Ignazio Silone (1900-1978) · pare che anzitutto ci spetta la funzione della massaia che la sera...
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1
Ignazio Silone (1900‐1978)
G. P. Di Nicola‐A. Danese,
Ignazio Silone.Percorsi
di
una
coscienza inquieta,
Fondazione Silone,
L’Aquila 2006“Silone visita per l’ultima volta la Marsica”.Disegno di Mimmo Emanuele (1978)
Silone
«Il
passato,
con
le
profonde ferite
che
ci
ha
lasciato,
non
deve
essere
per
noi
un motivo
di
debolezza.
Non
dobbiamo
lasciarci demoralizzare
dalle
colpe,
dalle ignavie,
dalle
sciocchezze
dette
o
scritte.
A partire
dal
momento
che
la
nostra
volontà
è
pura,
una nuova
forza
può
nascere
proprio
dal
peggio
di
noi stessi.
“Etiam
peccata”»
(US,
878).2
3
Una vita, un libro
«Se
dipendesse
da
me, passerei
volentieri
la
mia
vita
a
scrivere
e riscrivere
lo
stesso
libro:
quell’unico
libro che
ogni
scrittore
porta
in
sé,
immagine della
propria
anima,
e
di
cui
le
opere pubblicate
non
sono
che
frammenti
più
o meno
approssimativi»
(VP).François Bonvin, Still Life with Book, papers and Inkweel 1876, National Gallery London.
4
Scritti e sigle I
A I
Appendice
I,
in
Romanzi
e
Saggi,
I,
Mondadori,
Milano 1998, 1415‐1458
A II
Appendice
II,
in
Romanzi
e
Saggi,
II,
Mondadori,
Milano 1999, 1439‐1604
ABR 48
Attraverso
l'Italia.
Abruzzo
e
Molise,
Touring
Club Italiano, Milano 1948
APC
L’avventura
di
un
povero
cristiano, in
Romanzi
e
Saggi,
II, Mondadori, Milano 1999, 567‐
745.
BIBLBibliografia,
in
Romanzi
e
Saggi,
II,
Mondadori,
Milano
1999, 1607‐1665
ESN
Ed
Egli
si
nascose,
a
cura
di
B.
Pierfederici,
intr.
di
C.
Ossola, Città
Nuova, Roma 2000.
F
Fontamara,
in
Romanzi
e
Saggi,
I,
Mondadori,
Milano 1998, 5‐196.
MM
Una
manciata
di
more,
in
Romanzi
e
Saggi,
II,
Mondadori, Milano 1999, 5‐280.
5
Scritti e sigle II
P
I.
Silone,
Il
pane
di
casa,
a
cura
di
G.
Ardrizzo,
Minerva Italica, Bergamo 1971.
S
Severina, in Romanzi e Saggi, II, Mondadori, Milano
1999, 1441‐1488.
SA I
Scritti
autobiografici,
in
Romanzi
e
Saggi,
I,
Mondadori,
Milano 1998, 1369‐1414.
SA II
Scritti
autobiografici,
in
Romanzi
e
Saggi,
II,
Mondadori,
Milano 1999, 1207‐1438.
SD
La
scuola
dei
dittatori,
in
Romanzi
e
Saggi,
I,
Mondadori, Milano 1998, 1017‐1230.
SL
Il segreto di Luca, in Romanzi e Saggi, II, Mondadori,
Milano 1999, 281‐425.
SLI I Scritti
sulla
letteratura
e
gli
intellettuali, in
Romanzi
e
Saggi, I, Mondadori, Milano 1998,1343‐1366,
SLI II
Scritti sulla letteratura e gli intellettuali, in Romanzi
e Saggi, II, Mondadori, Milano 1999, 1115‐
1206
6
7
Scritti e sigle III
SN
Il
seme
sotto
la
neve,
in
Romanzi
e
Saggi,
I,
Mondadori, Milano 1998, 515‐1013.
SPM I
Scritti
politici
e
morali,
in
Romanzi
e
Saggi,
I, Mondadori, Milano 1998, 1231‐
1342
SPM II
Scritti
politici
e
morali,
in
Romanzi
e
Saggi,
II, Mondadori, Milano 1999, 985‐1114.
RS I
Romanzi e Saggi (1927‐1944),
a cura e con un
saggio introduttivo di Bruno Falcetto e
una testimonianza di Gustav Herling, Mondadori, Milano 1998;
RS II Romanzi e Saggi (1945‐1978),
a cura e con un saggio
introduttivo di Bruno Falcetto,
Mondadori, Milano 1999.
US
Uscita
di
Sicurezza,
in
Romanzi
e
Saggi,
II,
Mondadori, Milano 1999, 749‐984.
VC
La
volpe
e
le
camelie,
in
Romanzi
e
Saggi,
II,
Mondadori, Milano 1999, 427‐534.
VP
Vino
e
Pane,
in
Romanzi
e
Saggi,
I,
Mondadori,
Milano 1998, 197‐514.
8
Altre Sigle
LDE71, L.
D’Eramo,
L’opera
di Ignazio
Silone.
Saggio
critico
e
guida
bibliografica,
Mondadori, Milano1971
LDE94
L.
D'
Eramo, Ignazio
Silone,
Editori
Riminesi
Associati, Rimini 1994
GSM
G.
Seidenfeld,
Le
tre
sorelle, dattiloscritto inedito, s.d.
FP
AA.VV.,
Per
Ignazio Silone,
Edizioni
Polistampa,
Firenze 2002
BD
D. Biocca, in Silone.
La
doppia
vita
di
un
italiano, Rizzoli, Milano 2005.
9
Il nome
Silone,
pseudonimo
di
Secondino
Tranquilli
nasce
a
Pescina
dei
Marsi
(L'Aquila)
il
1
maggio,
figlio
di
un piccolo proprietario terriero e di una tessitrice.
Alla
nascita,
papà
Paolo
si
era
recato
in
Comune
per registrarlo
(aveva
atteso
due
giorni
per
la
coincidenza
con la
Festa
del
lavoro)
con
un
nome risorgimentale, del
tipo
“Mameli”
o
“Cairoli”.
Al
sindaco,
che
voleva
nomi
di
santi,
Paolo
obiettò:
«Se
non
posso
chiamare mio figlio come voglio io, allora mettigli il nome tuo». Si chiamava
Severino,
ma
il
segretario
comunale,
Secondino,
s’intromise
e
convinse
il
padre
a
mettergli Secondino,
un
nome
“ridicolo”
che
a
23
anni
Silone
abbandonerà.
Casa natale Pescina
10
Identità da nascondere
“Silone”
si
trova
usato per
la
prima
volta
in
Spagna
(1923)
per
firmare
alcuni
articoli
su
«La Batalla»,
giornale
legato
ai
comunisti
e
ai
Comitati sindacali rivoluzionari.
Il
nuovo
nome
fu
registrato
con
i
decreti
della
Corte
d’Appello
dell’Aquila
(1946
e
1947),
dopo che
Silone,
tornato
a
Pescina,
avviò
le
pratiche
relative, non senza avvertire i parenti.
11
12
Poppedius Silo «Il
nome
di
Silone
mi
fu
occasionalmente
suggerito da due motivi: esso ricordava il capo della
resistenza
dei
Marsi,
Poppedius
Silo,
nella
guerra
sociale
contro
Roma,
ed
era quindi
simbolo
di
autonomia.
Inoltre,
per
un’illazione
un
pò
forzata,
poteva
indicare
la simpatia
per
l’opposizione
catalana
contro
Madrid,
in
armonia
quindi
con
lo
spirito
degli articoli
che
scrivevo.
Quando,
molti
anni
più
tardi,
riesumai
quello
pseudonimo
per
uso letterario, l’accompagnai col nome d’Ignazio… al fine di battezzare il cognome pagano».
13
Tante identità
Da
giovane‐adulto,
al
contatto
con
gli
ambienti
rivoluzionari
e
trasgressivi,
Silone
si
abituò
ad utilizzare
pseudonimi
vari,
seguendo
le
peripezie
di
una
vita
clandestina,
votata
al
mutamento
delle identità
e
dei
mondi
di
appartenenza:
Soriani,
Olivetti,
Dino,
Grego,
Hippolite,
Romano
Simone, Sereno,
Fritz
Nickel,
Pasquini
(con
questo
nome
era
conosciuto
dai
compagni
quando
venne
espulso
dal PCI).
Silvestri
è
senz’altro
il
più
famoso.
Altri
nomi
verranno utilizzati nei rapporti con l’OSS americano: S. Len, Frost, Mr
Behr…
Clandestini ieri e oggi
L’abitudine
a
cambiare
nome
era
dei
militanti socialisti e comunisti, per sfuggire alla polizia.
Era
una
sorta
di legittimazione
alla
identità
mutevole.
I compagni
di
lotta
acquisivano
una maschera
alternativa
e
trasgressiva
rispetto
alla monotonia
della
routine
quotidiana.
14
15
Trasposizione letteraria
Nella
trasposizione
letteraria
(VP)
Murica
racconta
a
don
Benedetto
le
prime
frequentazioni
di
quegli
ambienti:
«Era una
specie
di
sogno
settimanale,
segreto
proibito…
come
il
rito d’una religione occulta. All’infuori di quelle sedute, non c’era
nessun
legame
tra
noi.
Se
per
caso
c’incontravamo,
facevamo finta di non conoscerci»
In US
si racconta di militanti comunisti riuniti in incognito
dopo
le
leggi
eccezionali
del
fascismo:
«Assieme
al
finto pittore e a sua moglie, eravamo un finto turista spagnolo, un finto
dentista,
un
finto
architetto
e
una
ragazza
tedesca
finta studentessa. Ci conoscevamo già
da un paio d’anni, ma i
nostri
rapporti,
fino
a
quel
giorno,
erano
stati
esclusivamente
di
collaborazione
tecnica per
incarico
dei rispettivi
uffici
dell’organizzazione
cospirativa;
non
avevamo ancora avuto tempo e modo di stringere amicizia»
16
Problemi di identità
Silone percepirà
solo più
tardi l’effetto boomerang.
«Come
chiamarci?
Molti
di
noi
han
dovuto
deciderlo
per conto
proprio…
il
guaio
è che,
secondo
le
occorrenze,
di
nomi
e
cognomi
ne
abbiamo
avuti
fin
troppi
e
qualcuno, non il più
simpatico, ci è rimasto appiccicato alla pelle. Così
ci
accade
talvolta
di
non
ravvisare
in
una
data
persona
un comune
amico
solo
perché
ognuno
di
noi
l’ha
conosciuto
sotto
nomi
diversi…
Ma,
toccando
l’identità
personale, l’effetto
può
alla
lunga
andare
oltre…
Dopo
anni
di
un
uso
quotidiano
di
carte
false
e
nomi
d’accatto,
produce
infatti un’impressione
strana
riacquistare
di
colpo
le
generalità
d’origine. Può facilmente accadere che queste ci appiano più false, o almeno più
estranee delle altre»
(US).
La mamma
Marianna
Delli
Quadri
discendeva da
una
famiglia
benestante di
lavoratori della
lana.
Alla
morte
del marito
(1911),
si
era
adattata
a
fare
la tessitrice
e
la
“tintora”
17
Solidarietà e ospitalità
Secondino
deve
alla
madre
la
sicurezza
di
un
affetto
che
costituisce l’ossatura
fondamentale
del
suo carattere,
una
profonda
radice
popolare
abruzzese,
connotata
dal
senso
della
solidarietà
e
dell’ospitalità, il
gusto
del
racconto,
che
si
tratti
di
fiabe,
di
antiche
storie
di
vita,
di
episodi
del
Vangelo
o
della
vita
dei santi.
Gabriella
Seidenfeld
attesta:
«…Mi
raccontò
subito della sua vita dopo la morte di sua madre, madre
che
egli
adorava…».
Lui
le
scrisse:
“finché
io
stetti
a Pescina
con mamma ero un mulo veramente coccolo,
educato e studioso e mamma era contenta di me”.18
19
La tessitora
Questa la descrizione della tessitora, in L’avventura di un povero cristiano:
«È l’alba. Dopo qualche secondo, a scena vuota, dalla porta
già
aperta
della
tessitoria,
appare
una
giovane
donna,
Concetta.
Ella
reca
sulle
braccia
alcune matasse di lana rossa che appende agli infissi accanto alla
porta.
La
donna
è
vestita
di
scuro,
molto
semplicemente,
come
usano
le
artigiane
povere
nei giorni di lavoro; non porta copricapo ed è
pettinata al
modo
tradizionale,
coi
capelli
raccolti
in
una
piccola crocchia
sulla
nuca;
calza
pianelle
di
stoffa
scura.
È
una donna di
gradevole aspetto,
sui
venticinque anni, robusta, un pò
rustica, timida, ma non servile».
Donne e lavoro
20
Donna che lavora a maglia, di Anders
Zorn
Donna che lavora a maglia, di Anders
Zorn
Donna che lavora a maglia, di Adolphe
Bouguereau
Donna che lavora a maglia, di Adolphe
Bouguereau
21
Tessere e scrivere
Silone assimilerà
il mestiere della tessitrice alla scrittura:
«Non
c’è
alcuna
differenza
tra
questa
arte
del raccontare,
tra
questa
arte
di
mettere
una
parola
dopo
l’altra,
una
riga
dopo
l’altra,
una
frase
dopo l’altra, una figura dopo l’altra, di spiegare una cosa per
volta,
senza
allusioni,
senza
sottintesi,
chiamando
pane
il
pane
e
vino
il
vino,
e
l’antica arte di tessere, l’antica arte di mettere un filo dopo l’altro,
un
colore
dopo
l’altro,
pulitamente,
ordinatamente, insistentemente,
chiaramente. Prima si vede il gambo della rosa, poi il calice della rosa,
poi
la
corolla;
ma,
fin
da
principio,
ognuno
capisce che si tratta di una rosa»
22
Tessere e costruire la Chiesa
La stessa metafora torna sulla bocca di Pier Celestino,
che
l’assimila
al
lavoro
instancabile
dei
veri
cristiani per
costruire
e
ricostruire
la
Chiesa
perseguitata
dal
male:
«Ebbene,
mi
pare
che
anzitutto
ci
spetta
la
funzione della massaia che la sera ricopre di cenere la
brace
del
camino,
per
poter
più
facilmente
l’indomani
riaccendere
il
fuoco.
In
più
vi
sarà
il lavoro continuo di collegare tra loro rinfrancare gli amici dispersi. Si deve rifare sempre daccapo la tela che la violenza distrugge».
Svezzamento
«Conservo
con
sorprendente chiarezza
molti
ricordi
di
quando avevo
appena
tre
o
quattro
anni. Ma il primo ricordo in assoluto…mi
riporta
al
lontano
giorno
in
cui
fui svezzato…
Quando
una
madre
crede
sia
giunto
il momento
di
svezzare
un
bambino, senza avvisarlo in alcun
modo,
si
cosparge
il
seno
di
grandi
macchie nere
ottenute
con
carbonella o altro colorante e
quando
il
piccolo
vuole
mangiare
gli
offre
il
seno come
sempre,
come
se
tutto
fosse
perfettamente normale… 23
Il primo ricordo della mamma
Il primo ricordo della mamma
Tradizione crudele
Ricordo
chiaramente
che
nel
mio
caso
questo
trucco
crudele ebbe un immediato
successo.
Ricordo
bene
che un’amica
di
mia
madre
era
con
lei
quel
giorno.
Mia
madre
era
triste
e
silenziosa,
come
era
sempre
quando doveva
fare
cose
che
intimamente
disapprovava,
ma
che
la
tradizione
imponeva.
Però
la
sua
amica
mi guardò
e
rise.
Ricordo
l’insieme
di
terrore
e
disgusto
con cui scoprii le misteriose macchie sui seni materni. Fu
il
primo
momento
tragico
della
mia
vita.
Dovetti
separarmi per sempre da quelle due cose care, morbide, tonde,
intime,
affidabili
e
dolci
da
cui
finora
avevo
tratto nutrimento in maniera facile e meravigliosa».
24
Rispetto per gli animali
Silone
racconta
di
una serata
tra
amici,
in
casa,
per
mangiare
una
lepre. Mentre
si
ipotizza
l’età
dell’animale,
la
madre comunica
di
avere
conservato
la
lepre
per
4 giorni
avvolta
in
un
panno
bagnato
d’aceto. Qualcuno
osserva
che
si
sarebbe
potuto abbreviare
il
procedimento battendola col mazzuolo.
25
«Si rischia però di frantumare gli ossicini e poi è sempre un maltrattamento».
26
Badare ai fatti propri«Sono
nato
e
cresciuto
in
un
comune
rurale
nell’Abruzzo,
in
un’epoca
in
cui il
fenomeno
che
più
m’impressionò…
era
un
contrasto
stridente…
tra
la
vita privata
e
familiare,
ch’era,
o
almeno
così appariva,
prevalentemente
morigerata
e
onesta,
e
i
rapporti sociali,
assai
spesso
rozzi,
odiosi,
falsi…
E
ogni
tanto
non
mancavano fattacci ...
Stupido e crudele
Ero
ancora
ragazzo
quando,
una Domenica,
mentre
attraversavo
la
piazza accompagnato
da
mia
madre,
assistei
allo stupido
e
crudele
spettacolo
d’un signorotto
locale
che
aizzò un suo
cagnaccio contro
una
donnetta,
una sarta, che usciva di chiesa.
La
misera
fu
gettata a
terra,
gravemente
ferita,
i suoi
abiti
ridotti
in
stracci. 27
L’esperienza del potente che ama incutere paura
L’esperienza del potente che ama incutere paura
28
Badare ai fatti propri
Nel
paese
l’indignazione
fu
generale,
ma
sommessa.
Nessuno
mai
capì
come
la
povera
donna
concepisse poi
l’infelice
idea
di
sporgere
querela
contro
l’ignobile
signorotto;
poiché
n’ebbe
solo
il
prevedibile
risultato di
aggiungere
ai
danni
le
beffe
della
giustizia.
Ella
fu,
devo
ripetere,
compianta
da
ognuno
e
privatamente soccorsa
da
molti,
ma
non
trovò
un
solo
testimonio
disposto
a
deporre
la
verità
davanti
al
pretore…
“L’ho fatto
con
mio
grande
rammarico”
così
il
pretore,
alcuni giorni dopo, si scusava in casa nostra…
“Certo” commentava
mia
madre
“ma
che
orribile
mestiere.
Meglio badare ai fatti nostri in casa nostra”.
29
I fatti propri“Figlio
mio”,
diceva
a
me
“quando
sarai
grande,
fa
tutto
quello
che
ti
pare,
ma
non il
giudice”.
Il
pretore,
in
privato
una
degna
e
onesta
persona,
assolse
il
signorotto
e condannò
la
povera
donna
alle
spese
del
processo”. Badare
ai
fatti
propri,
era
la
condizione
fondamentale
del
vivere
onesto
e tranquillo,
che
ci
veniva
ribadita
in
ogni
occasione.
L’insegnamento
della
Chiesa
lo confermava.
La piazza
Le
virtù
raccomandate concernevano
esclusivamente
la
vita intima e familiare. Fin dai primi
anni,
a
me
invece
piaceva
molto
stare
per strada
e
i
miei
compagni
preferiti
erano
figli
dei contadini
poveri.
La
tendenza
a
non
farmi
i fatti
miei
e
la
spontanea
amicizia
con
i
coetanei più
poveri, dovevano avere
per
me
conseguenze disastrose». 30
La mamma e le foto
«Devo
deluderla,
non
ne
ho,
non ne ho mai fatte, la prima la feci
in
gruppo,
che
avevo
sedici
anni. E non ne ho di mia madre, né
di mio padre. La mia famiglia
aveva,
verso
il
ritratto,
una ripugnanza
da
Antico
Testamento.
A
Pescina
capitava ogni
tanto
un
fotografo
ambulante;
ma
non
era
ben visto
farsi
fotografare,
salvo
assoluta
necessità
(ad
es.
per
il passaporto).
31
“Sono un primitivo”
Ricordo
una
conversazione
di
mia
madre
con
la
propria
madre,
a
proposito
appunto
di
farsi
fotografare.
Noti
che mia madre continuava a consigliarsi con sua madre anche avendo
figli
grandi.
“Che
ne
pensi,
le
chiese,
se
mi
facessi
fotografare?”.
“A
che
ti
servirebbe?”.
“Per
i
figli:
quando non ci sarò più
avranno un ricordo”. “Credi che altrimenti
ti
dimenticheranno?”.
“Non
credo”.
“Neanch’
io
ti
lascio fotografie
di me,
aggiunse
la
nonna.
Quando
non
ci
sarò
più
mi dimenticherai?”. “No, di certo”, concluse mia madre e
rinunziò
all’idea.
Poi
accadde
che
lei
morì
prima
della
nonna. Così
non ho fotografie di nessuna di loro. Mi scusi, sono un essere primitivo»
(confidenza a L. D’Eramo).
32
Luce D’Eramo
Luce
d'Eramo
pseudonimo
di Lucette Mangione
(Reims, 1925
– Roma,
2001)
è stata
una scrittrice
di
famiglia
fascista.
Vive
fino
ai
quattordici
anni
a Parigi e nel 1938 rimpatria.
Io
sono
un'aliena,
dopo
essersi stata
"petite
macaronì"
è ora"la
francesina".
Cresce
così
senza radici.
Nel 1944 scappa
di
casa
per
andare
a
lavorare
come operaia
volontaria
nei
campi
di
lavoro
tedeschi.
Si
ribella,
viene incarcerata,
rimpatriata,
finisce
nel
lager
Dachau.
Fugge
ma
a Magonza
nel
‘45
le
crolla
addosso
un
muro
e
resta paralizzata.
33
Scritti: Deviazione, L’opera di I. Silone, Cruciverba politico (sul caso Feltrinelli), Raskolnikov e il marxismo (discute con Moravia), Partiranno.
34
La madre e l’Addolorata
Significativa
l’associazione
tra
femminilità
e
dolore,
la
mamma
e
l’Addolorata.
Così
è
per
la
mamma
di
Andrea Cipriani
(Il segreto di Luca):
«“Pareva l’Addolorata alla quale hanno tolto il figlio. La sua vita,
si
può
dire,
si
era
fermata
al
giorno
della
tua
condanna”.
A
quelle
parole
lo
sguardo
di
Luca
si
velò
di lagrime…”Dimmi, cantava ancora qualche volta? Quando io ero
a
casa,
lavando
i
panni,
ammassando
il
pane,
usava
sempre
cantare”.
“Sì,
cantava
la
sera
per
addormentare
un mio
fratello
più
piccolo”
disse
Andrea”.
Erano
nenie
assai
dolci
e
malinconiche,
che
forse
lei
stessa
inventava,
perché mia madre diceva di non averne mai udite di simili”»
35
L’elaborazione del luttoLa
morte
della
madre
ha
influito
sullo
sbandamento adolescenziale
di
Secondino,
che,
come
racconta,
non
si sentiva
chiamato
alla
sera,
quando
tutti
gli
altri
ragazzi
si
ritiravano
in
famiglia obbedendo alla voce dei genitori.
La
figura
materna
riaffiorerà
tutte
le volte
che
Silone
si
sentirà
amato
da
don
Orione o da Gabriella.
Il padre
Paolo
Tranquilli
viene
descritto
come
«il
più giovane
di
un
gruppo
di
fratelli,
contadini proprietari;
il
più
inquieto
e l’unico
proclive
all’insubordinazione»
Aveva
ereditato
alcuni
ettari
di
terreno
dal
padre e
viveva
con
la
moglie
in
una
casa
di
proprietà presso la piazza di Pescina. Silone
dirà
di
sé:
“ero
nato
per
diventare
un
onesto proprietario di terre”.
36
Da piccolo proprietario terriero Paolo si era ridotto a vendere tutti i vigneti a causa di un'epidemia di fillossera e
di peronospora e a dover emigrare (1911).
Da piccolo proprietario terriero Paolo si era ridotto a vendere tutti i vigneti a causa di un'epidemia di fillossera e
di peronospora e a dover emigrare (1911).
Ritorno dal Brasile
Dal
Brasile
era
tornato
l’anno
seguente,
per
ragioni sociali e di salute. Era rimasto amareggiato dalle
violenze
della
polizia
contro
gli
scioperanti,
sostituiti con nuovi arrivi dall’Italia, con un’azione indotta di crumiraggio.
La
morte
lo
colpì
anzitempo
nel
1911, risparmandogli
la
scomparsa
della
moglie
cinque
anni dopo, nel terremoto della Marsica.
37
Cafone tra i cafoniRestava il ricordo di un
uomo
dal
forte
senso della
dignità,
sensibile
verso
quanti
erano
in difficoltà,
innocenti
o
colpevoli,
e
pronto
a difenderne i diritti.
Di
qui
l’attitudine
di Silone
a
prendere
le
parti
degli
sconfitti
e dei
“cafoni”, specie
se
“ricercati”
e fuorilegge.
38
39
“Non si deride un detenuto”
«Un piccolo uomo cencioso
e scalzo, ammanettato tra
due carabinieri, procedeva a balzelloni, nella strada deserta e polverosa, come in un penoso ritmo di
danza, forse perché
zoppo o ferito a un piede. Tra i due personaggi in uniforme nera, che nella crudezza
della luce estiva sembravano maschere funebri, il piccolo uomo aveva un vivace aspetto terroso, come
di animale catturato in un fosso…
Mi girai attorno per trovare qualcuno che condividesse la mia allegria
e in quello stesso momento, dall’interno di casa, udii sopraggiungere il passo pesante di mio padre.
“Guarda com’è
buffo”
gli dissi ridendo.
40
“Non si deride un detenuto”
Ma
mio
padre
mi
fissò
severamente,
mi
sollevò
di
peso
tirandomi
per
un
orecchio
e
mi
condusse
nella sua camera. Non l’avevo mai visto così
malcontento di
me.
“Cosa
ho
fatto
di
male?”
gli
chiesi stropicciandomi
l’orecchio
indolorito.
“Non
si
deride
un
detenuto,
mai”.
“Perché
no?”.
“Perché
non
può difendersi.
E
poi
perché
forse
è innocente.
In
ogni
caso perché è un infelice». Più
tardi il padre chiese al pretore
di
che
cosa
fosse
incolpato
l’uomo
arrestato.
«È
un
manovale
della
fabbrica
di
mattoni,
e
pare
che abbia
rubato
qualcosa
al
padrone”
rispose
il
pretore.
“Ha
forse
rubato
anche
a
te?”.
“Strano”
disse
mio padre. “Scalzo e vestito di stracci come l’ho visto, egli aveva piuttosto l’aria di un derubato”»
41
I perseguitati
Oppressi, sospettati,
arrestati
diverranno
i personaggi
privilegiati
di
Silone,
accostati
al
Cristo sofferente. Nel 1932 in Der
Christus von
Kazan
(scritto
per “Information”),
Silone
ripropone
un
frammento del
manoscritto
di
Kazan
in
cui
il
Cristo
stesso viene
presentato
attraverso
una
scheda segnaletica, da ricercato.
42
La visita al carcerato
La
polizia
cattura
un
uomo
che
qualche
tempo
prima, per soddisfare il desiderio di fumare di papà Paolo, aveva
donato
metà
del
suo
sigaro,
dietro
le
insistenti
richieste
del
bambino.
