutto. Quando invece i bambini vengono educati a sviluppare la loro responsabilità naturale e personale tendono anche a diventare responsabili socialmente perché vi è una intima relazione. Non è quindi vero che bisogna compromettere la propria integrità a favore della comunità. Perché si abbia questo equilibrio, perché siano educati alla sensibilità e al rispetto, i figli devono vivere con adulti che: salvaguardino la loro integrità personale intervengano quando i figli danno segni di collaborazione eccessiva (sottomissione o ribellione).

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Su cento adulti tra i venti e i quarant’anni solo due o tre sono veramente in grado di prendersi responsabilità della propria vita. La grande maggioranza dei conflitti tra adulti e con i figli si sviluppa in modo distruttivo perché le parti non sono capaci o non vogliono prendersi la responsabilità di se stessi, sprecando energie incolpandosi l’uno con l’altro. L’idea che l’obiettivo dell’educazione dei figli sia quello di renderli conformi ad un ideale esterno è superata da tempo. Oggi ci stiamo rendendo conto che hanno un’esistenza separata dalla nostra e questo rappresenta un valore di per se, perché ogni bambino è unico ed ha valore per quello che è, esseri umani da trattare con dignità, con diritto di crescere secondo le proprie inclinazioni. Certo non debbono avere assoluta libertà, ma non dobbiamo confondere la responsabilità personale con la licenza di fare. A creare problemi non sono le relazioni basate sulla responsabilità personale ma basate sull’autosufficienza e l’irresponsabilità. Esempio: bambino di tre anni che non vuole dormire al pomeriggio. Il padre può imporglielo, oppure lasciare che scelga il bambino. Il bisogno di dormire è una cosa personale e biologica, l’opinione del padre non può essere attendibile (anche se gli farebbe comodo per stare un po’ in tranquillità). Anche ammesso che si renda conto che il figlio è stanco, e che avrebbe bisogno di riposare, l’unico risultato che otterrebbe obbligandolo è che dormirebbe, magari un’ ora, un effetto di breve durata. Ma vediamo le conseguenze di questa scelta. Il bisogno di dormire viene deciso e regolato dall’esterno. Questo è molto comodo per i genitori, finché il bambino è piccolo. Ma immaginiamo che a 15 anni chieda ai genitori se è ora di andare a dormire. Certamente si irriterebbero e gli risponderebbero “Non sei abbastanza grande per capirlo da solo?” Il ragazzo si sentirebbe arrabbiato e confuso perché questa è una critica. Confuso perché per tutti quegli anni ha dovuto imparare, violando la sua integrità e dignità, a dormire quando lo decidevano gli altri, ha collaborato con i genitori con sforzo e sacrificio di se, e desidera continuare a fare “la cosa giusta”, come gli è stato insegnato ed imposto. Mentre ora che ci si è adeguato i genitori gli dicono che sta sbagliando! Avranno altri numerosi conflitti durante la crescita, come minimo vorrà restare alzato di più la sera, i genitori insisteranno o cederanno a seconda di come tira il vento, creando ulteriore confusione, oppure imporre una regola indiscutibile. Questo genere di conflitti non solo sono uno sfinimento inutile per tutti ma inducono il ragazzo a pensare che quando cerca di ESSERE SE STESSO diventa un FASTIDIO PER I GENITORI. Di conseguenza impara un principio che sarà distruttivo in tutte le sue future relazioni d’amore: per essere amato devi tradire te stesso. Qualcuno non accetta questa situazione e la sfida, con il rischio che questo diventi il tratto dominante del proprio carattere, a tal punto che questi ragazzi finiscono per respingere ogni richiesta degli altri e perfino le proprie necessità.

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La sopravvivenza diventa una questione di principio: non fare quello che gli altri pensano che tu dovresti fare. Questo non è un atteggiamento naturale, è il meccanismo di difesa dell’essere umano che si sviluppa quando nella famiglia viene minacciata l’autostima. Qual è l’alternativa? Nel caso preso ad esempio potrebbe dirgli: “Penso che tu abbia bisogno di un sonnellino” Il bambino potrebbe dire “No, voglio giocare – non ho sonno – prima voglio fare altro” Al che il padre può rispondere: “Va bene, gioca finché non ti viene sonno” Oppure “Penso che tu abbia sonno, ma andrai a dormire quando ne avrai voglia” “D’accordo, ma io ho bisogno di mezz’ora per leggere il giornale, anche io vorrei stare un po’ in pace, mi siedo qui e nel frattempo tu gioca pure” Cosa succede se nel pomeriggio il bambino, stanco, è difficile e di cattivo umore? Il padre può dire “Senti, non è un gran divertimento stare con te quando sei di questo umore. Dopotutto sarebbe stato meglio se fossi andato a dormire”. In questo scenario gli adulti avranno la noia di un bambino difficile per casa, ma per un periodo più breve di quanto potrebbe essere se continuassero a prendersi la responsabilità di decidere loro quando lui deve dormire. E non soltanto questo periodo sarà più breve e meno devastante per tutti. Qualche anno più tardi si sentiranno dire, ho sonno, vado a dormire. Un giorno magari non dormirà abbastanza, come i suoi genitori. Ma sarà coinvolto attivamente nel processo di sviluppo della sua autostima e del suo senso di responsabilità. Da adulto sarà in grado di formare una nuova famiglia sapendo che i bisogni personali degli altri non sono stati creati per offendere me e io non sono colpevole per il solo fatto che i miei bisogni sono diversi da quello che gli altri ritengono. Ed ogni tanto è ammissibile che io esprima i miei bisogni, magari sbagliando. Inoltre, con il fatto che il padre esprime il proprio bisogno di leggere il giornale, manifesta i propri limiti e necessità, esercitando il proprio senso di responsabilità personale. E questo è un ottimo esempio per il figlio che tenderà ad imitare questo comportamento, è un processo di apprendimento reciproco. Se il padre invece esercita solo il suo potere, il figlio impara solo a sottomettersi o a resistere. Se invece rinuncia ad esercitare il potere, darà a suo figlio ed a se stesso l’opportunità unica di scoprire quanto siano importanti l’uno per l’altro e come possano aiutarsi reciprocamente nel loro sviluppo. Nel medesimo momento il figlio avrà la possibilità di vedere suo padre come un modello di ruolo, qualcuno che gli insegna come gli adulti esprimono i loro bisogni negoziandoli e assumendosene la responsabilità per se stessi e per la famiglia, diventare fluente nel linguaggio e sviluppare il proprio senso di responsabilità personale. LA RESPONSABILITA’ PERSONALE DEI FIGLI Ci sono tre aspetti nella vita dei quali i figli devono prendersi personalmente la responsabilità:

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I loro sensi, es. cosa ha un buon sapore, se fa freddo o caldo I loro sentimenti, es. la felicità, l’amore, l’amicizia, la rabbia, la sofferenza, ecc. in relazione a cose ed a persone I loro bisogni, es. la fame, il sonno, l’affinità con qualcuno Un giorno saranno responsabili di se stessi nei compiti, nei loro interessi nel tempo libero, nel vestire, ecc. Cosa significa che i bambini devono prendersi le loro responsabilità nel campo dell’esistenza fisica, emotiva ed intellettuale? Devono decidere sempre loro? Averla vinta? Finché la maggioranza dei genitori ragiona in questi termini sarà inevitabile fare queste domande. Il concetto di conferire uguale dignità viene confuso con una garanzia di libertà. Per questi genitori il rapporto con i figli non è altro che una lotta di potere, chi prende le decisioni e chi deve subirle. Ma alla fine le guerre non portano a niente, nessuno ottiene ciò che gli è necessario. Se vogliamo salvaguardare l’integrità di genitori e figli aiutandoli a sviluppare l’autostima e la responsabilità personale e sociale dobbiamo introdurre un nuovo concetto, prendere in considerazione noi stessi ed i nostri figli. Che non significa permettere. E’ il suono, il tono della voce, che distingue la serietà dalla condiscendenza, è il come viene detto non il cosa viene detto. Per prendere seriamente in considerazione un'altra persona è necessario: non negarle il diritto di avere necessità, desideri, esperienze, sentimenti e diritto di espressione che di fatto sente di avere considerare i bisogni dell’altro dal suo punto di vista concentrarsi sull’altra persona e poterla conoscere per valutare lei e le sue aspirazioni replicare con comprensione alle sue azioni e considerare con serietà le sue posizioni Esempio. Coda davanti alla cassa.Una bambina di 4 anni si rivolge alla mamma dicendo di essere stanca e di non poterne più. Famiglia all’antica: si sentirà dare le solite istruzioni di buon comportamento à devi stare zitta e buona ed aspettare Madre moderna: osservazione oggettiva e diversivo tattico à no, non possiamo, capisco che sei stanca ma vedi quanta gente c’è davanti a noi? Guarda quei vestitini …. Nessuno di questi commenti è sbagliato o viola direttamente l’integrità della bambina, ma in entrambi il messaggio è che i sentimenti e i bisogni della bambina non sono importanti.

