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IL “SACRO” DELL’ARTELETTERA AGLI ARTISTI

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MARIO DONIZETTI

IL “SACRO” DELL’ARTE

LETTERA AGLI ARTISTI

CORPONOVE EDITRICE

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IL “SACRO” DELL’ARTELETTERA AGLI ARTISTI

SignoriDopo un secolo di cosiddetta arte sperimen-

tale di ispirazione iconoclasta, è in atto una im-portante evoluzione artistica: quella del recu-pero del figurativo.

Oggi ci si domanda* quale fonte abbia così alungo alimentato la forza del mercato e perchémai il costume ignori ancora gli artisti votati al“sacro”. Ignori gli artisti affascinati da valoriche non possono essere ignorati perché sonofondamento vitale dell’esistenza di tutti e, perquesto, sono sacri.

Il costume, ignorando gli artisti etici, pro-muove di fatto il nichilismo dissacrante.

* Vittorio Sgarbi - Lettera ai Vescovi - “IL GIORNALE”, 25 giugno 2011* Jean Clair - “L’Hiver de la Culture” - Flammarion 2011

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Gli artisti del “sacro” sono contro l’egoismoprofano che degrada la creatività al gusto per-sonale. Ritengono regressiva ogni opera chenon promuova il bene comune.

Oggi, dopo duemila anni di cristianesimo, il“sacro” è concepito come lo spirito del bene co-mune: ente tangibile. Per i credenti è l’esitodello spirito dell’amore per il prossimo. Per inon credenti è l’esito della volontà etica mossadall’amore per il prossimo. Per questo penso sipossa definire spirituale un bene etico e defini-re etico un bene spirituale, mi sembra non ci siadifferenza pratica fra un bene spirituale e unbene etico.

Gli etici non credenti, inoltre, ritenendo “sa-cri” anche enti non religiosi - per esempio lagiustizia sociale da realizzarsi mediante leggilaiche - possiedono del “sacro”, dopo che il cri-stianesimo ne ha definito la sostanza, una con-cezione più estesa.

E allora, il costume che si oppone alle operedell’uomo etico si oppone al “sacro” e allo “spi-rituale”.

Credo necessaria l’esistenza di Dio come ra-gione dell’esistenza del mondo, ma può essere

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pericoloso per la fede ciò che gli si attribuisceper analogia da parte dei teologi, ad esempio lapotenza umana che per analogia diventa onni-potenza di Dio. Ritengo che Dio non possa esse-re né potente né onnipotente né senza potenza.Le analogie possono anche nascondere Dio aduno spirito distratto e possono non rivelare il“sacro”. Le analogie - si dice - con superficialitàcorrono il pericolo di ridurre Dio a idolo ed èper questo che non si è mai spenta la disputadocetica secondo la quale l’incarnazione di Dioera impossibile.

È anche per questo che la rappresentazionefigurativa è ignorata dalla moderna critica. In-fatti, secondo la teorica di Hegel, padre delmondo moderno, la forma del corpo non è“adeguata” agli interessi dello spirito. Lo spiri-to e il corpo sarebbero due entità in lotta l’unocontro l’altro “lotta dello spirito contro la car-ne” (Georg Wielhelm Friedrich Hegel - Esteti-ca, Einaudi 1976, pag.65). E, in questo, ilmondo moderno si avvicina alla superata dot-trina docetica.

Il Cattolicesimo per l’arte ha fatto da duemi-la anni una scelta definitiva per opporsi alla di-

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struzione della rappresentazione per analogiafigurativa di Dio e dello spirito poiché dichiara-va, e dichiara, preventivamente che la rappre-sentazione artistica è solamente una analogiautile al pensare e al parlare di Dio, che è ogget-tivamente imperscrutabile e, perciò, l’analogiadella rappresentazione non può nascondereDio, non si oppone allo spirito e rivela il “sa-cro”. Con questo il cattolicesimo ha risoltol’apparente contraddizione fra il corpo e il suospirito nella rappresentazione artistica e, nellarealtà con l’eucarestia, corpo e spirito sono uni-tà inscindibili come nella resurrezione di Gesùe nella resurrezione finale.

La rappresentazione oggettiva di Dio non è loscopo del figurativo che ribadisce l’imperscru-tabilità di Dio e la sua trascendenza.