Paolo,
guardando il
triste
e
purtroppo
consueto
spettacolo
dei
catturati
invita
il
figlio
a
non
giudicare
quell’uomo condannato dalla legge:
«“Avrà
fatto
qualche
cosa
che
agli
occhi
dei carabinieri
e del
pretore
ha
l’apparenza
del
furto…
Ma
quello
che
realmente
ha
fatto,
solo
Dio
lo
sa”. Cortesemente
il
pretore
ci
fornì
un
biglietto
per
visitare il carcerato. Sul biglietto scrisse anche il mio nome.
I sigari
“Bisognerebbe
portargli
qualche
piccolo
regalo” propose
mio
padre
strada
facendo.
“Ma cosa?”.
“Il
meglio
sarebbe qualche sigaro” io
suggerii.
“Eccellente
idea”
disse mio padre».
43
Un “barbone”
Secondino
trova
in
un
fosso,
al
limite
dell’orto di
casa,
un
uomo
rannicchiato
“come
una bestia impaurita”.
«Egli
era
sporco,
anzi lurido,
aveva
la
barba
di
vari
giorni
e
tremava
in tutta
la
persona.
A
stento
riconobbi
il postino.
44
45
Un povero Cristo
Egli
mi
rivolse
uno
sguardo
supplichevole.
“Avverti
tuo
padre…
Stasera,
quando
farà
buio
andrò
a consegnarmi
ai
carabinieri.
Ma
prima
vorrei
parlare
con un avvocato”…
Dopo che gli ospiti furono partiti, mio
padre
venne
a
vedere
come
stavo.
“Non
era
un
cane”
egli
mi
disse.
“No,
non
un
cane”.
“Chi
era?”. “Puoi
immaginartelo”.
“È
ancora
lì?”….
“Lo
tratterai
male?”.
“Come
puoi
pensarlo?
Ormai
è un
ospite”. “Ne
avrà
della
fame”.
Poi
aggiunse
mio
padre:
“Devi
portargli
qualcosa
da
mangiare
e
da
bere,
ma
senza dare nell’occhio dei vicini”»
(US).
46
Le elezioni a Pescina Il principe di Torlonia
si candida al Parlamento
chiedendo voti alle 8.000 famiglie di contadini, che gli lanciano improperi, ma fanno buon viso a
cattivo
gioco.
«Una
sera
vennero
da
lui
i
fratelli
per
raccomandargli,
nell’interesse comune,
prudenza
e
accortezza…
Quella
sera
però
parevano
assai
imbarazzati.
“La candidatura
del
Principe
è
un’autentica
buffonata”
ammetteva il fratello più
vecchio. “Le candidature politiche dovrebbero essere riservate agli
avvocati
e
ai
somiglianti
chiacchieroni.
Ma
siccome
il
principe
è
candidato,
a
noi
non
resta che appoggiarlo”.
“In politica siamo liberi”
“Se
la
candidatura
del
Principe è una
buffonata”,
rispondeva mio padre “non capisco perché
dobbiamo
sostenerla”.
“Perché, come
sai,
dipendiamo
in
parte
da
lui”
gli
fu risposto.
“Non
in
politica”
diceva
mio padre.
“In
politica
siamo liberi”. 47
48
Le elezioni a Pescina
Noi non coltiviamo la politica, ma la terra…”. “Non
posso
votare
il
nome
di
qualcuno
solo
perché costretto”
diceva
mio
padre.
“Mi
vergogno”.
“Nessuno
saprà
come
tu
voterai”
gli
veniva risposto.
“Nel
segreto
della
cabina
elettorale
tu
voterai
come
ti
pare,
liberamente.
Ma
durante
la campagna
elettorale,
tutti
assieme
dobbiamo
dichiararci per il
Principe”. “Lo farei con piacere se non
mi
vergognassi”
diceva
mio
padre.
“Ma
credetemi pure, mi vergognerei troppo”».
49
Un nobile cafoneSilone non nasconderà
l’ammirazione per suo
padre e i tanti cafoni tutti di un pezzo. «Erano
uomini alti
e
forti,
quasi
solenni,
i
più
anziani
avevano
grandi
barbe,
piedi
enormi, ginocchia
spalle
mani
poderose.
Erano
uomini
di chiesa, ma non di sacrestia; uomini d’ordine, non
di
anticamera;
ed
erano
stati
allevati
nell’orgoglio
del
coraggio
davanti
a
qualsiasi pericolo,
davanti
a
una
bestia
infuriata,
a
un’alluvione, a un incendio»
Teofilo Patini Castel
di Sangro, 5 maggio 1840‐ Napoli, 16 novembre 1906)
Da convinto e puro socialista qual
era
dipinse
quadri
sulla
civiltà
contadina
abruzzese di
fine
'800
e
primi
del
secolo
scorso,
mettendo
in rilievo
la
condizione
di
povertà
della
regione
e
la capacità
di
resistenza
e
di
sacrificio
della
popolazione; la
pittura
fu,
oltre
che
la
sua
profonda
passione,
il megafono con il quale urlava al
mondo
le
misere
condizioni
del
suo
popolo: megafono
che
idealmente
consegnerà
a Ignazio Silone.
50
Dipingere la sofferenza degli emarginatiDipingere la sofferenza degli emarginati
Teofilo Patini
51Vanga e latte, Roma, Ministero dell’agricoltura e delle foresteVanga e latte, Roma, Ministero dell’agricoltura e delle foreste
52
Seppellire il padre
Pietro Spina racconta: «In certi momenti percepivo
istintivamente
all’orecchio
i
suoi
colpi
sordi profondi
irregolari...
Misteriose
vicinanze
crea
la
memoria.
Anche
tu
eri
presente,
nonna,
quando maestro
Eutimio
sovrappose
e
inchiodò
il
coperchio
sulla
bara
nella
quale
da
ventiquattr’ore giaceva mio padre. Me lo ricordo come adesso. Era l’ora
del
crepuscolo.
Per
strada
s’era
già
formato
il
corteo
funebre.
Lontano
da
tutti,
chiuso
a
chiave nella
mia
cameretta,
io
premevo
i
pugni
sugli
orecchi,
tenevo
gli
occhi
chiusi,
per
isolarmi,
per non
sentire
il
pianto
della
mamma,
il
salmodiare
dei preti;
Teofilo Patini
… ma
ben
sentii
i
colpi
del falegname
sul
coperchio
della
bara,
quei
colpi
grevi, sordi
irregolari,
come
venienti
da
remota lontananza.
Ah,
non
supponevo
che
sarebbero stati
così
duraturi,
così
tenaci
nella
memoria,
così assimilati dal mio sangue, al punto
che
ogni
volta
quando il mio cuore s’agita e
batte
forte,
distintamente
li
riascolto.
È
così
difficile, nonna,
seppellire
il
proprio
padre?».53
L’erede, 1880, Roma Galleria Nazionale d’arte moderna
L’erede, 1880, Roma Galleria Nazionale d’arte moderna
54
Il paese dell’anima
Chi
oggi
si
reca
a
Pescina
non
trova
più
i luoghi
d’allora
a
causa
del
terremoto.
Restano: qualche
antico
palazzo,
la
torre
di
un
vecchio castello,
il
campanile
di
San
Berardo. Significative
foto
d’epoca
sono
conservate dal
Centro
Studi
“Ignazio Silone”.Pescina
oggi
55
Pescina dei Marsi
56
Una cittadina importante
Geograficamente
isolata,
Pescina
ai
tempi
di Silone aveva una sua dignità: era capoluogo di un collegio
elettorale,
sede
del
Vescovado
e
di
un
seminario
vescovile,
aveva
una
scuola,
il municipio,
alcuni
“spacci”
di
generi
alimentari,
la
sede
dei
carabinieri,
qualche
osteria.
Per
trovare un
centro
più
attrezzato
bisognava
andare
ad
Avezzano,
attraversando
strade
carrozzabili
e maltenute, ed
eventualmente
da
lì
prendere
il
treno
che
collegava
la
cittadina
a
L’Aquila
e
a Roma.
Casucce di cafoni
«La
parte
vecchia
del
nostro
paese
era
tutta addossata
alla
montagna
sormontata dai
ruderi
di
un
antico
castello,
e
consisteva
in un
vasto
alveare
di
nere
casucce
di
cafoni,
molte stalle
incavate
nella
roccia,
un
paio
di
chiese e
qualche
palazzo
disabitato…57
58
Una vita di stentiLe
case,
per
lo
più
a
due
piani,
che
fiancheggiavano
la
via,
non
riuscivano
a difendersi dal fango, dalla polvere, dai rumori… Al
mattino,
al
primo
chiarore
dell’alba,
cominciava
per
la
nostra
via
la
sfilata
delle greggi di capre e di pecore, degli asini, dei muli, delle vacche, dei carri d’ogni foggia e uso, e dei contadini
che
trasmigravano
verso
il
piano
per
i lavori della giornata; e ogni sera, fino a tardi, in
senso
inverso
e
con
i
segni
ben
visibili
della
fatica,
ripassava
la
processione
degli
uomini
e degli animali»
59
Un’educazione inadeguata
«Non
soltanto
ci
mancavano
gli
attuali
mezzi
d’informazione
e
trasmissione
delle
immagini,
ma ignoravamo
anche
i
giornaletti
per
i
piccoli non
avevamo
altra
lettura
che
il
Libro
sussidiario,
come
si chiamava,
in
uso
nella
terza
elementare.
Mentre
i
genitori
e
gli
altri
parenti
od
ospiti
parlavano
di
affari per
noi
incomprensibili,
noi
guardavamo
il
fuoco.
Non
era
un
genere
di
vita
molto
stimolante.
Ci
si
poteva anche istupidire, diventare cretini; e si poteva diventare poeti,
acquistare
il
gusto
della
riflessione
e
meditazione, secondo i casi»
Andare a scuola?
«Nei giorni di pioggia i
banchi
erano
appena sufficienti,
ma
nei
giorni
di
sole
le
classi erano
quasi
vuote,
mentre
la
maggior parte
dei
bambini
era
impegnata
a
cacciare rane e uccelli».
60
61
Monotonia dei cicli di vita
«La vita degli uomini, delle bestie e della terra sembrava
così
racchiusa
in
un
cerchio
immobile
saldato
dalla chiusa
morsa
delle
montagne
e
dalle
vicende
del
tempo.
Saldato in un cerchio naturale, immutabile, come in una specie
di
ergastolo.
Prima
veniva
la
semina,
poi
l’insolfatura,
poi
la
mietitura,
poi
la
vendemmia.
E
poi? Poi
da
capo…Sempre
la
stessa
canzone,
lo
stesso
ritornello.
Sempre.
Gli
anni
passavano,
gli
anni
si accumulavano,
i
giovani
diventavano
vecchi,
i
vecchi
morivano
e
si
seminava,
si
sarchiava…Ogni
generazione come
la
generazione
precedente.
Nessuno
a
Fontamara
aveva
mai
pensato
che
quell’antico
modo
di
vivere potesse cambiare».
62
Teofilo Patini via Paradiso a Castel
di
Sangro
Esperienze di ingiustizia
L’esperienza
più significativa
d’ingiustizia
subìta
risale
al
1908 quando
gli
viene
chiesto
di scrivere, per conto della madre
analfabeta,
ad
un
certo
Francesco
Zauri, ergastolano,
ingiustamente condannato.
63
Si riconduce a questa esperienza l’impegno ad esprimersi al meglio, in un dialogo a distanza col lettore.
Manès
Sperber:
«imparò
molto
presto
l’arte
di
scrivere
lettere
per rispondere, chiedere, per far presente, convincere, ottenere e la sua opera
ha
sempre
conservato
questa
proprietà
di
dire
cose
rivolte
a
qualcuno».
64
Scrivere come compito etico
«Pubblicare è una mania di molti – dirà Silone a L.
D’Eramo
–
Sono
e
resteranno
sempre
in
molti coloro
che
cercano
la
notorietà
attraverso
la
pubblicazione (uno scritto, un saggio, una poesia, una narrazione). Non in tutti questo è un impulso banale.
Però
non
è
offendere
la
maggioranza
dire
che sono in pochi che affrontano il compito dello scrivere
con
la
necessaria
maturità
(morale,
psicologica,
politica).
Per
molti
lo
scrivere
è un mezzo
per
attirare
l’attenzione
su
di
sé,
farsi
ammirare, piacere».
65
La madre di Francesco Zauri
«L’infelice donna, credeva infatti nel destino, ma non
escludeva la grazia, quella di Dio e quella dei potenti. Ciò
a
cui
ella
non
credeva,
al
punto
da
non
valere
neppure
la
pena
di
sprecarvi
del
fiato,
era
la giustizia.
Naturalmente,
anche
per
le
lettere
alle
autorità,
l’indispensabile
intermediario
ero
io.
Sotto il
foglio,
da
me
faticosamente
redatto,
tua
madre
firmava con un segno di croce. Sapevo già
che era la firma
usuale
degli
analfabeti;
ma,
anche
se
ciò
non
fosse
stato,
come
si
sarebbe
potuto
immaginare
una firma
più
consona
a
tua
madre?
Una
piccola
croce.
Una firma più
personale di quella?
66
La croce per firmareRicordo
che,
l’anno
dopo,
all’esame
di
catechismo
don
Serafino
mi
chiese,
tra l’altro, di spiegargli il segno della croce. “Esso ci
ricorda
la
passione
di
nostro
Signore”
io
risposi
“ ed
è
anche
il
modo
di
firmare
degli infelici”.
Il
parroco
osservò
che
la
risposta
non
era
sbagliata,
ma
che
non
era
in
mio potere di riformare le risposte del manuale di dottrina
cristiana…
Un
paio
di
volte,
mentre
io
leggevo
le
tue
prime
lettere,
ella
era caduta
in
deliquio,
con
mia
grande
paura
e
smarrimento.
L’aceto
Da
allora
in
poi,
per
rianimarsi
ogni volta
che
si
sentiva
mancare,
usava
avvicinare
alle
narici
una
boccettina d’aceto. A causa di ciò, l’odore dell’aceto divenne
per
me l’odore
dell’innocenza
perseguitata.
Era
lo
stesso
aceto, pensavo,
di
cui
era
imbevuta
la
spugna
che
i
legionari
di
Pilato
avvicinarono alle
labbra
del
crocifisso,
quando
si
lamentò d’aver sete».
68
L’incontro con Zauri
dopo la guerra
«“Ma
che
importanza
può
avere,
dissi
a
tua madre,
la
mia
opinione?
Sono
ancora
un
ragazzo”…
“Appunto per questo è importante, mi
spiegò
tua
madre,
appunto
perché
tu
sei
ancora
innocente”.
Da
quel
momento
però devo
confessare
che
io
cominciai
a
dubitare
della
mia
innocenza
e
dell’innocenza
del mondo.
Era
per
me
un
fatto
nuovo,
assai
preoccupante,
che
quella
mia
convinzione della
tua
innocenza
non
potessi
condividerla
con
i
miei
genitori,
il
maestro
di
scuola,
col parroco».
Scrivere: piacere e fatica
«Ogni lettera di risposta mi
assorbiva
per
intere
giornate…
Tutto
ciò, come
ricorderai,
durò
vari
anni;
fu,
in
quegli anni,
la
mia
avventura,
il
mio
romanzo,
la
mia congiura;
finché
tua
madre morì
di
crepacuore,
quando
si persuase
che
la
revisione
legale
del
tuo processo
era
impossibile».69
Insofferenza dei privilegi
«Sul
finire
degli
anni Cinquanta,
ero stato
invitato da
un
autorevole funzionario,
mi
pare
del
mondo diplomatico. Mentre si svolgeva
il
pranzo,
c’era in piedi, dietro
la sedia
dell’anfitrione
proprio
di
fronte
a Silone,
un
uomo
in
abito
nero
immobile, probabilmente
un
cameriere 70
.
che
risultò
avere
l’unica mansione
d’accendere
la
sigaretta
a
quel
signore,
qualora avesse
dato
cenno
di
voler
fumare.
Dignità
Durante
l’intera
serata
l’alto funzionario
non
fumò
mai,
ma
non
per questo
smise
di
gingillarsi
con
una sigaretta,
cosicché
l’uomo
in
piedi
non faceva
che
curvarsi
per accendergliela, ma l’altro
restava
per
un
po’
con
la
mano sospesa a mezz’aria
71
…finché
posava
di
nuovo
la sigaretta sul tavolo, per riprenderla tra due dita appena l’uomo in piedi dietro di lui s’era raddrizzato.
72
Insofferenza dei privilegi II
A
poco
a
poco
la
vista
di
quell’essere
umano, addetto
esclusivamente
a
spiare
in
che
modo
i
polpastrelli
del
padrone
di
casa
sfiorassero
la sigaretta per potersi chinare su di lui al momento esatto
e
potergli
con
gesto
sincronico
e
discreto
porgere
il
fuoco,
divenne
intollerabile:
Io guardavo,
possibile
che
si
faccia
ancora
un
tale
uso
di
un
uomo,
mi
dicevo ‐
al
punto
che
non riuscì
più
né
a
mandar
giù
un
boccone
né
a
spiccicare
una
parola,
aspettando
soltanto
di poter uscire da quell’incubo»
(LDE).
73
La libertà“La libertà
non è una cosa che si possa ricevere in
regalo.
Si
può
vivere
anche
in
un
paese
di dittatura
ed
essere
libero,
a
una
semplice
condizione,
basta
lottare
contro
la
dittatura. L'uomo
che
pensa
con
la
propria
testa
e
conserva
il
suo
cuore
incorrotto
è
libero... Per
contro
si
può
vivere
nel
paese
più
democratico
della
terra,
ma
se
si
è interiormente
pigri,
ottusi,
servili,
non
si
è
liberi:
malgrado
l'assenza
di
ogni
coercizione violenta, si è
schiavi»
(VP, cap. III).
74
Il terremoto
Secondino
era
studente
nel
ginnasio
del
seminario
della
diocesi,
quindicenne,
quando il
suo
mondo crollò:
nel
1915,
il
terremoto
distrusse
la
Marsica,
con
28.000
morti.
Pescina
fu
il
paese
che,
dopo Avezzano, San Benedetto e Gioia dei Marsi, ebbe il più
alto
numero
di
vittime.
Sopravvissero
1500
abitanti
su
una
popolazione
di
5000.
In
quel
13 gennaio
(giorno
fissato
nella
memoria
come una
pietra
miliare),
mentre
i
compagni
del
Seminario minore
erano
nel
panico
e
i
superiori
lanciavano
ordini,
Secondino
gridava:
“Viva
la
libertà”, prendendo la via delle scale.
75
Pescina. Il terremoto del 1915
76
Scompare il suo mondoSilone
è
costretto
a
prendere
atto
della
fragilità
di
tutto
ciò
che
aveva
amato:
la
casa, la
famiglia,
la
chiesa,
ideali
che
gli
erano
sembrati
intoccabili.
«Nel
terremoto… morivano
ricchi
e
poveri,
istruiti
e
analfabeti.
Autorità
e
sudditi.
Nel
terremoto
la
natura realizzava
quello
che
la
legge
a
parole
prometteva
e
nei
fatti
non
manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza
effimera. Passata la
paura,
la
disgrazia
collettiva
si
trasformava
in occasione di più
larghe ingiustizie».
77
Si scatenano gli istintiAssistette
ai
saccheggi,
allo
scatenarsi
dell’avidità,
all’emergere
dei
più
brutali istinti
soffocati
dal
perbenismo,
all’assassinio
impunito
di
un
parente,
al furto
del
portafoglio
dal
corpo
della
madre
morta da parte di uno zio. Una concorrenza spietata
di
tutti
contro
tutti.
Gli
eventi,
suo
malgrado,
lo
costringevano
a
prendere
atto della
crudele
necessità
che
domina
il
mondo.
78
Una fitta nebbia
«S’è
fatta
d’improvviso
una
fitta
nebbia.
I soffitti si aprivano lasciando cadere il gesso. In
mezzo
alla
nebbia
si
vedevano
ragazzi
che,
senza
dire
una
parola,
si
dirigevano verso le finestre. Tutto questo è durato venti secondi,
al
massimo
trenta.
Quando
la
nebbia di gesso si è
dissipata, c’era davanti a noi
un
mondo
nuovo.
Palazzi
che
non
esistevano
più,
strade
scomparse,
la
città appiattita…
E
figure
simili
a
spettri
fra
le
rovine…
Un vecchio avaro
Un
vecchio
avaro, l’usuraio
del
villaggio,
era
seduto
su
una pietra,
avvolto
in
un
lenzuolo
come
in
un sudario.
Il
terremoto
l’aveva
sorpreso
a
letto, come tanti altri. Batteva i
denti
per
il
freddo.
Chiedeva
da
mangiare. Nessuno
lo
aiutava.
Gli
dicevano:
«Mangia
le tue
cambiali».
È morto
così…79
80
La morte della mamma
Abbiamo
assistito
a
scene
che
sconvolgevano
ogni
elemento
della
condizione
umana.
Famiglie numerose
il
cui
unico
sopravvissuto
era
il
figlio
idiota…
Il
ricco
che
non
aveva
nemmeno
una camiciola
di
lana
per
difendersi
dal
freddo…
Dopo
cinque
giorni
ho
ritrovato
mia
madre.
Era
distesa presso il camino, senza ferite evidenti. Era morta. Io sono
molto
sensibile.
Tuttavia
non
ho
versato
una
lacrima.
Qualcuno
ha
creduto
che
non
avessi
cuore. Ma
quando
il
dolore
supera
ogni
limite,
le
lacrime
sono
stupide…
Mio
fratello
è
stato
trovato
in
un secondo
tempo.
A
forza
di
urlare
aveva
la
bocca
piena di polvere».
81
Due orfani
La catastrofe segnò praticamente la fine della famiglia
Tranquilli
(oltre
alla
madre
e
al
padre,
quattro
dei
sei fratelli ‐
Elvira,
Maria,
Cairoli,
ancora
Maria ‐
erano
morti
ancora
piccoli
e
Domenico
si
era
spento
a
14 anni). Il fratello più
piccolo, Romoletto, nato nel 1904,
che si trovava con la madre al momento del terremoto, fu tirato fuori dalle macerie ferito alla spalla.
Ai
due
orfani
restava
la
nonna
paterna, l’indimenticabile
figura
di
Maria
Vincenza,
alla
quale
furono
affidati
e
che
provvide
per
Romolo
alla sistemazione
in
un
istituto
salesiano.
Secondino
invece restò a Pescina
(con una parentesi al Seminario di Chieti) per essere poi accolto all’Istituto S. Pio X di Roma.
La nonna
La
nonna
è descritta
come esperta
nell’arte
di “ingoiare
amaro
e sputare
dolce” (SN).
82
Una splendida nonna
Silone
racconta
di
una nonna,
dal
viso
“pallido
e
triste”
e
la
testa
“come modellata
nell’avorio…
i
lineamenti
scarnificati, sottili,
puliti,
netti,
con
la
pelle
aderente
alle
ossa”, dal “frequente e affannoso respiro
che
solleva
il
petto”, dai movimenti che hanno
“una
grave
e
come
improvvisa
pesantezza, appena
dissimulata
dall’abbondanza
di
stoffe dell’antiquato
abbigliamento”. 83
Le mani
«La
sola
cosa
viva
della
sua
persona
restano
le
mani
che ella
protende
verso
il
fuoco
per
rianimarle;
mani
esili lunghe
scarne,
avvizzite
come
vecchi
sarmenti,
agitate
da
un leggero tremore e, a osservarle meglio,
un
po’
rattrappite;
controluce,
esse
rivelano l’intreccio
delle
articolazioni
leggermente
deformate dall’artrite,
con
i
ceppi
e
le
divaricazioni
delle
vene ingrossate dalla sclerosi.
84
Solo il cerchietto della fede conserva la sua capacità
e incide nell’anulare sinistro una cesura d’ombra».
Solo il cerchietto della fede conserva la sua capacità
e incide nell’anulare sinistro una cesura d’ombra».
Il teatro del mondo
In
Il
seme
sotto
la
neve dice Pietro:
«Mi
sembra
che,
fino
a quel
giorno,
io
non
sia
stato
me
stesso,
ma abbia
rappresentato
una
parte,
come
un
attore
a teatro,
acconciandomi
perfino
una
maschera adeguata
e
declamando
le
formule
prescritte. Teatrale
convenzionale
finta
m’appare
ora
tutta questa nostra vita…».
85
Dopo il terremoto il profilo di Secondino
cambiò:
il
mondo
era
come
lo
scenario
di
un teatro
inconsistente,
di
illusioni infantili.
Dopo il terremoto il profilo di Secondino
cambiò:
il
mondo
era
come
lo
scenario
di
un teatro
inconsistente,
di
illusioni infantili.
86
Il mondo come rappresentazione
“Considerato
a
occhio nudo,
come
ora
a me
è
dato
di
vederlo,
il
nostro paese
reca
tratti
evidenti
della fragilità
e
provvisorietà
delle
quinte di
teatro:
una
notte
avremo
un
terremoto
un po’
più
rude
dei
soliti
e
l’indomani
la rappresentazione
sarà
finita»
(SN, 727).Silone anni Venti
87
Il “Tagliamento”
Secondino
andò
ad
abitare
nel
quartiere
più
povero
del
Comune,
dove
erano
state
approntate
baracche
prive
di servizi
igienici,
raggiungibili
attraversando
un
fosso
chiamato
“Tagliamento”.
C’era
da
scandalizzarsi
per
il contrasto
tra
le
sofferenze
della
gente
e
i
misfatti
dei
rappresentanti
dello
Stato,
che
si
aggiungevano
ai
tanti crimini rimasti impuniti. L’ideale della giustizia perdeva ogni riferimento oggettivo.
«Simili
episodi
di
violenza,
con
l’inevitabile
seguito
di arresti
di
massa,
di
processi,
di
esorbitanti
spese
giudiziarie, di condanne penali, rafforzavano negli animi dei
contadini,
come
è facile
immaginare,
la
sfiducia,
la
diffidenza, la rassegnazione»
(US).
88
Stato‐diavolo
“Lo Stato riacquistava i suoi connotati di irrimediabile creazione del diavolo. Un
buon
cristiano,
se
vuol
salvarsi
l’anima,
eviti
pertanto
il
più
possibile ogni
contatto
con
esso.
Lo
Stato
è
sempre
ruberia,
camorra,
privilegio
e non può essere altro”.
89
Terremotati in abbandono
Secondino
ha
espresso
il
suo
sdegno
su “Avanti”:
«Chi
ha
vissuto
queste
ore
non
le
dimenticherà
più
e
non
dimenticherà
il proprio
avvilimento
e
il
proprio
furore
al
pensiero
di
appartenere
a
uno
Stato
civile che
si
dice
anche
grande
e
potente,
la
cui
capitale non era che a quattro ore di treno da paesi
abbandonati
alla
sventura
come
se
fossero
dispersi
in
una
contrada
barbara
e deserta».
Il “Tagliamento”
Il
“Tagliamento”
finì
col
segnare
la
linea
di un fronte di guerra civile: «Per prima cosa si procedé
all’oscuramento notturno mediante
la
distruzione
a
sassate
delle
lampade
di illuminazione
pubblica.
Così
divenne
pericoloso,
anche
per
i
carabinieri, avvicinarsi al Tagliamento durante la notte. I
malcapitati
erano
accolti
a
sassate
di
invisibile provenienza»
(US).
90
91
Romolo Tranquilli
«Carissimo
fratello,
ogni
disgrazia
è seguita
da
disgrazie! E il terremoto ha voluto dietro di sé
la
guerra
e
la
guerra
vorrà
ancora!...