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La prima li ignora, la seconda offre una distrazione per compensarla, ma tutte e due la invitano ad accettare il modo nel quale la madre giudica la realtà senza offrire reciprocità al rapporto. E’ una iterazione univoca dalla madre alla figlia. Altro caso, la bambina si spazientisce. Una madre all’antica si innervosisce e prendendola per un braccio le intima di stare ferma. La sua aggressività progressivamente aumenta per l’aumentare della reazione della bambina che la mette a disagio, finché la bambina, sentendosi aggredita, si sottomette, facendo credere a sua madre di essere sulla strada giusta. Una madre attenta ai bisogni espressi dalla figlia, potrebbe dire “hai ragione, qui fa caldo e c’è troppa gente! Dobbiamo solo pagare, poi possiamo andare. Intanto cosa potresti fare? Per esempio mettere a posto quello che è caduto lì dallo scaffale …” al che è facile che la bambina obbedisca. Qual è la differenza? La prima madre non prende in considerazione la figlia mentre la seconda sì. E’ facile che la bambina che si rivolge alla prima madre sia già in partenza più lamentosa ed irrequieta, sulla difensiva, perché per come è abituata ha già imparato che i suoi desideri e le sue necessità non hanno importanza e disturbano la madre. Continua ad insistere per il suo diritto ad essere di valore, ma in genere senza successo. E l’atteggiamento della madre lo conferma. Nessuna delle due ottiene ciò che desidera. Si riducono l’autostima di entrambe, la fiducia della figlia nel prossimo e quella della madre nel proprio ruolo, in più si deteriora la relazione tra loro. Col tempo si vedrà se la bambina avrà subito un danno tale da trasformarla in una docile ragazzina oppure inizierà a trattare sua madre con lo stesso genere di brutalità esercitato su di lei. Nel secondo caso la bambina si esprimerà in modo più sereno, perché abituata in una famiglia in cui si accetta che vengano espressi i propri desideri e bisogni, nella quale si può contare di essere trattati con serietà. La risposta della madre lo conferma. E’ consapevole del desiderio di collaborare della figlia e del suo sentirsi un valore per la madre. La figlia non riceve ciò che avrebbe voluto, ossia andarsene subito, ma almeno conferma i suoi sentimenti. Anche se i suoi bisogni sono in conflitto con quelli della madre impara a fidarsene. Quale sia la madre migliore è irrilevante perché entrambe fanno del loro meglio in base a quello che hanno imparato. Ciò che importa è che nessuna delle due bambine ha ottenuto ciò che voleva, ma nel secondo caso sono stati riconosciuti i bisogni della bambina, che essa è una creatura di uguale valore assumendo il ruolo di genitore senza violare l’integrità della piccola. Ciò che veramente distingue la seconda madre dalla prima è che lei DIMOSTRA alla figlia una responsabilità sia personale che sociale anziché INSEGNARGLIELA. Diventa un modello con cui collaborare, e non si comporta come un’autorità che predica qualcosa che lei stessa non fa. UN LINGUAGGIO PERSONALE Ci sono vari tipi di linguaggio:

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linguaggio sociale, usato nelle normali situazioni sociali, quando è necessario un certo grado di cortesia senza approccio diretto linguaggio accademico, per descrivere ed analizzare problemi scientifici linguaggio letterario, usato per scrivere Nessuno di questi è adatto per esprimersi e trattare con il prossimo o risolvere conflitti interpersonali. E’ necessario un linguaggio personale e non di circostanza per impegnarsi responsabilmente nei confronti degli altri senza tagliare ne complicare i contatti. E’ meglio dire “voglio/non voglio” piuttosto che frasi del tipo “si deve fare così” Nelle famiglie autoritarie il linguaggio personale è scoraggiato, mentre si spinge affinché i figli parlino in modo “appropriato”. Esempio Figlio “Non voglio andare a letto adesso” Padre rispettoso “Ma io voglio che tu ci vada adesso” Padre non rispettoso “Fai il bravo e fai quello che ti dico.” oppure “Vai a letto quando te lo dico io e non se ne parla più.” Figlio “Non mi piacciono le cipolle.” Padre rispettoso “Invece a me piacciono molto, dovresti provarle.” Padre non rispettoso “Non dire stupidaggini, sono buone/ti piacevano una volta” oppure “adesso mangi come gli altri senza fare storie, non fare il difficile” Figlio “Fammi giocare col computer” Padre rispettoso “Non voglio che giochi col computer” Padre irrispettoso “Perché devi sempre essere così noioso” Figlio “Ho freddo” Padre rispettoso “Come mai? Io sto bene … vediamo di mettere qualcosa addosso” Padre irrispettoso “Non dire sciocchezze, non è freddo, e sono vestito come te” Quando il linguaggio personale si sviluppa in un’atmosfera di rispetto, l’integrità dei bambini non viene violata ed imparano a stabilire i propri limiti senza violare quelli altrui, così sia i genitori che i bambini imparano a capire veramente se stessi. Al contrario con l’approccio tradizionale solo i genitori dicono ai figli chi dovrebbero essere. Ed in questo modo i genitori diventano ancora più ansiosi di sapere chi sono i loro figli. I bambini fin dalla nascita sono in grado di comunicare i loro bisogni.

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Invece trattarli nel modo tradizionale significa trascurare la competenza del bambino e mirano ad “educarlo” nel senso che “il tuo modo di vedere e pensare le cose non è quello giusto ossia il mio, sarebbe meglio se tu vedessi e pensassi come me”. Le preoccupazioni, seppur legittime, espresse in questi termini diventano problematiche. Se i genitori hanno qualcosa da discutere con i figli devono farlo in un posto e momenti adatti. E’ così che ci si prende seriamente in considerazione. I commenti poco rispettosi non avranno mai gli effetti che i genitori si aspettano, anzi sono controproducenti perché fanno sentire i bambini in torto o stupidi. Esempio Figlia di 16 anni che chiede alla madre se può andare a dormire a casa del ragazzo per il week end. Non sta chiedendo l’autorizzazione per fare qualcosa, quello può farlo in altro luogo e tempo, sta dicendo alla madre quello che ha intenzione di fare col suo ragazzo, vuole che i genitori lo sappiano e vuole sapere cosa ne pensa sua madre in proposito. Ha bisogno che le venga confermato di essere aperta e personale quanto lo è il suo approccio. La madre potrebbe dirle “Sul momento non saprei cosa dirti, mi verrebbe da dire di no, ma hai 16 anni anche se per me è come se ne avessi ancora 10… mi faresti il piacere di lasciarmici pensare un momento e parlarne con tuo padre? Poi ti dirò quello che penso” Non dà una risposta diretta ma fa qualcosa di migliore: una reazione onesta, aperta e molto personale. Così si crea il contatto e se in futuro la figlia avrà bisogno di consiglio e guida su questioni importanti sarà già aperta una porta di comunicazione con la madre, piuttosto che l’amica di turno. La madre potrebbe anche dire “penso che non dovresti, ho notato quanto gli vuoi bene ed ero preparata ad una domanda simile. Non tocca a me decidere con chi devi uscire ma devo confessarti che a mio parere non è il ragazzo col quale vorrei vederti. Non lo dico per proibirtelo, ma siccome hai chiesto la mia opinione, questo è quello che penso.” Questa risposta ha la stessa qualità della precedente, sempre meglio che una risposta vaga del tipo “non saprei, tocca a te decidere, tu cosa ne pensi?” Uno SCAMBIO reciproco di OPINIONI è L’UNICA FORMA DI COMUNICAZIONE ed ottiene subito tre risultati: Sviluppa la responsabilità personale dei figli Mantiene e coltiva le relazioni con i genitori Migliora i sentimenti di unità familiare Ogni altra forma di reazione è distruttiva (istruzioni di fatto, morali o sociali, giudizi di ogni genere, indifferenza, imposizione di proprie idee). Queste possono portare i figli ad essere controllati esternamente anziché internamente, può creare dipendenza, isolamento, senso di inferiorità e vergogna.

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Il riscontro personale ha anche un altro vantaggio, cioè ricorda la bambino l’esistenza di altre persone, altri bisogni ed esigenze da rispettare, altre attitudini e modi di vedere la realtà, favorendo lo sviluppo della responsabilità sociale (in primis il rispetto delle necessità dei genitori). Per i genitori è una sfida difficile e quotidiana. Devono rendere più autentico il loro modo di essere. Istruzioni del tipo “di solito si fa così” “è giusto così” “perché te lo dico io” “tutti gli altri dicono che” “nella nostra famiglia si è sempre fatto così” vanno bandite. Devono abbandonare il “risponditore automatico” valido per ogni famiglia in ogni situazione, lo strumento che, appena i figli sono a portata di orecchio, attacca i soliti commenti educativi, di aiuto o consiglio. La maggior parte dei bambini a tre anni smette di ascoltare il risponditore automatico e la macchina parlante, mentre la maggior parte dei genitori si dimentica per quale motivo l’ha messa in uso. Di solito questi messaggi sono una cozzaglia di saggezza ricevuta dai nonni, dalla società. Questo non significa che il risponditore sia innocuo, tutt’altro. Le parole possono sembrare abbastanza inoffensive ma il messaggio che passa è distruttivo: “Tu non sei in grado di funzionare come un figlio decente/responsabile/beneducato/collaborativo se io non ti metto in testa ogni minuto quello che devi fare” La capacità dei figli di esprimere e praticare il loro senso di responsabilità non nasce a 13 o più anni ma cresce insieme a loro fin dalla nascita, e la stessa cosa avviene per gli adulti. RESPONSABILITA’ E SERVIZIO Negli ultimi 15 anni è aumentato il numero di genitori che serve i propri figli. Questo è un modo di dimostrare amore e cura fintanto che sono piccoli e lo scambio è armonioso. Ma quando i figli raggiungono i 3-4 anni nascono le tensioni. Più le richieste diventano assurde e più i genitori si sentono frustrati. Questo approccio è solo inteso come amorevole, in realtà non è amore. I bambini sanno ciò che vogliono ma spesso non sanno quello che è necessario per loro. Perciò se un genitore cerca di dare loro tutto ciò che vogliono, semplicemente non ottengono ciò di cui hanno bisogno. Al contrario sono trascurati, in più si trasmette loro il concetto che amore e affetto si identifichino con l’avere ciò che vogliono. Così alzano il livello delle richieste, e più crescono più si sentono trascurati, più insistono. Quello che manca è il dialogo tra genitori e figli, in più i genitori trascurano i propri bisogni e la propria integrità. Gli adulti ritrovano lo stesso problema nelle loro relazioni sentimentali. Se il vostro partner sta dietro a tutti i vostri desideri, sentimenti e umori senza rivelare e manifestare i propri, finirete per sentirvi soli e frustrati. Non è facile per un adulto rivolgersi ad un altro e dirgli “so che vuoi darmi tutto ciò che voglio, ma non ricevo mai quello di cui ho più bisogno: TE” Per i bambini è impossibile esprimere a parole questa esperienza. Perciò arrivano a conclusioni inevitabili e dolorose: “Siccome mi danno tutto quello che voglio, ed a me sembra che manchi ancora qualcosa, vuol dire che ho qualcosa di sbagliato”.