Per i credenti, perciò, non dovrebbe esserepossibile che il nostro corpo sia in lotta con lasua anima spirituale, o in sua opposizione. Per-ché, come è detto soprattutto nel Testamentocristiano, il rapporto diretto con Dio avvienemediante il “sacro” tangibile nelle opere e nonmediante le analogie o i rituali religiosi, o me-diante i soggetti artistici religiosi.

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Spirito e corpo sono simultanei nell’operare,infatti realizzano anche il “sacro” dell’arte. Al-lora quello che conta qui è definire bene che co-sa sia il “sacro” dell’arte disceso da questa si-multaneità, sia per i credenti che per gli atei ecosì poter definire quello che si deve promuove-re o ignorare dei fatti d’arte.

Se spirito e corpo sono simultanei nelle operedel reale, l’uno è l’altro nel reale.

La rappresentazione, o figurazione peranalogia del corpo reale, è simultaneamentela rappresentazione per analogia della suaanima reale e del suo reale spirito, ossia dellasua volontà progettuale - “tensione etica” pergli atei - e “tensione mistica” per i credenti.Infatti per gli atei un corpo senza la presenzadi una finalità etica intrinseca non può esiste-re. Non sarebbe vivente e, per i credenti, uncorpo senza anima e senza tensione mistica,ossia spirituale, sarebbe solo fango. Un corposarebbe materia inerte per tutti. Non sarebbevivente.

Ne dovrebbe conseguire che solamente larappresentazione del corpo è la rappresenta-zione dell’anima e della sua spiritualità simul-

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taneamente perché sono lo stesso. Non solo, mail “sacro” per gli atei - dicevo - ha una maggioreestensione perché ritiene sacro il corpo di tutti,non solo quello umano. Infatti ogni corpo vi-vente è finalizzato dalla volontà e la volontà,come dice il filosofo, è la visibilità dell’anima.Senza volontà un corpo non esiste e la morte diun corpo è solamente la separazione delle sueparti, che sono sempre vive in un nuovo anima-to progetto.

Con la parola “forma”, credenti e atei si rife-riscono all’unità di anima e corpo degli esseriviventi, si riferiscono alla volontà finalizzatadel corpo e, con la parola “spirito”, si riferisco-no alla tensione dell’anima al bene etico o reli-gioso. Invece il dualismo moderno di ispirazio-ne ereticale immagina lo spirito come un entedistinto dal corpo che pilota il corpo riluttanteal bene, assegnando al corpo un ruolo negativorispetto allo spirito, come dice Hegel, maestrodel mondo moderno.

Inoltre, per gli atei, anche le più piccole partidi materia non sono in opposizione, o in lotta,contro la vitalità finalistica progettuale, quindisono animate dalla tensione sacra della vita,

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perciò il corpo è sacro come tale, per i credentie per gli atei.

Io credo che gli atomi abbiano anima perchése non l’avessero non avrebbero coerenzanell’aggregazione delle loro parti costitutive, fi-nalizzate alla loro esistenza. Allo stesso modo diun corpo umano che è costituito dalle sue partiche hanno una coerenza finalistica con tutto ilcorpo per costituire l’esistenza del corpo.

Oggi possiamo pensare che tutta l’esistenzafisica, essendo finalizzata, è animata spiritual-mente e possiamo pensare che, se un essere ani-mato non agisce eticamente, ossia non agiscespiritualmente, assume il ruolo demoniaco del-la negazione di Dio e della creazione divina peri credenti e, per gli atei, il ruolo del traditore edistruttore dell’esistenza che è opera della ten-sione etica di tutto il vivente. Questo ci è inse-gnato anche dalla natura spontanea: i corpi inopposizione al bene della specie sono rifiutaticome corpi estranei. Dunque, credenti e ateipossono pensare allo stesso modo: che ogni es-sere corporale vivente sia esso stesso un’animaspirituale. Possono pensare che lo spirito sia lostesso corpo perché finalizzato eticamente.

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Possiamo tutti con ragione pensare che ogniessere vivente è anima: ossia corpo vitale per-sonale che si unisce agli altri e al mondo nel-l’unica finalità. E la maggiore estensione del“sacro” degli atei non consiste nell’attribuireal “sacro” maggiore valenza rispetto ai creden-ti, come ho detto.

Mi sembra chiaro, per l’arte, che fra la con-cezione teistica del mondo vivente e quella atei-stica ci sia una differenza ininfluente. Credentie atei hanno la stessa concezione del sacrodell’essere vivente, che è pensato come il fruttopositivo o vitale dello spirito-anima-corpo, osostanza personale, che si unisce al mondo nel-la stessa finalità del mondo.