Son
tornato
a
Pescina. Ho
rivisto
con
le
lagrime
agli
occhi
le
orride
macerie,
sono ripassato
tra
le
misere
capanne
coperte
alcune
da
pochi
cenci come
i
primi
giorni,
dove
vive
con
una
indistinzione
orribile
di sesso,
età
e
condizione
la
gente
povera…
Ho
rivisto
tutto
ed
ora cosa farò?
92
Romolo
“Ho
rivisto
anche
la
nostra
casa
dove
vidi
con
gli
occhi esausti di piangere, estrarre la nostra madre, cerea,
disfatta.
Ora
il
suo
cadavere
è
seppellito
eppure
anche
là
mi
pare
uscisse
una
voce.
Forse l’ombra
di
nostra
madre
ora
abita
quelle
macerie
inconscia
della
nostra
sorte
pare
che
ci
chiami
a stringerci
nel
suo
seno.Ho
rivisto
il
luogo
dove
tu,
fortunatamente
fosti
scavato…ora
cosa
farò?...
Mi veggo
cogli
studi
interrotti,
privo
di
ogni
aiuto
materiale e morale; sì
anche morale!”.
93
Che fare?
Già
un
barlume
di
speranza
mi
era
apparso:
mentre
ero a Chieti (venne) a trovarmi una Dama di Corte di S.
M.
Regina
Elena
che
mi
promise
di
incaricarsi
di
me. La Dama faceva parte del patronato della Regina Elena
per
gli
orfani
e
mi
disse
di
essere
già
venuta
a
visitare te nel S. Cuore. Il nome della Dama non lo so; se tu lo potessi sapere scrivimelo subito.
Io
non
so
come
fare,
cerco
di
sperare
ancora, poi…venga
quel
che
venga
l’accetterò.
Se
tu
sapessi
qua cosa si patisce!... Se tu puoi fare qualcosa per me ti
prego
di
farlo.
Raccomandami
a
qualche
Signora
che ti visitasse; consigliati col superiore al quale darai i miei umilissimi ossequi.
Baci affettuosissimi.
Secondo”.
94
I collegi
Dopo
un
breve
periodo
a
Chieti,
Secondino
entra
nel
collegio Pio X dei padri Giuseppini
del Murialdo, a Roma. Lo
stile
di
vita
era
insoddisfacente
per
Secondino
(che
annota con ironia: «Ci
danno
un
sapone
che
pulisce
molto bene,
perché
porta
via
anche
la
pelle»).
L’ambiente
anonimo del collegio non favoriva relazioni interpersonali amicali, quelle di cui un orfano sentiva la necessità.
Secondino “Drop out”
Avendo
abbandonato
gli
studi,
s'immerge
nella
lotta politica.
«A diciott’anni
ho
abbandonato
gli
studi
su consiglio di due o tre medici, perché,
così
mi
assicuravano
quei
pozzi
di
scienza,
“non vivrai
più
di
un
anno”.
Il
destino
ha
voluto
che
i
miei medici
morissero
uno
dopo
l’altro,
mentre
io
in
questo momento
sto
scrivendo
e
bevendo il caffè. 95
A
quel
tempo
non
potevo prevederlo
e
perciò
ho
lasciato
perdere
lo
studio, fedele
al
proverbio
italiano:
meglio un asino vivo che un genio morto».
96
Reinventarsi a Pescina
«Passo
il
tempo
abbastanza
spensieratamente.
La
salute va
benino.
Ai
15
di
marzo
passo
visita.
Per
ora sto
solo
perché
con
i
parenti
non
andavo
d’accordo,
ma così
non può durare ancora molto. Il commissario di
Pescina
non
volle
concedermi
la
baracca;
sicché
sono
stato
costretto
a
rinunciare
al
mutuo
per
farmi dare
una
casetta
a
cemento
armato.
È abbastanza
elegante,
sono
tre
vani.
A
Pescina
la
si
chiama:
casa dei
diavoli,
perché
n’esce
sempre
un
gran
fracasso,
e
più
di
notte
che
di
giorno.
Siamo
una
decina
tra studenti,
vagabondi,
operai
e…
gente
allegra,
che
spesso
richiamiamo
nella
mia
baracca
i
carabinieri. Del resto non facciamo nulla di male: si canta, si ride, si
mangia,
si
beve,
si
balla.
Soprattutto
si
beve
e
si
canta. Io non sapevo di aver mai cantato in vita mia se non solo; ora canto da mane a sera…
97
Sposarsi?Ma
con
la
partenza
del
‘900
(a
me
mi
riformano),
rimarrò
quasi
solo.
Per
cui
ho pensato,
così,
da
qualche
giorno,
come
sono
solito,
di
prendere
moglie:
s’intende
non civilmente
e
tanto
meno
religiosamente.
Civilmente, forse, se
il
matrimonio
privato
avrà le
sue
conseguenze.
E
allora
sarà
un
guaio
col
Patronato.
Ma
con
la
furbizia
si
riesce
a
tutto. In ogni modo, conto sul vostro aiuto e su quello di
don
Orione…
Se
riesco
agli
esami
m’impiego
al
Genio
civile
di
Pescina.
Anche
perché
possa mantenere la mia futura metà. E a San Prospero cosa
fate?
Chi
sa
che
silenzio
ora
che
non
c’è
più
Tranquilli».
98
Problemi esistenziali
Secondino scrive a don Orione:
«Io
credo
(lo
credono
tutti
che
mi
conoscono)
di essere
socialista
e
dianzi
vi
ho
parlato
di
anima
e
di
perdono!
Ah
preferisco
essere
un
materialista incoerente,
ché
quando,
giorni
fa,
riandavo
con
la
mente ai capisaldi del marxismo, e mi intrattenni sui fini ultimi dell’uomo e della società, sentii tanto gelo, tanta
desolazione
e
con
terrore
m’accorsi
(ah!
che
materialista!)
m’accorsi
che
la
mia
nuova
fede
mi avrebbe
senz’altro
condotto
al
suicidio
appena
che
un dispiacere un po’
forte m’avesse percosso.
99
Problemi esistenziali II
Temevo
il
bivio
ed
ecco
che
vi
sono
sospeso
ed
ho
paura.
Oh
perdonatemi,
padre
ed
aiutatemi!
“In certi casi della vita si salva soltanto chi ha un figlio, chi
ha
un
padre,
o
chi
crede
in
una
vita
ventura”.
Mi
sono
ricordato
che
un
giorno
voi
scrivendomi mi
chiamavate
figlio
ed
io,
padre.
Ho
ricercato
tra
le
mie
carte
le
vostre
lettere
e
le
ho
rilette
tutte
ed ho
pensato
tanto,
ed
ho
sentito
sempre
più
in
me,
nella parte più
profonda di me il gelo ed ecco che vi scrivo
e
tremo.
Padre,
la
mia
salute
è
rovinata,
i
miei
studi
sono
rovinati,
io
voglio
ancora riedificare,
riedificare,
riedificare!
Aiutatemi!»
(1918).
100
Un bivio
Non
è facile
per
don
Orione
capire
questo
giovane: una vera patata bollente. Spera di riavvicinarlo ad una visione
cristiana
della
vita,
di
aiutarlo
a
inserirsi
nel
lavoro,
di
fargli «considerare
gli
avvenimenti
da
un punto di vista più
eccelso, da dove appariranno, è vero,
un pò
più
piccoli di dimensioni, ma se ne scorge anche le
supreme
vette,
oltre
le
terrene
basi.
Dà
una
forma
netta e precisa a quanto hai in animo di fare, attento ai malsani
contatti
intellettuali,
leggimi
col
cuore
e
non
con
gli
occhi.
Tu
sei
per
me
un
interrogativo,
che
ogni giorno
diventa,
per
me,
più
grande
e
impressionante…
Tu hai davanti un gran bivio, un tremendo bivio»
.
Roma socialista
Secondino
segue
la
sua strada,
non
riprende
gli
studi e interrompe le lettere con
don
Orione.
Gli
amici
del
movimento
giovanile esaltano
in
lui
la
voglia
di
riscatto
e
di
protagonismo, il gusto della trasgressione.
Il cruccio principale in quel periodo
doveva
essere
il
lavoro,
aggravato
dalla
sua fama di attivista socialista.
101
A Roma la vita non è facile, dormendo in luoghi di fortuna, sempre in cerca di come sbarcare il lunario e di qualche lavoretto.
A Roma la vita non è facile, dormendo in luoghi di fortuna, sempre in cerca di come sbarcare il lunario e di qualche lavoretto.
102
Il cinismo adolescenziale
Silone dovette passare dall’adolescenza al cinismo
adulto,
senza
che
la
maturazione
della
coscienza potesse temprare e modellare i comportamenti.
Ha confessato in una lettera a Gabriella (17 agosto 1924):
«Non mi importava nulla. Ero
un cinico, però
non un
egoista
e
nemmeno
un
altruista.
Non
mi
importava nulla né
degli altri né
di me stesso, della mia
salute,
del mio
avvenire,
dei
miei
studi.
Non
avevo
progetti,
ambizioni.
Vivevo
giorno
per giorno».
103
Conformismo e trasgressioneNella
cultura
del
paese,
adagiata
sul
conformismo,
basta
un
comportamento
non conforme alle abitudini consolidate per essere etichettati
come
rivoluzionari.
Stretti
tra
conformità
e
devianza,
si
veniva
respinti “fuori”
se non si era “dentro”.
Per
Secondino
era
giocoforza
ribellarsi
e
non subire.
La
parola
rivoluzione
veniva
impiegata «anche
per
designare
una
semplice
dimostrazione non consentita dalle autorità.
Avezzano
104
In
quel
periodo
di
guerra,
ad
esempio,
nel
nostro
Comune avevano
già
avuto
luogo
due
‘rivoluzioni’:
la
prima
contro
il
municipio
per
il
tesseramento
del
pane,
la
seconda
contro
la Chiesa
per
il
trasferimento
in
altro
Comune
della
sede
vescovile».
In
quel
periodo
di
guerra,
ad
esempio,
nel
nostro
Comune avevano
già
avuto
luogo
due
‘rivoluzioni’:
la
prima
contro
il
municipio
per
il
tesseramento
del
pane,
la
seconda
contro
la Chiesa
per
il
trasferimento
in
altro
Comune
della
sede
vescovile».
105
La rivoluzione dei 3 soldati
La
terza
rivoluzione,
detta
“dei
tre
soldati”,
vede
come
protagonista
Secondino:
tre
carabinieri litigano
per
gelosia
e
vengono
arrestati.
Il
comandante
dell’arma
sospende
la
licenza
e
li rinvia al fronte.
La
misura
punitiva
sembra
sproporzionata. Secondino consola la madre di uno dei soldati, suo amico,
poi
morto
in
guerra.
Fa
il
possibile
per
sollecitare il Sindaco, il Pretore, il Parroco, ma tutti si
dichiarano
incompetenti.
Il
ragazzo
si
vede
costretto a prendere le parti della vittima.
La tromba
Anche
la
folla
“minacciosa
e
tumultuante”
si
ribella
e,
pungolata
dalle
campane
e
dalla
tromba
della
Lega
dei contadini, giunge ad assediare la caserma e a mettere in fuga i carabinieri.
La
scelta
socialista
di
Secondino
è in
qualche
modo inevitabile,
all’incrocio
tra
l’esempio
del
padre,
l’effervescenza
della
propria
personalità e
l’incongruenza della situazione.
106
SocialistaAlla fine del 1917, anno
della rivoluzione
bolscevica,
già frequenta la sede della Lega
dei
contadini,
s’iscrive
alla
Unione socialista
romana
e
aderisce
alla Federazione
giovanile
socialista.
107
108
Rischiare di persona
Era
stato
attirato
sin
da
piccolo
da
chi
rischiava
di
persona.
«“Quelli
che
nascono
in
quella
contrada
sono
veramente
disgraziati”
mi
ripeteva
il
Dr.
F.
J.,
un medico
di
un
villaggio
vicino.
“Qui
non
c’è
via
di
mezzo:
o
ribellarsi
o
essere
complici”.
Egli
si
ribellò. Si
dichiarò
anarchico.
Tenne
discorsi
tolstoiani
alla
povera
gente.
Divenne
lo
scandalo
dell’intera contrada.
Odiato
dai
ricchi,
deriso
dai
poveri,
compatito in segreto solo da pochi, gli fu infine tolto il
posto
di
medico
condotto
e
morì
letteralmente
di
fame.
Follia e cretività
Il
suo
destino
serviva
di esempio
nelle
buone
famiglie.
“Se
non mettete
giudizio”,
dicevano
le
madri
ai figli
“finirete
come
quel
pazzo”»
(US)
Più
volte
Silone
nei
romanzi
sottolinerà
la sua
fiera
vicinanza
a
certi “pazzi”. L'inquietudine,
lo
smarrimento
e
la
follia
caratterizzarono
in
modo incisivo il cammino di Ligabue dallo stato. La sua pittura – istintiva,
passionale,
irruente
–
riporta
in
superficie
un
vecchio
quesito irrisolto: qual è, in realtà, il limite tra genialità
e pazzia?
L'inquietudine,
lo
smarrimento
e
la
follia
caratterizzarono
in modo incisivo il cammino di Ligabue dallo stato. La sua pittura –
istintiva,
passionale,
irruente
–
riporta
in
superficie
un
vecchio quesito irrisolto: qual è, in realtà, il limite tra genialità
e pazzia?
110
“Il suo modo di servire Dio” Il socialismo gli sembrava unificare impegno
politico e solidarietà
religiosa. La scelta della Lega infatti gli si configurerà
–
come a
molti
socialisti
dei
primi
tempi
– anche come
un credo, una religione alternativa, “il suo modo di
servire
Dio”,
come
se
i
buoni
propositi
dell’infanzia, gli ideali cristiani e il socialismo umanitario
e
solidale
si
fondessero
e
trovassero,
grazie
alle
azioni
trasgressive
e alla
compagnia
di
altri
rivoluzionari,
una
traduzione effettiva.
Contadini
«Non
so
se
scandalizzerò qualcuno
con
lo
spiegare
che di
questa
fondamentale realtà
religiosa
e
popolare
del nostro
paese,
non
avevo
mai
percepito
il
minimo sentore
nell’educazione
precedentemente
ricevuta a
scuola
e
dai
libri
e
che
con
essa
mi
scontrai
per prima
appunto
nelle
leghe
dei contadini “rossi”».
111
Lazzaro
Secondino è felice di poter correre con
i
compagni
al
richiamo
della
tromba di Lazzaro, il loro punto di riferimento, che chiama a raccolta i
“diversi”,
i
“ribelli”
sostituendosi
ai
manifesti
murali,
non
leggibili dai
paesani.
È la
tromba
che
nei
romanzi sarà
associata a quella del Cristo
Redentore,
in
camice
rosso
con
la
scritta
“Beati
gli
assetati
di giustizia”.
112
Annuncia la gioia della liberazione: «”È
una festa da inventare”. “Quando avverrà?”. “Come si fa a saperlo con precisione? Forse tra un
anno, tra sessanta, tra duemila”»
(MM).
I compagni
Il
significato
simbolico palingenetico
della
tromba
non
è
sfuggito ai
lettori
di Silone.
Essa
carica
l’impegno
di
attenzione,
di fratellanza,
di
un’escatologia
che
sembra realizzare il “Regno”.
113
Il
suono
della
tromba
riempiva
di
sollecitazioni
il
vuoto
di chi
non
veniva
più
richiamato
dalla
madre
o
dal
padre
a
rincasare
per
l’ora
della
cena,
era
un
richiamo
affettivo, l’unica voce che sembra convocarlo.
Il
suono
della
tromba
riempiva
di
sollecitazioni
il
vuoto
di chi
non
veniva
più
richiamato
dalla
madre
o
dal
padre
a
rincasare
per
l’ora
della
cena,
era
un
richiamo
affettivo, l’unica voce che sembra convocarlo.
114
Attirato dalla Lega
«Non
c’era
più
nessuno
che
chiamasse
me,
e
forse
anche
per
questo,
mi
sentivo
stranamente
attirato verso
quella
povera
gente
che,
pur
stremata
dalle
fatiche
della
giornata,
ubbidiva
al
richiamo
della tromba.
Così
varie
volte
m’intrufolai
anch’io
nelle
assemblee che in quel tempo si svolgevano nel cortile di un antico convento francescano…
Benché
fosse la
medesima
gente
che
vedevo
raccolta
in
altre occasioni,
in
piazza,
in
chiesa
o
al
mercato,
quegli
improvvisi
raduni
mi
facevano
un’impressione profonda…
Tutta
la
mia
attenzione
era
assorbita
dalla gente che mi pareva come trasfigurata»
(US).
Maschera di rifiuto
«Ora mi rendo conto che mi lasciai
attirare
dal
movimento clandestino
perché
esso
mi
offriva
la possibilità
di
dare
una
orgogliosa
maschera
di rifiuto
al
risentimento
che
nutrivo
verso
la
società dalla
quale
ero
escluso,
e
che
nel
mio
intimo
però invidiavo,
bramavo,
temevo»
(ESN).
115
Silone
è
attratto
dalla
Lega
perché
lì
si
sente
convocato
non come
l’orfano,
lo
studente
degli
istituti
religiosi,
il
marsicano,
ma come un giovane e istruito compagno di lotta.
Silone
è
attratto
dalla
Lega
perché
lì
si
sente
convocato
non come
l’orfano,
lo
studente
degli
istituti
religiosi,
il
marsicano,
ma come un giovane e istruito compagno di lotta.
116
Il Cristo col camice rosso
Silone,
che
ha
la
nomea
di
“studente
rosso”,
conferma
in
Uscita
di
Sicurezza,
che
la
scelta
della
Lega
non
gli
appariva diversa dalla religione, ma anzi la maniera eccellente di darle concretezza.
Lazzaro spiega:
«"A
me
pare
che
l'uomo
sia
come
l'acqua.
Se
prendi
un
bicchiere
d'acqua,
vedi
subito
che
non
ha
colore.
Ma
una grande
quantità
d'acqua,
un
grande
fiume,
un
lago,
un
mare,
acquista
facilmente
una
colorazione".
"A
causa
del
cielo"
mi permisi di interloquire.
"A
causa
del
cielo"
egli
confermò.
“Allo
stesso
modo
ognuno
di
noi,
da
solo,
è come
un
bicchiere d'acqua.
Da
che
ci
può
venire
un
colore?”.
“Dalla
massa?”
io
domandai. “Non dalla massa”
egli mi spiegò.
Non pecore
“Una massa di pecore resta una massa di pecore. E
noi qui adesso siamo appena tre o quattro”. “Da che cosa
dunque?”
io
insistei.
“Ovunque
noi
ci
riuniamo,
Egli
ha
promesso
di
stare
con
noi”
mi spiegò Lazzaro indicando sulla parete della baracca il Cristo col camice rosso»
(US).
117
118
Dalla parte degli ultimi
L’impegno
politico
realizza
anche
l’aspirazione
alla
solidarietà.
Secondino
va
alla
Lega
«per
tenere
la
corrispondenza
dei contadini analfabeti, scrivere ricorsi contro i soprusi.
Seguendo
la
predisposizione
letteraria
e
prosociale,
offre
la lettura
ad
alta
voce.
Non
ritenendo
opportuno
leggere
D’Annunzio,
opta
per
i
racconti
di
Tolstoi,
su
consiglio
del medico
anarchico.
E’
il
suo
modo
di
assolvere
al
debito
nei
confronti dei “derubati”. La parola, letta e scritta, è già per lui lo strumento principe della lotta.
Scriverà:
«assai
più
della
scuola
e
delle
letture,
nella
mia formazione,
anche
tecnica,
di
scrittore,
hanno
avuto
influenza
decisiva
le
esperienze
della
vita,
e
tra
esse
devo
menzionare, prima
d’ogni
altra,
la
compagnia
di
contadini
e
operai
in
circostanze fortemente impegnative».
Politica e compassione
119
I racconti di Tolstoi sembrano a Silone dare corpo alla divina compassione per l'umanità, in particolare la storia di Polikusc'ka, il servo deriso e disprezzato: ricevuto un importante incarico dalla padrona, volendo riabilitarsi dalla fama di beone e ladro, il servo ce la mette tutta, ma smarrisce il denaro affidatogli e, disperato, s’impicca. Tolstoi
descrive con “triste lentezza”
e profonda compassione la
sofferenza
di
questo
servo.
Silone
annota
che
il
servo:
“non
ne distoglie
lo
sguardo
per
non
soffrire”.
«Di
questa
specie,
pensavo
dev’essere
la
compassione
divina,
la
compassione
che non sottrae la creatura al dolore, ma non l’abbandona e l’assiste fino alla fine, anche senza mostrarsi»
(US).
Tolstoi
descrive con “triste lentezza”
e profonda compassione la sofferenza
di
questo
servo.
Silone
annota
che
il
servo:
“non
ne
distoglie
lo
sguardo
per
non
soffrire”.
«Di
questa
specie, pensavo
dev’essere
la
compassione
divina,
la
compassione
che
non sottrae la creatura al dolore, ma non l’abbandona e l’assiste fino alla fine, anche senza mostrarsi»
(US).
Lev Tolstoj (1828‐1910)
Tolstoj
acquisì
presto risonanza
mondiale
per
il
successo
dei
romanzi
Guerra e pace
e Anna Karenina, a cui
seguirono
altre
sue
opere narrative
sempre
più
rivolte
all'introspezione
dei personaggi ed alla riflessione morale.
La
fama
di
Tolstoj
è
legata
anche
al
suo
pensiero pedagogico,
filosofico
e
religioso,
da
lui
espresso
in numerosi
saggi
e
lettere
che
ispirarono,
in
particolare,
la condotta
non‐violenta dei
tolstoiani
e
del
Mahatma Gandhi.
120Ritratto da I. E. Repin
nel 1887.
121
“Vocazione politica”?Lo
sguardo
a
ritroso
di
Silone
ha
rinvenuto
nella
scelta
politica
uno
slancio
etico,
una sorta
di
“vocazione
laica”,
condizionata
dagli
eventi
che
spingono
inesorabilmente alcuni
e
non
altri
a
scegliere
un
comportamento
deviante.
Di
fronte
a situazioni
assurde,
osserverà
più
tardi
Silone,
ribellarsi
è meglio
che
suicidarsi, anche
se
nella
rivolta
giovanile
c’è
sempre
una
componente
emotiva,
irrazionale, ambigua.
122
Perché la scelta politica?«Per
quale
destino
o
virtù
a
una
certa
età
si
compie
la
grave
scelta
di
diventare
ribelli? Scegliamo
o
siamo
scelti?
Donde
viene
ad
alcuni
quell’irresistibile insofferenza della rassegnazione, quell’insofferenza
della
ingiustizia,
anche
se
colpisce
altri?
E
quell’improvviso
rimorso
di assidersi a una tavola imbandita, mentre i vicini di casa non hanno di che sfamarsi? È quella fierezza che rende la miseria, il carcere, l'esilio preferibili al disprezzo? Forse nessuno lo sa…
123
Il travaglio interioreOgnuno
che
abbia
seriamente
riflettuto
su
se
stesso
e
sugli
altri,
sa
quanto
certe deliberazioni
siano
segrete
e
certe
vocazioni
misteriose
e
incontrollabili.
Vi
era
nella
mia ribellione
un
punto
in
cui
il
rifiuto
e
l’amore
coincidevano:
sia
i
fatti
che
giustificavano l’indignazione,
sia
i
motivi
morali
che
l’esigevano mi erano dati dalla contrada nativa. Il
passo
dalla
rassegnazione
alla
rivolta
era
brevissimo:
bastava
applicare
alla
società
i principi ritenuti validi per la vita privata» (US).
Corpo e anima
Stella in Una manciata di
More,
risponde
a
don Nicola:
«”Il
peggio
non
sono
i
dolori.
Il
mio
corpo
è legato
all’anima
in
un
modo veramente
indecente”.
“Iddio
è spesso
spietato
con
le
anime
che
predilige”» (MM).
124
125
Scegliamo o siamo scelti?
«Prima
di
scegliere,
siamo
stati
scelti,
a
nostra insaputa.
E
la
nuova
ideologia,
di
solito,
la
sia
apprende
più
tardi,
nelle
scuole
del
partito,
al
quale, intanto,
si
è già aderito
per
slancio
di
fede.
In
modo
analogo d’altronde, si svolge il processo inverso, quello eventuale
dell’abiura.
L’ideologia
vi
subisce
allora
lo
stesso
brusco
trattamento
già
riservato
al
catechismo o alle patrie storie» (US).
In
Il
seme
sotto
la
neve
domanda
Faustina: «“Scegliamo
o
siamo
scelti?”.
“Forse
è la
stessa
cosa”
dice
Simone.
“Forse
la
vera
libertà
consiste
in un’assoluta fedeltà
a noi stessi”»
(SN).
126
Religione e politica
Secondino
esercita dunque
il
suo apprendistato
di
militante
socialista
tra
i
compaesani,
tra
il
rivoluzionario
e
il benefattore.
Di
una
cosa
è sicuro:
non
potrebbe
vivere senza
stare
dalla
parte
di
quella
gente.
In
loro
compagnia
gli
pare
si
realizzi
ciò
che più
tardi
esprimerà
attraverso
le
parole
di
Lazzaro:
«Ovunque
ci
riuniamo
Egli
ha promesso di stare con noi».
127
Trasgressione ed eticitàNel partito convivono eticità
e trasgressione:
lo
statuto
impegnava a
lottare
contro l’analfabetismo,
l’alcoolismo,
la
bestemmia:
«Combattevamo
anche
lo
sport
e
il
ballo perché
distraevano
la
gioventù
dalla
lotta
sociale e politica». La
rivoluzione
è anche
una
regola
etica
perché
tutto
viene
orientato
alla
logica
del partito.
Il peso dell’esistenza
Secondino
deve
far
convivere
nella
sua
identità
solitudine
e compagnia,
appartenenze
contraddittorie,
ricordi soffocati,
affetti
familiari
cancellati,
fede
rinnegata, aspirazioni
irrealizzabili,
coraggio
e
paura,
delusioni cocenti…
Si
procura
un’inquietudine
e uno stato di paura esistenziali, di
cui
risentiranno
la
sua
vita
privata,
la
sua
psiche,
la
sua mente.
128
Paura e cinismo
La sua vita trasgressiva, la stigmatizzazione
come
rivoluzionario
gli provocano
quella
paura
che gli pare caratterizzare le
dittature:
la
mancanza
di
libertà
politica
riduce gli
uomini
a
bestie
in
preda
alla
paura
e
perciò pronte
a
tutto:
“La
vera
organizzazione nella quale si
basa
l’ordine
attuale
è
questa
occulta corporazione della paura”.
129
L’effetto sul comportamento è di
annullare
la
distinzione
tra
bene e male e rendere cinici e indifferenti.
130
L’entrata in guerra del’italia ?
Con
l’entrata
in
guerra
dell’Italia,
all’interno
del
partito si sviluppa una disputa che separa i giovani dalla
direzione
e
che
individua
in
Luigi
Polano
il
referente
principale
(é
Polano
che
Silone sostituisce
nella
guida
della
lotta contro
l’ala
più
moderata del partito nel 1919).
Mentre
dalla
Russia
si
frena
lo
slancio
rivoluzionario,
i
giovani
sono
insofferenti
della prudenza,
scalpitano
per
passare
all’azione
e
trovano
riscontro
nell’insofferenza
della
base
che ingrossa le file della federazione giovanile.
