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[ the old ways >

PERIODICO BIMESTRALE Anno I Numero 5 Luglio 2010 IVANNEUM

ANNO I NUMERO 5 LUGLIO 2010 [ the old ways >

►► INDICE

► [ Incipit > 5

M Lorenzini

► [ Epica baltica - Intervista a Felice Vinci >

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M Lorenzini

► [ Il Vintage – Memorie di moda > 16

C Lorenzini

► [ Cresciolandia > 18

E Cesarini

► [ Dall‟acqua (IV episodio) > 21

M Lorenzini e L. Mereni

◄ Sella dell’Acciattore

(Isola di Capraia) Cerchi magici rappresentanti curiose ed enigmatiche spirali. Foto di E. Cesarini

◄ IN COPERTINA – Bad Boy Opera plastica di Tommi Toija, 2006

Incipit

di Matteo Lorenzini

C‟è un chiaro tema comune agli articoli di questo numero del Felicione:

la parola. Che sia una parola recente, risultato della fusione di altre parole ma con un significato del tutto nuovo, assai lontano dal “buon vino invecchiato” da cui trae origine (e mi riferisco a vintage); oppure si tratti di un fossile linguistico, sopravvissuto nel greco già antico ad indicare qualcosa di totalmente estraneo a prima vista al mondo egeo, ovvero il Circolo Polare; o ancora, sia un‟espressione dialettale tuttora ben presente nelle parlate locali, o invece un nome, Toija, che accomuna un piccolo villaggio finlandese (ma non vi anticipo nulla in proposito) ed il geniale artista la cui opera campeggia nella copertina di questo mese. La parola è un veicolo straordinario, capace non solo di ospitare significati, ma di raccontare storie

interessanti, a volte dimenticate e finanche sconvolgenti. Come nel caso della rilettura dell‟epica omerica ad opera di Felice Vinci, un tentativo coraggioso che si basa, almeno in parte, su assonanze tra nomi di luoghi e di persone; affascinante, come direbbe il signor Spock, incredibile e poetica risonanza di destini e lingue in un intreccio drammatico che racchiude storie nelle storie. Abbiamo l‟onore di ospitare, in queste pagine, un‟intervista a Felice Vinci che con grande gentilezza e sapienza ha accettato di raccontarci la sua idea dell‟epos omerico, nata

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nella culla delle parole e affinata nell‟attenta lettura di versi antichi. E vale forse la pena sottolineare che epos, in fondo, non significa altro che parola.

Perché, allora, un titolo come the old ways? Perché vi è un innegabile legame tra le storie narrate dalle parole ed il ricordo del mondo d‟un tempo. Le vecchie maniere, le tradizioni, i proverbi e gli abiti smessi sono voci malinconiche che raccontano con fanciullesca onestà di un mondo ormai lontano, ripulito dal tempo e perciò fresco, accogliente, limpido. Penso sia per questo che alcune espressioni obsolete risvegliano in noi simpatia e sentimenti positivi. La stessa parola malinconia è in qualche modo superata e passata, ma dolce e meno cruda dei sinonimi più attuali come depressione o abulia; e così le varianti desuete come melanconia, melancolia, melencolia.

Quante altre parole, ancora usate fino ad un decennio fa, magari dalla generazione dei nonni, ed oggi non dimenticate ancora, semplicemente messe da parte! Nelle case, ad esempio, la porta era l‟uscio che introduceva in un àndito fresco, su cui si affacciavano stanze come il salotto od il tinello, e in fondo la ritirata (la toilette). Si saliva un tempo in vetta ad una collina; si giocava con i balocchi, ovvero ci si baloccava; ci si riferiva, nelle determinazioni di tempo, a fatti avvenuti dianzi o che sarebbero accaduti d’ora innanzi. Altre parole che mi sovvengono: règolo, una barretta di legno; pipita, la pellicina delle unghie; la marra ed il marretto, che sono tipi di zappa; e via così. E sorprende, per un toscano, sapere che in tanta parte d‟Italia le parole sicché e babbo sono considerate in disuso.

Tra le motivazioni che hanno condotto alla nascita del Felicione vi è proprio il desiderio di salvare tutto quello che, tra parole e immagini, costituisce l‟espressione delle nostre vecchie maniere, perché quello che le nostre amicizie hanno creato rimanga alla portata della nostra considerazione e del nostro ricordo. E non solo: il Felicione è anche un invito a creare nuove idee e nuovi racconti, perché la materia del tempo che ci passa tra le mani, questa melassa informe, non sfugga via liquida ed inutilizzata. Possiamo fare molto, e questo è l‟invito. Affinché tante nostre idee neglecta ne nefas morentur, apto autem meminisse sinant dulcissimae

verbo. ■

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Epica baltica Intervista a Felice Vinci

di Matteo Lorenzini

Immaginate di aver ricevuto da un amico un bigliettino contenente le indicazioni dettagliate per raggiungere una festa di compleanno. Fin qui nulla di strano: al volante della vostra auto iniziate a seguire passo passo le istruzioni tracciate sul foglio. Imboccate viale della Repubblica e lo percorrete fino al terzo semaforo, e qui, secondo la vostra guida, dovreste svoltare a destra, in via Lunga. Peccato che a destra del semaforo non si trovi affatto via Lunga, ma corso Impero. Non importa, vi dite, e girate ugualmente a destra. Poi, dice il biglietto, dovreste trovarvi di fronte il gran Palazzo delle Esposizioni, e qui imboccare un sottopasso; ma del palazzo nemmeno l‟ombra. Avete invece davanti la mole grigia del Grattacielo della Tecnica. Eppure questo non vi turba: dopo poco imboccate comunque un tunnel sotterraneo.

E così, tra una piazza con fontana che in realtà è un giardinetto ed un viale Corsica che in realtà si chiama circonvallazione Mentana, alla fine scendete di macchina e vi presentate alla festa, che non è al terzo piano, come scritto sul foglio, ma nella corte di una villetta. Certo, qui non c‟è il vostro amico ad aspettarvi. Ma, tutti soddisfatti, senza il minimo turbamento, vi godete patatine e aperitivo seduti a bordo piscina. Anche se non avete la minima idea di chi sia il festeggiato…

Un racconto assurdo, è vero; ma dopotutto non così improbabile. Vi

sorprenderebbe sapere che qualcosa di molto simile non solo è probabilmente accaduto a voi, ma anche a moltissimi altri?

Chi di noi, infatti, non ha mai letto e studiato sui banchi di scuola l‟epica omerica, quel meraviglioso retaggio eroico e mitologico che in due libri, Iliade ed Odissea, racconta la storia più immaginata e più sognata tra tutte quelle che conosciamo? Eppure non ci siamo fermati di fronte alle numerosissime incongruità che costellano le moderne ricostruzioni geografiche e storiche della guerra sotto Troia, e, proprio come nell‟esempio precedente, abbiamo accettato finanche l‟assurdo con splendida disinvoltura. Tanto che, alla fine, nella nostra mente si è radicata l‟immagine prodotta da libri e testi scolastici, probabilmente molto, molto diversa dall‟originale mondo cantato dal vate cieco.

Per fortuna, non tutti sono caduti in questa sorta di straniamento. C‟è chi non trova sciocco, anzi necessario porre delle domande. Come può un‟intera isola, Dulichio, ben presente nei poemi, semplicemente non esistere nel Mediterraneo di oggi? Come può il Peloponneso, aspra penisola greca,

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essere sistematicamente definito pianeggiante da Omero? E perché poi il suo nome, Peloponneso, letteralmente indica un‟isola, l‟Isola di Pelope? In definitiva, per riassumere molte domande simili, perché tutta l‟ambientazione geografica dei poemi nel contesto greco appare approssimativa, incoerente, forzata?

E poi molti altri interrogativi, non di tipo geografico ma comunque pressanti: chi sono veramente gli Achei, gente alta, di carnagione chiara e sovente descritti come biondi lunghichiomati? Perché il mare in Omero è brumoso, livido, coperto di fitta nebbia, ben diverso quindi dall‟azzurro e luminoso Egeo? E come possono i campioni dell‟Iliade darsi battaglia per due giorni consecutivamente, vale a dire anche durante la notte?

A tutte queste domande, ed a molte altre, ha cercato di dare una

risposta Felice Vinci, romano, ingengnere nucleare, coraggioso ricercatore ed ovviamente studioso appassionato di mitologia greca. La sua tesi è originale, sconvolgente, meravigliosa per la semplicità con cui risponde a tutti gli interrogativi e soprattutto molto ben circostanziata.

Proviamo a riassumere in un paragrafo la tesi di Felice Vinci, con la straordinaria messe di argomentazioni e prove addotte a suo sostegno. Supponiamo, seguendo lo studioso (a sua volta indirizzato da un passo di Plutarco che indicava la posizione di Ogigia “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia”), che il vero teatro dell‟Iliade e dell‟Odissea non sia stato l‟Egeo, ma il mar Baltico. Compiamo questo balzo vertiginoso verso il nord, dapprima perplessi e convinti si tratti di una operazione assai artificiosa e ingiustificata. E invece niente di più falso: sulle rive del golfo di Botnia, della Danimarca, della Svezia incontriamo tutta una serie di toponimi straordinariamente simili agli originali greci, come Tåsinge (Zacinto), Langeland (letteralmente “isola lunga”, esattamente lo stesso significato di Dulichio), Fårö (l‟isola di Faro), Neksø (Nasso) e mille altri. Perfino la Troia omerica riecheggia nel nome di una piccola cittadina finlandese, Toija. Impossibile esplorare qui tutte le rispondenze che avvalorano la tesi di Felice Vinci, esposte con dovizia e chiarezza nel libro Omero nel Baltico: basti dire che le isole corrispondono ad isole, che le pianure risultano essere vere pianure, e che tutta la geografia omerica aderisce senza contraddizioni al mondo baltico. Ed infine, come sono giunti i due poemi nel mondo mediterraneo? Hanno viaggiato assieme agli Achei, genti stanziate nella regione scandinava e spinte poi da cambiamenti climatici a migrare verso le rive dell‟Egeo. Qui essi avrebbero poi dato ai nuovi luoghi i nomi dei luoghi di origine, ricostruendo quindi una mappa del loro mondo applicata alla geografia della Grecia. Una mappa non perfetta, per ovvi motivi. Ed ecco spiegate le contraddizioni!

Consigliamo la lettura del volume Omero nel Baltico, un libro molto interessante e coinvolgente che tra gli altri ha il merito di ribaltare le prospettive e riaffermare il valore del dubbio metodologico; abbiamo intervistato Felice Vinci, cercando di trasmettere al lettore la passione e la determinazione della sua ricerca.

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Dottor Vinci, sappiamo che tutto ha avuto inizio da Ogigia-Hoyggoy. Ma come è accaduto? Una folgorazione casuale, od il risultato di una precisa volontà di chiarire le (apparenti) contraddizioni del mondo omerico?

In realtà tutto ha avuto inizio allorché mi sono imbattuto in un passo di

Plutarco secondo cui l‟isola Ogigia è collocata nell‟Atlantico del nord, “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia in direzione della sera (pros hesperan)”. Da qui sono risalito alle Faroer, che rispetto alla Gran Bretagna si trovano quasi a nord (corrispondente alla direzione del tramonto estivo a quelle latitudini), indi alla costa norvegese (la Scheria omerica), all‟Itaca danese e così via, scoprendo man mano che tutta la geografia omerica, la quale ha una fortissima coerenza interna ma è totalmente estranea al Mediterraneo, quadra perfettamente col mondo nordico (d‟altronde già nell‟antichità studiosi come Strabone e Cratete di Mallo avevano sospettato che le avventure di Ulisse fossero ambientate in un contesto atlantico-settentrionale).

