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II modello di leadership "situazionale" I Il"Modello tridimensionale dell'efficacia del leader" di Paul Hersey e Kenneth Blanchard è stato certamente influenzato dai lavori di Reddin sulla "Leadership situazionale". La base del metodo afferma: "Non esiste uno stile di leadership ideale, ma uno stile di leadership che risulta più efficace di un altro in quanto tiene conto delle differenze tra i diversi collaboratori."

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II modello di leadership "situazionale"

I Il"Modello tridimensionale dell'efficacia del leader" di Paul Hersey e Kenneth Blanchard è stato certamente influenzato dai lavori di Reddin sulla "Leadership situazionale". La base del metodo afferma: "Non esiste uno stile di leadership ideale, ma uno stile di leadership che risulta più efficace di un altro in quanto tiene conto delle differenze tra i diversi collaboratori."

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In realtà quindi, la terza dimensione da Reddin indicata come "efficacia" altro non sarebbe che l'ambiente, la "situazione".

Quindi, la differenza fra uno stile efficace e uno inefficace risulta dal grado di coerenza del comportamento del leader con il tipo di situazione (ambiente) in cui, in quel momento, si trova a dover esercitare il suo ruolo.

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In altre parole, un determinato comportamento del leader, in un ambiente, può risultare molto efficace, mentre, in un altro, completamente inefficace.

Naturalmente, possono esistere situazioni intermedie con gradazioni più vicine all'efficacia o all'inefficacia.

II modello è composto di quattro quadranti a ognuno dei quali corrisponde uno stile che rappresenta l'atteggiamento di fondo della persona che lo esercita.

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I quattro stili di leadership

Lo stile 1 (Telling) è uno stile Direttivo, tipico del manager che stabilisce comunicazioni a una via, che pianifica e decide senza coinvolgere i collaboratori. Li informa delle decisioni prese, controlla l'andamento del lavoro, in genere molto strutturato, e tende a mantenere al minimo le occasioni d’interazione interpersonale.

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Lo stile 2 (Selling) può essere definito Persuasivo. In questo caso è sempre il manager che prende le decisioni, ma soltanto dopo aver ascoltato i collaboratori. Le comunicazioni sono del tipo a due vie. II manager che adotta questo stile sostiene e incoraggia i collaboratori, stabilendo frequenti occasioni per i contatti umani. II lavoro, tuttavia, anche in questo caso, è abbastanza strutturato

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Lo stile 3 (Participating) è uno stile Partecipativo, che rappresenta un comportamento orientato alle relazioni. II manager incoraggia continuamente i collaboratori: a strutturare il loro lavoro, a risolvere i problemi, a comunicare. Le decisioni vengono prese insieme. C'e molta apertura e disponibilità.

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Lo stile 4 (Delegating) è uno stile che prevede un alto livello di delega da parte del manager, il quale interagisce il meno possibile con i collaboratori, anche quando si tratta di strutturare il loro lavoro. E’ raro che questo manager assuma atteggiamenti d’incoraggiamento verso il proprio gruppo; anche i controlli sono rari. Ciò che ai suoi collaboratori ritiene di dover fornire riguarda solo le linee-guida generali.

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Leadership e "situazione"

Nessuno di questi quattro stili può essere definito migliore di un altro, in assoluto: si può solo definire lo stile più efficace in quanto più adatto a guidare una persona in una determinata situazione.

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Come si sceglie lo stile coerente?

Dal grado di maturità dell'individuo (o degli individui) al quale ci si rivolge.

Per maturità si intende l'insieme delle conoscenze e delle esperienze dell'individuo (maturità professionale) e la sua capacita e disponibilità ad assumersi le responsabilità (maturità psicologica) misurati in relazione al compito specifico che 1'individuo deve svolgere.

Ecco perché è così importante la capacita diagnostica del manager.

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II modello della leadership situazionale indica gli stili di guida da adottare in relazione a queste situazioni:

Maturità I (bassa); il dipendente non possiede sufficienti competenze per svolgere il lavoro e non è ancora pronto ad assumersi le responsabilità del ruolo.

Maturità 2 (medio - bassa); il dipendente ancora non possiede le competenze necessarie, ma mostra disponibilità ad assumersi le re sponsabilità.

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Maturità 3 (medio - alta); il dipendente possiede le competenze necessarie per svolgere il lavoro, ma non si sente ancora sicuro circa l'assunzione delle responsabilità.

Maturità 4 (alta); il dipendente è competente e pronto ad assumersi le responsabilità del ruolo.

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L'applicazione degli stili di guidaA questo punto il modello della leadership

situazionale funziona in modo quasi automatico. II leader sarà tanto più efficace quanto più riuscirà ad abbinare:

• Stile 1 Direttivo = Maturità 1 (bassa)• Stile 2 Persuasivo = Maturità 2 (medio

bassa) Stile 3 Partecipativo = Maturità 3 (medio

alta) Stile 4 Delegante = Maturità 4 (alta).

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Molti studi psicologici abbinano la figura del capo a quella del genitore e quella del dipendente al bambino, riproponendo quasi un modello familiare del gruppo di lavoro.

In questo senso, la figura del figlio corrisponde a quella del dipendente al suo inizio nell'attività quindi con caratteristiche di elevata dedizione e bassa competenza, che gradatamente crescono sino a giungere ad una maturità e competenza elevate, non sempre accompagnate di pari passo da una altrettanto elevata motivazione e dedizione.

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Compito del leader è proprio quello di far crescere la maturità del collaboratore mantenendone nel contempo alta anche la dedizione al compito

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La motivazione

Ciò che stimola e produce motivazione è la sfida e la conseguente soddisfazione insita nel lavoro stesso, il senso di realizzazione, il riconoscimento di un lavoro ben fatto, il senso di responsabilità e il desiderio di avanzamento nella carriera

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Questi concetti introducono la necessita di saper operare correttamente su due aspetti:

La delega;

il rapporto psicologico tra il leader e il collaboratore.