Luigi Polano (Sassari, 1897 –
Sassari, 1984)
Studente in
ragioneria,
aderì
alla Federazione
Giovanile
Socialista
Italiana
nel
1914
divenendone due
anni
dopo
il
segretario
regionale
per
la
Sardegna. Trasferitosi
a
Roma
per
studiare
nel
1917
diviene
il
segretario nazionale della Fgsi.
Nel
novembre
1919
rappresenta la
Fgsi
al
congresso
fondativo
dell'Internazionale giovanile
comunista.
È tra
gli
scissionisti
di
Livorno
che
costituiscono
il Partito
Comunista
d'Italia.
La
Fgsi
aderisce
al
nuovo
partito al 90% e Polano
è
confermato segretario della neonata Federazione Giovanile Comunista d'Italia.
131
132
La polizia alle calcagna
Secondino si è già attirato l’attenzione della polizia.
Un
primo
fascicolo
risulta
aperto
dalla
Pubblica Sicurezza
di
Roma
nel
1917,
avendo
egli
presentato
una
domanda
per
l’acquisto
di
ventiquattro
biciclette militari
usate.
Si
sospetta
che
intenda
equipaggiare
i
compagni
e
si
procede
ad
accertamenti.
Comincia
ad essere sorvegliato (di lui si trova scritto: “iscritto
alla
FGSI…
di
cattiva
reputazione…
e
di
intelligenza sveglia”).
I
suoi
affittuari,
che
confermano
agli
agenti
le
cattive compagnie
anarchiche
e
sovversive,
lo
mandano
via
dalla casa di via Borgo Pio.
133
Segretario regionale della Federazione
Al Tribunale di Avezzano si trova una sentenza a carico di
Secondino
del
1918,
che
gl’impone
una
ammenda
di
100 lire
per
aver
lanciato
pietre
contro
la
baracca
dei
carabinieri di Pescina, che tratteneva alcuni ragazzi per lo più
renitenti alla leva.
Prende
parte
alle
proteste
contro
l'entrata
in
guerra dell'Italia
e
condivide
la
scelta
socialista
della
pace
(compiuta
dal
partito
nel
Manifesto
internazionalista
di Zimmerwald) senza annessioni e indennità.
E’
giovane,
ma
già
personaggio
di
primo
piano
nella Marsica:
diventa
segretario
regionale
della
federazione
lavoratori
della
terra
(«a
sua
insaputa,
una
riunione
dei rappresentanti
delle
leghe
lo
nomina
segretario
dei
contadini di tutto l’Abruzzo»).
“L’Avanti”
Il
salto
verso
il
nazionale avviene
con
tre
articoli
per
«L'Avanti», in cui denuncia le indebite
appropriazioni
dei
fondi
per
la
ricostruzione destinati
al
suo
paese
da
parte
del
Genio
civile.
Se
i primi
due
articoli
vengono
accolti,
per
il
terzo
scatta
il veto
di
“un
autorevole
avvocato socialista”.
134
Nell’estate
del
1917
Secondino
è a
Roma
tra
la
gioventù socialista,
schierata
alla
sinistra
del
PSI.
Silone
é dentro
il
partito
ma
é
già
“contro”,
nel
senso
che
fomenta
l’ala
più radicale
e
appoggia
le
iniziative
di
opposizione
proprie
della
FGSI.
Nell’estate
del
1917
Secondino
è a
Roma
tra
la
gioventù socialista,
schierata
alla
sinistra
del
PSI.
Silone
é dentro
il
partito
ma
é
già
“contro”,
nel
senso
che
fomenta
l’ala
più radicale
e
appoggia
le
iniziative
di
opposizione
proprie
della
FGSI.
135
Roma
Nel
1919
si
trasferisce
a
Roma,
dove
finisce col
diventare
Segretario
della
federazione
romana della Gioventù
Socialista.
D’accordo con
i
compagni,
assume
posizioni
sempre
più
radicali
circa
la
rivoluzione
d’Ottobre,
a sostegno
di
Lenin
e
Trotzkij.
La
rivoluzione
russa
ha acceso
in
questi
giovani
un
fuoco di aspettative.
Soviet
Lenin
pensa
che
l’Italia
non
é
pronta
alla rivoluzione.
I
vertici
del
PSI
si
allineano.
Ma
i giovani
avviano
una
intensa
corrispondenza con
il
centro
internazionale
socialista diretto a Zurigo da Willi Muenzenberg
e
continuano
a
tifare
per la
“Repubblica
dei
Soviet” e
per
la
rivoluzione mondiale. 136
Riunione del Soviet di Pietrogrado, 1917Riunione del Soviet di Pietrogrado, 1917
137
L’entusiasmo giovanileSecondino
è preso
da
un
entusiasmo
fanatico‐religioso:
«Nessun
profeta
di
Dio vide
mai
così
chiaramente
come
noi
avevamo
visto
questa
rivoluzione…
Mentre altri fra noi aspetta la maturità
dei tempi. La
gioventù
rossa
prosegue
cantando
verso
la trincea. E porta dietro di sé, nella sua traccia profonda,
le
speranze
dell’umanità.
E
porta
con sé
la forza più
rude e più franca… È bella. È
bella la fiamma che rischiara il cammino».
138
“Fascinans et tremendum”Non
sarebbe
realistico
fare
una
ricostruzione
puramente
ideale
delle
scelte di
Secondino.
Neanche
si
può
pensare
a
decisioni
non
sofferte.
La
necessità
e
gli eventi
hanno
avuto
la
loro
parte,
compreso
il
bisogno di
sopravvivere;
di
riuscire
ad essere
qualcuno,
di
agire
a
largo
raggio,
di
sfuggire al carcere, di vivere in un ambiente non così
soffocante come Pescina…
“Terra, terra!”
Il
trasferimento
in
città
«fu
una
specie
di
fuga,
di Uscita
di
Sicurezza,
un
“Terra! Terra!”,
la
scoperta
di
un
nuovo continente”.
Tuttavia
non
dovette essere
agevole
sintonizzare
con
le esigenze
“scientifiche”
di
una
dottrina
politica minutamente codificata.
139
140
Superare la solitudine
“Mi
rendevo
conto
che
l’adesione
al
partito
della
rivoluzione
proletaria
non
era
da
confondere
con
la semplice iscrizione a un qualsiasi partito politico. Per me,
come
per
molti
altri,
era
una
conversione,
un
impegno
integrale,
che
implicava
un
certo
modo
di pensare
e
un
certo
modo
di
vivere.
Erano
ancora
i
tempi
in
cui
il
dichiararsi
socialista
o
comunista equivaleva
a
gettarsi
allo
sbaraglio,
rompere
con
i
propri
parenti
e amici,
non
trovare
impiego.
Le conseguenze
materiali
furono,
dunque,
deleterie,
e
le
difficoltà
dell’adattamento
spirituale
non
meno dolorose.
Mondo interiore Il
proprio
mondo
interno,
il
“medioevo”
ereditato
e radicato
nell’anima,
e
da
cui,
in
ultima
analisi, derivava
lo
stesso
iniziale
impulso della rivolta,
ne
fu scosso
fin
nelle
fondamenta,
come
da
un terremoto.
141
Nell’intimo
della
coscienza
tutto
venne
messo
in
discussione, tutto
diventò
un
problema…
Tuttavia
sembrava
facile
sfidare
i
pericoli non essendo più
solo nell’azione» (US)
Nell’intimo
della
coscienza
tutto
venne
messo
in
discussione, tutto
diventò
un
problema…
Tuttavia
sembrava
facile
sfidare
i
pericoli non essendo più
solo nell’azione» (US)
142
La fame?
A
Roma
Secondino
è
qualcuno
che
ha
fatto
il
grande
passo,
che
si
lascia
alle
spalle
le
grettezze
del
paese, ma
non
cessa
di
sentirsi
solo,
privato
del
suo
mondo
d’origine,
in
bilico
tra
l’ideale
rivoluzionario,
la necessità
di sopravvivere e il richiamo di don Orione.
Non
sempre
riesce
a
racimolare
i
soldi
per
vivere
e conosce la fame.
Vale la pena ricordare l’episodio noto come “Natale in via
Rusticucci”
(difficile
definire
la
data, anche
se
Silone dice “avevo circa vent’anni”).
143
Radicalismo politico
Già
redattore
de
“L’Avanti”,
dirige
“L'Avanguardia”,
il
settimanale dei giovani socialisti.
Secondino
incontra
Antonio
Gramsci
a
Milano
e
Torino. La
sera
del
21.VI.1919
alla
casa
del
popolo
di Roma,
si
svolge
un
comizio
di
sostegno
alla
rivoluzione russa, con l’appoggio di Turati e Zibordi.
Silone
assume
una
posizione
radicale,
rifiutandosi
di
parlare
insieme
ai
riformisti.
Nel
novembre
dello stesso
anno
entra
come
membro
supplente
nel
comitato
esecutivo
della
Gioventù
comunista internazionale fondata da poco a Berlino.
Antonio Gramsci (1891‐1937)
Politico,
filosofo,
critico letterario
contribuì
alla
cultura marxista specie con il concetto
di
egemonia
culturale, secondo il
quale
le classi
dominanti
impongono
i
propri
valori
politici, intellettuali
e
morali
per
gestire il potere intorno a un senso comune condiviso.
Tra
i
fondatori
del
Partito Comunista,
fu
incarcerato
dal regime fascista nel 1926.
144
Nel
1934,
in
seguito
al
deterioramento
delle
condizioni
di
salute,
gli venne
concessa
la
libertà
condizionata
e
fu
ricoverato
in
clinica,
dove
passò gli ultimi due anni di vita.
145
La spaccatura
Segno
di
difficoltà
è
l’episodio
del
VII
congresso
di
Roma del 1919, quando gli viene affidato il compito di organizzare
la
difesa
militare
clandestina
dei
giovani
e
Silone,
poco
prima
di
intervenire
al
congresso,
si allontana per un improvviso malore, evitando così
di
leggere quanto deciso dalla Federazione e cioè
l’invito alla “diserzione obbligatoria delle file dell’esercito per i giovani socialisti”.
Il 27 gennaio del 1921, al teatro San Marco di Livorno, presente
una
forte
delegazione
da
Mosca,
Silone
porta
il
saluto
della
Federazione
giovanile
e
bolla l’unità
del
partito
come
un
“fantoccio”
da
bruciare
nelle piazze.
Nascita del PCd’I
146
Particolare prima tessera
del partitoResti della facciata del Teatro San Marco
Resti della facciata del Teatro San Marco
Negli archivi del Comintern
di Mosca si
può
visionare
il
mandato
di
“Agente
per
l’estero”
per
conto dell’Internazionale
comunista:
il
documento
dimostra
che
nel
1921 Silone
riferiva
direttamente
ai
vertici
moscoviti
per
le
attività
di propaganda politica.
Negli archivi del Comintern
di Mosca si
può
visionare
il
mandato
di
“Agente
per
l’estero”
per
conto dell’Internazionale
comunista:
il
documento
dimostra
che
nel
1921 Silone
riferiva
direttamente
ai
vertici
moscoviti
per
le
attività
di propaganda politica.
La spaccatura?
A Livorno si consuma la spaccatura, dopo lo
scontro
aspro
tra
la frazione
rivoluzionaria del
PSI,
guidata
da Bordiga, e
quella
più
conciliante
di
Serrati (contraria
alla
scissione, incoraggiata
dall’Internazionale).147
A. Bordiga, uno dei fondatori del Partito Comunista
Italiano, cui Silone fu molto vicino
148
L’opzione comunista
Silone
è dunque
protagonista
della
fondazione
del
PCd’I
Quasi tutti i giovani socialisti aderiscono al nascente
Partito comunista, cosa preparata in Italia e a Mosca (“già
da
tempo
– ha
scritto
Silone
–
esistevano
due
partiti”), ma il PSI regge e resta il primo partito della classe operaia.
L’obiettivo
è di
guidare le
masse
proletarie
verso
la rivoluzione,
convinzione
diffusa
ampiamente
attraverso
la
stampa
e
la
propaganda,
nonostante
le riserve di Mosca.
149
Obiettivo rivoluzione
La
rapidità
della
carriera
costituisce
un
caso
a
sé:
da
ragazzo
che
si
dispera
per
non
sapere
come
tirare
a campare,
nel
1919
Secondino
è
direttore
di
"Avanguardia",
con
un
buon
stipendio;
nel
1920
entra nel
comitato
centrale
dell’Unione
Socialista
romana;
nel
1921
é uno
dei
fondatori
del
PCI;
nel
1922
viene inviato
a
Trieste
come
redattore
del
quotidiano
“II
Lavoratore”
e
diviene
membro
dell’Internazionale giovanile.,
Per un ragazzo orfano, catapultato dalla provincia sullo scenario
internazionale,
dovette
essere
lusinghiera
la
nomina
al
Comitato
centrale
della
Federazione giovanile,
con
Berti,
Longo,
Gorelli,
Lambertini,
Capitta.
150
Sospetti
Si
può
capire
chi
ha
nutrito
sospetti
su
una
tale
carriera:
grazie
ad
essa
Secondino
ha
trovato
il
suo posto
nella
società,
benché
la
sua
vita
navighi
nel
disordine esistenziale. Del resto, tra i giovani non era facile trovare una persona senza famiglia, intelligente, disponibile
a
spostarsi,
a
trascurare
gli
studi,
a
vivere
“allo sbaraglio”
Restano
delle
zone
d’ombra.
Non
dovettero
mancare
problemi
di
coscienza
e
di
perdita
dell’identità,
che ponevano
le
basi
del
disagio
che
giungerà
a
maturazione più
tardi sotto forma di disagio psichico.
151
Berlino Est
Tra
il
1919
e
il
1922, Secondino
affronta
i
frequenti
viaggi
a
Berlino, dei
quali
si
possono
immaginare
le
scomodità,
i controlli,
le
difficoltà
della
lingua.
dovendo attraversare
Germania,
Polonia, Danzica, Lituania e Lettonia.
Silone conosce
le
personalistà
più
in
vista
del comunismo
internazionale,
quali
Karl
Radek,
Nikolaj Bucharin, Zinov’ev
(di cui si
diverte a fare caricature).
152
Gli amici di Berlino
A
Berlino,
con
Gabriella,
Silone
incontra
uomini
controcorrente con i quali stabilisce rapporti di franca amicizia.
«I
miei
primi
viaggi
all’estero
ebbero
come
meta
la Germania.
A
Berlino
conobbi
Alfred
Kurella,
Willy
Muenzenberg,
Otto
Unger
[Bork,
comunista
di Amburgo,
arrestato
nel
1937
nelle
purghe
staliniane]…
In
modo
assai
diverso
uno
dall’altro,
erano
giovani dotati
di
straordinarie
qualità
intellettuali
e
organizzative…
Una
franca
amicizia
si
stabilì
con Kurella».
153
Willi
Münzenberg
1889‐ 1940,
capo
della
prima
Internazionale
giovanile comunista
e
della
propaganda
comunista
in Germania, poi deluso
dalle
purghe
staliniane
degli anni
Trenta.
Willi
Münzenberg
1889‐ 1940,
capo
della
prima
Internazionale
giovanile comunista
e
della
propaganda
comunista
in Germania, poi deluso
dalle
purghe
staliniane
degli anni
Trenta.
Alfred
Kurella
(1895 ‐
1975)
scrittore
e politico
tedesco,
nel
1918
diviene
membro
del Partito
Comunista
tedesco
e, dopo
l’incontro
con
Lenin
di
quello
sovietico. Svolge
attività
antinazista
e
nel 1954,
tornato
nella
Germania
dell’Est,
diviene
guida
ideologica
del Partito
(SED).
154
Il fascismo
Nel
1923,
col
fascismo, ricercato
dalla
polizia,
Silone
è
costretto
ad
espatriare
e diviene
attivista
clandestino,
fuggendo attraverso l’Europa.
L’attività
politica:
«non
mi
lasciò
più
tempo
per
leggere opere
letterarie.
I
soli
libri
che
ebbi
per
mano
furono storie
e
trattati
di
economia,
ma
neanche
quelli
a
fini
di studio,
bensì
d’immediata
necessità,
per
compilare articoletti
di
giornale,
in
cui
l’avventatezza
dei
giudizi
era pari
alla
buona
volontà»
(US).
155
Silone
«Non è…
facile descrivere che cosa
fosse
allora
la
coscienza
politica
della
maggioranza
di noi;
lo
stesso
termine
di
coscienza politica è
eccessivo, per
la
prevalenza
di
elementi
psicologici
primitivi. Eravamo
semplicemente
in
rivolta
contro
tutto
e
contro tutti.
Ciò
che
sublimava
le
tendenze infantili
e
nevrotiche
della
nostra ribellione
era
l’immensa
speranza accesa
dalla
Rivoluzione russa»
(US, 803).
S. Tranquilli, Berlino, 1922
Tra il 1921 e il 1927, compie diverse missioni sia in Russia che in altri paesi europei.
156
Il carcere?
Viene inviato in Spagna dal Komintern, in particolare
da Willy Muenzenberg, dirigente tedesco dell’Internazionale. A Barcellona collabora al giornale
«La Batalla».
La sua missione è di collegamento tra l’Internazionale
e il comunismo spagnolo, ma quando viene arrestato a Madrid, dice di voler stabilire relazioni commerciali
ispano‐sovietiche, riuscendo ad evitare l’estradizione.
Nel Carcer
Modelo
diviene amico di un professore che
gli ottiene di lavorare nella biblioteca dormendo la notte nell’infermeria e così, libero dalla pressione
politica legge Dostoevskij.
157
I fratelli Karamazov
«…Ebbi
l’immensa
gioia
di leggere
per
la
prima
volta
I
fratelli
Karamazov
e
L’idiota. Non
so
dirvi
quanto
ne
rimasi
sconvolto
e
rapito.
Nessun’altra opera
letteraria
mi
ha
fatto
una
tale
impressione.
Finii
col perdere
ogni
nozione
di
tempo
e
di
luogo.
Effettivamente
non ero
più
in
carcere…
le
anguste
pareti
della
cella
svanivano,
ed io
mi
ritrovavo
a
migliaia
di
chilometri
di
lì,
in
un’atmosfera che
mi
riempiva
di
un’ansietà
fino allora sconosciuta»
(US).
Il
romanzo
narra
l'assassinio
di Fëdor,
e
il
processo
nei
confronti
di
Dmitrij,
il
figlio primogenito.
Ad
un
livello
più
profondo
è il
conflitto
morale tra fede, dubbio, ragione e libero arbitrio.“Le pareti della cella svanivano”“Le pareti della cella svanivano”
158
Una suora
Il
carcere
è il
time
out,
la possibilità
di
recuperare
il
tempo per lo spirito, liberandosi dal disagio nel partito
Nell’infermeria
conosce
una suora
giovane
e
bella:
«Si
stabilisce
tra
loro
una
forte
e platonica
amicizia,
fatta
di
lunghi
colloqui
notturni,
di scambi
di
idee,
di
reciproche
professioni
di
fede,
ed
è proprio questa
giovane
suora,
il
cui
ricordo
accompagnerà
Silone per
tutta
la
vita,
ad
evitargli
l’estradizione
in
Italia.
Quando il
prigioniero
arriva a
In Francia
Non
potendo
restare
a
lungo in
Spagna,
Silone
si
rifugia
a
Parigi,
dove
diviene
redattore de “La Riscossa”.
Tra il 1923 e il 1924 lavora
alla pagina
italiana
dell’“Humanité”,
quotidiano del PC francese.
«Non
aveva
il
permesso
di soggiorno.
Era
indesiderato
per
motivi
politici.
Durante una
precedente
puntata
nella
capitale francese, era già
stato arrestato
e
trattenuto
qualche
giorno…159
Silone
temeva
l’estradizione
che significava
per
lui
essere
consegnato
alle
patrie
galere, data
la
condanna
dei
tribunali
fascisti
che
pendeva
sul
suo capo.
Dunque
non
doveva
assolutamente farsi prendere.
160
Insicurezza totale
E in quell’insicurezza totale aspettava disposizioni dal
Partito
che
tardavano,
lasciandolo
nel
vuoto.
Intanto dormiva in albergucci
che costavano poco e non erano
tanto pignoli sui documenti.
Era
inverno
e
lui
doveva
vagare
sino
a
tardi
nelle
strade
per
presentarsi
in
albergo
a
notte
alta,
quando il custode era così
assonnato che rinviava all’indomani
la
registrazione
del
nuovo
cliente.
E
poi
doveva continuare
sempre
così,
rientrare
a
notte
fonda
e
uscire
all’alba
per
non
incappare
nel
titolare
che avrebbe
preteso
da
lui
il
permesso
di
soggiorno.
Finché
non
l’aspettavano
al
varco
e,
privo
com’era della
carta
richiesta,
doveva
alla
svelta
scomparire
e
cercarsi un altro alberguccio.
161
La biblioteca
Fu
allora
che
scoprì
la
biblioteca
Sainte
Geneviève
dove
s’introduceva
appena
apriva
e
restava
tutto
il giorno
al
caldo,
al
sicuro,
uno
sfilatino
per
colazione,
quieto
al
tavolo
di
lettura
fino
all’ora
della
chiusura, quando
ricominciava
le
sue
camminate
per
Parigi
senza
vedere
niente,
in
fretta
per
combattere
il freddo, almanaccando sulla sua vita,
sempre
in
attesa
d’un
messaggio
che
non
arrivava
mai,
a
una
“poste restante”.
A
che
s’era
risolta
la
sua
vita
di
rivoluzionario?
Ambire
la
notte
a
poche
ore
di
sonno e,
il
giorno,
rifugiarsi
in
biblioteca
a
leggere
libri»
(L.D’Eramo)
162
Espluso
Tuttavia
Silone
e
Gabriella
a
Parigi
hanno modo di
incontrare
persone
interessanti,
compagni
di
partito, anarchici,
personaggi
ambigui.
Partecipano
ad
azioni
di
volantinaggio
e
a manifestazioni
di
lotta
dei
sindacati francesi.
Col
compagno
Vanni
Buscemi,
che
lavora
in
un ristorante,
commentano
con
interesse
i
giornali
italiani
Il 21 aprile 1924 l’Avanti annuncia il provvedimento
di
espulsione
dall’Italia
di
Secondino
Tranquilli “comunista,
rappresentante
commerciale
dei
Soviet in Spagna”. Viene espulso anche da Parigi.
163
Con Gramsci
Il
giorno
dopo
la
condanna
lo
si
ritrova ad
un
meeting,
nella
sede
dei
sindacati
in
Rue
Grange‐aux‐ Belles, con i capelli tinti biondo oro e un paio di baffi finti che gli si staccano mentre parla, costringendolo a tenerli fermi con la mano.
Viene rinchiuso nel carcere della Santé.
Resta a Parigi fino al 1925, quando viene richiamato in
Italia
dal
Partito
e
incaricato
dell’Ufficio
stampa
e propaganda,
diretto
da
Gramsci.
Diviene
membro
supplente dell’Ufficio politico del partito.
164
Il fascino di Trotzkij e Lenin
Silone
constatava
la
prossimità
dei
metodi
fascisti
e
staliniani,
accomunati
dalla
formula:
“Il
partito
ha sempre ragione”.
I
viaggi
a
Mosca
furono
decisivi
nell’aiutarlo
a comprendere
in
quale
altro
totalitarismo
fosse
piombato.
Vi
si
era
recato
la
prima
volta
come componente
della
delegazione
italiana
per
il
terzo
congresso
dell’Internazionale
Comunista,
nel
giugno del 1921.
In
condizioni
di
clandestinità
vi
era
tornato
per
vari congressi,
affascinato
soprattutto
da
Trotzkij
e
da
Lenin.
165
Cattedrale di San BasilioCattedrale di San BasilioCremlino
Teatro BolšojTeatro Bolšoj
166
Lenin
«La prima volta che vidi Lenin a Mosca nel 1921, l’apoteosi era
già
cominciata.
Lenin
viveva
ormai
tra
il
mito
e
la
realtà.
Si stavano
svolgendo
i
lavori
del
congresso
della
Terza
Internazionale:
Lenin
partecipava
soltanto
ad
alcune
sedute, così
come fa il Papa al Concilio. Ma quando entrava nella sala,
nasceva
un’atmosfera
nuova,
carica
di
elettricità.
Era
un fenomeno
fisico,
quasi
palpabile,
si
creava
un
contagio
di
entusiasmo, come in San Pietro quando dai fedeli intorno alla sedia
gestatoria
si
diffonde
un’ondata
di
fervore
fino
agli
orli
della
basilica.
Eppure,
a
vederlo,
a
tu
per
tu,
a
parlargli,
altre impressioni
– i
giudizi
taglienti
e
sprezzanti,
la
capacità
di
sintesi,
il
tono
perentorio
delle
decisioni
–
prevalevano
su quella della suggestione mistica».
167
Carisma e parzialità
Douglas Hyde
racconta: «Quando chiesi ad Ignazio
Silone se avesse mai incontrato qualcuno dotato di un
temperamento
come
quello
di
don
Orione,
rispose senza esitare: “Soltanto un uomo: Lenin”»
Il “carisma”
di Lenin veniva attenuato dalla rigidità
assoluta
e
dalla
parzialità
dei
suoi
giudizi,
dalla incapacità
di comprendere le ragioni degli avversari
o
dei
rappresentanti
di
altri
paesi.
Tutto
veniva interpretato secondo l’ottica centralista sovietica.
Douglas Hyde (1860‐1949)
Politico
irlandese,
primo Presidente
della
Repubblica
d'Irlanda
dal
1938
al
1945
e scrittore .
Ha
fondato,
insieme
ad
altri poeti,
scrittori
e
intellettuali
dell'epoca la "Gaelic
League", organizzazione
non‐politica
impegnata
nella
lotta
per
la rinascita
dello
spirito
nazionale irlandese.
S’impegna perché
il popolo si
riappropri
delle
tradizioni, linguistiche
letterarie
e di
abbigliamento.168
169
Nel Comitato centrale PCI
La promulgazione delle leggi speciali e la soppressione dei
partiti (1926), obbliga Silone a continuare la clandestinità.
In
quell’anno,
secondo
la
testimonianza
del
cugino
Pomponio,
Silone
si
reca
a
Pescina
e
date
le
difficoltà
di Romolo, pensa
di
aiutarlo
invitandolo
a
seguirlo.
Romolo
però non se la sente, nonostante le simpatie rivoluzionarie
Intanto Togliatti assume la direzione del Centro estero del
PCI
in
Francia
con
Grieco
e
Tasca,
mentre
Silone
(che lavora
con
Gabriella
Seidenfeld,
Alfonso
Leonetti,
Felice
Platone per
l’Ufficio
stampa
e
propaganda)
quella
del Centro Interno, con la segreteria di Camilla Ravera.
La
cooptazione
nel
Comitato
centrale
del
PCd’I
è del marzo 1927.
Fu
tra
i
fondatori,
nel
1921,
del Partito
Comunista
d'Italia
partecipando attivamente,
come componente della fazione capeggiata
da
Amedeo
Bordiga,
alla
scissione
di
Livorno.
Entrò infatti
nel
primo
Comitato
Centrale del
PCd'I.
