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1 novembre 2012 DPPO & Redazione Luana BELLACOSA Sabrina DOTTORI Maria Rita GATTI Mirella GORI Giovanna RICCI Rete Fulvia ALLEGRI Sandra APUZZO Paola BOTTA Bianca CUCINIELLO Laura FORIN Raffaella INFELISI Stefania LEONE Belisaria MORESCHINI Nadia PETRINI Carla PROIETTI Stefania SABA Stefania SALVI FilomenaTEDESCHI UILCA Segreteria Regionale Roma e Lazio Via Collina n. 24 00187 Roma Tel. 06 42012215 Fax 06 42012375 DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO Il 25 Novembre ...Un'altra occasione per approfondire la riflessione sul femminicidio e per rafforzare l'impegno personale e collettivo a non tollerare e a non rimanere in silenzio di fronte alla violenza perché il silenzio ci costringe a rimanere in situazioni disumane o ci rende complici

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novembre 2012

DPPO & Redazione

Luana BELLACOSA

Sabrina DOTTORI

Maria Rita GATTI

Mirella GORI

Giovanna RICCI

Rete

Fulvia ALLEGRI

Sandra APUZZO

Paola BOTTA

Bianca CUCINIELLO

Laura FORIN

Raffaella INFELISI

Stefania LEONE

Belisaria MORESCHINI

Nadia PETRINI

Carla PROIETTI

Stefania SABA

Stefania SALVI

FilomenaTEDESCHI

UILCA Segreteria Regionale

Roma e Lazio

Via Collina n. 24

00187 Roma

Tel. 06 42012215

Fax 06 42012375

DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO

Il 25 Novembre

...Un'altra occasione

per approfondire la riflessione

sul femminicidio e per rafforzare

l'impegno personale e collettivo

a non tollerare e a non rimanere

in silenzio di fronte alla violenza

perché il silenzio ci costringe

a rimanere in situazioni

disumane o ci rende complici

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Un passo prima della violenza. Quegli allarmi

da non trascurare Esiste ed è ancora oggi molto frequente questo modello di coppia in cui c’è una persona che chiede e pretende e l’altra che accetta e subisce

Un passo prima della violenza fisica. Una ter-ra di mezzo fra il rispetto e la brutalità. Con un lui che prevarica e una lei che tace, con un ruolo da comandante e uno da soldato. E il soldato non è mai un uomo. In quella terra di mezzo lo spazio è occupato da un rapporto che non è più (e in molti casi non è mai sta-to) paritario. Si chiama sudditanza e il sul-tano il più delle volte nemmeno si accorge dei danni che produce il suo comportamento e del dislivello enorme che scandisce la sua vita di coppia. Spesso si tratta di piccole cose che messe assieme disegnano un quadro di violenza psicologica vera e propria. Ma, appunto, il problema sta nella noncuranza con cui lo schema viene applicato da alcuni uomini e nel modo disarmante con cui alcune donne lo subiscono e lo accettano. Ne ragioniamo as-sieme all’avvocato Anna Galizia Danovi, ma-trimonialista e presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia.

“E’ vero – ci dice – esiste ed è ancora oggi molto frequente questo modello di coppia in cui c’è una persona che chiede e pretende (quasi sempre l’uomo) e l’altra che accetta e subisce. Alla base ci possono essere mille motivazioni, per esempio l’esperienza tratta da un vissuto familiare negativo. Se una ra-gazza cresce in una famiglia in cui la madre ha un diritto di parola limitato tenderà ad ac-cettare a sua volta con più facilità questo trattamento. Una madre che riverisce il proprio marito oltremisura, che lo asse-conda in tutte le sue esigenze anche se ha la febbre o se muore di stanchezza perché al-trimenti lo deluderebbe, che ammutolisce se lui non apprezza un suo intervento sulla ge-stione di qualunque problema familia-re….Beh, quella madre certamente indirizza la figlia verso un percorso non corretto con la conseguenza che il modello tende a ripe-tersi”. Parliamo di casi in cui, come dicevamo in premessa, non si arrivi alla violenza fisica ma che possono causare comunque danni gravi. Se lui non chiede mai “per favore” perché tutto è dovuto, se non domanda mai un parere su una decisione, se la mortifica davanti agli amici o ai parenti, se la umilia di fronte ai figli, se pretende che si comporti esattamente come lui vuole, le parla come se avesse davanti un soprammobile e non una persona, confermando così il suo diritto di disporre di quell’oggetto come e quando vuole, sesso incluso… Questi i comportamenti negativi capaci di in-taccare la personalità di una donna e a volte perfino di annullarla. “Se una donna non ha più strumenti per e-sprimere se stessa finisce spesso in un limbo di assoluta confusione e può arrivare a pen-sare: non è lui che vuole l’impossibile, sono io che non so essere migliore. In pratica ci si convince della propria inadeguatezza, discor-so che può avere ricadute importanti sulla salute della persona, che gli psicologi e i medici conoscono benissimo, ma che è diffi-cile rappresentare nei suoi giusti termini in giudizio”. Piccole sopraffazioni, offese, disconoscimenti che diventano muri altissimi fra il desiderio di essere come si vorrebbe e la realtà che si è disposte ad accettare.