La dottrina scientifica talvolta ostacola le idee innovative, come se

la comodità di un mondo “ben conosciuto” fosse più rassicurante dei dubbi insinuati dalla ricerca. Ma per Omero sembra sia stata fatta una eccezione: niente di certo, solo un’infinità di congetture. Chi si nasconde dietro il nome del vate cieco?

Il nome di Omero è, a mio avviso, una sorta di “etichetta” dietro cui vi

sono almeno due grandissimi poeti – il primo, quello della primitiva versione orale dell‟Iliade, l‟altro, assai diverso dal precedente, a cui dobbiamo la prima stesura dell‟Odissea – entrambi probabilmente nordici, data la qualità e precisione dei dettagli geografici da essi riportati. Dopo la discesa dei biondi Achei nel Mediterraneo – presumibilmente avvenuta nella prima metà del II millennio a.C., allorché i Micenei si stanziarono in Grecia e molte altre popolazioni indoeuropee apparvero quasi contemporaneamente in varie regioni dell‟Eurasia meridionale – passarono vari altri secoli, nel corso dei quali i nuclei originari dei due poemi continuarono ad essere trasmessi oralmente, fin quando, attorno all‟VIII secolo a.C., apparvero i poemi omerici, contemporaneamente all‟adozione della scrittura alfabetica nel mondo greco: evidentemente i Greci, non appena ebbero la disponibilità di questo duttile modo di “scrivere le parole”, ne approfittarono subito per mettere per iscritto la loro tradizione epica, che fino ad allora si era tramandata per via orale. Non possiamo peraltro escludere che il nome di Omero sia riferibile non ad uno dei due compositori originari, bensì a qualcun altro che si accollò questa operazione di trascrizione (comunque sarà quasi impossibile saperlo con certezza).

Achei che vivono sulle rive del Baltico, e poi quasi d’un tratto una

grande migrazione. Come si immagina queste genti nel giorno della partenza?

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Mi riesce difficile immaginare un‟unica enorme partenza, con tamburi e fanfare… Credo piuttosto che di partenze ve ne siano state diverse, man mano che il clima del nord, incrudendosi, rendeva sempre più difficile il sostentamento di quelle popolazioni, con i raccolti che di anno in anno si facevano sempre più magri. Come spesso si è tramandato a proposito delle migrazioni degli antichi (pensiamo al caso degli Etruschi), una parte della popolazione partiva, mentre altri restavano nella terra natìa. Così si spiega anche il fatto che, da un lato, sussistano ancora nel nord molti toponimi simili a quelli mediterranei, e che, dall‟altro, una persistente tradizione che attraversa tutta la letteratura greca, da Pindaro a Erodoto a Diodoro Siculo ecc., ribadisca i fraterni rapporti fra i Greci dell‟età classica ed i popoli “iperborei”, ossia quelli del settentrione.

Nel 2007 si è svolto a Toija un workshop incentrato sulla Troia

omerica, nell’ambito di un festival tutto dedicato all’argomento omerico. Lei in quell’occasione ha tenuto un seminario intitolato proprio Omero nel Baltico; e prima e dopo di lei altri studiosi di varie provenienze hanno presentato studi e contributi. Scorriamo la lista interessantissima dei seminari, da Cariddi a Ulisse, fino a temi assai generali, come il destino delle idee innovative. Che aria si respirava in quell’occasione?

Questo convegno scientifico internazionale tutto incentrato su Omero nel

Baltico è stato un‟esperienza straordinaria, di quelle che vale la pena vivere anche solo una volta nella vita. Nell‟aria si avvertiva nitidamente la consapevolezza di partecipare ad un evento “storico”! La ciliegina sulla torta è stato il sopralluogo che il giorno dopo alcuni professori, che avevano partecipato al convegno, hanno fatto sull‟area collinare, situata nei dintorni di Toija, dove a mio avviso millenni fa sorgeva la Troia omerica: in quell‟occasione è apparsa la perfetta congruenza (già da me verificata qualche anno prima attraverso una ricognizione aerea) con le descrizioni dell‟Iliade, e non solo: è emerso che quella zona ha un nome, Kavasto, senza senso in finlandese, ma che è riconducibile, nel greco di Omero, al concetto di “città incendiata” (il resoconto di quella ricognizione, scritto dal prof. Giacomo Tripodi dell‟Università di Messina, è riportato nella V edizione di Omero nel Baltico).

Ancora nessuna vanga ha violato il terreno di Toija; e sappiamo

dalla storia dell’archeologia che anche di fronte all’evidenza oggettiva dei resti, rimane sempre il grande scoglio dell’interpretazione e della ricostruzione. Schliemann ha scoperto una città, molte città, ma quanto legittimamente in essa abbia visto la Troia di Priamo resta da chiarire. Oggi quale pensa potrebbe essere un riscontro conclusivo per la sua ipotesi?

Che la città scavata da Schliemann nella collina di Hissarlik non possa

essere la Troia omerica è ormai un dato acquisito da parte degli studiosi. Su quel sito a suo tempo aveva già espresso fortissimi dubbi il prof. Moses Finley nel suo capolavoro, Il mondo di Odisseo; più recentemente, basta leggere ciò che ne dice lo Hertel, autorevole professore di archeologia all‟Università di

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Colonia (ha scavato anche a Hissarlik), nel suo saggio Troia. Il colpo di grazia a tale identificazione lo hanno dato gli studi geologici dai quali è recentemente emerso che la pianura ai piedi della collina – ossia, secondo lo Schliemann, il campo di battaglia fra Achei e Troiani – tremila anni fa era ricoperta dal mare! Ciò premesso, data invece l‟enorme mole di argomenti a favore della mia ipotesi (basti pensare che l‟edizione americana di Omero nel Baltico è stata adottata come libro di testo al Bard College di New York), a mio avviso basterebbe verificare che sulle colline adiacenti all‟attuale Toija durante l‟età del bronzo vi fosse una città. E le premesse di certo non mancano! A parte i numerosissimi tumuli dell‟età del bronzo, del tutto simili a quelli descritti nell‟Iliade, che costellano il territorio, pensiamo alle straordinarie corrispondenze morfologiche con le descrizioni omeriche, per non parlare delle decine di toponimi che ricordano gli alleati dei troiani: oltre al citato Kavasto, “la città incendiata”, Askainen, Reso, Karjaa, Tenala e tanti altri, tra cui Aijala, corrispondente alla "spiaggia", aigialos in greco, dove gli Achei sbarcarono e costruirono il loro campo fortificato, mentre verso l‟interno nei toponimi “Tanttala” e “Sipilä” risuonano nomi ben noti della mitologia greca (il mitico re Tantalo, confinante con la Troade, fu sepolto sul monte Sipilo). A ciò si aggiunge la meteorologia tutt'altro che mediterranea, con nebbia, vento, freddo, pioggia, neve – quest'ultima anche in pianura e perfino sul mare – mentre il sole, e soprattutto il caldo, sono quasi sempre assenti. Ma la prova decisiva è rappresentata dalla grande battaglia che occupa i libri centrali dell'Iliade, con due mezzogiorni intercalati da una “notte funesta” che non interrompe i combattimenti, spiegabile soltanto in chiave di localizzazione nordica: è infatti il chiarore notturno, tipico delle alte latitudini nei giorni attorno al solstizio estivo, che consente alle truppe fresche guidate da Patroclo di continuare a combattere ininterrottamente fino al giorno dopo. E, come se non bastasse, c‟è anche la concomitanza dell‟ondata di piena dei due fiumi di Troia, lo Scamandro e il Simoenta, nella battaglia del giorno successivo, in cui lo stesso Achille rischia di annegare: ciò è in accordo con i regimi stagionali dei fiumi nordici, le cui piene primaverili, susseguenti al disgelo, avvengono tra maggio e giugno, ossia proprio quando si verificano le notti bianche. Da tutto ciò si può trarre subito una conclusione: il racconto dell‟Iliade, finora relegato nel mondo del mito proprio per la difficoltà di riconoscere i luoghi dove quegli eventi erano avvenuti, a questo punto si rivela essere una cronaca dettagliata di fatti realmente accaduti quasi quattromila anni fa!

Subiamo in molti il fascino di una rilettura del passato della Terra e

dell’Uomo che si dimostri libera dal vincolo accademico, anche quando essa sconfina in territori mistici o fantapositivistici: è il caso di Churchward, o del grande Kolosimo. Per lei, quale studioso e scienziato, esistono, tra le molte ipotesi non iscritte nel solco accademico ufficiale, elaborate da personaggi singolari o seri studiosi, teorie che meritino una considerazione accurata?

Qui innanzitutto va detto – come giustamente sottolineato dal prof.

Claudio Cerreti, Ordinario di Geografia all‟Università di Roma, nella sua positiva recensione di Omero nel Baltico sull‟accademico Bollettino della

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Società Geografica Italiana – che l‟ambientazione mediterranea dei poemi omerici “non è una qualche certezza scientificamente provata, ma molto più semplicemente una tradizione, che a sua volta ha sempre posto infiniti problemi di dimostrazione”. Ciò premesso, ritengo che lo spirito della vera scienza più che di trionfanti certezze viva di umili ricerche non inficiate da pregiudizi: essa infatti non deve cadere nella tentazione di appoggiarsi a risposte pseudo-definitive, che in taluni casi rischiano di sconfinare in terreni più consoni ai dogmi della religione e comunque rischiano di essere fuorvianti; invece ha sempre bisogno, per non tradire se stessa e lo spirito di Galileo, di mettersi in discussione e porsi delle domande, che sono indice non di fragilità bensì di anelito alla verità. Fuor di retorica, mi viene talvolta da pensare alla fretta con cui in molte parti del mondo sono stati archiviati gli studi sulla fusione fredda, oppure al silenzio calato sui lavori di uno scienziato francese, Louis Kervran, giunto ai vertici dell‟Accademia e poi sconfessato come “eretico” per certe sue ricerche “non ortodosse”: solo il futuro potrà dire se l‟età lo aveva rincitrullito o se invece sia stato un grande precursore… D‟altronde, l‟ormai accreditatissima teoria della deriva dei continenti fino a non molti decenni fa sembrava relegata nel ciarpame delle ipotesi pseudo-scientifiche e poco ci è mancato che il suo iniziale propugnatore, il prof. Wegener, non venisse preso per un mentecatto! In ogni caso, io consiglio a tutti la lettura di un piacevolissimo saggio, Il genio incompreso. Uomini e idee che la scienza non ha capito, del mio amico Federico di Trocchio, professore di storia della scienza all‟Università di Roma, che ormai da molti anni segue con interesse da “addetto ai lavori” la mia ricerca.

Achille, Ettore e Ulisse sono i più famosi, ma non si dimentica

neppure Idomeneo di Creta, gli Aiaci, gli Atridi… Tanti anni di studio le avranno reso questi nomi assai familiari. Ce n’è uno al quale si sente più legato?

Indubbiamente quando ero bambino – alla guerra di Troia mi sono

accostato prestissimo, all‟età di sette anni, per merito di un libro straordinario, Storie della storia del mondo di Laura Orvieto (che è tuttora sul mercato e che raccomando caldamente all‟attenzione di tutti coloro che hanno figli o nipoti ancora piccoli ma già interessati alla lettura) – “facevo il tifo” per Ettore; poi nelle mie letture e riletture dei poemi omerici ho scoperto la figura di Elena, che, sottratta all‟aura fuorviante del mito e ricondotta nella realtà, appare come una fragile, sensibile donna innamorata che non è riuscita a sostenere il peso e le responsabilità del suo ruolo di regina di Sparta: mi fa pensare a Lady Diana, al punto da immaginarmela con le sue sembianze… Un‟altra figura che mi intriga molto è quella di Merione, un personaggio poco noto dell‟Iliade, ma qui non voglio rivelare il motivo del mio interesse: lo possono conoscere solo coloro che hanno letto, o leggeranno, la quinta edizione del mio libro!