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I genitori inevitabilmente pensano: “Diamo ai nostri figli tutto quello che riusciamo ma non sono mai contenti. Forse siamo dei cattivi genitori” Questo genere di relazione è tra i più distruttivi. Entrambe le parti perdono fiducia in sé ed autostima, sviluppano aggressività e sensi di colpa. Bisognerebbe mettersi seduti davanti ai figli e dire: “Ci dispiace che non siate felici di come vanno le cose. Anche noi non lo siamo. Vogliamo che sappiate che è colpa nostra. Eravamo così concentrati a darvi tutto quello che volevate che ci siamo dimenticati di noi stessi. E’ ora di cambiare. Non sarà facile per nessuno di noi, ma pensiamo di potercela fare. Ci piacerebbe molto se voleste collaborare con noi per rendere la nostra famiglia più felice.” Il secondo passo è un serio sforzo per trovare se stessi, i propri limiti, desideri, bisogni ed esprimerli nel modo più puro possibile, senza criticare i figli ne chiedere la loro comprensione o collaborazione unilaterale. Come regola generale I FIGLI SONO IN GRADO DI COLLABORARE AD UN APPROCCIO NUOVO SOLO DOPO CHE I GENITORI HANNO INIZIATO A PRATICARLO. La loro responsabilità si sviluppa solo se è abbinata a quella dei genitori. Esempio Invece di dire “Oggi esco prima dal lavoro, vuoi che venga a prenderti a casa del tuo amico alle tre o vuoi tornare da solo alle cinque?” Si potrebbe dire “Oggi esco prima dal lavoro, e mi piacerebbe venirti a prendere alle tre. Cosa ne pensi? Invece di chiedere “Cosa vuoi per cena?” Si potrebbe dire “Stasera per cena vorrei mangiare pesce, Piacerebbe anche a te?” Invece di dire “Oggi è freddo, che ne dici di mettere un maglione?” Si potrebbe dire “Oggi è freddo, vorrei che mettessi un maglione” Invece di dire “ Oggi ti andrebbe di aiutarmi in giardino?” Si potrebbe dire “Vorrei che oggi mi aiutassi in giardino” La differenza di significato è minima, ma la cosa significativa è che i primi esempi lasciano un senso di solitudine, i secondi creano un senso di unione perché esprimono desideri di una persona e interesse verso quelli dell’altro. Quando i genitori iniziano a parlare in questo modo, i figli iniziano a considerare se stessi in modo diverso, come persone reali. Così inizia a svilupparsi la loro responsabilità sociale. All’inizio, come contraccolpo, la situazione potrebbe peggiorare, ma poi può solo migliorare. Una ritirata, nel caso migliore, può anche ridurre il numero dei conflitti ma solo in superficie. Piuttosto che litigare i membri della famiglia inizieranno a sviluppare un conflitto con se stessi (conflitto intrapsichico) che tornerà inevitabilmente a galla come conflitto interpersonale.

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Per due motivi: i vecchi metodi addossano la colpa e il biasimo ai bambini, in secondo luogo cercheranno in altri modi (servizi, acquisti, ecc.) di riempire quel vuoto senza riuscirci, perché resta la mancanza di contatto tra adulti e bambini, che continuano a non ricevere ciò di cui hanno bisogno, ma possono imparare a comportarsi come se lo avessero ricevuto. Gli adulti invece non crescono come adulti, portano solo avanti un “progetto per l’educazione dei figli” eretto tra i figli e se stessi. Il rapporto non cambia in meglio. LA RESPONSABILITA’ SOCIALE DEI BAMBINI I figli che sono stati incoraggiati a sviluppare un senso di responsabilità personale potenziano anche automaticamente un alto grado di responsabilità sociale, sono premurosi, sensibili, diligenti, la responsabilità sociale non diventa un sacrificio ma una responsabilità consapevole e sentita come comune, che assicura dignità a tutte le parti. Ci sono due requisiti fondamentali per uno sviluppo ottimale della responsabilità sociale nei bambini: Che i genitori riconoscano e accettino il desiderio di collaborare da parte dei bambini Che i genitori si comportino responsabilmente tra loro, con i figli e con chiunque altro Gli adulti che sono di esempio con il loro comportamento ottengono risultati decisamente migliori di quelli che si limitano a istruzioni verbali. Esempio Bambino di 4 anni che gioca a terra e la sorellina di un anno interviene nel suo gioco prendendo dei pezzi di costruzione. Il bimbo cerca di fermarla senza successo, così la manda via mentre lei scoppia a piangere. La madre: “cosa succede?” La piccola: “mi ha dato una spinta” Il bambino: “lei continua a prendermi le costruzioni” La madre: “non devi fare male a tua sorella, lei è troppo piccola per capire. Perché non l’aiuti a fare una costruzione? Vedi come le piacerebbe giocare con te!” Questo è l’esempio classico di ciò che il genitore intende insegnare: i più grandi devono rispettare i più piccoli. Ma lei non lo sta facendo con suo figlio, che è più piccolo della madre. Gli chiede di fare ciò che nemmeno lei fa. Vediamo l’alternativa La madre: “Kevin, cos’è successo?” Il bambino: “prende le mie costruzioni” La sorellina: “mi ha dato una spinta” La madre (mettendo il braccio intorno alla piccola per consolarla, ma anche mantenendo lo guardo e quindi l’attenzione sul bambino): Proviamo a vedere cosa puoi fare per giocare in pace.” In questo caso la madre fa varie cose importanti:

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Si informa di quello che è successo Si rivolge al bambino come al più responsabile invece di spiegargli la sua responsabilità Con il suo suggerimento comunica di aver compreso che lui ha solo cercato di difendere i suoi limiti con mezzi pacifici ma non sono bastati e non è riuscito a fare di meglio Riconosce il suo desiderio di collaborare ma anche la necessità di salvaguardare la sua integrità Si prende cura della sorella ma allo stesso tempo le fa capire che nella famiglia sono importanti anche i limiti personali degli altri Non critica il fratello maggiore, lo informa di aver capito il suo disagio per come si è evoluto il conflitto Indica un approccio al problema, non una soluzione, in questo modo sostiene lo sviluppo della responsabilità personale e sociale del bambino Informa i suoi figli che è possibile salvaguardare l’ integrità di ognuno senza causare danno agli altri Una volta introdotto in famiglia il rispetto della responsabilità personale, si possono introdurre altre forme di responsabilità sociale. RESPONSABILITA’ PRATICA E’ basilare distinguere tra i genitori che assegnano ai figli particolari mansioni (es. domestiche) perché hanno veramente bisogno di aiuto da quelli che lo fanno pensando semplicemente che la cosa “faccia bene” o gli serva per il futuro. La differenza non è piccola perché se è una necessità il bambino sente di essere un valore per il genitore, altrimenti si gli viene imposto “per il suo bene” si sente oggetto di sul quale viene sperimentata una teoria educativa, ed è chiaro che avrà difficoltà a sentirsi preso sul serio in famiglia. L’assegnazione di particolari compiti ai figli potrà rendersi necessaria verso i 5 anni di età. A questo punto i genitori possono scegliere di educare figli servizievoli o figli coscienziosi. Chi desidera figli coscienziosi, ed è la scelta migliore, deve considerare che: Sotto i 10 anni l’attività più salutare è il gioco I bambini di 8-9 anni hanno una prospettiva limitata e non negoziano con la stessa consapevolezza degli adulti, per cui fare programmi settimanali non ha senso Se ad una bambina di sei anni si chiede se è disposta a lavare i piatti per tre volte a settimana e risponde di sì, significa “ti voglio bene, sono disposta a tutto per farti felice” e non “laverò i piatti tre volte a settimana”. Un po’ come quando un adulto promette “ti amerò per sempre”.