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“Arrivano nel mio studio sempre più frequen-ti” riflette l’avvocato Danovi. “Mi raccontano di continue interferenze sul loro modo di es-sere da parte di un lui che a un certo punto non è più possibile tollerare. Ma ci sono an-che le donne che invece perseverano, che addirittura pensano di poter risolvere tutto con un altro figlio oppure che accanto-nano il problema, forse lo rimuovono: gran-de errore…” Una questione generazionale, certo. E’ diffi-cile infatti immaginare una giovane coppia che ripeta modelli del genere perché le nuo-ve generazioni hanno più anticorpi per difen-dersi dalla mancanza di rispetto. Attenzione, però, perché più anticorpi non significa tutti quelli che servirebbero. Il problema esiste ancora e va affrontato culturalmente. “Ci sono piccole azioni che fanno grandi e ri-spettose le persone. Va sviluppata una cultu-ra in grado di formare le nuove generazioni alla comprensione e al rispetto dell’altro, do-sando le proprie azioni, emozioni e desideri”. La strada è ancora lunga e in salita eppure di passi ne sono stati fatti. E che cosa accade nel fronte giudiziario? “Oggi è improbabile ottenere in questa materia sentenze che ri-stabiliscano pienamente i diritti, le ragioni e i torti” ci spiega Anna Galizia Danovi. “Siamo infatti passati da un processo nel quale si è pensato di attribuire alle donne torti che non avevano e che erano legati a un’immagine femminile distorta all’interno della famiglia o della coppia ad una valutazione molto approfondita e com-parata da parte del Giudice dei comporta-menti all’interno della coppia con la conse-guenza che per pervenire ad una sentenza di condanna è indispensabile provare fatti e-stremamente gravi e, sotto il profilo psicolo-gico, ciò è molto difficile”. Possiamo quindi concludere che l’immagine femminile è ancora oggi distorta, cioè vista con le lenti di un pregiudizio antico per cui una donna DEVE fare o non fare questo o quello secondo consuetudini di famiglia o re-gole generali non scritte. Mentre un uomo PUO’ o non puo’ farlo. Scegliere fa una bella differenza… (Fonte “Il Corriere della Sera”)

IL LAVORATORE DEL CREDITO:

QUALE FUTURO? Il Dipartimento per le Pari Opportunità Uilca di Roma e del Lazio, rappresentato per l’occasione da Paola Botta, a fine settembre ha partecipato al convegno “ IL LAVORATORE DEL CREDITO . QUALE FUTURO ? “ organizzato dalla UILCA di Lecce. Qui di seguito riportiamo alcuni passag-gi dell’intervento, che ha contribuito ad animare il dibattito proprio sulle diffe-renze di genere che ancora persistono nel nostro settore. “ Ho condiviso la maggior parte delle esposi-zioni precedenti, soprattutto quelle riguar-danti l’occupazione, l’incertezza del futuro, le difficoltà di chi non riesce ad entrare nel mondo del lavoro e quelle di chi non riesce ad uscirne, i giovani che si arrendono e non cercano neanche più il lavoro. Il panorama è tragico. Dopo queste premesse, la domanda che sor-ge spontanea è : “ Le lavoratrici del credito. Quale futuro?” … è solo una battuta priva di polemica per introdurre l’argomento, poiché parlare di oc-cupazione prescindendo dal genere è ormai quasi impossibile. Risale al 3 di questo mese la proposta di di-rettiva presentata a Bruxelles per l’obbligatorietà del raggiungimento , entro il 2018 per le pubbliche imprese e nel 2020 per le private, del 40% di presenze femminili nei CDA. Le sanzioni previste per le inadem-pienze sono molto pesanti e vanno da quelle di carattere pecuniario a, per esempio,

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l’esclusione dalle gare di appalto. Questo può dare il metro dell’attenzione posta riguardo l’argomento. Al momento le quote italiane nei CDA si at-testa al 5% circa….Qui viene sovvertita la famosa statistica secondo la quale ad ogni uomo “spettino” 7 donne, infatti nel top management ci sono 7 uomini per ogni donna. Bisogna tuttavia considerare che il nostro specifico settore è uno dei pochi nel quale sono stati fatti bradipici ma significativi passi in avanti, rispetto la media. Io ho trent’anni di servizio e nel 1982 le donne dirigenti era-no veramente mosche bianche e quelle che riuscivano a scalare un po’ la piramide dove-vano effettuare una scelta precisa tra carrie-ra e famiglia. Nel caso in cui la scelta fosse stata il lavoro, la loro omologazione allo standard maschile doveva essere pressoché totale. Basti pensare che anche nella pubbli-cità progressista dell’allora Credito Italiano, compariva una bellissima signora bionda sor-ridente, con un bel fiore all’occhiello…peccato che indossasse un doppiopetto grigio!!! La forza lavoro femminile nel credito è di cir-ca il 43% , le donne sono molto presenti nel-le aree professionali, con percentuali che vanno dall’1% in più rispetto agli uomini nella 1^ area , del 6% nella 3^, ma che già a partire dai QD 2 dimezzano la loro presen-za , per diventare un terzo nei QD 4 e tra-collare nella categoria dei dirigenti. Le lavoratrici sono infatti molto apprezzate per la loro alta scolarizzazione e le preroga-tive di determinazione e competenza, senza contare che sono anche molto flessibili per la tendenza a conciliare tempi di lavoro e di famiglia, ma ai vertici riesce ad arrivare solo il 6/7 %. Le risorse umane sono e saranno sempre più il cardine della competitività, quello in grado di fare la differenza, diviene quindi necessario riconoscere le capacità specifiche dei generi, per poter creare delle aspirazioni su misura, che evitino lo spreco di risorse e talenti. Inoltre, le strutture che riescono a gestire al meglio il fattore lavoro, hanno poi dei ritorni professionali e produtti-vi, molto consistenti e ad un costo inferiore. Con queste premesse si propone la diffusio-ne del bilancio di genere, che l’assemblea delle Donne UIL ha fortemente caldeggiato, poiché attraverso l’equiparazione dei generi e pianificando le entrate e le uscite, studian-