Gli Achei hanno dimostrato una lucida coscienza del valore anche

geografico della loro esperienza culturale, tanto da condurre con sé nella migrazione non solo tradizioni e miti, ma un’intera mappa corografica.

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Esistono altri esempi antropologicamente documentati di migrazioni toponomastiche?

Il trasporto dei toponimi con le migrazioni è frequentissimo nella storia,

perché obbedisce a una profondissima esigenza della natura umana: quella di ricostruire il mondo originario da cui si è provenuti! Insomma, è un po‟ un modo per sentirsi nuovamente a casa. Ecco perché tanti luoghi del Nuovo Mondo hanno preso i nomi di città inglesi (pensiamo solo a New York, che oltretutto in precedenza si chiamava Nuova Amsterdam), francesi (New Orleans), spagnole, italiane… E‟ poi singolare che nell‟isola greca di Tinos, la cui forma triangolare ricorda in piccolo la Sicilia, la città di Panormos si trovi in posizione esattamente corrispondente a quella di Palermo! E che dire del fatto che appena ottanta anni fa i coloni veneti che bonificarono le Paludi Pontine diedero ai loro nuovi villaggi i nomi dei luoghi da cui provenivano? Troviamo cosi nel basso Lazio un Borgo Sabotino, Borgo Montello, Montegrappa ecc. Al riguardo, qui giova fare un‟ulteriore considerazione: se gli storici di un lontano futuro, ingannati dalle omonimie, si sforzeranno di ambientare le battaglie della prima guerra mondiale nelle bassure dell‟agro pontino invece che nelle asperità delle Alpi Orientali, finiranno per trovarsi in imbarazzi analoghi a quelli che hanno sempre afflitto gli studiosi di Omero nei loro impossibili tentativi di collocare l‟Iliade e l‟Odissea nel mondo mediterraneo.

Noi non abbiamo dubbi sull’utilità della conoscenza in generale, ed

in specifico della conoscenza delle origini. Ma vorremmo il suo parere: a che serve la “discoverta del vero Omero”?

Rispondo con una frase tratta dalle conclusioni del mio libro: se la mia

tesi “sarà confortata da riscontri positivi, i poemi omerici, riletti in questa nuova prospettiva, consentiranno di fare piena luce su quell‟età del bronzo nordica di cui al momento, a parte i reperti archeologici, ignoriamo praticamente tutto: l‟Iliade e l‟Odissea ci restituiranno intatti nomi, vita, cultura, città, usi, religione, addirittura pezzi di storia di quelle popolazioni. Si apriranno inoltre nuovi affascinanti orizzonti, di ampiezza incalcolabile, per quanto riguarda non solo le indagini sulla protostoria ma, addirittura, le origini e gli sviluppi di tutta la civiltà europea. Infine, la riscoperta di Omero in chiave nordica potrebbe favorire un diverso approccio all'idea di unità dell'Europa – la quale ha più che mai bisogno di ritrovare identità e radici comuni, dopo le tragedie del ventesimo secolo – e, più in generale, contribuire alla nascita di un nuovo umanesimo nella cultura dell'Occidente”.

Chi apprende a grandi linee la sua ipotesi ne rimane dapprima

quasi offeso, tanto è radicata l’immagine della Troia classica collocata sull’Egeo. Devo ammetterlo, anche a me è capitato all’inizio: impossibile, è la prima impressione. Poi la curiosità ha la meglio ed infine il piacere di trovarsi di fronte ad una teoria ben argomentata, plausibile, affascinante, capace di arricchire il tema omerico senza stravolgerne l’immagine. Tuttavia, ancora dopo tanto tempo la tesi di Omero nel Baltico rimane sorprendente e originale. Quale ne è il lato più sconvolgente?

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Io stesso all‟inizio della mia ricerca mi sentivo perplesso, tanto il quadro

per così dire tradizionale mi appariva sconvolto. Poi, man mano che procedevo, nel verificare la naturalezza con cui tutto il mondo omerico s‟inseriva nel contesto nordico (mentre con quello mediterraneo ha sempre “fatto a cazzotti”), ho cominciato a cercare le analogie con fatti avvenuti più recentemente: pensiamo ad esempio alla fine dell‟impero romano, allorché i popoli cosiddetti barbari, provenienti anch‟essi dall‟area baltico-scandinava (Goti, Burgundi, Longobardi…), dopo essersi insediati nelle nostre regioni mediterranee hanno contribuito alla costruzione di una nuova civiltà. Ma per me il lato più sconvolgente ed emozionante è che questa nuova lettura dei due poemi ci libera dall‟idea fuorviante di “mito” e ci conduce dentro un mondo reale, quello dell‟età del bronzo nordica, scomparso da millenni ma che la poesia di Omero ci fa rivivere come se fosse una cronaca di fatti contemporanei, popolata di uomini, donne, vecchi, bambini in tutto e per tutto uguali a noi. Insomma, una sorta di messaggio in bottiglia, chissà come arrivato quasi intatto fino a noi dopo aver attraversato il mare dei millenni in balìa delle tempeste della storia. Ma ora vorrei concludere questo discorso citando una frase del prof. Per Högselius (che insegna Storia della Scienza all‟Università di Stoccolma), tratta dall‟articolo intitolato Tänk om Ithaka låg i Östersjön (“E se Itaca si trovasse nel Baltico”), pubblicato il 2 gennaio 2008 sul quotidiano svedese Svenska Dagbladet: “E‟ allettante immaginare che la teoria di Felice Vinci alla fine si riveli corretta. In tal caso Omero risulterebbe uno straordinario narratore dell'età del bronzo nel mondo baltico, un sensazionale complemento a fonti semistoriche di periodi più recenti come Saxo, Snorri, la cronaca di Nestore ecc. Emergerebbero le strette relazioni – quattromila anni fa! - tra uomini e società sulle due opposte sponde del mare, talora in guerra, talora in pace. Ulisse diventerebbe un instancabile navigatore del Baltico che al suo ritorno da Penelope, che lo aspetta a Lyø, si porta dietro 20 anni di guerra in Finlandia, viaggi avventurosi oltre le coste estoni e gutniche ed incontri non meno singolari alle Faroer e in Norvegia, in un mondo atlantico al confine tra fiaba e realtà. Senza dubbio questo re di Itaca sarebbe un degno avo dei re danesi che molto tempo dopo si sarebbero avventurati in pericolosi viaggi e incursioni vichinghe verso ovest, ed in crociate verso l'oriente…”.

Quali progetti per il futuro? Come dicono gli orientali, ora me ne sto seduto sulla riva del fiume e

aspetto… ■

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Il Vintage Memorie di moda

di Camilla Lorenzini

Etimologicamente “vintage” nasce dall‟unione di due termini francesi:

“l‟age du vin” (vino d‟annata) e “vendange” (vendemmia). Nell‟uso comune del termine, con “vintage” si intende un oggetto che è stato realizzato nel corso del Novecento (dagli anni ‟20 agli anni ‟80) e che già dal momento della sua progettazione è stato pensato per fare la differenza.

Il vintage come fenomeno inizia ad essere definito tale solo circa sette anni fa ma in realtà esso esiste già dagli anni Sessanta. Nasce infatti in concomitanza con la moda dell‟usato e con essa condivide anche le istanze di ribellione e di differenziazione sociale. Negli anni Sessanta è contestazione, nei Settanta veste femministe e nemici del consumismo (appartenenti sia agli strati alti che a quelli bassi della società), negli Ottanta vive un momento di stallo e diventa momentaneamente mercato per collezionisti. Negli anni Novanta diventa custode e manifesto del passato di qualità e con esso si modifica la mentalità dei venditori e dei compratori. Collezionisti, rivenditori di usato selezionato, produttori industriali, ricercatori di tendenze, stilisti e tutti coloro che necessitano di avere nuovi modelli da proporre, riscontrano nel vintage una miniera di diamanti.

Il vintage dei giorni nostri è un fenomeno molto complesso e articolato. Come atteggiamento il vintage ripropone quello della moda del XVIII secolo. Nel Settecento, infatti, aristocratici e appartenenti all‟alta borghesia ricorrevano all‟utilizzo di fogge e tessuti orientali per differenziarsi e distaccarsi da quelli che erano i diktat ufficiali dell‟abbigliamento, creandosi così una propria identità. Se la necessità di individualità accomuna il vintage alla moda del Settecento però, esistono differenze sostanziali tra le due, una di ordine estetico, l‟altra di tipo sociale. La prima riguarda il fatto che il vintage non è semplice copia di una determinata cosa (come nel caso della ripresa settecentesca del repertorio orientale) ma è più specificatamente selezione e scelta di oggetti del passato. La seconda riguarda invece il fatto che il sentimento di protesta e la voglia di individualismo, che hanno animato il vintage, vengono sia dall‟alto che dal basso della società e non esclusivamente dalla parte più colta e raffinata di essa.

La seconda delle due differenze ci suggerisce la particolare natura del vintage. Il vintage nasce da necessità diverse appartenenti a diversi strati sociali i quali però trovano l‟appagamento ai propri bisogni in un unico fenomeno, il vintage appunto. Le due fazioni in questione sono

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rappresentate da una parte da un‟elite colta e ricca, composta tra gli altri da collezionisti e stilisti, dall‟altra da una protesta giovanile che, stanca di essere assoggettata ai voleri della moda, si è cercata un nuovo modo per crearsi un proprio individualismo.1

La moderna denominazione “vintage” ha contribuito dunque a rilanciare il gusto per la moda dell‟usato, la quale aveva trovato un posto di blocco negli anni Ottanta. Attraverso due principali fatti collaterali, l‟abito usato di qualità è diventato di gran moda e il vintage è stato consacrato a ispiratore e creatore di gusto e stile. Il primo fatto è legato alla segnalazione, da parte dei media, di star vestite in abiti d‟epoca in occasione di eventi pubblici; l‟altro riguarda l‟aumento, in numero, di vendite di modelli di haute couture nelle più famose case d‟asta internazionali.

La clientela del vintage può essere suddivisa in tre fasce principali: i collezionisti, coloro che esprimono la propria personalità con un modo di vestire eccentrico, e gli addetti ai lavori del mondo della moda in cerca di idee. Tra i collezionisti si ritrovano persone che cercano oggetti in base ad un periodo storico, a una marca, a un designer specifico, a una tipologia di oggetti ecc.. Tra coloro che cercano indumenti particolari per vestirsi si trovano persone pronte a comprare di tutto, basta che siano cose inusuali da abbinare ad altre altrettanto inusuali. Tra gli addetti ai lavori della moda si trovano stilisti e gente degli uffici stile che cercano nel vintage ispirazione per le collezioni.

Oltre a queste tre grandi categorie è da segnalare il caso del grande pubblico, ovvero il caso di coloro che comprano vintage esclusivamente per indossarlo. Qui ritroviamo soprattutto giovani che vogliono un qualcosa da abbinare ai propri indumenti comprati nella grande distribuzione, per renderli particolari e personali. Il caso del grande pubblico ha dato il via ad una consuetudine molto diffusa, quella di chi compra, e abbina, contemporaneamente vintage e abiti nuovi. Qui il vintage rappresenta esclusivamente un espediente per differenziare il capo della grande distribuzione dai sui innumerevoli gemelli.

I luoghi del vintage Al commercio del vintage sono destinati molti luoghi diversi. Tra i

negozi europei più famosi ritroviamo: Didier Ludot, nelle halles di Palais Royal a Parigi; Quinto e Tinarelli a Roma; A.N.G.E.L.O. a Lugo di Romagna; Cavalli & Nastri e Franco Jacassi a Milano. Se questi sono tra i più famosi venditori, e collezionisti, di vintage, esistono moltissimi altri luoghi che offrono la possibilità di fare ottimi acquisti, magari anche a prezzi più convenienti. Tra questi ritroviamo: il mercato delle pulci, la boutique specializzata d‟alta moda, la boutique specializzata, il negozio in conto vendita, il negozio di vestiti usati, la boutique virtuale.