Ora mi sembra “sacro” il progetto del bene ditutti, ed io credo di accogliere l’estensione ateadel sacro per cui sacro è tutto ciò che è proget-tato da ogni essere vivente per la promozione disé e, simultaneamente, della specie.

Ora, l’agire positivamente per il bene di sé e,simultaneamente, per il bene di tutti è agire inordine al “sacro”.

Agire per la negazione di sé e degli altri è agi-re contro il “sacro”.

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Cosa è dunque sacro in un’opera d’arte senon la rappresentazione dei corpi sacri?

Ma ancora oggi si confondono due aspetti delsacro. Sacro è ritenuto dai più il soggetto reli-gioso perché mediante lo strumento del soggettoreligioso si può parlare del “sacro”. Ma devofar notare che un soggetto religioso potrebbenon rivelare il sacro anche se la finalità di quelsoggetto religioso è sacra. Posso fare un esem-pio: la “Morte di Maria madre di Gesù” del Ca-ravaggio è un soggetto religioso e la tematica èaltamente sacra. Si dice che il corpo della don-na preso a modello dal Merisi sia stato quello diuna donna morta per annegamento, ma la mor-te, nel volto dipinto, non è rivelata e questo nonpuò che far pensare che l’artista ha compiutogli studi analitici non su una persona morta masu una persona viva e ha rappresentato “Ma-ria” con i valori del corpo di quella modella.Così Maria sembra una donna addormentata,ossia lontana dai valori della tematica religiosa.L’unità di corpo-spirito è però rappresentata inquel corpo di donna, quindi l’opera è di per sé“sacra”, ma questa sua sacralità dissacra la sa-cralità religiosa della morte di Maria madre di

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Gesù. Quello che voglio dirvi in modo conclusi-vo è: solo la vera sintesi delle infinite temporaliimmagini dell’esperienza storica visiva, anchese strumentalmente finalizzata ad un contenutoideologico, raggiunge la faticosa grande arte.

Viene a evidenza che il “sacro” nell’arte è ciòche propone nella rappresentazione l’emotivitàdei valori reali del corpo e, perciò, non dipendedalle tematiche religiose o politiche o storichecome, erroneamente, credeva Hegel.

“Sacra” è la rappresentazione del corpo pro-gettuale vero e reale, perché sacro è solo il veroreale. Perciò sacra è solamente la rappresenta-zione del vero reale. Non “sacro” è invece ciòche pretende porsi al di sopra dell’esistenza delvero reale come il dualismo hegeliano e il nuovo- vecchio docetismo.

In definitiva è sacra l’unità dello spirito-cor-po, è dissacrante la teorica che nega questaunità.

E, dato che nella realtà noi vediamo in ognicosa il grado minore e il grado maggiore, saràpiù artistica, e quindi sacra, quell’opera cherappresenta meglio l’unità dello spirito-anima-corpo rispetto a quella che la rappresenta in

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grado minore. Sacra non sarà quell’opera, siapure di tema religioso, che non porta a eviden-za questa unità.

Nel caso specifico dell’opera caravaggesca ilcorpo di Maria come corpo di donna reale rive-la la specifica sacralità del suo corpo anche se èdissacrante che quel corpo di donna determina-ta venga proposto come il corpo di Maria madredi Gesù.

Resta comunque certo che tanto più il corporivela il suo esser sacro, tanto più contribuiscealla chiarezza della tematica, tanto più la tema-tica assurge alla sacralità del corpo. In definiti-va è solo il “sacro” del corpo che arbitra seun’opera d’arte rivela sacralità, oppure rivelameno sacralità. E sarà totalmente dissacrantequell’opera d’arte dove il corpo non c’è perchéritenuto di impedimento allo spirito. E ancoravoglio ripetere che l’elemento che distingueun’opera d’arte altamente sacra da un’altra è ilgrado di visibilità della vitalità progettuale, omovimento finalistico della forma del corpo co-me è visibile nella realtà. Ma, per “movimento”nella rappresentazione artistica non si deve in-tendere quello per traslazione come ha creduto

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quel pittore futurista che, per dare l’idea dimovimento vitale, ha rappresentato un cagnoli-no moltiplicandogli le zampe in posizione dicammino imitando la sequenza delle immaginicinematografiche.