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Non c’è nulla di male a chiedere aiuto ai figli, compatibilmente con l’età, ma non vanno confusi “amore e affari”, non è un dovere verso i genitori. IL DOVERE E’ DOVERE non c’entra nulla con l’amore. Se si facessero patti del genere in una coppia sposata il loro amore finirebbe presto. E’ importante che ai figli vengano dati compiti significativi per la famiglia, quando ce n’è reale necessità, e che il loro sforzo, qualunque sia il risultato, venga apprezzato. Così si facilita il loro desiderio di aiutare e collaborare, anziché deprimerlo, il che è utile per la famiglia e non è dannoso per il loro sviluppo. Ma bisogna anche sapere che non sono necessariamente di aiuto per lo sviluppo del senso di responsabilità sociale. La decisione dei genitori sull’attribuzione dei compiti domestici ai bambini deve solo basarsi sulle loro necessità e sull’idoneità dei figli ad effettuarli. Se invece i genitori scelgono di avere dei figli servizievoli devono tener presente che il senso collaborativi non può strutturarsi prima dei 10-12 anni di età ed è importante che le mansioni non siano regolari ma assegnate volta per volta. “Ricordati che oggi è il tuo turno di lavare i piatti” questo è un genitore che assegna un compito per abitudine “Avrei bisogno di una mano, hai voglia di lavare i piatti?” Questo è un genitore che chiede aiuto. Poiché la maggior parte dei bambini sta facendo altro quando si chiede loro aiuto, non si deve chiedere se hanno voglia di aiutare perché non avranno mai voglia di interrompere quello che stanno facendo. “Ho bisogno di aiuto, vuoi lavare tu i piatti?” “No, non ho tempo” “Va bene, prima vai dal tuo amico ma poi voglio che tu lo faccia/entro sera dev’essere fatto/va bene, allora ci penso io”. Naturalmente ci sono molte occasioni in cui dicono di sì. Ci sono due vantaggi ad essere collaborativi piuttosto che servizievoli. I figli collaborativi contribuiscono maggiormente a lungo termine a sviluppare un senso di unità nella famiglia e la necessità di dirsi di si o di no vicendevolmente sensibilizza i relativi bisogni e termini. Non è una questione di dovere o scelta ma di senso di responsabilità che nasce dall’interno o dall’esterno. Il senso di essere di valore per la famiglia non nasce mai dal senso di aver ef fettuato un servizio. La consapevolezza, la responsabilità sociale non governata dal senso del dovere emerge quando i genitori e i figli si impegnano spontaneamente e non quando si sentono obbligati ad impegnarsi. BAMBINI TROPPO RESPONSABILI

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Spesso siamo così impegnati nel nostro ruolo educativo da dimenticare quanto i figli, fin dalla nascita, si sentano responsabili del benessere dei genitori. I bambini si sentono colpevoli quando i genitori hanno problemi personali o coniugali, li trattano male o li trascurano. La conclusione è che sono sempre loro in torto. Questi bambini maturano molto presto e le circostanze li portano a comportarsi come genitori dei loro genitori. Questo avviene anche nelle famiglie in cui i genitori sono incapaci di comunicarsi i loro problemi, ed in particolare quando finiscono per parlarne con i figli. Essi sviluppano un eccessivo senso di responsabilità. L’immaturità degli adulti o l’inconsistenza esistenziale attrae i figli che desiderano collaborare. Dal punto di vista dei genitori la relazione con i figli è semplice e soddisfacente, ma gli altri adulti che si rapportano con i bambini spesso identificano il problema. Spesso cercano in altri adulti l’attenzione che non hanno avuto dai genitori per compensazione. A volte i figli di genitori separati smettono di voler vivere con uno dei due genitori non perché gelosi di un nuovo/a compagno/a dell’adulto ma perché pensano che ora quel genitore abbia già qualcun altro che si prende cura di lui, e finalmente il figlio può proseguire con la propria vita. Fino a che punto i figli sono collaborativi! Più stretta è la vicinanza e più viene sentito come un privilegio ma anche un obbligo. Per capire se un figlio vive un carico di responsabilità troppo gravoso rispetto alle sue capacità di sopportazione, e quindi viene distrutta la sua integrità, bisogna fare attenzione ai seguenti segnali: considerazione eccessiva del genitore tendenza ad entrare in conflitto con gli altri tendenza a dimenticare i propri compiti e doveri o promesse frequenti mal di schiena, testa, stomaco o spalle comportamento introverso, malinconico, poco sociale Quando i bambini devono reprimersi per cinque, dieci o quindici anni della loro vita per dare priorità ai bisogni ed ai sentimenti dei genitori, il loro senso di responsabilità eccessiva diventa parte centrale della loro identità, l’unico modo che hanno appreso per essere di valore agli altri. E si sentono soli. Chiedergli di cambiare non può che urtare ulteriormente la sua autostima e impedire lo sviluppo della sua responsabilità sociale. La responsabilità personale e l’autostima sono l’esatto opposto dell’eccesso di responsabilità. INTERAZIONE Abbiamo sempre creduto che il contenuto di quello che diciamo sia la cosa più importante. Non è così. E’ il processo, il tipo di interazione ad essere il più importante. Il modo in cui noi adulti influenziamo l’interazione sfugge per di più al nostro controllo. Viene influenzato dalla nostra personalità, i nostri conflitti interiori, l’umore, i sentimenti che rimuoviamo, il nostro desiderio di fare ciò che è giusto, la paura di sbagliare, e molto altro. Questo è il potere che abbiamo sui figli.

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Bisogna sempre avere occhi e orecchie aperte per individuare gli inevitabili errori che facciamo per assumercene la piena responsabilità. Spesso, quando si mira ad un buon comportamento, i genitori mettono l’enfasi sui risultati raggiunti dai figli ma li dimenticano come esseri. Danno più importanza al come si comporta che non a quello che lui è. In questi casi l’utilizzo di un ideale controllato dall’esterno diventa improvvisamente pericoloso. Il figlio è lì, con i suoi bei voti, la sua obbedienza, la sua scarsa autostima, la sua mancanza di responsabilità personale, in cerca di una identità. Il pericolo è che se incontra qualche cattiva compagnia che assumerà potere su di lui allo stesso modo in cui ha sempre fatto con i genitori: se non sei come noi vogliamo, ossia come noi, sei fuori! Tre cose sono certe: Il loro comportamento distruttivo o autodistruttivo non ha origine da loro ma dagli adulti che li circondano Gli adulti non sono consci del loro comportamento in questi termini e per questo non possono essere biasimati Il comportamento distruttivo o autodistruttivo dei bambini si sviluppa in un certo numero di anni anche se i genitori identificano in un avvenimento recente l’inizio del fenomeno Non è possibile prepararsi ad esercitare il potere degli adulti perché sappiamo troppo poco di noi stessi e ogni figlio è differente. USO RESPONSABILE DEL POTERE In che modo possiamo fare un uso responsabile del potere? I conflitti cominciano ad insorgere quando la nostra responsabilità di genitori entra in competizione o prevarica quella dei figli. In genere avviene su argomenti come il cibo, il sonno, l’abbigliamento, i compiti, l’ora di alzarsi la mattina. C’è una “zona grigia” che riguarda l’ordine nella propria stanza, l’igiene personale, il tempo libero. Qui la responsabilità personale dei figli deve essere agevolata, discussa e negoziata. Esempio La mattina dobbiamo svegliarli? Molti genitori assumono una posizione contraddittoria: pensano che si debbano svegliare da soli, ma li svegliano loro. Così i figli collaborano diventando inetti e dipendenti. Devono arrivare tardi a scuola? Dipende. Se svegliate vostro figlio col sorriso, in buona pace, e lui si alza, allora sì. Se invece la cosa non funziona, allora è meglio smettere.

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Siete nel mezzo di un conflitto distruttivo, che si ripete regolarmente e durante il quale gli scambi che intercorrono tra le parti sono sempre più negativi: critiche, rimproveri, accuse, male parole, ironia e sarcasmo. Quando l’interazione prende un verso negativo significa sempre che i genitori hanno oltrepassato i propri limiti, hanno ceduto la loro responsabilità personale e si sono appropriati di quella dei figli. Il vero problema non è se devono alzarsi da soli per andare a scuola, perché probabilmente lasciandoli fare si sveglieranno tardi un paio di volte e magari butteranno la responsabilità addosso ai genitori, ma durerà poco. Ma è proprio in questa fase delicata che i genitori in genere fanno la cosa più irresponsabile: addossano la colpa ai figli. Come rimediare? Esempio: riunione di famiglia. “Ascoltate ragazzi, quando eravate piccoli ci piaceva svegliarvi. Ma ora pensiamo che non sia più necessario, anche perché per questo motivo bisticciamo ogni giorno. Quindi abbiamo deciso di lasciare a voi questa responsabilità. Se poi vi capiterà troppo spesso di andare a letto tardi e temete di non sentire la sveglia, basta che ce lo diciate e verremo ad aiutarvi. A parte questo d’ora in poi penserete voi ad alzarvi la mattina”. Quando la responsabilità torna a loro, con un discorso affettuoso e definitivo, dove nessuno è stato offeso o criticato, il risultato arriva ed i genitori hanno dato un ottimo esempio. Il processo diventa da distruttivo a costruttivo, i cui effetti saranno di gran lunga più importanti dell’arrivare in orario a scuola. Stressa cosa dicasi per l’ora di andare a dormire. Se ritengono di doverlo stabilire loro devono sapere che qualora la cosa provochi litigi devono essere i soli ad assumersene la responsabilità; per la salute emotiva e psicologica dei figli è di gran lunga più dannoso il conflitto che qualche ora di sonno perso. Il processo è più importante del contenuto. Ci sono poi i conflitti ordinari, che consistono semplicemente nel volere cose differenti. Se un figlio inizia in modo difensivo, ad esempio “Ma perché devo sempre andare a letto così presto??” la risposta deve essere “perché così vogliamo noi” (assumersi la responsabilità) oppure negoziare. Ma quello che i genitori NON devono dire sono frasi del tipo: “Perché sei stanco, devi dormire ed alzarti presto” Questo è monopolizzare i suoi sentimenti e i suoi bisogni. Se un figlio dice di non avere sonno, anche se ne ha bisogno, il genitore non deve dire qualcosa che faccia capire che il figlio non lo sa, il genitore sì, ma deve dire ad esempio: “capisco che vuoi restare alzato, ma voglio lo stesso che tu vada a letto”. Compiti a casa Il risponditore automatico, in genere dopo tre o quattro anni dall’inizio della scuola, entra in azione, in concomitanza con la perdita di interesse verso i compiti dei figli. “Hai avuto una buona giornata?” “Hai da fare compiti per domani? Ma sei sicuro?” L’interesse è stato sostituito dal controllo come si capisce dal tono di voce, dall’espressione e dal linguaggio del corpo dei genitori; il processo si è trasformato da calore a freddezza, da ricerca di contatto a distanza. Il controllo genera irresponsabilità e la distanza incoraggia l’indifferenza.