1I. Silvestri, Comprendere e conservare il vintage e la sua riproposta nella moda

contemporanea, in Vintage. La memoria della moda, Bologna, Editrice Compositori, 2010,

pp. 11-12.

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Il mercatino delle pulci è tra tutti il luogo più suggestivo; diretto

discendente dei mercati di Parigi, al suo interno possiamo trovare di tutto. Ci sono bancarelle con merce alla rinfusa e prezzo unico e altre più sofisticate che presentano la merce quasi come fossero boutique. I prezzi stracciati sono la caratteristica di base, per questo nei mercatini delle pulci risulta davvero difficile, anche se non impossibile, trovare un buon articolo vintage.

Le boutique specializzate d‟alta moda sono l‟equivalente di templi del lusso. Vi si trovano capi preziosissimi firmati dai nomi più celebri della moda. I prezzi sono esorbitanti e non accessibili ai più. Le star vi acquistano i capi che poi indossano per le occasioni e proprio qui si trovano quegli abiti che hanno fatto risorgere il gusto per l‟usato di qualità.

La boutique specializzata è un negozio leggermente al di sopra rispetto al comune negozio dell‟usato ma che non raggiunge la magnificenza delle boutique specializzate d‟alta moda. Vi si trovano capi bellissimi che difettano solo dell‟assenza della griffe.

Il negozio in conto vendita è un luogo dove i privati lasciano le cose di cui vogliono disfarsi. La merce rimane qui depositata finché non sopraggiunge la vendita; a questo punto il guadagno viene diviso al 50% fra il privato e il venditore. Vi si trova davvero di tutto, dai capi “antichissimi” alla canottiera H&M dell‟estate scorsa.

Il negozio di vestiti usati custodisce un insieme di indumenti casuali. Qui non si fanno selezioni e si trovano capi di ogni genere e in ogni condizione. Il capo vintage può esserci come non esserci, certo bisogna essere bravi a scovarlo in mezzo a tutto il resto. I prezzi però sono davvero convenienti.

La boutique virtuale (tra le più famose, E-bay) offre la possibilità di trovare a casa, e con calma, l‟oggetto vintage che ci interessa ma anche di fare una ricerca fra tutto ciò che viene proposto. A volte gli oggetti in vendita sono delle fregature ma in altri casi si possono fare dei veri affari.2

2 Gontier, J. A. Colleuille, Guida al vintage, Milano, Morellini editore, 2007, pp. 75-83.

▲ Negozio A.N.G.E.L.O. (Lugo di Romagna) Modelli esposti in una delle stanze del Vintage Palace.

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In ultimo, ma non di poca importanza, una delle fonti sicure e garantite dove trovare pezzi vintage originali al 100% è costituito dall‟armadio della nonna. Scovare, frugando tra le cose che la nonna ha ritrovato in soffitta, una camicia da notte con pizzo ricamato a mano o una borsa Fendi degli anni Settanta è un vero colpo da novanta.

Il vintage come ispirazione per gli addetti ai lavori della moda Il vintage non soltanto viene acquistato e ricercato per essere

indossato, venduto o collezionato. Dal momento in cui la moda dell‟usato di qualità è stata definita vintage, questo ha iniziato anche ad essere veicolo di creatività e ispirazione per stilisti e uffici stile.

Quando per realizzare le proprie collezioni i creativi si ispirano al vintage, le modalità con cui essi procedono sono diverse da caso in caso e di volta in volta. In alcuni casi i creativi cominciano a cercare quello che serve loro dopo aver ideato il tema della collezione, altre volte l‟ispirazione nasce sul campo, da ciò che essi trovano durante le ricerche. Alcune volte gli stilisti cercano capi e oggetti appartenuti ad un periodo preciso, altre volte appartenuti ad uno stile in particolare. Anche materiali, disegni o effetti sartoriali possono creare il filo conduttore che porta alla creazione di una collezione.

Tutte le modalità in cui l‟ispirazione può arrivare al creativo attraverso il vintage si ritrovano poi nella pratica, e quindi nella collezione realizzata, in molte maniere diverse. Marc Jacobs e Ferrè hanno fatto sfilare i capi che li hanno ispirati insieme alla collezione stessa; c‟è stato chi ha rielaborato forme, tessuti e materiali di vecchi classici indumenti da lavoro, come la tuta da aviatore e le divise militari; in ultimo il vintage è stato derubato di tutte le sue linee, ricami, stili e materiali per creare abiti ex novo con dichiarata ispirazione al periodo scelto.

L‟inizio del ricorso al vintage come veicolo di ispirazione per la moda

è riconducibile agli anni Novanta, periodo in cui l‟entusiasmo per le grandi innovazioni stilistiche degli anni Ottanta andava verso il suo declinare. Il pubblico che acquistava le creazioni della moda iniziava a dimostrarsi insofferente e stanco della situazione di facilità di utilizzo in cui il mondo della moda metteva i suoi discepoli. Il bisogno di autonomia per far sì di avere un proprio stile nello stile fece nascere un tipo nuovo di moda, che guardava maggiormente alla durata e alla qualità del prodotto. In questo panorama di ritorni a cicli lenti e riprese nostalgiche del passato, il vintage ha trovato il suo terreno fertile. Tutto ciò di cui avevano bisogno gli stilisti per dare alla moda le connotazioni richieste dal pubblico risiedeva proprio in tutte le sue sfumature. Si cercava il vintage e il vintage era lì nel momento giusto e al posto giusto. Così si chiudeva il cerchio: la gente aveva bisogno di un ritorno all‟individualismo nell‟abbigliamento, il vintage aveva bisogno di cibo e acqua per crescere e prendere il volo e la moda aveva bisogno del vintage per dare alla gente quello che chiedeva. Da qui, e così, è nata la felice collaborazione fra questi tre elementi. Essa continua ad avere un grandissimo successo e ancora oggi, a distanza di anni, ci sono persone che

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inconsapevoli si avvicinano al vintage scoprendo un nuovo mondo dove giocare con la propria creatività.3

L’influenza del vintage per il rilancio di una griffe: Karl Lagerfeld per

Chanel L‟idea di fare ricorso alla nostalgia del passato, alla magia del mito e

alla bellezza dei prodotti d‟epoca non ha ispirato il mondo della moda solamente nella progettazione delle sue collezioni, ha fatto anche di più.

Nel 1983 la Maison Chanel, vedendosi precipitata in un dimenticatoio senza precedenti, chiama lo stilista free lance Karl Lagerfeld per tentare il tutto per tutto per il rilancio della griffe. Lagerfeld inizia subito il suo lavoro e per riuscirci capisce che è necessario far leva sulla possibilità di ricreare la suggestione appartenuta alla griffe nei suoi lunghi anni di gloria. Così come gli stilisti avrebbero poi guardato al passato per avere ispirazioni future, Lagerfeld studiò l‟identità passata della griffe per riuscire a creare l‟identità futura della stessa.

Lagerfeld cominciò a muoversi in tale direzione e per farlo studiò gli archivi storici (in cerca di qualsiasi segno distintivo che fosse utile a creare nuovi elementi da rilanciare sul mercato) e ricreò il mito di Coco Chanel, avvalendosi di un invadente e pressante comunicazione pubblicitaria. Poi assegnò alla haute couture e al prêt-a-porter dei compiti e dei ruoli specifici: la prima doveva fare pubblicità alla griffe e il secondo rappresentava ciò che poi le donne avrebbero comprato sul mercato di massa. Tutte le linee di abbigliamento e di accessori vennero reinventate, così quelle dei profumi e dei cosmetici. Reinvenzione, questa, che teneva sempre di conto della suggestione della grande Coco Chanel, pensata come se l‟avesse ideata lei stessa ma in un contesto di modernità. Tutto ciò venne corredato dal mezzo di comunicazione più efficiente del nostro secolo: una studiatissima pubblicità.

Alla base del rilancio della Maison Chanel, dunque, stanno gli stessi elementi che appartengono al mondo del vintage: un archivio da consultare in caso di bisogno, un‟identità passata a cui guardare con ammirazione e incanto e la certezza dell‟alta qualità dei capi, degli accessori, dei cosmetici e dei profumi. Infine, un‟aggiunta di modernità nella ridefinizione delle linee e dello stile e l‟utilizzo della pubblicità hanno aiutato e coronato l‟opera.

La stessa strada della Maison Chanel è stata poi seguita da altre griffe, tra le quali Gucci, Vuitton e Pucci, e di recente anche Roberta di Camerino sta intraprendendo lo stesso percorso.4

Dagli anni ‘20 agli anni ’80: gli anni del vintage Quando si parla di vintage, dunque, ci si riferisce ad uno spazio

temporale che va dagli anni „20 fino agli anni „80 del Novecento. Ognuno dei decenni che appartengono a questo periodo è caratterizzato da elementi diversi; abiti, trucco, acconciature, avvenimenti storici, icone di stile e

3E. Morini, Uno stile della moda oggi: il vintage, in Vintage. La memoria della moda,

Bologna, Editrice Compositori, 2010, pp. 27-29. 4Ivi, pp. 30-32.

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del mondo dello spettacolo, film e comportamenti sociali hanno contribuito a formare lo stile del decennio e il vintage è lo specchio di tutto ciò. Conoscendo tutti questi elementi si può quindi riconoscere a quale decennio appartiene l‟abito vintage che vorremmo comprare.

Il primo decennio è quello degli anni ‟20. In questi anni si sta uscendo da una guerra e tutto il mondo ha voglia di divertimento. Le donne accorciano le gonne, affondano le scollature, fumano sigarette e tagliano i capelli. Nascono le famose “garçonne” e il loro corpo nervoso e febbricitante fa stile. Insieme alla voglia di libertà delle donne arriva a sconvolgere il mondo, della moda e non, la prorompente Coco Chanel, la quale propone abiti leggeri in jersey, di influenza maschile e comodi da indossare.

Gli stilisti sono Paul Poiret, Jeanne lanvin, Jean Patou e Gabriele Chanel. Sono famose Joséphine Baker, Louise Brooks, Clara Bow e Gloria Swonson. I film sono Lulù e L’angelo azzurro. L‟abito è quello del charleston, vita bassa e scollatura profonda. I tessuti sono leggeri anche se ricchi: mussolina e seta ricamata, tutto contornato da paillette e frange.

Gli anni ‟30 sono un momento di oscuri presagi, si esce da una guerra ma si avverte l‟arrivo di un‟altra. La crisi finanziaria del ‟29 rafforza questo sentore. Con la paura che aleggia nell‟aria le donne abbandonano gli audaci tentativi di mascolina libertà e si muovono a ritroso. I sarti tornano a disegnare modelli ultra femminili e i tessuti sono ricchi. I capelli sono lunghi e ondulati; gli stilisti sono Chanel, Elsa Schiaparelli, Nina Ricci, Grès e Madeleine Vionnet. Quest‟ultima, lancia il vestito con taglio in sbieco che diventerà l‟abito icona di questo periodo. Sono famosi Jean Harlow, Marlène Dietrich, Greta Garbo, Katherine Hepburn, Ginger Rogers e molte altre. I film sono Marocco, Cappello a Cilindro, Susanna.

