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I.De.A. Trattamento Acque nasce dall’unione tra lo Studio Associato di
Ingegneria Ambientale degli Ingg. Guido Scarano e Alessandro Scoccia (con
esperienza pluridecennale nel campo della depurazione delle acque) e la
Sintini s.r.l. (specializzata nella realizzazione di manufatti in cemento
armato vibrato e produttrice di vasche prefabbricate ormai da diversi
decenni).
La legge Ecoreati recentemente approvata introduce un ordinamento che,
a suon di pesanti sanzioni penali, dovrebbe scoraggiare tutti quelli che
(utilizzatori e fornitori di tecnologie antinquinamento) hanno finora
ritenuto che la questione della salvaguardia dell’ambiente fosse un
problema secondario rispetto ai loro interessi economici. Proprio in
considerazione delle pesanti ricadute delle nuove norme, la Sintini s.r.l. e lo
Studio Associato di Ingegneria Ambientale hanno deciso di avviare questa
collaborazione al fine di mettere a frutto le due consolidate esperienze,
coniugando quella della Sintini nella produzione di manufatti prefabbricati
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in cemento armato con la più avanzata Ingegneria italiana nel settore del
trattamento acque.
La collaborazione riguarda la produzione di impianti operanti nei seguenti
settori:
a) trattamento e riu tilizzo delle acque reflue domestiche, urbane e
industriali;
b) trattamento e recupero delle acque meteoriche di dilavamento;
c) alimentazione idrica degli impianti antincendio;
d) protezione dai rischi idrogeologici;
e) qualunque altra attività concernente la tutela e l’uso razionale
dell’acqua.
I progetti e gli impianti sono sommariamente descritti nel presente catalogo
e nelle varie sezioni del sito www.ideatrattamentoacque.it.
Una volta contattato per un problema specifico, lo Studio Associato di
Ingegneria Ambientale, senza alcun impegno da parte del Committente,
propone soluzioni tecniche progettuali e realizzative di concerto con la
struttura produttiva al fine di formulare un’adegua ta offerta economica.
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Sommario
Vasche prefabbricate in cemento armato vibrato………………………….…………….……4
Fosse biologiche con subdispersione………………………………………………………..11
Fosse settiche e fosse Imhoff……………………………………………………………..…15
Degrassatori………………………………………….…………………..………………….20
Disoleatori……………………………………………………………………………..….…23
Vasche di prima pioggia…………………………………………………………………..…30
Depuratori a filtro percolatore……………………………………………………………….36
Depuratori per centri residenziali……………………………………………………………45
Depuratori prefabbricati modulari………………………………………..…………………52
Sistema di trattamento e valorizzazione del percolato di discarica………………………….57
Presidi idraulici per sedi stradali……………………………………………………………..62
Separatore idrodinamico…………………………………………………………………….68
Trattamento degli scarichi aziendali……………………………………………………..….71
Recupero e filtrazione delle acque piovane……………………………………..…………..75
Vasche antincendio………………………………………………………………………….79
Brevetto bacino di bilanciamento idraulico e filtrazione biologica (“EBS”)……………….85
Brevetto di impianto per la rimozione sostanze oleose con bacino di accumulo per sversamenti
accidentali………………………………………………………………………………..….87
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Vasche in cemento armato vibrato
Le vasche in cemento armato vibrato di nostra produzione sono tutte monoblocco a tenuta
garantita. Le numerose volumetrie disponibili (da poche centinaia di litri fino a oltre 50 mc)
derivano dalla particolare elasticità dei nostri stampi che ci permette di produrre numerose
tipologie di cisterne sia a pianta circolare che rettangolare. Qualora si necessiti di
raggiungere maggiori volumetrie è possibile affiancare due o più vasche mediante
collegamenti stagni (predisposti nei pressi del fondo vasca) mantenendo comunque
l’ economicità e la maggiore qualità dei prefabbricati rispetto alle realizzazioni in opera.
Tale elasticità di applicazione ci permette di realizzare un numero praticamente infinito di
configurazioni per la realizzazione di impianti di depurazione, trattamento e recupero acque
(anche meteoriche).
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I materiali impiegati per le vasche prefabbricate in c.a.v.
Tutte le nostre vasche in cemento armato vibrato sono caratterizzate da un impasto di
calcestruzzo armato RcK 525, vibrato in casseri metallici ed esenti da porosità e nidi di ghiaia,
di classe di resistenza C 50/60, a contenuto minimo di cemento 400 kg/m³, con aggiunta di
additivi speciali superfluidificanti, armato con acciai elettrosaldati controllati in stabilimento
tipo B450C ad aderenza migliorata. Inoltre i manufatti sono di classe di esposizione
ambientale XA3 (ambienti chimicamente fortemente aggressivi, in base UNI 206-1)
e resistenti ai solfati (in base alla norma UNI 9156).
Le armature sono a doppia rete in acciaio ad aderenza migliorata e copriferro minimo di 2 cm.
Ciò li rende conformi alle recenti normative antisismiche e al D.M. 14.01.2008 ("Nuove
Norme Tecniche per le Costruzioni"). Il tutto per permetterci di garantirne tenuta
idraulica e resistenza strutturale massime.
Campi di impiego delle vasche in cemento
Usi assai frequenti di queste cisterne sono gli accumuli di acque meteoriche (riutilizzabili per
irrigazione o per il trattamento della prima pioggia), le alimentazioni idriche antincendio o gli
accumuli provvisori di acque reflue non ancora trattate.
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E’ possibile anche suddividere queste vasche in compartimenti stagni con setti realizzati in
cemento armato che ne garantiscono l’isolamento idraulico, setti che possiamo posizionare in
base alle più svariate esigenze tecniche (tipico è il caso delle pareti divisorie tra locali tecnici
e riserve idriche delle vasche antincendio).
Se da un lato l’utilizzo più frequente avviene per installazioni interrate, dall’altro le nostre
vasche sono posizionabili anche fuori terra ed in ogni caso sono disponibili due tipologie
standard di solai di copertura in cemento armato vibrato (pedonali o carrabili per carichi fino
a 5.000 daN/m² e oltre con chiusini sia in cemento che in ghisa di classe adeguata: B125, C250
o D400) che in altri materiali (come ad esempio in acciaio inox).
Sulle pareti esterne (come ovviamente su eventuali setti divisori interni e sui solai di
copertura) possono essere predisposte anche forature e carotaggi di diametro e posizione
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adeguate alle varie esigenze (su richiesta anche dotate di flange e manicotti in acciaio inox o
giunti in PVC).
Siamo a disposizione per un consulto gratuito per i dimensionamenti e la scelta della migliore
soluzione tecnica ed economica e offriamo inoltre assistenza tecnica in cantiere per quanto
riguarda disposizione, trasporto e posa in opera dei manufatti.
Tipologie di vasche in cemento armato vibrato di nostra produzione
Per tipologia le cisterne di nostra produzione sono sostanzialmente di due categorie: a pianta
circolare e a pianta rettangolare. Le vasche circolari presentano due diametri standard (2,5 e
1,7 m) e altezze variabili fino a 3 metri. A richiesta è possibile produrre monoblocchi anche
più alti anche se nella tabella sottostante sono riportate per brevità solamente le altezze da
2,50 m.
Nella successiva tabella ci sono invece i vari modelli disponibili di vasche rettangolari: anche
in questi casi le altezze sono variabili e riportiamo solamente le misure “standard” (sono
disponibili anche con pareti di altezze maggiorate in base all’esigenza, come si evince dalle
note).
In conclusione, le nostre vasche sono utilizzabili per accumuli di acque “pulite”, di acque
meteoriche (per irrigazione e/o lavaggi), di acque ad esclusivo uso antincendio, di acque reflue
stoccabili in attesa del prelievo mediante autospurgo. Ultimo ma non certo per importanza è
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l’utilizzo per la realizzazione dei nostri impianti di trattamento acque reflue, acque meteoriche
di dilavamento e sistemi di alimentazione idrica antincendio.
Per ulteriori informazioni si invita a visionare le specifiche sezioni del sito: basti qui ricordare
che in tali casi i manufatti in c.a.v. vengono attrezzati preventivamente in stabilimento e
successivamente inviati in cantiere già dotati di tutta la componentistica interna.
Alcune particolari predisposizioni a richiesta per le vasche in c.a.v.
Numerose sono le possibili predisposizioni a richiesta. Per quanto riguarda le coperture in
cemento abbiamo già accennato alle due tipologie standard. Queste generalmente sono
realizzate a parte ma per particolari esigenze è possibile prevederle "solidali" alla vasca stessa,
vale a dire possiamo realizzare un monoblocco che possiamo definire "a scatola" con perfetta
tenuta idraulica della giuntura tra il bordo superiore della vasca e il solaio sovrastante.
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Un tipico esempio di questa realizzazione è riportato nella foto sopra. Questo manufatto
inoltre presenta anche un'ulteriore importante predisposizione: una coppia di flange in acciaio
inox per il collegamento a tenuta stagna: in tal modo si evitano le delicate lavorazioni da
effettuare in cantiere per avere dei collegamenti a tenuta.
Un'alternativa alla flangia in inox sono i giunti a pressione (di cui si vede un particolare sotto):
anche questi vengono affogati nel getto, garantiscono la tenuta e l'inserimento delle tubazioni
in cantiere è semplice e veloce. Il particolare raffigurato è quello di una vasca di prima
pioggia: a destra l'ingresso e a sinistra l'uscita delle acque di seconda pioggia.
Altre dotazioni a richiesta sono i rivestimenti con resine ad uso specifico (sia interni, più
frequenti, che esterni). In base a particolari applicazioni ed esigenze infatti è possibile stendere
degli strati di materiale appositamente studiato: tipici esempi sono le vasche per lo stoccaggio
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di acque ad uso potabile o di acque contenenti sostanze particolarmente aggressive o
caratterizzate da valori di pH molto alti o molto bassi. Inutile ricordare che in ogni caso non
occorrono trattamenti impermeabilizzanti per garantire la tenuta idraulica.
Altri accorgimenti possono essere presi in caso di posa con presenza di falda acquifera poco
profonda al fine di evitare che questa "spinga" verso l'alto il manufatto. In questi casi si
predispongono dei ferri di ripresa che sporgono esternamente nei pressi del fondo vasca che,
mediante una piccola gettata subito dopo la posa in cantiere, la "ancorano" al piano di posa
stesso contrastando la spinta di Archimede.
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Fosse biologiche con sub dispersione
Le fosse biologiche
Nella terminologia corrente, le fosse biologiche comprendono due categorie: le fosse
settiche tradizionali e le fosse Imhoff.
Queste due tipologie di impianto vengono applicate soprattutto nei sistemi decentralizzati
di trattamento degli scarichi di piccole utenze domestiche non allacciate alle fognatura
comunale in cui la fossa biologica viene impiegata per il pretrattamento (sedimentazione
primaria) dell’acqua di scarico a monte di un sistema di dispersione sotto la superficie del
terreno (subdispersione).
Questa tecnica è ritenuto dall’ente statunitense EPA (Insite Wastewater Treatment and
Disposal Systems, Design Manual, 1980) la pratica più affidabile per il trattamento e lo
smaltimento degli scarichi di piccole comunità isolate. La sua applicabilità agli scarichi
degli edifici mono-plurifamiliari e dei complessi edilizi (nonché del trattamento dei reflui
aziendali assimilabili ai domestici ai sensi del D.P.R. n. 227/2001) è ammessa entro un limite
di consistenza dello scarico (espresso in abitanti equivalenti) stabilito dalle norme regionali in
materia di tutela delle acque dall’inquinamento.
La subirrigazione
Come detto, la fossa biologica provvede alla sedimentazione primaria del refluo, che, una
volta privato quindi dei solidi sedimentabili, viene convogliato un una rete ramificata di
drenaggio costituita da tubi forati che disperdono il più uniformemente possibile il refluo.
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Nell'immagine sopra è raffigurata schematicamente una sezione della trincea drenante mentre
di seguito riportiamo un esempio di tubazione forata impiegata in queste applicazioni.