done gli effetti su D e U, si arriva ad un’equa distribuzione delle risorse, che risponde con la massima efficacia ai bisogni delle parti. Si tratta indubbiamente di adottare un cam-bio di cultura epocale e non semplice, che può però combattere fortemente le penaliz-zazioni delle donne e far si che la diversità diventi un patrimonio, un valore aggiunto, per arrivare a portare benefici al personale ed alle imprese. Il bilancio di genere si accompagna al bilan-cio sociale, alla RSI, di cui molti istituti fanno il proprio fiore all’occhiello, infatti hanno ben chiaro come la pubblicazione di tali bilanci produca una grande eco pubblicistica, con un ritorno di immagine enorme presso gli inter-locutori italiani o stranieri. Gli investitori ap-procciano più volentieri gli enti che fanno dell’etica, della trasparenza, della RSI, un vessillo. La presenza dei principali gruppi bancari in scenari non solo nostrani, li co-stringe ad adottare standards virtuosi, so-prattutto per aumentare la crescita azien-dale. Abbiamo parlato di bilancio di genere, par-liamo ora di ottimizzazione delle risorse. A 20, anzi 21, anni dall’entrata in vigore della legge 125 , e con tutte le successive inclu-sioni nei CCNL, l’istituzione delle Commissio-ni Pari Opportunità ancora oggi in molte a-ziende del credito, non è stata attuata. Nel mio gruppo di appartenenza (Unicredit) la suddetta commissione paritetica è pre-sente dal 2007, con quella della formazione finanziata (fondo FBA) dal 2005. Nel 2010 è stato definito un gruppo “progetto di conci-liazione” per la programmazione di progetti secondo la legge 53/2000. Le aree di mag-gior interesse sono tre: flessibilità di orario; formazione; servizi. Ad oggi è in atto una sperimentazione, nel triveneto dove le richieste di part-time erano molto numerose, che prevede un’articolazione individuale dell’orario di la-voro, tramite riduzione dello stesso, diminu-zione della pausa , flessibilità in ingresso, piuttosto che in uscita, etc. Per la formazione sono stati già fruiti nume-rosi corsi che hanno visto collaborare le due commissioni già citate, per promuovere la consapevolezza di genere, con la rimozione degli stereotipi culturali esistenti, al fine di poter riconoscere più facilmente i talenti femminili e valorizzarli.

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Per i servizi sono sati creati asili aziendali a Roma e Milano, ed in altre città si sono sigla-te convenzioni con strutture private. Sono allo studio proposte di conciliazione atte a creare centri si assistenza all’infanzia, agli anziani, o creare un servizio di scuolabus. Tutte queste proposte sono figlie dell’ascolto dei bisogni dei lavoratori. Da un’indagine è emerso che il momento più difficile per la conciliazione dei tempi lavoro-famiglia riguarda la fascia di età tra i 30 ed i 45 anni, momento nel quale emergono le differenze di genere , in cui si ricorre più spesso agli strumenti o agli strumenti di con-ciliazione, ma che è anche il momento deci-sivo e cruciale per la carriera. E’ curioso osservare come l’assistenza ai ge-nitori anziani susciti comprensione e solida-rietà, mentre quella ai figli diventi quasi una scelta privata tra lavoro e famiglia. Questi erano solo esempi di progetti a me noti; sono consapevole in un grande gruppo sia più facile costituire le commissioni, poi-ché i benefici rivenienti raggiungerebbero un maggior numero di persone, e che in isti-tuti minori possa essere più difficoltoso, ma certamente adottare una politica family-friendly, fatta di ascolti e proposte recipro-che, a costo zero, non può che essere pre-miante. Insomma, almeno dal punto di vista teorico, gli strumenti per l’ottimizzazione delle risor-se e dei progetti di conciliazione per favorire tempi di vita più sostenibili, ci sono tutti, non ultimo il progetto siglato da ABI ed ANIA di marzo scorso….il problema è, e resta, rendere operative le proposte. A volte abbiamo gli strumenti e semplice-mente ne ignoriamo l’esistenza o preferiamo restare ancorati ai soliti metodi. Ho letto con piacere che la regione Puglia è riuscita a de-stinare i fondi della Comunità Europea, se le risorse ci sono, sarebbe bene usarle… Concludendo rispondo al quesito iniziale: “Cosa c’è nel futuro delle lavoratrici del cre-dito? “L’applicazione delle 3 C . Avendo or-mai raggiunto un’età matura, anche se la Ministro Fornero ci ha resi tutti diversamente giovani, sempre più spesso mi capita di pen-sare al passato. Andando ai ricordi di quando frequentavo le scuole medie mi è sovvenuto che esisteva una materia chiamata applica-zioni tecniche ., che insegnava alle “femmi-nucce” a cucire, lavorare , fare la maglia

,etc. ed una nota marca di filati aveva il logo formato da un cerchio contenente 3 C, ap-punto….da li l’ispirazione, non Come Cucire la Calza, ma CONDIVISIONE, la base di tutti i rapporti, CONCERTAZIONE per instaurare intese proficue, ed infine CONCILIAZIONE per ottimizzare la qualità della vita. (Paola Botta Unicredit)

Allarmanti i dati di Telefono azzurro

In sei anni triplicati gli abusi sui minori

Il pericolo per bambini e adolescenti è in casa: il 63,1% delle situazioni d'e-mergenza dal 2006 a oggi non esce dal-le mura domestiche. In media quattro segnalazioni al giorno

ROMA - E' emergenza infanzia in Italia: dal 2006 a oggi sono più che triplicati i casi di abuso fisico su minori. In soli otto mesi, dal 1° gennaio al 31 agosto 2012, le segna-lazioni al servizio 114, gestito da Telefono Azzurro, sono aumentate del 3,9% e quasi una richiesta d'aiuto su cinque (il 17,1% del totale) è per abuso fisico. In sei anni, inoltre, sono state ricevute più di diecimila chiamate, soprattutto nelle ore serali. E' un quadro al-larmante quello che emerge dai dati raccolti

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dalla linea 114 tra gennaio 2006 e agosto 2012, diffusi oggi da SOS Telefono Azzurro onlus durante un incontro organizzato con l'adesione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella Sala Zuccari del Se-nato. Il pericolo è tra le mura domestiche. Secondo il dossier "Emergenza infanzia 2012" il pericolo maggiore per bambini e a-dolescenti è in casa: il 63,1% delle situazioni d'emergenza seguite dal servizio 114 di Tele-fono Azzurro dal 2006 a oggi non esce dalle mura domestiche. Dalla ricerca si rileva che i bambini corrono rischi anche per strada (18,3%) e in percentuale minore a scuola (5,7%) o a casa di amici e parenti (3,7%). In generale nel 78,3% dei casi il presunto responsabile del disagio è uno dei genitori del minore (nel 44,8% dei casi la madre, nel 33,5% il padre).

