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La Chiesa vive dell’Eucaristia Questa verità non esprime soltanto Un’esperienza quotidiana di fede, Ma racchiude in sintesi il nucleo Del Mistero della Chiesa” ( Ecclesia de Eucharistia , n. 1) Sacramento dell’Eucaristia Proposta di un trattato nella luce della Esortazione apostolica post-sinodale SACRAMENTUM CARITATIS Padre Stefano Maria Moschetti SJ 1

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“ La Chiesa vive dell’EucaristiaQuesta verità non esprime soltanto

Un’esperienza quotidiana di fede,Ma racchiude in sintesi il nucleo

Del Mistero della Chiesa”( Ecclesia de Eucharistia , n. 1)

Sacramento dell’Eucaristia

Proposta di un trattato nella luce della Esortazione apostolica post-sinodale

SACRAMENTUM CARITATIS

Padre Stefano Maria Moschetti SJ

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Pontificia Facoltà teologica della Sardegna 20082

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PREFAZIONE

L’inizio del terzo millennio è stato segnato da un interesse crescente verso il Mistero eucaristico, di cui vive la Chiesa: l’anno giubilare ha conosciuto , nel cuore stesso delle sue Celebrazioni, un Congresso eucaristico; sono seguiti la pubblicazione del Nuovo Messale romano, la promulgazione dell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, l’indizione dell’anno eucaristico con la Mane nobiscum Domine, la realizzazione del Sinodo con il frutto delle sue 50 Proposizioni , ed infine, a coronamento di questa intensa vita e riflessione eucaristica, la lettera apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis. Sono tutte tappe successive, organiche, in progressione di una consapevolezza di fede , intelligenza, amore, del Memoriale della Pasqua del Signore, la sua celebrazione e adorazione, la vita nuova che ne scaturisce: un evento unico, novità assoluta nella vitalità della Chiesa.

La trattazione sistematica del Mistero eucaristico può essere estranea a questo vero momento favorevole, di grazia? Evidentemente no, significherebbe non sapere cogliere stimoli e orientamenti offerti abbondantemente, specialmente nella lettera post-sinodale, alla riflessione teologica.

Il card.Angelo Scola (Presentazione Osser. Rom. 14/3/ 07) parla di autentica novità di sintesi dottrinali: una prima, fondamentale la trova nel riconoscimento del primato dell’azione –preghiera liturgica, sempre ben situata nella professione di fede nel Mistero pasquale così reso presente (n 34 della Sacramentum caritatis) Ne segue una seconda novità dottrinale, evidente opzione magisteriale : ribadire il primato ontologico e storico dell’Eucaristia sulla Chiesa; riconoscere che la Chiesa è nata e vive della partecipazione alla Pasqua di Cristo, quella Pasqua che l’Eucaristia nella sua celebrazione rende presente (nn 14-15)

Così nella prospettiva del primato dell’Eucaristia sulla Chiesa, constatiamo nella Sacramentum caritatis una ulteriore novità di sintesi dottrinale, quella di considerare tutta la vita della Chiesa, sacramentale, morale, spirituale, missionaria , sociale sul fondamento ed orientamento eucaristico..

Quando questa sintesi di professione di fede, sua corretta celebrazione, vita nuova che ne scaturisce viene realizzata, sensibilmente espressa , si manifesta una vera, affascinante bellezza (n 35). Mai un documento del Magistero aveva realizzato una sintesi eucaristica così ampia e convincente.

Gli studi teologici vengono così incoraggiati a superare, nel modo proprio degli studi, i dualismi denunciati dal Sinodo, tra fede nel Mistero e sua

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celebrazione, tra dottrina e pastorale, tra ritualità della S. Messa e l’Adorazione susseguente.

Si chiede poi in ,in concreto,: “[…]una coscienza più chiara della ricchezza dell’Anafora: insieme alle parole pronunciate da Cristo nell’ultima cena, essa contiene l’epiclesi, quale invocazione al Padre perché faccia discendere il dono dello Spirito affinché il pane ed il vino diventino il corpo e sangue di Cristo e perché <la comunità tutta intera diventi sempre più corpo di Cristo( Prop. n 22)>(n 13)" “In particolare la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità nell’Anafora tra l’invocazione dello Spirito Santo e il racconto della istituzione, in cui <si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima Cena(n 48)>”Nel presente saggio di sintesi teologica ho cercato di seguire questi nuovi orientamenti.

Entrare nello studio del Sacramento Eucaristico per la via suggerita di una conoscenza migliore dell’Anafora :il suo costituirsi, nella sua struttura teologica propria, nei primi tre secoli della Chiesa: per l’attività propria del Celebrante in successione e comunione apostolica, nella tradizione viva della Chiesa ( “fate questo in memoria di me” Lc 22,19;”anche voi mi renderete testimonianza” Gv 15,27) e nella forza e luce dello Spirito Santo promesso da Cristo e invocato dalla Chiesa:(“ lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza. ”Gv 15,26).

“Questo grande mistero viene celebrato nelle forme liturgiche che la Chiesa, guidata dalla Spirito Santo, sviluppa nello spazio e nel tempo.[….] Pertanto è in forza dell’azione dello Spirito che Cristo stesso rimane presente operante nella sua Chiesa , a partire dal suo centro vitale che è l’Eucaristia”(n 12)

Ne segue l’importanza decisiva del cogliere la presenza del Corpo dato e del Sangue versato negli alimenti <eucaristicizzati>, l’identità sostanziale del Corpo eucaristico con quello del Crocifisso glorioso, per la qualità vera della Chiesa, corpo di Cristo. Come ci avvisa Benedetto XVI:” Grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo[…] Ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo”(n 6).Una presenza sacrificale, che accolta in pienezza nella comunione eucaristica, assume e trasfigura il donarsi nella carità della Chiesa e del cristiano in essa, qualità nuova di vita, sacrificio vivente al Padre per i fratelli.

Su questa base , si può rispondere, sviluppando l’insegnamento della Sacramentum caritatis, alle domande della Proposizione 22 del Sinodo: la relazione tra racconto dell’istituzione, consacrazione , e l’invocazione dello

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Spirito Santo ; il primato ontologico e storico dell’Eucaristia sulla Chiesa, e tutto sempre con finalità mistagogica, introdurre la comunità ad una <actuosa partecipatio>, <Logiké latreia>, vita secondo il Figlio, Parola-Immagine filiale, nel suo Spirito Santo.

Questo, brevemente , il percorso tracciato di sintesi teologica; il mio desiderio è anzitutto porre in evidenza un momento di grazia per la teologia eucaristica, un dono ricevuto da vivere in comunione, migliorarne l’intelligenza, affidarlo ad altri.

Mi piace a questo proposito ricordare i miei Genitori, che mi hanno introdotto per primi alla vita eucaristica; ho ricevuto la Prima Comunione durante la guerra nella Diocesi di Cuneo, e sviluppato la vita eucaristica nella Chiesa salesiana di S. Giovannino in Torino : ovunque ho sempre trovato l’aiuto di ottimi sacerdoti.

Nella Compagnia di Gesù l’Eucaristia, i SS Sacrifici come ama chiamarla S.Ignazio, ha sempre assicurato la qualità vera della vita religiosa e apostolica.Ricordo con riconoscenza il mio maestro di teologia Eucaristica, un teologo veramente completo nella conoscenza scientifica delle radici vetero testamentarie-giudaiche, del suo sviluppo storico e sistematico, il P. Luis Ligier.Il confratello, con novizio, Padre Cesare Giraudo mi ha aiutato molto nello studio della genesi letterario-teologica delle Preghiere eucaristiche, di cui Don Enrico Mazza offre analisi complementari analitiche e di grandiose sintesi cristologiche.

Ringrazio il mio R. Padre Provinciale Franz Tata, vice Gran Cancellerie della Facoltà teologica della Sardegna, per il permesso di pubblicare; e sua Ecc.Rev.ma Mons. Giuseppe Mani, Arcivescovo di Cagliari e nostro Gran Cancelliere per l’Imprimatur :A Cagliari ho trovato intensa vita eucaristica, anche la possibilità di celebrare ogni giorno nella Chiesa annessa alla Facoltà, ove le Suore Eucaristiche di Cristo Re della Madre Bruna MAXIA si impegnano nell’Adorazione quotidiana.

Il lavoro è nato in buona parte nella comunicazione teologica della scuola, sempre stimolante, e ne ringrazio Confratelli e allievi.

Ringrazio infine Giovanni Di Stefano, Pier Paolo Campus ed il Dott. Luciano Armando e Consorte Lucia per il paziente aiuto nel lavoro di computer.

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ABBREVIAZIONI E SIGLE

1.Concilio Vaticano II e Magistero pontificio

SC Sacrosantum concilium LitrugiaLG Lumen gentium ChiesaDV Dei Verbum RivelazioneGS Gaudium et spes Chiesa e mondoUR Unitatis reintegratio EcumenismoDC Dominicae cenaeEccl. de Euch. Ecclesia de EucharistiaD.C.E. Deus Caritas estSacr. Car. Sacramentum caritatisOr.Gen.Mes. Rom. Ordinamento generale del Messale romano

2.Periodici, Opere, Edizioni.

AAS Acta Apostolicae Sedis , Città del VaticanoBEL Bibliotheca <Ephenerides litugicae> <Subsidia>. Collectio cura A.

Pistoia, C.M., et A.M. Triacca, SDB rectaCCM Corpus Christianorum: Continuatio medioevalis, TurnhoutCLV Edizioni liturgiche RomaDH H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum definitionum et

declarationum de rebus fidei et morum, a cura di P.Hunermann, EDB 1995EDB Edizioni Dehoniane <BolognaE Oe Enchiridion oecumenicum Bologna 1986ssEph. Lit. Ephemerides liturgicae, RomaEV Encheridion Vaticanum , Bologna 1966ssLEV Libreria editrice vaticana Città del VaticanoOsser.Rom. L’Osservatore romano, Città del VaticanoPE Prex eucharistica (Ed. H@nggi A & Pahl I), Fribourg Suisse 1968PG Patrologiae cursus completus: Series greca, ParisPL Patrologiae cursus completus: Series latina ParisRev.Sch. Phil. Theol Revue des sciences philosophiques et theologiques

ParisR. Thom. Revue thomiste Tolouse= SC Sources chrétiennes ParisSt. Mor. Studia moralia RomaS. Th. Summa theologica, S. Tomae aquinatis, Romae 1925

3.Altre abbreviazioni

An.s. anathema sit, sia anatemaAT Antico TestamentoCan. CanoneCap. capitoloEd. editore/editoriIbidem iviNT Nuovo Testamento

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INTRODUZIONE

Il Mistero eucaristico ci fa compiere il passo decisivo dalla Confessione del Kerigma fondamentale che «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.» (1 Cor 15,3-5), al rendere presente lo stesso Mistero salvifico, ricevuto e fedelmente trasmesso, nella Celebrazione del Memoriale Eucaristico:

“Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane, e dopo avere reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memoria di me».

Allo stesso modo, dopo avere cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete, in memoria di me».

Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.”( 1 Cor 11,23-26).

Si tratta quindi dello stesso Mistero centrale della fede, la Pasqua del Signore, da Lui ricevuto, trasmesso fedelmente nella Chiesa presieduta dall’Apostolo, perché sia non solo annunciato, accolto nella Professione di fede, ma sia inoltre per la Celebrazione reso presente nella Chiesa, per qualificarne la vita, la comunione, la preghiera, la Speranza, in attesa della piena manifestazione del Signore risorto. 1

Si può anche affermare: tutto nella Chiesa è stato scritto, sotto Ispirazione dello Spirito Santo (corpo delle S. Scritture) nella luce del Crocifisso risorto, come ugualmente tutto è creduto, vissuto, sperato per la presenza efficace,

1 Cfr la Proposizione 3 del Sinodo. Il Novum del mistero pasquale ‹‹Istituendo l'Eucaristia Gesù ha dato vita ad una novità radicale : ha compiuto in se stesso la nuova ed eterna alleanza [….] il dono totale di sé. Il vero Agnello si è sacrificato una volta per tutte nel mistero pasquale, ed è in grado di liberare una volta per sempre l’uomo dal peccato e dalle tenebre della morte. Il Signore ci ha offerto gli elementi essenziali del culto nuovo›› in Notitiae 41 (2005) 437s.Sacr. Car. n 9 ribadisce :” “Gesù Cristo è il vero Agnello pasquale che ha offerto se stesso in sacrificio per noi, realizzando così la nuova ed eterna alleanza. L’Eucaristia contiene in se questa radicale novità, che si ripropone a noi in ogni celebrazione”.

Cfr SCHLIER, H., L’unità della Chiesa, in Il tempo della Chiesa, il Mulino, Bologna 1965, 470-477; questa concretezza della presenza del Signore alla sua Chiesa, di cui chiaramente ci parla il Nuovo testamento, è stato il «motivo esegetico» fondamentale, che ha portato l’esegeta luterano Schlier all’ingresso nella Chiesa cattolica. cfr Id., Breve rendiconto, ed. Nuova ‘Omicron, Roma 1999.

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Eucaristica dello stesso Crocifisso risorto: il Mistero della fede, che fruttifica il dono dello Spirito Santo, per unire tutti i credenti in un cuor solo ed un’anima sola, nel vincolo della carità. Si tratta anche del profondo convincimento del Vaticano II, così espresso nella Sacrosantum Concilium n 6 :

“Pertanto, come il Cristo fu inviato dal Padre, così anche egli ha inviato gli Apostoli, ripieni dello Spirito Santo, non solo perché, predicando il Vangelo a tutti gli uomini, annunciassero che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte, e trasferiti nel regno del padre, ma anche perché attuassero, per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti, sui quali si impernia tutta la vita liturgica, l’opera della salvezza che annunciavano.”

L’annuncio del Kerigma, l’efficacia del Battesimo, avviene nella prospettiva della Presenza unica del Crocifisso risorto nei doni eucaristici, per creare per Lui, nello Spirito Santo, la comunione dei Figli di Dio, fraternamente in cammino verso il Padre, nonostante il succedersi della generazioni nel tempo, la dispersione geografica nello spazio, soprattutto vincendo la lacerazione del peccato, nell’unico corpo della Chiesa. Anche la Sacramentum caritatis ci ricorda al n. 6 : “«Per questo, il sacramento dell’Altare sta sempre al centro della vita ecclesiale; ‹‹grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo››”.

Accogliamo così, nella familiare presenza che il Crocifisso glorioso realizza nella celebrazione della Chiesa, l’integrità del progetto di Dio: tutto è stato creato nella prospettiva del Verbo incarnato, incarnato sino all’estremo della Croce, del Crocifisso ora glorioso alla destra del Padre, in attesa di creare cieli nuovi e terra nuova, mentre Egli stesso è già presente nella sua Chiesa come Corpo dato in sacrificio, Sangue versato, per farla già ora progredire nella comunione e configurazione a Lui, darle la pienezza della sua vita; “Gesù Cristo, dunque, che ‹‹con uno spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio›› ( Eb 9,14), nel dono eucaristico ci comunica la sua stesa vita divina”.(Sacr. car. n 8).

Ritornando alla S. Scrittura, non solo Paolo, ma anche Giovanni lo insegna chiaramente nel cap. 6 del suo Vangelo:

:nei vv. 26-47 Gesù si autopresenta come il pane vivo disceso dal cielo; l’attenzione è qui indirizzata alla sua Persona divina, filiale, venuta a noi per comunicarci la comunione vissuta col Padre. La risposta dell’uomo è la fede in Gesù, la sua Persona, il suo operare, per avere la Vita. Il Padre ci attira verso Cristo, affinché l’accogliamo, abbiamo fede in Lui: “Questa è l’opera di Dio: credere in Colui che Egli ha mandato” ( Gv. 6,29).

: nei vv. 48-55 si va oltre: nonostante le mormorazioni, Gesù indica come via necessaria, non solo credere alla sua Persona ed opera, ma

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di accoglierLo intimamente in una celebrazione ecclesiale che richiede la convivialità del mangiare e bere la sua carne ed il suo sangue.

“In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo, e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia la mia carne e bere il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (v. 53); aveva infatti già detto al v. 51 “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

Preciserà ancora al v. 63, che la «carne» nostro cibo è quella del Crocifisso glorioso già asceso al Cielo, datore dello Spirito Santo . “É lo Spirito che dà la vita”.

Nel nostro trattato cerchiamo l’intelligenza teologica di questo passaggio decisivo dalla confessione del Signore crocifisso risorto alla piena accoglienza della sua Presenza salvifica e trasfigurante la nostra vita nella celebrazione da Lui comandata, “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19) del Memoriale della sua Pasqua. É questo, in relazione al comandamento nuovo dell’amore reciproco sulla misura del suo amore (cfr Gv 13,34s), il piu grande dei comandamenti del Signore.

Questo passaggio dalla professione di fede nel Signore Gesù alla Celebrazione della sua più intensa presenza risulta decisiva per l’unità della Chiesa; rappresenta il Cuore dei dialoghi ecumenici. Citiamo questa consapevolezza maturata nel dialogo tra Cattolici e Ortodossi calcedonesi:

“Ciascun sacramento presuppone ed esprime la fede della Chiesa che lo celebra. Infatti, nel sacramento la Chiesa fa qualcosa di più che confessare ed esprimere la sua fede: essa rende presente il mistero che celebra” 2

Sviluppiamo sistematicamente questa intelligenza teologica in un momento di grazia, veramente un tempo favorevole: il Giubileo del 2000, che già presentava come suo vertice un Congresso eucaristico internazionale, ha rinnovato l’attenzione e la fede della Chiesa in Cristo Signore, fondamento della Creazione, operante la Redenzione, per portarci al Padre nello Spirito Santo; è sufficiente ricordare le due lettere apostoliche, quella in preparazione, Tertio millennio adveniente 3, e quella in chiusura Novo millennio ineunte 4 del grande giubileo.

2 ? COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA CHIESA CATTOLICA E LA CHIESA ORTODOSSA, Documento Fede, sacramenti ed unità della Chiesa, Cassano delle Murge (Bari) 16 / 6 / 1987, in EO III, Dialoghi internazionali, EDB, 1995, n. 6, 780.

3 ? Lettera apostolica del 10/11/1994, AAS 87 (1995) 5-414 ? Lettera apostolica del 6/1/2001 AAS 93(2001) 266-309

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Così il volto di Cristo Signore, la sua Gloria ora brilla, si irradia più intensamente nella Professione di fede della sua Chiesa, nella sua Catechesi. All’inizio del nuovo millennio, per consolidare questi frutti di confessione ed intelligenza del Mistero, perché sia in pienezza vissuto e annunciato, «Duc in altum» (Novo Millennio Ineunte n 1), Giovanni Paolo II ha posto massima cura nel rilanciare la piena comprensione e la corretta celebrazione del Memoriale eucaristico.

Questo sia come completezza di Dottrina nella sua ultima enciclica, splendido canto del cigno Ecclesia de Eucharistia, sia come rilancio di corretta e fruttuosa celebrazione, in un anno di più intensa vita eucaristica, in preparazione al Sinodo dei Vescovi sul tema dell’Eucaristia fonte e culmine della vita e missione della Chiesa. Indizione e programmi dell’anno eucaristico tracciati con la Lettera apostolica Mane nobiscum Domine.

Come ci raccomanda Giovanni Paolo II cerchiamo anche noi di fare sintesi (Mane Nobis.Domine n 10), accogliendo l’insegnamento e gli stimoli di questo magistero eucaristico, specialmente ora dopo la celebrazione del Sinodo, la pubblicazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis. Fare sintesi dei frutti di questa ricchezza esuberante di attenzione ai molteplici aspetti del Mistero eucaristico, la qualità di vita ecclesiale, personale e sociale che ne proviene.

Mai il Magistero ecclesiale, interrogando la tradizione viva della Chiesa, la fede vissuta del popolo di Dio, suscitando riflessione teologica ha dimostrato tanta attenzione al Mistero eucaristico; si può fare qualche paragone con i tempi del Concilio di Trento, ma la situazione era molto diversa. 5

Risulta semplice normalità che il Ministero petrino-apostolico ponga massima cura nel custodire, fare vivere in pienezza l’Eucaristia. Il particolare affidamento a Pietro e successori del Memoriale della Pasqua, risulta chiaramente dal Vangelo: la confessione di Pietro a nome dei Dodici: “Signore da chi andremo ? Tu hai parole di Vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68s) avviene a conclusione del discorso-dialogo

5 La Riforma, che ha provocato il dramma tragico della frattura della Chiesa; iniziata sui temi dell’Antropologia teologica, Giustificazione, Teologia crucis e theologia gloriae, si è consumata nella dottrina eucaristica, il Sacrificio, la manomissione del Canone romano, la sua pratica abolizione. L’interesse per l’integrità della preghiera eucaristica è vivo in ogni Comunità ecclesiale, cfr. COMMISSIONE FEDE E COSTITUZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE, Battesimo ,Eucaristia, Ministero, testo elaborato a Lima, n 27 in E. Oe.1, nn 3103-3110; SEGRETARIAT FOR PROMOTNG CHRISTIAN UNITY, Baptism, Eucharist and Ministry (BEM), A Catholic response, july 21 1987, in E.V: 10, nn 1970-2009.

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sul Pane della vita. Parimenti l’affidamento di tutto il gregge a Pietro ‹‹pasci i miei agnelli››, ‹‹pasci le mie pecorelle››, avviene dopo la rinnovata convivialità col Signore risorto, dopo la pesca miracolosa . ( Gv 21,1-17).

Anche la professione di Pietro in Mt 16,16 e Mc 8,29 è posta nella sezione dei pani, dopo le due moltiplicazioni, i discorsi e dialoghi annessi.

Anche in Luca la preghiera di Cristo per Simon Pietro, perché non venga meno la sua fede e possa quindi confermare in essa i suoi fratelli è assicurata nel contesto dell’istituzione dell’Eucaristia, Memoriale della Pasqua di Cristo, del comandamento del servizio (cfr Lc 22,31s). 6

Non ci stupiamo se la professione di fede in Gesù da parte di Pietro, il conferimento delle chiavi del regno, la grazia di confermare i fratelli, avvenga in contesto eucaristico; esattamente perché l’Eucaristia è il compimento-pienezza del progetto di vita e salvezza per l’uomo, partecipazione già ora donata alla stessa Vita Trinitaria, realizzazione della Chiesa universale, col suo primato ontologico e storico, nelle Chiese particolari. 7

Si tratta del Mistero della fede, da ritenere nei termini in cui è stato annunciato ( cfr 1Cor 15,2), da celebrare secondo la volontà istitutiva di Cristo che la Chiesa tramanda con fedeltà ( cfr 1Cor 11,23-29).

Ne dipende la qualità decisiva della stessa vita cristiana: la Chiesa degli Apostoli è una comunità «eucaristica». Vive ringraziando il Padre per avere ricevuto in Cristo la pienezza della Vita, la vittoria sul male e sulla morte; questo atteggiamento eucaristico vissuto è come un’onda lunga, ovunque percettibile, originata, sostenuta, frutto della celebrazione del Memoriale del Signore.

Questa onda lunga eucaristica pervade tutte le lettere paoline, dal loro inizio: è quasi consuetudine di Paolo affermare in primo luogo l’autorità del suo servizio apostolico, per poi subito passare al ringraziamento al Padre per la vita di fede, speranza, carità che qualifica la vita della Chiesa; insistendo poi nella preghiera perché questa vita cristiana porti la pienezza dei suoi frutti. 8

6 ?Cfr SCHLIER, H. ., Il cap. 6 del Vangelo di Giovanni e la concezione giovannea dell’Eucaristia, in La fine del tempo (= Biblioteca di Cultura religiosa 16), Paideia, Brescia 1974, 135s, ove nella nota 40, cita SCHURMANN, H.. Anche ., Il Vangelo di Giovanni, parte seconda, Commento ai cc.5-12, (= Commentario teologico del Nuovo testamento IV/2) Paideia Brescia 1977, 153-157.

7 ? Cfr CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Litterae Communionis notio, del 28/5/ 1992, AAS 85 (1993), 838-850:J. Cfr RATZINGER, J., L’ecclesiologia della Lumen gentium, Convegno internazionale sull’attuazione del Vaticano II, Regno documentazione 2000, 231-238.

8 ? Cfr BOUYER, L., Eucaristia, teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, ELLE DI CI, Torino-Leumann 1983, 121.

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Non ci stupiamo quindi dell’attenzione grande che, si può dire in ogni suo decreto, dichiarazione, costituzione, il Vaticano II ha riservato all’Eucaristia; viene sempre qualificata come fonte, sorgente, centro vivificante e plasmante, ed insieme fine culminante di tutta la vita della Comunità ecclesiale, in ogni suo membro, grado gerarchico, vocazione, attività personale e comunitaria. 9

Il Magistero della Chiesa, specie durante il II Millennio, nella prospettiva di una fedele e fruttuosa celebrazione ( Sinodo di Roma del 1079; Concilio Lateranense IV, Lionese II, Fiorentino e Tridentino 10) ha molto curato la dottrina dei contenuti costitutivi dell’Eucaristia: presenza, sacrificio, comunione.

Paolo VI nell’ultimo periodo del Vaticano II, mentre incoraggiava i Padri nel portare a compimento la Costituzione pastorale GS sui rapporti Chiesa-mondo, ha voluto Lui stesso, come pastore e maestro universale, donare alla Chiesa l’enciclica Mysterium fidei 11 sulla Dottrina e culto della SS Eucaristia; ribadire in modo particolare la presenza in essa vera, reale, sostanziale del Corpo dato e del Sangue versato, per transustanziazione.

9 ? Qualche citazione: Fonte sorgente: SC n 10 (ed. dehoniana numeri marginali 16-17); LG n 11 (313);

PC n 6 (725); UR n 15 (547);PO n 5(1523): “Tutti i Sacramenti, come tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di

Apostolato sono strettamente unite all’Eucaristia, ed ad essa sono ordinate. Infatti nella SS. Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè Cristo nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà la vita agli uomini, i quali sono invitati in tale modo e indotti ad offrire insieme a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create. Per questo l’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’Evangelizzazione, cosicché i catecumeni sono introdotti poco a poco alla partecipazione dell’Eucaristia, ed i fedeli già segnati dal S. Battesimo e dalla Confermazione, sono pienamente inseriti nel Corpo di Cristo per mezzo dell’Eucaristia. La sinassi eucaristica è dunque il centro della comunità dei fedeli presieduta dal Presbitero”.

Culmine, fine, centro: SC n 10 (16-17): LG N 11(313); CD n 30 (657); AG n 9 (1109), 39 (1127); GS n 38 (1437s).

Comunica la carità: LG n 26 (348); fa conoscere e vivere il Mistero pasquale: CD n 15 (606); adorare Dio in Spirito e Verità GE n 2 (825).

Cfr Liturgia e spiritualità,(= BEL 64), CLV Roma 1992, le relazioni di R. FALSINI, La Liturgia come culmen et fons: genesi e sviluppo di un tema conciliare, 27-50, e di G.CAVAGNOLI, La Liturgia come “culmen et fons”, significati e sviluppi di un tema conciliare, 51-70.

10 ? Cfr NEUNHEUSER, B., L’Eucharistie II. Au moyen age et à l’époque moderne,(=Histoire des dogmes) Cerf, Paris 1966

11 ? Lettera enciclica del 3/9/1965: AAS 57(1965), 753-774.

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Era convinto, Paolo VI, che senza una limpida fede nella presenza del Signore Gesù nell’Eucaristia, in relazione alle sue molteplici presenze nella Chiesa, non si può realizzare il progetto di rinnovamento della Chiesa, di una sua irradiazione missionaria, dialogo salvifico con la società di oggi.

Parimenti Giovanni Paolo II ha voluto che il terzo millennio iniziasse con una nuova edizione del Missale romanum, l’Enciclica Ecclesia de Eucharistia 12, l’Istruzione 13 della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti Redemptionis sacramentum, su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la SS Eucaristia, l’indizione dell’Anno Eucaristico con la lettera apostolica Mane nobiscum Domine 14, in preparazione al Sinodo dei Vescovi, quest’ultimo realizzato sotto Benedetto XVI.., con il suo frutto pieno nella Sacramentum caritatis

E’ un momento di grazia, la situazione favorevole per la stesura di un trattato sull’Eucaristia. Risulta anche in qualche modo insinuato dalle Proposizioni votate dai Padri sinodali, ove si chiede la composizioni di sintesi sistematiche; in particolare si incoraggia la progettazione di un Compendio eucaristico,(n 17) 15, proposta accolta nella Sacr. car. n 93:

“A cura dei competenti Dicasteri sarà pubblicato un Compendio, che raccoglierà testi del Catechismo della Chiesa Cattolica, orazioni, spiegazioni delle preghiere eucaristiche del Messale, e quant’altro possa rivelarsi utile per la corretta comprensione, celebrazione e adorazione del Sacramento dell’altare.”