Per movimento di un corpo si deve intendereil visibile palpito della progettualità di un corpomediante la sua forma, questo anche se il corponon è in attuale movimento di traslazione. Inuna rappresentazione deve potersi vedere ilmovimento di traslazione in potenza. E qui de-vo ricordare il “Mosé” di Michelangelo che è se-duto e fermo nella pietra ma dà la certezza chepotrebbe alzarsi e parlare. La grande operad’arte rivela il movimento interno del corpo: laforma della struttura interna del corpo è sem-pre stata oggetto di profonda analisi da partedei grandi artisti che, mediante lo studio del-l’anatomia sul vero, hanno potuto conoscere laparte nascosta della vitalità e del movimentoanche di traslazione. È chiaramente sempliceche anche un corpo che non possiede il movi-mento di traslazione è in movimento vitale. In-fatti le sue parti costitutive, comprese le mole-cole e le energie subatomiche, sono in pulsione

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vitale e, quindi, in movimento e, allora, quan-do questa pulsione vitale è messa in evidenza, èmessa in evidenza la sua sacralità, e più saràevidente questa pulsione più sacra sarà quel-l’opera d’arte.

Un posto di assoluta sacralità deve essere ri-conosciuto al “Cesto di frutta” del Caravaggiodella Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Inquesto dipinto il Merisi ha rappresentato benel’unità dell’essere vivente, quanto invece nonha fatto nella maggior parte delle sue opere.

Anche un oggetto d’uso, costruito dall’uomo,che sia finalizzato al suo specifico uso è artisticonella proporzione della sua perfezione formalein ordine al fine ideologico per il quale è statocostruito. Per cui anche un oggetto perfettonella sua forma finalizzato al male è sacro an-che se il suo uso è contrario al sacro. Bisognasempre distinguere la tematica ideologica, chepuò essere dissacrante, dalla perfezione forma-le di un corpo dove sia evidente la sacra unitàdei contenuti.

Devo anche dire che se da un lato gli informa-listi pensano che il corpo è in lotta contro lo spi-rito e vorrebbero rappresentare nelle loro ope-

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re puramente solo lo spirito, dal lato opposto,oggi gli artisti “fotografici”, detti iperrealisti,limitandosi a riprodurre solamente l’immaginefotografica del corpo, rappresentano una trop-po temporalmente piccola parte del corpo: lariproduzione meccanica del corpo rappresentauna vitalità debole, quindi rappresenta un cor-po incompleto, ossia una imitazione della realtàdel corpo.

Nell’antichità si usava dire che l’opera d’ar-te era l’imitazione della natura. Ma non è possi-bile che i grandi artisti dell’antica Grecia e delnostro Rinascimento con questo termine non siriferissero al concetto di vitalità della natura,perché le loro opere con evidenza mostrano cheil termine “imitazione” indica la parificazionecon la realtà dei suoi valori. L’arte aspirava al-la rappresentazione del vero progettuale dellanatura, ossia alla rappresentazione dell’unitàspirito-corpo. Se questa unità viene spezzatada una vissuta o condivisa ideologia dualista,viene spezzata e distrutta l’opera d’arte. Le al-te vette dell’arte raggiunte nell’antichità nonpossono essere il frutto di una semplice “imita-zione” della forma della natura, ma rivelano

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essere il frutto di una ricreazione della proget-tualità della natura mediante l’analogia dellasua forma. Come avrebbero potuto i greci anti-chi creare un canone di bellezza se gli artistifossero rimasti alla copia dei corpi della naturadove il canone non esiste? Il canone greco è laformalizzazione della efficienza vitale degliatleti migliori non la sola copia di un corpo atle-tico. È solamente la rozza ingenuità della no-stra decadenza che può attribuire agli antichila nostra attuale pochezza.

L’ignoranza e la superbia di oggi hanno potu-to perfino far credere che l’arte è un gioco del-l’inutile e che possono assurgere alla spirituali-tà dell’arte novità oscene come quella di mette-re il proprio sterco in una scatola. E allora tut-to il ripugnante potrebbe assurgere all’arte,quando fosse contro “l’imitazione” della formafinalizzata della natura. Ma anche in questo ilmodernismo fa nuovo quello che è vecchio. Nel-l’antico oriente, infatti, le più alte manifesta-zioni spirituali erano, in certi rituali religiosi,sacrifici ripugnanti accompagnati dalla parifi-cazione del morale all’immorale: parificazionedella vita con la morte.