Gli anni ‟40 sono gli anni della seconda guerra mondiale. La moda si deve adattare a donne che lavorano, in assenza degli uomini, partiti come soldati. Le gonne si accorciano al ginocchio, i tessuti devono essere caldi e resistenti, le linee austere. Le molte tasche che caratterizzano gli abiti indicano il bisogno di praticità. Finita la guerra, le cose non cambiano molto velocemente ma nel ‟47 arriva il ciclone Christian Dior che con il suo new look riporta l‟abito ai fasti della Belle Epoque, con tutto il rammarico dell‟anti-bustino Coco Chanel. I capelli sono fermati in uno chignon, le scarpe sono zatteroni in legno o sughero, la borsa è la pratica tracolla, le calze non ci sono e la riga posteriore è disegnata con la matita per occhi. Le maggior parte delle case di moda chiude con la guerra, nel periodo successivo sono famosi Christian Dior, Cristobal Balenciaga, Pierre Balmain e Jacques Fath. Le icone dello spettacolo sono le stesse ma si aggiungono, fra le altre, Rita Hayworth e Betty Grable. I film sono La fiamma del peccato e Il postino suona sempre due volte.

Gli anni ‟50 segnano un ritorno alla stabilità. L‟immagine della donna degli anni ‟50 è la perfetta casalinga nella sua cucina che risplende di sole. Il modello che si segue è quello americano, coca-cola, jeans e rock‟n‟roll. Le donne possono scegliere lo stile che preferiscono: il new look di Dior, la gonna dritta con twin set e collana corta di perle, i pantaloni alla pescatora con ballerine o mocassini e camicia bianca annodata in vita, oppure abiti con scollature mozzafiato o molto aderenti. Nonostante l‟ampia scelta però,

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l‟abito icona degli anni ‟50 resta quello corto da cocktail, con gonna ampia e guanti lunghi.

Gli stilisti sono Christian Dior, Hubert de Givenchy e Chanel che torna in voga con il suo famosissimo tailleur. Le icone sono Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Grace Kelly, Brigitte Bardot, Elizabeth Taylor, Sophia Loren. I film sono tutti quelli di Hitchcock e i film con Marilyn e Audrey.

Gli anni ‟60 sono quelli della contestazione studentesca. Le donne sentono nuovamente il bisogno di cambiare e abbandonano l‟alta moda in favore del prêt-à-porter. Le ragazze vengono rapite dall‟ondata londinese “Mary Quant e la sua minigonna” e sempre dall‟Inghilterra si diffonde la moda dell‟usato. Gli stilisti si dedicano a creazioni futuriste.5 Il vestito tipo degli anni ‟50 è la scamiciata stretta sulle spalle e largo in fondo, anche a trapezio. Gli stivali sono piani, i collant sono di tutti i colori possibili e i capelli sono corti a caschetto.

Le attrici del cinema vengono in questi anni surclassate da modelle e cantanti: Twiggy, Verushka e Jean Shrimpton per le prime, Maria Callas, Janis Joplin, Jane Birkin per le seconde. L‟icona di stile in assoluto resta però Jackie Kenndey (poi Onassis). I film sono Colazione da Tiffany, Barbarella, Blow-up, Bonnie & Clyde.

Gli anni ‟70 sono gli anni della guerra in Vietnam. I giovani hippies diffondono un nuovo stile di vita che proclama l‟amore libero e che è contrario alla violenza. Le droghe, le comunità e il femminismo sono gli elementi base della filosofia di vita di questi anni. Con il rifiuto del consumismo e del total look i giovani creano uno stile tutto loro e la moda dell‟usato prende il sopravvento. Nascono le controculture, i punk, gli skinhead e chi più ne ha più ne metta, ma ancora sopravvive, tra la borghesia, il completo da signora composto da giacca e gonna appena svasata al ginocchio. Tra i ricchi gli abiti da sera riprendono le forme degli anni ‟30. Il pantalone a zampa di elefante è l‟icona del decennio, insieme ai capelli lunghi, gilet e collana etnica. Gli stilisti sono YSL, Sonia Rykiel e Vivienne Westwood. Le icone di stile sono Diane Keaton e Lauren Hutton, ma anche i Sex Pistols, Patty Smith, Bianca Jagger e ancora Jackie O. I film sono Ultimo Tango a Parigi, Hair, Io e Annie.

Negli anni ‟80 si abbandona la coscienza per far spazio al denaro. Il lavoro e la carriera diventano lo scopo di vita sia di uomini che di donne. Queste mutuano dal guardaroba maschile giacca e pantaloni per acquisire autorevolezza sul lavoro. Le giacche hanno spalle larghe e quadrate, i tessuti sfiorano il corpo, i jeans sono attillatissimi e color ghiaccio, si usa il lamè e gli strass sono ovunque.

Per indossare questi indumenti il corpo deve essere perfetto, nasce così la moda delle palestre e dello sportswear con i suoi fuseau. L‟abito icona è senza dubbio il tailleur con spallini di Armani.

Gli stilisti sono Gianni Versace, Giorgio Armani, Donna Karan, Calvin Klei, Ralph Lauren, Jean Paul Gualtier, Karl Lagherfeld, Christian Lacroix, Gianfranco Ferrè, Issey mijake, Yohji Yamamoto, Rey Kawabuko. Le icone di

5 Courrèges e Cardin creano una moda spaziale, Paco Rabanne utilizza lastre di alluminio o

plastica, Yves Saint Laurent lancia gli abiti “Mondrian” e Andy Warhol stampa sugli abiti le

zuppe Campbell.

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stile sono Madonna, Lady D e le top model. I film sono Il tempo delle mele, Blade Runner, Flashdance, Cercasi Susan disperatamente.6

I must di un guardaroba vintage Sono molti i capi e gli accessori griffati che nel tempo sono rimasti un

mito e che oggi fanno parte dei must di un guardaroba vintage. Molti di questi sono ancora in produzione nelle case d‟alta moda, ma lo stesso pezzo nella sua versione vintage ha un fascino che non è riproducibile. E‟ per questo che trovare una 2.55 Chanel originale degli anni ‟50 in un negozio vintage può essere, per un‟appassionata del vintage, una delle emozioni più intense di una vita intera.

I must in questione sono moltissimi ma i più famosi sono riassumibili in un breve elenco, nel quale compaiono: il tailleur Chanel, lo smoking YSL, il trench Burberry, la stampa Pucci, la giacca in jeans Lee, il vestito Lacoste, il foulard, la Kelly e la Birkin di Hermès, la 2.55 Chanel, la t-shirt dei Rolling Stones.

Coco Chanel inventa il suo tailleur nel 1954, all‟età di 71 anni. Un tailleur in tweed, dalle linee dritte e semplici che ancora oggi è proposto dalla Maison Chanel e non smette mai di essere elegantissimo.

6 Gontier, J. A. Colleuille, Guida al vintage, Milano, Morellini editore, 2007, pp. 46-62.

▲ Icone dello stile dagli anni ’20 agli anni ‘80 In ordine: Louise Brooks, Greta Garbo, Rita Hayworth, Marilyn Monroe, Twiggy, Vivienne Westwood e Malcolm McLaren, Madonna e Lady D.

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Il primo smoking di YSL venne prodotto nel 1966. E‟ lo stesso smoking maschile ma riadattato in versione femminile. E‟ uno scandalo ma viene subito amato dalle donne all‟avanguardia.

Il trench di Burberry viene disegnato per la prima volta nel 1901 e si fa strada, inverosimilmente, nelle trincee durante la guerra. Resta a lungo un indumento maschile finché Greta Garbo e Marlene Dietrich non lo indossano sdoganandolo nel mondo femminile.

La stampa Pucci, creata negli anni ‟50, è un simbolo di stile ed eleganza. Indossare un foulard Pucci, riadattato ad esempio a cintura, impreziosisce anche un semplice paio di jeans.

La giacca in jeans di Lee nasce negli anni ‟40 e viene adottata da tutte le controculture giovanili che succedono a quegli anni. La sua preziosità, al giorno d‟oggi, le viene conferita dal colore stinto e dal jeans consumato dal tempo.

Il vestito Lacoste non è altro che una semplice polo con un po‟ di tessuto in più sull‟orlo, ma la sua semplicità è ancora oggi la sua forza.

Hermès vanta, tra le sue creazioni, molti pezzi che sono diventati mito. Il foulard, degli anni ‟30 non rischia mai di essere brutto o passato di moda; la Birkin e la Kelly (rese famose rispettivamente da Jane Birkin e Grace Kelly) sono due borse dalla fama intramontabile.

La 2.55 di Chanel deve il suo nome all‟anno di nascita, febbraio 1955. Ispirata alle giacche degli stallieri, è nera con una tracolla di metallo intrecciata con il cuoio.

In ultimo, anche la t-shirt dei Rolling Stones, quella con il logo rosso su fondo nero, che di alta moda non ha nemmeno l‟ombra, rientra tra questi must e l‟effetto da rockettaro che il cotone stinto a grigio dagli eccessivi lavaggi conferisce a chi la indossa, rappresenta a pieno la vera essenza

del vintage.7 ■

7 Ivi, pp 91-102.

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Cresciolandia Ricette, storia, tradizioni e cultura di Urbino

di Elisabetta Cesarini

UN GIORNO IN URBINO (MANUALE PER IL TURISTA) - prima parte Corredato di dizionario Urbinate - Italiano

E‟ periodo di vacanze, anche solo per un giorno od un weekend la gente si sposta in cerca di nuovi luoghi da scoprire o di vecchi luoghi da ritrovare. Ci sono urbinati che vanno a Pisa, milanesi che vanno a Pesaro, urbinati che vanno a Capraia Isola. Ma perché non andare a passare uno o due giorni a Urbino, anzi “in Urbino”?

Tutto quello che vi serve in poche righe, luoghi di interesse storico culturali, punti di ristoro, piatti tipici, abbigliamento consigliato, e soprattutto un prontuari linguistico per essere pronti ad ogni evenienza.

Se vi recate a Urbino nel periodo estivo vestitevi pure leggeri, anche se siamo in collina, che qualcuno non abituato a panorami così variabili chiama quasi montagna, il caldo non manca, ma la sera è possibile trovare un po‟ di fresco nei giardini proprio intorno alla città o meglio ancora alle Cesane. I monti della Cesana non sono altro che le colline a sud est di Urbino, distanti pochi kilometri, ma attenti a non essere vestiti in “cirigina” (troppo leggero per la stagione), perché soprattutto negli ultimi giorni di agosto si potrebbe “brimbolè dal fredd” (Brimbolè o Brimbulè : tremare dal freddo o dalla paura).

Per quanto riguarda le scarpe, prendetene pure un paio comode, perché le salite sono piuttosto erte e soprattutto le donne devono dimenticarsi le eleganti e trendy scarpe col tacco che solitamente mostrano con orgoglio nelle serate cittadine, altrimenti si sentiranno dire dalla popolazione locale: “Du vè sa chi tacch ?! En vedi che c’èn tutti i brossol ?!” (dove vai con quei tacchi ?! non vedi che ci sono tutti i brossol ?! Brossol: Brozzo. Protuberanza. Tipica pavimentazione del centro storico).

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Chiunque venga a Urbino non può non fare il classico giro del centro storico circondato da possenti mura. All‟interno del centro storico la prima tappa fondamentale è “el Palass Ducal” (il Palazzo Ducale), il progetto più ambizioso di Federico da Montefeltro, uomo coltissimo e raffinato, che comprendeva di pari passo, la sistemazione urbanistica di Urbino, facendone la città "del principe".

« [Federico] edificò un palazzo, secondo la opinione di molti, il più bello

che in tutta Italia si ritrovi; e d'ogni oportuna cosa sì ben lo fornì, che non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva. » (Baldassarre Castiglione, Il Cortegiano, I, 2).

All‟interno ospita la Galleria Nazionale delle Marche con una collezione di opere d'arte prodotte nelle Marche nel periodo compreso tra il '300 e il '600. Sono esposte opere quali la "Flagellazione"e "La Madonna di Senigallia" di Piero della Francesca, "La città ideale", "La Muta" di Raffaello, nonché opere di Tiziano, Barocci ed altri maestri.