E' chiaro come sia fondamentale il ruolo (e quindi la corretta funzionalità) della fossa settica
a monte al fine di evitare eventuali intasamenti della trincea subdisperdente. Questa consta di
una tubazione di una certa pendenza (generalmente 0,2-0,5%) la cui lunghezza totale (in tutte
le sue ramificazioni) dipende sia dagli abitanti equivalenti serviti che dalla permeabilità del
terreno. Quest'ultimo non è però sempre adatto a queste applicazioni: tipico è il caso di terreno
prettamente argilloso (non drenante) o con presenza di falda con altezza massima a meno di
un metro dalla condotta posata.
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Fosse settiche e fosse Imhoff per sedimentazione primaria
La Sintini s.r.l. produce nel proprio stabilimento di Piangipane (RA) una serie di fosse settiche
e fosse Imhoff con l’impiego delle vasche monoblocco prefabbricate in c.a.v. di sua
produzione. Le fosse Imhoff della serie sono conformi alla norma europea in materia (IS
EN 12566 - Small Wastewater Treatment Systems up to 50 PT - Part 1) e alle norme tecniche
sulla natura e consistenza degli impianti di smaltimento sul suolo e in sottosuolo di
insediamenti civili di consistenza inferiore a 50 vani o a 5000 mc (allegato 5 della delibera 4
febbraio 1977 del Comitato interministeriale per la tutela delle acque). Le fosse settiche
possono essere, a seconda delle esigenze, di tipo bicamerale o tricamerale.
Generalmente le vasche in cemento armato vibrato impiegate sono a pianta rettangolare al fine
di ottimizzare l’efficienza del sistema riducendo gli spazi morti tipici delle fosse Imhoff
realizzate con vasche a pianta circolare. Tuttavia in produzione sono disponibili anche
impianti allestiti in vasche circolari che, come evidenziato dai disegni qui riportati, riducono
gli spazi morti anche in queste cisterne.
Nei casi invece di utenze più consistenti (oltre i 40-50 abitanti equivalenti) sono impiegate le
vasche a pianta rettangolare in quanto presentano capacità maggiori rispetto alle circolari. In
questo caso le fosse Imhoff hanno un largo impiego anche negli impianti di depurazione
a fanghi attivi, dove svolgono sia la funzione di sedimentazione primaria del refluo (che
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precede il vero e proprio stadio di trattamento biologico) che quella di accumulo dei fanghi di
supero prima dello spurgo.
Nella foto sopra i particolari di alcune fosse Imhoff rettangolari completate e pronte per la
posa in opera, nel disegno sotto sono invece illustrate pianta e sezione di una Imhoff
rettangolare.
Inoltre, come del resto per tutti i nostri impianti, le vasche utilizzate sono gettate in soluzione
monoblocco e a tenuta idraulica garantita: per maggiori particolari in merito si rimanda
alla specifica sezione di questo sito.
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Fosse Settiche e Fosse Imhoff
Col termine “fosse biologiche” si intende genericamente sia le tradizionali fosse settiche che
le fosse biologiche ideate da Karl Imhof f (“Manuale per il trattamento delle acque di
scarico”, 1906); entrambe le tipologie (se utilizzate come unica fase di trattamento) trovano
ampia diffusione per le acque reflue di origine domestica.
Le fosse settiche
Tra le fosse settiche tradizionali le più diffuse sono due: la fossa settica bicamerale e
quella tricamerale (a seconda che siano suddivise in due o tre comparti). In questi impianti le
varie camere sono attraversate dal refluo che, passando da un comparto all'altro scorrendo a
gravità, “perde” gran parte dei solidi sedimentabili grazie ad un determinato tempo di
permanenza in vasca.
I fanghi così sedimentati si accumulano sul fondo subendo un processo di fermentazione
anaerobica (con formazione di gas quali metano e anidride carbonica). In questo contesto il
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sedimentato si alleggerisce risalendo in superficie e portando alla formazione delle tipiche
“croste” flottanti. Tale tipologia di fossa settica presenta un effluente ben chiarificato ma con
un’alta concentrazione residua di inquinanti disciolti non sedimentabili.
Le fosse Imhoff
Le fosse Imhoff presentano invece due compartimenti: uno superiore (comunemente detto di
“sedimentazione”) e uno inferiore (detto di “digestione”). Il canale di sedimentazione è
attraversato dal flusso del refluo e presenta nella parte inferiore una tramoggia a fondo aperto
e comunicante col sottostante vano di digestione. Mano a mano che l’acqua attraversa il canale
di sedimentazione (per uscire definitivamente dalla parte opposta) si separa dai solidi
sedimentabili che per gravità finiscono per depositarsi sulla tramoggia di fondo scivolando
successivamente nel comparto di digestione, dove subiranno una progressiva fermentazione
anaerobica.
Vantaggi della fossa Imhoff
Pertanto anche la fossa Imhoff funge da sedimentatore e da digestore anaerobico del fango:
ha però rispetto alle fosse bicamerali o tricamerali il vantaggio (come illustrato in figura) che
sia le bolle di gas generate in fase di fermentazione che la crosta non risalgono sulla superficie
del canale di sedimentazione e quindi non interferiscono con la corretta funzionalità di
quest’ultimo.
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Nella foto seguente sono ben visibili le due tubazioni che attraversano la tramoggia del canale
di sedimentazione. Queste vengono inserite in quanto permettono contemporaneamente sia
l'esalazione dei gas prodotti dalla fermentazione anaerobica che l'accesso alla manichetta
dell'autospurgo per il prelievo dei fanghi accumulati sul fondo del comparto di digestione
(oltre che delle croste galleggianti tipiche di un impianto del genere).
Le nostre fosse Imhoff monoblocco arrivano a trattare reflui derivanti da utenze di entità fino
a circa 200 abitanti equivalenti ma, suddividendo il flusso in due linee parallele mediante un
pozzetto di ripartizione posizionato a monte, è possibile servire utenze ben più consistenti.
Le fosse Imhoff vengono inoltre utilizzate negli impianti di trattamento acque per l'accumulo
dei fanghi di supero prodotti negli stadi biologici (denitrificazione e ossidazione). In questi
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casi le fosse Imhoff fungono anche da "sedimentatore primario", vale a dire per un primo
stadio di trattamento che precede il comparto a fanghi attivi (sia esso a biomassa adesa, come
nei filtri percolatori, che a biomassa sospesa). Si rimanda comunque alle specifiche pagine per
ulteriori dettagli in merito.
Normative sull'applicazione della fossa Imhoff
Le normative regionali solitamente impongono l’applicazione di una fossa Imhoff o di
una fossa setticatradizionale per piccole utenze (in genere al di sotto dei 50 abitanti
equivalenti).
Infatti la legislazione nazionale di riferimento (D.Lgs. n° 152/2006) impone che gli scarichi
di acque reflue domestiche (e assimilabili) recapitati in fognatura devono ottemperare ai
regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato, i quali solitamente richiedono
l’adozione di una fossa settica o una di fossa Imhoff prima dello scarico nella condotta
fognaria.
In caso in cui non sia possibile il recapito in fognatura il D.Lgs. n° 152/2006 prescrive invece
il trattamento delle acque di scarico con sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati
adeguati individuati dalle Regioni. Un caso tipico è quello della subdispersione nel terreno
preceduta da una fossa settica, generalmente possibile per utenze non troppo elevate
(tipicamente non oltre i 50 abitanti equivalenti).
Come già accennato e come avviene per tutti i nostri impianti, le nostre fosse
settiche (bicamerali,tricamerali o Imhoff ) sono costruite mediante l’uso di
vasche monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato, a tenuta idraulica garantita.
Lo Studio Associato di Ingegneria Ambientale è a disposizione per una consulenza gratuita
sia per la scelta e il dimensionamento della fossa Imhoff o della fossa settica che per il corretto
calcolo degli abitanti equivalenti nei casi di reflui non civili. Si noti come questo secondo
aspetto risulta tutt'altro che trascurabile al fine di un corretto dimensionamento degli impianti
di trattamento acque ed è una fase fondamentale che influenza l'intero processo progettuale.
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Modelli di fosse Imhoff di nostra produzione
Nella tabella sotto sono riassunti i modelli “base” di fosse Imhoff di nostra produzione.
Modelli di fosse settiche di nostra produzione
Nella seguente tabella invece sono riassunti i modelli di fosse settiche tricamerali.
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Degrassatori
Cos'è un degrassatore
I “degrassatori” o separatori di grassi sono impianti che ricadono nella categoria dei
cosiddetti "trattamenti primari" (o pre-trattamenti) che si adottano per scarichi con presenza
di sostanze leggere (in genere grassi e olii di origine animale e/o vegetale), come prescritto
dalle norme UNI-EN 1825-1 (riguardo la loro progettazione e realizzazione) e UNI-EN 1825-
2 (riguardo la scelta delle cosiddette “dimensioni nominali”, l'uso e la manutenzione).
Nella foto sopra è raffigurato un tipico degrassatore con ben visibili le tipiche paratie in
acciaio inox.
Campi di applicazione dei degrassatori
E' stessa UNI-EN 1825-2 ad indicare i casi in cui applicare i degrassatori, vale a dire sia agli
scarichi domestici (per le acque di normali cucine casalinghe) che quelli derivanti da altre
attività (quali ad esempio le cucine di mense, alberghi, ristoranti, attività industriali di
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produzione di alimenti, mattatoi, pescherie e altri speciali impianti quali raffinerie di oli
e grassi o saponifici). E’ bene ricordare che, come già accennato, spesso il degrassatore
provvede al semplice trattamento “primario” poiché nella maggior parte dei casi i limiti di
emissione imposti comportano necessariamente ulteriori trattamenti prima dell’immissione
nel corpo recettore finale.
Dimensionamento di un degrassatore
La nostra produzione di degrassatori è caratterizzata quindi dalla dimensione nominale (o
“nominal size” NS, come specificato nella UNI-EN 1825-1), che non è altro che un numero
adimensionale che esprime la portata massima di trattamento (in l/s) dell’impianto: per la
scelta di questa “taglia” lo Studio Associato di Ingegneria Ambientale è a disposizione per un
consulto gratuito anche per il calcolo della dimensione nominale secondo la procedura
indicata dalla normativa.
Principio di funzionamento dei degrassatori
Nello schema semplificato che si riporta di seguito è illustrato il funzionamento del
degrassatore. Come si vede l'impianto è suddiviso in due comparti distinti: il primo (detto
anche "sifone per fanghi") provvede alla rimozione delle sostanze sedimentabili (fanghiglia,
sabbie) mentre il secondo è il vero e proprio comparto che trattiene gli olii e i grassi, che
tendono ad accumularsi in superficie.
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Tutti i nostri degrassatori sono realizzati con vasche prefabbricate in cemento armato vibrato
a getto in soluzione monoblocco a tenuta idraulica e resistenza strutturale garantite, oltre a
seguire le già citate normative.
Modelli di degrassatore disponibili
Riportiamo nella tabella sottostante i modelli "di serie" di nostra produzione.
In ogni caso, oltre a quelli qui elencati è possibile realizzare separatori di grassi anche più
grandi e costruiti e dimensionati per applicazioni particolari.
Prestazioni del degrassatore
Un degrassatore, se ben dimensionato e correttamente allestito seguendo le normative, è in
grado di ridurre (compatibilmente con le portate massime ammissibili, vale a dire in "Nominal
size" di cui si è accennato in precedenza) le concentrazioni di grassi e olii di origine vegetale
e animale al di sotto dei 25 mg/l.
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Disoleatori
Disoleatori progettati e realizzati secondo le norme UNI-
EN 858-1 e 858-2.
I nostri impianti di separazione dei liquidi leggeri, comunemente detti disoleatori, sono
realizzati secondo le norme UNI-EN 858-1,2. Solitamente è prevista l’installazione dei
disoleatori ove sia necessario separare i liquidi leggeri (tipicamente petrolio, idrocarburi,
benzine, olii sintetici) da alcuni tipi di acque di scarico, come ad esempio le acque di lavaggio
di mezzi meccanici o le acque meteoriche di dilavamento di superfici quali parcheggi (come
per le acque di “prima pioggia”) e strade.