Abbandonate,
dopo
qualche anno,
le
posizioni
di
Bordiga,
si
schierò
con
Antonio
Gramsci, che
gli
affidò
il
compito
di
organizzare la sezione agraria e, insieme
a
Giuseppe
Di
Vittorio,
fondò
l'Associazione
di
difesa dei
contadini
poveri..
Fu
condannato
durante
il
fascismo a
17
anni
di
carcere.
170
Segretario
Generale
del
PCd’I,
si costruì
il
fronte
antifascista
,
seguendo
le
indicazioni
dirette
o indirette
di
Antonio
Gramsci,
prigioniero
in
carcere.
Morì
nel 1955.
Segretario
Generale
del
PCd’I,
si costruì
il
fronte
antifascista
,
seguendo
le
indicazioni
dirette
o indirette
di
Antonio
Gramsci,
prigioniero
in
carcere.
Morì
nel 1955.
Ruggiero Grieco (Foggia 1893‐1955)
171
Avversari politici = traditori
«Ciò
che
mi
colpì
nei
comunisti
russi,
anche
in personalità
veramente
eccezionali
come
Lenin
e
Trotzkij,
era
l’assoluta
incapacità
di
discutere lealmente
le
opinioni
contrarie
alle
proprie.
Il
dissenziente,
per
il
semplice
fatto
che
osava contraddire,
era
senz’altro
un
opportunista,
se
non
addirittura un traditore e un venduto. Un avversario in
buona
fede
sembrava
per
i
comunisti
russi
inconcepibile…
È
stato
giustamente
già
affermato che
per
ritrovare
un’infatuazione
analoga
bisogna
risalire agli analoghi processi inquisitoriali
contro gli eretici.
Alexandra Kollontaj
Nel
momento
di
lasciare
Mosca, nel
1922,
Alexandra
Kollontaj
mi disse scherzosamente: “Se ti
accadrà
di
leggere
sui
giornali
che
Lenin
mi
ha fatto
arrestare
perché
io
ho
rubato
le
posate d’argento
del
Cremlino,
vorrà
dire
semplicemente che
su
qualche
problema
della
politica
agricola
o industriale
non
sono
pienamente d’accordo
con lui”. 172
Kollontaj
(San
Pietroburgo,
1872‐Mosca,
1952)
è
una
rivoluzionaria
russa.
Studia economia e Marx
a Zurigo. Aderisce al
Partito
socialdemocratico
russo,
è amica
di
Clara
Zetkin
e
di
Rosa
Luxemburg,
nella
lotta
femminsita, anche
per
il libero
amore
e
la
liberazione sessuale.
Costretta
all'esilio,
si
stabilisce
negli
USA.
Alla
caduta
dello
zarismo,
nel 1917, tornò in Russia
Prima
donna
al
mondo
ministro
di governo membro del Comitato centrale del partito bolscevico, si batte contro la
statalizzazione
dell'economia
e
la
burocratizzazione.
Viene allontanata come ambasciatrice.
173
Grazie
a
lei,
le
donne ottengono
il
diritto
di
voto,
all'istruzione,
all'assistenza di
maternità,
a
un
salario
eguale,
il
divorzio
e l'aborto,
abolito
nel
1936
da
Stalin e poi reintrodotto.
174
Alexandra Kollontaj II
La
Kollontaj
aveva
acquistato
in
Occidente
il
suo
senso
dell’ironia
e
ne
faceva
uso
solo
in
conversazioni
con
gli occidentali.
“La
libertà”
dovetti
esemplificare
“è
la
possibilità
di
dubitare,
la
possibilità
di
sbagliare,
la possibilità
di cercare, di esperimentare, di dire di no a una
qualsiasi
autorità,
letteraria
artistica
filosofica
religiosa sociale, e anche politica”. “Ma questa”
mormorò inorridita
l’eminente
funzionaria
della
vita
culturale
sovietica “questa
è la
controrivoluzione”.
Poi
aggiunse,
per
prendersi
una
piccola
rivincita:
“Noi
siamo
felici
di
non avere la vostra libertà, ma in cambio abbiamo i sanatori”… io
fui
talmente
commosso
dal
suo
candore,
che
non
osai
più
contraddirla.
Non
v’è
peggior
schiavitù
di
quella
che s’ignora».
175
L’emigrazione interiore
Le
esperienze
fatte
in
Italia
e
all’estero,
la
fatica
di
reggere
a
situazioni
conflittuali
spesso
estenuanti (molti comunisti caduti nelle mani della polizia nel 1927 subirono un crollo psicologico, si ammalarono o
finirono
col
collaborare),
i
rapporti
difficili
con
i
compagni,
il
disagio
di
fronte
alle
strategie
del partito,
la
sua
stessa
assuefazione
a metodi
che
non
condivideva,
la
mancata
pacificazione
della dimensione
affettiva
con
Gabriella,
gli
fanno
maturare quella che possiamo chiamare una lenta e costante
“emigrazione”
interiore
dal
partito,
iniziata molto tempo prima del distacco effettivo.
176
Il viaggio a Mosca del 1927
Il
famoso
episodio
moscovita
del
1927
è solo
l’ultimo
pesante anello di una catena divenuta insopportabile, il
colpo
di
grazia
che
conferma
la
necessità
dell’allontanamento.
Nel
maggio
Silone
si
reca
a Mosca
insieme
a
Togliatti,
che
lo
apprezza
e
gli
é
amico.
Con
lui
si
era
incontrato
a
Berlino
per partecipare
ad
una
sessione
straordinaria
dell’esecutivo,
allargata
all’Internazionale
comunista. Agli
occhi
dei
due
comunisti
è subito
chiaro
che
con
la
scusa
di
organizzare
la
lotta
contro
l’imminente guerra
imperialistica,
a
Mosca
si
mira
a
“liquidare”
Trotzkij
e Zinoviev.
177
Mosca
Il modo in cui Stalin prevale su Trotzkij
é
il colpo
decisivo
che
stronca
ogni
residua
fiducia nell’organizzazione
del
PCI.
«I
termini
di
traditore,
rinnegato,
venduto
sono
semplici sinomini
di
oppositore.
La
diffamazione
è
graduata secondo la pericolosità
della vittima».
Silone
lascerà
definitivamente
il
Partito
Comunista
d'Italia
nel
1930
tre
anni
dopo,
come ha
raccontato
dettagliatamente
in
Uscita
di
Sicurezza, senza che Togliatti lo abbia smentito.
178
L’abbaglio del comunismo
In “Nota dell’autore”
di Vino e Pane, Silone confiderà
«l’orrore e il disgusto
per aver servito durante gli anni della gioventù
un ideale rivoluzionario che
nella sua forma staliniana si stava rivelando, come allora lo definii,
nient’altro che “fascismo rosso”»
(VP, 201).
179
Un documento da firmare
«Alla
prima
seduta
alla
quale
intervenimmo,
avevamo
l’impressione
di
essere
arrivati
troppo
tardi.
Si
era
in
un piccolo
ufficio
sede
dell’Internazionale
Comunista
e
presiedeva
il
tedesco
Ernst
Thaelmann,
che
diede
subito lettura
di
un
progetto
di
risoluzione
contro
Trotzkij
da
presentare
in
seduta
plenaria…
Al
termine
della
lettura, Thaelmann
ci
chiese
se
fossimo
d’accordo
col
progetto
di
risoluzione.
Il
finlandse
Otomar
Kuusinen…lo
trovò
non abbastanza
violento…
Poiché
nessun
altro
chiese
la
parola,
dopo
essermi
consultato
con
Togliatti,
io
mi
scusai
con
i presenti
di
essere
arrivato
in
ritardo
e
di
non
aver
avuto
la
possibilità
di
prendere
visione
del
documento
da
giudicare. “Veramente”
dichiarò
candidamente
Thaelmann
“neppure
noi conosciamo quel documento”.
è
stato
un
politico,
operaio
e attivista
comunista
tedesco.
Segretario
generale
del
KPD, fu
uno
dei
più
importanti
capi
del
movimento
operaio tedesco
degli
anni
'20
e
'30.
Thälmann
viene
arrestato dopo
la
presa
di
potere
di
Hitler
e
poi
ucciso
con
un colpo
alla
nuca
dagli
uomini
delle
SS,
nel
1944,
nel
lager
di Buchenwald.
180
Monumento
a
Thälmann,
uno dei
principali
animatori
della
lotta armata. Werdau
Ernst Thälmann(Amburgo, 1886– Buchenwald, 1944)
181
Stalin interviene
A quella risposta fin troppo chiara, io preferii diffidare
delle
mie
orecchie
e
ripetei
con
altre
parole
la
mia obiezione. “Può
darsi
benissimo”
dissi
“che
il
documento
di
Trotzkij
…
sia
condannabile,
ma evidentemente noi non lo possiamo condannare prima di
averlo
letto”. “Neppure
noi…
abbiamo
letto
il
documento,
neppure
la
maggioranza
dei
delegati
qui presenti,
eccetto
i
delegati
russi”…
finii
col
prendermela
col
traduttore.
“È
impossibile”
dissi
“che Thaelmann
si
sia
espresso
in
codesti
termini.
Ti
prego
di
ripetermi
parola
per
parola
la
sua
risposta”. A questo punto intervenne Stalin».
182
La politica sovietica in Cina
Stalin
spiegò
che
il
documento
di
Trotzkij
alludeva alla politica dello Stato sovietico in Cina. In
realtà
egli
copriva
dietro
la
ragione
di
Stato
i
suoi
errori.
Infatti
il
documento,
pubblicato
più tardi dallo stesso Trotzkij
col titolo Problemi della
rivoluzione
cinese,
era
una
“serrata
requisitoria” alla
politica
di
Stalin
col
suo
deciso
appoggio
a
Chiang
Kai‐shek
fino
a
una
settimana
prima
che questi
cacciasse
i
comunisti
e
facesse
massacrare
alcune decine di migliaia a Shanghai e a Wuhan.
Togliatti contro
«Thaelmann
mi
chiese
se
quella
spiegazione
di
Stalin
mi
sembrasse
esauriente.
“Non
contesto
il
diritto
dell’Ufficio politico
del
Partito
comunista
russo
di
tenere
segreto
un
qualsiasi
documento”
dissi
“Ma
non
capisco
che
altri possano
essere
invitati
a
condannare
un
documento
sconosciuto”. L’indignazione contro
di
me
e
Togliatti…
non conobbe allora più
freni…
183
Luigi Longo e Palmiro Togliatti votano
durante l'VIII Congresso (dicembre
1956)
Luigi Longo e Palmiro Togliatti votano
durante l'VIII Congresso (dicembre
1956)
“Piccoli borghesi”
“È
inaudito”
strillava Kuusinen
tutto
rosso
in
viso
“che
qui,
nella cittadella
della
rivoluzione
mondiale, si
debbano
ancora
ospitare
simili
piccolo‐ borghesi”.
Egli
pronunziava
la
parola piccolo‐borghese
con
una
espressione comicissima
di
disprezzo
e ripugnanza.
La
sola
persona
rimasta
calma e
imperturbabile
era
Stalin.
2
marzo
1919
a
MOSCA nasce
la
Terza
Internazionale comunista
184
BrasileBrasile
PortogalloPortogallo ArgentinaArgentina
IrlandaIrlanda
Otto Wilhelm Kuusinen
(1881 –1964),
Rivoluzionario e
politico
finlandese
e
sovietico,
tra
i fondatori
del
Partito
Comunista
Finlandese,
Partigiano
durante
la seconda
guerra
mondiale,
teorico
del
socialismo
e
del
comunismo, diplomatico
(protagonista
del
rapporto
politico
Finlandia‐URSS durante
il
secondo
dopoguerra)
e
critico
letterario.
Fino
alla
morte, fece
parte
del
Comitato
centrale
del PCS.Scrisse
"I
fondamentali
del
marxismo‐leninismo". Al Cremlino la
sua
ideologia
venne
definita
"liberale"
e
appoggiata
da Chruščëv
che la usò contro Mao.
185
Il
suo
"Manuale
del
marxismo‐ leninismo"
fu
arricchito
da
Che
Guevara.
Nel
1958
fu
eletto all'unanimità
membro dell'Accademia
Scientifica
Sovietica.
Le
sue
ceneri sono al Cremlino.
186
I “compagni italiani”
«I
compagni
italiani
sono
favorevoli
al
progetto?».
La
domanda che in via normale poteva essere puramente retorica, incontra invece la testardaggine di Silone che afferma:
«Prima
di
prendere
in
considerazione
un
progetto
di
risoluzione,
dovremmo
conoscere
il documento
che
nella
risoluzione
viene
condannato».
Egli disse: “Se un solo delegato è contrario al progetto di
risoluzione,
esso
non
dev’essere
presentato”.
Poi
aggiunse: “Forse i compagni italiani non sono bene al corrente
della
nostra
situazione
interna.
Propongo
di
rinviare
la
seduta
a
domani
e
di
incaricare
qualcuno dei
presenti
di
passare
la
serata
con
i
compagni
italiani
per
spiegare
a
essi
la
nostra
situazione interna»
187
Questione di potere
Viene
dato
l’incarico
a
un
bulgaro
che
invita
i
due
malcapitati
nella
sua
camera
per
un
tè
e
comunica senza mezzi termini: «“Parliamoci chiaro…
Voi credete
magari
che
io
l’abbia
letto
quel
documento?
No,
il documento
non
l’ho
letto.
Devo
dirvi
l’intera
verità?
Quel
documento
neppure
m’interessa.
Devo
dirvi
di più?
Anche
se
Trotzkij
me
ne
mandasse
qui,
segretamente,
una copia,
mi
rifiuterei
di
leggerlo.
Cari amici
italiani,
qui
non
si
tratta
di
documenti.
So
bene
che
l’Italia
è il
paese
classico
delle
accademie,
ma
qui non
siamo
in
un’accademia.
Qui
siamo
in
piena
lotta
per
il
potere
tra
due
gruppi
rivali
del
centro
dirigente russo.
Con
quale
dei
due
gruppi
vogliamo
schierarci?
Questa è la questione…
188
Scegliere di appartenere
Io per conto mio ho già
scelto. Sono per il gruppo di
maggioranza”…
“Mi
sono
spiegato
chiaramente?” egli
chiese
rivolgendosi
direttamente
a
me.
“Certo”
risposi
“assai chiaramente”.
“Ti
ho
persuaso?”
egli
mi
chiese.
“No”
gli
risposi.
“Perché
no?”
egli
volle
sapere. “Dovrei
spiegarti”
gli
dissi
“perché
sono
contro
il
fascismo”…
“Voi
siete
ancora
troppo
giovani”
egli ci
disse
riaccompagnandoci
alla
porta.
“Voi
non
avete ancora capito cosa sia la politica”»
(US)
189
Il regno dell’arbitrio
Il
giorno
dopo
Silone
conferma
la
posizione
italiana,
esigendo
di
conoscere
il
documento,
seguito
da
pochi europei.
Stalin
ritira
il
progetto.
Thaelmann
deduce
che
la
politica
dei
comunisti
italiani
debba
essere sottoposta a un vaglio rigoroso.
Quando
a
Zinoviev
viene
impedito
di
entrare nell’assise
da due
agenti
di
polizia
(con
diversa
versione
ufficiale),
Silone
commenta:
“Eravamo, puramente e semplicemente, nel regno dell’arbitrio”.
Togliatti suggerisce a Silone di scrivere una lettera per spiegare
la
posizione
italiana,
ma
Bukarin,
che
la
riceve,
li
manda
a
chiamare
e
consiglia amichevolmente
di
ritirarla
per
non
peggiorare
la
situazione.
Grigory
Zinoviev
Grigory
Zinoviev
(Ucraina 1883 ‐
1936),
nel
1917,
si
oppose
alla
rivoluzione
bolscevica, giudicando
(in
contrasto
con
Lenin)
immaturi
i
tempi. Ricercato
dalla
polizia
si
rifugiò
a
Berlino
e
poi
a
Parigi.
Nel 1903 incontrò Lenin in Svizzera.
Espulso
dal
partito,
venne
però riammesso;
e
nel
1919
gli
fu
affidata la
presidenza
dell'Internazionale. Morto
Lenin,
Zinov'ev,
assieme
a Kamenev, si alleò con Stalin per estromettere
Trotsky
dal
potere.
La
troika
durò
meno
di un
anno,
poi
Stalin
si
rivolse
contro i vecchi alleati. 190
Nel
1936,
nel
corso
del
primo, processo
[1]
dell'era
staliniana, Zinov'ev,
Kamenev
e
tutti
gli
altri
imputati,
prestigiosi
esponenti
della vecchia
guardia
leninista,
vennero
condannati
a
morte
e
fucilati, Zinov'ev
e
gli
altri
accusati
furono
riabilitati con la glasnost
di Gorbačëv, nel 1988
Nel
1936,
nel
corso
del
primo, processo
[1]
dell'era
staliniana, Zinov'ev,
Kamenev
e
tutti
gli
altri
imputati,
prestigiosi
esponenti
della vecchia
guardia
leninista,
vennero
condannati
a
morte
e
fucilati, Zinov'ev
e
gli
altri
accusati
furono
riabilitati con la glasnost
di Gorbačëv, nel 1988
191
La firma
La
“firma”
è
importante
nella
storia
di
Silone,
trasfigurata
nei
romanzi,
a
cominciare
dalla
madre
di Andrea Cipriani, che firma con la croce, per finire alle firme
false,
a
quelle
estorte
a
Berardo,
a
Luca,
a
Venanzio...
Anche
papa
Celestino
V,
richiesto
di firmare
senza
conoscere
i
documenti
e
le
questioni
discusse, non si arrenderà: «“Voi pensate per caso che il
papa
debba
firmare
senza
rendersi
conto
di
che
si
tratta?”…
“Non
sono
in
grado
di
pronunziarmi secondo
coscienza.
In
questa
condizione
nessun
uomo
onesto
prenderebbe
una decisione;
è una regola che vale anche per il papa, no?”»
(APC).
192
Condanna “unanime”
di Trotzskij
Stalin,
contrariato
dall’opposizione
italiana,
in
realtà
ritira
solo temporaneamente il
testo
della
condanna,
aspettando che
le
due
presenze
scomode
si
allontanino.
Togliatti,
che
ha scritto su L’Unità”(6.1.59): “Aveva ragione Stalin, il quale conosceva meglio
di
noi
quale
stoffa
di
traditore
fosse
Trotzkij”, ha confermato che Stalin fu costretto a rimandare di qualche tempo la condanna.
Silone
di
ritorno
a
Berlino,
leggerà
sui
giornali
che
quel testo è stato approvato all’unanimità, in sua assenza.
Thaelmann
lo rimbrotta: «“Dovresti imparare dai comunisti americani,
ungheresi
e
cecoslovacchi
cosa
significa
disciplina
comunista”.
Queste
cose
erano
dette
senza
il
più lontano
tono
d’ironia,
anzi
con
lugubre
serietà,
in
tutto
adeguata alla realtà
d’incubo cui si riferivano».
193
Il Partito Comunista Vladimir Lenin
Fu solo nell’estate del 1931…
che ruppi definitivamente col partito e venni di conseguenza “espulso”.
«Era
quella
la
vera
faccia
del comunismo?
I
lavoratori
che
rischiavano
la
loro
vita,
quelli
che agonizzavano
nelle
carceri,
erano
al
servizio
di
un
simile
ideale?
La nostra
vita
randagia
solitaria
pericolosa
di
stranieri
in
patria, era
per
questo?…
Quella
rapida
degenerazione
tirannica
di
una delle
grandi
rivoluzioni
della
storia
umana
era
forse
implicita nel principio stesso del socialismo e della proprietà
statale?…
194
Il prezzo della libertà dal partito
Come
fu
moralmente
possibile,
dopo
l’ultimo
soggiorno a Mosca, rimanere nel partito ancora così a
lungo?
È una
domanda
che
mi
sono
posto
seriamente
altre
volte.
I
veri
motivi
non
furono ignobili…
in fin dei conti, se ora la libertà
m’è
cara,
è perché so
quel
che
ho
sofferto
per
ricuperarla… Quell’ultimo
viaggio
a
Mosca
m’aveva
svelato
l’estrema
complessità
e
contraddittorietà
del comunismo,
di
cui,
in
realtà,
per
esperienza
personale
conoscevo
solo
un
settore,
quello
della lotta clandestina contro il fascismo»
(US).
195
Silone tra gli “ex”?
Il partito lo invitava a considerare le conseguenze e
comportarsi come una persona “normale”. Rompere comportava
una
reimpostazione
pratica
ed
esistenziale di tutta la vita.
Silone
è fra
i
sei
"ex"
che
hanno
motivato
l’abbandono
del
comunismo
nel
famoso
libro
"The God
that
failed"
(Il
dio
che
è fallito,
pubblicato
in
Italia
nel
1950,
per
i
tipi
Comunità),
insieme
a: Arthur
Koestler
(nato
a
Budapest,
ma
formatosi
a
Vienna);
Richard
Wright
(nato
negli
Stati
Uniti, negro,
trasferitosi
in
Europa
dopo
il
1945);
André
Gide
(scrittore
francese);
Louis
Fischer
(nato
negli Stati
Uniti,
combattente
in
Spagna
dalla
parte
dei
repubblicani); Stephen Spender (inglese).
196
Lo Stato sovietico come dittatura
«Dopo
la
morte
di
Lenin
apparve
chiaro
che
lo
Stato
sovietico
non sfuggiva a quella che sembra la fatalità
di ogni dittatura: la graduale
restrizione
della
sfera
di
quelli
che
partecipano
alla
direzione
e
al
controllo
del
potere
politico. Il
partito
comunista russo,
che
aveva
soppresso
tutti
i
Partiti
concorrenti
e
abolito
ogni possibilità
di discussione di politica generale nelle assemblee sovietiche,
cadde
esso
stesso
sotto
un
regime
di
eccezione:
la
volontà
politica
dei
suoi
iscritti
venne
rapidamente
sostituita
da quella
dell’apparato.
Da
quel
momento
ogni
divergenza
di
opinione
nel
gruppo
dirigente
era
destinata
a
concludersi
con l’annientamento
fisico
della
minoranza
da
parte
dello
Stato.
La
rivoluzione
che
aveva
annientato
i
suoi
nemici
cominciò
a divorare
i
suoi
figli
prediletti.
Gli
déi
assetati
non
diedero
più
tregua.
La
frase
ottimistica
di
Marx
sul
deperimento
naturale dello Stato socialista si rivelava una pia illusione».
197
Il rovescio della medaglia I
«Mi
aveva
mostrato
il
rovescio
della
medaglia.
Ecco
dunque
che
il
comunismo,
sorto
dalle
più
profonde contraddizioni della società
moderna, le riproduceva
tutte
nel
suo
seno,
e
con
esacerbata
virulenza… militavano,
sotto
le
sue
bandiere,
ribelli
e
persecutori,
eroi
e
sicari,
sfruttati
e
sfruttatori; giornalisti
i
quali
rischiavano
la
vita
per
rivendicare
un’illimitata
libertà
di
stampa
e
altri
che
scrivevano l’apologia
della
censura
e
della
soppressione
d’ogni
stampa
avversaria;
imputati
che
invocavano
le garanzie
giuridiche
elementari
di
fronte
ai
tribunali
speciali
del
fascismo
e
giudici
che
rifiutavano
agli imputati
ogni
possibilità
di
provare
la
propria
innocenza;
198
Il rovescio della medaglia II
organizzatori sindacali che promuovevano scioperi in
difesa delle condizioni di vita dei lavoratori e altri che giustificavano
la
soppressione
legale
del
diritto
di
sciopero
e
l’adozione
del
lavoro
forzato
in
massa come
parte
integrante
del
nuovo
sistema
economico;
deputati
che
si
battevano
per
il
più
esteso
e
pubblico controllo
su
tutta
l’azione
di
governo
e
governanti
assolutisti…
finché
nell’operaio
di
fabbrica
e
nel contadino
francese,
svizzero,
italiano,
ritrovavo
quelle
doti
di
generosità
franchezza
solidarietà spregiudicatezza, che erano la genuina e tradizionale risorsa
del
socialismo
in
lotta
contro
la
decadenza
e
la
dissipazione
borghese.
Quale
incubo
irreale m’appariva,
nella
ritrovata
compagnia
di
questi
comunisti, il ricordo degli episodi di Mosca».
199
Riscrivere la storiografia
«La storiografia dell’Internazionale Comunista non
è
facile,
e
senza
dubbio
è
ancora
prematura.
Come discernere
il
fatto
e
l’essenziale
nelle
interminabili
discussioni
dei
suoi
congressi
e
convegni?
Quali pagine
abbandonare
negli
archivi
alla
critica
dei
topi
e
quali
raccomandare
alle
persone
intelligenti desiderose
di
conoscere?
Non
saprei
dire…
In
una
discussione
dell’Esecutivo
si
discuteva
un
giorno l’ultimatum
posto
dalla
giunta
centrale
delle
Trade
Unions
inglesi
alle
sue
sezioni
locali
di
non
aderire, pena
l’esclusione,
al
movimento
minoritario
diretto
dai comunisti.
L’uovo di Colombo
Dopo
che
il
rappresentante
del
Partito
Comunista
inglese
ebbe
esposto
i
gravi
inconvenienti
del dilemma
perché,
accettando,
si
andava
verso
lo
scioglimento
del
movimento
minoritario
e, rifiutando,
verso
l’uscita
dei
minoritari
dalle
Trade
Unions,
il
delegato
russo
Iatinskij
propose
una soluzione
che
a
lui
pareva
ovvia
come
l’uovo
di
Colombo.
“Le
sezioni”
egli
propose
“dichiarino
di
sottomettersi
alla
disciplina
richiesta
e
poi,
in pratica, facciano perfettamente il contrario”.
200
201
La risata clamorosa
Il
comunista
inglese
lo
interruppe:
“Ma
sarebbe
una
bugia”.
Una
risata
clamorosa
accolse
l’ingenua obiezione,
una
risata
franca,
cordiale,
interminabile,
di
cui
i
tetri
uffici
dell’Internazionale
Comunista
non avevano
certo
mai
udito
l’eguale,
una
risata
che
si
propagò
rapidamente
a
tutta
Mosca,
perché
la spassosa
incredibile
risposta
dell’inglese
fu
subito
telefonata
a
Stalin
e
agli
uffici
più
importanti
dello Stato,
provocando,
ovunque
arrivava,
come
più
tardi
apprendemmo,
nuove
ondate
di
stupore
e
ilarità.
È molto
importante
per
giudicare
un
regime,
dissi
a
Togliatti
che
si
trovava
con
me,
sapere
di
che
cosa ride».
202
Rivoluzione?
“…
Ogni
divergenza
di opinione
nel
gruppo
dirigente
era
destinata
a
concludersi con
l’annientamento
fisico
della minoranza da parte dello Stato.
La
rivoluzione
che
aveva annientato i suoi nemici cominciò a divorare i suoi figli prediletti.
Gli
déi
assetati
non
diedero
più
tregua.
La
frase ottimistica
di
Marx
sul
deperimento
naturale
dello Stato socialista si rivelava una pia illusione» (US).
203
Il colloquio con Togliatti
Nel
1929,
Mosca
lancia
un
atto
d'accusa
contro
i
comunisti
italiani.
Stalin
non
tollera
critiche
e vuole
un
atto
di
sottomissione
dal
comitato
centrale
del
PCI.
Per
ottenerlo,
invia
da
Mosca Ramele, dirigente del partito comunista tedesco. La riunione è
fissata a Parigi.