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Se il bambino è contento di andare a scuola forse non cambierà niente, altrimenti fare i compiti diventerà fonte di conflitto. Sfortunatamente pare che la società abbia deciso che i genitori diventino un’estensione degli insegnanti, mentre i compiti dovrebbero essere una questione tra ragazzi ed insegnanti. Qui si tratta di applicare gli stessi principi validi per l’alzarsi da soli al mattino. Allora accadrà che il bambino recupera la sua responsabilità personale, i genitori cederanno il controllo. Il bambino non mentirà, dirà che ha una montagna di compiti ma prima vuole andare a giocare. Quando arriva quel giorno il problema è risolto perché ha imparato ad esprimersi senza dover mentire o imbrogliare per poter esprimere la propria volontà. Magari il genitore vorrebbe metterlo in guardia da una scelta simile, ma è invece il caso di essere felici! Di fronte ad una fonte di conflitti continui i genitori devono permettere ai figli di riprendersi la propria responsabilità personale invece di lasciarsi andare alla rassegnazione. I bambini, fino all’adolescenza, hanno bisogno di genitori che abbiano il coraggio di prendere il comando, ma le loro decisioni hanno una grande influenza sui ragazzi. Le reazioni spontanee dei ragazzi sono quanto di più vicino all’espressione reale del loro essere. Possiamo esercitare il nostro potere per dare o negare ciò di cui hanno necessità, ma se lo usiamo per decretare che le loro reazioni o sentimenti sono sbagliati commettiamo un abuso. Nessuno può crescere ed emanciparsi quando un adulto condanna le manifestazioni spontanee del loro essere, a maggior ragione perché i bambini credono che i loro genitori siano onnipotenti e perfetti. Impareranno che non è così, ma nel frattempo non c’è bisogno di umiliarli. Esempio Genitore irrispettoso: “ora smettila con questa scena o ti darò io il motivo per farla” Genitore rispettoso: “Adesso ascolta, non voglio vederti così. Mi dispiace, ma ho detto di no, non posso accettarlo.” Oppure: “Non avevo capito che fosse così grave per te. Vieni e spiegami come mai è così importante per te.” I LIMITI Gli adulti devono imparare a stabilire i propri limiti individuali e personali nell’interazione con i figli. Devono esercitare l’autorità personale, non il potere autoritario, esercitare lo sviluppo del proprio senso di responsabilità e usare il proprio linguaggio personale sia nella relazione con i figli che nel contesto delle relazioni d’amore con gli altri adulti. Devono essere ammessi anche i sentimenti negativi. Bisogna scrollarsi del ruolo autoritario e avere un ruolo personale.

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Bisogna chiedersi se nelle situazioni con i figli: E’ davvero ciò che si pensa Quello che si dice è in accordo con i propri atteggiamenti ed esperienza Dei commenti fatti, se ce ne sono dei superflui o dannosi, e quali ereditati dalla propria famiglia Quante volte li trattiamo come siamo stati trattati noi Quante cose dette o fatte non sono leali verso il partner Quali le cose dette solo perché “si fa così” Bisogna osservare i figli con attenzione, ascoltarli parlare della loro vita quotidiana e chiedersi: Quand’è che lo vedo felice/triste Quand’è che la schiena si irrigidisce per difesa Quando alza il mento per autodifesa Se quando piange è frustrazione o turbato Poi chiedersi Come appaio io? Come mi vedono gli altri? Come mi percepisco? Da dove prendo atteggiamenti e opinioni? STABILIRE LIMITI L’uso del linguaggio personale è di gran vantaggio (Voglio…) Quando le regole sono espresse personalmente piuttosto che come regole universali, hanno maggior significato per i figli e vengono rispettati sia i limiti e ancor di più le persone che li esprimono. Più si sentono rispettati più sono disposti a collaborare. Esempio “Voglio un po’ di pace. Non suonare adesso” “Ti leggerò la storia più tardi, ora voglio parlar con mamma” “Oggi la vasca serve a me” “Non voglio che tu faccia …” Le parole possono ferire, ma non le emozioni. Non c’è nulla di errato se un genitore esprime le proprie, anche negative. In questo modo impara che non può avere sempre quello che vuole, e che gli individui esistono nel contesto della famiglia. Anche gli altri hanno i loro bisogni individuali. Quando i genitori impongono dei limiti, difendono in primo luogo dei propri bisogni, e ciò può avvenire senza violare i diritti dei bambini. Stabilire limiti appropriati è caratterizzato da una prassi rispettosa.

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I figlio imparano il valore del rispetto umano non solo sotto forma di comandamento morale, ma etico. Non bisogna essere troppo duri nemmeno verso se stessi. Anche gli adulti sbagliano. Le violazioni sono dannose solo se comunicano la pretesa di non sbagliare mai e il biasimo verso gli altri. QUANDO I LIMITI NON FUNZIONANO Esempio Peter. 2 anni Il padre: “Peter, non devi giocare col martello, quante volte te lo devo dire?!?” (=Ma quanto sei stupido!) Oppure “Non giocare col martello. Quando imparerai ad ascoltare?” (=la tua voglia di conoscere il mondo è un segno di slealtà verso i tuoi genitori!) Oppure “Non devi giocare col martello, sei abbastanza grande da capirlo o no?!?” (=Sei un buono a nulla!) Di certo il bambino ha capito ma la sua attenzione è altrove. La situazione degenera in urli e/o schiaffo, al che il bambino incassa e poi si calma. I genitori si guardano in segno di approvazione ritenendo, dato il risultato, di aver fatto la cosa giusta. Cos’ha imparato il bambino? Non a rispettare i limiti ma ad aver paura della punizione, che non si può esprimere la propria sofferenza e crescerà con l’idea che il padre richiede rispetto ma non sente il bisogno di ricambiarlo. Tra loro si crea una disuguaglianza incommensurabile. In sostanza ha detto al figlio “devi rispettare i miei limiti, ma io non ho bisogno di rispettare i tuoi”. E si sa che i bambini seguono l’esempio, più che le parole. Ogni volta che il padre lo critica si sente sempre più in torto, e più i bambini si sentono in torto più per loro è difficile fare qualcosa di giusto. Il padre potrebbe semplicemente dire: “Non voglio che giochi col martello”. Magari il bambino piangerà ugualmente, ma la sua integrità non sarà danneggiata. I bambini di sei-sette anni che violano in continuazione i limiti degli adulti lo fanno perché durante i loro primi anni di vita i limiti decretati hanno violato il loro senso di integrità. I genitori continuano a ripetere “sapessi quante volte gliel’ho detto!, non serve a niente” dimenticano di aver creato loro il problema.

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Quelli meno autoritari hanno anche loro i propri problemi, perché sono talmente cauti nelle loro richieste che assegnano al figlio la responsabilità di fissare dei limiti. “Mamma vorrebbe parlare al telefono” “Alla mamma dispiace quando fai così” Il tono è amichevole, arrabbiato o supplichevole, ma l’intenzione è la stessa: evitare di suonare autoritario. Il risultato però è che si dà al figlio la responsabilità di stabilire limiti personali e il benessere dei genitori. Nessun bambino può essere all’altezza di un simile compito e spesso diventa caotico ed iperattivo. Le frasi dette in modo democratico sono passive, mancano di una dimensione attiva. Ad esempio: “Voglio che tu faccia silenzio quando sono al telefono” “non voglio che butti il cibo fuori dal piatto” Quando usiamo frasi passive descriviamo noi stessi ed i nostri sentimenti. Quando usiamo frasi attive ci assumiamo delle responsabilità per noi ed il nostro benessere. Se un genitore è passivo, l’altro per equilibrare diventa più attivo. Alcuni trovano difficile cambiare il loro modo di comunicare perché per anni hanno represso i loro sentimenti e pensieri, quindi ciò rende difficile la comunicazione non solo con i propri figli ma con tutti. Non esiste un sistema giusto per educare i figli, esiste capire chi siete voi e chi sono loro. I genitori hanno bisogno di imparare ad essere il più possibile onesti con se stessi e diretti e personali nelle loro espressioni. Il bambino, l’adulto e la relazione tra loro. Se una di queste soffre, soffrono tutte. Non hanno problemi se la mamma consente di guardare la tv a cena e il papà no. I problemi sorgono quando i limiti vengono trasformati in leggi e regolamenti impersonali. Quando ciò accade, i bambini vanno in confusione, perché cercano di riferirsi alle regole, mentre è più facile riferirsi alle persone. LIMITI SOCIALI I limiti sociali sono quelli che riguardano il comportamento fuori dalla famiglia. I problemi sorgono quando i bambini o ragazzi chiedono il permesso per fare qualcosa. In genere il dictat del genitore è legge, danno il permesso o lo negano, dando una risposta immediata e frettolosa. I genitori devono esercitare il potere, ma nel rispetto dell’autostima e della responsabilità personale del ragazzo. Significa che la famiglia deve negoziare e discutere le richieste prima di prendere una decisione. Anziché dire “no, non puoi”, dall’età di 5 – 6 anni i genitori dovrebbero evitare di prendere decisioni immediate e definitive e chiedere “tu cosa ne pensi?”