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Funzionamento di un disoleatore
I disoleatori provvedono a separare e intrappolare sia le sostanze solide sedimentabili che i
liquidi leggeri non emulsionati con densità inferiore a 0,85 g/cm³ e sono contraddistinti dalla
cosiddetta dimensione nominale (o “nominal size”, NS) come specificato dalla UNI-EN 858-
1: è questo un numero adimensionale che esprime la portata massima ammessa in ingresso
all’impianto (in l/s).
La nostra gamma di disoleatori prevede varie “taglie” di impianti, ognuno realizzato
allestendo una o più vasche monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato. Queste
cisterne sono suddivise in due comparti: unsedimentatore dapprima favorisce la decantazione
delle sostanze più pesanti (pietrisco, fanghi, sabbia, ecc...) mentre il contiguo “separatore”
provvede alla separazione e all’accumulo dei liquidi leggeri (olii minerali, idrocarburi,
petrolio, benzine, ecc...).
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In corrispondenza dell'uscita dal secondo comparto (che costituisce il vero e proprio stadio
di disoleazione) è presente un filtro a coalescenza che, venendo giocoforza attraversato dal
flusso, provvede a trattenere le particelle di olio più piccole che sono trascinate dalla corrente
(mentre le goccioline più grandi tendono a galleggiare autonomamente in direzione della
superficie di pelo libero). Il filtro a coalescenza è confinato in uno scatolare in acciaio inox
che è facilmente estraibile per essere ripulito in fase di manutenzione ordinaria del disoleatore
(generalmente con acqua in pressione). Nella foto sotto è raffigurato la scatolare contenente il
filtro con ben evidenti le slitte di estrazione dello stesso.
E' presente poi un vano di accumulo dei liquidi leggeri. Qui vengono travasati gli olii e
idrocarburi trattenuti nel comparto di disoleazione mediante l'apertura di una valvola manuale
(in casi specifici questa valvola può essere anche ad apertura automatica) che va richiusa una
volta che si è completato il travaso. Una volta pieno è da questo comparto che vengono
prelevati gli olii e idrocarburi leggeri dall'autospurgo.
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Tutte le vasche impiegate sono realizzate a getto in soluzione monoblocco di cemento armato
vibrato con lavorazione finalizzata a garantire una perfetta tenuta idraulica e resistenza
strutturale dei manufatti.
Gamma di disoleatori disponibili
Tutti i disoleatori "di serie" sono separatori di classe І (“separatori a coalescenza”),
caratterizzati ognuno dalla propria dimensione nominale secondo la norma UNI-EN 858-1e
sono elencati nella tabella sottostante insieme alle proprie dimensioni di ingombro.
Nell'ultima colonna sono riportate invece le superfici scolanti (impermeabilizzate) cui il
relativo disoleatore può essere messo a servizio nel caso in cui si effettui il trattamento della
totalità delle acque piovane che cadono sulla superficie stessa in luogo di un classico impianto
di prima pioggia. Si tratta di una pratica frequente (ma non sempre concessa dalle autorità di
rilascio delle autorizzazioni allo scarico) per superfici di esigua estensione: in questi casi
l'applicazione di un disoleatore risulta infatti più vantaggiosa sia da un punto di vista pratico
che economico: di solito ciò avviene per superfici di metratura non superiore ai 1000-1500
mq circa. Si tratta invece di un'applicazione indispensabile nei casi in cui si debba fare un
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impianto di prima pioggia isolato e non servito dalla fornitura di energia elettrica di rete (come
ad esempio per le strade extraurbane) in quanto mentre questi impianti constano di
apparecchiature elettromeccaniche (quadro elettrico, sonda di rilevamento pioggia e pompa/e
di svuotamento) un disoleatore presenta un semplice funzionamento "a gravità".
Disoleatori "su misura"
Oltre ai disoleatori a coalescenza "standard" riportati nella tabella è possibile inoltre avere
una stima gratuita (sia progettuale che economica) per disoleatori con portate di trattamento
superiori (fino a 250 l/s e oltre), che possono essere sia dei separatori a coalescenza come i
precedenti che dei disoleatori apacchi lamellari (che consentono l'impiego di minori
volumetrie in vasca). E' questo il caso tipico deipresidi idraulici per sedi stradali, per i quali si
rimanda alla specifica sezione per maggiori particolari.
Nella foto sopra un esempio di pacco lamellare installato in una vasca di disoleazione per alte
portate di trattamento.
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Valvola a galleggiante opzionale per disoleatori
A richiesta (e a seconda della specifica applicazione) è possibile prevedere anche una valvola
di chiusura automatica a galleggiante (realizzata con uno scatolare in acciaio inox) che
impedisce l’ingresso nel vano di separazione dei liquidi leggeri una volta raggiunto uno strato
massimo di olii e idrocarburi leggeri.
Campi di impiego dei disoleatori
In generale un disoleatore è indispensabile nei casi di reflui con un certo contenuto di olii e
idrocarburi leggeri (purché non emulsionati): come già più volte accennato il caso più
frequente è quello delle acque di dilavamento di superfici di sosta o transito di veicoli
motorizzati (sia meteoriche che derivanti da lavaggi manuali). Lo Studio Associato di
Ingegneria Ambientale di I.De.A. Trattamento Acque è a disposizione per stabilire la corretta
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dimensione nominale del disoleatore per ogni specifico caso ed utilizzo secondo le direttive
della normativa ed è a disposizione per un consulto gratuito finalizzato al dimensionamento
per ogni applicazione specifica al fine di poter formulare all'utente un'adeguata soluzione
progettuale ed economica.
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Vasche di prima pioggia
La nostra gamma di produzione di impianti di prima pioggia è realizzata mediante vasche
monoblocco prefabbricatein cemento armato vibrato allestite in base alle progettazioni dello
Studio Associato di Ingegneria Ambientale. Solitamente le vasche vengono interrate e dotate
di solai di copertura carrabili con chiusini d’ispezione in ghisa di classe adeguata o in cemento.
Poiché trattasi di cisterne monoblocco, forniscono sia una perfetta tenuta idraulica e che la
resistenza strutturale necessaria.
Cosa sono le acque di prima pioggia
Le acque di prima pioggia sono una particolare tipologia di acque meteoriche di
dilavamento e sono disciplinate dall’art. 113 della parte terza del D.Lgs. n. 152/2006: questo
rimanda ad emanazioni regionali, le quali devono indicare gli opportuni trattamenti da
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adottare. Non è questa la sede per approfondire l’argomento: i nostri progettisti sono a
disposizione per un consulto gratuito in merito. Basta qui ricordare che solitamente le norme
regionali indicano come limiti di emissione quelli previsti per le acque reflue industriali per
le acque di prima pioggia inquinate dal dilavamento delle superfici genericamente dedicate ad
attività produttive.
Tutti i nostri impianti di prima pioggia sono pertanto attrezzati al fine di ottemperare a questi
principi.
Tipologie di impianti di prima pioggia
Gli impianti con “svuotamento programmato” sono composti da uno o più bacini di accumulo
della prima pioggia equipaggiati con una o più pompe di svuotamento comandate da
un quadro elettrico programmabile che avvia automaticamente lo svuotamento in base alla
programmazione stessa. L’accumulo delle acque di prima pioggia ha una capacità tale da
contenere appunto tutte le acque meteoriche di prima pioggia (solitamente i primi 5 mm) che
precipitano sulla superficie scolante interessata. Generalmente a monte dell'accumulo è
installato un “pozzetto scolmatore”, collegato alla condotta di drenaggio principale di
ingresso, alla condotta di scarico della cosiddetta "seconda pioggia" e alla tubazione di innesto
al bacino di accumulo della prima pioggia. Il tutto è completato da una “sonda rivelatrice di
pioggia” collegata al quadro elettrico di controllo.
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L’operazione di separazione della prima dalla seconda pioggia viene operata in questo
pozzetto mediante uno stramazzo o installando una valvola di chiusura automatica a
galleggiante all’imbocco della vasca di accumulo.
Per superfici piccole e/o poco inquinate l’unità di trattamento delle acque di prima pioggia
(generalmente un disoleatore) viene ricavata e all’interno della stessa vasca monoblocco che
ospita il bacino di accumulo della prima pioggia. In questo caso si può prescindere dall'utilizzo
del pozzetto separatore e dal quadro elettrico di controllo: questa tipologia di impianti di prima
pioggia è detta a “svuotamento in continuo”, in quanto questa operazione è effettuata dalla
pompa di rilancio con il semplice consenso fornito dal galleggiante di livello. Il comparto di
accumulo della prima pioggia va equipaggiato con una valvola di chiusura meccanica a
galleggiante collegata allo scarico della seconda pioggia o ad un carter di scolmatura in acciaio
inossidabile. Gli impianti a svuotamento programmato trattano anche una certa quantità
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(anche se esigua) delle acque di seconda pioggia ma sono caratterizzati da costi minori rispetto
a quelli a svuotamento programmato.
Trattamento della prima pioggia
In generale il trattamento cui sottoporre le acque di prima pioggia dipende dalle varie
situazioni e dalla natura degli inquinanti dilavati. Nel caso (che nella pratica risulta essere il
più frequente) di strade di transito veicolare e/o parcheggi le vasche di prima pioggia vanno
abbinate ad un disoleatore o separatore di liquidi leggeri (olii e idrocarburi). Quelli da noi
adottati sono sempre di classe I ("disoleatori a coalescenza"), dimensionati in base alla norma
UNI EN 858-1,2, realizzati con l’impiego di vasche monoblocco prefabbricate in cemento
armato vibrato ed equipaggiati con un filtro a coalescenza.
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Per superfici caratterizzate da contaminanti particolari si potrebbe prospettare la necessità di
trattamenti differenti delle acque di prima pioggia (come ad esempio i trattamenti chimico-
fisici): non è questa la sede per scendere in ulteriori particolari, i nostri progettisti sono a
disposizione per un consulto gratuito in merito alle varie problematiche.
Tipologie di vasche di prima pioggia
In generale i nostri impianti di prima pioggia si suddividono in due tipologie:
1) con disoleatore incorporato (o impianti “compatti”): si tratta di impianti realizzati con
un’unica vasca monoblocco all’interno della quale è ricavato il vano di disoleazione
2) con pozzetto scolmatore: impianti caratterizzati da una configurazione “tradizionale”,
realizzati con pozzetto scolmatore in testa, vasca monoblocco di accumulo della prima pioggia
e disoleatore separato
Nella tabella sotto sono elencati i modelli disponibili della tipologia di impianti “compatti”.
Nella foto sotto è riportata una tipica paratia in acciaio inox per attuare la separazione della
prima pioggia dalla seconda. Sono ben evidenti sia l'ingresso delle acque meteoriche che
l'uscita della seconda pioggia.
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In questa seconda tabella sono invece riportati gli impianti con configurazione tradizionale. Il
pozzetto scolmatore è identico per tutti i modelli ed ha misure esterne 1,05 x 1,50 m in pianta
e altezza 1,10 m.
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Depuratori a filtro percolatore per piccole comunità
isolate
Il sistema basato sulla percolazione è uno dei più antichi ed affidabili nel campo del
trattamento e depurazione delle acque contenenti inquinanti biodegradabili, in primis le acque
reflue urbane di origine civile e si basa sulla tecnica della cosiddetta "depurazione biologica
a biomassa adesa".
La tecnica moderna è molto progredita in merito e da vari anni sono state introdotte numerose
innovazioni, quale ad esempio l'utilizzo di corpi di riempimento in polimeri plastici
appositamente studiati per i filtri percolatori in luogo delle pietre che venivano utilizzate fino
ad alcuni decenni fa e che si possono ancora riscontrare nei vecchi impianti ancora in
esercizio.
Nella foto sopra riportiamo un esempio di questa tipologia di letti percolatori ormai caduti in
disuso, riempito con ciottolame sul quale si viene a formare il classico film biologico. Si noti
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anche il sistema di distribuzione del refluo, realizzato con una serie di tubi forati che ruotano:
da ciò la classica forma a pianta circolare di questi impianti.
Nell'immagine sopra si riporta invece il primo piano di un tipico corpo di riempimento plastico
di nuova concezione, da cui si evince chiaramente come le superfici specifiche sviluppate
(generalmente indicate in mq/mc sulle relative schede tecniche fornite dal produttore) siano
molto maggiori rispetto alle classiche ghiaie utilizzate fino ad alcuni decenni fa. Ricordiamo
che una maggiore superficie specifica comporta una quantità maggiore di "biofilm"
sviluppabile e di conseguenza un maggior rendimento depurativo a parità di volume totale del
corpo filtrante.