Si registra un considerevole aumento del numero di segnalazioni trasferite da Telefono Azzurro ai servizi sociali: dal 29,7% del 2006 al 49,1% del 2012. Relativamente alle se-gnalazioni inviate alle forze dell'ordine tra il 2006 e il 2012 si è assistito a un aumento costante nel contatto con i carabinieri (dal 10% del 2006 al 22,6 % del 2012) per la ge-stione delle situazioni di emergenza. Negli ultimi sei anni le richieste d'aiuto hanno ri-guardato quasi in egual misura maschi (51,6%) e femmine (48,4%), ma prevalen-temente bambini fino ai dieci anni (64,2% dei casi). Il 50% dei minori per cui è richie-sto aiuto vive con entrambi i genitori, il 33,1% con la sola madre. Nell'88,9% dei ca-si è un adulto a chiamare per segnalare una situazione di disagio vissuta da un bambino. Litigi fra genitori. Seppure di poco, crescono nel 2012 anche le segnalazioni di elevata conflittualità familiare e violenza domestica tra genitori (il 9,7% delle chiamate nel 2012; il 7,9% nel 2006) e raddoppiano ri-spetto al 2006 le denunce per disagi emotivi comportamentali: si va dal 2,2% al 5,2%. Si assiste invece alla riduzione delle segnala-zioni che riguardano situazioni di accatto-naggio (15,7% del 2006; 8,5% del 2011; 4,4% del 2012). Violenze e abusi. Quest'an-no al 114 sono arrivate in media circa quat-tro segnalazioni al giorno per violenze, abuso fisico e psicologico, maltrattamenti, inade-guatezza genitoriale o difficoltà relazionali. Migliaia di telefonate e una media di 115 casi trattati al mese. Nel 2006 le segnalazioni al

114 per abusi fisici erano il 5,2% del totale delle denunce. In pochi anni sono cresciute in modo esponenziale, passando all'11,3% nel 2010 al 13,2% nel 2011 e a un allarman-te 17,1% nel 2012. In aumento anche le se-gnalazioni per abuso psicologico (dall'8,3% del 2006 al 12,9% del 2012). Nello stesso arco di tempo è inoltre raddoppiato il nume-ro di denunce per casi di grave trascuratezza (5,7% nel 2006; 10,4% nel 2012) e inade-guatezza genitoriale, cioè l'incapacità a svol-gere il ruolo educativo di padre o madre, che registra un aumento passando dal 6,3% del 2006 al 10,2% del 2012. Un bimbo su cin-que è straniero. Nel 2012 il 19,5% delle se-gnalazioni gestite dal 114 ha riguardato un bambino straniero, in molti casi (36%) nato in Italia. Secondo l'indagine di Telefono Az-zurro, il numero dell'emergenza è stato però chiamato anche per profughi e rifugiati (33% dei casi seguiti), per figli di coppia mista (10,7%) e per minori ricongiunti (8,8%). Di-versa la tipologia di problemi denunciati dagli stranieri rispetto a quelli manifestati dai bambini con cittadinanza italiana: gli stranie-ri devono fare i conti soprattutto con compli-cazioni legate al percorso migratorio, lo sfruttamento minorile o situazioni di fuga. Più interventi al Nord. Secondo i dati del 114, la maggior parte delle situazioni d'e-mergenza per i minori si registra nell'Italia settentrionale. Il Nord è l'area in cui dal 2006 al 2012 è stato gestito il 42,8% degli interventi dell'associazione. Percentuali infe-riori si registrano al Centro (23,4%) e al Sud (23,8%). Le regioni in cui gli operatori sono intervenuti di più sono Lombardia (15%), Lazio (14,5%) e Campania (12,6%). "La crisi accentua la violenza". Ernesto Caffo, presi-dente di Telefono Azzurro, imputa l'aumento degli abusi sui minori alle difficoltà economi-che crescenti, che rendono più fragili le fa-miglie anche sul piano psicologico: "Non si possono tagliare dai bilanci dello Stato - ha spiegato - risorse destinate ai bambini. Oc-corrono strumenti adatti e risorse adeguate: se non ci sono i servizi, i bambini non posso-no chiedere aiuto e nelle situazioni di emar-ginazione, violenza e devianza si interviene con difficoltà e in ritardo come l'esperienza del 114 ci insegna, è indispensabile cogliere immediatamente i segnali di sofferenza dei minori e unire le forze all'interno della co-munità di riferimento tra servizi pubblici e

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privato sociale". "Non dimentichiamoci dei bambini - ha concluso - l'aumento dei casi di abuso fisico nasce dalla fragilità delle fami-glie, ora accentuata dalla crisi economica, e dall'assenza dei servizi di sostegno"

(Fonte “La Repubblica”)