Il Sinodo inoltre al n. 22: “auspica che si mostri con maggiore chiarezza il legame dell’Epiclesi con il racconto dell’Istituzione”; in tale modo “Diventerebbe più evidente come tutta la vita dei fedeli sia, nello Spirito Santo e nel Sacrificio di Cristo un’offerta spirituale gradita al Padre”. Domanda accolta dalla Sacr. Car., n 48 : “In particolare la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità nell’anafora tra l’invocazione dello Spirito Santo e il racconto dell’istituzione, ‹‹in cui si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima cena››”16

12 ? Lettera enciclica del 17/4/2003: AAS 95 (2003), 433-475.13 ? CONGREGAZIONE DEL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI,

Istruzione del 25/3/2004, AAS 96 (2004), 549-601.14 ? Lettera apostolica del 7/10/2004: AAS 96 (2004), 337-352.15 ? SYNODUS EPISCOPORUM, Elenco finale delle Proposizioni, in Notitiae, 41

(2005), 448s.16 Anche al n 13 si afferma : “E’ quanto mai necessaria per la vita spirituale dei

fedeli una coscienza più chiara della ricchezza dell’anafora: insieme alle parole pronunciate da Cristo nell’Ultima Cena, essa contiene l'Epliclesi, quale invocazione al

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Da questi studi si prevede un altro vantaggio: “che sia meglio precisata la natura della diversa causalità implicata nella formula: «la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa»”. La Sacr. Car. al n 14 offre in materia un ulteriore ‹‹significativa opzione magisteriale per il primato della causalità eucaristica su quella ecclesiale››.17.

Domanda molteplice di esposizioni più unitarie, organiche, della ricchezza insita e dell’efficacia del Mistero eucaristico nella vitalità della Chiesa. Il Card. A. Scola., nella Relatio post disceptationem, trae dagli interventi dei Padri un incoraggiamento a superare i «dualismi» che indeboliscono la comprensione e la pietà eucaristica:

“In linea di massima dagli interventi dei Padri sinodali è emerso un orientamento di fondo: il superamento di ogni dualismo tra dottrina e pastorale, tra teologia e liturgia. E’ la conseguenza del carattere di azione liturgica (rito) proprio dell’Eucaristia. Il cammino mistagogico non va dalla teologia alla liturgia, ma in senso inverso dalla liturgia ben celebrata all’intelligenza dei misteri. Non esiste una dottrina avulsa dalla vita; nè si può pensare alla concreta esistenza cristiana indipendentemente dal contenuto normativo della fede.” 18

La Sacr. Car. risponde a questo desiderio con una ‹‹innovativa affermazione della centralità dell’azione liturgica nella vita della Chiesa. Essa è in effetti il cuore di tutto il testo››.19 Il Card. Scola individua questo cuore dell’esortazione apostolica di Benedetto XVI nel suo n 34:

“ Il Sinodo dei Vescovi ha riflettuto molto sulla relazione intrinseca tra fede eucaristica e celebrazione, mettendo in evidenza il nesso tra lex celebrandi e lex credendi e sottolineando il primato della azione liturgica. E' necessario vivere l’Eucaristia come mistero della fede autenticamente celebrato, nella chiara consapevolezza che ‹‹l’intellectus fidei è sempre originariamente in rapporto con l’azione liturgica della Chiesa››20 In questo ambito la riflessione teologica» non può mai prescindere dall’ordine sacramentale istituito da Cristo stesso. D’altra

Padre perché faccia discendere il dono dello Spirito affinché il pane ed il vino diventino il corpo ed il sangue di Gesù cristo, , perché ‹‹ la comunità tutt’intera diventi sempre più corpo di Cristo››”

17 Card. SCOLA, A., Presentazione di ‹‹Sacramentum caritatis››, in Osser. Rom. del 14/3/ 2007, 11.

18 ? SCOLA, A., Relatio post disceptationem, n 4, in Notitiae, 41 (2005),426; in Regno Documenti, 2005, 535.

19 ID., Presentazione di Sacr. Car., cit.20 Relatio post disceptationem, 4: Osser. Rom. del 14/10/2005,5; Notitiae,

41(2005) 426

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parte l’azione liturgica non può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della fede. La sorgente della fede e della liturgia, infatti ,è il medesimo evento : il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero pasquale.”

Il Card. Scola osserva inoltre che molti Padri, nei numerosi richiami ad una catechesi liturgica, hanno messo in evidenza il tema della Mistagogia:

“Essa consente di affrontare una delle principali sfide posta dalla dominante cultura spesso secolarizzata, che tende a non dare spessore reale al mistero o a ridurlo in termini irrazionali [...] Per i Padri che ne hanno sostenuto l’importanza la Mistagogia permette di vivere la liturgia come un insieme unitario ed articolato di gesti, azioni, parole, processioni che impiega spazi, arredi, suppellettili.

Essa diviene così una via maestra per iniziare il fedele al mistero che viene celebrato; consente una genuina comprensione dell’esperienza celebrativa così che dall’agire liturgico scaturisca un approfondimento del senso dell’agire salvifico di Dio. Infatti l’azione liturgica, se rispetta tutte le sue dimensioni, contiene già in se stessa la capacità di introdurre ai misteri cristiani, mostrando la loro incidenza nella vita quotidiana.”21

Le Proposizioni richiedono in più luoghi una teologia, catechesi Mistagogica, come al n 16:

“La tradizione più antica della Chiesa ricorda che il cammino cristiano, senza trascurare l’intelligenza sistematica dei contenuti della fede, è esperienza che nasce dall’annuncio, si approfondisce nella catechesi e trova la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione liturgica[...]. Suscitata dall’annuncio della Parola di Dio, la fede è nutrita e cresce nell’incontro di grazia col Signore risorto nei Sacramenti. La fede si esprime nel rito ed il rito rafforza e fortifica la fede. “. 22

21 Ibidem, n 3622 Più volte nei documenti preparatori si è parlato di Mistagogia. Così nei

Lineamenta: L’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, cap. quinto: La Mistagogia eucaristica per la nuova evangelizzazione.

Al n 45 si parla della Mistagogia dei Padri: quella post-battesimale degli iniziati. Gli Alessandrini propongono un Mistagogia più allegorica; gli Antiocheni, S. Giovanni Crisostomo, S. Cirillo di Gerusalemme, Teodoro di Mopsuestia, più tipologica “descrivere attraverso la liturgia gli avvenimenti storici e misterici della salvezza. Per loro i sacramenti riproducono imitando (mimesis) o fanno memoria (anamnesis) dei gesti salvifici della vita di Gesù e anticipano la liturgia definitiva, anzi la trasferiscono nell’oggi a motivo della presenza del Signore risorto tra coloro che si riuniscono per il culto”.

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La Sacr. Car. accoglie, anzi va oltre, introducendo la categoria della ‹‹bellezza›› , che è sintesi di Amore e Verità sensibilmente espressi; cosi si esprime al n 35.

“Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, come del resto la rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella Liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione.[…] la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore […] la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione […] La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale”.

Il superamento della dualità tra teologia e liturgia, tra dottrina e pastorale è facilitata da una corretta Omelia, che “ponga la parola di Dio proclamata nella celebrazione in stretta relazione con la celebrazione sacramentale (Cf SC 52) e con la vita della comunità, in modo tale che la parola di Dio sia realmente sostegno e vita della Chiesa (DV 21), e si trasformi in alimento per la preghiera e l’esistenza quotidiana. L’omelia, conformata agli insegnamenti dei Padri della

Al n 46 si specifica che Mistagogia “significa condurre per una strada che porti al mistero, si comprende perché non basti un itinerario liturgico senza una conversione personale.”

Al n 47 si ricorda che “Il Signore cammina con il suo popolo, accompagna sempre la missione della Chiesa con la sua presenza, che ci trasforma e ci fa entrare nel tempo definitivo (èschaton). Al principio della Mistagogia c’è un incontro di fede col Signore attraverso la sua grazia [...] Dall’incontro di Cristo con l’uomo è partito un itinerario di conoscenza che si sviluppa in esperienza di fede: «dove abiti? ... e si fermarono presso di Lui» ( Gv 1,38-39). Così accadde che alcuni lo seguirono. Questa è la Mistagogia di Dio verso l’uomo, a cominciare nel prendere la nostra carne e portarla alla redenzione.

La mistagogia moderna dovrà evitare l’allegorismo, che non di rado risulta indecifrabile e astratto e induce a commenti prolissi; invece confiderà nella forza dello Spirito che si comunica mediante la sobrietà delle parole e dei gesti sacramentali. La missione dello Spirito è donare l’intelligenza di ciò che Gesù Cristo ha rivelato. Egli è il mistagogo invisibile [...] Lo stesso contributo dei teologi medioevali è utile per rispondere alle esigenza razionale dell’intelligenza del Mistero.

Anche nell’Instrumentum laboris, si parla di Mistagogia: il Sacerdote celebrante, ministro dei divini misteri ‹‹ne è pure interprete, mistagogo e testimone›› ( n 55 ); per questo ‹‹la norma basilare da osservarsi per un vescovo e un sacerdote è di aiutare i fedeli a entrare nel mistero della presenza del Signore››( n 56 ), in Regno Documenti 15 (2005) 416.

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Chiesa, è una vera mistagogia, ossia una vera iniziazione ai misteri celebrati e vissuti.” 23

Superare la dualità tra celebrazione e vita, procurando lo sviluppo concreto di una solida spiritualità eucaristica, che animi, qualifichi, orienti ogni stato di esistenza cristiana, sacerdotale, consacrata, familiare, ogni impegno lavorativo, professionale, sociale, ecologico.

Percorrendo le Proposizioni del Sinodo, specialmente la Terza parte circa la Missione del Popolo di Dio nutrito dall’Eucaristia, si avverte un senso di stupore sulla capacità dell’Eucaristia di realizzare, alimentare il Corpo ecclesiale e tutte le articolate vocazioni che lo costituiscono, impegni di vita, inserimenti sociali e cosmici.

Stupore che è accresciuto esaminando la Terza parte della Sacr. Car., ‹‹Eucaristia , Mistero da vivere, Forma eucaristica della vita cristiana››: la lex vivendi eucaristica manifesta nella vita ciò che si è professato, lex credendi, e si è celebrato, lex orandi, celebrandi eucaristica.. Alla completezza delle due prime parti, vera novità preziosa di magistero, corrisponde la bellezza della terza parte.

La visione dell’uomo, la moralità e la spiritualità del suo operare trovano nell’Eucaristia fondamento e qualificazione; anche criteri sicuri per una debita correzione 24.

Anche Giovanni Paolo II nella Mane Nobiscum Domine n 5, ci chiede di accentuare in tutti i cammini pastorali «la dimensione eucaristica, che è propria dell’intera vita cristiana».

Stendere un trattato sull’Eucaristia, che in prospettiva mistagogica, in una sistematica teologica, offra una intelligenza organica del Mistero; e fondi così la dimensione eucaristica, propria dell’intera vita cristiana, si presenta opera complessa: facile cadere nell’unilateralità, coltivare un solo aspetto a scapito di altri, appena accennati.

Cercherò di seguire questo itinerario: anzitutto, ancora in contesto introduttorio, considerare brevemente l’inserimento dell’Eucaristia nell’insieme degli altri trattati; questo ci introduce a precisare meglio le relazioni tra lex orandi-celebrandi, lex credendi e lex vivendi, una premessa organica, metodologica necessaria. 25

23 ? Proposizione n 19.24 ? Cfr MANARANCHE, A., Il Corpo di Cristo pane della speranza, Morcelliana

Brescia 1976,13-2225 Per orientarsi sull’origine dell’effato teologico: Legem credendi lex statuit

supplicandi di Prospero d’Aquitania, vedi GIRAUDO, C.,In unum corpus, trattato

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Una prima parte tratterà evidentemente la Rivelazione biblica e i primi tre secoli della Chiesa, secoli della genesi delle grandi Anafore: filo conduttore sarà lo studio della formazione del cuore dell’Eucaristia, cioè la sua Prex, Anafora, Canone. Una sua comprensione mistagogica, ricercare come il Signore Gesù ci parli, agisca, sia presente nella preghiera e nei riti, richiede lo studio della sua genesi.

Segue una seconda parte, che percorre la storia teologica della celebrazione, la sua dottrina definita: filo conduttore di questa parte sarà la presenza reale, vera, sostanziale del Corpo dato e del Sangue versato negli alimenti eucaristici.

Ci lasciamo ispirare dalla Mane Nobiscum Domine. n 16, ove Giovanni Paolo II ci dice: “Tutte queste dimensioni ( convito, sacrificio, memoriale e pegno escatologico, comunione ) dell’Eucaristia si rannodano in un aspetto che più di tutti mette alla prova la nostra fede: è il mistero della presenza «reale».

Con tutta la tradizione della Chiesa noi crediamo che sotto le specie eucaristiche, è realmente presente Gesù. Una presenza - come spiegò efficacemente il Papa Paolo VI - che è detta reale non per esclusione, quasi che le altre forme di presenza non siano reali, ma per autonomasia, perchè in forza di essa Cristo tutto intero si fa sostanzialmente presente nella realtà del suo Corpo e del suo Sangue. [...]”. E al n 21: “ Proprio la sua presenza dà alle altre dimensioni «di convito, di memoriale della Pasqua, di anticipazione escatologica», un significato che va ben al di là di un puro simbolismo.”

Nella terza parte l’attenzione sarà più direttamente sistematica: qui il filo conduttore sarà il sacrificio di Cristo e della sua Chiesa, come ancora ci ricorda la Mane Nobiscum Domine al n 15, “non si può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha anche un senso profondamente e primariamente sacrificale”.

Qui Giovanni Paolo II riprende l’insegnamento forte della sua enciclica eucaristica, ai nn 11-16. Benedetto XVI parla della dimensione sacrificale dell’Eucaristia specialmente nei nn 9-11 : Eucaristia: Gesù vero Agnello immolato, ma è nello sfondo qualificante l’intera esortazione apostolica.

L’Eucaristia è sempre stata creduta anzitutto come sacrificio, anche se la riflessione sistematica è fiorita specialmente dopo il Tridentino . Conosciamo anche l’importanza decisiva in campo ecumenico dell’Eucaristia come sacrificio; in questa terza parte si terranno presenti i dialoghi ecumenici, l’ecclesiologia eucaristica, l’intercomunione.

mistagogico sull’Eucaristia, ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000, 22-32.

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Evidentemente le tre parti: rivelazione, storia, sistematica sono interiormente comunicanti tra di loro: la dimensione mistagogica, come presenza unica, inaudita del Crocifisso risorto, il suo Corpo dato ed il Sangue versato, che ci parla, ci unisce a sè attraverso la preghiera, i riti e segni sacramentali, edificando la sua Chiesa, rappresenta il filo conduttore dell’intero trattato. Sarà posto in risalto specialmente nella Conclusione.

L’EUCARISTIA NELL’INSIEME ORGANICO DELLA TEOLOGIALex orandi-celebrandi, Lex credendi, Lex vivendiIl Signore Gesù nell’ultima Cena porta a compimento il suo stare in mezzo

a noi, l’intera storia salvifica dell’umanità . Celebra il Segno profetico della sua Pasqua, il dono inaudito del suo Corpo dato, del suo Sangue versato, come sacrificio che lo porta per noi al Padre, che fruttifica lo Spirito Santo promesso, per una vita nuova di carità-servizio; segno profetico, che affida a Pietro e ai Dodici come Memoriale della sua Pasqua, per rendere presente, nei tempi della Chiesa, Lui, il Crocifisso glorioso, che dona lo Spirito Santo, in attesa della sua piena manifestazione gloriosa.

L’effettiva celebrazione del Memoriale avverrà, dopo la rinnovata commensalità con il Crocifisso risorto, dopo la Pentecoste; ricevuto il dono dello Spirito Santo (cfr At 2,14-42), Pietro annuncia ai rappresentanti di tutti i popoli, la Resurrezione di Cristo, i suoi frutti di conversione, liberazione dal peccato e vita nuova, da ottenersi col Battesimo e un segno datore dello Spirito Santo. Segue una vita comunitaria ritmata dallo Spezzare il pane.

La Chiesa nasce nell’ultima cena con l’Eucaristia, il suo esatto affidamento a Pietro e ai Dodici; qui, potremo dire, inizia la Mistagogia: Gesù ci introduce alla sua preghiera benedicente, ringraziante il Padre mentre nel rito sul pane ed il vino ci dona il suo Corpo dato in sacrificio, il suo Sangue versato per l’esodo definitivo al Padre; e ne offre ampia spiegazione, con la promessa dello Spirito Santo, nei discorsi riportati da Giovanni e più sinteticamente da Luca.

Qui, potremo dire, la Lex orandi-celebrandi dà il contesto alla Lex credendi, la spiegazione orale dell’evento pasquale, i suoi frutti di carità servizio, Lex vivendi.

L’effettiva celebrazione del Memoriale, lo Spezzare il pane nella Chiesa apostolica dopo la Pentecoste(cfr At 2,42), è invece preceduto dall’annuncio della Risurrezione, la remissione dei peccati, la vita nuova come efficacia del Battesimo e del segno che conferisce la Spirito Santo: qui la Lex credendi costituisce il contesto dello Spezzare il pane; che, nella sua effettiva celebrazione, risulta preceduto dall’insegnamento degli Apostoli.

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Anche nella trattazione sistematica della Teologia notiamo un certo precedere della Lex credendi: il trattato dell’Eucaristia si pone normalmente alla quasi conclusione della teologia dogmatica; solo un certo precedere, perché di fatto tutto, nella vita della Chiesa, avviene nella luce e grazia del Crocifisso Risorto, di cui l’Eucaristia ci offre la più intensa e qualificante presenza.

Possiamo così meglio comprendere come, nonostante un certo precedere in teologia sistematica della Lex credendi, sia poi l’Eucaristia, la sua densità di Lex orandi-celebrandi-vivendi, a portare a vera pienezza tutti gli itinerari dei vari trattati. 26

Approfondendo la teologia dell’Eucaristia, accogliamo e prolunghiamo il cammino degli studi Cristologici, Trinitari e soteriologici: il Crocifisso glorioso, fondamento della Creazione, operante la Redenzione è con noi sino all’estremo del Corpo dato e del Sangue versato nella familiare convivialità eucaristica; qui la nostra abitazione nel Mistero trinitario, vivere come Figli, Fratelli conformati a Cristo la Paternità divina nella carità Spirito Santo, raggiunge un realismo estremo. La Sacr. car., n 8, afferma: “ In essa [Eucaristia] il Deus Trinitas, che in se stesso è amore(cfr 1Gv 4,7-8), si coinvolge pienamente con la nostra condizione umana.[…] siamo resi partecipi dell’intimità divina.”

L’Eucaristia è il fiore più bello sorto dalla Pasqua di Cristo: la sua precisa volontà istitutiva nell’ultima cena, il comando rivolto a Pietro e agli Apostoli di fare questo in «memoria di me» viene incontro alle esigenze della Chiesa pellegrinante affinché Lui, il Signore glorioso, non sia soltanto la meta della storia, ma continuamente, per una presenza intima, conviviale, la accompagni e la sostenga con tutta la forza del suo amore vivificante al Padre per i fratelli, sino al compimento della sua manifestazione gloriosa. 27

Realizziamo anche il completamento dell’itinerario di Antropologia teologica: l’uomo è creato secondo l’immagine di Dio, Cristo; la sua vera misura, in tutto, risulta essere la partecipazione allo stesso Signore Gesù. Ora, nell’Eucaristia, Cristo ci unisce al suo stesso Sacrificio, ci configura a se nello Spirito Santo, ci partecipa i suoi sentimenti ed opere filiali e fraterne. Anche la

26 ? Cfr Sacramentum caritatis , Eucaristia e Chiesa (nn 14-15), Eucaristia e Sacramenti (nn 16-29), Eucaristia ed escatologia, n 30 ‹‹Eucaristia: dono dell’uomo in cammino››; n 31 ‹‹Banchetto escatologico››, n 32 ‹‹Preghiera per i defunti››; NICHOLAS, R. A, . The Eucharist as the center of Theology, A Comparative Study, Peter Lang, New York-Waschington 2005; MOSCHETTI, S. M., Eucaristia e Teologia, in Theologica e Historica XIV (2005) 83-110

27 ? Cfr MARTINI, C. M., «Attirerò tutto a me», L’Eucaristia al centro della comunità e della sua missione, lettera al clero e ai fedeli per l’anno pstorale 1982/83, Centro ambrosiano Documentazione e studi religiosi, Milano .

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ritualità umana è assunta dal Crocifisso glorioso, che la colma di se stesso, del suo donarsi al Padre per i fratelli.

Frutto, esito dell’Eucaristia è il rinnovamento delle persone configurate a Cristo, ma non isolatamente, bensì nel corpo ecclesiale suo, nelle sue articolazioni: non c’è Chiesa in pienezza senza Eucaristia; il Corpo ecclesiale è qualificato, edificato dalla intima presenza, comunione col Corpo del Crocifisso glorioso.

Qui abbiamo la vera genesi, nascita dell’uomo, persona nella comunità ecclesiale, nella comunità familiare; il primo Adamo, la prima Eva sono immagine di Cristo, di Maria SS perfezione della Chiesa sposa; l’Adamo di Genesi rappresenta una prima schematica immagine, per di più profondamente deturpata dal peccato (Cfr Rm 5,14), di Cristo, il vero Uomo.

Il primo giardino, della gioiosa comunione con Dio, dell’Albero della vita il cui accesso dipende dall’obbedienza ai comandamenti del Signore, il rispetto per l’Albero del bene e del male, è stato precluso per l’insubordinazione dell’uomo; viene ridonato, intensificato per l’obbedienza di Cristo, la sua morte e risurrezione: pur essa avviene in un giardino (Cfr Gv 20,15). 28

La narrazione della vera nascita, formazione dell’uomo in pienezza definitiva, è racchiusa nella ritualità dell’ultima cena, del segno profetico della Pasqua del Signore, che costituirà il cuore del Memoriale del Signore: nella sua corretta celebrazione nei tempi della Chiesa; il Crocifisso glorioso intensifica nei Battezzati la partecipazione alla sua vittoria sul male e sulla morte, cura le fragilità delle persone che si riflettono sull’unità della Chiesa.

Nell’Eucaristia si edifica la Chiesa; tutte le sue articolazioni ministeriali trovano in essa la loro piena verità e dinamismo: pur sempre celebrata nelle Chiese particolari, rende presente, nel «pleroma» ( Col 1,19; 2,3.9; Ef 1,22-23; 4,11-16; Gv 1,14-18) del Crocifisso glorioso, la Chiesa universale, affidata alla cura pastorale di Pietro e del Collegio apostolico.(Sacr. Car. n 14-15)

Anche l’identità del Presbitero che celebra in «Persona Christi» a favore della Comunità, è tutta sulla misura dell’Eucaristia, secondo la sostanziale presenza di Cristo maestro, capo, sposo della Chiesa; il presbitero, che ne è segno sacramentale, «ontologicamente» segnato, è invitato a conformarsi sempre più a Lui nel dono sponsale alla sua Chiesa. 29

28 ? Cfr LAFONT, G., Dieu, le temps, l’etre (=Cogitatio fidei 139) Cerf Paris 1986, 152-157. GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, prospettive teologiche sull’Eucaristia a partire dalla «lex orandi», Gregorian university press-Morcelliana, Roma-Brescia 1989, 36-79.

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Con l’Eucaristia carità di Cristo, suo dono totale, sponsale alla Chiesa sposa per santificarla e purificarla (Cfr Ef 5,22-23), si consolida e si alimenta la grande famiglia dei Figli di Dio, la Chiesa petrino-apostolica, Sacramento universale di salvezza (LG n 48; Sacr.Car. n 16); ma in modo simile si edifica anche la Famiglia piccola Chiesa, Sacramento matrimoniale.(Sacr.Car. n 27-29).

Come ai Pastori, la cui vita è legata intrinsecamente al dono eucaristico, si richiede una vita totalmente conformata alla carità di Cristo sposo, in una dedizione che non conosce famiglia propria, essendo divenuta la Chiesa, la grande famiglia dei Figli di Dio, l’unico scopo, interesse della propria vita, così gli sposi, sostenuti dal dono eucaristico, potranno esprimere nella propria esistenza una fedeltà incondizionata, una fecondità generosa che li costituisce famiglia, piccola santa Chiesa. (Sacr.Car. nn 79-80).

Tutti i Sacramenti portano all’Eucaristia, si alimentano di essa, per costruire il corpo ecclesiale nelle sue articolazioni visibili, affinché la grazia dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo e del Padre, trasformi i cuori, crei i legami più forti, invisibili, nel dono reciproco, secondo la propria vocazione, nell’unico Corpo ecclesiale (Eccl. de Euch. nn 35-40; Sacr. Car. nn 16-29).

Quando la situazione di peccato grave stride con la partecipazione alla Comunione eucaristica, l’autorità della Chiesa «lega il peccato» ( Cfr Mt 18,18;Gv 20,23); chiede un attento esame della propria coscienza ( Cfr 1Cor 11,27-29), allontana temporaneamente dalla Comunione stessa, per suscitare un cammino, guidato dall’autorità apostolica, di Penitenza, nella prospettiva della Riconciliazione sacramentale, il pieno ritorno alla Comunione eucaristica.30

L’Eucaristia è partecipazione al Sacrificio Pasquale del Signore, alle sue sofferenze salvifiche; quando il Battezzato per la malattia grave, in cui risuona più intensamente la peccaminosità umana, sperimenta la difficoltà di unirsi a tale vertice di conformità a Cristo, lo sostiene e conforta la Grazia ottenuta con la preghiera e l’Unzione dei Presbiteri della Chiesa (Cfr Gc 5,13-15).

29 ?Giovanni Paolo II nella «Ecclesia de Eucharistia», n 31 afferma “Per questo, con animo grato a Gesù Cristo Signore nostro, ribadisco che l’Eucaristia «è la principale e centrale ragione d’essere del Sacramento del Sacerdozio, nato effettivamente nel momento dell’istituzione dell’Eucaristia e insieme con essa» (Lett. Ap. Dominicae Cenae,2: AAS 72(1980) 115.); Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n 23-26; 80

30 ? Giovanni Paolo II, Eccl. de Euch. n 36: “Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretato la severa ammonizione dell’Apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna recezione dell’Eucaristia « si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»“. Cfr Sacramentum caritatis, n 20-21.

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Potrà così, nell’ora disposta dal Signore, circondato dalla preghiera e dalla carità della Chiesa, ricevere l’Eucaristia viatico per essere conformato a Cristo nell’Esodo pasquale al Padre.(Sacr. Car. n 22).

Il discorso sul compimento eucaristico degli itinerari teologici, si potrebbe prolungare considerando le relazioni tra Parola di Dio ed Evento-Parola eucaristici; ma abbiamo già visto come il Memoriale eucaristico sia l’Evento-Parola fondante la Chiesa, e diventi così il luogo privilegiato del ricordo di tutte le parole del Signore, ambito della stesura ispirata del Nuovo testamento.31

Nel convergere, ricapitolarsi, di tutta la storia salvifica di Israele, e dell’intera umanità, verso Cristo, e di tutta la sua vita terrena nella Pasqua resa presente nel Memoriale eucaristico, abbiamo in Esso il luogo della consapevolezza dell’unità del Vecchio e Nuovo testamento, dell’unità in Cristo dell’intero Corpo scritturistico.32

La consapevolezza che la Liturgia eucaristica della Chiesa ancora pellegrinante viene celebrata in piena comunione di sintonia, anzi di identità con la Liturgia celeste dell’Agnello immolato e glorioso, sua lode, adorazione, ringraziamento, supplica, ripetuta glorificazione, questa piena consapevolezza ci viene rivelata nell’Apocalisse., sostiene ed illumina il cammino della Chiesa pellegrinante. 33

31 ? Cfr LAFONT, G., Dieu, le temps, l’etre, (=Cogitatio fidei, Cerf, Paris 1986, 152-157; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMAMENTI, Anno dell’Eucaristia, suggerimenti e proposta, n 23, in Notitiae 40 (2004) 529s.; PERROT, CH. L’Eucharistie dans le Nouveau Testament, in Encyclodédie de l’Eucharistie, ed. BROUARD, M. , Cerf, Paris 2002, 74.