Alla
vigilia
dell'incontro,
Togliatti
va
a
parlare
con Silone
ad
Airolo,
in
Svizzera,
all'Hotel
des
Alpes;
il
colloquio è
pacato e insieme carico di tensione.
Togliatti
vorrebbe
trovare
una
via
d'uscita
che
possa
evitare
al
compagno
la
scomunica
ufficiale, ma constata che Silone non intende più
inchinarsi a
Mosca ed é
indifferente ad ogni richiamo.
204
Salvare il salvabile
Togliatti
si
congeda
promettendo
di
consultare
i
compagni della direzione: se tutti rifiuteranno l'atto di sottomissione,
anche
lui
respingerà
le
pretese
sovietiche. E’
un'ipotesi poco credibile.
Non
manca
chi
si
allinea
a
Mosca
e
Togliatti
può
aderire
alle
linee
del
Cremlino
restando
formalmente fedele alla promessa fatta a Silone.
Il
leader
comunista
si
preoccupa
sinceramente
del destino di Silone per evitargli la sorte di Pietro Tresso, Alfonso
Leonetti
e
Paolo
Ravazzoli,
i
tre
ribelli
del
Comitato
Centrale,
che
nella
riunione
di
Parigi avevano
perseverato
nell’opposizione
ed
erano
stati
espulsi dal partito.
Pietro Tresso
Alfonso Leonetti
(1895‐
1985)
nel
1924
primo direttore
de
L'Unità,
fu
espulso
nel
1930,
per aver
sposato
la
linea
"trockista"
in contrapposizione
a
quella staliniana 205
Pietro Tresso
(1893‐1943) a seguito
della
svolta
stalinista
del
PCdI,
fu espulso
dal
partito
in
quanto
trotzkista.
Venne assassinato
in
Francia
da
emissari di Stalin.
Paolo RavazzoliAlfonso Leonetti
Paolo
Ravazzoli (1894‐1940)
è stato
un
sindacalista dissidente,
espulso
dal
PCd’I
per l’opposizione
alla
politica filo‐
staliniana.
Paolo
Ravazzoli (1894‐1940)
è stato
un
sindacalista dissidente,
espulso
dal
PCd’I
per l’opposizione
alla
politica filo‐
staliniana.
206
Sete di coerenza
Silone, che aveva avallato la condanna di Tasca con la
sua
firma,
nel
’30,
in
periodo
di
purghe
staliniane («quelli di noi che in sostanza eravamo d’accordo con Angelo
Tasca
e
gli
eravamo
amici,
commettemmo
l’errore
e
la
viltà
di
lasciarlo
solo
e
di
condannarlo»), non
se
la
sentì
di
sottoscrivere
l’espulsione
di
Tresso,
Ravazzoli
e Leonetti.
A
Mosca
non
si
fidavano
e
insistevano
per
conoscere
la sua posizione rifiutando la scusante della salute.
Togliatti
dovette
incontrarlo
di
nuovo
a
Zurigo
nella
sede
di
“Soccorso
rosso”
per
rappresentargli
quale futuro
sarebbe
derivato
dal
suo
non
allineamento.
Zurigo
207
208
Impossibilità di conciliare
Nel
colloquio
con
Togliatti
Silone
mantenne
ancora
una posizione flessibile, lasciandogli credere di averla avuta vinta. Togliatti si mise alla macchina da scrivere e redasse una breve dichiarazione di ‘fedeltà’
a Mosca,
firmandola con il nome di Silone. Il dissidente in cuor suo
desiderava
soltanto
farla
finita.
La
dichiarazione
non
fu
che
un
ulteriore,
inutile
palliativo.
Gli
amici non riuscivano a credere nella sottomissione.
Silone aggravò le cose scrivendo una lettera a Tresso, Leonetti
e
Ravazzoli,
i
tre
espulsi,
spiegando
come
erano
andate
le
cose
e
sostenendo
di
non
voler
più svolgere
alcuna
attività
politica
attiva.
Stralci
di
questa lettera cominciano a circolare.
209
Espellere gli “infedeli”
Il
partito
è sempre
più
insofferente
verso
di
lui:
«La
posizione
di
questo
compagno
deve
essere condannata
nel
modo
più
energico
come
una
posizione
che
porta
alla
liquidazione
del
Partito» (Lo Stato operaio)
Si
conserva
una
nota
del
Gennaio
1930,
in
cui Togliatti
si
rallegra
con
Silone
per la
riacquistata
salute e lo invita a ricollegarsi al partito.
Era
compito
di
Togliatti espellere
dal
partito
gli
infedeli.
210
Evitare il taglio?
Eppure Silone
resta
impigliato
nella
rete
fino
al
1930,
anche
se
il
partito
ha
perso
ai
suoi
occhi
ogni
credibilità. Non
trova
la
forza
di
lasciarlo
e
si
rifugia
nei
piccoli
espedienti onde evitare lo scontro diretto.
Vorrebbe
sfuggire
alle
conseguenze
della
condanna,
godere
di
certi
privilegi
(tra
i
quali
quello
di
girare
il mondo ricoprendo ruoli di una certa autorevolezza presso le diverse sedi locali), continuare a frequentare i compagni e
non
rinnegare
la
sua
giovanile
fiducia
nella
Russia
rivoluzionaria…
D’altra
parte
é troppo
intelligente
per
non
vedere
l’incongruenza tra sogno e realtà
e troppo insofferente per riuscire a lungo a nascondere il suo rigetto.
211
L’obbligo di decidereMolte
critiche
di
Silone
erano
state
condivise
da
Togliatti,
riguardo
alla esclusione di Trockij
e di Zinov’ev, ma i due
avevano un diverso concetto della disciplina di partito.
Si
può
immaginare
l’incubo
vissuto
da Silone,
oltretutto
realmente
malato:
optare
per
il
partito
contro
la
coscienza
o
per
la coscienza contro il partito.
Non poteva più
conciliare doveva scegliere e dunque scartare.
212
Pasquini, intellettuale rammollito
Gli
fu
data
la
possibilità
di
affrontare
una
nuova
delegazione, presieduta da R. Greco, in Svizzera.
Il lento e sofferto distacco si concluse nel luglio del 1931, con
il
provvedimento
di
espulsione,
deliberata
all’unanimità
da una
commissione
riunita
a
Basilea
per
giudicare
azioni
“gravi”
e
“inaccettabili”
commesse
dall’imputato:
«Nelle
file del nostro partito non vi è
posto per l’opportunismo vile dei
“tre”
, né
per gli intellettuali rammolliti come Pasquini».
Fu
un
taglio
“una
volta
per
sempre”,
lancinante
e
provvidenziale..
Per
Silone:
“Nella
sentenza
di
espulsione che ne seguì, dopo una ricapitolazione ad usum
delphini
dei
precedenti
episodi
da
me
ricordati,
si
poteva
leggere: “avendo egli stesso ammesso di essere un anormale politico, un caso clinico, ecc.».
213
Palmiro Togliatti
Palmiro Togliatti
«Avrei
potuto
difendermi. Avrei
potuto
provare
la
mia
buona
fede.
Avrei
potuto dimostrare
la
mia
non
appartenenza
alla
frazione Trotzkijsta…
Avrei potuto; ma
non
volli…
Era
meglio
finirla una
volta
per
sempre.
Non
dovevo
lasciarmi
sfuggire quella
nuova,
provvidenziale
occasione,
quell’
“Uscita
di Sicurezza”.
Non
aveva
più
senso
star
lì
a
litigare.
Era finita. Grazie a Dio» (US).
214
“Spezzare le reni” ai dissidenti
Togliatti
gli
divenne
nemico
e
lo
inserì
nella
lista
nera.
Silone a modo suo aveva mostrato fedeltà, anche quando i dirigenti
dell’Internazionale
lo
avevano
spinto
ad
opporglisi
(perché
ritenuto
troppo
compromesso
col gruppo
di
Bukarin). Togliatti
però
non
gli
risparmiò
i
colpi.
Riconobbe
che
la
ricostruzione
di
Silone
era sostanzialmente
conforme
al
vero,
ma
considerò
errata
l’interepretazione
dei fatti. Ormai Silone era l’
“intellettuale rammollito”, un “rinnegato”, un “caso clinico”.
La D’Eramo
ricorda che nel mensile dei comunisti in esilio “Lo Stato operaio”
in Un caso di malavita politica, ( maggio
1931),
Pasquini
veniva
condannato
perché
aveva
tramato con Tresso, Ravazzoli
e Leonetti
contro il PCI. Si leggeva:
“Il partito ha spezzato le reni ai tre”.
215
La spartizione manichea
Non
era
facile
per
Silone
condividere
gli atteggiamenti
diffamatori
così
frequenti
nella
spartizione
manichea
del
mondo
in amici e nemici:
«Quella
manìa,
per
così
dire
ci
veniva
allora rafforzata
dalle
prime
letture
degli
scritti
di
Trotzkij
e di Lenin, zeppe d’improperi contro i
rinnegati,
i
traditori,
i
venduti
che
dissentivano da loro: erano i nostri modelli».
216
Fuggito o espulso?
Più
oltre negli anni, nel 1950, su “L’Unità”
apparve l’articolo di
Togliatti
dal
titolo
patente
“Contributo
alla
psicologia
di
un rinnegato”.
Altrove
lo
chiama:
“Ciarlatanesco
campione
del
doppio gioco”
Togliatti ha tenuto a precisare che non fu Silone ad uscire dal
partito ma ne fu espulso. Silone ha risposto con un’intervista in cui commenta:
«Togliatti ha ragione, ma dal Partito Comunista si è sempre espulsi “per motivi infamanti”, non se ne esce mai per dissensi,
come dal partito liberale o da altri partiti. L’eroe di ieri diventa il rinnegato di oggi».
Per
Silone
é
Togliatti
che
tradisce
il
partito
con
la
sua “sottomissione cadaverica”
a Mosca.
217
Cosa non gli fu perdonato
Silone cadde in disgrazia dei suoi ex compagni via
via
sempre
più
decisi
nell’accusarlo
di
aver
detto di Stalin quello che poi il PCUS stesso riconoscerà
nel
’56
al
XX
congresso,
d’aver
scritto
Uscita
di Sicurezza, di aver rivendicato l’autonomia rispetto all’URSS e agli USA nel ’42 con il varo dei 13 punti del
Terzo
fronte,
difendendo
la
via
indipendente
al socialismo che soltanto trent’anni dopo sarebbe stata
fatta
propria
dai
partiti
occidentali,
di
aver
diffidato del socialismo paternalista e statalista.
218
Silone anni Trenta
«Oggi
mi
accorgo
che
non
solo l’uscita dal partito comunista verso le
regioni
e
le
ragioni
della
libertà
fu un’uscita
di
sicurezza,
ma
che anche
il mio
primo
impegno
comunista fu anch’esso un’uscita di sicurezza
da
questi
problemi
che
sono
i
soli
che
interessino radicalmente,
totalmente,
gli
uomini…
Ho
una certezza irrazionale,
quasi
magica,
un
sentimento se vuole chiamarlo così: che
la
vita
non
sia
assurda,
che
la
vita
serva,
debba
servire
a qualcosa”.
Bruciare il totem
La
data
dell’espulsone
non
è la
stessa
del distacco dal partito, se si pensa alla rivoluzione
segreta
nell’intelligenza
e
nell’anima.
Molte
volte
Silone
si
era
chiesto:
«Quale differenza c'è
fra la dittatura di Mussolini
e
il
regime
sovietico?»
Era
persino
giunto
a
bruciare
“la
baracca del totem”
ossia il Mausoleo di Lenin.
Se
nel
1924
poté
scrivere
a
Gabriella
di essere “rinato”
con lei dopo essere stato
“disseccato”, vuol dire che già
avvertiva lo
stridore
tra
la
sua
vita
politica
e
il
mondo
interiore
che
Gabriella
aveva risuscitato.
Silone
si
rammaricherà
“d’aver
perso tempo”.
219
220
Comunismo e senso della vita
Spiega in questi termini:
«La
mia
permanenza
nel
movimento
comunista
non
è dovuta
al
caso,
non
è dovuta
a
calcoli
di
ordine
alimentare.
Se
vi
sono
ancora,
dopo
la
crisi
del
1930, vuol dire che, malgrado tutto, malgrado le simpatie e le
antipatie
personali,
malgrado
le
oscillazioni,
le
incomprensioni
e
l’insufficiente
educazione internazionale,
la
mia
permanenza
nel
movimento
comunista non potrà
essere di più
breve durata della mia
permanenza
fra
gli
uomini,
perché
all’infuori
della
lotta
per
il
comunismo
non
vedrei
più
altra giustificazione per continuare a vivere».
Ideali e necessità
L’aspirazione alla giustizia, si traduce in una adesione totale
agli
ideali
di
libertà
e
giustizia
da
attuare,
con
modalità
diverse,
attraverso
la
Lega,
il
PCI,
il
PSI,
il Movimento per la Libertà
della cultura.
«A
un
certo
punto
restare
nel
PCI
è stato
per
lui
una necessità
assoluta,
alla
quale
s’aggrappava
anche
con
le astuzie, tenendo a bada questo, parando quest’altro, prendendo
contatti
con
quelli
di fuori,
negandoli,
pur
di restare coi compagni.
221
222
Il parere di luce D’Eramo
Ed
erano
effettivamente,
per
lui
e
per
tutti,
dei
tatticismi,
delle
astuzie
di
settimo
grado,
per
cui
alla fine diventava più
riposante l’ubbidienza, la disciplina di
partito,
che
non
il
voler
modificare
qualcosa.
Oppure era
preferibile
non
fare
politica.
O
farla
in
un
altro
modo…
(Silone)
ha
mostrato
come
buoni
o
cattivi
non fossero
quegli
uomini
che
s’accusavano
e
si
sorvegliavano a vicenda, ma come i loro comportamenti derivassero
dalla
tortuosità
dei
rapporti
reciproci
a
cui
li induceva la necessità
organizzativa, cioè
l’apparato di Partito…
223
Habeas animam
Dal
rimpianto
dei
compagni
e
dalla
pena d’essersi
dovuto
separare
da
loro,
Silone
è
approdato
alla
critica
delle
istituzioni, sovrapponendo
all’Habeas
corpus
il
suo
Habeas
animam»
(Luce D’Eramo)
Il riferimento all’Habeas
corpus
Act
inglese (1679)
serve
per
affermare
il
diritto
della
persona
a seguire la coscienza, a rispettare la sua anima.
Tempo per l’anima
224
225
Che rimane?
«Che mi rimane della mia lunga e triste avventura?
‐
si è
chiesto Silone ‐
Una segreta affezione per alcuni uomini
che
vi
ho
conosciuti,
e
il
gusto
di
cenere
di
una
gioventù
sciupata.
La
colpa
iniziale
fu certamente
mia,
nel
pretendere
dall'azione
politica
qualcosa che essa non può dare. Anche la rivolta per impulso
di
libertà
può
dunque
essere
una
trappola,
mai
peggiore
però
della
rassegnazione.
Ogni
volta che ripenso a questa disgrazia a mente serena sento risalire
dal
fondo
dell'anima
l'amarezza
di
un'infelicità
a cui mi era impossibile sfuggire».
Libertà riconquistata?
Anche se è
solo, malato e povero, può navigare
a vele spiegate, senza quel macigno
insostenibile che gli ha bruciato la giovinezza.
D’ora in poi potrà continuare ad
impegnarsi senza sovraccaricare di attese
il partito, senza farne una fede ideologica,
senza confondere Chiesa e Partito. 226
“Socialista senza partito e cristiano senza
Chiesa”.
227
Una tragedia annunciata
Tra
il
1927
e
il
1931
si compie
la
tragedia
annunciata:
il
fratello
più giovane
di
4
anni,
Romolo,
ultimo
superstite,
viene arrestato
con
l'accusa
di
essere uno
degli
organizzatori
di
un
grave attentato a Milano. Romolo morirà
in
carcere
nel
1932.
Secondino
il
quale
avverte più
fortemente
il
bisogno
di
dare
una
sterzata
alla sua vita
228
La crisi di Silone
La
vicenda
di
Romolo
influenzò
il
comportamento
di
Silone
in
particolare
col PCI,
aggiungendo
buone
ragioni
al
suo
rimanervi
dentro
e
poi,
con
la
catastrofe,
a distaccarsene.
L’espulsione, la salute cagionevole, le difficoltà con
Gabriella,
la
morte
di
Romolo
furono
ingredienti
di
un
abbattimento
profondo,
di una crisi che coinvolgeva le ragioni dell’anima. Silone
fino
alla
fine
visse
col
ricordo
del
“sapore di cenere”
che aveva il suo passato.
229
Silone«…Credevo
di
non
aver
più
molto
da
vivere
e
allora mi misi a scrivere un racconto al quale posi
il
nome
di
Fontamara.
Mi
fabbricai
da
me
un
villaggio,
col
materiale
degli
amari ricordi
e
dell’immaginazione,
ed
io
stesso
cominciai a viverci dentro» (US).Dal
1932
fonda
la
rivista
“Information”
(tedesca)
e
nel
1936
“Le
Nuove
Edizioni
di Capolago”.
Nel
1977
è
stata
prodotta
una
versione
cinematografica
di Fontamara
con
Michele
Placido
come
attore
protagonista
e
Carlo
Lizzani
come regista.
Silone inedito
G. Napoleone nelle sale dell’archivio di Stato russo di storia politico-sociale ha trovato documenti inediti*, secondo i quali Silone aveva scritto in precedenza Fontamara (pubblicata poi a Zurigo nel ‘33) con un tono più adatto all’impostazione marxista. “Potresti tu… fare accettare il mio romanzo da una casa editrice russa?...Il soggetto…è rivoluzionario” La lettera (3.VII.1930) è indirizzata a Giovanni Germanetto*, rappresentante del Soccorso Operaio a Mosca, dove sono conservati i documenti originali**.
“Ho scritto un romanzo…Ora lo sto correggendo per capirlo bene, penso che bisogna essere meridionale e perdipiù abruzzese””. Probabilmente lo ha scritto entro la metà del ’29.
Il documento non è tra quelli rientrati in Italia dal 1961, sotto la direzione di Togliatti per il 40ennale del PCI: il partito non aveva interesse a dare risalto ad un “nemico” e Silone rinnegava questa versione.
“Questo
romanzo
è dedicato
ai
militanti
comunisti,
operai
e
intellettuali dell’Italia settentrionale, finora condannati dal Tribunale speciale
per esersi
recati nel mezzogiorno a compiere opera di risveglio e di organizzazione dei contadini poveri”.
“Questo
romanzo
è dedicato
ai
militanti
comunisti,
operai
e
intellettuali dell’Italia settentrionale, finora condannati dal Tribunale speciale
per esersi
recati nel mezzogiorno a compiere opera di risveglio e di organizzazione dei contadini poveri”.
231
Silone scrittore
Già
nel
1929,
a
Davos,
Silone
comincia
a
scrivere
le
prime
pagine,
in
cerca
della
sua
vita
d’uscita.
Non
è più un clandestino, costretto a spostarsi continuamente e varcare le frontiere, senza libri, senza tempo per scrivere a proprio gusto.
Fino
ad
allora
Silone
non
ha
scritto
romanzi
o
racconti brevi
(come
altri
avevano
fatto
per
“Lo
Stato
Operaio”).
Aveva amato Dostojewski
e Tolstoj, il Marx
del 18 Brumaio, ma nessuno lo vedeva scrittore.
l 18 brumaio anno VIII (il 9 novembre 1799 secondo il calendario gregoriano) con un colpo di stato Napoleone
Bonaparte rovesciò il Direttorio e s'impadronì
del potere in Francia. Tale evento, che costituì
la premessa alla fondazione
dell'Impero, è noto anche tout court
come "Brumaio".
l 18 brumaio anno VIII (il 9 novembre 1799 secondo il calendario gregoriano) con un colpo di stato Napoleone
Bonaparte rovesciò il Direttorio e s'impadronì
del potere in Francia. Tale evento, che costituì
la premessa alla fondazione
dell'Impero, è noto anche tout court
come "Brumaio".
Comunicare con la penna
A L. D’Eramo
dirà: «Avevo trent’anni
quando
ho
scritto
Fontamara.
Molti cominciano a quell’età, ma per
me
era
un’età
matura
poiché
ero stato precoce in tutto.
Avevo
già
una
dozzina
d’anni
di
lotta politica alle spalle».
232
Vuole
comunicare
con
la
penna
ciò
che
non
gli
riesce direttamente,
provando
a
ripercorrere
la
sua
vita
dalla
storia
dei
cafoni
alla
morte
del
fratello
alla
complessa situazione socio‐politica, in una specie di catarsi letteraria.
Vuole
comunicare
con
la
penna
ciò
che
non
gli
riesce direttamente,
provando
a
ripercorrere
la
sua
vita
dalla
storia
dei
cafoni
alla
morte
del
fratello
alla
complessa situazione socio‐politica, in una specie di catarsi letteraria.
Cambio di rotta
233
Non si sente affatto uno scrittore di professione e non sa se il suo lavoro troverà udienza.
234
Tornare tra i suoi
Gli
piace
vivere
mentalmente
nell’ambiente
in
cui
è nato:
«Se devo morire – dice a se stesso ‐
voglio farlo fra la mia gente»;
«Scrissi affannosamente, con ansia febbrile, in modo da rappresentare,
per
quanto
fossi
in
grado
di
fare,
questo
piccolo
paese
di
Fontamara,
che
doveva
contenere
la quintessenza
della
mia
indole
e
della
mia
patria
e
che
doveva permettermi almeno di morire tra i miei».
«Scrissi affannosamente, con ansia febbrile, in modo da rappresentare,
per
quanto
fossi
in
grado
di
fare,
questo
piccolo
paese
di
Fontamara,
che
doveva
contenere
la quintessenza
della
mia
indole
e
della
mia
patria
e
che
doveva permettermi almeno di morire tra i miei».
235
La molla della solitudine
«Mi
trovavo
in
una
situazione
di
estrema
solitudine,
senza
denaro,
senza
passaporto
(quello
di
cui disponevo
era
falso
e
non
italiano),
senza
amici.
In
quelle
condizioni
cominciai
a
scrivere
Fontamara. Non mi illudevo sulla possibilità
di stamparlo, non ero
neanche
sicuro
di
poterlo
terminare.
Scrivere
era
per me un bisogno, un
modo di
conversare e di ricordare:
risuscitare in me i ricordi della mia gente, condividere la
comune
pena.
I
ricordi
della
infanzia
e
dell’adolescenza erano la mia sola forza, poiché
in essi era
la
riserva
morale
e
direi
anche
religiosa
con
la
quale
affrontare
le
avversità
della
vita.
Poi
la
vita stessa
ebbe
il
sopravvento
e
potei
terminare
il
manoscritto».
Fontamara
«I
fatti
che
io
racconto
non
si
svolgono
a
Pescina,
ma
in un
piccolo
villaggio
della
conca
del
Fucino
al
quale
do il
nome
di
Fontamara,
ma
che non esiste.
Se
avessi
situato
l’azione
in
un
villaggio
reale
avrei incontrato
molte
difficoltà:
delle
persone
vive
si sarebbero
riconosciute
sotto
la maschera dei personaggi e delle
circostanze
sembrerebbero fantastiche.236
237
Lettera a GabriellaCiò non toglie che tuta la vicenda di Fontamara
sia
veristica…
Fontamara
è
ancora
nella
fase
di elaborazione: vi sono alcuni capitoli così
vivi che
io
parlo
con
essi.
Credo
che
essi
siano
i
primi contadini di carne ed ossa che appariscono nella letteratura
italiana.
Non
ho
mai
provato
nello
scrivere, ciò che ora provo. Delle notti mi sveglio all’improvviso
e
devo
alzarmi
per
prendere
appunti.
Altre
volte
sono
in
giardino
e
corro
in camera
per
modificare
un
passaggio
di
un
capitolo.
238
Il tempo di produrre
Ti avevo detto altre volte che il tempo per produrre per
me
non
era
ancora
arrivato
e
che
io
mi
consideravo sempre nel periodo della preparazione. Ora credo che il tempo di produrre è giunto. Qualcosa di nuovo è in me. Non mi preoccupo affatto del giudizio che sarà
dato di
Fontamara.
Non
sono
mai
stato
così
sicuro
di
me stesso.
Sono
certo
che
sarà
come
un
mattone
nello
stomaco
della
borghesia
meridionale
italiana.
Questa ripresa
delle
mie
facoltà
intellettuali
ha
un
benefico
effetto
anche
sul
fisico.
Le
persone
che
mi
avvicinano dicono
che
ho
un
aspetto
molto
florido.
Ti
abbraccio.
Tuo marito».
Gaetano Salvemini (Molfetta, 1873–
Sorrento 1957,) storico, politico e antifascista
Quando
Silone
invia
una copia
del
manoscritto
a
Gaetano
Salvemini,
riceve una
risposta
sconfortante:
«Penso
che
Fontamara
non possa
interessare
nessuno
all’infuori
di
me
che
sono, come
te,
meridionale.
Con
tanti
guai
che
ci
sono
nel mondo
chi
vuoi
che
si
interessi a quelli di un piccolo paese del Sud dell’Italia?».
239
Gaetano Salvemini
«
Noi
non
possiamo
essere
imparziali.
Possiamo essere
soltanto
intellettualmente
onesti…
L’imparzialità
è
un sogno, la probità
è
un dovere»
«
Noi
non
possiamo
essere
imparziali.
Possiamo essere
soltanto
intellettualmente
onesti…
L’imparzialità
è
un sogno, la probità
è
un dovere»
No al rancoreChe
Silone
non desse
troppa
importanza agli
episodi
personali
e non
conservasse
rancore, lo dimostra il
fatto
che
mantenne buoni
rapporti
con Salvemini.
240
Salvemini nel ’37 pubblicò il suo Mussolini
diplomatico
proprio nelle Nuove edizioni di Capolago.
Quando
Salvemini
morì,
nel
’57,
Silone
gli
dedicò
un
intenso discorso di commiato all’Eliseo di Roma.
241
La pubblicazione!
La
buona
fortuna
di
Fontamara
comincia
quando
a
Silone capita di conoscere Jacopo Wasserman, l'autore di
Il
caso
Mauritius,
che
conosce
l’italiano
e
legge
il
libro.
È lui
a
trovarlo
importante,
a
proporlo
a
un editore
e
a
darlo
a
un’amica
per
la
traduzione.
Finalmente nel 1933 una tipografia di Sciaffusa
accetta di
stamparlo.
Un
gruppo
di
amici
di
Silone
ne
sottoscrive
ottocento
copie
e
un
libraio,
Oprecht
di Zurigo,
firma
il
volume
come
editore,
grazie
alla
mediazione
di
A.
Valangin,
innamorata
di
Silone
e caparbia
nell’aprirgli
la
strada
dell’editore
e
dei
soldi
(«Il
suo
primo
libro
l’ha
mostrato
a
me;
sono
stata
la prima a leggerlo…
Io lo trovai Fantastico»).
242
I libri
“La
mia
attività
di
scrittore
è stata
la testimonianza di quella mia lotta e
maturazione
interna.
I
miei
libri
sono
il
resoconto
delle
incertezze, delle
difficoltà,
dei
successi,
della
vittoria della mia anima, nella lotta contro
quello
che
poteva
esserci
di
volgare
e
meramente
istintivo
nella mia
vita
precedente.
Io
non
credo
che
i
miei
libri
abbiano
un
valore letterario
molto
grande;
io
stesso
conosco
molto
bene
i
loro
difetti formali.