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Oggi, la più alta manifestazione dell’artistaè il suicidio: l’arte non è quella di guarire dalleferite, ma di procurarsele, magari con lamettetagliandosi le vene dei polsi. Come ormai tuttisanno queste manifestazioni d’arte modernacontemporanea ritengono superata la “imita-zione” della forma e dei contenuti della realtà.

Ma bisogna pur dire anche che, oggi, a causadei mezzi meccanici di cui si dispone, anche la“imitazione” della forma può manifestarsi inmaniera stravolta e certamente non “sacra”.La copia meccanica di un dato corpo non è la“rappresentazione” del corpo: la semplice ri-produzione meccanica trascura vistosamente lafinalità della forma e la finalità dell’arte non vaconfusa con la semplice finalità della tematica,come si è visto. La “finalità” dell’arte è quellache gli artisti veri chiamano “evidenza del re-spiro vitale”: quella finalità per la quale Miche-langelo chiese al suo Mosé di parlare.

Viene ancora a evidenza così che il “sacro”nell’arte non dipende da un soggetto religioso,o da un soggetto laico, come ho già detto, madalla efficiente rappresentazione di un corpo.Non possiamo accettare che un corpo sia spiri-

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tuale e sacro solamente perché serve allo scopodella tematica sacra. Senza simultaneità spiri-to-corpo l’opera d’arte vive in un equivoco cheinfanga il reale sacro e si allontana dall’arte.

E cosa sarà dissacrante se non la mancanza oil rifiuto teoretico della rappresentazione deicorpi sacri? Dissacrante sarà la separazione ar-tificiosa e irreale del corpo dallo spirito come fal’informalismo. E pallidamente sacra sarà laforma di un corpo, se è la riproduzione di unistante quasi impercettibile della sua vita.

La forma d’arte parlerà sacralmente se quel-la forma fa sentire il suo passato nel futuro. Ec-co: la rappresentazione della finalità di un cor-po in un’opera d’arte è la visibile proprietà ci-netica della forma anche se è immobilizzata nel-la materia tecnica.

La immagine fotografica di un istante sinte-tizza troppo poco la sequenza storico vitale diun corpo. E nemmeno lo stesso corpo vivo ereale comunica nella percezione ottica istanta-nea la sua finalità, che può essere compresa so-lamente mediante profonda analisi razionaledel suo temporalmente essere viva. Solamentenella forma sintetica, perciò, si può parlare di

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arte. La frequente sottomissione all’immaginefotografica riduce l’artista al silenzio. Infatti,l’immagine fotografica, relativa ad un istantedi tempo, parla per quell’istante della sua vitae ha poco da proporre. Solo se un artista è a co-noscenza dei valori reali acquisiti in preceden-za con studi analitici sul vero reale il ricorso al-l’immagine fotografica per ovviare ad una mo-mentanea assenza di modelli potrebbe non esse-re di totale danno. Ma se l’artista ignora lo stu-dio analitico sulla forma del reale la sua operaapparirà vuota di contenuti. Comunque, sedall’artista venisse ignorata la vitalità storicadella forma, l’opera apparirebbe vuota di con-tenuti anche se non vi fosse l’intervento delloscatto meccanico della fotografia: infatti è pursempre una fotografia l’immagine istantanearicevuta dalla corteccia visiva del nostro cer-vello e, se l’artista non opera una sintesi finaliz-zata delle immagini ricevute dalla corteccia vi-siva, cade nel fotografico anche senza macchinafotografica.

Anche le esposizioni del corpo reale (bodyart), o le sostituzioni con manichini, o le nudefotografie, o i corpi di animali imbalsamati,

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non possono dare emotività artistica, ma soloemotività ideologiche legate alla tematica.

Chi si sottrae all’analisi del corpo vivo, si sot-trae alla conoscenza della sua verità. Mi sem-bra chiaro - ripeto - che la riproduzione di undato corpo non è ancora la rappresentazionedel corpo, quando non è sostanzialmente unaassenza di rappresentazione del corpo.

E come possa avvenire che un corpo, in undipinto, sia presente per un istante della sua vi-ta e, insieme, assente, nel tempo progettuale,tenterò di comunicarlo.

Ormai tutti sanno che la corteccia visiva rice-ve dagli occhi le immagini della realtà in modoobbiettivo.