32 In questo contesto situiamo l’insegnamento della Sacr.Car. ‹‹Sull’unità intrinseca dell’azione liturgica››, n 44 :” Pertanto , si deve costantemente tenere presente che la parola di Dio, dalla Chiesa letta e annunciata nella liturgia, conduce all’Eucaristia come al suo fine naturale”; n 45 :”La parola di Dio per essere ben compresa deve essere ascoltata ed accolta con spirito ecclesiale e nella consapevolezza della sua unità con il Sacramento eucaristico. Infatti, la parola che annunciamo ed ascoltiamo è il Verbo fatto carne(cfr Gv 1,14) ed ha un intrinseco riferimento alle persona di Cristo e alla modalità sacramentale della sua permanenza”

33 Anche la comunità direttamente ammaestrata dalla lettera agli Ebrei, è invitata a gestire la propria vita comunitaria e personale, nella luce e nel conforto di Cristo entrato, con il sacrificio del suo corpo, una volta per sempre, nel santuario celeste. Eb. 10,10; 6,17-20; 9,23-28; sono tutte comunità segnate da una perseverante celebrazione eucaristica, anche se i riferimenti espliciti diretti, sono pochi; non ci stupiamo se la Chiesa ha potuto definire ‹‹l’identità sostanziale›› tra il Corpo Eucaristico e quello Celeste(DH 1636). Per l’Apocalisse cfr TORIBIO CUADRADO, J. F., Stilizzazione liturgica della venuta di Cristo nell’Apocalisse, in APOKALYPSIS, percorsi nell’Apocalisse in

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Questo libro ispirato può così guidare la Chiesa nel suo cammino, suscitando speranza anche nelle situazioni più drammatiche, sino all’invocato avvento definitivo del Signore, il pieno costituirsi della Gerusalemme celeste.

In queste appena abbozzate relazioni Eucaristia-Scritura, appare una certa precedenza qualitativa storica della lex orandi-celebrandi eucaristica; precedenza che possiamo cogliere anche nei riguardi della vita morale-spirituale.

Tutta la qualità della vita cristiana, procede, è alimentata dal Sacrificio eucaristico; Cristo, nel suo Sacrificio della Croce che il Memoriale rende presente, compie per noi l’esodo al Padre in una vita risorta nello Spirito Santo, affinchè tutta la nostra vita, conformata a Cristo, sia già ora progressivamente, animata dalla Carità-Spirito Santo, nel dono saggio e sincero ai fratelli, per la glorificazione del Padre. 34

Abbiamo quindi urgenza, vera necessità di partecipazione eucaristica, affinché si approfondisca e perseveri in noi questo dinamismo salvifico; come ricorda la Veritatis splendor n 21; non ci è sufficiente per questo il solo esempio di Cristo, sarebbe Pelagio, è necessaria una sua autentica contemporaneità alla nostra vita, affinché ci unisca , ci purifichi e conformi a Sè (n 25).

Questa è stata esattamente l’intenzione del Signore Gesù nell’offrirci nell’Eucaristia la sua presenza salvifica, non solo eternizzata nella Gloria del Padre, ma anche corporalmente vicina a noi, in noi nei tempi e nei luoghi del nostro pellegrinaggio terreno.

Una presenza non solo di orientamento ed energie spirituali, ma di concretezza corporea, con tutte le sue esigenze morali, in tutti gli atti umani. L’Eucaristia, incorporandoci più intensamente nella vita della Chiesa, nelle sue articolazioni e funzioni mediatrici della Grazia, nei suoi compiti sacerdotali e laicali, stimola il saggio uso della ragione, le sue valutazioni morali, il

onore di Ugo Vanni, ed. BOSETTI, E. e COLACRAI A. , Cittadella ed., Assisi 2005, 499; SPATAFORA, A., Il tempio nell’Apocalisse, ibidem 555. VANNI, U. , Tempo ed eternità nell’Apocalisse: traccia per una riflessione teologico-biblica, in CASALEGNO, A., ed., Tempo ed eternità, in dialogo con U. Vanni, ed. S.Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2002, 25-72.

34 Sacr. Car. n 82 ‹‹Eucaristia e trasformazione morale›› e n 83 ‹‹Coerenza eucaristica››; Cfr. TREMBLAY, R., L’Eucharistie et le fondament christologique de la morale chrétienne, in St. Mor. 33 (1995) 57-65; SCOLA, A. , Gesù Cristo legge vivente e personale, in Lettera enciclica Veritatis splendor, Testo e commenti (=Quaderni dell’Osservatore romano) LEV 1994, 153-157.

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discernimento e la valutazione delle illuminazioni e consolazioni dello Spirito Santo per le scelte concrete. 35

Nello sviluppo del nostro trattato, intreccio di Lex orandi-celebrandi e di Lex credendi, saremo attenti a queste intime implicazioni della lex vivendi. Anche ricordandoci che la celebrazione dell’Eucaristia nella Chiesa richiede non solo l’iniziazione battesimale, desiderabile anche quella crismale, ma una qualità di vita cristiana coerente a questa iniziazione, sia nella professione delle Verità di fede, sia nel vissuto spirituale-morale.(Eccl. de Euch. n 36; Sacr. Car. nn 28-28; 82-83)

La via ottimale è quindi percorrere anzitutto la lex orandi-celebrandi: in concreto una teologia mistagogica, che cerchi intelligenza della Preghiera eucaristica; preghiera che nei tempi della Chiesa ha fedelmente sviluppato il «benedire-ringraziare» di Gesù nell’ultima Cena. Siamo incoraggiati in questo anche dalla Sacr. Car. n 34 , che ha posto in risalto il primato dell’Azione liturgica, una affermazione innovativa, cuore di tutta l’Esortazione apostolica post sinodale.36 Che stimola la teologia a sviluppare una ‹‹coscienza più chiara della ricchezza dell’anafora›› , impegno ‹‹quanto mai necessario per la vita spirituale dei fedeli››.(n 13).

Benedicendo e ringraziando, il Signore Gesù ha preso il pane, lo ha spezzato, dichiarato suo corpo offerto in Sacrificio, dato personalmente in Comunione agli Apostoli; in modo simile per il calice del vino. Questo benedire e ringraziare avvolge e qualifica tutti i gesti rituali del Signore . Questo ringraziare e supplicare, divenuto ‹‹anafora, canone›› della Chiesa, esprime anche la qualità della preghiera, conforme alla situazione salvifica nuova realizzata dal Sacrificio reso presente, vita di risurrezione iniziale nella Spirito Santo, di comunione trinitaria.

Scegliamo, come testo liturgico di partenza, la seconda preghiera eucaristica del Messale Romano. Scelta appropriata per più motivi: rappresenta una rielaborazione della Preghiera eucaristica suggerita come schema al Vescovo neoconsacrato secondo la Tradizione apostolica di Ippolito romano (III sec.); è la prima anafora completa di nostra conoscenza, individuabile anche nell’Anafora siriaca del Testamentum Domini, nonché nelle Anafore etiopiche dei SS Apostoli e di Nostro Signore.

35 ? Cfr BIFFI, I., La prospettiva biblica-cristologica della Veritatis Splendor, in RUSSO, G. ed. Veritatis splendor, ed. Dehoniane, Roma 1994, 87-96; RATZINGER, J., Introduzione allo spirito della Liturgia, S.Paolo ed., Cinisello Balsamo 2001, 42s.

36 Cfr pag 6

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Si dubita che sia stata usata nella Chiesa romana; ma nell’attuale rielaborazione risulta la più proclamata, in un rifacimento che segue lo schema fondamentale teologico del Canone romano, con due Epiclesi, una prima della consacrazione, la seconda per la trasformazione dei comunicandi.

Per questa via, del rifacimento, ci introduce alla mistagogia del rito romano; insieme, nel testo originario del III sec. ci apre alla struttura letterario-teologica del rito antiocheno-bizantino, copto. 37

Gli attuali studi sull’origine della preghiera eucaristica, ci permettono, sobriamente, di percorrere gli ascendenti liturgici del testo di Ippolito Romano sino alla Didakè. 38

Grande pertanto il frutto di intelligenza teologica che possiamo sperare dallo studio della genesi storica di questa II Preghiera eucaristica.

Ci isoleremo forse nella lex orandi, mistagogia di un particolare Testo liturgico ?. Ci renderemo facilmente conto come l’attuale sua struttura letteraria-teologica, trinitaria, cristica, pneumatica risulta impensabile senza lo sviluppo, contemporaneo alla genesi della Preghiera, del Dogma, lex credendi corrispondente.

Professione di fede niceno-costantinopolitana, Corpo scritturistico ispirato, riconoscimento del suo Canone, grandi Preghiere eucaristiche ancora in uso, sono maturati nello stesso contesto della Chiesa apostolica dei primi quattro secoli; una Chiesa che, fedele al comando del Signore, sin dall’inizio ha celebrato il Memoriale della sua Pasqua: una Chiesa eucaristica. 39

ESAME LETTERARIO-TEOLOGICO DELLA II PREGHIERA EUCARISTICA

Non intendiamo, a questo livello introduttorio, sviluppare una completa mistagogia del testo; il nostro scopo è esattamente introduttorio: mettere in risalto, a grandi linee, le sue strutture letterarie, modellate dai contenuti

37 ? Cfr BOUYER, L., L’Eucharistie, théologie et spiritualité de la prière eucharisitque, Desclèe, Thournai 1966, 187-189; PAPROCKI, H., Le Mystére de l’Eucharistie, genèse et interprétation de la liturgie eucharistique byzantine, Cerf, Paris 1993, 41-43.

38 Cfr. MAZZA, E., L’Anafora eucaristica. Studi sulle Origini,(=BEL ‹‹subissai›› 62), CLV ed. Liturgiche Roma 1992; Id., La celebrazione liturgica, genesi del rito e sviluppo dell’interpretazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 1996.

39 ? Le relazioni tra Liturgia, Scrittura e Professioni di Fede sono oggetto di studi: Cfr. BLANCHARD, Y.-M., Bibule et Liturgie, in BRAGA, C., et PISTOIA, A., La Liturgie interprete de l’Ecriture, II Dans les compositions liturgiques, prières et chants,(= BEL ‹‹subsidia›› 126) CLV Ed. Liturgiche Roma 2003, 259-276.

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teologici, atte quindi ad esprimerli e comunicarli all’assemblea orante-celebrante.

Su questa base, delineata, potremo impostare la ricerca della loro genesi storica, che ci introdurrà alla loro intelligenza teologico-spirituale.

Pur trattandosi di un testo celebrativo del tutto familiare, è bene, per le nostre finalità, riportarlo per intero:Il Signore sia con voi e con il tuo spiritoIn alto i nostri cuori sono rivolti al SignoreRendiamo grazie al Signore, nostro Dio

è cosa buona e giusta

Dialogo invitatorialeSi instaura la tensione orazionalerendere grazie, per accogliere la grazia

E’ veramente cosa buona e giusta nostro dovere e fonte di salvezzarendere grazie sempre ed in ogni luogo a Te, Padre santoper Gesù Cristo tuo dilettissimo Figlio

Inizia la sezione anamnetico-celebrativaDoverosità, preziosità, motivi del rendere grazie al Padre in una storia salvifica tutta realizzata per Cristo

Egli è la tua Parola vivente,per mezzo di Lui hai creato e lo hai mandato a noi salvatore e redentore,tutte le cosefatto uomo per opera dello Spirito Santoe nato dalla Vergine MariaPer compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santoegli stese le braccia sulla crocemorendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione.

Per mezzo di Lui, parola vivente del Padretutto è stato creatoInviato a noi come redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo nell’accoglienza ver ginale di Maria Redenzione da Lui compiuta per la Croce che porta alla Risurrezione

Per questo mistero di salvezza,uniti agli angeli e ai santi,cantiamo ad una sola voce la tua gloria:

La Chiesa terrena si unisce a quella Celeste nella glorificazione di Dio, nell’accoglienza benedicente del Signore Gesù

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo I cieli e la terra sono pieni della tua gloria Osanna nell’alto dei cieliBenedetto colui che viene nel nome del Signore

Inno teologico, angelico, che fonde le acclama zioni delle teofanie di Is. 6,3 e Ez 3,12, del Salmo messianico 117(118), 26

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Osanna nell’alto dei cieli** Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito,perché diventino per noiil corpo ed i sangue di Gesù Cristo nostro SignoreEgli offrendosi liberamente alla sua passione,prese il pane e rese grazielo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse:

Inizio della parte epiclettica, invocazione che la salvezza realizzata per Cristo, porti tutti i suoi frutti Prima Epiclesi in senso forte, domanda della transustanziazione Narrazione degli eventi liturgici dell’Ultima Cena realizzazione della transustanziazione, per opera del Ministro ordinato che agisce in Persona Christi

PRENDETE E MANGIATENE TUTTI:QUESTO E’ IL MIO CORPOOFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Dopo la cena, allo stesso modoprese il calice e rese grazie

lo diede ai suoi discepoli e disse;

Ricordo della cena rituale giudaica, nel cui contesto il Signore Gesù ci ha donato il suo memoriale; i riti sul pane e il vino sono stati acco stati, già nella Chiesa dei Sinottici

PRENDETE E BEVETENE TUTTI:QUESTO E’ IL CALICE DEL MIO SANGUEPER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA,VERSATO PER VOI E PER TUTTIIN REMISSIONE DEI PECCATI.FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.MISTERO DELLA FEDEAnnunciamo la tua morte Signore proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venutaCelebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio Ti offriamo, Padreil pane della vita e il calice della salvezzae ti rendiamo grazie per averci ammessi alla presenza

Anamnesi in senso forte,: il Memoriale, presenza del Sacrificio pasquale viene riconosciuto, vi si unisce il Sacrificio della Chiesa

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a compiere il servizio sacerdotaleTi preghiamo umilmenteper la comunione al corpo e sangue di Cristolo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.

Seconda Epiclesi in senso forte:: si domanda che nella comunione sacramentale lo Spirito Santo rinsaldi l’unità della Chiesa in un solo Corpo

Ricordati, Padre, della tua Chiesadiffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa N., il nostro Vescovo N.,e tutto l’ordine sacerdotale.

nella Carità della sua struttura Petrino-apostolica

Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione,e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza:ammettili a godere la luce del tuo volto.

nella comunione con la Chiesa che già ha raggiunto l’ultima meta, per la pienezza della sua beatitudine

Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna,insieme con la beata Maria, Vergine Madre di Dio,con gli apostoli e tutti i santi,che in ogni tempo ti furono graditi:e in Gesù Cristo tuo Figli canteremo la tua gloria.

invocando che anche noi possiamo averne partecipazione qualificata

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO,A TE DIO PADRE ONNIPOTENTE,NELL’UNITA’ DELLO SPIRITO SANTO,OGNI ONORE E GLORIA PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Il dato teologico più evidente è costituito dal suo essere tutta rivolta al Padre: a Lui si rende grazie,

facendo memoria riconoscente per Cristo di tutta l’economia salvifica, creazione, incarnazione in Lui realizzata.

Cristo, dilettissimo Figlio del Padre, Padre da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna nella Dossologia, assicura in

Sè l’unità di tutto l’agire di Dio, creazione e redenzione.

E’ la presenza realizzata in questa prece eucaristica del Corpo dato in sacrificio e del Sangue versato, il comunicare ad Essi, che permette nello Spirito Santo invocato, l’ascendere, lo stare riconoscenti davanti al Padre, in una qualità nuova di comunione ecclesiale, di dossologia, dare gloria esercitata.

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Già il Dialogo invitatoriale 40 introduce a questa situazione eucaristica, di buona grazia, attraverso la preghiera e l’augurio reciproco, Celebrante e assemblea, della presenza del Signore.

Questo permette di «avere in alto i cuori»: la buona grazia, donata dal Sacrificio di Cristo, è che in Lui, per Lui, nello Spirito Santo l’accesso al Padre è aperto, disponibile.

I «cuori» dei presenti sono già rivolti a Lui: l’assemblea si impegna in questo, accogliere questa grazia di vicinanza estrema, corrispondervi.

Riconoscere che «che è cosa buona e giusta» fare eucaristia, rendere grazie al Signore nostro Dio. Un rendere grazie che non è generica lode, benedizione; sin dall’inizio della celebrazione l’invitatorio dispone alla consapevolezza della novità assoluta della grazia, una grazia di tali dimensioni, che solo per Cristo possiamo ringraziare: fare ciò che si riconosce «cosa buona e giusta».

Questi contenuti teologici si esprimono, modellano una corrispondente struttura letteraria fondamentale.

Nella preghiera eucaristica distinguiamo con facilità due sezioni: -- una essenzialmente anamnetica , con i verbi all’indicativo, in cui ringraziamo il Padre ricordando le sue opere salvifiche di creazione e redenzione, sempre per Cristo; inizia col prefazio. Questo ricordo delle opere salvifiche conosce un momento di particolare intensità, dopo la consacrazione: quasi un sussulto di stupore; qui il ricordo è divenuto presenza, e a questa presenza sacrificale si può unire l’offerta della nostra vita.; una anamnesi in senso forte.

Il P. Cesare Giraudo SJ, nei suoi studi sulla struttura letteraria della prece eucaristica e nei suoi trattati, indica l’inizio della parte anamnetica con un asterisco: *

Questa prima sezione, in cui Dio viene lodato, benedetto, ringraziato, confessato nelle sue opere di fedeltà e misericordia, pone le premesse logiche e teologiche che permettono di passare alla seconda sezione, di preghiera di domanda, che conosce verbi all’imperativo. 41 Quindi :

-- una sezione essenzialmente epiclettica; nella struttura del Canone romano, inizia immediatamente dopo il Sanctus. Questa preghiera di domanda si intensifica, chiedendo espressamente la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore; è la prima epiclesi, in senso

40 ? Cfr GIRAUDO, C., In unum Corpus, cit.,282-291.41 ? Cfr GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit. 279-281.

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forte, che precede la narrazione degli eventi istitutivi dell’ultima cena, la consacrazione con le parole del Signore.

Il Celebrante, dopo avere così ricordato tutte le opere salvifiche di Dio, sino alla Croce-Risurrezione, con domanda esplicita al Padre, per la sua azione ministeriale, rende presenti il Corpo dato in sacrificio ed il Sangue versato; su questo solido fondamento invoca ancora il Padre, affinché nell’effusione dello Spirito Santo, porti a compimento il suo progetto di vita, progetto di comunione in un solo corpo, di carità con in vivi e i defunti, di glorificazione.

Distinguiamo così una seconda epiclesi,in senso forte, per la santificazione dei comunicandi, la perfezione della Chiesa.

Il P. C.Giraudo indica l’inizio della parte epiclettica con un doppio asterisco **.

In questa struttura bipartita fondamentale, anamnetica ed epiclettica, come abbiamo osservato, si possono individuare strutture particolari:

a) l’Anamnesi in senso forte, che segue sempre la narrazione dell’Istituzione, le parole consacranti: consapevolezza piena del Memoriale del Signore realizzato (memores), il suo Sacrificio reso presente al quale viene unito il sacrificio della Chiesa (offerimus).

b) Le Epiclesi in senso forte: nel contesto di una Preghiera, di ringraziamento, invocazione e apertura alla Grazia sul solido fondamento di una storia salvifica, tutta riassunta nel Memoriale celebrato, emergono due esplicite richieste: una per la trasformazione delle oblate nel Corpo e Sangue di Cristo, una per la santificazione dei Comunicandi e la perfezione della Chiesa; nella riforma liturgica del Vaticano II, nei Canoni II, III,IV, si domanda nelle due Epiclesi, per queste finalità, in modo esplicito l’intervento dello Spirito Santo.

-- la prima è, come detto, invocazione dello Spirito Santo, perché il pane ed il vino diventino il Corpo e Sangue del Signore Gesù.

-- la seconda affinchè lo Spirito Santo, frutto del Sacrificio pasquale reso presente, realizzi la piena comunione ecclesiale nella carità, il sacrificio gradito al Padre; questa invocazione dello Spirito Santo si allarga e continua nella domanda di solidità nell’amore delle strutture gerarchiche della Chiesa, per i fedeli vivi e defunti.

Sappiamo come nel rito antiocheno-bizantino le Epiclesi in senso forte, invocazioni per lo Spirito Santo sulle oblate e i comunicandi, seguono l’anamnesi in senso forte; di qui la querela teologica sulle parole consacranti tra la teologia romana e bizantina, nei secoli poco sereni dell’inizio del secondo millennio.

Una questione storico-teologica, che affronteremo dopo avere esaminato la genesi della preghiera eucaristica, la formazione della sua struttura

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fondamentale, simile ed insieme caratteristica delle varie famiglie liturgiche, nei tempi della Chiesa.

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I LA RIVELAZIONE BIBLICA E I PRIMI TRE SECOLI DELLA CHIESA

I.1 GENESI DELL’EUCARISTIA CRISTIANA: PREPARAZIONE VETEROTESTAMENTARIA E GIUDAICA

L’Eucaristia, preghiera e ritualità, è una delle creazioni più originali del Cristianesimo; tali sono la preghiera dell’Anafora (canone), e i segni nei quali il Signore Gesù ha affidato alla sua Chiesa il memoriale della Sua Pasqua, perché Lui, il Crocifisso glorioso, sia sempre presente ai suoi, per unirli a sé e tra di loro, in novità di vita risorta.

La sua qualità unica è quindi secondo la novità definitiva dell’Esodo pasquale di Gesù. Ma i suoi elementi costitutivi assunti da Cristo nella sua Pienezza insuperabile, non sono ex nihilo: per la loro piena comprensione risulta necessario individuarne la genealogia.

I materiali entrati nella composizione dell’Eucaristia sono ben altro che semplice grezzo materiale: si tratta di pietre già levigate, sapientemente lavorate, non in un cantiere in demolizione, ma in una scuola millenaria di Preghiera, di Alleanza, di celebrazione, da portare a compimento, secondo la misura di Cristo Signore (cfr Mt 5,18) 42

Saltando a piè pari l’AT, non capiremo più né il NT, annunciato e redatto «secondo le Scritture» (1Cor 15,3-4), ma neppure l’Eucaristia, che il Signore Gesù ci ha donato nel contesto sacro della convivialità giudaica, della preghiera e dei sacrifici memoriali della Pasqua dell’esodo, portando a pienezza simboli, formulari di preghiera.

La preghiera eucaristica è una novità in sintonia con la parola ispirata del Vangelo, le cui radici prossime si possono individuare in quella preistoria del Vangelo, espressa nella preghiera e celebrazione dei giudei che aspettavano la consolazione di Israele.43

42 BOUYER, L., Eucarestia, teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, elle di ci, Torino-Leumann 1983, p. 27.

43 La matrice giudaica della Liturgia eucaristica, la sua anafora, benché in se indubitabile( N.S. Gesù Cristo, ha vissuto nel mondo, variegato, giudaico, non solo ,fondamentale, la S. Scrittura, ma anche ulteriori preghiere, ritualità, costumanze) risulta difficilmente ricostruibile con esattezza: la Misnà è della fine del II secolo, non riporta il testo delle Berakòt; per questo si deve risalire al IX sec. : cfr RAFFA, V., Liturgia eucaristica, mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, (= BEL ‹‹subsidia ››100) C:L:V:- Edizioni liturgiche , Roma 1998, 402-430, 497-

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Le sue radici più profonde si ramificano nella totalità della storia della salvezza, a iniziare dalla Genesi: benedizioni, preghiere, memoriali sacrificali-conviviali, riti e rinnovazioni di alleanza.

Come entrare in questa preistoria, senza disperderci, e realizzando tutti i frutti che l’attuale stato della ricerca ci consente, per la comprensione dell’Anafora, Prex eucharistica?

Un sicuro orientamento metodologico sta nel ricordare che si tratta di comprendere l’attuale preghiera eucaristica, i suoi contenuti teologici; essi sono meglio identificabili se li cogliamo nella struttura letteraria che ce li trasmette.

Abbiamo già notato, riflettendo sulla preghiera eucaristica II, la sua fondamentale struttura letteraria bipartita: anamnetica ed epiclettica; come nel cuore della preghiera si situi la narrazione dell’istituzione del memoriale della Cena del Signore, cui segue la piena consapevolezza di esso espressa nell’Anamnesi in senso forte.

Prima di entrare nella “preistoria giudaica e biblica della Prex eucharistica”, è bene, come primo passo orientativo, mostrare il raccordo lessicale tra questi termini fondamentali (eucaristia, benedizione, anamnesi e memoriale, epiclesi) e le corrispondenti espressioni greche e semitiche:

eÚcarist…a (eucharistìa)eÚlog…a (euloghìa)Nel NT: preferenza per Eucaristia, che sarà assoluta nei Padri, quando

indica la qualità della preghiera e dell’azione liturgica.Nei LXX eÚlog…a, usatissimo, traduce barak (berakà), benedire, in

corrispondenza con altri verbi: jadah (proclamare, confessare) da cui Todà, confessione della fedeltà di Dio e dei peccati del popolo, per rinnovare fedeltà all’Alleanza (cfr Ne 9,6-37), halal, lodare, kabed, glorificare.

EÚcarist…a, presente insieme al termine quasi sinonimo di eÚlog…a nei testi neotestamentari che indirettamente (moltiplicazione dei pani) o direttamente riguardano la Cena del Signore, diverrà poi il termine caratteristico per esprimere il memoriale del Signore, sia per un’indicazione già presente nel NT (il solo usato, senza eÚlogšw in Lc 22,15-20 e 1Cor 11,23; cfr. anche Gv 6,23), sia perché la novità della Pasqua di Cristo, oltre a suscitare nella sua celebrazione un grazie corrispondente al dono, richiedeva per l’intensità inaudita dei contenuti, un termine nuovo, quindi eÚcarist…a. Tale termine inoltre raccoglieva e portava a pienezza la verità del lodare,

532.; informazioni utili in BRADSHAW, P.F. , Alle origini del culto cristiano, Fonti, metodi per lo studio della liturgia dei primi secoli, (= Monumenta Studia Instrumenta liturgica 45) LEV 2007.

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proclamare, glorificare, degli antecedenti veterotestamentari. Come fa notare Giraudo44, esaminando la tradizione siriaca, Eucaristia raccoglie i contenuti semantici della Toda, confessare la fedeltà di Dio, più forte dell’infedeltà dell’uomo.

¢n£mnhsij (anàmnesis = azione che fa ricordare)mnhmÒsunon (mnemòsynon = oggetto che suscita il ricordo)traducono zikkaron, memoriale delle opere salvifiche di Dio. Esamineremo i

memoriali conviviali-sacrificali liturgici degli eventi salvifici della storia di Israele, in relazione alla intrinseca struttura conviviale-comunionale dell’Alleanza.

™p…klhsij (epìklesis = invocazione-su, grido-a)in senso specifico indica nell’anafora l’invocazione con la quale il sacerdote

supplica il Padre di inviare lo Spirito santificatore, affinché le offerte divengano il corpo e il sangue di Cristo, e i fedeli, ricevendole, divengano essi pure un’offerta viva a Dio, un cuore solo ed un’anima sola nell’Unità della Chiesa. .

I.1.1 Radici della fondamentale struttura bipartita: anamnesi ed epiclesi : la Todà

Seguiamo in questo i fondamentali studi di C. Giraudo; egli ha dimostrato che l’origine della struttura bipartita è da ricercarsi nelle celebrazioni per il rinnovamento dell’Alleanza: in esse il popolo si rivolge al Dio della creazione-alleanza, facendo il ricordo degli interventi salvifici di Jahwe sempre fedele, in contrasto con l’infedeltà del popolo; si fa questa anamnesi davanti a Dio, per invocare da Lui, epiclesi, il ristabilimento dei benefici dell’Alleanza.

Preghiera di rinnovazione che Giraudo chiama Todà (dalla radice y d h): come esempi tipici di Toda, presenta la confessione di Ne 9,6-36, che dà ampio sviluppo alla parte anamnetica.(Esempi biblici di Todà in Appendice VI.1).