Depuratore a filtro percolatore per il trattamento degli
scarichi domestici e assimilabili
L’art. 100 comma 3 della parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 dispone che per
il trattamento degli scarichi di insediamenti, installazioni o edifici isolati che
producono acque reflue domestiche (le cosiddette "acque nere") le Regioni devono
individuare sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati.
Le normative regionali hanno ottemperato negli anni a questa disposizione individuando una
serie di tecnologie adeguate per i diversi campi di utenza. Per gli scarichi di minore
consistenza (solitamente inferiori ai 50 abitanti equivalenti) il sistema comprensivo di fossa
Imhoff (per la sedimentazione primaria e, in molti casi, anche per la sedimentazione
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secondaria) e di filtro percolatore aerobico è ritenuto adeguato da tutte le norme regionali e
la sua applicazione è ormai ampiamente diffusa. Per di più che la maggior parte delle Regioni
non solo la ritengono una tecnologia "adeguata" ma addirittura "raccomandata" per
l’affidabilità di funzionamento che la caratterizza.
Un'importante caratteristica dei filtri percolatori :
l'elevata resistenza ai sovraccarichi e alle carenze di
inquinanti organici
Infatti, nello specifico impiego alla depurazione degli scarichi domestici, la tecnica della
filtrazione biologica aerobica che è alla base del trattamento mediante filtropercolazione è in
grado di assicurare buone efficienze depurative insieme ad una notevole resistenza sia ai
sovraccarichi organici (periodi di punta) che alle carenze temporanee di alimentazione in caso
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di utenze discontinue o stagionali. Per questo il filtro percolatore è particolarmente indicato
in utenze quali le strutture turistiche o gli insediamenti isolati frequentati saltuariamente.
Configurazione dei depuratori a filtro percolatore
aerobico
Nella versione di serie, il depuratore è costituito da una vasca a pianta rettangolare o circolare
suddivisa tramite setti interni in tre comparti dove vengono realizzati i seguenti componenti:
1. Sedimentatore primario: costituito da una fossa Imhoff comprensiva di canale di
sedimentazione e vano di accumulo e digestione del fango. In questa fase il refluo
perde i solidi sedimentabili che potrebbero causare l'intasamento del filtro percolatore
e nel contempo si ha un certo abbassamento delle concentrazioni di inquinanti.
2. Filtro percolatore: contenente il vero e proprio corpo filtrante, realizzato con
moduli di riempimento plastico "alla rinfusa" caratterizzati da elevate superfici
specifiche e attrezzato con pompa di ricircolo del percolato (dotata di distributore di
flusso del tipo "splash plate" o similare) e pompa di rilancio dell’acqua biofiltrata al
successivo stadio. L'aerazione del filtro avviene in modo naturale ed è agevolata dal
ricircolo della miscela operato dalla prima pompa. Qui il refluo pre-chiarificato
(contenente materiale organico disciolto e sospeso) subisce vari passaggi attraverso il
filtro, dove si forma la massa biologica che opera il disinquinamento utilizzando
l'ossigeno dell'aria.
3. Sedimentatore secondario: questo può essere di due tipi: o una fossa Imhoff analoga
a quella del sedimentatore primario o un vano dotato di pompa di spurgo del fango
sedimentato (posizionato sul fondo di una tramoggia) e di canaletta di sfioro in uscita.
Nel primo caso il fango di supero (cioè il film biologico distaccatosi dal letto
percolatore e qui immesso dalla pompa di rilancio) si accumula nel vano di digestione
di questa seconda fossa Imhoff mentre nell'altro viene unito al fango "primario" della
Imhoff in testa all'impianto.
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Negli schemi sotto sono riportate le piante delle due tipologie di applicazione. A sinistra un
impianto a pianta rettangolare con sedimentazione secondaria mediante fossa imhoff e a destra
uno a pianta circolare e sedimentatore secondario dotato di tramoggia di fondo, pompa di
prelievo dei fanghi di supero e canaletta di sfioro dell'acqua chiarificata.
A tali componenti può essere necessario inserire (in testa) un degrassatore al fine di impedire
ai grassi e olii di origine animale e vegetale di raggiungere il corpo filtrante. Questi infatti da
un lato possono essere causa di fastidiosi intasamenti del filtro biologico e dall'altro risultano
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di difficile biodegradabilità per le popolazioni batteriche che su di esso si insediano. Spesso
sono le stesse autorità che rilasciano le autorizzazioni allo scarico ad esigere la presenza del
degrassatore: in tali casi si suggerisce (ove possibile) di separare le due linee degli scarichi
(acque nere e acque di cucina) per poter trattare col degrassatore solo quelle eventualmente
contenenti i grassi prima di raccordarle con gli scarichi dei servizi igienici e immetterle nel
depuratore a letto percolatore.
I depuratori a filtro percolatore sono realizzati con l’impiego di vasche monoblocco
prefabbricate in c.a.v. prodotte e allestite dalla Sintini s.r.l. nello stabilimento di Piangipane
(RA).
Conformati e attrezzati come sopra descritto, i depuratori a filtro percolatore possono
essere impiegati per il trattamento delle acque reflue domestiche e di
quelle assimilabili alle domestiche ai sensi dell’art. 2 comma 1 del D.P.R. 227/2011
riguardante la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale.
Riportiamo di seguito la Tabella 1 dell'Allegato A al Decreto ("Limiti di emissione delle acque
reflue assimilabili alle domestiche per equivalenza qualitativa"). Quanto alle attività che il
Decreto indica come assimilabili, il relativo elenco è riportato dalla Tabella 2 dello stesso
Allegato che qui preferiamo non riportare e cui pertanto si rimanda per brevità di trattazione.
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Riguardo i rendimenti di rimozione degli inquinanti, il refluo in uscita presenta circa il 10-
15% del carico organico (in termini di BOD5) del totale che era precedentemente contenuto
nelle acque in ingresso, con un conseguente rendimento di depurazione che arriva pertanto
fino al 90% (nei casi di filtri percolatori a "basso carico").
Filtri percolatori anaerobici
Oltre alle versioni a filtro percolatore aerobico sono disponibili anche quelle a filtro
percolatore anaerobico (sommerso) che, seppur presentando delle problematiche rispetto ai
primi (come ad esempio la possibilità di insorgenza di odori sgradevoli) hanno il vantaggio di
non impiegare energia elettrica in quanto il loro funzionamento avviene a gravità e per tale
motivo risultano una scelta obbligata in casi particolari quali ad esempio l'impossibilità di
avere un accesso economicamente conveniente alla rete elettrica. Nella foto seguente un primo
piano del comparto di percolazione anaerobica di un impianto di questo tipo.
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Generalmente la configurazione è quella con doppia fossa Imhoff (per la sedimentazione
primaria e secondaria) intervallata da un vano (o una vasca appositamente dedicata)
contenente il solo letto percolatore. Si precisa che in questo caso il volume totale del corpo
filtrante deve essere maggiore rispetto a quello di un filtro percolatore con ricircolo (a parità
di abitanti equivalenti serviti) in quanto il refluo, poiché defluisce a gravità, compie un solo
"passaggio" attraverso il corpo filtrante stesso.
La nostra produzione di serie di filtri percolatori aerobici
La nostra produzione di serie copre un campo di utenza fino a 50 abitanti equivalenti ma per
eventuali utenze di maggiore entità lo Studio Associato di Ingegneria Ambientale di I.De.A.
Trattamento Acque progetta dei filtri percolatori “su misura” al fine di andare incontro alle
eventuali esigenze della committenza. A tale scopo i progettisti dello Studio sono a
disposizione per un consulto gratuito al fine di poter individuare la soluzione più adatta sia
dal punto di vista progettuale che economico.
Nella tabella sottostante sono riportati i modelli di base con i relativi ingombri.
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Come già accennato sopra e alla stregua di ogni altro nostro impianto, anche i filtri percolatori
(siano essi aerobiciche anaerobici) sono realizzati mediante l'impiego di vasche in cemento
armato vibrato a tenuta idraulica e resistenza strutturale garantita.
Conclusioni e vantaggi dei filtri percolatori
Pertanto, visto quanto detto in precedenza, alla luce delle vigenti normative in materia e delle
caratteristiche costruttive e funzionali dei filtri percolatori , si può affermare che questi sono
particolarmente indicati per il trattamento delle acque reflue domestiche e
assimilate prodotte da insediamenti di potenzialità non superiore ai 50 abitanti equivalenti.
Inoltre, visto che solitamente le vasche con impiegate sono interrate, ne risulta un impatto
paesaggistico minimo. A ciò si aggiunge una semplicità di manutenzione unica non
riscontrabile, ad esempio, nei classici impianti a fanghi attivi: infatti le uniche operazioni di
manutenzione ordinaria si riducono al solo spurgo del fango di supero (la cui produzione
risulta tra l'altro più modesta rispetto al trattamento a fanghi attivi per utenze analoghe). Se
ben progettati e dimensionati, i filtri percolatori sono in grado trattare le acque di scarico
con affidabilità ed efficienza.
Se confrontati alla fitodepurazione invece richiedono un impegno di area molto minore.
Quanto al risparmio energetico, se confrontati ad un impianto a biomassa sospesa (fanghi
attivi) di pari potenzialità i letti percolatori comportano un consumo energetico minore. Ad
esempio un filtro percolatore per 40 abitanti equivalenti per la maggior parte del tempo di
esercizio è caratterizzato dal funzionamento della sola pompa di ricircolo (0,37 kW) mentre
l'equivalente a fanghi attivi prevede il funzionamento continuo di un compressore d'aria (per
l'ossigenazione della miscela) di circa 1 kW. A ciò si affiancano una maggiore automaticità
di processo e un migliore adattamento alle discontinuità di esercizio.
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Depuratori per centri residenziali
Applicazione dei depuratori per acque reflue urbane
L’ingegneria di base dei depuratori qui descritti è nata nel 1995 quando sono stati realizzati
i depuratori delle acque di scarico dei campi base lungo la tratta ad alta velocità Firenze-
Bologna. L’innovazione apportata da queste installazioni deriva dall’impiego delle vasche
monoblocco prefabbricate in c.a.v. per la realizzazioni di depuratori fino a una certa
consistenza (500-600 abitanti) e dall'applicazione del processo nitro-denitro praticato per la
prima volta in Italia e raffigurato schematicamente sotto.
Si premette fin da subito che per utenze di minore consistenza (tipicamente fino a 50 abitanti
equivalenti) possono essere impiegati per la depurazione di insediamenti isolati quali case e
ville ma per tali casi si ritengono più appropriati i depuratori biologici a filtro
percolatore ("biomassa adesa") descritti nella relativa pagina del nostro
sito. Analogamente gli impianti descritti qui possono essere impiegati nei casi di acque reflue
di origine industriale totalmente o in parte biodegradabili (come ad esempio cantine, caseifici,
salumifici, conservifici, mattatoi, allevamenti zootecnici, ecc.) per i quali, però riteniamo più
validi dei sistemi specifici descritti nella pagina riguardante gli scarichi aziendali. Un caso
particolare è quello degli scarichi dei ristoranti: per questi vanno fatte una serie di valutazioni
riguardo la consistenza (qualitativa e quantitativa) e l'eventuale stagionalità al fine di
individuare la soluzione più adeguata, che a seconda della specifica situazione può essere un
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classico trattamento a fanghi attivi, a biomassa adesa con filtro percolatore aerobico (o, più
raramente anaerobico) o un sistema integrato del tipo EBS.
Una particolare categoria di impianti a fanghi attivi costituisce i cosiddetti impianti a schema
"contatto-stabilizzazione", per i quali cui si rimanda alla specifica pagina di questo sito e che
vengono invece proposti per utenze più numerose (da circa 1000-2000 abitanti equivalenti e
oltre).