Il
loro
valore
è
essenzialmente
quello
di
una testimonianza umana; vi sono della pagine
in
quei
libri
che
sono
state
Ignazio Silone, in un depliant dell'editore Oprecht
243
Il successo di Fontamara
Fontamara
trova
buona
accoglienza:
il
romanzo
corale,
scarno
ed
incisivo,
in
cui
echi
marxisti
e cristiani
s’intrecciano
a
ricordi
d’infanzia,
fa
il
giro
del mondo, entra nell’immaginario collettivo.
La
sua
fortuna
è legata
anche
alla
città
di
Zurigo,
dove
passano
fuggiaschi
dal
fascismo
e
dal nazismo, verso gli Stati Uniti.
Vi
si
riflettono
percorsi
esperienziali,
proiezioni
di situazioni
concrete
e
aspirazioni
ideali.
Il
popolo
contadino è il vero protagonista, mentre i successivi romanzi
hanno
protagonisti che
emergono
dallo
sfondo e riflettono l’autore.
Feeling con i lettori
C’è
qualcosa
che
fa scattare
una
sintonia segreta con l’ambiente
sofferto
di
Pescina
e
che convince
il
lettore
e
lo trasforma
in divulgatore.
244
245
La scoperta di uno scrittore
Vi
si
trova
“la
metafora
del
dolore
e
delle
premonizioni
di
tutta
un’epoca”
dirà
lo
scrittore conterraneo M. Pomilio.
Il
successo
non
sarebbe
potuto
venire
né
dal mondo politico né
da quello letterario.
Silone
si
conferma
nella
vocazione
di
scrittore. Un'ebrea ungherese gli annuncia che farà
di tutto
per farlo pubblicare da un editore americano. Nel 1934 esce l’edizione in italiano, pubblicata a Parigi dalle Nuove Edizioni Italiane.
Silone considera quel primo romanzo una sorta di testamento.
In
realtà
è
l’inizio
di
un’avventura
letteraria inarrestabile.
246
Opere successive?Le
opere
successive
seguiranno
lo
stesso
percorso:
pubblicazione
in
tedesco
e
rapida diffusione nel mondo. Nel 1934 esce in tedesco Der
Fascismus,
nel
‘35,
sempre
in
tedesco,
la
raccolta
di
saggi
Il
viaggio
a
Parigi,
nel
1936 Pane
e
vino
(durante
la
guerra
negli
Stati
Uniti
ne
stamparono
centocinquantamila
copie
e
i soldati
americani
le
distribuirono
agli
italiani
che
si
trovavano
nei
campi
di
prigionia),
nel 1928
La
scuola
dei
dittatori,
nel
1941
Il
seme
sotto
la
neve,nel
1944
l'opera
teatrale
Ed
Egli
si nascose.
Tra gli scrittori accreditati
Ormai
Silone
ha conquistato
la
stima
anche
di
scrittori
del calibro
di
T.
Mann,
M.
Vaussart,
A.
Kazin,
G. Greene,
B.
von
Brentano, Camus.
247
Paul
Thomas
Mann
(Lubecca
1875
– Zurigo,
1955)
è
uno
scrittore
e saggista tedesco. Premio Nobel nel 1929, è
considerato una delle figure
di
maggior
rilievo
della
letteratura
europea
del
Novecento. Appassionato
wagneriano
scrive
Doctor
Faustus,
del
1947,
che
narra
la
storia di un compositore e la corruzione della cultura.
248
Cafoni eroi
I
lettori
ammirano
il
disincanto
di
Silone
rispetto
al
partito,
alla
Chiesa,
alla
politica
attiva,
lo
sguardo pietoso ‐
non
pietistico ‐
sulla
vita
umana
e
una
speranza senza ingenuità.
Subiscono
un
fascino
simile
a
quello
prodotto
dalla
tragedia
greca:
in
situazioni
avverse
in
cui
la
giustizia è assente
e
domina
la
forza,
i
protagonisti
sono
degli
sconfitti‐vittoriosi,
capaci
di
tenere
la
testa
alta
e acquisire in qualche modo immortalità.
Per Silone si tratta di cafoni comuni e anonimi, adusi a lottare,
a
perdere
e
ricominciare,
a
giostrare
con
identità
vere
e
false,
inseguendo
l’eco
della
giustizia
e della verità..
249
Venga il tuo Regno
I
suoi
cafoni
hanno
un
indomito
spirito
di
ribellione,
una
speranza
e
un’aspirazione
alla fratellanza.
Si
muovono
tra
il
francescanesimo,
l’anarchia,
l’utopia
del
Regno
dei
cieli
in
terra, l’antica
aspirazione
di
Gioacchino
da
Fiore,
degli
Spirituali, dei Celestini…
Silone
avvince
il
lettore
col
messianismo
cristiano
e socialista.
Nella
preghiera
cara
a
Silone,
il
Pater
noster,
risalta
l’invocazione:
“Venga
il
tuo
Regno”,
quello in
cui
la
carità
sostituirà
le
leggi
e
le
istituzioni.
Non
si
tratta
di
attenderlo,
ma
di
combattere
per realizzarlo con la partecipazione libera di tutti.
250
La scrittura
Amano
la
scrittura
fuori
dal
coro,
indipendente
rispetto ai canoni letterari dominanti (“Ogni scrittore deve
esprimersi
con
la
sua
voce
– sostiene
Silone ‐,
non deve parlare o cantare in falsetto” e “credere che si possa rinnovare la letteratura con artifici formali è
antica
illusione
di
retori”,
VP),
piana
(ma
non sciatta),
di
facile
presa
e
perciò
in
grado
di
coinvolgere
la
gente
comune.
L’obiettivo
della comunicazione
viene
raggiunto
in
modo
efficace
e
rapido,
prendendo
le
distanze
dalle
regole
del
bello scrivere,
adottando
liberamente
moduli
diversi,
mutamenti strutturali, deviazioni stilistiche.
Parlare franco
Celestino
V
dice
ad
un
aiutante:
«Preferisco
il parlare
franco
e
disadorno
dei militari alle
frasi
ricercate
dei
giuristi e dei teologi»
251Montgne
del MorroneMontgne
del Morrone
252
Controcorrente
E’
una scrittura lontana dai linguaggi tortuosi e astratti, retorici e
paludati,
adottando
quella
“disadorna
limpidezza”
di
cui
ha parlato Petrocchi.
Ha appreso col tempo a misurare il peso delle parole, a sceglierle e
avvicinarle
in
modo
che
fossero
chiare
e
incisive,
capaci
di
riassumere
l’argomento
con
brevi
tratti
e
mettere
l’interlocutore di fronte al nocciolo del problema.
Silone
sembra
portare
nel
suo
DNA
il
gusto
dell’andare controcorrente,
di
non
cavalcare
le
mode,
non
pontificare
dai
pulpiti, non salire sul carro dei vincitori
Stando
fuori
del
mondo
del
partito
(fascista,
comunista
e
socialista),
della
Chiesa,
delle
scuole
letterarie
riesce
spesso
a meglio valutare.
253
Il bisogno di comunicare
«…Il
bisogno
di
capire,
di
rendermi
conto,
di
confrontare
il
senso
dell’azione,
in
cui
mi
trovavo impegnato con
i
motivi
iniziali
dell’adesione
al
movimento,
si
è
impossessato
interamente
di
me
e non
m’ha
lasciato
tregua
e
pace.
E
se
la
mia
opera
letteraria
ha
un
senso,
in
ultima
analisi,
è proprio
in ciò: a un certo momento scrivere ha significato per me assoluta
necessità
di
testimoniare,
bisogno
inderogabile
di
liberarmi
da
una
ossessione,
di affermare
il
senso
e
i
limiti
di
una
dolorosa
ma
definitiva rottura e di una più
sincera fedeltà.
Lottare scrivendo
Lo scrivere non è
stato, e non poteva essere per me,
salvo
che
in
qualche
raro
momento
di
grazia,
un sereno godimento estetico, ma la penosa e solitaria continuazione
di
una
lotta,
dopo
essermi
separato
da
compagni
assai
cari.
Le
difficoltà
con
cui
sono talvolta
alle
prese
nell’esprimermi
non
provengono
certamente
dall'inosservanza
delle
famose
regole del bello scrivere, ma da una coscienza che stenta a rimarginare alcune nascoste ferite, forse inguaribili e che
tuttavia,
ostinatamente,
esige
la
propria
integrità». 254
Gerarchie rovesciate
Alcune
espressioni
consuete, usate
in
modo
dispregiativo,
acquisiscono
un
blasone.
Così
è per
“cafone”,
per
“povero
cristiano”,
per
“asino”,
l’animale prediletto
da
don
Orione
e
da
Silone.
Quando
in
Svizzera viene
soprannominato
“cavallo
di cartone”
reagisce:
«Sarebbe
stato
più
preciso
chiamarmi l’asino di cartone: ma forse
voi
di
discendenza
toscana,
non avete dell’asino la mia stessa idea…».
255
256
Politica e scrittura
Si può contrapporre il Silone attivista
allo
scrittore?
Come
l’attività
politica
si
serve
soprattutto
della scrittura, così
anche la scrittura ha un diretto effetto
politico,
partendo
dal
mondo
dei
cafoni
oppure usando
le
parole
dei
signori
con
diversa
corposità
e
senso,
o
infine
servendosi
di
un’ironia
tagliente
e garbata.
La
battaglia
delle
parole
e
dell’azione
mantiene
una sua
continuità
discontinua,
come
si
vede
bene
in
Vino
e
Pane,
quando
l’insegnamento
di
Pietro
ad Infante
fa
risuonare
le
parole
usate
in
modo
nuovo,
svelandone significati occultati.
Una rivoluzione delle parole che fa il paio con quella
dell’azione.
257
Dare tutto di sé
«Se uno scrittore mette tutto se stesso nel lavoro (e
che
altro
può
metterci?)
la
sua
opera
non
può
non costituire
un
unico
libro.
Ho
già
detto
in
altra
occasione
che,
se
fosse
stato
in
mio
potere
di cambiare le leggi mercantili della società
letteraria,
avrei
amato
passare
la
vita
a
scrivere
e
riscrivere sempre
la
stessa
storia,
nella
speranza,
se
non
altro,
di
finire
col
capirla
e
farla
capire.
Così
nel Medioevo
vi
erano
dei
monaci
che
trascorrevano
l’esistenza
a
dipingere
il
Volto
Santo,
sempre
il medesimo volto» (US).
258
Machiavelli
C’è
un filo
che
unisce
le
diverse
fasi
della vita e si snoda in modalità
plurime: Silone
comunica
da
ragazzino
con
gli
amici
in
piazza,
poi
attraverso
le
lettere scritte
in
nome
e
per
conto
d’altri
e
poi
via
via
attraverso
le
arringhe
nei congressi, con gli articoli giornalistici, le espressioni letterarie, romanzi e saggi.
In Uscita di Sicurezza
si trova riportata la frase di Machiavelli a conferma del dovere di comunicare:
«Fosse
offizio
di
uomo
buono
quel
bene
che
la
malignità
dei tempi e della fortuna tu non hai potuto operare, insegnarlo ad altri,
acciocché
sendone
molti
capaci,
alcuno
di
quelli
più
amato dal Cielo possa operarlo»
(US).
259
Giudizi diversi
Luce
D’Eramo
ha
rifiutato
decisamente
la
tesi
di
una
trasformazione
repentina
e
assoluta
di
Silone, ritenendola
strumentale
all’ideologia.
Gramsci,
e
con
lui
Camilla
Ravera,
sostenevano
che
Silone
fosse
più uno
scrittore
che
un
politico,
orientandolo
così
verso
la letteratura per sollevarlo dagli incarichi dirigenziali nel
partito.
Lo
consideravano
un
letterato
quando
ancora
non
scriveva
libri
di
narrativa,
perché
lo temevano
come
uomo
di
dissenso.
Eppure
dopo
l’espulsione
dal
PCI
le
stesse
persone
lo
giudicarono uno
scrittore
mediocre
(valgano
per
tutti
i
giudizi
di
C. Salinari e G. Petronio).
L’altro versanteSul
versante
opposto
gli
scrittori
italiani (dell’arte
pura
o
simbolica
crociana) ritenevano
che
fosse
più
un
politico
che un
vero
scrittore
(stroncature
furono fatte
da
E.
Cecchi,
Sapegno
e,
in
primo momento,
da
I.
Montanelli).
Indro
Montanelli (Fucecchio,
1909
– Milano,
2001),
giornalista,
scrittore
e storico.
Indro
Montanelli (Fucecchio,
1909
– Milano,
2001),
giornalista,
scrittore
e storico.
261
Luce D’Eramo
Conclude
la
D’Eramo:
«Insomma
è
successo
che
i
politici l’hanno giudicato un letterato e i letterati un politico,
per
il
fatto
stesso
che
in
lui
non
c’era
dissociazione tra queste due esigenze»
Silone a D’Eramo: “Era la continuazione della lotta,
in
modo
più
libero
naturalmente”.
“Non
era
un ripiego
per
te?”.
“No,
assolutamente”.
Eppure
una
volta l’hai scritto, così
come hai scritto che ricordi la lotta politica d’allora, nel Partito comunista, con un gusto di cenere, una specie di incubo. Invece poco fa hai
detto
che
sei
contento
d’aver
fatto
quella
dura
esperienza di rivoluzionario…”.
Una luce
Silone:
“Può
darsi
che l’abbia
detto.
Ma
andando
avanti
con
gli anni,
si
vedono
le
cose
più
in
prospettiva.
E periodi o
situazioni
della
nostra vita che a un dato momento
abbiamo
visto
in
una
certa
luce, ricordato
in
un
certo
modo,
a
distanza
si compongono
insieme
e
ne
viene
fuori
il significato relativo, che è quello più
vero”». 262
263
Il contesto
La
trama
che
intreccia
la
storia
di
un
individuo
con
il
sistema sociale è
determinante: il racconto della sofferenza di
Luca
o
di
Berardo
è sempre
legato
alla
denuncia
delle
condizioni di ingiustizia che essi si trovano a vivere e degli interessi che concorrono a determinarle. Il volto personale e
il
volto
sociale
non
possono
essere
descritti
separatamente
senza
distorcere
i
contorni
della
realtà. Forse l’analisi psicologica può risultare talvolta povera, ma il profilo di un protagonista viene colto nell’intreccio delle situazioni e
degli
ostacoli
che
di
volta
in
volta
deve
affrontare.
Confrontandosi
con
il
contesto
storico‐socio‐ economico,
in
un
rapporto
quasi
“materialista”,
ciascuno
prende
coscienza
di
quello
che
è e
del
compito
che
ha
da svolgere.
264
Fecondità dei libri
Silone
ha
concluso:
«Alla
fine
un
libro
arriva
dove
un
intervento
diretto
da
solo
non
può
arrivare,
troppi condizionamenti».
Fu
davvero
così:
la
lotta
dei
contadini
per
le
terre
del Fucino fu chiamata “liberazione di Fontamara”.
Si
è
parlato
dei
romanzi
di
Silone
come
di
un
frutto compensatorio
della
delusione
del
partito.
Molto
più
probabilmente la separazione dal partito comunista è
stata soltanto
l’occasione
della
scoperta
di
una
vocazione
rimasta compressa dall’attività
politica.
Si
può
dire
che
la
scoperta
di
questa
“vocazione”
corrisponde
al
riaffiorare
dell’istanza
etica,
soffocata
dalle intemperanze
giovanili
e
dall’ideologia,
espressa
in
forme
laiche ed evocative.
265
Non curarsi dei riconoscimentiFino
a
che
punto
il
mondo
creato
dalla
sua
fantasia
soggiace
strumentalmente
ad obiettivi etici e politici calati nella narrativa?
È un
giudizio
che
mira
all’inserimento
di Silone
in
una
delle correnti
letterarie o
lo
paragon
a
qualche
autore
(Verga,
Levi, Jovine, Malraux, Mauriac, Joice…).
Silone
ha
confidato
che
riteneva
importante “Fare
cose
serie,
senza
curarsi
troppo
dei
riconoscimenti”.
Senza catalogare
Silone
è
stato
esplicito nel
rifiutare
tali
catalogazioni.
Egli
ha parlato
di
necessità
interiore
indipendente dalle
soluzioni
formali
che
la
narrativa
esige. Nessun
«sereno
godimento
estetico» ma
l’espressione
del
travaglio
di
una coscienza
alla
ricerca
della verità,
266
267
Rimanere onesti
“Riflettendo
sul
senso
della vita…
si
arriva
tuttavia
alla
scoperta
che
il
loro
nucleo irriducibile
è costruito
da
alcune certezze cristiane. Ma il cielo è buio. Non siamo né
atei
né
credenti…
Tutte
le
forze della
coscienza
sono
concentrate
nel
capire
il mondo e l’epoca in cui viviamo; nel
renderci
conto
del
nostro
dovere di uomini; nel procurare di rimanere onesti…”
Ignazio Silone, convalescente, a "La Barca" (Svizzera) 1931
268
Silone
“…Lui è uomo d’amicizia, come altri sono uomini di partito, o uomini di chiesa, o uomini d’affari».
269
Dal 1945 al 1946 direttore de “L'Avanti!”
Agli
inizi
degli
anni
'40, Silone
torna
all'attività
politica
dirigendo
in Svizzera
il
Centro
Estero
del
Partito
Socialista. Dirige
il
quindicinale
socialista
L'avvenire
dei Lavoratori.
Le
autorità
elvetiche,
per non
complicare
i
rapporti
con
il
governo
italiano,
lo fanno
rinchiudere
prima
nel
carcere
di
Zurigo,
poi nei
campi
d'internamento
a Baden
e a Davos.
Silone con Ivan Matteo Lombardo e Sandro Pertini, nel 1946
I socialisti
270
Ignazio Silone, Pietro Nenni e Morgan Philips, segretario del partito laburista – Londra (1946)
271
In Svizzera
Silone
soffre
a
causa
di
un’affezione
di origine tubercolare e nello stesso tempo di “gravi squilibri nervosi”.
Ottiene
dalla
segreteria
del
partito
un permesso
per
motivi
di
salute.
Entra
in
Svizzera
senza
passaporto,
senza
soldi, con
un
sistema
nervoso
a
pezzi,
gravemente malato.
Si
reca
in
Svizzera
nel
1929,
per
i
primi
"soggiorni
terapeutici"
ad
Ascona
e Davos.
ma
certo
non
pensa
di
morire
proprio a Ginevra.
Ha
buone
ragioni
per
credere
che
sia
giunto
il
tempo
di
lasciare
questa
vita. In
quelle
condizioni
non
è raro
pensare
al suicidio.
272
Aria nuova
Silone
respira
aria
nuova
e
stabilisce
un
legame
empatico con l’ambiente. Va a vivere a Locarno e poi a Zurigo,
la
sua
città,
vivace,
intellettuale,
accogliente,
cosmopolita.
In Una
piazza
è una
piazza,
racconterà
un
episodio
relativo a Sciaffusa
(dove si era recato per incontrare il leader
del
partito),
dando
ragione
della
sua
simpatia
per la Svizzera
E’
ospite
di
un
possidente,
accogliente
verso
i
perseguitati politici
Conosce
molti
profughi
di
passaggio
per
Zurigo
e
soprattutto l’irlandese Darina, che studiava il fascismo e Mussolini nella stessa biblioteca da lui frequentata.
273
Il grazie alla Svizzera
«Devo
ancora
spiegarmi come
mai
sia
avvenuto
che
sia
rimasto
in
Svizzera
14
anni:
è una
ragione
in
cui
c’entra l’urbanistica,
l’architettura
e
anche
la
toponomastica...
Una grande piazza, una bella piazza; cercai la tabella sul muro…
e
vidi
con
sorpresa
che
c’era
scritto:
“Place”
senz’altro nome. Trovai subito il numero 8 e alla persona che
trovai
invece
di
parlare
delle
cose
importanti
di
cui
dovevo parlare, dissi: “Ma come, avete una bella piazza e non gli date un nome? Lui disse: “Ma che nome dobbiamo dargli?”.
“Non
so,
piazza
della
Libertà”.
Mi
rispose:
“Ma
la
libertà
c’è
anche
nel
vicolo
accanto,
c’è
alla
stazione, c’è
nei
campi,
andrebbe
bene
piazza
Pestalozzi,
piazza
Guglielmo Tell, ma non sono nati qui, non ci sono morti”. La cosa cominciava a commuovermi….
274
Per liberarsi dalla retorica “cattolica e marxista”
Il
fatto
che
il
popolo
dicesse
“piazza”
e
che
il
Comune registrasse
piazza
è una
cosa
che
a
voi
sembrerà
frivola
e
farà
ridere,
ma
che
per
me
era
la
rivelazione
di
qualche cosa che avevo invano cercato e non avevo mai trovato.
Viceversa
nei
paesi
delle
rivoluzioni
avevo
trovato esattamente
l’opposto…
antiche
città…
cambiavano
di
nome
a
seconda
delle
vicende
dei
Congressi
del
Partito dominante. Dissi che ero raffreddato per giustificare la mia emozione…
Dissi:
io
di
qui
non
parto
più,
e
infatti
mi
fermai. Mi fermai in Svizzera perché
dove trovavo un altro paese
dove
fare
la
quarantena
di
tutta
la
retorica
prima
gesuitica,
cattolica
e
poi
marxista,
che
mi
ero
trascinato dietro fino allora?».
275
Il “Memoriale svizzero”
Nel
Memoriale
esprime
tutta
la
sua
gratitudine
verso
il
paese
che
lo
ha
accolto:
«Di
questa
mia rinascita
e
risurrezione…
io
sono
in
grandissima
parte
debitore
alla
Svizzera.
Il
mio
debito
morale verso
questo
paese
(verso
i
suoi
grandi
educatori
del
passato
presso
i
quali
sono
tornato
a
scuola
e verso
le
centinaia
e
migliaia
di
amici
che
ho
qui
conosciuto)
è così grande
ch’io
dispero
di
poterlo mai restituire. È uno di quei debiti cui
solo può far
riscontro una gratitudine, una nostalgia, un amore di tutta la vita»
276
Bertolt Brecht e Silone
Tra il 1931 e il 1933 Silone diviene redattore del mensile tedesco “Information”, che raduna intellettuali e artisti, come
Thomas Mann, Bertold Brecht, Robert Musil
277
Il congedo da Bellone
All’amico
Bellone
scrive
la
famosa
lettera
di
congedo
in
cui
chiarisce
la
sua
determinazione
a
seguire
un percorso etico
di liberazione
da
ogni
ambiguità,
nella
serena
libertà
di
chi
sa
di
poter
parlare
senza
essere ricattabile,
di
chi
non
vede
alcuna
sostanziale
incongruenza
rispetto
al
passato
(“chiudere
un
lungo periodo
di
rapporti
leali
con
un
atto
di
lealtà)
e
non
teme le possibili conseguenze:
«La mia salute è
pessima ma la causa è
morale…
Io mi
trovo
in
un
punto
molto
penoso
della
mia
esistenza.
Il senso
morale
che
è
stato
sempre
forte
in
me,
ora
mi
domina
completamente;
non
mi
fa
dormire,
non
mi
fa mangiare, non mi lascia un minimo di riposo.
278
Una svolta risolutiva
Mi trovo nel punto risolutivo della mia crisi di esistenza,
la
quale
non
ammette
che
una
sola
via
d’uscita: l’abbandono
completo
della
politica
militante
(mi
cercherò
un’occupazione
intellettuale
qualsiasi).
Oltre questa
soluzione
non
restava
che
la
morte.
Vivere
ancora
nell’equivoco
mi
era
impossibile,
mi
è impossibile. Io ero nato per essere un onesto proprietario di terre nel mio paese.
La
vita
mi
ha
scaraventato
lungo
una
china
alla
quale
ora
voglio
sottrarmi.
Ho
la coscienza di non aver fatto un gran male né
ai miei amici
né
al
mio
paese.
Nei
limiti
in
cui
era
possibile
mi
sono sempre guardato dal compiere del male.
279
Un attestato di stima
Devo
dirle
che
lei,
data
la
sua
funzione,
si
è sempre comportato da galantuomo…
Questa
mia
lettera
a
lei
è un
attestato
di
stima.
Ho voluto
chiudere
definitivamente,
un
lungo
periodo
di
rapporti
leali,
con
un
atto
di lealtà.
Se
lei
è un
credente,
preghi
Iddio
che
mi
dia
la
forza
di
superare
i
miei
rimorsi,
di iniziare una
nuova vita,
di
consumarla
tutta
per
il
bene
dei
lavoratori
e
dell’Italia.
Suo Silvestri».
280
Don Orione‐Lenin?
«La
motivazione
del
paragone
paradossale Don Orione‐Lenin
è
la seguente:
due
personalità
eccezionali,
con
uno
spirito
forte, estremamente
semplice,
concentrato su
un
unico
punto. Per don Orione questo era la carità cristiana,
per
Lenin
la
rivoluzione
sociale.
Se
Lenin
fosse
stato
un monaco, sarebbe stato un santo; se don
Orione
fosse
diventato
segretario
d’una
Camera
del Lavoro,
avrebbe
fatto
la
rivoluzione.
La
fiacchezza
della maggior
parte
degli
uomini
viene
dall’eclettismo e
dalla
dissipazione».
Don Orione
281
Darina
«Non
mi
venne
mai
in
mente
di cercare
Ignazio
Silone.
Mi
sentivo
ancora
studentessa
e molto
timida
di
fronte
a
persone
celebri…
(alla biblioteca) passavo giornate
intere
alla
stessa
scrivania,
vicina
ad
una finestra…
Non
potevo
sapere
che
anche Ignazio Silone frequentava quella
biblioteca.
Incuriosito
da
questa
ragazza
intenta
a sfogliare le opere di Mussolini, si informò
discretamente
del
mio
nome,
lo
stesso
nome
contro
il quale era stato messo in guardia quasi sei mesi prima”. Darina Laracy-Silone, Davos 1943
282
Innamorarsi
“In
quell’istante
sentii
inondarmi
di
una
gioia immensa,
sconosciuta.
Era
una
specie
di
estasi.
Ogni
senso
di
incertezza
o
di
paura
mi
abbandonò. Sai
dirmi
che
accade
all’anima
in
quei
momenti?
D’un
tratto
il
mondo
intero
ha
un
altro
aspetto.
Se avessi
visto
dei
cavalli
volare,
ciò
non
mi
avrebbe
minimamente
sorpreso.
[...]
È sempre
così
l’amore? Mio Dio, mio Dio, non riconoscevo più
la creazione.
Sentivo il cielo nel cuore. Era come se dalla testa mi sprizzassero centinaia di stelle.
(da “Il segreto di Luca”
di Ignazio Silone)
La trottola
La felicità
era
penetrata
nel
mio essere
e
vi
aveva
suscitato
una
luce che
ignoravo.
Tutta
la
terra
girava attorno
a
noi
due
come una trottola”.
283
Darina Silone (1945)
284
Silone e Darina Nell’Ottobre del
1944
Silne
rientra
in Italia,
a
Roma
e
sposa
Darina Elisabeth Laracy.
Il rapporto
è
costante
fino
alla morte,
nonostante
evidenti
differenze di
temperamento
e
di formazione.Ignazio Silone e Darina
Laracy, in
Svizzera (anni Quaranta)
285
Ritorno in Italia?