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In questo modo i figli imparerebbero ad esaminare le cose un po’ più a fondo, a guardare più in là dell’entusiasmo iniziale e del desiderio immediato che li ha spinti a chiedere il permesso. La loro autostima e responsabilità personale ne trarrebbero beneficio e ne seguirebbe un dialogo in cui entrambe le parti potrebbero mantenere la loro dignità. Quando i figli sono nel mondo esterno i genitori hanno poca influenza su quello che succede e tendono ad essere più ansiosi. Per qualsiasi fattore, in particolare le amicizie, la scelta finale spetta a loro. Gli adulti spesso non danno sufficiente importanza alle amicizie, così come al significato dell’amore per i giovani. Tendiamo a dimenticare l’importanza del migliore amico o del primo amore. Le relazioni sentimentali al di fuori della famiglia danno ai figli una esperienza di importanza capitale per imparare a fidarsi e a rapportarsi agli altri. Facciamo un cattivo servizio ai figli se cerchiamo di consolarli superficialmente quando qualcosa va male in questi rapporti, o finiscono. L’amicizia spesso ha una importanza decisiva su scelte come le attività da svolgere nel tempo libero. Talvolta i genitori deplorano questa influenza, si preoccupano che i figli non siano sufficientemente indipendenti. Ma non è questo, è espressione del fatto che l’amicizia e i contatti personali sono più importanti dell’attività stessa o del risultato, cose su cui gli adulti si concentrano spesso erroneamente. I genitori non devono accettare discorsi del tipo “lo fanno tutti” o “agli altri è permesso”, eppure da quando le convinzioni tradizionali dimostrano le loro carenze, si è portati a paragonare i propri atteggiamenti a quelli degli altri genitori della stessa comunità. Affidarsi ai valori altrui è un rischio. E’ meglio stabilire una politica attraverso il dialogo con i propri figli piuttosto che fidarsi di quello che dicono o pensano o fanno gli altri. Se questa tradizione di dialogo e negoziazione nell’infanzia non c’è stata, sarà più difficile il confronto con i figli per i genitori che tentano ora di instaurarla, figli che eserciteranno pressioni che finiranno per guastare l’autorispetto di tutti. Quando si comportano in questo modo, vuol dire che i genitori hanno emanato le loro leggi troppo in fretta. La soluzione non è arrendersi quando i figli scatenano l’offensiva, bensì addestrare la famiglia la negoziato. Spesso i ragazzi lo fanno in modo più sano degli stessi genitori. Necessità/desiderio -> soddisfazione -> conclusione e bilancio Necessità/desiderio -> lotta/discussione/dialogo ->sconfitta/rammarico -> conclusione/bilancio Con questo schema il figlio esprime un desiderio che porta ad uno scontro, nel quale il figlio non ottiene soddisfazione e dopo un certo periodo di “rammarico” (pianto, muso, sbattere la porta) riprende il suo equilibrio. Spesso molti genitori trovano questo immaturo o sleale o ineducato, ma non lo è.

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Devono capire che le proteste di un ragazzo non sono dirette al genitore ma dentro di sé, sono espressioni di sentimenti personali, non un dispetto verso il genitore. Non bisogna interrompere un ragazzo quando sta lottando o soffrendo, non bisogna prendere le sue reazioni come un offesa personale facendolo così sentire in torto o arrendersi per stanchezza. La frustrazione e lo sconforto dei figli non vuol dire che siamo cattivi genitori, e nemmeno sintomi di mancanza di lealtà verso di noi. Sono solo la dichiarazione della loro volontà e del desiderio di vivere armoniosamente con noie della fiducia nei nostri confronti, pensano che vogliamo stare con loro anche quando sono turbati emotivamente. Per meritare tale fiducia dobbiamo soltanto offrire la nostra comprensione in silenzio, in cambio avremo conflitti di minor entità. Lo stesso si può ottenere con l’autorità ma il prezzo (caro) lo pagano i figli in termini di autostima e sofferenza emotiva. A partire dagli 11 – 12 anni i figli hanno meno desiderio e bisogno di stare con i genitori. La necessità di contatto diminuisce, mentre diventano più importanti i bisogni sociali, il contatto con i coetanei e gli altri adulti. Questo sfida norme saldamente consolidate. Può cenare da un amico? A che ora deve rientrare? Deve passare il fine settimana con la famiglia? E’ la prima possibilità per i figli di esercitare la propria responsabilità personale, e per i genitori la prima possibilità di avere un riscontro sul loro successo nell’educazione dei figli. Quando i genitori insistono nel voler esercitare un controllo sulla vita dei figli, questi sono spinti a crearsi una “doppia vita”. L’autore stesso confessa di aver dovuto imparare a mentire, nascondere la verità, essere irresponsabile, con la sofferenza di doverlo fare e farlo malvolentieri. Se ne vergognava e ciò ha compromesso il rapporto con i genitori, è entrato a far parte della vita quotidiana nella personalità ed ha interferito con i tentativi di essere partner e genitore responsabile. Oggi i ragazzi sono più responsabili nel loro rapporto con i genitori e meno preparati a tollerare falsità e abusi di potere. Oggi i genitori sanno che se dicono “Non sei autorizzato a farlo” il figlio potrà replicare “Ho il diritto di farlo” trovandosi così bloccati in un conflitto di potere. La negoziazione evita i conflitti quando entrambe le parti considerano importanti e con serietà i bisogni e i limiti altrui, quindi l’importante è mantenere il rispetto in famiglia. Per creare una famiglia dove tutti i membri possano crescere e svilupparsi bene e armoniosamente, è necessario focalizzarsi sul dialogo e non sul permesso o meno. LE FAMIGLIE CON FIGLI ADOLESCENTI L’adolescenza è una fase dello sviluppo durante la quale i ragazzi hanno la seconda opportunità di sapere chi sono e di diventare se stessi (la prima è intorno ai due anni di vita). Ma questa opportunità non viene data a tutti, nelle generazioni del passato l’adolescenza era il periodo in cui i figli venivano formati secondo i desideri dei genitori. Molti riuscivano a soddisfare

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le vedute e le aspettative dei genitori, altri vivevano con un sentimento di vuoto interiore e delusione. La vita non premia mai la capacità di adattamento. Alcuni sono stati più fortunati perché hanno resistito alle pressioni esterne. Il loro istinto di sopravvivenza ha trionfato sui desideri conformisti della famiglia, anche se la frattura è un caro prezzo da pagare. L’idea che l’adolescenza sia di per se causa di conflitto è una falsità. I conflitti nascono perché i genitori non vogliono o non sanno confrontarsi con la persona unica e indipendente che sta diventando il figlio. Invece di riconoscere come sana la spinta verso l’individualità, i genitori attribuiscono i conflitti al figlio. Quanto più i genitori non imparano a considerare il figlio come una persona indipendente e diversa da loro (e ad accettarlo) tanto più il conflitto sarà forte e distruttivo. I conflitti iniziano quando due o più persone vogliono cose diverse. I genitori sono sempre e comunque gli unici responsabili della qualità delle interazioni in famiglia, di conseguenza anche del modo in cui i conflitti nascono e si sviluppano. Gli adolescenti tentano di comportarsi da adulti e si aspettano di essere trattati come tali. Ma non lo sono, nel senso che non possono assumersi la responsabilità per la qualità dell’interazione. Si raccoglie ciò che si è seminato, e genitori pieni di buone intenzioni si trovano di fronte un estraneo. Intorno ai 13 – 14 anni i ragazzi iniziano a dare riscontro chiaro e competente di come ritengono di essere stati trattati fino a quel momento. I genitori che interpretano il messaggio come estremamente positivo o estremamente negativo sono erroneamente illusi che tutto ruoti intorno a loro, non ascoltano i figli e hanno semplificato e travisato. A quell’età i figli hanno bisogno di separarsi dai genitori e rendersi liberi. Quelli che non ci riescono non diventano adulti indipendenti, integrati nella società, responsabili e dotati di senso critico. Quando i ragazzi iniziano a separarsi dai genitori (e dai loro desideri) non lo fanno contro di loro, lo fanno per se stessi, che è poi quello che tutti i genitori, almeno a parole, dicono di volere. Vogliono fare i genitori di se stessi. E’ la naturale continuazione di ciò che abbiamo costruito. Se c’è il rispetto e la negoziazione, si creeranno le basi per un relazione di stima e fiducia. Questa relazione non sarà basata su ruoli stereotipati ma su un rapporto di amicizia e collaborazione nel quale ognuno potrà godere di uguale dignità. Vediamo come liberarci dei nostri ruoli in modo meno doloroso e più significativo. TROPPO TARDI PER TIRAR SU DEI BAMBINI Anche i migliori genitori crescono i figli esercitando un controllo, dando regole e dimostrando la loro (presunta) maggiore conoscenza. Questo va bene finché sono piccoli, poi viene vissuta come una interferenza. La loro indipendenza viene negata, si sentono criticati e poco stimati ed in realtà lo sono.