Applicazione dei depuratori a fanghi attivi
I depuratori a fanghi attivi descritti di seguito sono impiegati prevalentemente per
il trattamento delle acque reflue domestiche (le cosiddette "acque nere") e acque di scarico
assimilabili alle domestiche in base all’art. 101 comma 7 della Parte terza del D.Lgs. 152/2006
(la normativa nazionale in materia di tutela delle acque dall’inquinamento), e dell’art. 2
comma 1 del D.P.R. 227/2011 (semplificazione di adempimenti amministrativi in materia
ambientale).
Secondo quest’ultimo decreto, sono assimilabili alle domestiche le acque reflue che
presentano caratteristiche qualitative e quantitative di cui alla tabella 1 dell’allegato A al
decreto (che omettiamo per brevità e a cui rimandiamo per un'approfondimento ulteriore),
le acque reflue prodotte da attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui scarichi
provengano soltanto dai servizi igienici, dalle cucine e dalle mense e le acque reflue
provenienti dalle attività elencate nella tabella 2 dell’allegato A al decreto (che omettiamo per
le stesse ragioni).
Composizione e modularità dei Depuratori per acque
reflue domestiche di centri residenziali
Questi depuratori per acque nere dei centri residenziali sono in genere composti da un modulo
base, costituito dai bacini di ossidazione biologica e di sedimentazione secondaria, abbinato
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a un bacino di digestione anaerobica e ispessimento del fango biologico di supero (schema
semplificato) oppure a un bacino di bilanciamento idraulico e ad una fossa Imhoff operante
da sedimentatore primario e da digestore-ispessitore del fango di supero (schema
tradizionale).
L’aggiunta di ulteriori moduli (come ad es. un bacino di denitrificazione per la rimozione
dei composti azotati) e/o componenti impiantistici (ad es. un modulo di ultrafiltrazione,
un'unità di disinfezione mediante clorazione o trattamento a raggi UV, un pozzetto di
grigliatura, ecc) permettono di realizzare tutte le possibili varianti allo schema classico
a fanghi attivi fra cui in particolare gli schemi nitro-denitro, SBR, contatto-stabilizzazione,
MBR.
Riportiamo di seguito due di questi schemi (semplificato e tradizionale).
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Impianto biologico a fanghi attivi a schema semplificato con stazione di sollevamento e
pozzetto di clorazione
Impianto biologico a fanghi attivi a schema tradizionale dotato di bacino di bilanciamento
idraulico e disinfezione mediante clorazione
Depuratori per acque reflue domestiche con vasche
prefabbricate
Tutti i nostri depuratori sono realizzati con l’impiego delle vasche monoblocco
prefabbricate in c.a.v. prodotte dalla Sintini s.r.l. nello stabilimento di Piangipane (RA). Le
vasche vengono completamente allestite presso lo stesso stabilimento di produzione da cui
vengono poi trasportate in cantiere. Qui deve essere preventivamente eseguito lo scavo a
misura e predisposto il piano di posa.
Nella foto sotto un depuratore posato con le relative solette di copertura in cemento
posizionate.
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Una volta posate le vasche a mezzo di una gru adeguata, non resta che eseguire i collegamenti
idraulici ed elettrici, nonché la copertura e il rinterro delle vasche. Nella foto sotto è raffigurato
un tipico quadro elettrico di controllo per tutte le apparecchiature elettromeccaniche di un
impianto di depurazione (pompe sommerse, compressori, ecc).
A richiesta sono anche disponibili locali tecnici in cemento per l'alloggiamento del quadro
stesso e della componentistica elettromeccanica esterna (ad esempio le soffianti e le pompe
dosatrici del cloro con il relativo contenitore del liquido da iniettare): nell'immagine seguente
un particolare locale rivestito in pietra.
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Tempi di installazione di depuratore a fanghi attivi
Un depuratore biologico realizzato con vasche prefabbricate ha l’importante peculiarità di
poter essere installato impiegando pochi giorni di lavoro nel cantiere di destinazione. Questo
è dovuto sia al fatto che le vasche sono realizzate in stabilimento (non occorre quindi
l’impiego di manovalanza e i lunghi tempi di realizzazione richiesti per gli impianti realizzati
in opera) che al fatto che tutta la componentistica viene pre-assemblata dal produttore prima
della consegna dell’impianto di depurazione stesso. Ad esempio nella foto sotto il particolare
di un circuito di ossidazione del refluo già montato in vasca prima della spedizione realizzato
con diffusori tubolari.
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Tutto ciò comporta notevoli risparmi economici e di tempo per il committente finale in
quanto in cantiere dovranno essere effettuati soltanto i collegamenti esterni ai manufatti in
cemento.
Prestazioni dei depuratori a fanghi attivi
Per quanto riguarda i rendimenti di rimozione delle sostanze inquinanti si stima che il
rendimento di rimozione minimo del BOD5 sia dell'ordine del 97% mentre (per i depuratori a
schema nitro-denitro) il rendimento di rimozione delle sostanze azotate è circa il 75-80%. A
titolo di esempio si riporta sotto un estratto di un rapporto di prova effettuato su un refluo in
uscita da uno di questi impianti.
Analisi acque depurate in uscita da un impianto a fanghi attivi
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Depuratori prefrabbricati modulari
I depuratori prefabbricati modulari sono dei particolari impianti a fanghi attivi progettati
dallo Studio Associato di Ingegneria Ambientale specificatamente per il trattamento delle
acque di fognatura prodotte da piccoli comuni, frazioni comunali e grossi centri
residenziali.
Questi depuratori sono realizzati con l’impiego dellevasche monoblocco prefabbricate in
c.a.v. prodotte dalla Sintini s.r.l. nello stabilimento di Piangipane (RA). Gli impianti sono
articolati in una o più linee di trattamento ciascuna delle quali è dimensionata per una utenza
di 1000-2000 abitanti ed è composta essenzialmente da un bacino di bilanciamento idraulico
e filtrazione biologica (o "EBS", brevettato dallo Studio di Progettazione), un complesso
biologico a fanghi attivi a schema "contatto-stabilizzazione" ed
un sedimentatore lamellare. Questi componenti hanno in comune la peculiarità di richiedere
volumi di impianto drasticamente inferiori a quelli dei sistemi tradizionali a fanghi attivi di
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pari potenzialità (cui si rimanda alla specifica sezione) per cui rispetto a questi ultimi il nostro
depuratore impegna un volume 3 - 4 volte inferiore, con conseguente riduzione anche dei costi
di realizzazione.
A questi componenti di base possono essere aggiunte all'occorrenza altre componenti, quali
ad esempio un pretrattamento di grigliatura, dissabbiatura, disoleazione, una fase di
disinfezione (mediante clorazione o con trattamento UV) e una linea di trattamento fanghi
(stabilizzazione e disidratazione). In commercio sono disponibili anche stazioni "compatte"
di pretrattamento di facile gestione e installazione: ne riportiamo una in foto sotto.
Quanto al trattamento dei fanghi di supero, dopo uno stadio di maturazione aerobica in vasca
è possibile adottare sul posto macchinari specifici quali le stazioni di filtraggio a sacchi
drenanti o con filtropressa (riportiamo di seguito due esempi fotografici).
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Vantaggi dei depuratori a fanghi attivi prefabbricati
modulari
Il depuratore prefabbricato qui descritto è caratterizzato da diversi elementi di innovazione sia
dal punto di vista costruttivo che funzionale.
Il bacino di bilanciamento idraulico e filtrazione biologica, il complesso biologico a fanghi
attivi a schema "contatto-stabilizzazione" e il sedimentatore a pacchi lamellari hanno in
comune la richiesta di volumi di impianto molto inferiori rispetto a quelli dei sistemi
tradizionali a fanghi attivi a servizio delle stesse utenze: infatti approssimativamente il
depuratore richiede un volume circa 3 - 4 minore.
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Oltre ad una minore occupazione di area, questa peculiarità consente l’adozione delle vasche
monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato in luogo delle classiche vasche
realizzate in opera. Da ciò ne derivano rilevanti economie di tempi e costi di costruzione oltre
che una semplificazione dovuta al fatto che le componenti elettromeccaniche
vengono preinstallate presso il nostro stabilimento.
Oltre al già citato vantaggio di una minore occupazione di area, questa peculiarità consente
l’impiego di vasche prefabbricate per taglie di impianto altrimenti inaccessibili a tale
tecnologia.
Rispetto alla costruzione in opera delle vasche, l’impiego dei manufatti prefabbricati
comporta rilevanti economie sia nei tempi di realizzazione che nei costi di costruzione
anche perché tutti i componenti dell’impianto vengono preinstallati presso lo stesso
stabilimento di produzione delle vasche stesse.
In genere l’installazione di un singolo modulo richiede pochi giorni di lavoro a partire dallo
scavo per finire col rinterro finale.
Prestazioni dei depuratori a fanghi attivi prefabbricati
modulari
I depuratori a fanghi attivi di questa tipologia operano tramite due stadi biologici di diversa
natura (biofiltrazione e fanghi attivi) per cui si determina la formazione di una popolazione
diversificata di microrganismi (del tipo rispettivamente a “biomassa adesa” e “biomassa
sospesa”) capace di biodegradare con elevata efficienza un largo spettro di sostanze inquinanti
e dotata inoltre di una alta resistenza ai sovraccarichi organici e alla eventuale presenza di
agenti tossici nelle acque.
Inoltre, il fango prodotto dallo stadio EBS di biofiltrazione, già di per sé in quantità basse,
viene successivamente degradato nei successivi stadi a fanghi attivi a schema contatto-
stabilizzazione che risulta particolarmente adatto a tale funzione. Tutto questo si traduce in
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una maggiore efficienza e affidabilità di funzionamento, in minori costi di gestione (per la
bassa produzione del fango di supero).
Il depuratore è in grado di trattare le acque di scarico prodotte da un agglomerato urbano
rimuovendo oltre il 90% del carico organico e dei solidi sospesi e una cospicua frazione
dell’azoto ammoniacale (circa il 70-80%). Quest'ultimo viene in parte strippato e in parte
ossidato ad azoto nitrico. Quanto alla rimozione del fosforo, questa può essere effettuata per
precipitazione chimica nel complesso biologico a fanghi attivi mediante il dosaggio di un
agente chimico specifico, (generalmente il cloruro ferrico).
Tutto ciò si evince dai dati di funzionamento di un depuratore realizzato su commessa della
Società Autostrade e adibito al trattamento delle acque di scarico delle utenze operanti
nell’area dello svincolo Firenze nord (centro direzionale, caserma di polizia, motel AGIP,
stazione di servizio) quantificate pari a 1000 abitanti equivalenti): si riporta sotto un rapporto
di prova di questo impianto.
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Sistema di trattamento e valorizzazione del
percolato di discarica
Cos’è il percolato
Il percolato è l’effluente acquoso prodotto nelle discariche dal rilascio del contenuto di
umidità dei rifiuti e, soprattutto, dalla infiltrazione delle acque meteoriche nell’ammasso dei
materiali di scarto accumulati durante la vita (e oltre) della discarica stessa.
Nel deflusso dei liquidi attraverso i cumuli, si instaura un processo di lisciviazione a seguito
del quale le acque piovane di dilavamento che cadono sugli strati superficiali si inquinano per
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effetto delle reazioni biochimiche a cui sono sottoposte prima del loro conferimento al bacino
di accumulo.
A titolo esemplificativo su come viene a prodursi il percolato si veda il disegno sopra (che
raffigura una discarica esaurita e chiusa).
Il grado di inquinamento del percolato dipende essenzialmente dallo stato di decomposizione
dei rifiuti presenti in discarica, dalla natura di tali rifiuti e dall’età della stessa discarica. In
ogni caso, le concentrazioni delle diverse sostanze inquinanti (materie organiche, azoto
ammoniacale, cloruri, metalli, sostanze chimiche di sintesi, ecc) sono di gran lunga superiori
ai limiti di scarico disposti dalle norme per ogni tipo di corpo recettore (sia esso la pubblica
fognatura, un corso d’acqua superficiale, il suolo).
A titolo di esempio "visivo" del grado di contaminazione del percolato si veda la foto riportata
di seguito e si faccia ad esempio un confronto con il refluo di una cantina (tra i più carichi di
inquinanti tra quelli che vengono scaricati da varie attività produttive) e che riportiamo in una
foto nella relativa pagina del nostro sito.