Anche la confessione di Dn 3,26-45 è una toda: per avere una toda non è necessario che vi compaia la radice y d h, ma è sufficiente il presentarsi di una forma letteraria, in cui l’invocazione a Dio per il ristabilimento dei benefici dell’alleanza (parte epiclettica), viene fondato sul ricordo delle sue opere fedeli, nonostante l’infedeltà di Israele (parte anamnetica), evidenziando il contrasto tra la benevola iniziativa di Jahwe, e l’incorrispondenza del suo popolo.

Giraudo pone in risalto l’eventuale presenza della figura letteraria dell’embolismo, tÒ ›mbolon (tò èmbolon), innesto, inserimento nella todà di una

44 Cfr GIRAUDO, C., In unum corpus, trattato mistagogico sull’Eucaristia, S. Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2001, 158-164;292-294.

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citazione biblica di un evento-promessa da parte del Dio dell’Alleanza, su cui il popolo peccatore può confidare, appoggiarsi, per ottenere perdono e grazia.

La figura letteraria dell’embolismo si può individuare anche nella preghiera anaforica, per giustificare meglio, da un punto di vista letterario, la presenza del racconto dell’istituzione, con le parole consacratorie (questo è il mio corpo, il calice del mio sangue); è la presenza inaudita del corpo e sangue del Signore, il suo sacrificio via di accesso al Padre, ad assicurare valido fondamento non solo al ringraziamento, ma anche alla supplica (epiclesi) per il dono dello Spirito santificante, realizzante l’unità della Chiesa.45

Se la Todà offre una buona spiegazione della struttura bipartita della Prex eucharistica, presentando anche, per la figura dell’embolo, spiegazione letteraria dell’inserimento del racconto dell’istituzione, dobbiamo ancora ricercare nelle radici veterotestamentarie e giudaiche, il carattere benedicente-ringraziante, così proprio dell’Anafora, da conferirle lo stesso nome: eucaristia. Dobbiamo inoltre ricercare la motivazione del duplice ringraziamento, per la creazione ed alleanza-redenzione, che individuiamo in molte anafore; spiegarne, oltre al resto, il carattere sacrificale-conviviale.

I.1.2 Dalla Todà alla benedizione-berakàInsieme alla preghiera Todà, ritroviamo abbondanti formulari di

benedizione. La benedizione è duplice: discendente, da Dio al suo popolo, e ascendente, dal popolo a Dio. È istruttivo per noi, anche se già nella pienezza del NT l’inizio del prologo di Ef:

«Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo» (Ef l,3)..

Notiamo come la preghiera benedicente Dio sia sviluppata come corretta risposta alla Benedizione del Padre in Cristo.

I.1.2.1 La benedizione discendente e ascendente Discendente: Dio prende l’iniziativa di benedire l’uomo, mostrargli la sua

bontà, invitarlo così alla comunione con Sé, attraverso tutto il suo dire ed operare. La creazione , con la benedizione della fecondità (cfr Gn l,28; Gn 9,1), gli interventi meravigliosi per introdurre nell’Alleanza, la terra promessa, sono doni divini, benedizioni per l’uomo; tutte queste realtà devono essere accolte, usate secondo la parola creatrice: si invoca quindi la benedizione di Dio, affinché

45 ID.,. La struttura letteraria della preghiera eucaristica. Saggio sulla genesi letteraria di una forma (todà veterotestamentaria, beraka giudaica, anafora cristiana), Analecta biblica 92, PIB Roma 1981 (ristampa 1989)

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conservi e conceda questi doni, da usare secondo la sua volontà, nella comunione di vita dell’Alleanza (cfr Gn 48,15-16; Nm 6,22-28).

Dio si manifesta all’uomo, con i suoi interventi nella creazione e nella storia salvifica, come amore fedele e misericordioso, secondo la misura richiesta dalla fragilità e peccato dell’uomo, per convertirlo alla conoscenza di Dio, al compimento della sua volontà:

«Benedici il Signore, anima mia,quanto è in me benedica il suo santo nome.Benedici il Signore, anima mia,non dimenticare tanti suoi benefici.Come un Padre ha pietà dei suoi figli,così il Signore ha pietà di quanti lo temono.Perché egli sa di che siamo plasmati,ricorda che noi siamo polvere.Benedite il Signore, voi tutti suoi Angeli,voi tutte sue schiere... sue opere.Benedici il Signore, anima mia» (Sal 102[103],1-2.13-14.20-22).Così il Salmo 135(136), enumera le opere del Dio della creazione ed

alleanza, e per ognuna di esse può commentare: «perché eterna è la sua misericordia».

Il Salmo si apre e si conclude con la lode del Signore Dio.La lode a Dio è fondata sulla sua iniziativa misericordiosa espressa nelle

opere di creazione ed alleanza; anche nel Sal 18(19), troviamo accostate strettamente le opere della creazione (vv. 1-7) e l’offerta della legge: esse giustificano la fiduciosa invocazione: «Assolvimi dalle colpe che non vedo, anche dall’orgoglio salva il tuo servo» (vv. 13-14).

La benedizione riconoscente risale a Dio nel ricordo delle sue opere sia della creazione che dell’alleanza, legge, perdono: la bipartizione della parte anamnetica di molte anafore (si ringrazia Dio per la creazione e per la storia salvifica con il suo vertice nella Pasqua di Cristo), può trovare qui la sua ascendenza veterotestamentaria.

Ascendente: dall’uomo a Dio, riconoscendo la sua bontà come origine di tutto, creazione e storia salvifica. Attraverso i suoi doni, parole ed opere, si conosce qualcosa di Dio, e si vive nella riconoscenza: tutto viene da Dio, e tutto, nell’uso corretto secondo la sua volontà, deve ritornare a Lui, portare alla comunione con Lui, riconoscendo la sua bontà, origine di tutto.

Viene espressa specialmente nei Salmi: chi accoglie la Parola, e le opere realizzate dalla Parola, le accoglie nel cuore, loda e ringrazia con una Parola

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ispirata, la parola dei Salmi, che è come l’ultima parola di Dio espressa nel cuore e sulle labbra del popolo dell’Alleanza.

La benedizione ascendente è propria di chi modella la sua vita secondo la parola donata, in una fede obbediente; si conosce Dio soltanto credendo a Lui, in modo tale da cancellare tutto ciò che non è Lui e non procede dalla sua parola.46

La benedizione in Israele costituisce un fatto unico nella storia delle religioni: non è rivolta ad un Dio generico, che non si cura dell’uomo, ma a Jahwe, che si è fatto conoscere personalmente, che ha realizzato opere meravigliose per manifestarsi, stringere alleanza, comunione.

Infatti la relazione vitale tra Dio ed il popolo si attua in una dimensione storica, e lo scambio di benedizioni si sviluppa in un contesto storico di memoria e di mutuo ricordo.

Israele nelle sue calamità domanda a Dio di ricordarsi delle promesse fatte ai padri (Es 32,13; Dt 9,27), dei mali che gli sono capitati. Da parte sua Dio si ricorda dei padri, di Noè (Gn 9,15-16), di Abramo (Gn 19,29). L’inizio della liberazione dall’Egitto fu parimenti il ricordo di Dio (Es 2,24;6,5). Dio promette per il futuro di ricordarsi della sua Alleanza (Lv 26,44-45), così si ricorda di Efraim, suo figlio diletto, durante l’esilio (Ger 31,20), e promette di ricordarsi del suo patto malgrado tutte le infedeltà della sua sposa (Sal 104[105],8; Ez 16,60).

Così Israele è invitato a tenere sempre presenti le opere benefiche di Dio creatore e dell’Alleanza (1 Cr 16,12-15), di Dio stesso e del suo Nome (Dt 8,18; Am 6,11), dei suoi comandi (Es 20,8; Nm 15,39; Sal 102[103],18).

I.1.3 Benedizione (berakà), memoriale e sacrificioLa benedizione sgorga dalla memoria dei mirabilia Dei, si alimenta in

questo ricordo. Affinché Israele viva di questo ricordo perenne, perché esso si esprima in ringraziamento, in fedeltà, in domanda ed attesa del compimento del progetto di Dio, ha ricevuto speciali “memoriali” (zikkaròn). Essi sono vari: parole (per es. lo stesso nome di Dio, Jahwe), oggetti (le pietre preziose dell’Efod, la tromba ed il suo suono). Memoriale in senso forte è la celebrazione della cena pasquale, azzimi, agnello ed erbe amare. Così pure i pasti ordinari e festivi, avvolti di berakòt e suppliche.

Anche il sacrificio è un aspetto del memoriale della Pasqua: risulta evidente per il sacrificio dell’agnello pasquale, celebrato nel tempio, agnello che servirà per la rituale cena familiare.

46 LIGIER, L., Il Sacramento dell’Eucaristia, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1974, 26-30

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Ma anche tutti i sacrifici cruenti, di animali, o incruenti, le offerte delle primizie del raccolto (Dt 26,1-11; Lev 2,1-3: notare l’appellativo di memoriale per l’offerta di fiore di farina, su cui si versa olio e si pone incenso, da bruciare nel fuoco sull’altare), hanno una relazione con la pasqua dell’esodo: si deve offrire a Jahwe il primogenito (Es 12,11-16), le primizie della terra promessa. Sono memoriale, riconoscimento celebrato che la vita, gli alimenti, la terra, l’Alleanza sono tutti doni di Jahwe.

I sacrifici sono vari: espiazioni per il peccato (Lv 16, il rito del Kippùr), olocausto interamente bruciato; pacifici di comunione, ringraziamento, con banchetti conviviali.

In molti salmi possiamo individuare la preghiera benedicente, riconoscente, impetrante, che accompagna ed esprime il sacrificio. Ascoltiamo le riflessioni di L. Bouyer: .

«Questo schema appare particolarmente chiaro nel Sal 39(40); esso si apre con il ricordo riconoscente delle liberazioni avvenute nel passato:

“Ho sperato, ho sperato nel Signore,ed egli su di me si è chinato,ha dato ascolto al mio grido,mi ha tratto dalla fossa della morte,dal fango della palude;i miei piedi ha stabilito sulla roccia,ha reso sicuri i miei passi.Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,lode al nostro Dio” (vv. 2-4).Segue quindi l’offerta sacrificale insieme alla preghiera perché Dio si

mostri sempre lo stesso, cioè rinnovi ancora e conduca a termine quello che ha cominciato a fare per colui che lo invoca. Nello stesso tempo, però, è una consacrazione dello stesso orante, nel sacrificio, e al di là dell’offerta materiale in quanto questa rappresenta solo il dono, o meglio l’abbandono di sé alla volontà divina.

“Sacrifici e offerta non gradisci,gli orecchi mi hai aperto.Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.Allora ho detto: ecco, io vengo.Sul rotolo del libro di me è scrittoche io faccia il tuo volere.Mio Dio, questo io desidero,la tua legge è nel profondo del mio cuore.

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Ho annunciato la tua giustizia alla grande assemblea;vedi, non tengo chiuse le mie labbra, Signore, tu lo sai.Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore,la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclamato.Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia,la tua fedeltà e la tua grazia mi proteggano sempre” (vv. 7-12).

Su questa base della volontà di Dio, infatti, può librarsi la preghiera; ed essa poggia su una certezza tale, che la supplica di per se stessa, diventa nuova e definitiva lode.

“Degnati, Signore, di liberarmi;accorri, Signore, in mio aiuto.Vergogna e confusioneper quanti cercano di togliermi la vita...Esultino e gioiscano in Te quanti Ti cercano,dicano sempre: il Signore è grande,quelli che bramano la tua salvezza” (vv. 14-17).

Il nucleo centrale di questo Salmo sta in un pensiero che ritorna molte volte nel Salterio, e che è un insegnamento centrale dei profeti, in particolare di Isaia. Non sono le offerte materiali che possono soddisfare il Signore, ma l’offerta di se stessi. Solo la consacrazione della nostra volontà alla sua volontà riconosciuta nella sua parola, dà un senso ai nostri sacrifici (Is 1,10-20).

Quello che rimane vero in questa prospettiva, è che la preghiera consacratoria che accompagna il sacrificio avrà un posto sempre più grande, man mano che essa esprime più fortemente la consacrazione dell’uomo stesso.

Nulla di più tipico, a questo riguardo, dell’evoluzione nel senso dato ad una espressione liturgica: seva todà (sacrificio di lode, oppure azione di grazie). In origine essa indica un genere particolare di sacrificio; ed il salmo di lode che lo accompagna ne esprime il significato. Ma a poco a poco il “sacrificio di lode” significherà la stessa lode, divenuta non solo parte integrante del rituale sacrificale, ma il sacrificio per eccellenza. Di qui l’espressione, come quella così eloquente, che si trova in Osea: “il sacrificio delle nostre labbra” (Os 14,3). Questo sacrificio delle labbra in cui si esprime l’oblazione del cuore, farà un tutt’uno con quel cuore “affranto ed umiliato” che la conclusione del Sal 50(51),14.23 oppone al ritualismo senza contenuto»47.

47 BOUYER, L., Eucaristia, teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, LDC, Leumann 1983, 55-57.

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I.1.4 Le serie di Berakòt, la birkàt ha-mazònLa benedizione giudaica, specialmente quella espressa nella serie di

berakòt, costituisce come una forma matura della confessione-rinnovamento dell’alleanza: rappresenta l’espressione dell’intensa spiritualità maturata nella più recente letteratura sapienziale. Israele, nel contesto ellenistico, la sua religiosità etico-cosmica, è stimolato a riflettere sul sapiente progetto di Dio, Dio della creazione ed Alleanza, che impregna della sua verità-bontà l’intera sua opera, e chiede che sia riconosciuta ed accolta.

Nei libri sapienziali si ricerca e si domanda la sapienza, modo retto di procedere in ogni azione, di vivere in sintonia col progetto di vita di Dio. Si avverte una tensione verso una conoscenza svelata di Dio, una vicinanza estrema del Dio santo nella vita dell’uomo: il mistero dell’Incarnazione è alle porte.48 La preghiera del pio giudeo risale ora sin dal suo principio, nel suo slancio iniziale di lode-benedizione riconoscente, a Jahwe datore di ogni bene perché in Sé buono, bontà da riconoscere anzitutto in Se stessa, e da cui provengano tutte le cose buone per l’uomo.

Inizia con un convinto: «Benedetto sia Tu, Signore nostro Dio» per concludersi, dopo l’anamnesi ed epiclesi, in un sentito «Benedetto sia Tu Signore… Amen».

La Berakà giudaica è la risposta alla parola e alla benedizione discendente, la cui consapevolezza si è precisata nella vita del popolo dell’Alleanza, per la sua accoglienza della sapienza di Dio; la berakà esprime la conoscenza della bontà divina, maturata nel cuore del popolo che Lo ha conosciuto, unico tra tutte le genti.

Così la todà, restando la sua struttura bipartita fondamentale (si tratta sempre di una preghiera composta di ricordo-anamnesi, e di supplica-epiclesi) si evolve in berakà, meglio al plurale, berakòt, perché ogni benedizione, con la sua motivazione (per es. creazione, alleanza-Legge-conoscenza di Dio) viene distinta dalle altre con un «benedetto sia Tu, Signore» intercalato nel testo orazionale. Esso viene così segmentato in una serie di benedizioni distinte.49

48 LARCHER, G., Etude sur le livre de la Sagesse, Gabalda, Paris 196949 Gli esperti discutono circa l’uso della ‹‹Eulogia finale››, in termine tecnico

‹‹hatima››: si compone della forma eucologica :Benedetto sei tu Signore, seguita dalla motivazione riassuntiva del contenuto della berakà in questione : per l’alimento frutto della creazione, dono della terra promessa e dell’Alleanza. L’eulogia intercalare, hatimà, sementa la benedizione, berakà, in più benedizioni, berakòt; nell’uso anaforico cristiano risulta fondamentale il ringraziamento per l’opera del Padre, che per Cristo ci ha creato, e chiamati alla vita filiale, redenti; al di là delle Berakòt giudaiche, tutto l’Antico

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Notiamo ancora come questo molteplice benedire proceda da una prospettiva fondamentalmente disinteressata, tutta concentrata sulla bontà divina colta in Sé, e insieme fonte di tanti beni per l’uomo.

Certo Dio prende l’iniziativa nel benedire l’uomo elargendo i doni della creazione e della salvezza; tali beni vengono invocati. Ma nella prospettiva del giudaismo più evoluto non esiste benedizione che non risalga sino a Dio stesso, sin dal suo primo slancio, in un riconoscimento pieno della sua bontà.

Le realtà create sono benedette per il nostro uso quotidiano: l’uomo a sua volta risulta benedetto in tutto il suo agire, solo se risale a Dio, principio di tutte le sue azioni, di tutta la sua vita ed i suoi beni, per riconoscere che tutto viene da Lui, di tutto è il Signore.

La benedizione si svilupperà in una consacrazione dell’uomo tutto intero a Dio, con tutti gli esseri associati alla sua vita, per un omaggio definitivo quando tutte le cose si uniranno in una pura dossologia; e quasi spontaneamente la benedizione (confessione-ricordo della bontà divina, rendimento di grazie e lode) si prolungherà in una preghiera di supplica, per la piena realizzazione del progetto di Dio, perché tutto sia come irradiato dalla conoscenza del Signore, tutto riportato a Lui nel libero riconoscimento della sua sovranità benefica che rinnova il mondo.

Non vi è il minimo accenno di magia, quasi che la benedizione fosse l’infusione di una virtù divina di cui si potesse disporre a capriccio; nessun antropocentrismo e nessun capriccio, anche nessun quietismo: tutto deve ritornare alla sua fonte, nella lode e nell’adempimento fedele della volontà di Dio. Non vi è autentica benedizione, felicità dell’uomo se non in un’azione di grazie, in un omaggio di lode e confessione che prende occasione da tutto per risalire a Dio.

La Todà evoluta in Berakòt che sta direttamente all’origine del ringraziare-benedire di Gesù nella sua ultima cena, quando ci donò il memoriale della sua Pasqua, è individuabile nelle benedizioni del pasto giudaico: la Birkàt ha-mazòn, ringraziamento per il pasto.

Esso è inserito nel terzo sèder della celebrazione memoriale annuale della pasqua di Israele. Insieme alla Birkàt ha-mazòn ricordiamo le benedizioni del Qiddùs, rito di santificazione, consacrazione, introduttivo al Sabato ed ad ogni festa giudaica; esso è inserito nel primo sèder della celebrazione pasquale.

testamento unisce strettamente nella preghiera Creazione ed Alleanza : es. Sal. 18 (19); ma tale intreccio è quasi una costante della preghiera vetero testamentaria. Cfr in RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit., la discussione sulla matrice giudaica dell’Anafora, 402-429; 497-532.

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La birkàt ha-mazòn è costituita da tre strofe orazionali:nella prima berakà, si benedice Dio per il dono del nutrimento, della creazione;nella seconda lo si ringrazia per l’Alleanza, legge, conoscenza di Dio. Questo benedire-

ringraziare si realizza in obbedienza al precetto di Dt 8,20: «Mangerai dunque a sazietà, e benedirai il Signore Dio tuo, a causa del paese fertile che ti ha dato». Questo passo del Deuteronomio può comparire nelle varie redazioni della birkàt ha-mazòn, sia come embolismo esplicito, sia come quasi embolismo, citazione indiretta del comando e promessa divina.

la terza berakà si sviluppa come epiclesi, preghiera per la ricostruzione di

Gerusalemme, della casa di Davide.Accanto alle berakòt ricordate per la benedizione della mensa, il

ringraziamento, dobbiamo ancora ricordare altre serie di berakòt della preghiera sinagogale, che hanno pur esse influito sulla composizione dell’Anafora cristiana.

Le berakòt che precedono la recita dello Shemà: lo Yozèr (benedizione per la luce), e la Ahabah, paternità divina, benedizione per la legge. Nello Yozer si presenta la Qedussà, triplice santificazione del nome di Dio, secondo Is 6,3, con la citazione di Ez 3,12: «Benedetta sia la gloria del Signore, dal suo luogo»: vi possiamo intravedere l’origine del Sanctus e Benedictus dell’Anafora.

Ha influito sulla preghiera anaforica anche la Semonehesrè, dalle 18 benedizioni, la Tefillà, preghiera per eccellenza: anche in questo caso nelle prime benedizioni, sino alla conclusione della quarta, motivo della preghiera benedicente è la creazione e l’alleanza; le seguenti benedizioni hanno piuttosto una struttura epiclettica, di intercessione.

Tutte le serie di Berakòt giudaiche presentano una struttura letteraria-teologica fondamentalmente tripartita:

-- benedizione per il nutrimento offerto a tutti, la creazione;

-- benedizione-ringraziamento per la terra, frutto dell’esodo, alleanza, la conoscenza di Dio e la legge;

-- domanda per il pieno ristabilimento delle strutture dell’alleanza.

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I.1.5 La Berakà giudaica, il sacrificio di lode e l’offerta della vita,

nel cuore e sulle labbra del Verbo incarnatoCristo Gesù è l’erede predestinato della pietà veterotestamentaria e

sinagogale, e ha manifestato al mondo intero i tesori di pietà che vi erano racchiusi come in germe, per farli maturare, renderli espressivi, a misura della sua pienezza di conoscenza unica del Padre, di amore e obbedienza filiale, per inserire, far partecipi anche noi della sua conoscenza, amore, dedizione alla volontà del Padre.

Già la pietà giudaica matura sapeva riferirsi a Dio con il nome di Padre. Viene chiaramente espresso nella seconda Berakà, Ahabàh (paternità divina), che precede immediatamente la recita dello Shemà, recita fatta in modo corale.

Nella preghiera Ahabàh, si parla della Torà come supremo atto dell’amore di Dio, che suscita una corrispondente risposta di amore dell’uomo per il solo Santo e solo Signore: «Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5).

Il luogo privilegiato per questa risposta di dedizione e di amore viene indicato con il Cuore, cioè quel centro intellettivo, volitivo di tutto l’essere umano, che accoglie e si lascia come assimilare dalla luce della Torà, della conoscenza di Jahwe, dal suo concreto corrispondervi nella vita; così l’uomo si ridona a Dio con tutto se stesso, anima e forze.

Possiamo spiegarci il posto riservato in questa preghiera alla paternità divina. Qui il titolo di Padre è rivolto a Dio più volte, nel cuore e vertice della berakà Ahabàh, e proprio prima di recitare coralmente lo Schemà:

«Con grande amore tu ci hai amati, Signore nostro Dio, con benevolenza grande e sovrabbondante tu hai avuto pietà di noi, Padre nostro, nostro Re; per il tuo grande nome e per il merito dei nostri Padri che hanno messo la loro fiducia in Te, e ai quali Tu hai insegnato i comandamenti di vita, fa grazia anche a noi, Padre nostro. Padre misericordioso, abbi pietà di noi, e rendi i nostri cuori capaci di capire, ascoltare, di imparare e di insegnare, di essere attenti a compiere con amore tutte le parole di ammaestramento della tua Tora. Illumina i nostri occhi con la tua legge, lega te i nostri cuori con i tuoi comandamenti, e siano uniti per amare e temere il tuo nome... ».50

Questo appellativo di Padre, rivolto a Dio nel contesto di questa preghiera, dice molto di più di una semplice e figurata adozione filiale:

50 BOUYER, L. ., Eucaristia, cit 74.

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«Essi esprimono il sorgere di una fede in una vera assimilazione alla sua vita, mediante il suo amore che crea il nostro, nella Tora data ai cuori credenti. Ancora una volta, e più che mai, siamo per così dire al limite della rivelazione evangelica. È superfluo immaginare un influsso cristiano posteriore per rendere ragione dell’estensione crescente, nella liturgia ebraica, di questo appellativo di Padre nostro. Esso doveva risultare naturalmente da una ripetizione quotidiana e da una meditazione costante della preghiera che abbiamo ora analizzato»51.

Certamente, quando Gesù si rivolge al Padre, dice immensamente di più di quanto poteva esprimere la già matura preghiera ebraica.

Gesù, come Figlio, ha la piena conoscenza di un Padre, che è solo e tutto Padre, perché da sempre si esprime in Lui, perfetta immagine filiale, così generato come Figlio da tutta l’eternità.

Gesù, il Figlio, che tutto ricevendo dal Padre, è parimenti tutto slancio di amore e riconoscenza, nello Spirito Santo al Padre, ed introduce anche noi, come suoi fratelli, in questa sua unica conoscenza e dedizione di amore.

Per arrivare, attraverso l’incarnazione del Verbo, alla rivelazione al dono di questa intensità unica, divina, di conoscenza e di amore, era necessaria tutta la preparazione veterotestamentaria e giudaica, il suo cammino religioso, la sua maturazione nella preghiera e nel porsi fiduciosamente in sintonia col volere divino, la consacrazione della propria vita in un sacrificio vissuto.

È stato attraverso l’inserimento del Figlio di Maria nella preghiera e religiosità giudaica, che la pietà del Figlio unico del Padre ha potuto esprimersi umanamente, per associare noi alla sua pietà filiale e fraterna.

Con Gesù di Nazareth la Parola, Immagine filiale perfetta del Padre si è fatta carne, si è espressa umanamente: così nella sua umanità l’uomo è giunto a pronunciare la perfetta benedizione, ringraziamento, in cui tutto l’umano si dona in una risposta completa, al Dio manifestato.

La parola divina trova nella vita umana di Gesù la sua perfetta realizzazione creatrice e salvatrice, e la perfetta benedizione che Gesù pronuncerà e vivrà, si esprimerà nell’atto supremo della Croce: mai come nella Croce il Padre si è manifestato amore fedele, misericordioso, degno di incondizionata dedizione filiale, anche nella pesantissima solidarietà fraterna, da riaprire, riportare alla conoscenza e fedeltà del suo Amore.

In questa prospettiva si pone l’autore della lettera agli Ebrei, applicando alla pienezza (pl»rwma) di Cristo quanto era già maturato nella preghiera dei Salmi: il vero sacrificio gradito a Dio, è il sacrificio di lode, espresso non soltanto con le labbra, ma con una vita in piena sintonia col volere, la Torà di Dio, una

51 Ibidem, . 76s...

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benedizione ascendente che impregna l’intera vita, consacrata a Dio, come risposta ai suoi doni, benedizioni (vedi Sal 49[50],14.23; 50[51],21).

La lettera agli Ebrei, dopo avere, in contrasto con l’inefficacia del sacrificio del Tempio, presentato il Sacrificio di Gesù come ingresso nel santuario celeste, per una redenzione efficace ed eterna (9,12-14), mostra in Gesù la piena realizzazione del Sal 39(40):

«Dopo avere detto: Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte, né olocausti per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, aggiunge: ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il primo ordine di cose per stabilire il secondo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Ebr 10,1-10).

Quasi alla conclusione della lettera, verrà ancora detto: «Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome» (13,15).

I sacrifici del tempio non hanno vera efficacia purificatrice, capacità di portarci alla comunione con Dio: l’unico efficace per realizzare, purificando dal peccato, la comunione filiale con Dio, è la perfetta adesione alla volontà del Padre vissuta da Cristo sulla Croce, realizzata nel suo “corpo”, esistenza concreta, solidale ai fratelli.

L’Eucaristia è, per volontà istitutiva di Cristo, il memoriale di quest’unico sacrificio salvifico, perfetto, decisivo per la conversione e la comunione col Padre, per tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Lo rende presente, nei segni conviviali scelti da Cristo, secondo le necessità degli uomini dispersi nello spazio e nel tempo, affinché il sacrificio di Cristo, amore obbediente al Padre nella solidarietà fraterna, si esprima anche nelle nostre volontà, nella nostra esistenza.

Non è stato abolito il memoriale liturgico, lo si è reso espressivo, nei segni conviviali del pane e del vino, della presenza, vera reale, sostanziale, dell’unico sacrificio della Croce, del corpo dato e del sangue versato per la nostra salvezza.

Il suo frutto è ben espresso da Paolo nella lettera agli Efesini:«Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella

carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (5,2).

Sulla Croce Cristo ha portato il peso dei peccati dell’uomo, della sua diffidenza verso Dio, mostrando il volto misericordioso del Padre, che attraverso la dedizione filiale e fraterna del primogenito, conduce a sé l’umanità intera.

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L’Eucaristia-sacrificio rende presente questa carità misericordiosa che rinnova la vita dell’uomo: «Misericordia io voglio, e non sacrificio» (Mt 9,13).

In quale modo il Signore Gesù nell’ultima cena, consegnandoci il memoriale della sua Pasqua, ha reso grazie al Padre? con quale berakà?