Lo Studiolo di Federico da Montefeltro è uno degli ambienti più celebri del Palazzo Ducale di Urbino, poiché oltre che essere un capolavoro di per sé, è l'unico ambiente interno del palazzo ad essere rimasto pressoché integro, permettendo di ammirare il gusto fastoso della corte urbinate di Federico. Venne realizzato tra il 1473 e il 1476, da artisti fiamminghi appositamente chiamati a corte dal Duca. Con loro operarono vari artisti italiani, tra cui forse anche il giovane Melozzo da Forlì. Le pareti sono coperte da tarsie lignee tuttora in situ, che creano effetti illusionistici di continuazione dell'architettura.

▲Palazzo Ducale (Urbino ) Vista del cortile e dei torricini del Palazzo Ducale di Urbino

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Continuando a girare per il centro storico tutto vi sorprenderà, ma se

avete bisogno di fare una pausa scendete giù da piazza Rinascimento verso il centro mondano di Urbino, in piazza della Repubblica dove c‟è “l’urlògg” (l‟orologio) e la fontana. Il primo è il punto d‟incontro di tutti gli urbinati, non a caso è facile sentirsi dire: “Alle sei in piassa sotta l’urlogg” (alle 6 in piazza sotto l‟orologio). La seconda è stata da pochi anni ricostruita e ad essa numerose poesie sono state dedicate.

◄La flagellazione (Urbino ) Opera di Piero della Francesca

►Lo studiolo (Urbino ) Particolare dello studiolo ligneo del Palazzo Ducale

BEN TORNATA FONTANELLA di Nino Cesaroni Era ‘n pess che se sentiva a dì de ‘sta fontana ch’ aveva d’arnì, e specialment i promotor s’ éren messi de gran vigor a fè la sottoscrision da portè in Comission… …Prò t’ el Comun la Comission ha fatt pió volt le votasion, perchè c’era chi en la vleva e gì avanti en se poteva; ma alla fin per un vót o dó ‘sta fontana hann arméss só… …‘Sta fontana acsé arpulitta ha ardat un po’ de vitta C’é soltant l’inconvegnent che quand tira un po’ de vent sprussa l’acqua dai lat e d’intorne è tutt bagnat; e po’ tra ‘sti mur antich me par ch’ fa anca tropp spicch, mo ormai de vedte maché l’abitudin c’è fatt chiappè…

LA FONTANA IN PIASSA DLA REPUBBLICA di Elio Bacchielli … Finalmente se' artornata propri dove te se' nata. T'arvedem, cara fontana te adess se' men lontana e, de piò, ringiovanita sensa i segni della vita. La tua età la porti ben sa la pioggia e sa 'l seren… … i tu' marme levigat e l'insiem ben congegnat tra i palass e i monument sia del tre che del settcent te fan fè bella figura arricchend l'architettura. Quanti gir intorne a te quante volt nó a giochè. In estat, c'era un palchett p'el concert, e i motivett en armast t'la nostra testa e t'la piassa c'era festa, per chi grande per chi p'cin: mentre adess c'en i tavlin, e a seda tanta gent ch' passa el temp sensa fé gnent…

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Nel prossimo numero… il giro degli oratori e i migliori locali dove mangiare

dell‟ottima e tipica “crèscia sfojata”. ■

DIZIONARIO URBINATE-ITALIANO 1° parte

Brimbolè Tremare Bròssol Protuberanza (in) Cirigina Troppo leggero Crèscia Crescia Palass Palazzo Piassa Piazza Sfojata Sfogliata Urlògg Orologio

◄Fontana (Urbino ) Foto della fontana in Piazza della Repubblica a Urbino.

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▲ Chichén Itzá (Messico) L’ingegnere che ha progettato El Castillo posa davanti alla sua straordinaria realizzazione. Immagine dell’ XI millennio a.C.

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Dall’acqua

Quarto Episodio di Matteo Lorenzini e Lorenzo Mereni

Quando ebbe finito tutto il fiato, John si lasciò cadere a terra. In

ginocchio prima, e poi, come il tronco senza linfa di un albero troppo vecchio, andò giù senza in alcun modo tentare di fermare la caduta. Ebbe la sensazione, mentre i sensi lo abbandonavano, di sprofondare in qualcosa di soffice e familiare. Poi vide tenebre.

La luna si rifletteva sul mare increspato dalla lieve brezza notturna ed il rumore della risacca era maestoso ed indifferente. E così sotto una palma da datteri sulla spiaggia giaceva John, il volto sprofondato nella sabbia che gli entrava nel naso e nella bocca soffocandolo dolcemente.

Il telefono squillò. Il rumore inaspettato fece trasalire l‟uomo che si era

quasi addormentato ripiegato sulla console. - Pronto?- disse con voce tranquilla portandosi la cornetta all‟orecchio.

Gli occhi dell‟uomo si strinsero e si lasciò sfuggire un sospiro. Prima il suo programma preferito era stato improvvisamente interrotto per un documentario sui sumeri ed ora questo…

- Ciao cara…certo…certo…- La sala di controllo era quasi totalmente immersa nel buio. Trattenne la cornetta tra la guancia e la spalla mentre con una mano cercava a tentoni la torcia che doveva essere lì vicino, ma non si riusciva mai a trovare quando serviva…

- Un attimo sì… aspetta un attimo…non urlare…- appoggiò la cornetta sulla console e si chinò con visibile sforzo per mettersi in ginocchio e guardare sotto il tavolo di ferro arrugginito del computer. Niente. Il telefono appoggiato continuava a gracchiare, a stento si poteva riconoscere una voce femminile.

- Cara non ti posso sentire…aspetta un secondo non vedo niente qui dentro..- Appoggiò di nuovo il telefono. La lunga sagoma dell‟uomo si abbassò di nuovo sbuffando.

- Ma guarda che cosa stancante…- Infilò il braccio sotto la console fino alla spalla. Le sue dita toccarono un piccolo cilindro di metallo freddo. Finalmente! Raccolse la torcia e l‟accese mentre si scuoteva la manica impolverata. La puntò sul polso per leggere l‟ora. Le undici…Dio mio…

- Si ho visto cara…è tardissimo… mi dispiace…ora vengo subito..- Non finì di giustificarsi perché la sua attenzione fu colta da qualcosa di inusitato che stava avvenendo sulla spiaggia.

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- Scusa un attimo…- L‟uomo distrattamente appoggiò di nuovo la cornetta sulla console con movimenti lenti e controllati, inconsciamente temendo di far rumore; gli occhi spalancati continuavano a fissare lo strano fenomeno che avveniva qualche metro più in basso, appena fuori. Mentre si avvicinava vide la sua espressione incredula riflessa sulla finestra. Al di là di essa il mare scintillava del riflesso della luna. Ma nel lieve scintillio argentato era possibile scorgere un riflesso verdastro, poi rosso; blu; viola; giallo… Le luci erano sempre più distinguibili e brillanti. Poi la superficie del mare iniziò a sollevarsi, mentre quelle che sembravano guglie emergevano dall‟acqua nera, simili a smisurati covoni di fieno. In seguito Mattew L. Lawless, il guardiano del faro, le avrebbe descritte ad un giornale scandalistico come “gigantesche pannocchie di mais”.

Fu allora che notò dei movimenti più vicino alla riva. Alcune sagome stavano uscendo dai flutti. Basse creature dalla testa sproporzionata e membra troppo esili correvano sulla spiaggia. Si affrettavano tutte nella stessa direzione.

Dal telefono, rimasto scollegato uscivano suoni senza senso simili ad una nenia di flauti incomprensibili, mentre tutte le strumentazioni della console erano in stato di errore. Mattew si rese conto che doveva fare qualcosa, chiamare la polizia o l‟esercito, ma si accorse che il suo corpo non reagiva più ai suoi comandi. Non poteva che guadare. Guardare impotente mentre le creature, visibilmente sbagliate, si avvicinavano sulla spiaggia alla palma, ai piedi della quale giaceva un ubriacone. Perlomeno questo era quello che aveva pensato quando lo aveva visto arrivare e poi cadere pesantemente a terra. Con uno sforzo di volontà cercò di camminare per raggiungere il pulsante dell‟allarme silenzioso, ma una fitta lancinante lo colse alle ginocchia accompagnata da un sinistro scricchiolio. Urlò dal dolore, ma invece inspirò e si accorse di non riuscire a ributtare fuori l‟aria. Le creature avevano afferrato l‟uomo sulla spiaggia e lo trascinavano verso il mare dal quale erano uscite. I polmoni gli scoppiavano ed aveva la gola in fiamme, mentre il mondo diveniva instabile e tremolante a causa delle lacrime che gli riempivano gli occhi. Le sagome stavano scomparendo tra le onde insieme al barbone rapito, mentre le guglie lentamente tornavano ad immergersi colorando il mare.

Finalmente espirò. E quando con la mano si deterse delle lacrime che gli offuscavano la vista, vide gli strumenti, la torcia caduta a terra…tutto abbastanza normale. Dalla cornetta la voce continuava a gracchiare. Si mise a sedere e fu allora, allungando le gambe, che si accorse con orrore che le sue ginocchia si piegavano dalla parte opposta.

-.-

John si svegliò con il consueto, insopportabile mal di stomaco. A volte

la mattina gli sembrava che la notte fosse durata un‟eternità. Aprì gli occhi di scatto e digrignò i denti per sostenere il dolore; si sbarazzò delle coperte e barcollando si mise in piedi e si diresse in bagno. Raggiunse il water in preda ai conati, certo che presto avrebbe rigurgitato sangue o qualche altra orribile sostanza. Invece come era arrivato il dolore se ne andò. Si mise a sedere sulla tazza per riprendersi un po‟. Stava sudando e non si sentiva

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affatto bene. I dolori allo stomaco erano appunto iniziati dopo quella sbronza. Si era messo a parlare con un tizio dalla faccia familiare, ma non riusciva a ricordarsela proprio in questo momento…eppure era convinto di doverselo ricordare. Fece uno sforzo, si concentrò, ma è difficile concentrarsi mentre si soffre dei postumi di una nottata di alcool. Era una faccia curiosa, simile a tante…eppure unica. C‟erano molti avventori in quel bar, il Bloody Mary, ora che ci pensava non era un locale così male, la birra però era uno schifo. In realtà aveva chiaccherato con diverse persone, stranieri per la maggior parte, dato che si ricordava che molti non parlavano fluentemente l‟inglese.

Doveva correre, aveva fatto tardi. Si fece velocemente la barba e si tagliò come gli succedeva spesso, poi si lanciò giù per le scale e scese in strada. Mentre si affrettava per arrivare al suo posto di lavoro, al porto, si ripromise che al ritorno sarebbe passato dal Bloody Mary per rivedere le persone che aveva incontrato la sera prima.

Al porto l‟atmosfera non era più la stessa da quando erano arrivati i militari. Il peggiore di tutti era lì, in piedi proprio di fronte alla sbarra del passaggio a livello che permetteva l‟accesso ai camion merci diretti ai magazzini. Il sergente Murdock stava parlando distrattamente con il suo schiavo, un individuo patetico che non aveva aperto bocca con nessuno al di fuori che con lui per tutto il lasso di tempo dall‟arrivo dei militari. In ufficio si scherzava su quelle due figure, ma la realtà è che tutti cercavano di evitarle ritenendole inquietanti. Salendo le scale che portavano al suo ufficio John incontrò Bertram, il disgraziato addetto alle pulizie che viveva in una sorta di mondo immaginario che considerava reale, e dove lui era morto, e non aveva alcun interesse per ciò che gli avveniva intorno. Spesso lo aveva visto con un‟espressione contrita o sofferente quasi stesse ingaggiando una sorta di battaglia interiore. Provava una grande pena per lui ed era uno dei pochi a tentare di rivolgerli un saluto la mattina; gli altri, perlopiù, erano incuriositi dalla sua condizione e lo tormentavano improvvisandosi psicologi. Spinse la porta di metallo senza maniglia che dava accesso agli uffici. Raggiunto il suo cubicolo, prima di mettersi a sedere si sporse su quello accanto. La sua testa spuntò da dietro la barriera e di là vide James, concentrato nella ricerca di nuovi video divertenti su “incidenti domestici causati da animali” su Internet.