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Un sistema di trattamento del percolato efficiente e
conveniente
Non esiste allo stato attuale un sistema “serio” e definitivo di trattamento del percolato. Eppure
è una questione importante perché qui si gioca l’ultima partita fra le discariche e gli
inceneritori, detti anche termovalorizzatori. Attualmente la pratica più comune prevede che il
percolato venga in prevalenza conferito a centri di trattamento esterni alle discariche con costi
di trasporto e di servizio esorbitanti per via degli ingenti quantitativi di liquame da smaltire
(trattandosi sostanzialmente di acque meteoriche di dilavamento). Laddove il percolato viene
trattato sul posto, le tecniche depurative più utilizzate (la distillazione e l'osmosi inversa), non
sono dei veri e propri processi di disinquinamento ma si limitano a separare e concentrare le
sostanze inquinanti per poi rimandarle "tal quali" in discarica: qui pertanto tendono ad
accumularsi andando a deteriorare nel corso del tempo la capacità della discarica stessa di
esplicare la funzione di biodegradazione dei rifiuti.
Recupero dell’acqua di percolato
Il sistema di trattamento proposto è illustrato dallo schema a blocchi raffigurato di seguito.
Per brevità non entriamo in questa sede nei particolari.
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Tale sistema rimuove le sostanze inquinanti presenti nel percolato lasciando come residui solo
acqua, concime e fertilizzante destinati al riutilizzo in agricoltura. Questi residui, in aggiunta
all'energia elettrica recuperabile dal biogas prodotto normalmente dalla discarica,
costituiscono una fonte di risorse pregiate e inesauribili, per cui uno spinoso problema
ambientale ancora irrisolto può diventare occasione di consistenti ricavi economici.
Il bacino di accumulo, biofiltrazione e strippaggio (o "EBS", oggetto di brevetto del nostro
Studio di Ingegneria Ambientale: si veda in proposito la relativa pagina del sito) costituisce la
maggiore voce di spesa per la costruzione del sistema di trattamento reflui sopra raffigurato.
Nella foto sotto un esempio di questa tipologia di impianto.
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Per la sua realizzazione si prevede di impiegare le vasche monoblocco prefabbricate in
c.a.v. prodotte dalla Sintini s.r.l. nello stabilimento di Piangipane (RA). Si fa notare che tali
vasche devono essere comunque presenti in discarica per la raccolta e l’accumulo del
percolato durante le punte di produzione dei reflui (vale a dire con tempo di pioggia): da ciò
si evince che il costo reale di costruzione del sistema è a dir poco irrisorio rispetto a quelli
oggi praticati per gli impianti solitamente impiegati. In aggiunta, gli oneri di gestione del
trattamento possono essere assorbiti (e non solo) dai ricavi che ne conseguono.
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Presidi Idraulici per sedi stradali
Cos’è un presidio idraulico
Un presidio idraulico per sedi stradali è un impianto preposto alla separazione e alla
segregazione della fanghiglia e delle sospensioni oleose trascinate dalle acque meteoriche di
dilavamento precipitanti sulle strade adibite a viabilità autoveicolare al fine di produrre un
effluente chiarificato conforme ai limiti di emissione previsti dalle norme. Si tratta pertanto
nella stragrande maggioranza dei casi di un vero e proprio disoleatore che però a differenza di
quelli descritti nella specifica sezione quelli in questione sono espressamente progettati per il
trattamento di portate più elevate.
L’impianto inoltre è spesso conformato e attrezzato in modo da bypassare il flusso entrante,
conferendolo in un apposito bacino di raccolta e accumulo, qualora sia costituito
prevalentemente da liquidi leggeri (benzina, petrolio, ecc.) eventualmente derivanti da
sversamenti accidentali. Questa situazione di emergenza può essere segnalata da un allarme
comandato da una strumentazione di rilevazione di liquido a pavimento installata sul fondo
del bacino.
Spesso un impianto di questo tipo deve essere installato in luogo di un vero e proprio impianto
di prima pioggia a causa dell'indisponibilità di energia elettrica in quanto il loro
posizionamento risulta di sovente lontano dalla rete elettrica.
Composizione tipo di un presidio idraulico per sede
stradale
L’impianto è tipicamente composto da un bacino di sfangamento, uno di disoleazione
(generalmente del tipo a pacchi lamellari, viste le portate in gioco) ed uno di emergenza
realizzati mediante una o più vasche.
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Allo scopo di spiegare sommariamente il funzionamento di uno di questi impianti si faccia
riferimento alla figura riportata di seguito.
L’acqua (dopo essere transitata per un pozzetto scolmatore con by-pass di emergenza) entra
nel bacino di sfangamento che comunica con quello di disoleazione tramite una speciale
valvola a galleggiante. Quest'ultima chiude la tubazione di collegamento se nel disoleatore si
è formato un strato eccessivo di olio galleggiante. In tal caso, il livello di pelo libero nel bacino
di sfangamento si alza fino a che il liquido ivi presente defluisce nel bacino di emergenza. Ciò
è quanto accade in occasione di uno sversamento accidentale di questi liquidi (come avviene
ad esempio a seguito della rottura di un'autocisterna): dapprima l'olio entra nel vano di
disoleazione provocando la chiusura della valvola a galleggiante e successivamente si
accumula nella vasca di emergenza. In base a tale principio di funzionamento un eventuale
flusso eccessivo di liquidi leggeri (come accade appunto a seguito di uno sversamento
accidentale) viene bypassato nel bacino di emergenza. Indipendentemente dalla potenzialità
dell’impianto (cioè dalle portate massime di trattamento), il bacino di emergenza deve avere
una capacità tale da contenere quanto meno tutto il liquido contenibile in un'autocisterna da
20 mc, anche se spesso tale volumetria viene addirittura raddoppiata a scopo precauzionale.
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Questa particolare configurazione di un presidio idraulico è inoltre oggetto di uno dei brevetti
del nostro Studio di Ingegneria Ambientale ("Sistema di rimozione sostanze oleose con bacino
di accumulo per sversamenti accidentali").
Nella foto sotto è raffigurato un tipico disoleatore per le acque di dilavamento di sedi stradali
a pacchi lamellari adottato in un presidio idraulico.
Di seguito riportiamo invece un particolare del sistema di chiusura automatica a galleggiante
dello stesso disoleatore.
Si ricorda che, poiché l’impianto consiste in un vero e proprio separatore per liquidi leggeri,
è ovviamente regolamentato dalle norme UNI EN 858-1 ("Impianti di separazione per i liquidi
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leggeri, ad esempio benzina e petrolio. Principi di progettazione, prestazione e prove sul
prodotto, marcatura e controllo qualità", Agosto 2005.) e UNI EN 858-2 ("Impianti di
separazione per i liquidi leggeri, ad esempio benzina e petrolio. Scelta delle dimensioni
nominali, installazione, esercizio e manutenzione", Giugno 2004.). In particolare, in
accordo con quanto riportato al punto 4.1 della UNI EN 858-2, il disoleatore viene
applicato per il trattamento delle acque meteoriche di dilavamento di strade con contestuale
contenimento di qualunque rovesciamento di liquido leggero.
Tempi di realizzazione dei disoleatori per presidi
idraulici per sedi stradali
I presidi sono realizzati con l’impiego delle vasche monoblocco prefabbricate in
c.a.v. prodotte dalla Sintini s.r.l. nello stabilimento di Piangipane (RA). Qui le vasche vengono
completamente allestite e successivamente trasportate in cantiere dove deve essere
preventivamente eseguito lo scavo a misura e predisposto il piano di posa per il manufatto.
Una volta posate le vasche tramite una gru di portata adeguata, non resta che eseguire i
collegamenti idraulici ed elettrici (ove previsto un controllo del livello di liquidi leggeri nel
bacino di emergenza), nonché posizionare le coperture in cemento armato prima di
effettuare il definitivo rinterro delle vasche. Da ciò si evince che, come la maggior parte degli
impianti prefabbricati, un presidio idraulico viene installato in poche ore di lavoro.
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Nella foto precedente si riporta il particolare della struttura esterna di un pacco lamellare per
alte portate di trattamento.
In alternativa a questo è possibile in ogni caso l'utilizzo di un filtro a coalescenza, come
quello raffigurato sopra. In questo caso però si riscontra comunque una maggior frequenza di
operazioni di manutenzione al fine di effettuare le consuete operazioni di lavaggio del corpo
filtrante (generalmente costituito da uno o più blocchi di polietilene espanso confinato in uno
scatolare di acciaio inox).
E' bene inoltre prevedere un apposito vano di raccolta degli olii intrappolati (come nel disegno
sopra): qui è possibile travasare manualmente i liquidi che galleggiano per poi farli prelevare
dall'autospurgo in un secondo momento. Ciò permette di risparmiare sui costi di gestione in
quanto non occorre fare lo svuotamento dell'intero vano di disoleazione per asportare gli olii
e idrocarburi leggeri.
Prestazioni di un disoleatore per presidio idraulico
stradale
Come ogni altro separatore di liquidi leggeri, se ben dimensionato e realizzato in base ai
requisiti minimi indicati dalle norme UNI EN 858-1 e 2, il disoleatore qui descritto è in grado
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di rimuovere gli olii e idrocarburi leggeri presenti nelle acque di dilavamento fino ad un
contenuto residuo non superiore a 5 mg/l: questa concentrazione è conforme ai limiti di
emissione previsti dalla Tabella 3, Allegato 5 alla Parte Terza del D.Lgs. n. 152/2006 (scarico
in acque superficiali e in fognatura).
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Separatore Idrodinamico
Si affronta qui un aspetto del trattamento delle acque meteoriche di dilavamento, già affrontato
in altre sezioni del sito (quali gli impianti di prima pioggia, i disoleatori e i presidi idraulici per
sedi stradali) proponendo una tipologia di impianti innovativi piuttosto diffusa negli Stati uniti
ma che da noi è poco conosciuta.
Una nuova tecnica di rimozione delle sostanze inquinanti
dalle acque meteoriche di dilavamento
La separazione idrodinamica è una tecnica di rimozione delle sostanze inquinanti dalle acque
meteoriche di dilavamento delle superfici scoperte che, per quanto sviluppata da poco tempo,
si sta diffondendo rapidamente soprattutto negli Stati Uniti dove una decina di aziende hanno
già messo sul mercato questa tipologia di impianto. In Italia, stanti le norme europee UNI EN
858-1 e 2 (riguardante i disoleatori, cui rimandiamo alla specifica sezione), il trattamento delle
acque meteoriche di dilavamento viene operato mediante la separazione statica (solitamente
affiancata alla coalescenza).
Differenza tra separazione statica e separazione
idrodinamica delle sostanze inquinanti
La differenza sostanziale fra la tecnica europea (statica) e quella statunitense (dinamica) è che
gli impianti statici rimuovono le sostanze inquinanti (tipicamente fanghiglia e olii e
idrocarburi leggeri) ad opera della sola gravità naturale (eventualmente abbinata ad una
filtrazione a coalescenza, si veda in proposito la pagina dei disoleatori) mentre quelli
idrodinamici accelerano i processi separativi a spese dell’energia cinetica dell’acqua entrante.
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Tutto ciò comporta che, a parità di condizioni del carico gravante sull’impianto, il relativo
volume impiegato e quindi il costo di costruzione si riducono drasticamente.
Funzionamento del separatore idrodinamico
Facciamo di seguito riferimento al disegno schematico sotto.
Il separatore è realizzato mediante una vasca a pianta circolare (1) al cui interno è posizionato
un deflettore cilindrico disassato realizzato in cemento armato o acciaio inox (2) che delimita
la cosiddetta "camera a vortice" nonché il vano di raccolta del fango flottato (3). La condotta
di entrata dell’acqua da trattare (4) si immette tangenzialmente nella camera a vortice.
Quest'ultima si affaccia sul fondo della vasca adibito a deposito fanghi (7). Il meato periferico
delimitato dalla vasca di contenimento e dal deflettore (5) è collegato con la condotta di
scarico dell’acqua trattata (6). Questa è ribassata rispetto al bordo superiore del deflettore in
modo da scongiurare ogni possibile tracimazione del fango flottato nel meato.