Quando Silone rientrò in Italia con Darina, era ormai
un uomo maturo. Il viaggio, su un aereo militare che dalla Francia era diretto a Napoli, fu fatto in
compagnia del dirigente socialista Giuseppe Emanuele Modigliani e sua moglie Vera, e tenuto
segreto per motivi di sicurezza.
La coppia era stata aiutata da Dulles, che Silone,
d’accordo con Darina, aggiornava costantemente sulla situazione italiana, tentando di presentare i meriti del popolo, ridurre l’impatto della sconfitta e aprire
prospettive sul futuro democratico dell’Italia. Le responsabilità
degli americani e i loro errori non
venivano sottaciute, anche con delle critiche al governo statunitense.
286
Pianura capuanaA
Roma
un
accompagnatore
portò
la
coppia
ai
Parioli
«ci
disse
che
da
allora
in
poi dovevamo
arrangiarci
da
soli.
Arrangiarci
voleva
dire
stare
all’Albergo
Genio
in
Piazza Zanardelli
per due mesi senza luce (candele al
mercato
nero),
senza
acqua
(fredda
per mezz’ora
ogni
tre
giorni),
senza
ascensore
né
riscaldamento.
Solo
il
telefono
rimaneva.
I nazisti,
prima
di
lasciare
Roma,
avevano
distrutto il 95% degli impianti elettrici».
Capua
287
Reggia di Caserta. FacciataReggia di Caserta. Facciata
Darina: «L’aereo ci portò a Napoli, all’aeroporto militare di Capodichino. Silone si sdraiò sull’asfalto e lo baciò. Fummo condotti la sera stessa alla Reggia di Caserta.
Il bel Paese
L’indomani
passammo
tutta
la giornata
su
un
grande terrazzo
prospiciente la
pianura
capuana, coperta
di
vigne
dorate.
Silone
non
si stancava
di
guardare
quel
panorama.
“Che bel
paese!”
ripeteva.
“Che
bel
paese!”. Aveva
le
lagrime
agli
occhi». 288
289
Che bel Paese!
Quello
che
significò
per
Silone
rimettere
piede
in
Italia,
non
più
da
clandestino
ma
da
scrittore,
lo
racconta
Darina:
«Fu
una bellissima
giornata.
Verso
sera
atterrammo
a
Capodichino…
Silone
diceva
continuamente:
“Che
bel
paese!
Che
bel
paese!”.
Il mio ricordo è che non siamo mai usciti da quel giardino fino alla sera, cioè
dopo il tramonto, quando finalmente qualcuno ci disse
che
era
pronta
l’automobile
per
portarci
a
Roma.
Il
viaggio
si doveva
fare
di
notte
perché
tutto
era
segreto.
Ricordo
i
paesi
distrutti,
le
macerie
ovunque.
A
Formia
non
c’era
più
niente
in piedi
eccetto
un
muro
sul
quale
era
scritto
in
grandi
caratteri
“VINCERE”…Posso
immaginare
che
dietro
le
quinte,
a Washington, ci furono molte discussioni sul ritorno di Silone
in
Italia: perché
ci tennero un mese in aspettativa a Ginevra?
Il matrimonio
Ora
Silone
può
finalmente sposare
Darina,
nel
’44
a Roma,
dove
si
stabiliscono
in
un appartamento
affittato
in
via
di
Villa
Ricotti. Gabriella
non
viene
dimenticata
Fino
al 1944
Silone
non
cessa
di chiamarla “moglie”.
290
291
Darina e Ignazio Silone Londra: Gennaio 1946
292
Silone
Nel
1946
viene
eletto all'Assemblea
Costituente
per
il PSIUP in Abruzzo.
Nel
1947
fonda
“Europa
Socialista”,
che
dirige
fino
al 1949.
Nel 1951
anima
l‘”Associazione Italiana
per
la
Libertà
della
Cultura”.
Abbandonata
l'attività
politica,
nel
1956
fonda
e dirige,
con
Nicola
Chiaromonte,
la
rivista “Tempo Presente”.
Il 22 Agosto 1978, dopo una lunga serie di malattie, muore in una clinica a Ginevra.
293
Un lungo impegno nella politica
«Benché
avessi
chiaro
che
era
impossibile
tornare
nel
Partito
Comunista
e
che
era
inutile
rimanere
nel Partito
socialista,
tuttavia
mi
rammarico
d’aver
perduto
troppo
tempo
ancora.
Un
tempo
che
avrei potuto impiegare meglio, anche politicamente, dicendo quello
che
pensavo
indipendentemente
dal
partito.
Questo, sì, è un rammarico, cioè
di non aver lasciato la politica militante nel ‘47». Dolore dunque di aver atteso troppo
prima
di
prendere
la
doverosa
decisione,
ma
anche
di
aver
taciuto
e
qualche
volta
sottoscritto
i misfatti
del
partito,
come
quando
aveva
abbandonato
Tasca al suo destino o come quando aveva lasciato che Togliatti
firmasse
a
nome
suo
la
condanna
dei
tre
eterodossi.
294
Una Chiesa più grande
«E ricordati di questo: Dio
non
è solo
in
Chiesa…».
…Silone
(come
Simone
Weil
d’altro
canto,
al pensiero della quale si legò molto dopo
che
nel
’50
gli
regalai
Attente
de
Dieu)
sarebbe
stato un
uomo
“extra
moenia”,
fuori
dalle
mura,
che
non
significa però
‘fuori
dalla
Chiesa’
ma
‘dentro
una
chiesa
più
grandè, quella
delle
coscienze,
dell’autentica
ed
universale fraternità,
il
“Cristo
più
grande
della Chiesa”….»
(Darina,
Lettera ai
direttori
di
“Prospettiva
Persona”)
Darina Laracy Silone, 1945
295
Confiteor
È
possibile
sintonizzare
con
il
Silone maturo degli anni Cinquanta, attraverso un documento
dal
titolo
“Confiteor” di
quattro
cartelle
dattiloscritte,
comprendente
43 domande
e
risposte,
ritrovato
dal
nipote
Romolo Tranquilli.
Si
tratta
di
un’autointervista, essenziale e densa, che ci presenta
l’opinione
di
Silone
sui
temi
che
gli stanno più
a cuore.
296
Gabriella
Silone
aggiornava
Gabriella
di
tanto
in
tanto
sulle
difficoltà
di
ricominciare
la
vita
a
Roma
in
una
città che
stenta
a
riprendersi
dalla
guerra,
sporca,
con
una
prostituzione dilagante («Anche
per
i
non
moralisti,
il contegno
delle
donne
romane,
dalle
ragazzine
alle
vecchie,
è
semplicemente
disgustoso»)
e
con
la
paura di
uscire
la
sera.
Non
manca
di
aggiornarla
sul
suo
lavoro
e
sulla
complessa situazione
politica, concludendo:
“Ti abbraccio con immutato affetto. Tuo
Sec. Tranquilli”.
Vi
sono
testimonianze
che
accertano
che
Gabriella
dal
1949
riprse
a
collaborare
sia
alle
attività
politiche che editoriali.
Contrada natia
In
Vino
e
Pane
Silone descrive
il
ritorno
di
Pietro
a
Perticara, mostrando
come
i
sentimenti
di attaccamento
prevalgano
sui risentimenti:
«Era
la
sua
contrada
natia,
la sua
patria
proibita.
Il
cuore gli batteva forte e malgrado
il
freddo
notturno
si
sentiva inondare di sudore».
297
Paesello
Nel
racconto
Ai piedi di un mandorlo Silone
racconta
le
sue
impressioni
alla vista del paesello:
298
299
Nessuno mi aspetta
«Cos’è
la
particolare
tristezza
che
prova
chiunque
torni,
dopo
anni
d’assenza,
in
una
contrada
ove
già visse a lungo, e sosti a osservarvi, non visto oppure non riconosciuto,
l’ordinario
svolgersi
della
vita?
Sto
cercando
di
capirlo
mentre
dall’alto
di
questa
collina contemplo
il
mucchio
di
case
grigie
e
nere
del
mio
paese
nativo…
al
paese
nessuno
mi
aspetta.
Di
buon passo
ho
preso
la
scorciatoia
tra
le
siepi
di
rovi
e
le
vigne,
ma
nella
salita,
m’è
venuto
un
pò
d’affanno.
Eh, non
sono
più
un
ragazzo.
Nella
memoria
questo
sentiero
era
meno
erto
e
più
lungo.
Invece,
appena sormontato
il
piccolo
colle,
ecco
già
di
fronte
a
me
il
paese.
300
Ai piedi di un mandorlo?
Esso
c’è
apparso
all’improvviso,
nella
sua
antica
e
oscura
voragine.
A
quella
vista,
non
so
perché,
m’è mancato
il
respiro
e
ho
rallentato
il
passo.
Mi
sono
guardato
attorno,
ho
cercato
una
pietra
o
una
zolla su
cui
riposare.
Non
ho
fretta,
dato
che
nessuno
mi
attende.
Adesso
mi
trovo
ai
piedi
di
un
mandorlo,
un po’
discosto
dal
sentiero.
Appena
alcuni
passi
più
sotto, dove la strada carrozzabile fa gomito, si alza la croce
che
i
padri
passionisti
eressero
molti
anni
or
sono, al termine d’una loro predicazione di quaresima. Di qui posso osservare la parte più
antica dell’abitato.
Mandorlo in fiore
301
302
La luce della sera
È la prima ora della sera, l’Avemaria dev’essere suonata da poco.
Una leggera nebbia violacea, formata dall’umidità
e dal fumo dei camini,
aleggia
sulla
fossa
del
fiume
e
dissimula,
tra
le
case
e le
stalle, i vuoti lasciati, circa mezzo secolo fa, dal terremoto.
Vedo una
lunga
fila
di
carri,
di
ritorno
dalla
campagna,
risalire
la
strada
accanto
al
fiume
e
smistarsi
tra
le
case.
Dalla
chiesa escono
alcune
donne
e
bambini:
sarà
in
corso
qualche
novena.
Vedo
un
uomo
fermo
sulla
porta
dell’osteria,
un
po’
sbieco,
con una spalla appoggiata allo stipite della porta. Non m’arriva però alcuna
voce,
non
il
minimo
rumore,
forse
a
causa
del
vento
che
soffia in senso contrario. È come se assistessi alla proiezione d’un vecchio film muto, un po’
logoro e con scarsa luce.
303
Il perimetro dell’adolescenza
Di questo angusto luogo, in altri tempi, io conoscevo
ogni vicolo, ogni casa ogni fontana e quali fanciulle, in
quali
ore,
vi
attingessero
acqua:
ogni
porta,
ogni
finestra, e chi vi si affacciasse, in quali momenti. Per una
quindicina
d’anni
questo
fu
il
chiuso
perimetro
della
mia
adolescenza,
il
mondo
noto
e
le
sue barriere, lo scenario prefabbricato delle mie angosce segrete.
Ma
–
adesso
me
ne
rendo
conto
– il
sentimento che poc’anzi m’ha fermato il passo non è la
comune
ansietà
degli
emigrati,
è il
cruccio
o
sgomento
di
certi
uomini
anziani
di
fronte
al
fatale scorrere
del
tempo:
bensì
qualcos’altro.
Cerco
di
capire.
304
Un mondo ormai estraneo
Questa
realtà
che
adesso
mi
sta
di
fronte,
io
l’ho
portata
per
anni
in
me,
parte
integrante,
anzi
centrale di
me
stesso,
ed
io
sentivo
in
essa,
non
certo
al
suo
centro
tuttavia,
a
mia
volta,
sua
parte
integrante. Invece ora
che
l’ho
davanti,
essa
mi
si
rivela
per
quello
che
è,
un
mondo
estraneo,
che
continua
a
vivere
per conto
suo,
anche
senza
di
me,
nella
maniera
che
gli
è
propria,
con
naturalezza
e
indifferenza.
Non diversamente,
in
altre
parole,
di
quello
che
mi
apparirebbe
un
formicaio.
Così,
penso,
l’ulteriore svolgersi
della
vita
umana
sarà
visto,
dopo
un
certo
numero
di
anni,
da
un
morto,
se
gli
è
concesso
di vedere.
Una vecchia donna
Seguendo
questa riflessione,
sento
chiarirsi
la
confusa apprensione
di
poc’anzi
in
uno
stato
d’animo umile
e
desolato:
quello
dell’irrimediabile solitudine
e
precarietà
dell’esistenza
individuale. Mi
chiedo
perché
sono
tornato
e
penso
di ripartire
subito.
Ma
un
rumore
di
passi
che
si avvicinano mi trattiene.
305
È una vecchia donna, vestita poveramente di nero, che porta sulle spalle un pesante fardello di rami secchi. Cammina curva come una bestia da soma.
306Bestie da soma,Olio su tela, 1886. L’Aquila
Teofilo Patini
307
Una vicina di casa
Uno
spettacolo
certo
non
nuovo
dalle
nostre
parti, a
mezza
costa
tra
il
piano
e
la
montagna.
Troppo
attenta a dovere posare i piedi ella non si accorge di me, che la riconosco. Era una nostra vicina di casa. Un
suo
figlio,
alle
scuole
elementari,
era
mio
compagno
di
classe
e
di
giuochi.
Quali
disgrazie possono
averla
ridotta
in
quelle
condizioni?
Suo
marito,
i
suoi
figli
non
vivono
più.
Mi
alzo
per raggiungerla.
Forse
accetterà
di
essere
aiutata
nel
trasporto della legna».
308
Il paesaggio della memoria
In La pena del ritorno Silone racconta di un precedente ritorno al paese già all’età di 25 anni circa, in treno e senza valigia:
«Durante il viaggio rimasi a lungo con la testa appoggiata al finestrino. Attraverso i vetri vidi venirmi incontro il paesaggio per tanti anni conservato nella memoria come un presepio, i campielli sassosi, le montagne brulle oscure disabitate; vidi apparire e sparire le stazioncine deserte, porte e finestre sprangate, i muri cadenti, le macerie. Nell’oscurità, dall’aspro odore, riconobbi l’origine contadinesca degli uomini e delle donne pigiati assieme nella carrozza, assieme ai loro fagotti valigie casse sacchi, rimpinzati di acquisti fatti in città» (US).
309
Un uomo anziano?
A chi lo incontrava a Roma, Silone poteva apparire un
uomo appesantito dagli anni, ostinato, chiuso in un qualche suo misterioso dolore, un po’
rude. Non
pochi hanno sottolineato l’espressione corrucciata, lo sguardo profondo e tal volta respingente entro un
volto ovale, gli occhi spesso socchiusi a causa della miopia, il parlare pacato, con inflessioni dialettali, di
tanto in tanto interrotto dall’affanno. Bisognava andare oltre lo scudo del silenzio per cogliere le sue
migliori disposizioni: capacità
d’illuminarsi nel sorriso, di mostrare la sua fragilità, di solidarizzare, di
divertire con la sua carica di humor.
310
Silone
“La
libertà
...
è la
possibilità
di
dubitare, la
possibilità
di
sbagliare,
la
possibilità di
cercare,
di
esperimentare,
di
dire di
no
a
una
qualsiasi
autorità, letteraria
artistica filosofica
religiosa
sociale,
e anche politica”.Silone a L’Aquila
311
Un uomo di granito
Si
poteva
avvertire
una
sensazione
di
disagio
per
il
fatto di trovarsi di fronte – come scrive Claudio Casoli ‐
“un
uomo
di
granito”,
aduso
a
resistere
al
dolore.
Anche
la
nipote
Maria
Moscardelli
ne
ricorda
i «famosi
silenzi
in
cui
s’immergeva
di
tanto
in
tanto;
ritengo
che
–
conoscendo
l’estremo
pudore
nel manifestare
i
sentimenti
di
cui
sono
capaci
i
migliori
uomini
abruzzesi
e
Silone
in
particolare
– quei
silenzi fossero
il
massimo
di
esternazione
della
terribile
sofferenza per l’atroce morte del fratello oltre al dolore per i lutti ed i patimenti subiti nell’adolescenza».
Difficoltà relazionali
Queste
le
difficoltà
relazionali
di
Spina:
«I rapporti
con
le
altre
persone
non
hanno
la semplicità,
la
naturalezza,
la schiettezza che io vorrei. Questa
insoddisfazione
mi
spinge verso la solitudine e il
mutismo.
Non
è
misantropia, è il contrario: un
amore
per
gli
uomini
che
resta
insoddisfatto,
un bisogno
di
amicizia
che
non
riesce
a
trovare
il
suo oggetto».
312
Silone a Fiuggi nel 1970
313
Senso del tragico
Per Luce D’Eramo
però: «Silone aveva un senso del
tragico
che
da
anni
gli
dava
una
sorta
di
pace anche
nell’aspetto,
quel
gestire
pacato,
quel
tono
lento
della
voce
bassissima.
Per
lui
il
pericolo maggiore
degli
uomini
era
quello
di
dimenticare
il
fine
nella
troppa
cura
dei
mezzi
per
conseguirlo. Me lo scrisse in una lettera: “Propter
vitam, vivendi
perdere causam”. Ma se uno riusciva a non perdere la
ragione
di
vivere,
al
fondo
della
spogliazione
gli
sbocciava
infine
anche
la
gioia.
Lo
si
vede
nei
suoi libri.
Pietro e InfantePer
esempio
Il
seme
sotto
la
neve.
Forse
è la
sua
opera
più
allegra
perché è pure la
più
tragica…
tra
Pietro Spina
e
Infante,
cioè
tra
un rivoluzionario
fuorilegge e
un
sordomuto
nascono le
pagine
più
liete
del
libro.
314
Lingua dei segni italiana LISLingua dei segni italiana LIS
Amicizia tra emarginati
I
due
fanno
sodalizio con
un
gentiluomo
bizzarro e con un asino giudizioso
e
vivono
tutti
assieme
in
una casa diroccata, dove col vento
e
con
la
pioggia
entrano
anche
folate d’allegria»
(LDE).
315
316
Il PSI
Silone riprende a occuparsi di politica, soprattutto
con l’intento di combattere la fusione fra il PCd’I e il PSI. Non nasconde infatti le divergenze rispetto alla
linea
di
Nenni e
alla
politica
fusionista
nei
confronti
del
PCI.
Nel
primo
congresso
del
PSI presenta
una
mozione,
firmata
insieme
a
Pertini,
per
riaffermare
l’autonomia
del
PSI
e
ottiene
la maggioranza.
Nel
1946
viene
eletto
all’Assemblea
Costituente per l’Abruzzo.
Quando
nel
1947
c’è
la
scissione
di
palazzo
Barberini
e nasce il partito socialdemocratico, non segue
gli
scissionisti
di
Saragat
che
fondano
il
PSDI.
Silone, Giuseppe Saragat e Nicola Chiaromonte
317
318
La necessaria utopia
Avventura
di
un
povero
cristiano: «Se
l’utopia
non
si
è spenta,
né
in
religione,
né
in
politica,
è perché essa
risponde
a
un
bisogno
profondamente
radicato nell’uomo.
Vi
è
nella
coscienza
dell’uomo
un’inquietudine
che
nessuna
riforma
e
nessun benessere
materiale
potranno
mai
placare.
La
storia
dell’utopia
è perciò
la
storia
di
una
sempre
delusa speranza,
ma
di
una
speranza
tenace.
Nessuna
critica
razionale
può
sradicarla,
ed
è importante
saperla riconoscere anche sotto connotati diversi» (APC).
Silone dirigente socialista nel dopoguerra
319
Successo in italia
La
consacrazione
di
Silone
in patria,
ancorché
tardiva,
giunge
con
il
1968,
quando esce
L'avventura
di
un
povero
cristiano,
il
suo
ultimo
libro pubblicato
in
vita.
Vi
si
reinterpreta
la
vicenda
di Celestino
V,
il
papa
del
"gran
rifiuto" dantesco. Silone aveva lavorato alacremente per oltre un
anno,
tra
Sulmona,
Avezzano, L'Aquila
e
Pescasseroli
nonostante
i problemi
di
salute
(fu
ricoverato anche in ospedale).320
Il libro vince a Venezia il Super Campiello
321
La vocazione
«Di tutte le chiacchiere scritte sul cosiddetto “impegno”
degli
artisti che cosa rimane? Il solo “impegno”
degno di rispetto è quello
che
risponde
a
una
vocazione
personale…Considero
sciocco
misurare
la
modernità
di
uno
scrittore
dagli espedienti tecnici di cui si serve. ..Con ripugnanza…giudico
la
moda per le descrizioni erotiche a cui si dedicano, assieme a molti
mestieranti
attirati
dal
cattivo
gusto
del
pubblico,
anche
scrittori
di
talento.
A
mio
avviso
non
c’è
nulla
di
più falso
che
giustificare
la
commercializzazione
letteraria
dell’erotismo in nome della libertà, pur essendo persuaso che essa
non
possa
essere
efficacemente
combattuta
dalla
censura o da altri espedienti burocratici, ma dal disgusto che nasce da un senso serio e profondo della vita» (VP).
323
Arte e vita
Il
corpo
di
Silone
è
stato
cremato
e
sepolto
a
Pescina, come
aveva
desiderato:
«Mi
piacerebbe
di
essere
sepolto così,
ai
piedi
del
vecchio
campanile
di
San
Berardo,
a Pescina,
con
una
croce
di
ferro
appoggiata
al
muro
e
la vista
del
Fucino
in
lontananza».
“Nella
mia
vita
l’arte
ha avuto
una
funzione
decisiva
nel
momento
in cui
avevo
quasi
perduto
la
voglia
di
continuare
a Ignazio Silone, Zurigo, 1942
Campanile S. Berardo
324
325
Tomba di Silone a Pescina
326
Silone
Il Museo
trae origine dalla
donazione
di
Darina
al Comune,
avvenuta
il
1
maggio 2000
e
comprende,
oltre all'archivio
e
alla
biblioteca,
mobili,
oggetti personali,
premi,
cimeli,
regali
e
riconoscimenti dello
scrittore,
per
la
maggior
parte
ora
esposti al pubblico.
Pescina, casa natale Silone
Pescina, casa natale Silone
327
Silone
Lo
Studio
contiene
oggetti
che
ne
facevano
parte: archivio,
biblioteca,
quadri
di
G.
Roualt
e
M. Hunziker,
foto
dei
personaggi
cari:
Romolo,
il conterraneo
B.
Croce,
lo
storico
G.
Salvemini,
il filosofo
e
maestro
Martin
Buber,
il
giovane
amico comunista,
Lazar
Sciatzkin,
morto
suicida nella
Russia
stalinista,
menzionato
in
Uscita
di sicurezza,
il
Risorto
di
Piero Della Francesca.
Lo Studio di Silone
328
Museo Silone
Il Museo trae origine dalla donazione di Darina Laracy, vedova di Silone, al Comune di Pescina avvenuta il 1 maggio 2000 e comprende, oltre all'archivio e alla biblioteca, mobili, oggetti personali, premi, cimeli, regali e riconoscimenti dello scrittore, per la maggior parte ora esposti nel Museo.
Silone a G. Seidenfeld “Cara,
la
sola
cosa
che
io
voglio
è avere
la
salute fisica e la salute mentale per andare fino in
fondo
al
mio
destino,
per
scrivere
e
raccontare.
Proprio
non
ho
nessun’altra ambizione
e
nient’altro
mi
tiene
in
vita.
Fontamara
non è che un primo capitolo. Vorrei avere
molta
calma.
Vorrei
sfuggire
al
destino
del
professionalismo…
Vorrei
sfuggire
alla propaganda
e
all’agitazione,
cose
utili,
ma
c’è
tanta gente che le sa fare meglio di me.329
Due o tre coseVorrei
dire
due
o
tre cose,
prima
di
morire,
che
nessun altro può dire e che il destino
mi
ha
incaricato
di
dire. Due o tre cose che ogni operaio
e
ogni
contadino e
ogni
comunista
e
ogni fascista debba pensarci su,
che
ogni
uomo
debba pensarci su».330
Quali cose?
Quali sono le due o tre cose che Silone continua a
dire a quanti si accostano a lui?
Molto dipende dalla percezione selettiva di ciascun
lettore. Proviamo, ciononostante, a individuarle:
La legittimità
di una trasgressione sociale e politica
sentita come scelta preferenziale del proprio modo di comunicare
La
trasgressione
non
può
essere
semplicisticamente
bollata
come
devianza,
derisa,
punita
dalle
istituzioni civili e religiose. Occorre comprenderne le motivazioni, i condizionamenti e gli obiettivi.
331
Quali cose? II
Il
rispetto
di
ciascun
essere
umano
secondo
il
percorso
che
segue nella vita, anche quando fosse tortuoso ed errato.
La legittimità
della lotta per il raggiungimento di fini ritenuti
giusti.
La
fedeltà
a
quella
che
ciascuno
percepisce
come
la
propria
strada,
considerata
come
una
vocazione,
senza
restringere questo
termine
a
quelle
classiche
dei
consacrati
(religiosi,
sacerdoti, suore).
La
convinzione
che,
sia
pure
per
strade
molto
diverse,
ciascuno abbia il dovere di spendere la propria vita, secondo modalità
proprie,
per
il
raggiungimento
di
una
più
giusta
e
solidale convivenza su questa terra.
332
Quali cose? III
La
convinzione
che
un
tale
impegno contribuisca
anche,
volenti
e
nolenti,
da qualunque
parte
politica
ci
si
schieri,
all’attuazione
del Regno predicato dal Cristo.
la
deritualizzazione
della
religione,
centrata essenzialmente
sulla
giustizia e sulla fratellanza
la
necessità
di
liberare
l’intelligenza
dai
vincoli
di una
preoccupazione
di
ortodossia
che
funga
da gabbia del pensiero.
333
La
laicità
essenziale
ad
una religione
che
non
voglia
ridursi
ad “oppio dei popoli”
Quali cose? IV
La
rivendicazione
di
una
fratellanza
universale
che
oltrepassi le differenti posizioni gerarchiche e religiose
La preferenza per gli ultimi
La
convinzione
che
anche
attraverso
e
grazie
al
male commesso una persona possa conquistare la sua libertà
e la sua dignità.
Un
corretto
spirito
religioso
è
l’indispensabile
alternativa al nichilismo
della cultura postmoderna
la
percezione
della
religiosità
del
lavoro
e
dei
suoi
prodotti,
espressi
simbolicamente
nel
pano
e
nel
vino, prodotti che evocano per eccellenza la fatica del lavoro e la sintonia con la natura.
334
Giustizia e solidarietà
La religiosità
è
implicita
in
ogni rapporto
interpersonale
giusto, autentico
e
solidale,
specie se orientato
agli ultimi
nella
scala
sociale.
335
Quali cose? V
Il
mistero
divino
della sofferenza e della sventura che
assimilano,
che
ne
sia
cosciente
o
meno,
ogni uomo
al
Cristo
agonizzante
e
a
Maria Desolata.
la
convinzione
che
dentro o
fuori
della
Chiesa,
Dio
Padre
offra
a
tutti
la possibilità
di
ricevere
la
Grazia, gratis data.
336
Madonna Addolorata che si venera
nella
chiesa
di
San
Domenico in Taranto
Cristo tra gli amici
La
convinzione di
una
misteriosa
presenza del
Cristo
tra
amici solidali
e
dediti
ad
un
ideale comune.
337
Cena
di
Gesù
ad
Emmaus
con due
discepoli.
Dipinto
di
Caravaggio, 1601.
Cena
di
Gesù
ad
Emmaus
con due
discepoli.
Dipinto
di
Caravaggio, 1601.