- Ehilà James! –

- Hola John, ehi guarda questo che spasso!- Il video mostrava un cane che inseguiva un gatto dentro una stanza

dove, su uno scaleo, un tipo di mezza età piuttosto grasso stava ridipingendo il soffitto. Il cane urtava contro lo scaleo, il tipo si impauriva, perdeva l‟equilibrio e cadeva rovesciandosi la vernice addosso. La vernice era verde pisello, l‟uomo ne era completamente coperto…il fluido viscoso gli colava addosso lento, inesorabile sui capelli, sulla faccia, sul naso e sulla bocca, lo avrebbe soffocato, impedito di urlare, mentre mani dalle lunghe dita cuoiose lo tenevano fermo dentro una sorta di sarcofago… John scosse la testa piuttosto alienato e si riprese dallo stordimento. James lo guardò sghignazzando:

- Ehi non è uno spasso?-

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- Si – disse John distrattamente – Sarà il caso che ci mettiamo a fare qualcosa-

- Si hai ragione…non rubiamo tutto lo stipendio via.- John si mise a sedere, accese il computer, abbassò fino a disattivare il

volume del computer e si rimise a vedere il video. Con concentrazione, quasi rapito, avviluppato dalla viscosità del fluido verde che ricopriva l‟uomo, mentre sperimentava una strana sensazione di rabbiosa privazione…come se qualcosa che possedeva gli fosse stato portato via.

Durante la pausa delle undici John raggiunse James al balcone per una sigaretta.

- Tutto bene John? Ti vedo un po‟ strano-

- Oh no. Cioè sì. Tutto a posto…solo stanotte penso di non aver dormito bene e mi sono svegliato di nuovo con il mal di pancia..-

- Dovresti farti vedere…non ti voglio spaventare, ma è bene accertarsi quando non si sta perfettamente.-

- Certo, certo, hai ragione…infatti stasera ho un appuntamento dal medico.-

- Eh bravo.-

- Prima di andare volevo passare dal Bloody Mary, vuoi venire con me?-

- Il Bloody Mary? E‟ di strada?-

- Certo è qui vicino.-

- Ehi, ehi…lo sai ieri sera ho fatto conquiste? Eheh!-

- Ah sì? Io mi sbronzavo e tu eri a donne! Beavo James!-

- Sì, assolutamente sì! E questa è proprio una discreta pollastra! Tutta colta e raffinata poi…a volte merita andare in locali un po‟ migliori piuttosto che nelle bettole alle quali siamo abituati.-

- Ah sì?, e che fa?-

- Studia. Per diventare psicologa.-

- Mmmhhh interessante…stai attento però James. Se è psicologa non ci metterà molto a capire che sei un pazzo.-

- La tua è tutta invidia…lo vedo sai? Sei verde!- Verde…si ricordava una grande foglia verde di una palma da

datteri…poi una sensazione di soffocamento…e di nuovo le dita cuoiose. E poi il liquido verde…completamente ricoperto di liquido verde e viscoso.

- Dai magari sento se ha un‟amica anche per te.-

- Ok…grazie. Eheh.-

- Beh…Bloody Mary dicevi…e Bloody Mary sia. Dov‟è esattamente?-

- Beh dai è qui vicino, non lo conosci? È…è…mmmhhh. Non mi ricordo il nome della strada. Quando mi viene in mente te lo dico. Comunque è qua vicino…se non sbaglio…-

- Ok…prenditi il tuo tempo…sai…penso che una psicologa servirebbe più a te che a me! Sei piuttosto strano ultimamente.-

- Immagino che tu abbia ragione…- Rientrarono nell‟ufficio. Nonostante tutti i suoi sforzi John non riuscì a

ricordare dove fosse il maledetto locale. Rimase d‟accordo con James che lo avrebbe chiamato. James lo guardò un po‟ preoccupato:

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- Se non chiami tu, chiamo io- gli disse. La sala d‟aspetto era gremita di persone: una donna enorme, che in

realtà non doveva avere più di venticinque anni, con un figlioletto di circa sei. Un ometto con pochi capelli ed un cappello a tesa larga in testa. Un negro vestito da rapper, con un grosso ematoma che gli chiudeva quasi completamente l‟occhio destro, accompagnato da altri tre ragazzi che indossavano canottiere da giocatori di basket con i numeri cuciti sopra. Un tizio sudato con una giacca marrone di quelle economiche che teneva tra le gambe una ventiquattrore marrone e guardava continuamente l‟orologio. L‟aria era puzzolente, pregna degli odori che venivano dal ristorante cinese al piano di sotto: spaghetti fritti, wanton fritti, banana caramellata, gelato fritto. Era anche incredibilmente umido per una sala d‟aspetto e John si sentiva soffocare. Con due dita cercò di allentarsi il colletto della camicia, mentre il sudore gli imperlava la fronte.

La donna grassa si mise in bocca una sigaretta. John la guardò preoccupato…era un fumatore, ma solo l‟idea del fumo in quel momento gli dava la nausea. La donna tuttavia lo precedette e se la tolse dalla bocca tenendola tra due dita e sorrise rassicurante:

- Non si preoccupi, non l‟accendo.- L‟omino con il cappello con la tesa larga sembrò apprezzare lo

scambio di battute. Sorrise e si tolse il cappello che utilizzò per sventolarsi mentre con l‟altro gomito appoggiato al ginocchio si teneva la testa unta fissando le mattonelle. John si rivolse proprio a lui:

- Conosce il Bloody Mary signore? Un locale vicino al porticciolo?-

- No mi dispiace- replicò quello un po‟ sorpreso. –Perché?-

- Oh no niente…non ricordo più bene dove sia esattamente…voglio dire..sono tornato in città da poco.-

Uno dei ragazzi con le maglie da basket intervenne:

- Guarda che non c‟è nessun locale con quel nome e questo è il nostro quartiere lo sappiamo! Forse sei stato via troppo a lungo…oppure ti fai troppo pesante.-

John annuì senza parlare senza nemmeno guardare il tipo che gli aveva rivolto la parola.

In quel momento arrivò l‟infermiera che lo chiamò dentro. Fu la prima volta che John fu felice di andare da un medico, lasciandosi alle spalle la sala puzzolente.

- Bah, senta. Per lo stomaco bisognerebbe fare una radiografia, per togliersi ogni scrupolo. Il mio collega qui accanto gliela potrebbe fare anche subito se vuole. Certo il problema che ha allo stomaco può causarle tutti gli effetti collaterali che sta descrivendo…-

- Certo…grazie dottore.- Il dottore sorrise: - Vado a sentire il mio collga per quella

radiografia.- Il collega poteva. Nello stomaco si vedeva una grossa macchia e John

ottenne un ricovero in due giorni.

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Uscito sotto shock dallo studio fece per dirigersi a casa quando squillò il cellulare.

- Allora campione? Come va?- La voce di James lo distolse dai suoi pensieri. Gli venne un‟ispirazione

improvvisa.

- Ehi James…non troppo bene…Si un po‟ di compagnia non mi dispiacerebbe stasera. Vogliamo andare a bere qualcosa?-

Il volume del rumore, non era musica, all‟interno del locale era

assordante mentre i maxischermi trasmettevano i video degli ultimi squallidi successi musicali. James e John si facevano strada con gentile determinazione tra la mandria autistica di persone ballonzolanti.

-Di solito la trovo nel privé.- Urlò James nell‟orecchio di John. La sezione “privata” era separata da una tendina controllata da un

buttafuori. James però era un faccia nota nel locale e i due furono lasciati passare.

La ragazza, Cathrine, era seduta con delle amiche su delle poltroncine attorno ad un tavolino basso, in stile minimalista-zen. James la salutò calorosamente; dopo l‟abbraccio una mano di James rimase distrattamente su un fianco di lei. Le presentò l‟amico che, più goffamente, le strinse la mano scandendo bene con il labiale il suo nome, anche se nel frastuono le parole andarono perdute.

La serata fu discreta, John bevve poco perché non riusciva a smettere di pensare alla macchia nello stomaco, tuttavia la compagnia riuscì a distrarlo. Cathrine invece non si limitò con l‟alcool.

Quando finalmente furono fuori James si offrì di riaccompagnare a casa la ragazza, ma, visto che era di strada, anche John.

- Come ti dicevo Cathrine, John è un mio collega, il migliore devo dire, però si stressa troppo…secondo me dovresti prenderti una vacanza John!-

- No lo sai che la vacanza mi stressa ancora di più se rimango qui. Mi rilasso solo se vado in Grecia a rivedere un po‟ casa.-

Cathrine intervenne:- Uh che bella la Grecia, sai penso di essere stata greca in una vita precedente, la adoro troppo: ci sono stata due estati fa, ma ci ritornerei anche subito!-

- Si vengo da un paesino piccolo… un villaggio di pescatori…-

- Sono sicura che ci conoscevamo sai? Nelle nostre vite precedenti intendo…-

James si limitò a ridacchiare: non voleva neanche indagare sulla serietà o meno di certe stupide affermazioni rischiando di entrare in contrasto con la ragazza…quello che gli interessava era che la serata finisse nel modo più opportuno, tipo un invito a prendere il caffè su da lei…

- Ti ha detto James che studio psicologia no? Sai che ci sono tecniche per risalire alle vite precedenti. Sono sicura di averti visto, in una delle mie sedute intendo.-

I due amici rimasero un attimo in un silenzio un po‟ imbarazzato e un po‟ divertito.

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- Non mi credete eh?! – La ragazza doveva essere un po‟ alticcia.

- Scommetto che nessuno ha le p… ha il coraggio di provare!-

- A fare cosa?- chiese James che iniziava a trovare il discorso interessante.

- Venire da me ora e farsi ipnotizzare per scoprire quali sono state le vostre vite precedenti!-

- Come no?!- disse James – ora riportiamo a casa John e poi vengo io a farmi ipnotizzare non ti preoccupare…-

- No! Voglio anche lui! Lui mi conosceva nella vita precedente…tu no- James iniziò a dare di gomito all‟amico:

- Non mi rompere le uova nel paniere- gli mormorava a bocca storta – Fai quello che vuole…andiamo a casa sua poi magari te ne vai o ti chiudi in bagno…non importa..-

- Magari un‟altra volta…- disse John ad alta voce.

- No!- si impuntò la ragazza come una bambina che fa le bizze.

- Ahi!- urlò John. James gli aveva fatto un pizzicotto e lo stavo fulminando con lo sguardo.

- Ma certo che veniamo dai, guarda stiamo già andando verso casa tua.-

- Molto bene!- disse soddisfatta la ragazza.

-.-

- Registro sempre le mie sedute.- disse Cathrine mentre usciva dal salotto per andare in camera. James sgomitava continuamente John, eccitato: - E‟ perversa, è perversa!..- sussurrava all‟orecchio di John sghignazzando.

- Ascolta- disse John – faccio questa seduta e poi me ne vado…e vi lascio soli…-

- Ma che dici? Magari poi non ci sta più…no no devi restare…e poi quale seduta? Tu non hai capito niente John: questa è una maniaca!.-

James smise di fregarsi le mani e si compose quando la ragazza rientrò portando con sé telecamera e treppiedi. Li sistemò davanti al divano e poi perentoria disse a John:

- Sdraiati.- John obbedì lanciando un‟occhiata supplichevole all‟amico…James

intervenne:

- Ed io? Ed io non mi devo sdraiare?-

- No tu no..dopo.- La ragazza non sembrava più molto ubriaca. James non ne fu contento.