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E’ troppo tardi per tirare su dei figli. E’ durante i primi 3-4 anni di vita che i figli ricevono dai genitori gli strumenti fondamentali. Il contributo dei genitori è ancora importante per i successivi sette o otto anni, ma raggiunta l’adolescenza la fonte di ispirazione diventano i loro pari, altri adulti e la loro vita interiore. Più tempo impieghiamo a capirlo, più loro alzano la voce (e c’è da preoccuparsi se non lo fanno). Ci spiegano per il bene di tutti che è ora di ritirarci dalla linea del fronte e di usare per noi stessi il tempo e l’energia che ci avanza. Se i genitori insistono nel voler tirare su figli adolescenti trasmettono un messaggio che nessuno di loro (e di noi) desidera sentire: So io quello che ci vuole per te -> i ragazzi sono impegnati a scoprire chi sono, la pretesa dei genitori di sapere le risposte è provocatorio e privo di significato Non sono contento di come sei -> E’ insopportabile per un adolescente una frase del genere, perché non sanno ancora chi sono e non sono sicuri di quanto si piacciono come sono A questo punto la cosa migliore che un genitore può fare per se stesso e i figli è farsi da parte e godersi il risultato del lavoro degli anni precedenti, e se non è soddisfatto deve cercare di goderselo lo stesso. Per il resto della loro vita quello di cui hanno bisogno i figli è di avere dei genitori che appoggino di tutto cuore i loro tentativi di scoprire chi sono e i loro sforzi di essere onesti con se stessi. Invece la maggior parte dei genitori, davanti a ciò che non piace dei figli, si rimette in cattedra e spera di correggerne i tratti che non piacciono, ma non è possibile, non per i genitori. Questi genitori non lo fanno per convinzione ma perché non sanno che altro fare con i loro sentimenti di amore e responsabilità. Solo l’idea di non fare niente e godersi i figli li farebbe sentire irresponsabili. Credono di essere un valore per i figli sol quando entrano in azione, e dimenticano che è proprio questo che impedisce ai figli di crescere, e di essere una parte valida nella loro vita. Ad alimentare i conflitti non è tanto quello che diciamo ma come lo diciamo. E’ un tono diverso da quello che usiamo con gli altri adulti, ma non dovrebbe esserlo. E’ un tono che comunica superiorità, condiscendenza, intrusione. Nel migliore dei casi è amichevole e coinvolgente, nel peggiore è critico e offensivo. Come se dicesse “non sei ancora diventato come me”. Oggi anche se questo messaggio non è condiviso dai genitori, il linguaggio che usano contiene proprio questo messaggio. Questo linguaggio è sgradevole perché non rispetta l’individualità dei ragazzi. Se doveste parlare con un collega, un amico, che linguaggio usereste? Non certo lo stesso. Quel linguaggio è quello che vi consentirà di parlare in modo più costruttivo con vostro figlio. I genitori devono entrare in un dialogo tra uguali con i figli e non dispensare il loro sapere. Esempio

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Una ragazza di 14 anni presenta il fidanzato alla madre e le chiede “Non è adorabile?” Una madre può rispondere “Non vedi che non è adatto a te!” Una madre che tratta la figlia con uguale dignità risponderebbe “Non è il mio ideale per te, ma mi piace vederti così felice” I genitori devono essere disponibili verso i figli adolescenti senza sforzarsi di essere accondiscendenti. Una madre, nella stessa situazione potrebbe dire “Io ho la mia opinione in proposito, la vuoi sentire?” “Questa è una cosa nella quale credo di dover intervenire, vuoi sentire il mio punto di vista?” “Sono preoccupata per quello che ti sta succedendo e vorrei parlartene. Possiamo farlo adesso?” Sono espressioni di rispetto verso la sovranità di un'altra persona. IL SENSO DI PERDITA DEI GENITORI Quando i figli reclamano la loro libertà, i genitori provano un senso di vuoto. Il ruolo vitale avuto nella vita dei figli è finito. Hanno perso la vicinanza, il potere, il controllo, la confidenza. Ma è necessaria, e molti l’hanno dimenticato. Esempio Figlia di 16 anni che vuole andare ad una festa , chiede il permesso specificando che alla sua amica è già stato dato. Dopo aver chiesto chi c’è, dove si svolge, l’orario, che genere di festa sia, siccome ad alcune domande la figlia non sa rispondere la madre dice “Dovresti saperne un po’ di più, come facciamo a fidarci di te se non sai come stanno le cose?” E’ un dialogo classico. Il messaggio è “non ci fidiamo di te e ti consideriamo incapace di assumerti le tue responsabilità, non abbiamo finito con la tua educazione, ma un giorno lo apprezzerai”. Se la ragazza non sarà remissiva e si dimostrerà creativa, presto imparerà a dare ai genitori le risposte che vogliono sentirsi dire e smetterà di raccontare qualunque cosa della sua vita o vagamente somigliante alla verità. Poi i genitori scopriranno che effettivamente non ci si può fidare di lei e il circolo vizioso continuerà il suo giro. Approccio alternativo: “Hai voglia di andarci?” “Si, credo sia divertente” “Noi non abbiamo programmi per il week end. Se ti fa piacere andarci non abbiamo niente in contrario, se preferisci ti portiamo noi o passiamo a prenderti, facci sapere così ci regoliamo”

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oppure “Avevamo pensato di andare tutti insieme dallo zio e ci piacerebbe venissi anche tu, cosa ne pensi?” “Preferirei andare alla festa, perché, c’è qualcosa di importante?” “No, niente di particolare. Pensaci e facci sapere cosa decidi. Se vai alla festa ci piacerebbe sapere con chi vai, come pensi di andarci e tornare o da chi dormirai” oppure “Sai che non sono entusiasta di quella tua amica e dei suoi amici, perciò penso che non dovresti andarci” “Non so cos’hai contro di lei, è sempre carina con me” “Forse non la conosco abbastanza, però non mi piace l’idea che tu vada alla festa con lei. Non devi fare quello che dico io ma questo è quello che penso” Oppure “Guarda, te lo dico subito, non ci vai” Quando gli adolescenti chiedono il permesso di fare qualcosa è importante che i genitori non sottolineino la loro funzione di legislatori ma esprimere le loro opinioni senza riserve e ricatti. La base per questo tipo di interazione dovrebbe essere già stata gettata molti anni prima, nei primi anni di vita. Una affermazione forte obbliga il ragazzo a riflettere. Il suo significato effettivo è: “adesso tu hai capito bene quello che pensiamo e sono certo che lo terrai in considerazione prima di fare la tua scelta”. Se manca questo messaggio implicito e non verbale i ragazzi rifiutano il consiglio o si ribellano. La stessa etica andrebbe applicata nelle relazioni tra adulti e tra gli stessi genitori. Nel caso dell’esempio la funzione dei genitori è di retroguardia o rete di sicurezza. Se alla mattina seguente la madre dice “Mi sembri giù di morale. La festa non è andata bene? Hai voglia di parlarne?” La risposta può essere no. Significa che la madre ha toccato un tasto limite della sua vita privata e non deve aggiungere oltre. In questo caso entrambe le parti dovranno riconquistare separatamente il proprio equilibrio emotivo. Se la figlia risponde “si”, potrebbe esprimere il suo bisogno di ascoltare la prospettiva e l’esperienza di un adulto in una situazione del genere. Ma certamente ha bisogno di essere ascoltata e che i genitori le rispondano con un commento personale che non sia “te l’avevo detto”. Solo le stesse parole della figlia, in un contesto di rispetto, possono ridarle l’equilibrio perduto e permetterle di rielaborare la sua spiacevole esperienza. I genitori in retroguardia hanno ancora una funzione importante. Tutti abbiamo bisogno di testimoni affezionati e interessati alla nostra vita, pronti a mostrare la loro preoccupazione quando ne abbiamo bisogno e non quando loro hanno bisogno di sentirsi utili. LA RELAZIONE TRA I GENITORI

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Quando i figli diventano adolescenti il loro rapporto e le loro vite individuali si liberano e tornano al centro della scena, mentre il loro equilibrio di coppia e di genitori vengono rimessi a punto. Curiosamente la loro vita assomiglia a quella dei figli nello stesso momento: Passano attraverso una fase critica focalizzata sull’identità e sul significato dell’esistenza Attraversano un processo di liberazione dal loro ruolo precedente Devono ridefinire se stessi come individui in modo che anche gli altri vi si riadattino Mentre i figli diventano adulti, i genitori hanno l’opportunità di maturare. CHI DECIDE? I genitori hanno sempre la responsabilità fondamentale di creare l’atmosfera della famiglia, ossia la qualità dell’interazione, questo compito non si può declinare nemmeno al figlio adolescente. Si possono invece delegare mansioni pratiche. Bisogna tenere conto che: Se ci si aspetta che i figli decidano per conto loro quali fare potranno succedere due cose. O sceglieranno di fare troppo poco ed i genitori si sentiranno frustrati, o faranno troppo non capendo bene cosa ci si aspetti da loro Nelle famiglie che considerano questo un dovere morale creeranno un atmosfera spiacevole. Quando il messaggio è “tu dovresti” invece di “io voglio” blocca la naturale tendenza ad interessarci l’uno dell’altro, delle cose di cui abbiamo bisogno o desideriamo, si ispira un senso di ripicca e di colpa Quando i mestieri diventano un obbligo militare diventa difficile evitare i conflitti Chi si aspetta che i figli eseguano i lavori come forma di risarcimento per l’affetto prodigato loro si induce nei ragazzi un senso di colpa e insoddisfazione permanente. L’affetto non può essere ricambiato col servizio, non sono monete convertibili. Quando i figli non collaborano in questo senso, probabilmente i genitori non hanno mai preso sul serio ne se stessi ne i figli. Dopo aver chiesto cinque o sei volte di riordinare la stanza, hanno finito per farlo loro. Quando i figli non collaborano in questo senso, spesso è perché sono stati educati ad avere troppa responsabilità. Spesso hanno assistito per anni ad un disabile o un malato, hanno passato anni di devozione fisica ed emotiva verso un familiare, ma li si rimprovera per aver lavato male i piatti. Esempio “Ne abbiamo parlato tra noi e abbiamo deciso che potresti portare via la spazzatura. Cosa ne pensi?” “Perché devo farlo io?”