L’Italia migliore

è impegnata contro la pena di morte

Anthony ha 38 anni, da venti vive in prigio-ne. In carcere ci è entrato con il fratello Jef-frey. I due, nel 1992, hanno rapinato un fast-food. Quel furto rubò la vita a una don-na. Entrambi i ragazzi furono condannati a morte. Jeffrey, però, è riuscito a ottenere un cambio di pena. Quando ha sparato in un lo-cale di Daytona Beach aveva 16 anni. La mi-nima differenza anagrafica che ha con il fra-tello è stata sufficiente per garantirgli tutti i giorni che Anthony, entro la fine del 2012, non potrà più vivere. Per lui sta lottando an-che l’Italia. Il sindaco di Santo Stefano di Camastra, paese originario della famiglia di Anthony e Jeffrey, ha scritto a Giorgio Napo-litano e Benedetto XVI. A entrambi ha chie-sto aiuto. Da solo non può cambiare la sorte di Anthony. “Negli Stati Uniti, puntualizza Riccardo Noury di Amnesty Italia, sono state eseguite trenta esecuzioni dall’inizio del 2012. L’amministrazione Obama non è l’unica del G8 che prevede la pena capitale. In Giappo-ne sono riprese le impiccagioni. A nessun cit-tadino del paese asiatico, nel 2011, è stata inflitta la pena capitale”. Il 10 ottobre è la giornata mondiale contro la pena di morte. “L’appuntamento, dichiara Noury, non è sta-to istituito per ricordare un fatto specifico. La pena di morte andrebbe combattuta ogni giorno”. Da quando il 10 ottobre è diventato il simbolo della lotta contro la pena capitale 17 paesi hanno rinunciato al provvedimento. “Due nazioni, ogni anno, aboliscono la pena di morte”. Altri 43 stati devono ancora cam-biare idea e accettare il comportamento dei 155 paesi impegnati contro il boia.

La pena di morte non riguarda solo il singolo. La condanna è l’espressione di una comunità che ha rinunciato alla civiltà. Secondo le au-torità tunisine la pena capitale è l’unico strumento educativo che il paese può usare per evitare la distruzione di altre ambasciate straniere. Alla distruzione di quella statuni-tense, avvenuta lo scorso 14 settembre per il film anti-Islam, seguirà l’esecuzione di 87 persone. Questi individui hanno manifestato contro gli Stati Uniti. “Dal 2007 l’Italia, evidenzia Noury, opera a livello internazionale contro la pena di morte. Il nostro paese ha avuto una felice intuizione strategica quando ha aperto il dibattito ai paesi non europei. Sulla pena capitale esiste una buona sinergia tra le associazioni e il Governo”. Giulio Terzi, ministro degli Affari Esteri, ha chiesto all’Unione Europea di in-tervenire affinché la Bielorussia rinunci alla pena capitale. “Il paese, ha sottolineato Terzi durante la presentazione del rapporto di Nessuno tocchi Caino, è l’unico del continen-te che prevede la pena capitale”. In un futuro senza boia, secondo il ministro, c’è il passato migliore dell’Italia. “Del nostro patrimonio giuridico e della nostra identità, ha ribadito Terzi, fanno parte le battaglie di Beccaria e le manifestazioni di Pannella”. Per loro e le persone condannate a morte biso-gna costruire un presente riassumibile nell’hashtag #10ottobre. In questa parola chiave, su Twitter si concentra l’Italia che manifesta e quella impegnata contro la pena di morte. Ieri, oggi, domani.

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Sai che cos’è il Motech? Idee materne anticrisi Pubblichiamo un articolo apparso sul sito Percorsi di secondo welfare in cui Giulia Mallone, studiosa di welfare aziendale parla di Motech. L’offerta di servizi che, come spiega Maurizio Ferrera, sfruttano la tecno-logia più avanzata per “prendersi cura” delle persone. Quello che gli economisti chiama-no“Motherly technology”. Lo spirito impren-ditoriale femminile al servizio della società, per fornire quei “servizi dolci” che le donne tradizionalmente svolgono in famiglia. Una riflessione sulle potenzialità del contributo femminile all’imprenditoria, che arriva a margine della presentazione dello studio “E’ lei il titolare? Uomini e donne nelle imprese artigiane” promossa da Confartigianato Im-prese Lombardia e Milano, in collaborazione con BCC e il Corriere della Sera. E che, con dati, tabelle, link e il racconto di esperien-ze in altri Paesi, cerca di rispondere a una domanda: L’imprenditoria femminile può diventare un antidoto alla crisi? LA RICERCA – La ricerca, condotta da Ivana Pais dell’Università Cattolica di Milano, evi-denzia che le aziende gestite da donne, in lieve crescita nonostante la crisi, mostrano punti di forza e originalità che rappresentano fattori competitivi importanti, come la capa-cità di delegare, di giocare in squadra e di gestire il multitasking. Lo studio ha preso in esame cinque coppie di imprese lombarde associate a Confartigianato, simili per tipo di attività, territorio, dimensioni, e fatturato, ma gestite per metà da titolari donne, e per l’altra da uomini. Attraverso interviste all’imprenditore/imprenditrice, ai soci e ai di-pendenti sono state approfondite cinque ma-cro aree tematiche: “Storie di vita, storie d’imprese”, “La quotidianità dell’essere im-prenditrice”, “Strategie e innovazione in tempi di crisi”, “Organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane”, “Capitale so-ciale e associazionismo: la centralità delle relazioni”. I RISULTATI – In Italia ci sono oltre 1 mi-lione e mezzo di imprenditrici e lavoratrici autonome, di cui 400 mila nel solo settore

artigiano. Dal confronto di fatturato e dipen-denti tra il 2007 e il 2011 emerge che le a-ziende guidate da donne appaiono sostan-zialmente solide nonostante la crisi. Per quanto riguarda i settori di attività, le impre-se di servizi crescono, mentre quelle legate al ciclo dell’edilizia soffrono di più. Le interviste hanno evidenziato che nelle im-prese femminili si osserva un clima più inclu-sivo, caratterizzato da flessibilità e parteci-pazione, che agevola la conciliazione tra la-voro e famiglia.

L’imprenditoria femminile al servizio delle persone Le categorie del motech Si può, partendo dal recente intervento di Ferrera, arrivare a una più puntuale classifi-cazione dei servizi motech di cui abbiamo bi-sogno? Una lista non esaustiva, destinata a crescere e a coprire tutte le esigenze della vita quoti-diana, dalle più importanti di natura sociale e sanitaria, ma arrivando anche a quelle che non rientrano necessariamente nell’area del welfare. Si tratta innanzitutto di assistenza sociale e sanitaria “leggera”. Quella cioè dei servizi domiciliari alla per-sona e alle famiglie, estendibile anche all’offerta di gestione domestica e ammini-strativa. Pulizia della casa e manutenzione, ma anche servizi di intermediazione e disbri-go pratiche, e fino alla consulenza professio-nale.