- Allora John…osserva bene questa penna…sì bravo così da destra a sinistra, da sinistra a destra…ed oraaaa…Dormi!-

La testa di John cadde da un lato.

- Che diavolo?!- imprecò James –che gli hai fatto? Non sarà pericoloso?-

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- Mmmhhh che noia…quanto sei fastidioso…quanto ci mette a fare effetto?-

- Fare effetto cosa?- replicò James allarmato.

- Quella pillola che ho sciolto nel tuo ultimo drink.-

- Che cosa? Che pillola? Che diavolo stai dicendo?...- James fece appena a tempo ad appoggiarsi alla poltrona prima che le ginocchia gli si piegassero facendolo stramazzare al suolo in una posizione poco dignitosa, in ginocchio per terra con la testa sul cuscino. Iniziò subito a russare rumorosamente.

- Oddio- disse Cathrine. – Che cavernicolo…Ed ora signor John a noi due…qualcuno è disposto a pagare molto bene per sapere quello che hai in testa.- Si avvicinò al divano sorridendo.

- Mi senti John?-

- Shhiiiii….- Rispose l‟uomo addormentato con voce cavernosa.

- Bene. Rilassati. Sei completamente tranquillo. Completamente libero. Con la mente ti puoi staccare dal corpo, lasciarlo indietro, risalire la melassa del tempo e viaggiare indietro, indietro fino a quando hai iniziato ad accusare quei dolori. Indietro di appena due giorni…-

John inspirò profondamente, i suoi lineamenti si rilassarono. La regressione era iniziata, il paziente si comportava secondo gli schemi canonici. La seduta stava andando bene. Sotto la palpebra gli occhi iniziarono a muoversi rapidamente. Il paziente era in fase R.E.M. indotta. Interessante. Improvvisamente John si mise ad urlare. Urlava e si contorceva.

-.-

John aveva raggiunto la spiaggia. Aveva corso come un dannato ed

ora non aveva più fiato. Fece gli ultimi passi camminando finché le ginocchia gli si piegarono e cadde bocconi proprio sotto una palma da datteri. La sabbia gli entrava nel naso e nella bocca soffocandolo, ma non ci faceva caso. Era giusto morire. Aveva fatto una cosa orribile. Aveva appena ucciso il suo migliore amico. Combatteva contro l‟istinto di salvarsi, semplicemente girando la testa permettendo all‟aria di entrare di nuovo nei polmoni. C‟era una sorta di vibrazione, i capelli gli si rizzarono sulla nuca. Che strana sensazione…la morte. Ma non fu così fortunato. Avvertì una presa innaturalmente forte intorno ai polsi ed alle caviglie. Il contatto con mani cuoiose. Qualcuno lo afferrò per i capelli e gli tirò fuori la testa dalla sabbia. Lo girarono, così poté vedere le stelle e, su delle nuvole sparute grigie in cielo, il riflesso di curiose luci multicolore. Veniva trascinato via velocemente, verso le onde. Istintivamente si dimenò, ma quelle mani cuoiose avevano una presa d‟acciaio. Uno dei suoi rapitori si girò verso di lui, ma era solo una sagoma nera sullo sfondo di una policromia di luci. Udì dei suoni, forse i suoi rapitori stavano parlando tra di loro…suoni strani, quasi impronunciabili. Aveva sentito qualcosa di simile quando era stato in Messico in vacanza…una lingua Maya forse. Le onde iniziarono a lambirlo e faceva fatica a mantenere la testa fuori dall‟acqua. Tentò di urlare e di dimenarsi, ma inesorabilmente stava affogando. Stranamente i suoi rapitori continuavano a correre alla stessa velocità anche sott‟acqua, come se il

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fluido non avesse effetto su di loro. Non vedeva niente. Sentiva solo l‟acqua che si riversava nei polmoni. Poi, all‟improvviso, si ritrovò all‟asciutto. Adesso veniva trascinato dentro una caverna. Il suolo era ricoperto di un materiale viscoso che facilitava il suo trascinamento. Un forte odore di ammoniaca gli offendeva il naso ed ottenebrava tutti gli altri sensi. Gli occhi lacrimavano copiosamente. Il corridoio era tortuoso e simile ad una gola o forse ad un intestino…aveva l‟impressione di trovarsi dentro ad un mostro di dimensioni inusitate. Solo il dolore della presa ferrea gli faceva mantenere un labile contatto con la realtà. Poteva sentirsi urlare. Un lieve bagliore verde proveniva da quella che sembrava la fine del passaggio. Ed alla fine, entrato nella stanza da cui la luce scaturiva, vide i suoi assalitori. Creature scaturite da un incubo senza fantasia: grigi, dalla pelle coriacea e gli occhi inespressivi, la bocca contratta in una linea sottile, la presenza del naso rivelata solo da due minuscoli buchi al centro della faccia. Fu sollevato e sbattuto in una sorta di sarcofago che sembrava fatto su misura. Mentre urlava uno di loro prese un tubo che penzolava dal soffitto e glielo ficcò in bocca. La sua bocca e lo stomaco furono immediatamente invasi da un fluido viscoso, poi anche i polmoni. Il suo corpo reagì tentando di vomitare, ma non ci riuscì. Il liquido iniziò ad uscirgli dal naso. Intanto il sarcofago si riempiva dello stesso liquido verde e leggermente fosforescente. John si guardava intorno freneticamente nell‟inconscia speranza di scorgere qualcosa che potesse aiutarlo, ma quando incrociò lo sguardo con una delle creature capì che non c‟era niente e nessuno che potesse farlo. Una delle creature si avvicinò ed iniziò a palpargli l‟addome. Poi avvertì una pressione, sempre più forte e dolorosa fino a quando i tessuti cedettero. Sperava solo che la morte arrivasse velocemente. L‟essere grigio estrasse dalla ferita una sacca dilatata. Quando la incise John sentì un dolore folle: capì che quella sacca era il suo stomaco. Una delle creature passò a quella che gli aveva aperto lo stomaco un oggetto cilindrico che rifletteva la luce verdastra della stanza. L‟elsa del coltello: l‟elsa del suo coltello. Gliela stavano mettendo in pancia di nuovo…o forse era per questo che si era trovata lì la prima volta…o forse non era la prima. Deja Vu. La luce verde. Il liquido verde. Il grigio ripose la sacca nella ferita aperta nel suo addome. Li sentì di nuovo parlare, chiaramente stavolta. Uno dei grigi gli mise una mano sulla faccia e lo costrinse a chiudere gli occhi. Di nuovo sentì l‟odioso contatto di quelle mani fredde e cuoiose.

- Mai visto niente di simile- disse Cathrine. – Il paziente era in condizioni pietose…ho avuto paura di perderlo…-

- Mmmhhh…le giuro sono terrorizzata. Sono terrorizzata perché sono costretta a credere a quello che ho visto e sentito.-

- Certo figliola fai bene…ne hai tutte le ragioni. Beh comunque hai fatto un ottimo lavoro e questa- disse il sergente Murdock poggiando sul tavolino una valigetta – è la paga che avevamo pattuito.-

- Le dispiace se la apro?- disse Cathrine, ma intanto le sue mani avevano già iniziato a farlo.

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- Certo figliola sono un gran bel mucchio di quattrinoni. Bisogna controllare. Cerca di impiegare bene quei soldi: fatti una bella vacanza, comprati una o due belle case…insomma goditela e cerca di dimenticare questa brutta storia..-

- Beh certo che questi soldi sono un gran bell‟aiuto, ma dimenticare…- Disse distrattamente la ragazza fissando estasiata il contenuto della valigetta.

- Lo so. E‟ per questo che ho portato anche questa.-

- Che cosa?- disse la psicologa accennando a sollevare gli occhi dai soldi, un attimo prima che la sua testa esplodesse e venisse sparpagliata un po‟ dappertutto nella stanza.

Murdock pulì con cura la canna della pistola ancora fumante.

- Era proprio necessario?- Disse Bertram mentre usciva dalla cucina con una tazza di tè caldo in mano.

- Caro Bertram…è il destino del mondo che è in gioco…è chiaro che non possiamo permetterci troppi sentimentalismi. Siamo giocatori, ma siamo anche i pezzi del gioco. Hai mai visto una regina che si rifiuta di far strage di pedoni? Che partita verrebbe fuori?-

- Certo, certo…lo so…è che sai…il cervello…guarda che disastro. I soldi poi…-

- Incredibile no? Come l‟effetto della stessa pistola sia così diverso a seconda di ciò che deve accadere poi…a proposito è stasera no? Bah i soldi erano per indorare in qualche modo la pillola…-

- Mmmhhh, interessante punto di vista.- Disse freddamente Bertram mentre col cucchiaino combatteva una battaglia impari contro quello zucchero che non voleva sciogliersi. - Penso di aver bisogno di bere qualcosa di forte prima di farlo…finisco il tè, poi vado a vedere che cosa ha Cathrine nel suo minibar.-

- Ti è toccato un ruolo molto difficile, lo ammetto.- Bertram sorrise sardonico: - Prendersi una pallottola in testa ed essere

ridotto ad un vegetale direi che è di più di un ruolo difficile.-

- Concesso.- disse Murdock. – Stavolta potrebbe essere l‟ultima Bertram. Siamo vicini. Con quello che ho scoperto al di là della Bolla…e poi hai visto? Il nostro bell‟addormentato ha riprodotto anche i suoni degli Esterni: inequivocabilmente sumero antico. Torna tutto.

- A proposito Murdock. Non mi hai ancora detto che cosa è successo dall‟altra parte della Bolla…Jenkee, An Lee e Key? A volte mi stupisco di come riesco ancora ad essere curioso nonostante la consapevolezza che dimenticherò tutto.-

- Oh quello succede a tutti. Trascorriamo tutta la vita ad imparare cose ed a conoscere persone che poi dimenticheremo…eppure continuiamo a farlo. No, no. Ti rispondo volentieri.- Murdock spostò il corpo di James che continuava a russare facendolo cadere pesante a terra e si mise a sedere con le gambe accavallate sulla poltrona. Consultò l‟orologio.

- Siamo addirittura in anticipo…se vuoi abbiamo il tempo per renderti edotto su quello che è successo oltre la Bolla.-

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- Benissimo- disse Bertram trascinando una sedia al centro della stanza e facendo per mettersi a sedere.

- Aspetta! Aspetta!- lo ammonì il sergente.

- Aspetto- ripeté quello tranquillo.

- Prima devi fare qualcosa per me.-

- Che cosa Murdock?-

- Quel tè…manda un ottimo profumo. Me ne faresti una tazza?-

(continua…) ■

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IL FELICIONE

Periodico Bimestrale Comparto Editoriale IVANNEUM

Via di Fabbiolle 68, 50023 Impruneta (FI) Sede Legale IVANNEUM Via P. di Pozzolatico 23 50023 Imprunum (PANIVANIA)

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Anno I Numero 5 Luglio 2010 A cura di E Cesarini e M Lorenzini

Distribuzione limitata

Hanno collaborato:

Dott. Elisabetta Cesarini Dott. Matteo Lorenzini Ing. Lorenzo Mereni Camilla Lorenzini

Ringraziamo:

Dott. Felice Vinci MoA Tommi Toija

Prof. Elio Bacchielli Nino Cesaroni

Malcolm McLaren

Per inviare i tuoi contributi al Felicione scrivi a: [email protected]

Trovi i numeri passati del Felicione nel sito web: www.ivanneum.it

▲ Chichén Itzá (Messico) El Castillo, straordinario tempio maya dedicato al culto di Kukulkan, edificato in un periodo compreso tra l’XI ed il XIII secolo. Foto di L. Mereni

► IN QUARTA DI COPERTINA – Everlasting first of May Opera plastica di Tommi Toija, 2005

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