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Le acque meteoriche di dilavamento entrano direttamente nella camera a vortice attraverso la
condotta ad innesto tangenziale. Qui si instaura un moto rotatorio a spirale che trascina con
un prolungato percorso le particelle solide (inquinanti) verso il centro della camera dove si
forma una zona di relativa calma. Questa favorisce l’azione delle forze di gravità per cui le
particelle pesanti (fanghiglia e sabbie) tendono a depositarsi sul fondo della vasca mentre
quelle leggere (olii e idrocarburi) risalgono in superficie. L’acqua depurata dalle particelle
inquinanti lambisce il bordo inferiore del deflettore e risale lungo il meato anulare fino a
imboccare la condotta di scarico.
Pulizia e manutenzione del separatore idrodinamico
Ogni volta che gli strati di fango e di olio formatisi nella vasca diventano eccessivi occorre
procedere alla loro estrazione tramite autospurgo (da effettuarsi in assenza di afflusso
all'impianto).
Oltre ai vantaggi economici cui si è accennato sopra, rispetto ai classici separatori statici a
norma UNI EN 858, il separatore idrodinamico presenta una maggiore semplicità di
manutenzione.
La Sintini s.r.l. produce presso lo stabilimento di Piangipane (RA) il separatore idrodinamico
sotto raffigurato realizzato con una vasca monoblocco prefabbricata in c.a.v. di propria
produzione. In base ai risultati delle prove eseguite sui separatori idrodinamici immessi sul
mercato americano, l’impianto in esame è in grado di trattare una portata di 60 l/s.
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Sistema di trattamento degli scarichi aziendali
(cantine, caseifici ristoranti)
Acronimo di Equalizzatore, Biofiltro, Stripper, il sistema EBS® consiste in un bacino di
raccolta dell’acqua di scarico che provvede contemporaneamente a equalizzare il flusso
entrante e a disinquinare le acque mediante un trattamento di depurazione biologica a
biomassa adesa aerobica delle materie organiche carboniose e di strippaggio dei composti
volatili fra cui in particolare l’ammoniaca. Il bacino viene realizzato con l’impiego di una o
più vasche monoblocco prefabbricate in c.a.v.. Le vasche sono attrezzate con un filtro
biologico a riempimento fisso installato sopra un aeratore di profondità, servito da una pompa
di ricircolo in testa al filtro stesso dell’acqua percolante con relativo distributore “splash-
plate” e due pompe di rilancio dell’acqua biofiltrata comandate da una serie di interruttori di
livello.
Il sistema si adatta al trattamento di un’ampia gamma di tipologie di reflui generalmente
carichi di inquinanti biodegradabili quali ad esempio le acque reflue
di cantine (e aziende agricole in generale), dei caseifici, di aziende alimentari di svariate
tipologie (quali ad esempio i salumifici, i mattatoi, i conservifici, i pastifici, ecc) oltre che
ai reflui di origine civile o similare (come ad esempio i canili). In quest'ultimo caso
è particolarmente indicato per le acque reflue derivanti da attività a carattere stagionale
(come alberghi, campeggi, strutture turistiche , ecc.) in quanto trattandosi di un depuratore
del tipo a "biomassa adesa" assorbe le forti discontinuità che caratterizzano gli scarichi (sia
in termini quantitativi che qualitativi) e presenta dei tempi di attivazione relativamente brevi
(contrariamente ai classici impianti a "fanghi attivi").
Trattamento delle acque di scarico delle cantine
Nella applicazione al trattamento delle acque di scarico delle cantine, di cui le foto sottostanti
sono un esempio, il bacino EBS® è solitamente preceduto da una griglia statica autopulente
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adibita alla rimozione dei corpi solidi (foglie, raspi, bucce e semi degli acini, ecc) ed è seguito
da un letto di fitodepurazione che provvede alla finitura dell’acqua biofiltata. In alternativa è
possibile anche l'uso di una griglia a cestello estraibile che prevede una pulizia manuale: di
questa riportiamo sotto un esempio.
Nella foto seguente un impianto realizzato appositamente per una cantina già allestito in
stabilimento e pronto per essere consegnato in cantiere.
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Nell'immagine è ben visibile il filtro biologico e il circuito di ricircolo del refluo con doppio
sistema di distribuzione "splash-plate".
Allo scopo di avere un'idea "visiva" dell'efficacia del trattamento riportiamo sopa
un'immagine che compara (da sinistra verso desta) il refluo di una cantina in ingresso al bacino
di bilanciamento idraulico e filtrazione biologica, in uscita da questo e in uscita dal letto di
fitodepurazione.
In alternativa alla fitodepurazione (che richiede una certa disponibilità di spazi) tale
trattamento può essere operato da un classico impianto a fanghi attivi (come quelli applicati
ai reflui di origine civile). Per la sua semplicità costruttiva (il letto di fitodepurazione può
essere realizzato dallo stesso committente su progetto dello Studio Associato di Ingegneria
Ambientale) il sistema presenta costi nettamente inferiori (sia come realizzazione che come
gestione) a quelli previsti da un depuratore tradizionale o da un impianto chimico-fisico.
La medesima configurazione del sistema di depurazione in uso per le acque di cantina può
essere impiegata anche per aziende come birrifici , distillerie , lavanderie, ecc. mentre invece
se viene preceduto da un degrassatore il bacino EBS è applicabile agli scarichi di caseifici,
pastifici, salumifici, aziende di lavorazione e conservazione carni e alimenti di vario genere.
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Recupero e riutilizzo dell’acqua depurata con il sistema
EBS.
Grazie alla combinazione di due trattamenti biologici diversificati (sistema a biomassa adesa
più fitodepurazione o fanghi attivi), l’inquinamento residuo dell’acqua depurata è talmente
esiguo da consentire sia lo scarico sul suolo (Tabella 4, Allegato 5 al D.Lgs. 152/2006) sia il
recupero in stabilimento per svariati usi quali ad esempio il lavaggio di piazzali e pavimenti o
per fertilizzazione e irrigazione del vigneto. Particolarmente adatto è il refluo risultante da un
trattamento di finitura mediante letto di fitodepurazione che presenta il vantaggio di essere
pressoché privo di agenti patogeni.
Altro vantaggio del trattamento seguito da fitodepurazione è costituito dal basso impatto
visivo che questi impianti comportano, specialmente nei casi di contesti quali le aziende
agricole, come si vede ad esempio nella foto seguente.
Inoltre il sistema non produce fango biologico di supero e quindi non necessita di una apposita
linea di trattamento e smaltimento con conseguente risparmio dei costi di gestione.
Generalmente il bacino EBS® riduce di ben 5 volte l’area altrimenti richiesta per il solo
trattamento con letto di fitodepurazione. Tuttavia, come già accennato sopra, qualora tale area
non fosse disponibile è possibile una soluzione alternativa abbinando il bacino ad un secondo
stadio di depurazione biologica a fanghi attivi.
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Vasche di recupero e filtrazione dell'acqua piovana
Affrontiamo qui un argomento che negli ultimi anni è diventato sempre più di attualità:
l'utilizzo razionale delle risorse idriche, in particolare delle acque piovane. A questo
aspetto sono sempre più sensibili sia le utenze private che le normative (nazionali e locali).
In genere il dilavamento delle superfici scoperte (comprese quelle adibite solo al traffico
veicolare e al parcheggio) provoca il trascinamento di fanghiglia e sospensioni oleose che
potrebbero inficiare il riuso delle acque piovane soprattutto se questo comporta l’utilizzo di
attrezzature intasabili quali sono ad esempio le lance di irrigazione delle zone a verde o di
lavaggio manuale delle superfici stesse. Per tali applicazioni solitamente l’ente preposto
richiede il trattamento della prima pioggia (come appunto nei casi dei parcheggi e delle sedi
stradali): per questi casi si rimanda alla specifica sezione sull’argomento, mentre qui vengono
proposte vasche di recupero dell’acqua piovana attrezzate con uno speciale filtro autopulente.
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Le vasche impiegate sono del tipo monoblocco prefabbricate in c.a.v. prodotte dalla Sintini
s.r.l. nel suo stabilimento di Piangipane (RA) facenti parte di una serie di produzione di
capacità fino a 50 metri cubi.
Le vasche possono essere interrate a qualsiasi profondità e ricoperte al piano di campagna con
solai di copertura carrabile o pedonale recanti passi d’uomo muniti di chiusini di classe
adeguata che assicurano un’agevole ispezionabilità dell’interno vasca e la transitabilità del
terreno sovrastante. A richiesta è possibile realizzare anche solai solidali alla vasca stessa.
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Vasche a tenuta idraulica e strutturale garantite
Come detto le vasche sono monoblocco, realizzate a getto unico e vibrate in casseri metallici:
per questo motivo forniscono la massima garanzia di tenuta idraulica e di resistenza strutturale
garantite dagli alti standard produttivi. Gli spessori e le armature degli elementi strutturali
sono stati calcolati nella fase di avvio della produzione da uno Studio di Ingegneria Strutturale
altamente qualificato: questo stesso Studio provvede, per ogni applicazione delle vasche, ad
elaborare qualora necessario e richiesto dalla committenza una relazione di verifica strutturale
sulla base delle informazioni tecniche specifiche fornite dal committente. La relazione è
firmata da un ingegnere iscritto all’albo con elevato grado di qualificazione nel settore e viene
fornita a richiesta al fine di redigere la pratica di autorizzazione da presentare agli uffici
competenti.
A richiesta è inoltre possibile dotare i manufatti di specifiche resinature (interne o esterne) per
le varie applicazioni.
Per quanto riguarda le capacità e le volumetrie disponibili si rimanda alla pagina del sito
sulle vasche in c.a.v. per maggiori dettagli. In ogni caso il nostro Studio di Ingegneria
Ambientale è a disposizione per un consulto gratuito al fine di formulare la migliore soluzione
sia tecnica che economica in merito.
Vasche con filtro autopulente
Nella specifica applicazione in esame, le nostre vasche possono essere attrezzate con un filtro
autopulente e con una pompa di rilancio dell’acqua. Il filtro è in grado di rimuovere dall’acqua
piovana sia corpi solidi grossolani (pezzi di legno, carta, fogliame, ecc.) sia i solidi fini
(sabbia, fango, limo, ecc.) che vengono trascinati nel dilavamento delle superfici scolanti
interessate.
Il filtro si ripulisce automaticamente da questo materiale grossolano mentre i solidi fini
ostruenti vengono rimossi dalla superficie filtrante ad opera della stessa pompa di rilancio
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dell’acqua manovrando semplicemente le valvole montate sulle tubazioni di mandata e
controlavaggio.
Poiché in tal caso l’acqua non è sottoposta ad alcun tipo di trattamento, questi impianti sono
adatti al recupero di acque meteoriche di dilavamento di superfici non particolarmente
inquinate (come i tetti di edifici o le coperture di capannoni industriali). Se invece si tratta di
acque contenenti specifici inquinanti (come quelle di prima pioggia che cadono su parcheggi
o aree di sosta di mezzi meccanici) è possibile installare a monte un impianto di trattamento
adeguato al fine di riutilizzare l'acqua. Tipico è l'esempio dei disoleatori o degli stessi impianti
di prima pioggia. In alcuni casi è quindi possibile fare a meno di filtri installati nelle vasche
di accumulo e recupero e dotarle semplicemente di una pompa per il rilancio (di portata e
prevalenze adeguate).
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Vasche antincendio
L’alimentazione idrica degli impianti antincendio è regolamentata dalla norma UNI EN
12845, punti 9 e 10, per gli impianti sprinkler e dalla norma UNI 10779, appendici A e B, per
impianti a idranti e a naspi.
I locali destinati ad ospitare i gruppi di pompaggio sono invece regolamentati dalla norma
UNI EN 11292 che ne stabilisce le modalità di allestimento e la componentistica di cui si
necessita.
Il tipo di alimentazione idrica (singola, singola superiore, doppia, combinata) nonché la
conformazione e il dimensionamento dei suoi componenti (serbatoio di accumulo dell’acqua,
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locale e gruppo di pompaggio) dipendono dall’impianto antincendio che deve essere
alimentato e in particolare dalle sue caratteristiche idrauliche (portata e prevalenza di
erogazione, durata dell’alimentazione) che devono essere definite in sede di progetto in
funzione della pericolosità dell’area da proteggere (livelli 1, 2 e 3) e del tipo di protezione
(interna, esterna) che si vuole attuare.