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C’è poi l’ambito sanitario e di benessere generale, che si compone di orientamento, consulenza e prevenzione. Qualche esempio? Fisioterapia, corretto stile di vita e controllo dell’alimentazione, senza dimenticare lo sport e il wellness. Sempre più importante per le famiglie è l’offerta di formazione e cultura, che si tratti di vera e propria istruzione o proposte di intrattenimento culturale. Chiudono la lista quelle attività imprenditoriali che offrono so-luzioni di ospitalità, ristorazione e catering al servizio delle famiglie, per i più piccoli ma anche per “salvare tempo” ai genitori che la-vorano.

Il CESU in Francia Un aiuto allo sviluppo delle categorie può venire anche dall’esperienza francese del CESU, voucher per servizi erogato a dipen-denti e cittadini da datori di lavoro ed enti pubblici sotto il controllo dall’Agence natio-nale services à la personne, un organismo creato appositamente per gestire lo stru-mento. I servizi richiedibili con il voucher sono stati divisi in tre macro-aree:

• servizi alla famiglia, per assicurare l’equilibrio dei tempi di vita e lavoro;

• servizi per la vita quotidiana, cui dele-gare le piccole incombenze;

• servizi per le persone non autosuffi-cienti, che siano bambini nei primi an-ni di vita o anziani, malati e portatori di handicap.

L’elenco dettagliato per ogni categoria, con-sultabile sul sito dell’Agence nationale, è e-stremamente ricco. E’ possibile richiedere ri-petizioni scolastiche e assistenza informatica a domicilio, giardinaggio e bricolage, e tele e video-assistenza per rassicurare le persone sole o isolate. Dalle più “tradizionali” pulizie domestiche e preparazione dei pasti a domicilio fino alle piattaforme telefoniche o internet per “met-tere in relazione” il cittadino al servizio o en-te di cui ha bisogno. Chiudono l’elenco i ser-vizi di trasporto, ma anche cura ed estetica a domicilio e dog-sitting.

Le Community Interest Companies in Gran Bretagna Le CICS, imprese sociali che offrono servizi alla comunità, si rivolgono agli imprenditori disposti a investire in attività che perseguo-no finalità sociali e i cui profitti devono esse-re per legge reinvestiti nell’attività stessa o nella comunità. Le CICs devono dimostrare di operare a servizio delle esigenze della co-munità per essere approvate dal Regulator, l’autorità di vigilanza e monitoraggio. Il rap-porto annuale 2011-2012 registra quasi 6.400 CICs, di cui 2.087 approvate nel corso del 2012, che sempre più spesso sviluppano reti e forme di coordinamento a livello sia lo-cale che nazionale. Il sito del Regulator offre un’ampia lista di case study di successo provenienti da tutto il paese. Uno per tutte quello di Women Like Us, ini-ziativa nata a Londra da Karen Mattison e Emma Stewart, mamme e fondatrici. Le due imprenditrici si sono rese conto che ci sono più di mezzo milione di donne in Gran Bretagna che vorrebbero (ri)cominciare a lavorare ma non riescono a trovare un’occupazione adatta al loro essere madri e mogli. Dall’altro lato ci sono poi le aziende, che spesso vorrebbero lavoratrici part-time qualificate. E’ nata così l’idea di offrire con-sulenza alle mamme, spesso “reclutate” attraverso le scuole dei figli, per affac-ciarsi nel mondo del lavoro. Women Like US si occupa poi di proporre le figure professio-nali ad aziende grandi e piccole. I progetti delle CICs vanno dall’accompagnamento al mondo del lavoro di soggetti vulnerabili alla formazione e col-locamento di operatori socio-sanitari e assi-stenti familiari, fino a esperienze come Make a Difference, uno spazio multi-servizio per giovani che ospita attività culturali e di ag-gregazione e offre la possibilità di prestare servizio volontario.

Motech come motore di occupazione Non dimentichiamo poi che i servizi alle per-sone, oltre che costituire una risorsa essen-ziale per la vita dei cittadini, sono in grado di produrre occupazione. Come ha dimostrato l’esperienza francese del CESU, si tratta di occupazione nuova ma anche “rinnova-ta”, emersa e regolarizzata dal mercato

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nero dei servizi domiciliari. Basti pensare che nel 2008 secondo il dossier “Badanti: la nuova generazione” in Italia lavoravano 4.000 mila assistenti familiari (di cui 700.000 straniere), e solo una su tre aveva un contratto di lavoro. Ancor più significativo il dato sui costi: nello stesso anno, le fami-glie italiane hanno speso 9 miliardi 352 mi-lioni di euro – pari a circa il 10% della spesa sanitaria sostenuta dalle regioni – per retri-buirne il lavoro regolare o meno. Il Rapporto sul mercato del lavoro 2011-2012 del CNEL evidenzia chiaramente che in Italia la percentuale degli occupati nell’ambito dei servizi alle famiglie cre-sce più velocemente che nel resto d’Europa. La domanda di servizi di natura sociale e sanitaria “leggera” continua a farsi sentire, mentre per lungo tempo il settore dei servizi nel nostro paese è rimasto sotto-sviluppato rispetto a quello industriale, che oggi invece risente maggiormente della crisi. Le donne nel mercato del lavoro sono sem-pre di più, e si osserva un aumento consi-stente della domanda di servizi in ambito sa-nitario, dell’assistenza sociale e delle collabo-razioni domestiche. (Fonte “Il Corriere della Sera”)

Serve un forum per le pari opportunità?

Che un Forum per la parità di genere (nelle possibilità/occasioni lavorative) approdi in Italia è già di per sé sorprendente. Ma come proprio da noi? Dove c’è bisogno di una leg-ge – peraltro frutto di un intenso lavoro par-lamentare animato da convergenze politica-mente inedite – per stabilire che nei consigli di amministrazione di enti pubblici e società quotate a Borsa Italiana ci sia almeno un quinto di rappresentanti donne.