I Vangeli non la riportano, ci dicono succintamente che Cristo ha reso grazie, benedetto. È possibile ricostruire i contenuti di questa preghiera? Alcuni elementi di contesto li vedremo nella liturgia del Memoriale della Pasqua dell’esodo; in essi N. S. Gesù Cristo ha immesso ed espresso i contenuti unici del suo ringraziare il Padre, perché nella sua Pasqua i discepoli siano pienamente introdotti nella comunione dell’amore paterno.

Possiamo intravedere alcuni contenuti di questo filiale ringraziare nella così detta preghiera sacerdotale, riportata da Giovanni, cap.17 del suo Vangelo. La esamineremo brevemente, sia in relazione al discorso eucaristico di Gv 6, sia in relazione a quella che si può ritenere la prima Eucaristia cristiana, la Didachè, nei capp. IX e X. Si può, infatti, ritenere che Giovanni esprima nel cap. 17 una teologia della Cena del Signore già approfondita in decenni di vita cristiana sotto la guida e la luce dello Spirito Santo.

Possiamo invece riferirci ai Sinottici, quando Mt 11,25-27 e Lc 10,21-22, ci presentano una Berakaà di Cristo, per la conoscenza del Padre accolta dai discepoli; questi discepoli vivono la vera sapienza, la sapienza dei piccoli che sono disponibili a ricevere da Cristo la piena rivelazione della vita intima di Dio.

“ Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre perché così è piaciuto a te.. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno consce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò. «prendete il mio giogo sopra di voi, ed imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime». (Mt 11,25-29).

Si tratta infatti di un beraka per la conoscenza di D io; qui la beraka raggiunge la sua perfezione assoluta, perché in Gesù Dio si è completamente manifestato all’uomo, e suscita la perfetta risposta dell’uomo.

Questa berakà per la conoscenza reciproca del Padre e del Figlio, si sviluppa come berakà per la comunicazione di questa intimità unica ai piccoli, ai poveri nel senso comune di Israele, cioè di coloro che vivono appoggiati solo sulla Fede.

L’esultanza di Gesù per l’accoglienza da parte dei piccoli, i veri sapienti, della conoscenza di Dio, esprime bene la gioia che è l’anima di ogni berakà:

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l’esultanza di colui che scopre, per divina rivelazione, il senso vero del creato, della storia, di tutta la vita dell’uomo.

L’esultanza di Gesù supera infinitamente quella di qualsiasi credente dell’AT. Sa non solo di essere conosciuto da Dio, ma di essere l’oggetto fondamentale della conoscenza divina: colui nel quale la conoscenza propria di Dio, non solo in quanto Signore sovrano del cielo e della terra, ma in quanto Padre si realizza perfettamente.

Già Dio aveva cominciato a rivelarsi come Padre a Israele, per Israele; ma ora Gesù si presenta come l’unico Figlio prediletto, preesistente, l’unico che possiede la vera e perfetta conoscenza del Padre; solo in Lui, accogliendo Lui tutto Israele si compie, si riassume, si supera.

Il riconoscimento di quest’unicità di conoscenza di cui Gesù è oggetto e soggetto («nessuno conosce il Figlio se non il Padre, nessuno conosce il Padre se non il Figlio...»), ben lungi dal provocare in Gesù un ripiegamento, chiusura in se stesso, si riversa spontaneamente sui discepoli: sulle sue labbra la berakà diviene per eccellenza confessione, proclamazione delle meraviglie divine, la stessa intimità della vita e conoscenza del Padre e del Figlio, per Lui manifestate e partecipate ai discepoli.

La benedizione riportata da Mt e Lc è soprattutto comunicazione di quell’esultanza unica che costituisce come il fondo ed il tutto della reciproca intima conoscenza del Padre e del Figlio; comunicazione che è come una irradiazione di quella “Eucaristia” permanente che costituisce come il fondo dell’anima del Figlio Gesù.

Tale inseparabilità dell’Úš(buon annuncio) e dell’eÚcarist…a (buona gratitudine, esultanza), rimarrà viva nella vita della chiesa apostolica e nella sua preghiera liturgica.

Come ricorda la 1Cor 1,7-2.16, questa comunicazione della Sapienza suprema suppone l’umiliazione di ogni sapienza umana: essa risulta accessibile ai piccoli, che sono radicati in quello spirito di infanzia soprannaturale, che è il vero atteggiamento filiale, in cui solamente Gesù può rallegrarsi di conoscere il Padre come il Padre conosce Lui. I poveri per eccellenza hanno di proprio la fede, nella quale si esprime senza riserve questo Spirito, lo Spirito Santo, lo Spirito comune del Padre e del Figlio. È questo il beneplacito del Padre, che troverà nel e per il suo Figlio Gesù la sua realizzazione tra gli uomini.52

52 Ibidem 102s.. Possiamo notare in questa berakà una struttura letteraria tipo todà : una protasi all’indicativo , la confessione che il Padre, Signore del cielo e della terra, ha dato la conoscenza sua e del Figlio non ai sapienti e intelligenti, ma ai piccoli; ne segue, l’apodosi all’imperativo, l’ingiunzione di venire a Lui, il Figlio, prendere il suo

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I.1.6 Eventi fondanti, dimensioni sacrificali-comunionali della storia della salvezza.Segni profetici vigiliari, divenuti memoriali sacrificali-conviviali degli eventi fondanti

Facciamo l’ultimo passo della preparazione veterotestamentaria e giudaica, la preparazione che già si affaccia, ci fa entrare nel memoriale-eucaristico. Si tratta, infatti, di descrivere la celebrazione giudaica del memoriale pasquale dell’esodo dall’Egitto, in cui Gesù ci dona il memoriale della sua Pasqua.

Sappiamo per fede divina e cattolica, che nella celebrazione eucaristica si ri-presenta, in modo vero, sostanziale, lo stesso Crocifisso glorioso, il suo corpo dato ed il suo sangue versato, il suo Sacrificio che c’introduce nella vivificante comunione col Padre. Il Sacrificio che ci porta alla comunione col Padre viene ripresentato nella celebrazione del memoriale, affidato da Gesù agli Apostoli nell’ultima cena, nei segni del pane e del vino, nei gesti di prendere, ringraziare, spezzare, dire e dare.

Sarebbe stato oltremodo difficile per gli Apostoli e per noi entrare nella comprensione dell’efficacia unica del memoriale del Signore, se già l’AT non presentasse l’uso di memoriali dell’alleanza e di segni profetici, in particolare il segno profetico vigiliare dell’ultima cena in Egitto prima dell’esodo.

Ci può aiutare l’accostamento tra gli eventi fondanti sacrificali-comunionali dell’AT e del NT, e considerare come l’evento fondante della prima alleanza mosaica, il passaggio del Mare Rosso, viene introdotto dalla celebrazione di un segno profetico-vigiliare; la sua struttura liturgica fondamentale viene lasciata come memoriale annuale degli eventi salvifici dell’esodo, per rinnovare in modo efficace, quasi sacramentale, la grazia della prima alleanza.

Avremo così gli elementi necessari di preparazione veterotestamentaria per avere intelligenza circa la Cena del Signore, che, a somiglianza dell’ultima cena in Egitto, è stata celebrata dal Signore come segno profetico vigiliare introduttivo alla sua Pasqua; una cosa sola inseparabile dal Sacrificio della Croce che prefigura e già attualizza, per poi divenirne il Memoriale che lo rende presente nei tempi della Chiesa.

Senza un’accurata introduzione al significato del segno profetico dell’Esodo, istituito come memoriale, sacramento efficace (efficacia secondo la legge che possiede solo l’ombra, non la realtà stessa: cfr Eb 10,1) dell’Alleanza di Mosè a favore delle generazioni di Israele, ci sarebbe difficile entrare

giogo, la Croce, partecipare della sua mitezza e umiltà, per trovare ristoro.

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nell’efficacia misterico-sacramentale propria dell’Eucaristia, con i suoi contenuti inauditi.

Per una migliore assimilazione di quanto diremo, è bene tenere sott’occhio il quadro schematico annesso in appendice VI. 2 53: nella colonna centrale sono riportati gli eventi fondanti dell’Antica e Nuova Alleanza.

Gli eventi fondanti della prima (antica) Alleanza sono :il passaggio del Mar Rosso, lo scendere nell’abisso delle acque della morte per la fede nel Dio di Mosè, Jahwe, per risorgere ad una vita di libertà; così lasciarsi attrarre verso Dio, il cammino verso il Sinai, ove sarà celebrata l’Alleanza, che costituisce Israele popolo di Dio, sacerdotale.

Gli eventi fondanti del Sinai sono esposti in Es 19,1-24,11: «Mosè salì verso Dio, ed il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: “Questo

dirai alla casa di Giacobbe ed annunzierai agli israeliti: Voi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto, e come ho sollevato voi su ali di aquila e vi ho fatto venire a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Queste parole dirai agli israeliti» (Es 19,3-6).

Dopo la dichiarazione di disponibilità del popolo, Mosè sale sul monte, ove Dio si manifesta, dando il decalogo ed altre leggi particolari (altare, gli schiavi, [...] ). Nel cap. 24 viene descritta la stipulazione del patto: Mosè funge da mediatore-sacerdote, con l’aiuto di giovani (il sacerdozio di Aronne e Leviti viene dopo, in relazione a questi eventi fondanti):

○ costruisce l’altare con intorno le dodici steli; ○ versa la metà del sangue sull’altare, come segno di

partecipazione alla vita di Dio, comunione con Dio; ○ promulga la legge ricevuta sul Sinai, accoglie il consenso del

popolo (come Gesù nell’ultima cena promulga il comandamento nuovo dell’amore, del servizio disinteressato: cfr Gv 13,34-3; Lc 22,25-27);

○ asperge il popolo (o meglio dodici steli rappresentanti le dodici tribù) col sangue, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole» (v. 8). Si tratta di un caso unico, fondante, che dà rilievo alle parole di Cristo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,27-28).

53 Ispirato da GIRAUDO, C., In unum corpus, cit., 96s

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○ segue il banchetto, riservato alle strutture civili e religiose: Mosè e i settanta anziani, Aronne e figli: «Essi videro Dio, e tuttavia mangiarono e bevvero» (vv. 10-11).

Abbiamo riportato questi eventi fondanti della prima alleanza, perché essi prefigurano gli eventi definitivi della Pasqua di Cristo in Gerusalemme: morte e risurrezione del Signore, la legge nuova della Carità, dono pentecostale dello Spirito Santo, che costituisce il nuovo popolo di Dio, la Chiesa.

Passando ora alla prima colonna dello schema, vengono riportati i segni profetici vigiliari degli eventi fondanti, la cui struttura liturgica costituirà il loro memoriale.

Così alla vigilia del passaggio del Mar Rosso, abbiamo il sacrificio dell’agnello, l’unzione degli stipiti con il sangue, e la manducazione dell’agnello: sono un rito di pastori, nomadi, per propiziare il passaggio dai pascoli invernali a quelli primaverili (analogia con la transumanza).

In Es 12 assume significati nuovi, in relazione all’uscita dall’Egitto, il passaggio alla libertà per la fede nel Dio di Mosè: «Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio quando io colpirò il paese dell’Egitto» (v. 13).

Cioè il sangue sugli stipiti distingue chi accetta la comunione fedele, obbediente a Dio, dichiara la sua appartenenza a lui, si lascia da Lui guidare. Dio, vedendo il segno dell’appartenenza a Lui, passerà oltre, salterà la casa. Pasqua indica il passaggio, di Dio che riconosce i suoi: l’esodo del popolo che attraversa il Mar Rosso sale verso il Dio del Sinai. Il sangue costituisce un segno: già è in sé segno di vita, di comunione: qui indica l’appartenenza di Israele a Jahwe, datore di vita. L’Egitto, che rifiuta il progetto di vita di Jahwe, che non ha il segno del sangue sugli stipiti, si vota alla condanna.

L’ultima cena del sacrificio dell’agnello, alla vigilia del passaggio del Mar Rosso, si trova così riferita, attraverso una prefigurazione unica, efapax, il segno del sangue, al suo futuro immediato: la discesa nel mare, ove la libertà promessa ed accolta incomincia a divenire realtà.

Israele è ancora materialmente in Egitto, ma attraverso il segno profetico ne è già come uscito, perché s’impegna a lasciarsi guidare da Dio. Il segno profetico indica e già, in qualche modo, contiene la realtà futura prefigurata, quando pienamente si manifesterà. Ricordiamo la brocca spezzata da Geremia nel Tofet (19,1-13), la fuga simulata di Ezechiele (12,1-16).

Il segno profetico vigiliare, che fa un tutt’uno, non separabile, con l’evento fondante, verrà poi lasciato, per istituzione divina, come memoriale degli stessi

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eventi salvifici, affinché siano efficaci per tutte le generazioni di Israele. Un Israele tanto proclive alle mormorazioni, a stancarsi di Dio.

Continuando a leggere lo schema, dopo la colonna del memoriale, si accenna alla Nuova Alleanza, così come viene prefigurata dall’AT: il suo inizio, quando Israele ritornerà al Signore, e inoltre la sua realizzazione definitiva, come viene descritta da Isaia :25,6-8 :il convito messianico offerto a tutti i popoli da Jahwe sul monte Sion; notiamo come siamo sempre nella prospettiva del convito e del sacrificio.

Come descrizione dell’inizio della nuova alleanza: possiamo riferirci a Is 55,1-3: il Signore annuncia il termine delle privazioni, l’adempimento del patto promesso a Davide: Dio chiede di aprire l’orecchio, di ascoltarlo. A queste condizioni promette la vita ed annuncia pane e acqua, vino e latte, cibi squisiti a discrezione. Il mangiare e bere è congiunto con l’incontro con Dio, nell’ascolto della sua parola. Ricordiamo come il Deutero-Isaia faccia precedere a questa dimensione di comunione conviviale, i carmi del servo di Jahwe, mediatore di una Alleanza universale col sacrificio della sua vita.

Anche nei Sapienziali partecipare alla mensa della Sapienza segna l’inizio del rinnovamento, frutto della conoscenza di Dio accolta nella concretezza della vita. Come il Deuteronomio asserisce che l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola di Dio (8,3), anche i Sapienziali intendono dimostrare il valore unico della Parola di Dio rispetto alla vita, e quindi invitare a meditarla, assimilarla, con il simbolo del convito (Prv 9,1-6; Sir 24,18-21).

Invece Is 25,6-10 offre una prospettiva decisamente escatologica ed universale: la fine dei tempi, con la distruzione della morte e la manifestazione di Dio, è congiunta ad un banchetto: sarà a Gerusalemme, ma aperto a tutti i popoli.

Gli evangelisti hanno attinto da questi simboli per esprimere il Mistero eucaristico: in relazione a Sir 24,20 e Is 49,10, Gv 6,35 dice: «Chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete».

Anche la prospettiva del convito escatologico trova la sua realizzazione nella Pasqua di Cristo, nell’ultima cena: «In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,25 e //).

Possiamo quindi concludere: nel progetto di Dio la vita umana è essenzialmente comunione, convivenza con Dio, nel segno del convito escatologico. Gli eventi fondatori saranno costituiti da un sacrificio, per portare noi creature al livello ineffabile della conoscenza vissuta di Dio, della familiarità

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adorante con lui, attraverso lo scendere notturno nel Mar Rosso, lo scendere di Cristo nelle acque della morte.

Anche il segno profetico dell’evento fondante sarà costituito da sacrificio e convito: il sacrificio dell’agnello e la sua manducazione veloce nell’uscita dall’Egitto, il corpo dato ed il sangue versato di Cristo offerti agli Apostoli nell’ultima cena.

La cena pasquale sarà poi celebrata annualmente come memoriale della liberazione dall’Egitto: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14).; parimenti il Signore Gesù prescriverà agli Apostoli di celebrare il rito della sua ultima cena, segno profetico, che già pre-contiene la sua Pasqua, come memoriale della sua stesa Pasqua: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me»(Lc 22,19).

Poiché in questo contesto pasquale il Signore Gesù ha celebrato nell’ultima cena il segno profetico della sua Pasqua, lasciandocelo poi come suo memoriale, è opportuno dare una descrizione accurata della cena pasquale giudaica.

Conosciamo la struttura liturgica della cena pasquale come è stata fissata dalla Misnà (II sec d.C.). Non esiste più il Tempio, con il sacrificio degli agnelli e l’aspersione dell’altare, ma il rito domestico, a parte l’assenza dell’agnello, corrisponde bene a quello celebrato ai tempi di N. S. Gesù Cristo. L’ultimo seder è incerto, le parole non erano ancora così determinate.

I.1.6.1 Struttura rituale della cena pasquale giudaicaAbbiamo sin ad ora parlato della cena pasquale in Egitto, come segno

profetico vigiliare, che fa un tutt’uno inseparabile dall’evento fondante della discesa nel Mar Rosso per poi risalire nel deserto verso il Sinai, luogo della conoscenza di Dio e della promulgazione della legge.

Secondo Es 12,13: «Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, e non vi sarà per voi flagello di sterminio…».

Il sangue è segno di appartenenza al Signore, non all’Egitto che rifiutando il progetto di vita di Dio, subirà la condanna.

Israele per la celebrazione dell’agnello, il segno del sangue, è già separato dall’Egitto, è già uscito da esso, il nunc, l’ora della salvezza è già realizzata nel segno di fede, nell’accettare il piano di salvezza; esso si realizzerà il giorno dopo con il passaggio del Mar Rosso. Israele muore alla schiavitù del Faraone e risorge dal Mare come popolo di Dio, servo di Jahwe.

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La stessa cena pasquale, nei suoi elementi liturgici essenziali di sacrificio dell’agnello, erbe amare e azzime, sarà celebrata nel deserto (Nm 9,1-11), ma già come memoriale dell’evento fondante irrepetibile. Negli stessi padri di Israele che l’hanno celebrato come segno profetico dell’uscita dall’Egitto, si manifestano debolezze di fede, con mormorazioni e desiderio di ritornare in Egitto.

Come ritornare all’atteggiamento di fede della notte dell’esodo? Attraverso la celebrazione del Memoriale.

La Scrittura non ci parlerà più di celebrazioni memoriali della Pasqua sino all’ingresso nella terra promessa (Gs 5,10); 2Cr 30,15 ci parla di una celebrazione della Pasqua in Gerusalemme, per editto del Re Ezechia. In 2Re 23,21-23 si legge: «Il re ordinò a tutto il popolo: “Celebrate la Pasqua per il Signore vostro Dio con il rito descritto nel libro di questa alleanza”. Difatti, una Pasqua simile non era mai stata celebrata dal tempo dei Giudici, che governarono Israele, ossia per tutto il periodo dei re di Israele e di Giuda. In realtà tale Pasqua fu celebrata per il Signore in Gerusalemme, solo nell’anno XVII di Giosia». Anche 2Cr 35,1-19 descrive, con attendibilità storica, la Pasqua che ebbe luogo in occasione del ritrovamento del Libro della Legge, sotto Giosia, nel 621.

La descrizione della Pasqua riportata in Dt 16,1-8,54 secondo la riforma di Giosia, pur riferendosi ad una fondamentale autorità mosaica, porta i segni evidenti di una prassi liturgica, le relative rubriche, avviata.

54 Dt 16,1-8 Osserva il mese di Abib e celebra la Pasqua in onore del Signore Dio tuo, perché nel mese di Abib il Signore Dio tuo ti ha fatto uscire dall’Egitto, durante la notte. Immolerai la Pasqua al Signore tuo Dio : un sacrifico di bestiame grosso e minuto, nel luogo che il Signore avrà scelto per stabilirvi il suo nome. Non mangerai con essa pane lievitato; per sette giorni mangerai con essa gli azzimi, pane di afflizione, perché sei uscito in fretta dal paese d’Egitto, e così per tutto il tempo della tua vita ti ricorderai il giorno in cui sei uscito dal paese d’Egitto. Non si veda lievito presso di te , entro tutti i tuoi confini, per sette giorni; della carne che avrai immolato la sera del primo giorno, non resti nulla fino al mattino. Non potrai immolare la pasqua in una qualsiasi città che il Signore Dio tuo sta per darti, ma immolerai la Pasqua soltanto nel luogo che il Signore Dio tuo avrà scelto per fissarvi il tuo nome; la immolerai la sera , al tramonto del sole, nell’ora in cui sei uscito dall’Egitto. Farai cuocere la vittima e la mangerai nel luogo in cui il Signore Dio tuo avrà scelto; la mattina te ne potrai andare e andartene alle tue tende. Per sei giorni mangerai azzimi e il settimo giorno vi sarà una solenne assemblea per il Signore Dio tuo; non fari alcun lavoro.”

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Il libro di Esdra 6,19-22 riporta l’ultima menzione della celebrazione della Pasqua nei libri storici. Si tratta della celebrazione pasquale in occasione della riedificazione del Tempio, nel 515.

Il rito della cena pasquale contemplava, secondo la riforma di Giosia, un momento solenne, sacrificale-rituale, da celebrarsi nel Tempio. Qui nel pomeriggio del 14 Nisan, tra le due sere, del 14 e del 15 Nisan, venivano immolati gli agnelli pasquali, presentati dai capi famiglia, capi dell’Haburà pasquale. L’immolazione degli agnelli, stanti le condizioni di purità legale, veniva effettuata dagli stessi israeliti; il sangue invece veniva raccolto dai sacerdoti, che facendolo passare velocemente di coppa in coppa, veniva dall’ultimo sacerdote asperso ai piedi dell’altare. Seguiva lo scuoiamento degli agnelli, mentre la cena rituale veniva celebrata nelle case. Prescrivendo la legge che avvenisse in Gerusalemme, si utilizzavano anche cortili, terrazze-tetto, per darne possibilità a tutti gli israeliti convenuti in Gerusalemme.

Il rito era costituito da una serie ordinata di 14 azioni: annuncio, lode-benedizioni, manducazioni e bevute rituali, intercessioni… Il tutto distinto in quattro tempi, servizi, sedèr, divisi l’uno dall’altro per il riempimento del calice del vino.

Descriviamo brevemente la cena rituale, sottolineando gli aspetti forti, quasi sacramentali, che ne fanno il memoriale della Pasqua dell’Esodo.55

1° Sèder: è un Qiddùs, consacrazione della cena festiva, adattato alla Solennità della Pasqua. Benedizione rituale del Calice del vino, lavaggio di mani, antipasto di erbe intinte in acqua salata o aceto.

Da notare lo Yahàs, quando il capo famiglia spezza l’azzima centrale in due e la nasconde per apiqomon, cioè quel pezzo di azzima, grande come un’oliva, da gustare al termine della cena, al termine del secondo Sedèr, pezzo di azzima appositamente riservata per sostituire e significare la manducazione dell’agnello, che oggi in assenza del Tempio non è più possibile.

2° Sèder: è costituito dall’annuncio pasquale, la proclamazione dell’Hallel (Sal 112[113] e 113[114]), benedizioni e manducazione rituale dei cibi quasi sacramentali: azzima ed erbe amare; dal calice della redenzione, dalla cena, in cui si mangia e beve a piacimento, che si conclude con la consumazione dell’epiqomon, prima della mezzanotte.

Poniamo in risalto l’introduzione dell’annuncio:

55 GIRAUDO, C., nel suo Eucaristia per la Chiesa, cit, 124-161, espone con ampiezza la Struttura rituale della cena pasquale ebraica, riferendo la fonti ebraiche e le traduzioni; quella latina di LIGIER, L., in PE, 15-34; quella in italiano di TOAFF, A. S.., [ a cura di], Haggadàh di Pasqua, Casa editrice Israel, Roma 1971.

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«Questo è il pane di miseria che mangiarono i nostri padri in terra di Egitto.

Chiunque ha fame, venga e mangi!Chiunque ha bisogno venga e faccia pasqua!Quest’anno qui, l’anno venturo in terra d’Israele! Quest’anno schiavi,

l’anno venturo figli liberi!».Sin dall’inizio dell’annuncio, Haggadà, si stabilisce una dinamica di tipo

sacramentale: questo pane qui è lo stesso pane dei padri, segno della loro sofferenza, nel cammino verso la libertà del popolo sacerdotale. Nonostante la dispersione del tempo, sono gli stessi segni sacramentali, per rinnovare la fede in Jahwe che realizzò l’Esodo. Ma anche la dispersione spaziale viene superata nella stessa ritualità: la pasqua, pur celebrata nell’intimità familiare, è una festa aperta, in quanto festa di tutti i miseri di Jahwe, giunti a libertà.

Anche le domande dei quattro figli, portano a sottolineare con vigore che questa generazione, nel rito pasquale, diviene un tutt’uno con la generazione dei padri, la loro fede nel Dio di Mosè, dell’Esodo.

Ancora più intensamente si realizza l’identificazione con i padri che vissero l’evento fondante del Mar Rosso e della Pentecoste del Sinai, quando il padre famiglia pronuncia le tre parole d’obbligo, senza le quali non si dà rito pasquale: pesàh (pasqua), massà (azzima), maròr (amara).

In più sollevando nelle sue mani l’azzima dice:«Quest’azzima che noi mangiamo, perché la mangiamo?Perché la loro pasta, quella dei nostri padri, non ebbe tempo a lievitare...».Come sollevando l’erba amara dice:«Quest’erba amara che noi mangiamo, perché la mangiamo?Perché gli egiziani amareggiarono la vita dei nostri padri in Egitto…».Commenta C. Giraudo: “In altri termini, l’agnello pasquale, l’azzima e l’erba amara, che l’Israele

delle generazioni nelle sue presenti coordinate spazio-temporali è chiamato a mangiare, non sono un qualcosa che si attui ad un livello di ordine convenzionale, o tutt’al più psicologico, per richiamare l’uscita dall’Egitto; ma sono proprio essi a far sì che l’Israele delle generazioni sia ora intento ad uscire dall’Egitto per mano del Signore. Sono proprio essi, nella loro manducazione (ossia nel loro rapporto esistenziale a noi), il segno sacramentale che rende presente l’Israele delle generazioni all’evento di morte e risurrezione che fu, una volta per tutte (šfapax), quello dei padri”56

56 C. GIRAUDO., Eucaristia per la Chiesa, prospettive teologiche sull’Eucaristia a partire dalla lex orandi, Gregoriana Univ. Press, Morcelliana, Roma, 1989, 142.

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Il padre di famiglia non fa che ridire con parole diverse, ciò che già aveva proclamato all’introduzione dell’annuncio: questo pane che ora tengo nelle mani, è quello stesso pane là, pane di povertà, che una volta per sempre ci fece ricchi.

Questo agnello qui, è quell’unico agnello là, unico e irrepetibile, partecipare ad esso è avere parte a quella morte, che una volta per tutte ci procurò la vita. Parimenti l’erba amara di questa presente pasqua, è l’amarezza dei padri. Partecipare di essa, significa comunicare a quell’unica amarezza dei padri, che una volta per tutte ci procurò la dolcezza del Signore.

La stessa dinamica sacramentale viene infine espressa nella monizione riassuntiva:

«In ogni generazione e generazione ognuno è obbligato a vedere se stesso, come essendo proprio lui uscito dall’Egitto siccome è detto: e annuncerai a tuo figlio in quel giorno dicendo: è a causa di questo che il Signore fece a me, quello che fece quando uscii dall’Egitto »(Es 13,8).

«Non i nostri padri soltanto redense il Santo - benedetto Egli sia -, ma anche noi redense con essi, siccome è detto: E noi fece uscire di là, per farci venire e dare a noi la terra che aveva giurato ai nostri padri» (Dt 6,23).

Sotto il profilo salvifico non vi è distinzione tra la pasqua, l’azzima e l’amara di questa notte e gli eventi di quella notte. È a causa di questi segni quasi sacramentali del memoriale, che l’Israele presente, confuso e disperso, riceve la grazia propria dell’evento fondatore del popolo dell’alleanza.

Riguardo alle benedizioni rituali, ricordiamo la benedizione del calice di questo seder, il calice della redenzione: presenta aspetti escatologici, salvezza compiuta, che ben si addice al primo calice menzionato da Luca, esponendo l’istituzione dell’Eucaristia: Lc 22,17-18: distribuendolo, Gesù dichiara che «[e prese un calice, rese grazie e disse:] Prendetelo e distribuitelo tra voi, da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio». Segue in Lc la consacrazione del pane e del calice del vino eucaristico.