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“Perché è così che vogliamo. Se non è la spazzatura sarà qualcos’altro, ma vogliamo che tu contribuisca con un aiuto pratico alla famiglia” “Non è ragionevole, con tutto quello che ho da fare!” “Pensa a cosa ritieni ragionevole e facci sapere cosa pensi che potresti fare” E’ di vitale importanza che genitori e figli si assumano la loro responsabilità durante i negoziati. I genitori devono eliminare frasi del tipo “Se ti sembra irragionevole rivedremo la paghetta” “Non mi sembra poi di chiedere tanto” “Alla tua età non è strano/alla tua età facevo ben di più” “Se penso a quello che ci costa” Come assegnarli dunque? Chiedendo ai figli cosa preferiscono fare. In questo tipo di negoziazione è decisamente più importante il modo in cui si svolge il processo decisionale di quanto no siano le decisioni raggiunte. E’ importante che entrambe le parti prendano la cosa con serietà, dedicando tempo e un luogo per arrivare ad una conclusione, piuttosto che una decisione frettolosa presa in piedi mentre si sta facendo altro. Appellarsi al senso del dovere mina gradualmente ed inevitabilmente la relazione con i figli, ma il grado di logoramento non viene alla luce fino a quando i figli non lasciano la casa. Se i ragazzi non collaborano, spesso è perché ci si aspetta troppa collaborazione da loro, o ne hanno data troppo in passato (anche non necessariamente per lo stesso argomento). Il rifiuto del ragazzo segnala che il suo senso di responsabilità personale e sociale è seriamente e pericolosamente fuori equilibrio. Se la sua integrità non fosse stata minacciata non avrebbe motivo di reagire in questo modo. Per ripristinare la sua responsabilità sociale ha bisogno di riguadagnare la sua responsabilità personale, condizione preliminare per lo sviluppo di un reale senso di responsabilità sociale. Per molti adulti questo è altamente provocatorio pur nella sua semplicità. QUANDO IL SUCCESSO E’ ALLE PORTE Alcuni ragazzi sembrano procedere bene ma poi prendono una strada dalla quale i genitori li avevano messi in guardia. Sviluppi di questo tipo vengono interpretati dai genitori come una conferma dei loro timori ed intensificano il loro ruolo di educatori. Questi tentativi servono solo a peggiorare le cose. Bisogna fare tre cose: Condividere il loro senso di colpa e rimprovero con altre persone che NON siano i figli in modo da sfogarsi e concentrarsi sulla loro responsabilità e sul futuro Essere diretti e personali quando parlano col figlio. Devono essere responsabili dei loro sentimenti e reazioni. Il comportamento autodistruttivo dei ragazzi non è diretto verso i genitori ma verso se stesso. Assumersi la responsabilità di chiedere aiuto, TUTTA la famiglia. Ognuno è partecipe e condivide la responsabilità.

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Dobbiamo accettare il fatto che qualcosa nel nostro rapporto con lui lo ha reso vulnerabile. Qualcosa che gli abbiamo dato o abbiamo trascurato di dargli ha reso impossibile lo sviluppo della sua autostima e responsabilità personale, anche se lo abbiamo fatto in buona fede lo abbiamo danneggiato, quindi dobbiamo riconoscere la nostra parte di responsabilità. I processi distruttivi presenti in famiglia vanno sostituiti con processi costruttivi. Nessun genitore può afferrare o percepire oggettivamente il processo interattivo nella propria famiglia, serve un aiuto esterno per rendersi conto del processo distruttivo che esiste o è esistito. Nonostante la loro superficie ruvida gli adolescenti sono fragili e vulnerabili come farfalle al sole, ma animati dalle migliori intenzioni. Quando la mutazione è quasi completa alcuni di loro iniziano ad avere comportamenti distruttivi o autodistruttivi. Se i genitori lo fanno sentire colpevole interrompono il suo percorso comportamentale e sarà impossibile fermarne l’autodistruzione. Se i genitori sono disposti ad assumersi parte attiva e personale di responsabilità i figli adolescenti possono iniziare lentamente a ricostruire la propria autostima e si tratteranno in modo migliore. GENITORI DIFFERENTI Anche in caso di conflitti e divergenze di opinione tra i genitori deve esserci un linguaggio diretto e personale. Esempio errato “Non mi sembra giusto che la piccola debba sempre piangere quando la cambi tu. Preferisco farlo io. Perché sei così duro con lei?” “Non faccio le cose come te ma questo è il mio modo di fare ok?” “Ok” Esempio corretto “Mi angoscia che la bimba pianga quando la cambi tu. Ne possiamo parlare?” “Certo, ho fatto qualcosa di male?” “No, ma mi piacerebbe aiutarti affinché ciò non accadesse. Tu cosa ne pensi?” “Non vedo il problema, certo preferirei ridesse, ma non so cosa farci” “Vuoi che ti dia qualche suggerimento?” “Veramente no. Proverò a farlo in un altro modo ma a modo mio” E’ corretto ascoltarsi a vicenda e considerare i propri limiti. Ma è sbagliato cercare di convincersi a vicenda. Il benessere della famiglia, l’atmosfera è più importante.

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Spesso pensiamo di risolvere più rapidamente i conflitti arrivando in fretta ad una conclusione ma non è così, l’interazione è sempre la cosa più importante. La pressione necessaria per raggiungere un risultato spesso ferma lo sviluppo personale. E’ probabile che per un po’ la bambina ancora pianga quando la cambia il padre, ma è meglio che impari a convivere con i suoi sentimenti piuttosto che essere usata dai genitori come arma per risolvere un loro conflitto di potere. Quando per risolvere in fretta un problema tendiamo a usare un tono e forma del commento privo di sensibilità tende ad essere offensivo, così il problema raddoppia e le affermazioni perdono di credibilità. Se non si conciliano le esigenze, tutte le relazioni ne saranno danneggiate. Paradossalmente spesso ci si rivolge al partner allo stesso modo in cui hanno fatto con noi i genitori quando ci rimproveravano. Tutto il nostro essere ricorda la sofferenza, ma inizieremo anche noi a trattare gli altri allo stesso modo. Agiamo distruttivamente pur animati da buone intenzioni. Quando i genitori formano una famiglia è responsabilità loro quella di “elevarsi” rispetto al passato. Devono cercare di lasciarsi alle spalle le azioni e gli atteggiamenti inutili se non dannosi originati dall’amore per i propri genitori. LA LEADERSHIP CONDIVISA La leadership condivisa parte dal presupposto che sia i genitori che i figli abbiano necessità e limiti diversi, non basati sul consenso dei genitori riguardo limiti e regole ma sul principio che ogni individuo deve essere considerato con serietà. LA FUNZIONE DEI GENITORI Quando si diventa genitori spesso la coppia passa in secondo piano e l’inconsistenza della coppia danneggia anche i figli. C’è un aspetto della relazione che è particolarmente importante per la relazione stessa ma anche per la possibilità che offre ai genitori di discutere e risolvere i conflitti che riguardano i figli: i partner devono discutere insieme come uomo e donna, amici e complici, persone con la loro specifica identità. Se a una donna non piace come il suo uomo aiuta il figlio a fare i compiti è importante che gli si rivolga come amica e partner, non come madre. Se una moglie è preoccupata per quel che fa la figlia adolescente fuori casa è importante che il marito l’ascolti come marito e non come padre di sua figlia. Il ruolo di genitori è adatto con i figli e per l’interazione con i figli. Per quanto riguarda l’interazione tra adulti è importante che rappresentino se stessi e non il loro ruolo. Solo così si tiene viva la coppia e paradossalmente ci si evolve come genitori e come esseri umani. Dobbiamo parlare non dei nostri figli ma di noi e dei nostri sentimenti. Altrimenti parliamo di quello che fanno o non fanno i figli. E’ errata la convinzione di poter crescere come coppia e persone solo attraverso attività slegate dalla famiglia o solo all’interno della famiglia vedendo ogni esperienza fuori dalla famiglia come una minaccia. L’unica minaccia nella coppia è la mancanza di consapevolezza delle mille possibilità di darsi ispirazione. Vi sono ben poche cose che hanno un impatto così positivo nella vita individuale quanto un rapporto d’amore dove ci si impegna e ci si ispira reciprocamente.

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RECIPROCITA’ SIGNIFICA RISPETTO Gli esseri umani provano meraviglia e senso di protezione, venerazione e responsabilità davanti ad una nuova creatura. La vogliono proteggere ed amare. Ma l’impulso è reciproco. Anche i figli lo vivono in relazione a noi. Ci permettono di sentirci un valore in virtù della loro esistenza. Questo permette a loro di sentirsi un valore per noi. Tutto questo è possibile se impariamo a tenere per noi il nostro egoismo e riconoscere le competenze innate e personali dei figli come un dono e non come un dispetto, un dono che loro non sanno di offrire finché noi non lo accettiamo. Altrimenti cresceranno nella convinzione di non avere altro valore al di fuori del successo sociale o dei buoni voti a scuola. Questo è doloroso e non li aiuta a diventare membri produttivi della società. Abbiamo sempre pensato che la via giusta fosse dare di più: più amore, più tempo, più attenzione, più educazione, più regole, più restrizioni, più controllo. Perché tendiamo a fare quello che fanno gli altri. E perché quando sentiamo di non essere un valore nelle relazioni con gli altri abbiamo reazioni aggressive. Mettiamo in dubbio il loro valore per noi e li rimproveriamo perché sentiamo noi stessi di non aver valore a sufficienza. Quando qualcosa non va, ce la prendiamo con gli altri. Il solo caso in cui non lo facciamo è quando rivolgiamo la nostra rabbia verso di noi. Anneghiamo nel senso di colpa e depressione. Dobbiamo imparare dai nostri figli, ascoltarli e diventare per loro quel valore che vorremmo essere.

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