La legge Golfo-Mosca ha, certo, avuto il me-rito di elaborare una road map per garantire l’inclusione femminile nelle misteriose quan-to inarrivabili stanze dei bottoni. Ma – si converrà – il cantiere è stato appena aperto e il fattore D in realtà è lungi dall’essere sta-to finalmente “sdoganato” nei posti di co-mando di un’Italia così irresistibilmente at-tratta dalle rendite (maschili) di posizione. Ora ci prova Sodexo, uno dei brand mondiali nella consulenza (motivazionale) alle aziende e nei servizi tipicamente welfare (come sani-tà e istruzione) – estranei alla cultura italica fondata sul pilastro pubblico – ad alzare l’asticella individuando un obiettivo minimo, ma simbolico: dei 300 top manager al suo interno, un quarto dovrà essere donna entro il 2015. Per farlo – si dirà – basterebbero di-rigenze illuminate e non forum spesso terri-bilmente auto-referenziali, in cui il rischio è il presenzialismo e le photo-opportunity. Certo il segnale che induce all’ottimismo cir-ca l’odierno evento Swift – Sodexo Women’s International Forum For Talent (Milano, Hotel Seven Stars Galleria, dalle ore 15.30) – è la scelta del Paese ospitante. L’Italia non brilla per le politiche di valorizzazione della diver-sità. E soprattutto impedisce l’effettiva rea-lizzazione professionale delle donne che ot-tengono migliori risultati scolastici, eppure il tasso di occupazione femminile è al 47,2%, rispetto a una media europea del 58,6%. Cifre risapute. Ora è arrivato il momento di invertire la tendenza, perché l’Italia a cresci-ta zero dell’ultimo decennio non può permet-tersi ancora steccati ed esclusioni. Ostacoli. E privilegi d’antan. Pena il progresso civile ed economico del Paese. (Fonte “Il Corriere della Sera”)

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MALATI

DI

PRECARIETÀ

Uno studio su un campione di lavoratori tra i 15 e i 30 anni mostra come il lavoro a tempo determinato riduca il loro benessere psicolo-gico e la loro felicità. Specialmente se sono uomini e non ricevono assistenza economica dalla famiglia. Le condizioni di lavoro nei paesi europei sono cambiate drasticamente negli ultimi venti anni, testimoniando una riduzione dei con-tratti “standard” full-time e un aumento dei contratti a tempo determinato. Tutto ciò si è verificato anche in Italia, dove, in segui-to all’entrata in vigore della legge Biagi, il la-voro a tempo determinato si è diffuso am-piamente, particolarmente tra i giovani. LE BASI DELLA RICERCA A pochi anni dall’entrata in vigore della legge Biagi il panorama italiano comincia a essere arricchito dalle prime verifiche empiriche sul-la possibilità che il lavoro temporaneo rap-presenti un canale di ingresso nel mercato del lavoro a tempo indeterminato, o se possa essere invece una trappola che conduce a una situazione di “precariato permanen-te”. (1) Sono quasi del tutto assenti invece, a li-vello nazionale, lavori che mettono in rela-zione lavoro atipico e salute dei lavoratori, contributi di cui è ricco il panorama interna-zionale. La letteratura empirica sull’influenza delle

condizioni contrattuali che considera il lavoro temporaneo e quello permanente mette in rilievo soprattutto uno svantaggio: la ridu-zione del benessere psicologico dei lavo-ratori sembra essere molto simile a quella causata dalla disoccupazione con cui il preca-riato condivide molte caratteristiche, come basse credenziali e basso reddito. Questi ri-sultati trovano conferma in una ricerca basa-ta sui dati della survey «Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari» condotta dall’Istat tra il 2004 e il 2005 (i più recenti dati disponibili ad oggi), integrati con i mi-cro-dati forniti dalla Banca d’Italia del-l'«Indagine sui bilanci delle famiglie italiane» - nota come Shiw, dall’inglese Survey on Households Income and Wealth - che contie-ne informazioni sul reddito e sulla ricchezza delle famiglie. L’analisi è condotta su un campione di 8280 individui attivi nel mercato del lavoro e di età compresa tra i 15 (età minima legale per iniziare a lavorare in Italia nel 2005) e i 30 anni. (2) Sono i giovani lavoratori infatti a esse-re stati maggiormente interessati dal proces-so di liberalizzazione del mercato del lavoro che ha investito l’Italia nell’ultima decade. Per studiare le conseguenze sul benessere individuale del lavoro temporaneo e della mancanza di sicurezza sul lavoro, l’analisi considera quattro indicatori di salute: la salute percepita, una misura di felicità, una misura oggettiva di benessere fisico e una oggettiva di salute mentale. La salute percepita è stata inferita impiegan-do un indicatore di benessere/malessere psi-cofisico raccomandato dall’Oms: alla doman-da «Come va in generale la sua salute?» l’intervistato risponde esprimendo un giudi-zio su una scala categorica a cinque valori (molto male, male, discretamente, bene, molto bene). È stato, inoltre, utilizzato il questionario SF-12 dalla Health Related Qua-lity of Life Instrument Short Form. Si tratta di un questionario composto da dodici do-mande dalle quali vengono ricavati due indici sintetici relativi alla funzionalità fisica e men-tale, il Physical Component Summary (Pcs) score e il Mental Component Summary (Mcs) score. Tali indicatori sono stati per prima in-trodotti dalla Rand Corporation e sono lar-gamente utilizzati come misure oggettive di benessere fisico e psicologico. Infine, è stata utilizzata una misura di felicità: si tratta di

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un indicatore misurato ancora su una scala ordinale che va da 1 a 5, dove 1 indica “Così infelice che le sembra che la vita non abbia valore“ e 5 “felice e interessato alla vita”. IL PROBLEMA DELL’AUTO SELEZIONE