Anche per il ringraziamento e dichiarazione sul pane essere il suo corpo dato, il rituale giudaico presenta il momento opportuno, con la benedizione dell’azzima: Mosì massà (che fai uscire l’azzima). Anche qui è lecito, secondo il rituale giudaico, sviluppare la benedizione, e così si offriva a N. S. Gesù Cristo l’opportunità per dichiarare che il pane diveniva il suo corpo offerto in sacrificio.

3° Sèder: è una birkat ha-mazon, con le tre benedizioni ed embolismi. La benedizione del calice più distinto, il calice della benedizione, offre a N .S. Gesù il luogo opportuno per donarci il suo sangue versato in sacrificio. Meno indicato risulta il calice del 4° sèder, per i versetti dell’ira, recitando Sal 78(79),6-7;

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68(69),25; Lam 3,66: il calice del sangue del Signore è per il perdono dei peccati, non per l’ira.

Il rito si concludeva con la continuazione dell’Hallèl, la dichiarazione: Dio ha gradito, e l’invocazione: l’anno venturo a Gerusalemme, o per chi è già in Israele, Gerusalemme riedificata.

Queste brevi nozioni sulla cena rituale della pasqua giudaica ci sono indispensabili per la comprensione dell’ultima cena di N. S. Gesù Cristo. Essa, a somiglianza dell’ultima cena in Egitto, si presenta come segno vigiliare, profetico della Croce, inseparabile da Essa, anzi già realizza il Sacrificio del corpo dato e sangue versato, per poi divenirne il memoriale.

Realizziamo così il primo avvicinamento nello studio dell’ultima cena del Signore, esaminando i suoi rapporti con la preparazione rituale giudaica: già questo stesso studio ci permette di cogliere come gli evangelisti affermano ed esprimono la totale novità dei contenuti salvifici del segno vigiliare profetico, dato come memoriale della pasqua del Signore. Ricerchiamo anzitutto la continuità, domandandoci se l’ultima cena del Signore è stata una cena rituale pasquale giudaica, per poi così coglierne la assoluta novità.

I.1.6.2 L’ultima cena di Gesù fu una cena pasquale rituale dei giudei?

Indizi a favore: Gesù e gli apostoli intendono preparare una cena pasquale: è il giorno degli azzimi, si deve immolare la vittima di pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: «Andate a preparare per noi la Pasqua, perché possiamo mangiare» (Lc 22,7s); Mc 14,12 dice trattarsi del primo giorno degli Azzimi quando si immolava la Pasqua: si tratterebbe del 14 Nisan, giorno dell’immolazione nel tempio degli agnelli.

Anche la ricerca del luogo adatto, secondo le indicazioni di Gesù, è in piena sintonia cultuale con le consuetudini giudee: l’offerta di ospitalità per i numerosi pellegrini, affinché, secondo la legge, celebrino la pasqua in Gerusalemme. Per Gesù e gli apostoli viene offerta una sala al piano superiore, grande ed

addobbata, in greco ££™strwmšnon, cioè un cenacolo con letti per sdraiarsi, secondo l’uso giudaico per la cena di pasqua (Lc 22,12; Mc 14,15). Vi corrispondono la posizione sdraiata, sottintesa da Lc 22,14 e Mt 26,20 (¢… e ¢£).

Anche l’ora del convito è quella che conviene alla cena pasquale: «Venuta la sera, egli giunse con i Dodici» (Mc 14,17). La cena pasquale è infatti una cena notturna.

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Possiamo ancora ricordare l’intingere nel piatto, che nella cena pasquale era più frequente, e così pure l’abbondanza di calici di vino. Lc, oltre al calice eucaristico, premette un calice escatologico (22,17s). Ulteriore indizio di cena pasquale è il lasciare il cenacolo dopo avere cantato l’inno, i Salmi dell’Hallèl (Mt 26,30; Mc 14,26), e il pernottamento nell’orto degli ulivi, cioè ancora nel perimetro concesso.

Ma in primo luogo avremo dovuto citare Lc 22,14: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi prima della mia passione».

Difficoltà circa la natura pasquale della cena di Gesù.Anzitutto la difficoltà nel concordare la cronologia dei Sinottici con le

indicazioni di Giovanni.Come abbiamo ricordato:14 Nisan si immolano gli agnelli nel Tempio;15 Nisan è la pasqua; dopo il tramonto del 14 Nisan, quindi già iniziato il

15, si celebra il rito della cena. Tutti gli evangelisti concordano che Gesù è morto in croce di Venerdì; per i

Sinottici è il Venerdì 15 Nisan. Invece Giovanni (18,28) ci dice che i Giudei si presentano da Pilato: «Era l’alba, ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua». Saremo ancora al 14 Nisan, prima della cena pasquale, per la quale i giudei non vogliono contrarre l’impedimento dell’impurità, entrando in luogo pagano. Si potrebbe dedurre che Gesù, secondo Giovanni, viene posto in Croce Venerdì, ma 14 Nisan, in contemporaneità all’immolazione degli Agnelli pasquali: è Gesù il vero Agnello, riconosciuto dal Battista (Gv 1,29.36), di cui non si romperanno le ossa (Gv 19,32-37).

Che si tratti proprio del 14 Nisan sembrerebbe confermarlo Gv 19,31: «Era il giorno della parasceve, ed i Giudei, perché i corpi non rimanessero in Croce durante il Sabato (era infatti un giorno solenne quel Sabato) chiesero a Pilato...».

Si sono fatte molte ipotesi per concordare il calendario dei Sinottici con quello di Giovanni, che sembrerebbe anticipare un giorno del mese. Secondo J. Jeremias, anche Giovanni è riportabile alla cronologia dei Sinottici, e le difficoltà che presenta sarebbero facilmente risolvibili: la purità legale che i giudei vogliono conservare, non riguarderebbe la cena pasquale, già celebrata la sera precedente, ma la restante parte della settimana pasquale, degli azzimi. Parasceve, oltre a tradurre: preparazione della Pasqua, potrebbe tradursi: Venerdì di Pasqua, ed il sabato seguente, giorno solenne secondo Gv 19,31,

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sarebbe il giorno dell’offerta del covone delle primizie, che secondo la tradizione farisaica cadeva il 16 Nisan57.

Altre difficoltà, per l’identificazione pasquale giudaica dell’ultima cena, risultano dalla descrizione che ne fanno tutti gli evangelisti. Dopo la solenne introduzione, il desiderio vivissimo del Signore di mangiare la Pasqua, i preparativi, non si dice più nulla dei riti essenziali della Pasqua, cioè l’Annuncio, l’Agnello, erbe amare, azzimi. Può anche stupire che non si menzioni la presenza di Maria e delle Donne, in un rito liturgico-familiare. Si parla invece solo della presenza dei dodici Apostoli.

Ma è esattamente questo silenzio dei riti giudaici, quasi sacramento dell’esodo dall’Egitto, a porre più in rilievo ciò che ora è al centro di tutto, come realtà decisiva: la Pasqua, l’esodo di Cristo al Padre. I Dodici sono introdotti in questo definitivo esodo, di cui solo Gesù parla. Si è fatto notare che si dà pure, secondo Giovanni, una baraita, interrogazione dei quattro figli, secondo la ritualità giudaica. Sono le quattro domande che Pietro, Tommaso, Filippo e Giuda (Gv 13,36; 14,5.8.42) pongono a Gesù sulla sua partenza.

Pietro non capisce ove Cristo vada, perché non possa seguirlo ora. Quando Gesù inizia a parlare della casa del Padre, di una via nota, interviene Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?» (14,5). Alla risposta di Gesù di essere la via, la verità e la vita, la via unica verso il Padre, che già si fa conoscere, interviene la domanda di Filippo: «Mostraci il Padre e ci basta».

Qui il discorso di Gesù si estende alla conoscenza del Padre, all’immanenza mutua del Padre e del Figlio, il loro comune operare salvifico, che sarà partecipata a chi ha fede in Gesù. Gesù si presenta come colui che va al Padre

57 JEREMIAS, J., Le parole dell’ultima cena, Paideia, Brescia 1973, 9-99: Giovanni non avrebbe quindi voluto dirci la vera data storica , avrebbe scelto una data simbolica della morte di Gesù, per porre in risalto la verità più profonda: Gesù è il nuovo e vero agnello, che ha sparso il suo sangue per la salvezza di tutti.

La scoperta degli scritti di Qumran ci permette ora di formulare una soluzione convincente, che cioè quanto Giovanni scrive è storicamente esatto, e Gesù avrebbe sparso il suo sangue alla Vigilia di Pasqua, nell’ora dell 'immolazione degli agnelli. Avrebbe celebrato la Pasqua secondo il calendario di Qumran, almeno un giorno prima, senza l’agnello. Senza l’agnello, perché la comunità di Qumran non riconosceva il tempio di Erode, ripudiava il sacrificio degli agnelli che si faceva in esso. Aspettava il nuovo tempio. Gesù ha celebrato la Pasqua non senza agnello, perché il vero Agnello è Lui stesso, nel dono del suo corpo, del suo sangue versato in Sacrificio. Cfr CAZELLES, H., Johannes. Ein Sohn von des Zebedaus. ‹‹Priester und Apostel , in ‹‹IKAZ Communio›› 31 (2002) 479-484

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(14,12). Il discorso di Gesù diviene promessa dell’invio dello Spirito di verità, che farà conoscere più profondamente l’immanenza reciproca del Padre e del Figlio, e degli apostoli con Gesù. Manifestazione per chi lo ama e ne osserva i comandamenti, che suscita lo stupore e la domanda di Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?».Gesù ribadisce una presenza-manifestazione per coloro che corrispondono al suo amore, ascoltano e osservano la sua parola. E ritorna l’annuncio dello Spirito Santo consolatore, che introdurrà alla piena verità, suscitando il ricordo di quanto Gesù ha detto.

L’unico esodo di cui si parla è il suo andare, attraverso la Croce al Padre; una via che soltanto Lui può aprire, ma che sarà ricca di frutti di conoscenza di Dio, di novità di vita: Gesù coinvolge i suoi apostoli in questa via al Padre che è Lui stesso attraverso la Croce, offrendo la partecipazione conviviale al suo Sacrificio, già reso presente, come corpo dato e sangue versato.

Se non si parla più dell’antico è perché ora si realizza il definitivo, di cui era semplice prefigurazione ed introduzione.

Ora si dà un nuovo e definitivo annuncio pasquale, con nuovi segni sacramentali, dai contenuti inauditi: lo stesso corpo offerto in sacrificio, il sangue versato per il perdono dei peccati.

Ne nasce uno stile nuovo di vita, improntato dalla legge nuova della carità-servizio. Anzi Gesù è in mezzo agli apostoli come colui che serve; Giovanni ricorda il segno del lavare i piedi, lo stupore di Pietro.

Di fronte alla novità di vita, servizio, senza l’affanno dei primi posti, si dà l’avviso di non presumere delle proprie forze; l’avviso è dato anzitutto a Pietro, che in forza della preghiera di Cristo, dovrà confermare i suoi fratelli in questa novità di vita, frutto dell’esodo di Cristo, della sua croce, accolta e partecipata nel convito eucaristico (Lc 22,31-34).

Agli apostoli, che così partecipano delle prove del Signore, è assicurata la mensa del Regno, la partecipazione al giudizio, offerta della novità di vita, suo discernimento… (Lc 22,28-30).

Possiamo ora cercare di concludere: si tratta di una liturgia pasquale. Non entriamo nella questione controversa della astensione di Gesù dai cibi della pasqua, di Israele, sostenuta da J. Jeremias, negata da C. Giraudo.58

58 GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit, 244-256 :Excursus Gesù nell’ultima cena comunica al pane e al calice istituzionali . Sino a Lutero, il solo Pietro di Poitiers ( XII sec.) lo nega. Lutero interpreta così le parole dell’istituzione :Gesù ha dato il suo corpo e sangue agli Apostoli, non a sé. Vede in questo una prova contro la prassi in cui i Sacerdoti comunicano solo se stessi. Questa interpretazione divenne poi quasi comune.

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Sicuramente tutta l’attenzione è rivolta alla Pasqua di Cristo, il suo passare al Padre. Di questo si fa ora l’annuncio, a questo vengono pazientemente introdotti i Dodici. Si ricorda unicamente il nuovo cibo, bevanda sacramentale, che fa partecipare alla pasqua di Cristo, coinvolge in essa, per portarne i frutti di novità di vita, carità e servizio.

Se si parla solo dei Dodici, è perché ad essi viene affidato il Memoriale della Pasqua del Signore.

Sono pertinenti le osservazioni di G. Lafont: «Si è molto discusso recentemente, per esempio, sulla cronologia della

passione di Gesù e sulla data dell’ultima cena. Per quanto sia grande l’interesse di queste discussioni, io mi domando se esse non hanno alquanto dimenticato ciò che sembra essere l’intenzione convergente degli Evangelisti sinottici e di Giovanni. Poiché essi non si accordano sulla presentazione dell’ultima cena del Signore, questo significa che la questione di sapere se questa ultima cena è stata effettivamente e letteralmente una cena pasquale ebraica non li interessa tanto. Ciò che al contrario vogliono dire e lo dicono molto bene, ciascuno col suo stile, è che la morte di Gesù celebrata nell’Eucaristia della Chiesa è la vera Pasqua. È a partire da questa realtà che si deve comprendere l’uso del vocabolario pasquale della redenzione»59.

I.2 GENESI DELL’EUCARISTIA CRISTIANA. LA RIVELAZIONE NEOTESTAMENTARIA

I.2.1 IntroduzioneEsaminiamo ora la piena rivelazione del mistero eucaristico.Siamo anzitutto avvisati che si tratta di una ritualità completamente nuova

rispetto alla preparazione della prima alleanza. Tutti i sinottici ci dicono che, mentre Cristo muore in Croce, il velo del tempio si squarcia nel mezzo (Mt 26,51; Mc 15,38; Lc 23,45).

Anche la lettera agli Ebrei parla del velo simbolico che proteggeva il Santo dei Santi, per dirci con chiarezza che l’antico rituale espiatorio-sacrificale è stato abolito. Gesù infatti è entrato con il suo sangue nello stesso santuario, il cielo stesso, per comparire al cospetto di Dio in nostro favore (Eb 9,11-14.24-29). Ha così inaugurato una via nuova, vivente, attraverso il velo, cioè la sua carne (Ebr 10,19-20). Abbiamo così un’ancora di salvezza, sicura e salda, che

Ma già DE LA TAILLE, M., nel 1921 sosteneva :«Non senza una ragione altamente conveniente Cristo nella cena fu partecipe del cibo e della bevanda eucaristici», dando una poderosa documentazione patristica e liturgica.

59 LAFONT, G., Dieu, le temps et l’etre, (= Cogitatio fidei 139), Cerf, Paris 1986, 245s.

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«penetra sin all’interno del velo del Santuario, ove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek» (6,19-20).

Gesù nella sua morte, risurrezione, ascensione al cielo è la realtà salvifica, nuova e definitiva perché ci porta con sicurezza alla presenza del Padre: vi corrisponde la fine della ritualità antica, che è solo ombra delle realtà salvifiche, mentre la Chiesa ne possiede già la vera immagine (10,1).

Giovanni dice le stesse cose, e molto bene a suo modo, quando pone all’inizio del Vangelo la purificazione del Tempio (Gv 2,13-22): «Scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore ed i buoi». Il nuovo Tempio per incontrare autenticamente Dio sarà il suo corpo, crocifisso e risorto (Gv 2,19-22). Giovanni nota che questi eventi avvengono mentre si avvicinava la Pasqua.

Nel cap. 4, in dialogo con la Samaritana, Gesù parlerà di adorazione in Spirito e Verità, aperta a tutti.

In Lui, per la sua Pasqua, il sacrificio qualifica direttamente la vita dell’uomo, diviene esistenziale. Gesù, che è una cosa sola col Padre, per una immanenza reciproca, introduce anche noi in questa intimità di vita divina: «Come Tu, Padre sei in me ed io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola». «Io in loro e Tu in me, perché siano perfetti nell’unità» (Gv 17,21.23).

A questa qualità nuova di vita, di adorazione in Spirito e Verità (4,23), corrisponde una ritualità nuova, che esprime e già contiene questa adorazione nella Verità filiale, nell’amore Spirito Santo. Sarà quindi nostro primo compito esaminare nella Scrittura le qualità del segno vigiliare, memoriale della Pasqua di Cristo.

Prima di introdurci in questo studio è meglio precisare il rapporto tra Eucaristia e S. Scrittura.

I Vangeli, storia e riflessione su Cristo; la vita della Chiesa nelle lettere cattoliche, ma anche la sua azione missionaria (Atti) e esistenza drammatica in attesa del ritorno del Signore (Apocalisse): tutti questi scritti possiedono una tonalità eucaristica, per più motivi.

Anzitutto ricordiamo come la Chiesa apostolica, dopo la Pentecoste, ha celebrato l’Eucaristia (spezzare il pane: At 2,42.46; 20,7-11), una chiesa la cui preghiera, la cui stessa esistenza di …, carità, servizio, ministero apostolico, si esprime pienamente e si alimenta nell’eucaristia celebrata.

In questo contesto segnato in modo unico dall’Eucaristia sono composte, per ispirazione, le Scritture stesse: sono riconosciute tali per la loro sintonia con il Mistero che qualifica la vita della Chiesa.

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La celebrazione del memoriale è il luogo privilegiato dell’annuncio e della catechesi, della viva tradizione orale; si può legittimamente pensare che le lettere degli Apostoli fossero lette in questo contesto: la mensa della parola è sempre unita alla mensa del corpo e sangue del Signore.

Ricordiamo ancora che l’Eucaristia è memoriale della Pasqua del Signore, ma non disgiunta dalla sua vita, dal suo stare con noi, tra noi, in noi; nel vertice della sua Pasqua tutta la sua vita, Corpo dato per noi, è celebrata e resa presente. I segni sacramentali-conviviali del Memoriale non solo esprimono una qualità nuova di vita, di comunione e carità, di ringraziamento, ma già la realizzano.

Comprendiamo quindi come Eucaristia e Scritti del NT sono realtà inscindibili: tutta la Scrittura porta l’impronta della celebrazione del memoriale del Signore.60

Risulta opportuno analizzare le relazioni Scrittura-Eucarestia in due tappe:1. vedere quanto si dice nella Scrittura circa l’Istituzione del memoriale

stesso, così inscindibilmente unito alla Pasqua del Signore, di cui è stato il segno vigiliare. Certo non dobbiamo aspettarci dalla Scrittura quello che non ci può dare. Essa non è un libro liturgico, non è una Mishnà, né un Talmùd. Il Vangelo è l’annuncio kerigmatico, con sviluppi catechetici in Matteo, e approfondimenti teologico-spirituali in Giovanni, dell’Emanuele (Mt 1,23), che sarà con noi (Mt 28,20), tra noi riuniti in preghiera (Mt 18,20), anzi in noi, come lui è nel Padre (Gv 17,21.23; 6,56-57). Parlerà necessariamente della sua istituzione, della sua preparazione dei segni conviviali. Notizie più specifiche della celebrazione saranno da ricercare nella tradizione viva della Chiesa;

2. una seconda tappa sarà esaminare, con un dossier più completo, l’influsso dell’Eucaristia nei testi del NT: ringraziamento, sacrificio, … (comunione), carità, servizio.

S. Giovanni ci educa a questo, sviluppando elementi presenti in S. Luca: nel contesto della Cena tratta del frutto dell’Eucaristia, presenza intima del Signore nei suoi, manifestata come preghiera fiduciosa, servizio disinteressato... Già nel cap. 6 ha dato un’ampia catechesi eucaristica, quasi nel cuore del suo Vangelo, perché sia il cuore della vita cristiana.

60 Cfr BOUYER, L., Eucaristia ,cit, 115-122; BRAGA, C., et PISTOIA, A., ed., La liturgie interprète de l’Ecriture, (= BEL ‹‹subsidia›› 126) CLV Ed. Liturgiche Roma 2003, e altri studi citati nella nota 31

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I.2.2 Istituzione del Memoriale eucaristicoPrima di esaminare attentamente l’istituzione nel contesto della sua

Passione, consideriamo ora la sua preparazione nel ministero pubblico di Gesù, come prende il suo significato dall’intero stare con noi del Verbo incarnato.

Già l’AT manifesta l’intento di Dio di venire incontro agli uomini, di radunarli intorno a sé. Gesù prosegue e porta a termine questo disegno. Il discepolo è invitato a cogliere la presenza benefica del Signore non solo nei doni della creazione, nella legge dell’Alleanza, ma in un’intima e familiare immanenza.

Nei sinottici, con una condotta totalmente diversa dal Battista e dagli Esseni di Qumran, prende parte a conviti, anche con uomini peccatori: realizza la conviviale presenza di Dio tra gli uomini, presenza misericordiosa che trasforma le situazioni umane, non le lascia mai come prima. Gesù è sempre al centro dell’attenzione dei conviti cui partecipa, anzi gradisce che la sua presenza sia riconosciuta ed onorata (cfr. le unzioni della peccatrice al convito di Simone il fariseo, in Lc 7,36-50: questa donna, di fronte alla freddezza del fariseo, manifesta, con un comportamento al limite della convenienza, che nessun gesto umano può esprimere a sufficienza l’onore e la gratitudine dovuta al Signore Gesù).

I conviti del Signore sono per Lui occasione propizia di insegnamento; il modo di assidersi e gestire la mensa esprime il modo con cui si vive: Gesù insegna quale posto ricercare, chi invitare (Lc 14,7-14). Gesù accogliendo l’invito a mensa (casa di Matteo: Mt 9,9-13 e //), ed auto-invitandosi in casa di Zaccheo (Lc 19,1-10), offre misericordia, restituisce il senso sociale della vita: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,27-32).

Un posto importante nella preparazione all’ultima cena, hanno le moltiplicazioni dei pani, di Mt 14,13-15,39; Mc 6,33-8,21, con le riflessioni annesse sulle abluzioni e purificazioni, il lievito dei Farisei e di Erode (Mt 16,5-12).

In cosa consista il lievito di Erode (Mc 8,15) è facilmente ricavabile dallo stile del banchettare, gestire la mensa di Erode: prima di narrare la moltiplicazione dei pani, Mc e Mt descrivono la fine di Giovanni Battista, vittima della sensualità, imprudenze, compromessi di Erode.

Il lievito dei Farisei è la cura esagerata delle prescrizioni igieniche per il convito, trascurando norme fondamentali di giustizia e misericordia, chiudendo gli occhi sulla vera causa dell’inquinamento dei comportamenti umani, i desideri cattivi del cuore.

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Gesù è venuto a curare questa causa attiva dei comportamenti malvagi, perché la commensalità con Dio e tra gli uomini sia familiare e corretta.

Nella moltiplicazione dei pani si manifesta come il nuovo Mosè, che provvede alla fame di chi si affida a Lui, che introduce alla conoscenza del Padre, allo stile delle beatitudini.

I gesti e le benedizioni anticipano i gesti e le benedizioni dell’ultima cena: nella prima moltiplicazione abbiamo in Mt 14,19, come in Mc 6,41, ed in Lc 9,16: «preso il pane… alzati occhi al cielo… benedisse… spezzò (in Mt: «avendo spezzato»)… diede…»; nella seconda moltiplicazione di Mt 15,36 e Mc 8,6: «prese i pani («avendo preso» in Mc)… avendo reso grazie… spezzò… dava…».

Notiamo come si diano le stesse espressioni (c’è in più l’alzare gli occhi al cielo, ma Gesù nell’ultima cena è tutto rivolto al Padre) dei gesti costitutivi il rito istituito e poi liturgicamente celebrato.

Per avere un quadro completo della preparazione al memoriale istituito della cena del Signore, ricordiamo le parabole in cui il regno dei cieli viene presentato nella convivialità di un banchetto, un banchetto nuziale (Mt 22,l-14; Lc 14,15-24).

I.2.2.1 Il cap. 6 di GiovanniGiovanni nel cap. 6 del suo Vangelo parla della moltiplicazione del pane,

come segno del Pane del cielo, Gesù stesso, disceso e asceso, attraverso il donarsi della croce, al cielo; la sua persona concreta, cui unirsi, per la fede, in un rituale e concreto mangiare e bere.

Presenta con Mc e Mt elementi comuni:o moltiplicazione dei pani e camminare sulle acque (Gv 6,1-25, Mc

6,33-56);o dialogo con i Giudei (Gv 6,26-59, Mc 7,l-23), con la richiesta di un

segno dal cielo (Gv 6,30-31, Mc 8 10,13);o conclusione con i discepoli (Gv 6,60-71; Mc 8,14-21) circa il lievito

dei farisei, la non comprensione della moltiplicazione dei pani, mentre non avevano con sé sulla barca che un solo pane (Mc 8,14).

Giovanni approfondisce, fa della moltiplicazione dei pani una profezia e catechesi del convito sacrificale eucaristico. Rappresenta la trattazione eucaristica più diffusa che incontriamo nel NT.

La comprendiamo meglio se la consideriamo nel modo teologico con cui Giovanni costruisce il suo vangelo. L’impostazione del suo Vangelo viene come anticipata nel Prologo: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia

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e di verità» ( Gv 1,14); «Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato» (Gv 1,18).

Il progetto di Dio per la vita dell’uomo consiste nell’offrire comunione, nel suo Verbo incarnato, crocifisso glorioso, che manifesta e partecipa la Gloria, la bontà di Dio che è pienezza di vita eterna per gli uomini. Gesù fa apparire in segni e parole, nel mondo ed in conflitto con il mondo, lo splendore della potente presenza di Dio, la Gloria, che egli stesso cerca (Gv 17,1), e verso la quale si affretta.

Nel suo Vangelo si può distinguere:- un libro dei segni della Gloria: 2-12;- un libro della stessa Gloria, cioè della sua Pasqua. Nei cap. 13-

17 questo suo procedere verso la Gloria, un andare che è un donarsi, è da lui svelato nelle promesse, comandamenti, preghiera dell’ultima cena;

- nei cap. 18-21, l’andata verso la Gloria si perfeziona e si rivela nella passione, già presentata con caratteristiche gloriose. Il suo ascendere alla Gloria del Padre si manifesterà in pienezza nelle apparizioni pasquali.

Il cap. 6 è situato nel cuore del libro dei segni, nell’ambito della descrizione della storia del Verbo incarnato tra di noi, della sua progressiva manifestazione della Gloria davanti al mondo.

Nei cap. 2-6 si narra la manifestazione della gloria in tutto l’ambito della vita di Gesù, Galilea, Giudea, Samara; accoglienza della Gloria che richiede la fede, suscitata in pazienti dialoghi; sono rari i contrasti violenti (solo 2,13-22, la purificazione del Tempio, e 5,10-47, dopo la guarigione del paralitico).

Nei cap. 7-12, tutti situati in Gerusalemme e nella Giudea, la manifestazione della Gloria avviene in costante contrasto con i rappresentanti del mondo (farisei, sinedrio).

I cap. 2-6 si possono leggere anche come catechesi alla comunità cristiana sui fondamenti salvifici della comunità stessa, i segni sacramentali che comunicano la Gloria del Crocifisso risorto. Il cap. 2 presenta Gesù alle nozze di Cana come il vero sposo dell’umanità, che nella prospettiva della sua “ora”, già manifesta la sua bontà, la sua Gloria, nella gioia del vino nuovo e abbondante: ma è necessaria la disponibilità della fede di Maria, donna tipo, piena realizzazione della Chiesa sposa, comunicata ai servi, disponibilità al «Fate quello che vi dirà» (2,5).

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Nel segno della purificazione del Tempio, si afferma la fine della ritualità dei sacrifici della prima alleanza, con la sostituzione del vero Tempio, il corpo di Gesù, morto e risorto.

Il cap. 3, nel dialogo con Nicodemo, introduce al battesimo, nuova nascita per opera dell’acqua e dello Spirito Santo.

Il cap. 4, nel dialogo con la Samaritana, Gesù offre l’acqua viva della conoscenza di Dio, della adorazione del Padre in Spirito e Verità.

Il cap. 5, nella guarigione del paralitico, introduce il tema della remissione dei peccati.

Il cap. 6, introduce al Mistero eucaristico, come piena rivelazione del Verbo incarnato, disceso, e attraverso la sua Pasqua, asceso al cielo; Egli rimane non solo tra di noi, con noi, ma in noi, per un rituale e necessario mangiare e bere, per donarci la pienezza della vita, la risurrezione nell’ultimo giorno.