A titolo esplicativo riportiamo di seguito una tabella (derivante dalle norme UNI di cui sopra)
al fine di prevedere approssimativamente il livello di pericolosità di un'attività con i
conseguenti requisiti (minimi) del sistema di alimentazione dell'impianto antincendio. In ogni
caso si rimanda per i dettagli ai prospetti A.1, A.2 e A.3 riportati in appendice A alla UNI EN
12845.
I.De.A. Trattamento Acque produce e commercializza impianti di alimentazione per sistemi
antincendio integrati, vale a dire comprensivi di riserva idrica e locale tecnico allestito
secondo le suddette normative, mediante l'uso divasche prefabbricate in cemento armato.
Tali vasche possono essere utilizzate pertanto solamente per accumulo dell’acqua (serbatoi di
accumulo) oppure possono essere attrezzate con il gruppo di pompaggio antincendio (in
questo caso si parla appunto di "sistemi integrati per l’alimentazione idrica antincendio"). Il
notevole vantaggio (specie per i sistemi integrati) è rappresentato dal fatto che ogni
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allestimento viene fatto in stabilimento prima dell'invio al cantiere di destinazione, dove si
dovranno effettuare soltanto i collegamenti elettrici ed idraulici esterni ai manufatti.
L'unità di pressurizzazone (elettropompa e/o motopompa più pompa pilota) viene in genere
installata (nel caso di installazioni sottobattente) in un apposito locale tecnico ricavato in
una vasca che consta anche della riserva idrica (tutta o parte di questa). Di seguito una tabella
riassuntiva delle taglie di impianto più comuni redatta in base al prospetto B.1 della UNI
10779.
Le nostre vasche antincendio possono essere predisposte sia per installazione interrata che
fuori terra e ove richiesto, allestite in stabilimento fino al giunto di innesto con la tubazione
di mandata alla rete idrica di distribuzione dell’impianto antincendio, ivi compreso il gruppo
di pompaggio, per cui arrivano in cantiere completamente attrezzate.
I sistemi integrati per installazioni interrate sono costituiti da una vasca monoblocco
con pianta rettangolare divisa in tre vani: il primo ha la funzione di varco di accesso
per l'operatore (dotato di scala a giorno in ferro zincato a caldo), il secondo è il vero e proprio
locale tecnico (cui si accede con porta REI 60 e dove è montato il gruppo di
pressurizzazione) e l’ultimo a serbatoio di accumulo dell’acqua (tutto o parte di esso). A
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quest'ultimo, se necessario, vanno collegate le altre porzioni di riserva idrica mediante le
apposite predisposizioni effettuate in fase di getto dei manufatti. Nella foto seguente è
raffigurato un tipico esempio di questi attacchi in acciaio inox predisposti per una riserva
composita.
Ciò consente di realizzare impianti con capacità ben superiori di quelli che prevedono
l'adozione una singola vasca prefabbricata per la riserva idrica mantenendo la notevole
economicità rispetto agli impianti realizzati in opera tipica delle vasche prefabbricate
(analogamente a quanto si riscontra per tutti gli impianti di trattamento acque di nostra
produzione e commercializzazione).
I sistemi fuori terra sono simili a quelli interrati con la differenza che l'accesso al locale
tecnico con i gruppi di pompaggio prevede una porta REI 60 direttamente sulla parete
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del manufatto "a vista". In questo caso inoltre il necessario sistema anti allagamento del locale
stesso (espressamente previsto dalle normative) solitamente non necessita delle consuete
pompe di drenaggio in quanto l'allontanamento di eventuali acque di allagamento può
avvenire a gravità. In foto sopra uno di questi locali tecnici in fase di posa in cantiere.
Conformità alle norme dei sistemi integrati antincendio
Le principali normative che regolano e dispongono le linee guida per la realizzazione di un
impianto di alimentazione idrica antincendio sono la UNI EN 11292 ("Locali destinati ad
ospitare gruppi di pompaggio per impianti antincendio - Caratteristiche costruttive e
funzionali"), la UNI EN 10779 ("Impianti di estinzione incendi: reti idranti - Progettazione,
installazione ed esercizio"), la UNI EN 12845 ("Installazioni fisse antincendio: sistemi
automatici a sprinkler - Progettazione, installazione e manutenzione"). Si elenca di seguito
brevemente alcuni accorgimenti previsti da queste normative.
L’accesso al locale tecnico è conforme alle disposizioni di cui al punto 4.2 della UNI 11292
sia per gli impianti interrati che per quelli fuori terra.
In base al punto 10.3.1 della UNI EN 12845 il locale tecnico contenente l’unità di pompaggio
deve essere ad uso esclusivo per la protezione antincendio e deve avere una resistenza al fuoco
minima di 60 minuti.
La costruzione e le dimensioni minime del locale devono essere conformi alle disposizioni
riportate ai punti 5.1 e 5.2 della UNI 11292.
La funzionalità del locale pompe deve prevedere dei dispositivi di illuminazione,
riscaldamento ed eventualmente drenaggio in base a quanto riportato al punto 6 della UNI
11292.
Al momento della posa in opera la copertura viene sigillata alle pareti del locale in modo da
scongiurare eventuali infiltrazioni di acqua (sia essa proveniente dal contiguo serbatoio di
accumulo che derivante dalle precipitazioni meteoriche).
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Il montaggio e la disposizione del gruppo di pressurizzazione viene fatta in modo da rispettare
i necessari spazi di manovra ai fini della manutenzione ordinaria e straordinaria per garantire
gli spazi minimi di lavoro (punto 5.2.2 della UNI EN 11292).
I locali devono essere adeguatamente aerati sia che ospitino motori elettrici che diesel (punto
5.4 della UNI EN 11292). In particolare in questo secondo caso devono essere predisposti con
un adeguato sistema di aerazione forzata (con funzionamento garantito da gruppo di
continuità) per motori con potenze al di sotto dei 40 kW (punto 5.4.2.2.3).
Ovviamente ove presenti uno o più motori diesel deve essere fatto un adeguato circuito di
scarico fumi.
Le pompe e i relativi quadri di controllo sono garantiti e certificati dalla ditta fornitrice mentre
il quadro di distribuzione e il montaggio delle componenti elettromeccaniche sono realizzati
e certificati da personale abilitato in conformità con le disposizioni indicate ai punti 10.8.3 e
10.8.4 della UNI EN 12845 e in base alle norme vigenti in materia di sicurezza delle
installazioni degli impianti elettrici.
Il serbatoio di accumulo dell’acqua è dotato di tutte le attrezzature necessarie per il
funzionamento e la manutenzione (una valvola meccanica a galleggiante sulla mandata della
fornitura idrica da rete per il riempimento e il rinfianco dell'acqua, un sistema di controllo del
livello dell'acqua stessa con relativi allarmi remotizzabili, un agevole accesso ad ogni porzione
di riserva idrica mediante chiusini in ghisa, ecc).
Il dimensionamento dell'accumulo disponibile è regolamentato dal punto 9.3 della UNI EN
12845.
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Brevetto bacino di bilanciamento idraulico e
filtrazione biologica (“EBS”)
Questo brevetto di proprietà dello Studio Associato di Ingegneria Ambientale concerne
un impianto innovativo pensato soprattutto per essere inserito in un sistema integrato
di depurazione delle acque reflue, generalmente a valle di una unità di trattamento preliminare
e a monte di una unità di trattamento “terziario” o di “finitura” del refluo prima dello scarico
finale.
Il bacino di bilanciamento idraulico e filtrazione biologica (altrimenti detto "EBS") è costituito
nella sua configurazione più semplice da una vasca al cui interno è installato un filtro
biologico rialzato rispetto al fondo del bacino. Qui vengono installati uno o più aeratori di
profondità a bolle fini per ossigenare il filtro e il refluo (che aiuta anche ad
omogeneizzarlo), una pompa di ricircolo dell'acqua (che viene rilanciata e distribuita
uniformemente in testa al corpo filtrante) e due pompe sommerse per il rilancio dell’acqua
biofiltrata al trattamento successivo (se previsto e se necessario).
La linea di ricircolo è costituita da una tubazione di sollevamento raccordata ad un distributore
di flusso (generalmente del tipo “splash-plate”) che irriga uniformemente la superficie
superiore del filtro biologico: si veda un esempio nella seguente foto.
Contemporaneamente al trattamento disinquinante il bacino provvede ad assorbire le punte
di scaricoequalizzando l’alimentazione idraulica del sistema di trattamento di finitura (o
“terziario”). Di conseguenza il livello dell’acqua in vasca passa da un minimo (con filtro
biologico completamente emerso) a un massimo (con filtro completamente
immerso). L’impiego di un bacino di bilanciamento idraulico delle portate è una prassi ormai
consolidata soprattutto nel trattamento dei reflui aziendali caratterizzati da scarichi
generalmente limitati all’intervallo di lavorazione giornaliera (8 - 10 ore) al fine di agevolare
il lavoro dei trattamenti a valle. L’installazione all’interno del bacino di equalizzazione delle
portate di un filtro biologico rende di fatto superflua la realizzazione di una vasca dedicata al
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solo bilanciamento (come avviene di prassi), con conseguente riduzione dei costi di
costruzione del sistema.
I trattamenti preliminari e terziari (cioè che precedono e seguono il trattamento EBS) di cui si
è accennato sopra dipendono dal tipo di refluo (per quanto riguarda soprattutto il pre-
trattamento), dalle esigenze dell’utenza e dai limiti di emissione da rispettare: si rimanda a
tale scopo alle specifiche sezioni del sito per un’analisi più approfondita dei vari casi, basi
accennare qui che solitamente il bacino viene preceduto da una fase di sedimentazione
primaria (fossa Imhoff), da un degrassatore (come nel caso di reflui delle cucine di un
ristorante, di un pastificio o di un caseificio) o da un trattamento di grigliatura.
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Brevetto di un sistema di rimozione sostanze oleose
con bacino di accumulo per sversamenti accidentali
Questo particolare tipo di impianto di trattamento di acque reflue e/o meteoriche di
dilavamento che provvede alla separazione dei liquidi leggeri (benzina, petrolio, olii minerali,
ecc.) è regolato dalle norme UNI EN 858-1 (Principi di progettazione, prestazione e prove sul
prodotto, marcatura e controllo qualità) e UNI EN 858-2 (Scelta delle dimensioni nominali,
installazione, esercizio e manutenzione). La novità introdotta dal brevetto consiste
nell’implementazione di questo con un sistema di raccolta dei liquidi leggeri derivanti da
consistenti sversamenti accidentali. Tipici esempi di queste situazioni sono ad esempio gli
sversamenti conseguenti ad un incidente stradale che coinvolge mezzi meccanici di trasporto
dei carburanti, il danneggiamento delle cisterne di stoccaggio di questo tipo di liquidi, la
rottura di grandi trasformatori elettrici (che contengono grandi quantità di olio di
raffreddamento) o di apparecchiature elettromeccaniche che utilizzano olii minerali per
ridurre gli attriti tra le varie parti mobili di metallo.
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Per disposizione della UNI EN 858-1, gli impianti di separazione di liquidi leggeri sono
costituiti da un bacino di sfangamento (preposto alla rimozione e all’accumulo dei solidi
pesanti che sedimentano sul fondo) e da un successivo “separatore” (o “disoleatore”) che
provvede alla rimozione e all’accumulo dei liquidi leggeri dal refluo da trattare. Il brevetto
concerne un accorgimento costruttivo impiantistico da attuare al fine di permettere allo stesso
impianto predisposto al normale trattamento delle acque di poter automaticamente bypassare
i liquidi leggeri che affluiscono in situazioni di emergenza per conferirli ad un apposito bacino
di raccolta e accumulo.
Un’ulteriore ed eventuale dotazione di questi impianti di apposite apparecchiature
elettromeccaniche consente inoltre di poter comunicare ad una postazione remota l’eventuale
situazione di emergenza al fine di poter prontamente intervenire e ripristinare le normali
funzionalità dell’impianto stesso.