Un possibile problema di uno studio che in-tende esplorare gli effetti sulla salute dei contratti a tempo determinato è costituito dalla possibilità che gli individui si siano auto selezionati in un lavoro temporaneo a causa di preesistenti problemi di salute. L’eventualità è affrontata nella ricerca trami-te il metodo del matching statistico. Il me-todo prevede prima di tutto di calcolare la probabilità di essere assunti con un contratto a tempo determinato. Le stime dei parametri della probabilità di avere un lavoro tempora-neo vengono trasformate in un punteggio (score) che riassume le caratteristiche os-servabili (età, sesso, zona geografica, stato maritale, livello di istruzione, tipo di industria e occupazione, esperienza lavorativa, reddi-to, composizione familiare ecc.) che differen-ziano i lavoratori temporanei dai lavoratori con contratto a tempo indeterminato e che sono associate alle condizioni di lavoro e allo stato di salute individuale. Lo score permette di selezionare tra i lavoratori a tempo inde-terminato un individuo “gemello” per ogni lavoratore temporaneo così da minimizzare tutte le differenze sistematiche che possono influire sulla stato di salute individuale. I “gemelli” con contratto a tempo indetermi-nato sono coloro che presentano un punteg

gio il più vicino possibile all’individuo di rife-rimento con contratto di lavoro temporaneo. Infine, l'effetto medio del lavoro a tempo de-terminato (Average treatment effect on the treated, Att) è misurato dalla differenza negli indicatori di salute e felicità: l’ipotesi è che dati due individui il più possibile simili in termini di caratteristiche osservabili, even-tuali differenze nello stato di salute fisico e psicologico sono imputabili all’effetto del la-voro a tempo determinato. LO STRESS DELL’ASPIRANTE “BREAD WINNER” I risultati del lavoro mostrano un effetto negativo dei contratti di lavoro a tempo de-terminato sulla salute psicologica (Mcs e felicità) ma non fisica dei giovani lavoratori italiani I lavoratori a termine, ad esempio, presen-tano circa mezzo punto percentuale in meno di salute psicologica nello score di salute mentale e dichiarano molto più frequente-mente di sentirsi infelici e poco interessati alla vita. Tuttavia, le conseguenze negative del lavoro a tempo determinato sembrano essere tipicamente un problema maschile. Le donne, probabilmente grazie al lavoro fles-sibile, riescono a conciliare meglio i tempi di vita con quelli lavorativi e pertanto non sem-brano soffrire delle condizioni di lavoro più flessibili. Avere una famiglia alle spalle conta molto per il benessere psicologico dei lavoratori precari: i lavoratori che vivono con la fami-glia o che ne ricevono assistenza economica, risentono meno dello stress di un contratto di lavoro instabile. In sintesi, il profilo mag-giormente stressato dalla precarietà sembra essere quello del cosiddetto uomo “bread winner”, la cui principale fonte di reddito è il proprio lavoro. Per questi individui, è proba-bile che le condizioni di precarietà siano par-ticolarmente stressati, a causa della respon-sabilità che avvertono nei confronti del man-tenimento della famiglia o dell’indipendenza dalla famiglia di origine. Anche se il contratto a tempo indeterminato può essere “noioso”, per dirla con il presi-dente del Consiglio Mario Monti, e coloro che lo cercano un po' "choosy", per dirla con il

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ministro Fornero, molti sarebbero d’accordo con Marcel Proust nel sostenere che "la noia è uno dei mali minori che dobbiamo soppor-tare" e allo stress di un lavoro a termine pre-ferirebbero la noia di uno a tempo indeter-minato. (Fonte www.lavoce.info)

TROPPE INSEGNANTI E POCHE INGEGNERE: STIAMO TARPANDO LE ALI ALLE NOSTRE

FIGLIE?

Vogliamo davvero la parità sul lavoro? E allo-ra bisogna prenderle da piccole, le ragazzine. E fare il possibile per non imbottir loro la te-sta di stereotipi stantii. Dei danni fatti dalla retorica del principe azzurro si parla tanto. Un po’ meno della sindrome di Mary Poppins. Le donne? Ottime per insegnare, fare le se-gretarie, le impiegate, le infermiere. Ma an-che le commesse, le parrucchiere/estetiste, le bancarie, le contabili, le assistenti sociali, le psicologhe, persino le addette al marke-ting. Ma le ingegnere? Meglio di no. Le scienziate? Se non fosse per Rita Levi Mon-talcini adesso nemmeno riusciremmo a im-maginarcela, una ricercatrice. Qualcuno dirà: ma questo è un mondo che non c’è più, oggi le donne fanno tutto, spes-so meglio degli uomini. Sì, in teoria. La real-tà è ancora un’altra cosa. Basta guardare i dati del ministero dell’Istruzione sugli iscritti alle scuole superiori. Aggiornati al novembre 2012. Bene: al liceo classico le donne sono il 70 per cento, i maschi il 30. Per carità, chi ha studiato al classico poi può iscriversi an-che a ingegneria con ottimi risultati. Ma la strada maestra porterebbe in altre di-rezioni.

Nella categoria “altri licei” di cui fanno parte gli indirizzi “linguistico” e “scienze umane” le donne sono l’80 per cento. In compenso ne-gli istituti tecnici non arrivano al 35. Non sarà che stiamo tarpando le ali alle no-stre figlie? L’unica consolazione e che il limite non è solo nostro. L’Unione Europea ha promosso una campagna per incentivare le donne a iscri-versi alle facoltà scientifiche. Una delle cin-que tappe previste negli stati membri, dal ti-tolo “Science: it’s a girl thing”, “Scienza: è roba da ragazze”, si è svolta venerdì 23 no-vembre al museo della scienza e della tecni-ca di Milano: nove Ricercatrici con la R maiu-scola mobilitate per spiegare alle ragazze delle superiori che la scienza è femmina, e non solo sul vocabolario. (Fonte“Il Corriere della sera”)