Il discorso sul pane della vita introduce alla totalità del progetto di Dio nel comunicare la sua Gloria, indica la qualità nuova di vita propria del discepolo nella Chiesa; la professione di fede di Pietro (6,67-69) è al suo servizio, per la sua autenticità. In Giovanni la comprensione teologica della persona, opera e presenza attiva di Cristo nella Chiesa viene maggiormente approfondita. L’Eucaristia è il culmine dell’incarnazione, risulta costitutiva del progetto di comunione di Dio con l’uomo.

Vediamo ora le articolazioni principali di questo capitolo: (Gv 6)

1-25: i segni della moltiplicazione dei pani e del camminare sulle acque, e la ricerca di Gesù che ha dato i pani «avendo reso grazie» (vv. 11 e 23): ß»;

26-58: discorso dialogo con i Giudei sul Pane del cielo: 26-48: prevale il tema della fede in Gesù, pane della vita eterna

disceso dal cielo nella sua incarnazione; il Padre ci attira a Lui; 49-59: diventa esplicito il tema della carne di Gesù, data per la

vita del mondo, del sangue vera bevanda, alimenti necessari; 59-71: dialogo con i discepoli, i “Dodici”: il corpo eucaristico sarà

il corpo glorioso di Lui, salito al cielo. Confessione di Pietro.1-25: moltiplicazione dei pani, Gesù cammina sulle acque. Tutto è narrato

per porre in risalto la Persona di Gesù: sul monte della rivelazione, sua l’iniziativa di sfamare le folle, perché lo seguono: prese il pane, e dopo aver reso grazie, lo distribuì, personalmente. Tutto è come concentrato sulla sua persona da accogliere, comprendere, nel suo operare, il pane moltiplicato indicato come

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segno di realtà salvifiche ulteriori (2.14); di fronte alla incomprensione della folla, fugge sul monte, solo.

Gesù cammina sulle acque: tutto orientato a porre in risalto Gesù, la sua signoria, sugli elementi, lo spazio ed il tempo (rapidamente la barca toccò la riva: v. 21); l’assenza di Gesù è buio e fatica; nel suo presentarsi: «Sono Io, non temete», usa la formula della rivelazione di Dio nell’AT (Gn 26,24; 28,13; Es 6,6; Is 43,11-12).

Tutto, già in questa parte, è orientato all’Eucaristia, ne è segno:--vicina la Pasqua, festa dei Giudei (v. 4), il pane viene moltiplicato ponendo

in risalto «l’aver reso grazie» (vv. 11.23). Eucaristia sta divenendo un termine tecnico;

--l’Eucaristia richiede preparazione, i cinque pani d’orzo, e deve essere conservata con cura: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto» (v. 12). Così l’eucaristia è rivelata già allora, in modo velato, ma palese ai credenti; i segni operati da Gesù in Galilea sono già tutti orientati alla comprensione di essa.

26-59: discorso-dialogo con i Giudei.26-48: la moltiplicazione dei pani è segno di Gesù: «Io sono il pane della

vita: chi viene a me non avrà più fame, e chi crede in me non avrà più sete» (v. 35). Si può notare un riferimento a Prv 9,5 e Sir 24,20, sul pane e la bevanda della Sapienza. Non si deve ricercare altro segno, poiché «il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».

Gesù è il pane vero del cielo, quello che il Padre dà. Deve essere accolto con fede, l’opera di Dio ora richiesta ai Giudei. Si insiste sul credere in Gesù, pane disceso dal cielo: il Padre attira a Lui. Chi conosce il Padre, viene a Gesù (vv. 44-46).

Il pane disceso dal cielo, il solo che dà la vita eterna, non è qualcosa, ma qualcuno: Gesù. La fede è «un atto di attrazione del Padre, che si realizza nell’ascoltare e nell’imparare ciò che si è ascoltato»; la fede accetta che Dio agisca attualmente così, e non altrimenti, in questo Gesù, «e in nessun altro luogo»61.

In questa prima parte del discorso, dialogo con i Giudei, prevale il tema dell’Incarnazione; il pane disceso dal cielo, da accogliere con fede, è Gesù, il Verbo di Dio.

61 SCHLIER, H. ., «Il cap. 6 del Vangelo di Giovanni e la concezione giovannea dell’eucaristia», in La fine del tempo, Paideia, Brescia 1974, 128.

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Di fronte alle mormorazioni dei Giudei: «come può dunque dire: sono disceso dal cielo?» (v. 41), Gesù ribadisce di essere l’unico rivelatore del Padre, via necessaria al Padre: «Solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico, chi crede ha la vita eterna» (vv. 46s).

49-58: qui l’accoglienza nella fede del pane di vita contempla un necessario rituale mangiare; si specifica: «Il pane che io darò (Ñ¥rtoj) è la mia carne (»£rx) per la vita del mondo».

Come risposta alle difficoltà: «Come costui può dare la sua carne da mangiare?» (v. 52), Gesù ribadisce: «In verità, in verità vi dico, se non mangiate la carne del figlio dell’uomo, e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (v. 53).

Notiamo come il progetto di vita per l’uomo venga specificandosi: non si tratta solo di accogliere il pane di vita disceso dal cielo, il Verbo incarnato, come insegnamento sapienziale; l’accoglienza si precisa molto più intensa: si tratta della carne e del sangue del Verbo incarnato, la totalità della sua persona nel suo stare in mezzo a noi, partecipare la nostra vita, passando attraverso il dono sacrificale della morte.

L’evento della croce si può intuire anche nell’affermazione: «il pane che vi darò è la mia carne».: questo pane è concretamente la carne di Gesù che sarà donata, offerta in sacrificio .

Luca con lo stesso verbo didÒmenon esprime l’offerta sacrificale del Corpo di Cristo, riportando le parole dichiarative sul pane nell’ultima cena (Lc 22,19).

Ma anche la congiunzione carne-sangue, oltre ad indicare la totalità della persona di Gesù, orienta al sangue della croce, ed insieme all’istituzione dell’Eucaristia, come corpo dato e sangue versato. Anche il verbo «darò», dèsw si può riferire al gesto eucaristico di Gesù: il segno profetico, memoriale istituito della Pasqua del Signore, insieme al prendere, spezzare, ringraziare, contempla anche un dare.

Si tratta quindi di una carne e sangue, di una qualità particolare: la totalità della persona di Gesù, disceso dal cielo, nella concretezza del suo insegnare ed operare, “concentrata” nel suo donarsi, passare al Padre nell’ora della croce. Dirà ancora al v. 62 che trattasi di Lui in quanto asceso al cielo, una carne-sangue gloriosi, vivificati dallo Spirito Santo.

È necessario che questa carne sia assunta in un concreto mangiare, nella ritualità dell’Eucaristia. Viene anche indicata la necessità di questo assumere-mangiare per rimanere in Gesù, realizzare un’intima mutua immanenza: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui» (v. 56). Come Gesù ha la pienezza della vita divina per il suo essere, stare nel Padre,

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anche chi dimora in Gesù nel cibarsi della sua carne, avrà la vita per questa sua intima presenza (cfr. v. 57). Anzi non solo vivrà in eterno, ma conoscerà la risurrezione nell’ultimo giorno (cfr. vv. 37.40.54).

Quasi a conclusione di questo prolungato, chiarificante dialogo, ne viene indicato il luogo: «Queste cose disse Gesù insegnando nella sinagoga di Cafarnao» (v. 59). Si tratterebbe di un luogo propizio, per introdurre alla piena comprensione, nella fede in Lui, del segno dei pani moltiplicati: il tempo pasquale poteva suggerire letture dell’Es 16,13-14, della manna, pane del cielo (v. 31).

Anche il passaggio del Mar Rosso acquista pienezza di significato nel camminare di Gesù sulle acque oscure e minacciose, il suo presentarsi con potenza divina («Io sono»), per superare le paure dei discepoli e portarli rapidamente alla riva della salvezza.

60-71: Dialogo con i discepoli, i Dodici.Gesù di fronte ad un’ulteriore mormorazione, linguaggio duro, parla di un

suo ascendere al cielo, donde è disceso, dello Spirito che dà la vita, delle sue parole che sono Spirito e vita. Cioè la sua carne eucaristica, vero cibo, sarà il suo corpo dato in sacrificio (v. 51), e quindi asceso al cielo, glorioso, nello Spirito (vv. 62-63).

Le sue parole sono dure e incomprensibili se restano nella dimensione umana, chiusa in sé, carnale; diventano luminose, luminosità del pieno progetto di Dio, se vengono accolte, nella fede, per quello che in realtà sono, Spirito e vita.

Queste parole, Spirito e vita, indicano la sua carne offerta per la vita del mondo, ascesa al cielo, gloriosa, viva e vivificante nella forza di Dio, lo Spirito. L’incarnazione della parola culmina nella convivialità eucaristica; l’economia del Verbo incarnato viene qualificata da questa intensità di presenza del corpo crocifisso e glorioso, nella pienezza dello Spirito, per stabilire intima comunione, comunicare pienezza di vita eterna.

La confessione di Pietro: «Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo conosciuto e creduto che tu sei il Santo di Dio» (vv. 68-69), avviene nel contesto eucaristico, accogliendo la totalità della presenza intima e vivificante del Signore. Anche nei Sinottici la professione di fede di Pietro in Gesù, il conferimento di un servizio autorevole per l’autenticità del progetto di Dio, il suo insegnamento, nella vita della Chiesa, avviene nel contesto della moltiplicazione dei pani (Mt 16,16-19; Mc 8,27-29; Lc 9,20). L’autorità di

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confermare il fratelli nella fede è promessa a Pietro, nel contesto dell’istituzione dell’eucaristia (cfr. Lc 22,31-32).

La confessione di Pietro: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio», viene posta meglio in risalto se consideriamo l’uso che Giovanni fa nel suo Vangelo dell’aggettivo “santo”. Giovanni lo usa esclusivamente per il Padre («Padre Santo») nella preghiera di Gesù (17,11), e per lo Spirito: «L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio» (1,33-34). L’aggettivo “santo” si riferisce solo a Dio, Padre, Figlio e Spirito, non solo come semplice attributo, ma per indicarne l’esclusiva qualità divina.

La partecipazione di Gesù alla santità di Dio può inoltre essere chiarita dall’uso del verbo santificare, ££, in Giovanni: «Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (17,17-19).

Consacrare traduce il greco ££, che può essere inteso, qui anche “offrire in sacrificio”. Gesù, il Santo di Dio per la sua persona filiale, una sola cosa col Padre nell’amore Spirito Santo, esprime ora anche nella sua umanità, che si avvia alla Croce, la sua dedizione, obbedienza filiale nell’amore al Padre.

Santifica se stesso, poiché sulla croce questa santità, di essere una sola cosa nell’amore col Padre, si manifesta anche nel suo corpo donato, sangue versato per la vita dei fratelli. Santifica se stesso, offre il suo corpo in obbedienza filiale, perché anche i discepoli siano santificati, offrano la loro vita come dedizione al Padre, per i fratelli. La santità del Figlio, attraverso la sua umanità offerta in sacrificio, e comunicata nella convivialità eucaristica, trasforma e qualifica anche l’esistenza dei discepoli, il loro orientamento di vita.

Si dà quindi convergenza tra i quattro evangelisti nel presentare l’intento di Gesù, l’indirizzo dato alla sua missione: l’economia del Verbo incarnato è conviviale, eucaristica, offerta di intima presenza, per farci vivere personalmente ed ecclesialmente, della sua vita santificata nell’amore al Padre, nella solidarietà fraterna così realizzata; qui si manifesta la particolare “Gloria” dell’Unigenito, svelata e comunicata ai discepoli.

Avendo seguito la preparazione nel ministero di Gesù, siamo ora pronti ad entrare direttamente nello studio delle fonti dell’istituzione eucaristica, nell’ultima cena del Signore: vedremo successivamente in che modo essa fa parte, è un tutt’uno indissolubile con la passione, la pasqua del Signore, ne costituisce il segno profetico vigiliare, e in che modo lo stesso segno vigiliare

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viene istituito come memoriale della Pasqua, origine dell’Eucaristia celebrata dalla Chiesa.

I.2.2.2 Le fonti dell’Istituzione (il contesto della Passione: vedi Appendice VI.3)

Abbiamo quattro documenti che riferiscono l’istituzione fatta da Gesù nell’ultima cena: 1Cor 11,23-26, letterariamente il più antico, in una lettera databile intorno all’anno 54; i racconti dei tre sinottici: Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,15-20. Ricordiamo come in Gv 6,51 si possono individuare le parole istitutive sul pane: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Cerchiamo di situare anzitutto l’istituzione nel contesto della narrazione della Passione del Signore.

Si può fare iniziare la narrazione della passione dalla cospirazione del Sinedrio riportata da tutti gli evangelisti. Dopo la cattura di Gesù nell’orto, le quattro narrazioni procedono in modo sincronico, riferendo nella stessa successione gli eventi, pur coltivando la propria intelligenza di un Mistero così grande. Il solo Matteo inserisce di proprio la morte di Giuda (27,3-10).

Per gli eventi che precedono la cattura di Gesù nel Getsemani, Mt e Mc procedono in modo strettamente comune; Lc invece presenta qualche trasposizione, mentre Gv ha un modo di procedere proprio, presentando nei cap. 13-17 un ampio discorso-dialogo, preghiera di Gesù.

Prego di tenere sott’occhio la schema riportato in appendice, per individuare come l’Istituzione dell’eucaristia fa parte integrante, indissociabile, della narrazione della passione del Signore:62

sotto il punto di vista letterario: il racconto della cena è parte integrante del quadro e dell’intreccio globale della passione: Gesù annuncia il tradimento di Giuda, parla di un evento decisivo per il regno (Mt 26,29; Mc 14,25; Lc 22,14-18): tali sono il suo corpo dato e sangue versato per la vita di tutti; avvisa Pietro della sua debolezza e rinnegamento;

sotto il profilo storico: continuità di eventi, che costituiscono l’unico evento della sua passione. La cena è situata «in qua nocte tradebatur» (1Cor 11,23), già nel pieno corso della passione: la cospirazione del Sinedrio l’ha decisa, Maria sorella di Lazzaro la onora, in modo proporzionato, eccessivo per i discepoli; l’accordo di Giuda col Sinedrio, il tradimento dell’Apostolo le dà inizio effettivo.

62 Cfr LIGIER, L., Il Sacramento dell’Eucaristia, [ ad uso degli studenti ], PUG Roma 1974, 66s

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In questo contesto di morte programmata, prossima, Gesù vuole celebrare una cena religiosa, con i dodici apostoli; ha voluto disporre di uno spazio sacro, ben preparato, di un tempo disteso, con tutta la ricchezza di simboli, di annuncio e preghiera liturgica di un memoriale dell’Alleanza, dell’esodo pasquale.

Mai come ora si dimostra il Signore: tutto presiede e dispone con cura, distesamente, nessuno pone il minimo ostacolo. Il memoriale dell’alleanza mosaica, nella celebrazione da lui voluta e guidata, acquista un volto, contenuti del tutto nuovi. Diviene il segno profetico vigiliare per introdurre i suoi agli eventi della sua passione, il suo passare al Padre.

Il legame che unisce questa cena rituale, i gesti rituali che sono il cuore del segno profetico vigiliare (prendere il pane e il calice del vino, ringraziare, dichiarare suo corpo dato e sangue versato, spezzare il pane e dare a mangiare e bere), il legame che li unisce alla sua morte e risurrezione, non risulta in alcun modo accidentale, improvvisato, ma liberamente voluto.

Porta a compimento il progetto di Dio, è Lui stesso questo progetto, con piena libertà e consapevolezza; sceglie i gesti, le preghiere atte ad introdurre i discepoli nel suo effettivo donarsi, andare al Padre. È giunta l’ora, che riassume e porta a compimento tutta la sua vita (Gv 13,1-2); compie l’opera, che riassume e porta a compimento tutte le sue opere (Gv 17,4).

Il nuovo rito, costituito dal gesto familiare di benedire il pane spezzato, di ringraziare con il calice del vino, porta a compimento la convivenza di Gesù con i suoi: il pane disceso dal cielo, la sua carne data per la vita del mondo, diviene realtà.

Nello stesso tempo, al primo memoriale, sostituisce il suo, espressivo la sua opera di salvezza, la nuova e definitiva alleanza, realizzata nel suo sangue versato. I simboli del pane e del vino, nuovi rispetto a quelli del vecchio memoriale, acquistano significati e realtà inaudite: il corpo e sangue del Signore che si offre in sacrificio per donare la vita eterna, la comunione dei suoi col Padre, nello Spirito Santo.

Quindi realtà nuove, definitive, espresse in forma nuova, con riti nuovi, non solo simbolici, ma pienamente sacramentali, contengono, infatti, ciò che esprimono.

S’individua così un collegamento di contenuti teologici tra il segno profetico-memoriale istituito e la passione del Signore: le parole dichiarative sul pane e sul vino indicano il suo donarsi in sacrificio, la sua volontà già attuale di offrirsi per molti, per voi, in remissione dei peccati, nell’attesa della piena manifestazione del Regno. Qui il collegamento con la Croce raggiunge il suo

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vertice, con identità sostanziale di contenuti nel suo corpo dato e nel sangue versato.

Ricordiamo come solo i Dodici (Mt 26,20; Mc 14,17; Gv parla dei Dodici concludendo il discorso eucaristico: 6,67-71, e poi ancora in 20,24), gli Apostoli per Luca (22,14 e 6,13), sono espressamente menzionati come partecipi della cena del Signore, con loro celebrata, loro affidata come memoriale della sua Pasqua.

Anche questa partecipazione e affidamento non è da vedersi come un fatto isolato, ma come vertice dello scegliere e costituire, porre in una situazione stabile e definitiva, personale e collegiale; lo esprime bene Mc 3,13: «Salì sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle, ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici, che stessero con lui, e anche per mandarli a predicare».

Si può con facilità notare come il Signore, dopo la professione di Pietro (Mt 16,13-20 e //), si dedica in modo particolare alla formazione dei Dodici, per introdurli, senza mai staccarli dal quadro generale delle necessità umane, nel mistero della sua Persona ed opera: tre volte annuncia la sua passione, mentre li educa al distacco e alla libertà del cuore (Lc 12,33-35), all’abbandono di sé al Padre (Lc 11,11.13; 12,22-32), al senso della croce (Lc 14,25-35).

Nella cena i Dodici sono da lui pienamente, in modo definitivo, stabiliti nello stare con Lui, partecipi della sua missione: «Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, così anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché anche loro siano consacrati nella verità» (Gv 17,17-19). L’unione di Gesù con i Dodici raggiunge il massimo di interiorità e intensità: rende consapevoli e partecipi i Dodici del suo passare al Padre, per introdurvi l’intera umanità. Affida loro il suo memoriale pasquale, la sua presenza sacrificale, da ripresentare in tutti i luoghi e tempi, per formare e alimentare il suo corpo ecclesiale. Costituisce così i dodici segno sacramentale della sua persona di capo, maestro, buon pastore, che dà la vita per il mondo. Ma sarà poi necessaria l’esperienza del Risorto, la sua rinnovata convivialità (Mc 16,14; Lc 24,30-31.40-43; Gv 21,10-12; At l,4), il dono dello Spirito Santo, affinché il ministero apostolico sia effettivamente esercitato.

I.2.2.2.1 Esame della sinossi dei Testi dell’Istituzione (testi in Appendice VI.4)

Una prima lettura ci convince che dobbiamo accostare insieme Paolo e Luca, Marco e Matteo. La somiglianza più evidente consiste nella menzione, in Paolo e Luca, della cena giudaica, inserita tra il rito del pane e il rito sul calice. Introducono ambedue, con leggera trasposizione, la dichiarazione sul calice,

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scrivendo: «Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice» (1Cor 11,25; Lc 22,20).

In questo Paolo e Luca riportano con accuratezza i due riti come ci sono stati donati da Signore nel contesto della cena giudaica, mentre Marco e Matteo non fanno più menzione della cena giudaica, accostando semplicemente il rito sul pane e quello sul vino con un semplice …: e.

Marco e Matteo riferiscono l’evento fondante dell’ultima cena del Signore, già considerandola nella tradizione di una prassi liturgica consolidata; il rito e le parole sul pane ed il vino presentano anche un chiaro parallelismo: prendere, benedire-ringraziare, (spezzare), dare: questo è il mio corpo… questo è il mio sangue...

Si accosta il testo di Paolo-Luca anche perché ambedue riportano il comando del Signore di celebrare il rito istituito come suo memoriale: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11, 24.26); Luca lo riporta solo per il rito sul pane, Paolo anche per quello sul calice.

Matteo e Marco invece non parlano del comandamento della reiterazione del memoriale, per il semplice fatto che narrano l’evento istitutivo già tenendo presente come la celebrazione venga rinnovata secondo il comando del Signore: ‹‹il farlo in sua memoria›› è ormai prassi liturgica della Chiesa.

Accostiamo Marco-Matteo per lo stile più semitico del discorso: per es. contiamo sei kai in Marco, solo tre in Paolo-Luca; sappiamo come le lingue semitiche amano coordinare, il greco invece subordinare. Altro semitismo: l’uso di ÚÒgew(benedire BRK) per il rito sul pane, mentre Paolo-Luca usano sempre eÙkar…stew.

Altro semitismo si può individuare per l’uso di î, la moltitudine, che nel senso semitico comprende la totalità; Paolo-Luca, più inculturati in comunità ellenistiche, in cui si distingue molti e tutti, pollo…, p£ntej, preferiscono personalizzare con Úmîn, voi.

Altre somiglianze Paolo-Luca, Marco-Matteo hanno un colorito teologico: come ‹‹il calice della nuova alleanza nel mio sangue ››(Paolo-Luca), o ‹‹il mio sangue dell’alleanza, versato per i molti ››(Mc-Mt). Ne tratteremo dopo.

È bene porre in risalto altre differenze tra Marco-Matteo e Luca, riguardanti altri eventi dell’ultima cena, che contornano l’essenzialità dei due riti costitutivi; evidentemente non facciamo più riferimento a Paolo, che inserisce il ricordo dei riti istituiti dal Signore in altro contesto, di vita ecclesiale, per riportarla in sintonia col memoriale del Signore.

Luca sottolinea proprio all’inizio della cena il suo aspetto escatologico, il passaggio alla novità definitiva del Regno; Gesù infatti dichiara: «non la

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(pasqua) mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». Anzi esprime la novità assoluta del passaggio, con il rendere grazie su un calice, e dire: «Prendetelo e distribuitelo tra di voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più il frutto della vite, finché non venga il regno di Dio» (Lc 22,16-17).

Invece Marco e Matteo esprimono la stessa consapevolezza e volontà del Signore, con una dichiarazione finale, in relazione allo stesso calice del sangue: «Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino a quando lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt 26,29).

Notiamo ancora una differenza circa l’indicazione del traditore, Giuda: Mc e Mt la pongono prima dell’istituzione, Lc invece dopo, come introduzione alla lezione sull’umiltà ed il servizio, avvisando i discepoli della loro fragilità, in particolare Pietro del suo rinnegamento durante la sua passione. Gesù introduce così ai tempi difficili, di lotta, in cui i discepoli dovranno provvedere a se stessi, ma escludendo decisamente che si debba affidare alle armi la difesa (Lc 22,38; Mt 26,52-54; Gv 18,10-11).

È bene fare subito alcune riflessioni sulla comparazione delle fonti. Paolo e Luca sembrano rifarsi ad una prassi più antica, giacché ancora ricordano la cena giudaica («dopo avere cenato»), che non ha più importanza per la celebrazione del memoriale del Signore. Infatti, Marco e Matteo non ne parlano più, accostando direttamente il rito sul pane e sul vino, e stilizzando il rito; presentano, specie Mc, caratteri più semitici.

Più antica sembra essere la stesura di Paolo, in una lettera del 54 circa. Paolo afferma di trasmettere quello che ha ricevuto dal Signore, certo indirettamente, nella tradizione, si pensa, della Chiesa di Antiochia, circa gli anni 40; la sua conversione si può datare negli anni 37.

Paolo riporta una tradizione greca, che evita al massimo i semitismi, eccetto quelli che appartengono ai riti costitutivi voluti dal Signore Gesù: prendere il pane, spezzare, anche Ûp»r, a vantaggio, favore, di voi, come il sacrificio del servo di Jahwe (Is 53,10-12).

Il racconto di Paolo è più grecizzato di quello di Luca, ma per le forti somiglianze mostrano di rifarsi ad una tradizione comune. Paolo è così convinto che la sua tradizione attinga sicuramente da quanto fece e disse nell’ultima cena il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, che si rifà ad essa, per correggere alcune dissonanze della vita della chiesa rispetto alla celebrazione del memoriale del Signore. Sapeva che era un punto di riferimento sicuro e da tutti accettato, perché fondato ed originato da ciò che fece e disse il Signore Gesù in quella notte.

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Mc e Mt presentano caratteristiche semitiche, un racconto che conserva segni linguistici più originari rispetta ai più grecizzati di Paolo e Luca. Dietro la tradizione greca si dà una tradizione semitica, che si sviluppa nel primo decennio dopo la morte del Signore.

Notiamo come le tradizioni Mc-Mt e Paolo-Lc, pur essendosi sviluppate in Chiese distinte, concordano perfettamente sull’essenziale:

tutti riportano i gesti costitutivi del memoriale: prendere, spezzare, benedire-ringraziare, dare;

le parole dichiarative sono del tutto identiche per il pane, eccetto la legittima trasposizione del pronome personale moÚ, di me, mio, secondo l’uso greco posto prima del sostantivo “corpo” in Paolo;

lo sono nella sostanza anche quelle sul vino: tÒ a‹m£ mou tÁj diaqÁkej(il mio sangue dell’alleanza: Mc-Mt), e kain¾ diaq»kh ™n tî a†mat… mou(la nuova alleanza nel mia sangue: Paolo-Lc). Vedremo presto come si spiega, in base alla Scrittura, la differenza tra sangue dell’alleanza e nuova alleanza nel sangue.

Ricordiamo ancora come i Sinottici concordano nella sostanza, nel dichiarare la novità del Regno in cui Gesù entra e ci fa entrare.

Possiamo quindi concludere con J. Jeremias: . «La primitiva tradizione semitica, infatti, come costatammo più sopra, può

essere con l’ausilio di esatte osservazioni filologiche, seguita sin al primo decennio dopo la morte di Gesù. È assolutamente improbabile che in questo primissimo tempo, si sia liberamente creato il rito della cena, e che si sia inventato il racconto della cena aggiungendola al rito come leggenda cultuale eziologia»63.

Anzi, sempre secondo J. Jeremias: . «Se aggiungiamo che sia studiando l’influenza del culto sulla tradizione dei

testi della cena, sia sottoponendo questi ad un’indagine linguistica ci siamo imbattuti costantemente in uno stadio preliturgico della tradizione, abbiamo allora tutte le ragioni per concludere che il nucleo comune della tradizione dei racconti della cena ci ha conservato un ricordo delle parole di Gesù nell’ultima cena attendibile nelle sue linee essenziali»64.

63 JEREMIAS, J., Le parole dell’ultima cena, ed. Paideia, Brescia 1973, 243.64 Ibid., 251s.Non è più sostenibile l’ipotesi di LIETZMANN, H. . , Mass und

Lord’s supper . A study in the history of the liturgy (= Messe und Herrenmahl. Eine Studie zur Geschichte der Liturgie,1926) , Brill, Leiden 1979, il quale “vede un’Eucaristia paolina incentrata sulla cena e la morte di Gesù, in opposizione a una Eucaristia primitiva che sarebbe stata una pura azione di grazie, illuminata soltanto dal

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Risulta quindi certo che le tradizioni Mc-Mt e Paolo-Lc concordano perfettamente sull’essenziale, e dimostrano il comune ricevere da una causa storica unica, l’Istituzione del Signore nel contesto dell’ultima cena.

I.2.2.2.2 Il memoriale nuovo istituito dal SignoreGli elementi simbolici scelti: pane-vino, calice: si tratta di novità, perché né

il pane né il vino appartenevano al memoriale dell’esodo, che era essenzialmente costituito dall’agnello, erbe amare ed azzimi.

I nuovi simboli scelti dal Signore per il suo memoriale pasquale, avevano già assunto, nella storia di Israele, un significato religioso, talvolta collegati insieme:

considerati beni di prima necessità per la vita: Sir 39,26; prodotto della terra promessa, segno di benedizione: Dt 33,28;

11,14; alimenti del banchetto messianico: Is 55,2; imbandito dalla Sapienza:

Prv 9,5.Come sacramento naturale (creazione) e storico (alleanza, terra promessa),

segni espressivi della benedizione di Dio, già godevano significato religioso: Melchisedek: Gn 14,18; pani della presentazione: Es 25,30; memoriale di focacce di fior di farina: Lv 2,10; libagione di vino, sparso ai piedi dell’altare: Sir 50,15; alimenti del banchetto escatologico: Is 25,6.