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Delegare, per i dizionari, significa: "Avere fiducia in un'altra persona, facendola agire come proprio delegato oppure sostituto".

La delega rappresenta il punto di equilibrio tra l’abdicazione dal ruolo da parte del leader (fenomeno che viene applicato piuttosto raramente nel mondo manageriale) e l'accentramento dei compiti (anche quelli che potrebbero essere delegati).

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L'accentramento è un eccesso di tipo centripeto, l’abdicazione è un eccesso di tipo centrifugo.

Come sempre, in medio stat virtus: l’equilibrio è un punto intermedio, per cui il manager efficace evita di controbilanciare uno squilibrio con un altro squilibrio, come quei cavalieri poco abili che per non cadere da cavallo dalla parte sinistra cadono dalla parte destra.

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E necessario sapere:a chi delegare (richiede l’individuazione dei

collaboratori con giuste ambizioni e buone abilita);quali compiti delegare (tutti i compiti che non

prevedano scelte strategicamente rilevanti);fissare obiettivi condivisi (mete stimolanti, ragionevoli,

misurabili grazie alla formulazione degli obiettivi secondo due parametri: tempo e quantità Esempio: entro quanto andrà svolta una determinata cosa);

misurare i risultati (verificare, assieme ai collaboratori delegati, in quanto tempo, come e cosa è stato fatto).

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Le cause della mancata delega

La mancata delega è forse il maggior fattore di demotivazione per i lavoratori, cosi com'e anche il più diffuso fenomeno di cattiva gestione manageriale, dal momento che i manager, quale che sia il loro talento e per quanto s'impegnino nel lavoro, non possono fare tutto da soli.

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Paradossalmente, quindi, proprio quei manager che si lamentano di essere troppo impegnati e poco aiutati nel loro lavoro a causa della demotivazione dei loro collaboratori, sono i primi a generare la demotivazione di cui li accusano.

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In molti casi le cause di una ridotta attività di delega sono da ricercare nella sfiducia che molti capi nutrono per i loro collaboratori.

Anche se, teoricamente, conoscono il valore della delega, sono dissuasi dal delegare perché sono intimamente convinti che nessuno dei loro collaboratori sia in grado di svolgere quel determinato compito altrettanto bene quanto loro.

II che, all'inizio, è certamente vero, ma si tratta di superare questa fase per far approdare il collaboratore a un livello di maggiore abilità.

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Alcuni, nel dare delega, temono una perdita di potere agli occhi degli altri.

La conoscenza, il know how, è potere: alcuni sono riluttanti a condividere con altri le proprie conoscenze, poiché ciò viene visto come una diminuzione.

Altri, anche se riconoscono che la preparazione di un bravo successore favorisce la possibilità di un loro ulteriore avanzamento nella carriera, vedono in quel subordinato brillante un elemento di concorrenza alla posizione attuale.

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I meno disposti alla delega, per motivi caratteriali, sono i prepotenti, gli invidiosi e i diffidenti.

Altro elemento influente sono le cattive esperienze precedenti: forse in passato qualche delega non ha funzionato (ma bisognerebbe analizzare bene i motivi di questo fallimento) anche se è piuttosto raro che una delega effettiva si riveli controproducente.

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Anche la riservatezza di un compito è spesso un alibi: se è vero che un determinato compito è molto riservato, ovviamente questo esula dal campo delle attività delegabili.

Molto spesso però si considerano riservati anche quegli ambiti che invece sono i temi più diffusi tra le "voci di corridoio".

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Non è invece opportuno delegare quando non si sa che cosa fare di fronte a un problema: questo comportamento, definito "scarica barile" o "passare la patata bollente" non costituisce altro che una fuga.

La responsabilità del ruolo ricoperto rappresenta l'asse portante dell'autorità del manager, quindi non può essere trasferita.

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Inoltre, è opportuno non delegare solo nei momenti di sovraccarico di lavoro: la delega deve essere un sistema permanente basato sulla fiducia.

Delegare per poi ritirare la delega produce disorientamento e frustrazione.

E buona norma non delegare compiti irrealizzabili da un collaboratore che chiaramente non possiede il know how per risolverli: spesso è una tecnica usata dagli accentratori per "bruciare" i collaboratori, dimostrando loro che sono degli incapaci.

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A chi e come delegare

Scegliere la persona giusta in base a due considerazioni fondamentali: la natura del compito e le capacità dell'individuo.

A seconda dello scopo che ci si prefigge, si deve scegliere la persona che risulti potenzialmente più adatta sotto entrambi gli aspetti.

Non sovraccaricare uno stesso collaboratore, ma suddividere equamente i compiti.

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E’ opportuno spianare la strada al collaboratore delegato: è bene ricordare che un compito nuovo spaventa chiunque.

Si tratta quindi di aggiungere ogni elemento di conoscenza possibile e di fornire tutte le istruzioni necessarie affinché il collaboratore possa superare gli aspetti critici della funzione, soprattutto chiarendo i collegamenti con gli altri uffici.

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E’ bene assicurare la propria disponibilità a fornire assistenza nel corso del lavoro che è stato delegato, nel caso dovesse servire.

E’ anche opportuno non delegare metà compito ad un collaboratore e metà ad un altro.

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Come intervenire in caso di un errore di delega

La mancanza di esperienza di un collaboratore oppure degli sviluppi imprevisti possono rendere necessario un intervento correttivo.

In questo caso è bene aiutare chi è stato delegato a raggiungere la realizzazione del compito, poiché in caso contrario si verrebbe a "bruciare" il rapporto di collaborazione.