“Capovolgendo la percezione visiva ponen-do davanti a un occhio fin dalla nascita unalente permanentemente che ruoti le immaginidi centottanta gradi si ottiene una struttura-zione della corteccia occipitale interessata in-vertita rispetto alla controlaterale”.*

È certo ormai che la forma della realtà ester-na al cervello forma la struttura anatomica del

* Esperimento fatto da G. Moruzzi e citato da Vittorino Andreoli ne “LaNorma e la Scelta” Mondadori 1984 pag. 25

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cervello perciò noi pensiamo ciò che vediamooggettivamente secondo la funzione della strut-tura del cervello. Riceviamo a miliardi le imma-gini obbiettive della realtà, ma utilizziamo sola-mente quelle necessarie al nostro personaleprogetto che è costruito sulla esigenza persona-le di sopravvivenza.

Ma tornando all’interesse artistico, è neces-sario concludere che l’artista costruisce unaimmagine della realtà composta da immaginiobbiettive, ma le utilizza in sintesi per una co-struzione finalistica personale. Per raggiunge-re l’immagine sintetica delle loro opere i grandiartisti hanno da sempre eseguito studi sulla for-ma reale con disegni analitici. Il disegno possie-de la virtù dell’immediatezza e d’essere tecni-camente facile. Nei disegni analitici preparato-ri, che, in seguito, vengono uniti in sintesi perla rappresentazione della realtà, l’idea dell’es-senziale rappresentativo viene evidenziata. Epiù lo studio della formale realtà analitica èprolungato, anche mediante l’esecuzione di di-segni, maggiormente l’opera sintetica superal’approssimazione dell’abbozzo del progetto emostra la reale vitalità del corpo. Le opere dei

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grandi artisti sono nate, e nascono, solo così.Perché le parti obbiettive finalisticamente scel-te si uniscono in una costruzione a sua volta fi-nalizzata. La vera idea artistica di realtà è ob-biettiva nelle sue parti costitutive, ma, insieme,è personale e finalizzata. L’arte è la rappresen-tazione del progetto del corpo vivo della naturae della finalità personale dell’artista. Solamen-te così l’immagine dipinta, o scolpita, è la rap-presentazione di un corpo presente e non assen-te e assurge a opera d’arte.

Il corpo è tanto più presente quanto più mo-stra la sua vita progettuale nel suo passato e nelsuo futuro, come ho detto.

Viceversa si assenta.La “scorciatoia” dello scatto fotografico por-

ta all’esecuzione di povera progettualità corpo-rale, quindi porta a una scarsità di rappresen-tazione del reale.

Cari artisti,vi invito ad osservare quello che ci insegnano

gli antichi.Il Caravaggio, per esempio, ha fatto una pit-

tura cosiddetta di “realismo”. E, in parte ha se-guito il fascino della realtà istantanea che indu-

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ce a credere ottimo l’attimo fuggente, comehanno creduto poi anche gli impressionisti nelsecondo Ottocento con l’illusione che questo“attimo” fosse il vero reale.

La rappresentazione dell’istante formalepuò essere significativa in relazione ai valoriideologici della tematica, come ho detto, ma ètroppo poco rispetto a rappresentazioni ricchedi realtà progettuale come quelle di Masaccio,Leonardo, Michelangelo, Mantegna, e di tutti igrandi della nostra storia.

La realtà di Piero della Francesca, oltre a co-gliere l’istante della realtà presente, coglie an-che le finalità della storia passata e futura.

I giovani artisti, oggi, debbono guardarsi dalcadere nel fotografico che dà soddisfazioni effi-mere e stanchevoli. L’istante non può compete-re con la rappresentazione della realtà proget-tuale temporale.

Anche se, per la loro teorica, sono diametral-mente opposti, informalisti e iperrealisti foto-grafici sono molto vicini: lo “spirito” degli in-formalisti, preteso senza corpo, non esiste e lospirito dei figurativi fotografi, difettoso di cor-po, esiste larvatamente.

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L’opera informale sta nella incomunicabili-tà. L’opera fotografica sta sulla soglia dellacomunicabilità, ma non ne ha che un accessoapparente.

La profonda conoscenza analitica è lo stru-mento della coscienza e consente di sentire ilmondo degli altri in unità sostanziale con noistessi. E l’arte a chi è destinata se non agli altri,nella dimensione della personalità dell’artista?

Sarà sacra allora, non ogni copia dell’istan-taneo, ma ogni rappresentazione di qualsiasiforma che abbia finalità storica e naturale, os-sia che abbia struttura finalistica riconoscibiledalla ragione. E quando un’opera rimanda lasua comprensibilità ad una spiegazione razio-nale verbale, come fa l’opera informale, saràquel verbale, in quanto formalmente finalizza-to, a essere artistico e non quell’opera.

E come si possa realizzare in un’opera d’artel’unità dei valori di un essere vivente apparen-temente separabili, lo sanno solo gli artisti eticinel loro fare, perché sentono il vibrare della vi-ta del corpo. Con questo torna agli artisti la pa-rola dei fatti che è stata loro tolta dalla criticad’arte venale e dal venale mercato. La parola

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dei fatti torna agli artisti che nel realizzare leloro opere vivono il “sacro”, ossia l’inscindibi-lità dei valori vitali. Chi non vive il “sacro” puòparlare di spirito “puro”, può parlare di ritualie di soggetti religiosi, di tematiche e problemati-che sociali e di storia dell’arte. Nessuno e nien-te può sostituire l’artista etico che sente vibrareil “sacro” del vivente e lo rappresenta nei fattidella sua opera.

Ora, per rispondere all’auspicio che fede earte tornino a parlarsi - dirò che a impedire ildialogo è la perdita del “sacro”. La perdita del-la sacralità del corpo teorizzata dal dualismoidealista informale, docetico ed eretico.

Se il corpo è rigettato perché in lotta contro lospirito, chi dialogherà? lo “spirito puro” da sé?

Il dualismo idealista è oggi il fondamento diuna potente negazione del “sacro” e della fedeperché fa credere che per salire allo spirito bi-sogna demonizzare il corpo, gettando così nellaconfusione anche gli artisti che non possono piùdialogare.

Meriteranno la dannazione i falsi atei e i falsicredenti, pervenuti alla negazione della sacrali-tà del corpo? Non credo: gli operatori di male

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credono di operare per il bene, e l’essere creden-ti o no è ininfluente. Dio è la ragione dell’esisten-za sia del bene che del male e non possono quindiavere colpa quelli che non sanno di avere colpa.

La natura rifiuta o concede funzionalitànell’ambito della specie senza che ne sappiamola ragione.

Non a tutti è concesso di distinguere l’utile sa-cro dal disutile. Siamo tutti “diversamente abi-li”, siamo quello che siamo. Per cui anche l’erro-re della negazione del “sacro” risale alla imper-scrutabile natura divina che ha rifiutato ad unessere la capacità di distinguere il bene dal malee quindi lo spinge a rifiutare se stesso, lo spinge arifiutare la forma del suo corpo e la forma delcorpo del mondo, lo spinge a rifiutare il “sacro”.

Resta per l’uomo etico il dovere di non pro-muovere il male. Resta il dovere di promuovereil “sacro” senza il timore di sembrare superatidalle aperture dissacranti.

E resta certo che nella negazione della sacra-lità della forma è negato il linguaggio dialogan-te. Senza forma è negata anche la negazione. Ècerto: salvare l’errore è promuovere la separa-zione fra arte e fede. Salvare Hegel è salvare la

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propria vanità camuffata da spiritualità, è sal-vare la mondanità dell’errore, è promuovere ilmale di tutti.

Oggi la perdita del “sacro” è fatta crederecon vanto una apertura intellettuale, ma è soloesercizio di potenza sulle persone. E la volontàdi potenza si organizza nel “mercato” che è laviolenza di chi è assetato di danaro.

E se il filosofo dell’arte, e il teologo, sono nel-l’errore, il “mercato” ne approfitta.

La risposta alla prima domanda non può cheessere: gli artisti etici sono di intralcio agli scopidel “mercato” alimentato dall’errore. Per que-sto il “sacro” non ha promozione anche se è lastruttura portante della vita di tutti. E, comun-que, il “mercato” dell’errore non ha importan-za fondamentale.

Solamente il “sacro” costituisce la nostrastoria. L’errore si estingue. La verità, cari ar-tisti, come già state vedendo, niente la può na-scondere.

Mario Donizetti

Bergamo 2011

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© 2011 Mario Donizetti

Finito di stampare settembre 2011Corponove Editrice - Bergamowww.corponoveeditrice.it

EAN 9788896607473

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