Pane e vino hanno già assunto, nella vita del popolo dell’antica alleanza, oltre il senso quotidiano di realtà concrete, necessarie per la vita dell’uomo - il vino ha significato più festivo -, il significato religioso di frutto dell’alleanza, della terra promessa, speranza del suo compimento escatologico.

I.2.2.2.3 Il pane in relazione a Cristo:Gesù non si è mai autoidentificato con l’agnello pasquale, pur accettando

l’indicazione del Battista (Gv 1,29.36; vedi inoltre Gv 19,33; 1Cor 5,7; 1Pt 2,21-25 in relazione ad Is 53,6-7.10-12). Gesù si è invece appropriato personalmente del tema biblico del pane del cielo: Gv 6,35.41.48-51.

Inoltre, assumendo il tema del pane diviso con gli affamati (2Re 4,42-44; Lam 4,4; Is 58,7), egli moltiplicò e divise il pane per gli affamati della sua parola.

ricordo della presenza di Gesù tra i suoi, nei pasti della sua vita terrestre.” : BOUYER, L., Spiritualità del Nuovo testamento, (= Storia della spiritualità cristiana ) EDB 1967, 126-127; ID., Mysterion, dal mistero alla mistica, Lib. Ed. Vaticana 1998, 91-115.

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Gesù ha scelto solo pane e vino come simboli del suo memoriale, sacramento naturale e dono della terra promessa, che benedetti nella cena familiare, pongono in comunione con Jhwh della creazione ed alleanza, che sazia gli affamati della sua parola e dei suoi doni.

Ricordiamo che la novità del memoriale è stata così avvertita dalla comunità apostolica, che spezzare il pane (abbiamo già visto come sinottici e Paolo pongono il verbo spezzare a un tempo finito Ÿklasen aoristo ind. - quasi per sottolinearne l’importanza) indica in un primo tempo l’insieme dell’Eucaristia del Signore. Lo sarà, in un secondo tempo (l’abbiamo già visto in Gv 6,11.23), anche il verbo ™ucaristšw, ringraziare.

Grande rilievo teologico assumerà prestissimo il termine dare, in comunione (koinwn…a).

I.2.2.2.4 Il calice del vino in relazione a Cristo:Come ha moltiplicato il pane, così ha offerto il vino in abbondanza a Cana

(Gv 2,6-11), segno della gioia escatologica; non ha disprezzato i conviti umani, indicato come beone: Mt 11,19.

Oltre alla gioia, il calice viene anche ad indicare il calice amaro, amarezza per l’ostilità dei peccatori: Is 51,17.22, Lam 4,21; Ez 23,31-34; Sal 59(60),5. Gesù ha parlato della sua passione imminente come di un calice che dovrà bere: Mc 10,38s; Mt 20,22-23; Gv 18,11. Ricordiamo anche il calice del Getsemani: Mt 26,39; Mc 14,36; Lc 22,42. Questo calice dell’amarezza accettato dal Signore Gesù non porta con sé nessuna traccia di vendetta, risentimento; la sua passione è offerta di misericordia. Tono diverso acquistavano nella cena pasquale giudaica i versetti del calice di Elia.

Il calice dell’Eucaristia porta con sé questi significati di gioia escatologica, attraverso una sofferenza accettata dal Padre: portare il peso del peccato dell’uomo, per riaprire, in una carità più grande, l’accesso alla comunione di vita con Dio.

La conversione del vino nel sangue del Signore è un evento inaudito, proprio del memoriale eucaristico; ma già nell’AT si nota un certo accostamento tra vino e sangue.

In Dt 32,14 il vino viene considerato «sangue di uva»; ma la nostra attenzione è attirata da due testi:

Gn 49,8-12, la benedizione di Giacobbe su Giuda. Al v. 11 si legge: «Lava nel vino la veste, e nel sangue dell’uva il manto»;

Is 63,2-3: «Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino? Nel tino ho pigiato da solo, e del mio popolo nessuno era con me. Li ho

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pigiati con sdegno, li ho calpestati con ira. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti, e mi sono macchiato tutti gli abiti».

Nell’intreccio vendemmiatore-guerriero, vino-sangue, i targumin sviluppano un’interpretazione messianica. Il pieno compimento di queste figure in Gesù sarà secondo la misura dell’Unigenito-primogenito, che porta a compimento il cammino religioso dell’umanità (vendemmiatore), con una vittoria piena sul peccato (guerriero), ma a prezzo del dono del proprio sangue, versato sulla croce per la redenzione di tutti.65

I.2.2.2.5 Significato delle parole istitutiveAbbiamo visto dalla sinossi delle fonti, come si parli di benedire-

ringraziare, senza riportarne il contenuto; riferiscono invece l’essenziale, ciò che gli elementi sono divenuti in forza del ringraziare di Gesù: il suo corpo dato ed il suo sangue versato sono il nostro accesso al Padre. Uniti a Lui possiamo benedire-ringraziare il Padre, in modo proporzionato al dono di vita ricevuto. Vedremo come questo ringraziare-benedire di Gesù partecipato alla sua Chiesa sarà espresso nelle preghiere eucaristiche (anafore), rivolte, come tutta la preghiera di Gesù nei Vangeli (Mt 6,9-13; Lc 11,2-4; Mt 11,25-26; Lc 10,21s; Gv 17), al Padre.

Mio corpo-mio sangue:

Corpo: la personalità visibile e riconoscibile, nella concretezza dei suoi inserimenti nella vita, le proprie relazioni sociali e familiari.66

Sangue: indica la persona in quanto vivente, animata; il sangue è sede della vita, dell’anima (Lv 17,11); sottolinea la dimensione individuale della personalità.

65 Cfr la doviziosa documentazione in GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit., 182-183, le note 52-54

66 Cfr LIGIER, L., Il Sacramento dell’Eucaristia, cit, 89-93; GIRAUDO, C., In unm Corpus, cit, 169-177, ricerca il significato inteso dal Signore Gesù nel darci l’Eucaristia, risalendo ai termini aramaici : bisrà, gufà, con preferenza per il termine siriaco pagrà, atto a designare ad un tempo «il corpo vivo ed il corpo esanime, il corpo personale di Cristo e il suo corpo ecclesiale. Nella dinamica della preghiera eucaristica vediamo intervenire tutte queste implicazioni. Infatti alla menzione del corpo personale del Signore nel racconto istituzionale corrisponde nella domanda epiclettica, la richiesta per l’edificazione del corpo ecclesiale, attraverso la partecipazione nostra al corpo sacramentale che a tale fine si è fatto presente sull’altare. Aggiungiamo ancora che, rispetto al greco somà, il siriaco pagrà ha il vantaggio di dire in primo luogo la dimensione di morte, sottolineando in tale modo l’aspetto vicario della redenzione di Cristo (pag. 174)».

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Quando Cristo identificava il suo corpo con quanto era prima pane, e il suo sangue con quanto era prima vino, cosa intendeva con questa duplice ritualità? Con corpo-sangue intendeva la sua completa personalità, donata per noi in ogni suo aspetto, oppure intendeva significare il suo sacrificio, corpo e sangue come elementi sacrificali?

Gesù parla di sangue versato e di corpo dato per indicare la totalità del dono, sotto ogni aspetto della sua persona, per noi:

versare il sangue: offrire la propria vita personale;dare il corpo: offrire le proprie relazioni sociali, familiari.Però è necessario aggiungere anche l’interpretazione sacrificale. Nel Lv

17,11, ed in Eb 9,1-26; 10,5-6, in contesto sacrificale, carne e sangue non esprimono solo la natura umana nella sua debolezza, o la persona nel suo essere concreto e totale, ma l’essere vivente diviso in corpo e sangue dalla morte sacrificale. Infatti Dio Padre, rifiutando ormai sacrifici ed oblazioni, ha dato al Figlio un corpo perché l’offrisse una volta per sempre; così Cristo ha compiuto il sacrifico col suo corpo e sangue.

Questo diviene più comprensibile, se consideriamo la specificazione di Luca: «Mio corpo che è dato per voi» (v. 19): didÒmenon è participio passivo presente, che acquista tonalità future, ricordando che la cena del Signore è segno profetico della croce, del giorno dopo, Venerdì; così la volgata traduceva «quod pro vobis tradetur», al futuro, come si trova anche in molte anafore. Ma già nell’ultima cena Gesù è in stato di dono; così pure in ogni eucaristia si rende presente il corpo crocifisso-glorioso, sacrificio perenne al Padre: questo giustifica anche la traduzione al presente.

La qualità sacrificale del corpo di Cristo viene così chiaramente espressa.Ancor più per quanto riguarda il sangue, in quanto i tre sinottici parlano di

sangue «che viene versato per voi». Inoltre il significato di sangue acquista grande ampiezza, tutta quella già assunta nell’AT, in quanto Paolo-Lc parlano di calice della nuova alleanza, e Mc-Mt di sangue dell’alleanza: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue» (Paolo-Lc); «Questo è il mio sangue dell’alleanza» (Mc-Mt).

Abbiamo già fatto notare come i testi dell’istituzione concordino sull’essenziale, «il mio sangue», sangue da bere.

Nell’antica alleanza, il sangue, sede della vita, appartiene a Dio solo, non può essere consumato con la carne, ma solo cosparso sull’altare.

Mc e Mt, dicendo «sangue dell’alleanza», si riferiscono al rito di alleanza descritto in Es 24,8, quando Mosè divide il sangue dei sacrifici in due parti, una metà la versa sull’altare, con l’altra metà asperge il popolo (o le dodici steli che

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lo rappresentano): in tale modo esprimeva la comunione di vita che, nell’alleanza, unisce l’altare, Dio, ed il popolo.

Così nel segno profetico, memoriale della Pasqua del Signore, il sangue di Gesù versato per noi unisce Dio e i discepoli: Gesù infatti è dalla parte di Dio, per essere il Figlio del Padre, e lo dimostra nel donare la sua vita, il suo sangue, in obbedienza filiale, sicura del Padre, del suo amore; insieme Gesù è dalla parte degli uomini, per l’intrinseca solidarietà del primogenito-unigenito con l’intera umanità; porta nel suo sacrifico, nel donare il suo sangue, senza alcun risentimento, con misericordia, tutti i nostri peccati; il suo sangue, che esprime il dono totale della sua vita al Padre per noi, ci rende partecipi del suo amore al Padre per i fratelli.

Può fare difficoltà il comando di bere il sangue, cosa proibitissima nell’AT. Come già abbiamo detto parlando di Gv 6, si tratta del sangue di colui che è disceso dal cielo e asceso al cielo, del crocifisso glorioso.

Ricordare inoltre, che nel regime sacrificale dell’Alleanza mosaica, ancora molto esteriore, secondo la‹‹lettera››, il sangue delle vittime veniva asperso per realizzare la purificazione degli oggetti di culto; la nuova alleanza è invece interiore, intima partecipazione di vita secondo lo Spirito, aumento progressivo in noi della vita di Gesù : tutta questa novità viene ben espressa col rito di bere il suo sangue.

Tanto più che con Gesù il sacrificio passa dalla ritualità esteriore (sacrifici di animali), ad una dimensione del tutto personale. Solo l’obbedienza e l’amore al Padre, a nostro vantaggio, costituiscono il valore del sacrificio personale di Gesù e del culto cristiano.

Bere il sangue di Cristo, versato per tutti, per noi, esprime bene la novità grande della nuova alleanza rispetto al divieto dell’antica. Indica inoltre l’attiva partecipazione, coinvolgimento personale nel dono di Cristo: il sacrificio di Cristo, la sua carità viene partecipata al cristiano, alla Chiesa.

Nel NT troviamo ancora l’uso di aspersione: 1Pt 1,2: «Fedeli... eletti... per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo sangue», ma riguarda la purificazione battesimale, ancor più se leggiamo questo testo in relazione a Eb 10,22. 67Per l’Eucaristia è del tutto significativo il rito del bere, per indicare l’aumento di vita, l’attiva partecipazione.

Siamo così introdotti a comprendere il significato di « nuova alleanza nel mio sangue » , secondo il testo di Paolo-Lc. Si tratta certo di sangue dell’alleanza,

67 Eb 10,22 presenta riferimenti battesimali : “Avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero in pienezza di fede, con il cuore purificato dalla cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura”

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ben ricordato da Mc-Mt, in riferimento al rito di Es 24,5, ma visto nella prospettiva della novità di cui parlano i profeti, Ger 31,31-34; Ez 36,24-30.

Questi profeti, di fronte alle gravi rotture dell’alleanza verificatesi nella storia di Israele, vista anche l’inefficacia della riforma di Giosia, annunciano che sarà Dio stesso a prendere l’iniziativa di rinnovare il patto. Sarà una alleanza nuova, che riprenderà il progetto del Sinai, i suoi comandamenti, ma darà frutti di osservanza e santificazione, perché lo Spirito Santo li interiorizzerà nel cuore. Ma i farisei serrano le file intorno ad una legge, anche indurita.

Gesù realizza questa nuova alleanza, nel dono dello Spirito Santo, dato in abbondanza come frutto del suo passare al Padre, la sua Pasqua.

Isaia parla di una alleanza eterna ( 55,3), in relazione alla novità di vita offerta a Gerusalemme (cap.. 54), ai precedenti carmi del Servo di Jhwh.

Anche la nuova alleanza, alleanza eterna, conosce un mediatore, una vita donata, offerta in espiazione, un agnello condotto al macello (Is 53,7); in realtà i profeti non si erano soltanto limitati ad annunciare una nuova alleanza per il dono dello Spirito Santo che trasformerà il cuore del popolo; ma sono stati personalmente fedeli a tale alleanza, sino a versare il proprio sangue: Mt 23,30-35; Lc 11,50s.

Isaia ha esplicitato questa mediazione di eroica fedeltà nella figura, che rimarrà enigmatica sino al suo compimento in Cristo, del Servo sofferente di Jhwh. I carmi del servo di Jhwh integrano i diversi aspetti della nuova alleanza, presentando la presenza attiva di un mediatore tra Dio ed il popolo, come già Mosè al Sinai.

Questo mediatore del nuovo ed eterno patto sarà il Servo di Jhwh, nella sua fedeltà vissuta sino alla morte; per il dono della sua vita (il sangue) realizzerà la comunione delle moltitudini, di tutti, con Dio. Questo sacrificio personale che realizza espiazione del peccato e offre novità di vita, viene ancora descritto con un linguaggio cultuale: «offrirà se stesso in espiazione» (Is 53,10).

Comprendiamo come le parole dichiarative sul calice del vino potessero assumere questa ricchezza di significati, già preparati nella celebrazione rituale dell’antica alleanza. Tutto questo nell’aspettativa che, per il dono della vita di un nuovo mediatore, il suo sangue versato, divenisse effettivamente, nel dono dello Spirito, efficace, interiore, per realizzare alleanza nuova, eterna.

Questa pienezza sarà realizzata nel modo unico, inaudito del segno profetico della cena del Signore, che già contiene il sangue versato della nuova e definitiva alleanza, della Croce, che viene parimenti istituito come memoriale: «fate questo in memoria di me».

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I.2.2.2.6 Fate questo in memoria di me (Lc 22,19; 1Cor 11,24-25).

Solo Paolo (per il rito sul pane e sul vino) e Luca (per il rito sul pane) riportano il comando del Signore di celebrare in sua memoria.

Mc e Mt riportano invece l’invito: «prendete» (Mt inoltre: «mangiate, bevete»), in una descrizione dell’istituzione del rito che più ancora che in Paolo e Luca, riflette la consuetudine celebrativa; cioè dicono così molto bene che il comando del Signore, «fate questo in memoria di me», viene fedelmente osservato.

Il memoriale del Signore consiste essenzialmente in un fare, una celebrazione rituale: prendere, benedire-ringraziare (consacrare, rendere presente il corpo dato e il sangue versato), mangiare e bere.

Il memoriale donatoci nella cena del Signore è il più precisato e vigoroso dei memoriali biblici, perché è il memoriale della Pasqua del Signore, vertice della storia dell’intera umanità; in esso si riassume non solo tutto lo stare con noi del Figlio di Dio incarnato; non solo il suo passare al Padre, divenendo così via vivente per il nostro accesso alla comunione di vita con Dio; ma esattamente in questo si riassume e si compie l’intero cammino religioso degli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Il memoriale deve essere fatto, celebrato «in memoria di me»: Gesù non solo istituisce il memoriale, ma esso riguarda Lui: la sua persona, la sua opera, il suo passare per noi al Padre; non più l’esodo di Israele, ma Lui, la sua Pasqua.

L’efficacia del memoriale del Signore si può meglio intendere se visto nel contesto dei memoriali dell’antica alleanza, nei segni dati dai profeti. Si tratta non solo di annuncio di qualche cosa che avverrà, ma di una azione che già prepara l’evento così delineato. Pensiamo al gesto profetico di Ez 12,1-15, quando lo stesso profeta, davanti a tutti, si pone sulle spalle il bagaglio dei deportati, fa un buco nelle mura ed esce nell’oscurità da Gerusalemme: si tratta di ciò che avverrà presto per lo stesso Re di Giuda; il gesto profetico lo annuncia e lo spiega come evento prossimo, già in via di realizzazione.

Il memoriale della Pasqua del Signore, istituito nell’ultima cena, segno profetico della Pasqua, ha evidentemente suoi contenuti specifici, unici, inauditi: rende presente il Crocifisso glorioso, il suo passare per la Croce al Padre, la sua intercessione, il corpo dato ed il sangue versato.

Ora, chi deve ricordarsi di Cristo celebrando il suo memoriale in sua memoria? Sono i discepoli che devono celebrarlo in sua memoria, ricordarsi 68 di lui, ma non solo in modo psicologico, ma nell’oggettività della presenza del

68 Cfr JEREMIAS, J., Le parole dell’ultima cena, Paideia, Brescia 1973, 306-318

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Crocifisso glorioso così realizzata. Anzi la presenza del corpo dato e del sangue versato, la qualità nuova di vita che si identifica con essi, deve essere intimamente assunta, partecipata nel gesto rituale del mangiare e bere.

Il Signore Gesù intende così, per pura grazia che suscita corrispondenza attiva, coinvolgerci nel suo sacrificio che porta a pienezza di vita risorta.

In qualche modo anche il Padre si ricorda di Cristo e di noi (che evidentemente non può mai dimenticare), in quanto nella celebrazione del memoriale che ci è stato donato per questa nostra memoria e attiva partecipazione alla carità-sacrificio del Figlio crocifisso-glorioso, ci dona con Lui l’abbondanza dello Spirito Santo.

La Chiesa presenta al Padre il memoriale del suo Figlio, perché porti a compimento l’opera di salvezza già contenuta nel Sacrificio del Figlio.

Il commento di 1Cor 11,26: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga»:

Paolo indica che il memoriale è sia celebrazione, fare liturgico, sia proclamazione, annuncio, della morte del Signore, come evento di salvezza perenne; il «finché egli venga» riconosce che il Crocifisso è vivente, glorioso, e se ne attende la venuta definitiva, per la risurrezione dei corpi, in terra nuova e cieli nuovi. Si confessa che il Signore Gesù rimane il centro vivo della salvezza, sino alla sua definitiva manifestazione gloriosa, per portare a pienezza la realizzazione del disegno di Dio.

Il mistero di salvezza è già compiuto nella Pasqua di Cristo, ma deve ancora manifestarsi nella sua pienezza. La Chiesa è quindi in attesa e l’attesa diviene supplica: «Vieni o Signore! Maranà tha. La grazia del Signore Gesù sia con voi» (1Cor 16,22-23). L’assemblea prega affinché l’intervallo di tempo che ancora ci separa dalla Parusia sia sorretto dalla grazia: così nelle anafore eucaristiche l’anamnesi si svilupperà in epiclesi.

I.2.3 L’Eucarestia nella vita della Chiesa secondo le S. ScrittureRicerchiamo anzitutto notizie sulla sua effettiva celebrazione, rivolgendoci

al libro degli Atti, ove si descrive lo stile di vita della comunità nata dall’annuncio a tutte le genti del Crocifisso risorto nel giorno della Pentecoste, e dal Battesimo ricevuto. Leggiamo in At 2,42.46: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... Ogni giorno tutti frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa, prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo della stima di tutto il popolo».

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È bene porre attenzione a questi impegni fondamentali della vita cristiana:Essi sono realizzati con assiduità, in modo perseverante, una

partecipazione regolare, continua: viene espresso col verbo proskarteoàntej, usato anche per indicare la dedizione, che non permette diversivi, con la quale Pietro e gli Apostoli si dedicano ai loro compiti specifici di preghiera e di ministero della parola (At 6,4).

TÍ didakÍ : l’assiduità nell’accogliere l’insegnamento degli Apostoli: in At 20,7-12 si dice che il primo giorno della settimana (Domenica), la comunità di Troade era riunita per «spezzare il pane»: Paolo, in procinto di partire prolunga la conversazione, la Parola sin a mezzanotte, tanto che il ragazzo Eutico si addormenta e cade dal terzo piano. Dopo averlo rianimato, Paolo spezza il pane, lo gusta, e continua ancora l’omelia fino al mattino. Possiamo dedurre che l’insegnamento apostolico avveniva, come contesto favorevole, nel rito della frazione del pane.

Í koinwn…a: qui indica il perseverare nella comunione fraterna, la vita della comunità dei battezzati: insieme ne indica la qualità: i battezzati sono uniti con Cristo (il greco sun sun : con-morti, con-risuscitati, con-ascesi al cielo: Rm 6,3s; Ef 2,5s). Per la fedeltà del Padre siamo stati chiamati a questa comunione (koinwn…a) del figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro (1Cor 1,9); essa si accresce giorno per giorno mediante la partecipazione al corpo del Signore:

«Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un salo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo di un unico pane» (1Cor 10,16s).

Il termine koinwn…a viene ad indicare lo stare in Cristo, la sua immanenza in noi, unendoci a Lui nell’amore del Padre, dei fratelli. La communio koinwn…a è qualificata dallo stare insieme (cum), per Cristo, nello Spirito, in queste mura (mœnia) della vita trinitaria, con lo stesso compito (munus): koinwn…a viene quindi ad indicare anche l’attenzione fraterna, concretizzata anche nelle elemosine (Eb 13,16).

TÍ kl£sei toà ¥rtou: assiduità allo spezzare del pane: per il pio giudeo, spezzare il pane non indica il pasto, ma il rito che inizia il pasto. Spezzando e benedicendo Dio per il pane, si stabilisce la comunità rituale: il Signore lo ha scelto, insieme al calice della benedizione, come costitutivo del suo memoriale; non l’agnello, ma il pane, che diviene il suo corpo dato in sacrificio.

Ricordiamo come il gesto di spezzare il pane è posto in risalto dalle quattro fonti dell’istituzione, poiché è sempre usato in un tempo finito (l’aoristo, klasen). Anche i discepoli di Emmaus riconoscono Gesù «nello spezzare il

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pane» (Lc 24,35, nel contesto della cena col Risorto, ove Gesù prese il pane, benedì, spezzò e diede loro). Con il termine spezzare il pane, si indica la celebrazione dell’intero memoriale del Signore.

Ta‹j proseuka‹j : assiduità alle preghiere; la vigilanza, attenzione riconoscente al Signore Gesù per la sua opera di salvezza, si sviluppa in fiduciosa preghiera.

L’assiduità alla celebrazione del memoriale, indicata come spezzare il pane, si potrebbe intendere quotidiana, secondo quanto detto al v. 46; Atti 20,7 parla di primo giorno della settimana, il giorno della Risurrezione del Signore; il luogo sono le case; in Atti 20,8 si parla di una stanza al piano superiore, con un buon numero di lampade: un luogo si direbbe curato, atto ad una veglia di preghiera.

Lo spezzare il pane richiede una mensa, che accogliendo il corpo dato ed il sangue versato, assume la qualità di altare: anche questo viene ricordato. Nella 1Cor 10,18-22, dopo avere spiegato la …, comunione al corpo e al sangue del Signore, che ci riunisce in un solo corpo, Paolo continua: «Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali, non sono forse in comunione con l’altare?». Ancor più l’osservazione vale per i sacrifici pagani: «Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni» (v. 21).

Dopo questi avvicinamenti mensa-altare, l’autore di Ebrei afferma esplicitamente, 13,10: «Noi abbiamo un altare del quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che sono al servizio del tabernacolo»; la mensa-altare del Signore è tutta qualificata dalla novità del Sacrificio di Cristo, di cui tratta l’intera lettera agli Ebrei, quel sacrificio realizzato una volta sola per tutte, nel compimento della volontà del Padre (Eb 10,5-10).

La lettera agli Ebrei specificherà ancora quale sarà il sacrificio del cristiano: «Per mezzo di Lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome», il sacrificio di lode, che esprime il dono della vita: Sal 49(50). «Non dimenticatevi della beneficenza (…) e di fare parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace» (Eb 13,15-16). Siamo così introdotti al tema del sacrificio del Signore, cui attinge il discepolo perché la sua vita sia sacrificio spirituale.

I.2.3.1 Sacrifici spirituali per Gesù Cristo:1Pt 2,4-5: «Stringendovi a Lui, pietra viva, rigettato dagli uomini, ma scelta

e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo».

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Rm 12,1s: «Vi esorto dunque fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono a Lui gradito e perfetto». Il culto spirituale è in greco logik» latre…a, culto secondo LÒgoj, Verbo incarnato.

Anche l’aiuto che i Filippesi inviano a Paolo è da lui descritto in categorie sacrificali: «Sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodito, che sono profumo di soave odore, un sacrificio gradito ed accetto a Dio» (4,18).

Tutta la vita dell’Apostolo, e la conclusione della sua vita, il martirio ormai all’orizzonte, consiste nel rendere perfetto il sacrificio della vita dei cristiani, una vita vissuta nella fede : « E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me»(Fil 2,17s). Prospettiva di martirio ormai vicina, accettato come ‹‹libagione›› per la fragranza del sacrificio :«Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione, ed è giunto il momento di sciogliere le vele» (2 Tim 4,6).

Riprenderemo e completeremo il tema dell’Eucaristia come sacrificio di Cristo, della Chiesa e del cristiano nella teologia storica e sistematica; si tratta infatti di un senso, che potremo anche , nella totalità delle sue articolazioni, definire ‹‹pieno›› della Scrittura, e che si rivela a noi non solo quando un testo biblico «viene studiato alla luce di altri testi biblici che lo utilizzano» , ma anche quando viene considerato «nel suo rapporto con lo sviluppo interno della rivelazione», «del significato che una tradizione dottrinale autentica o una definizione conciliare dà a un testo della Scrittura»69

I.2.3.2 Ringraziamento-supplicaNella sua cena Cristo, benedicendo e ringraziando, ha donato il suo corpo e

il suo sangue in sacrificio per noi. Gli evangelisti e Paolo non riportano tale ringraziamento del Signore, ma indicano il suo frutto, la sua piena realizzazione nel Corpo dato ed il Sangue versato, il Sacrificio reso presente.

Nelle lettere apostoliche, quando ci viene presentata la vita della comunità presieduta dagli apostoli, non si parla se non per cenni della celebrazione eucaristica (come dato ovvio, ricevuto e trasmesso, celebrato con assiduità, che fonda e qualifica la vita comunitaria), ma si vive e si estende a tutto l’esistere cristiano il “rendere grazie” proprio dell’Eucaristia. Il Signore crocifisso glorioso, reso presente nel memoriale del suo Corpo dato e del suo Sangue

69 PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Lib. Ed. Vaticana, 1993, 76.

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versato per noi, partecipa ai suoi il suo atteggiamento riconoscente al Padre, che può spontaneamente svilupparsi in supplica affinché la presenza del sacrificio porti i suoi pieni frutti nel presente e nel futuro.

Così le lettere paoline si aprono con un ringraziamento al Padre per la fede operante della comunità nell’accoglienza del Signore, per i frutti di carità, di speranza, di vita cristiana.70 Paolo passa poi alla supplica, affinché si manifesti pienamente nella vita della comunità l’efficacia del dono di fede accolto.

Tutta l’esortazione e l’insegnamento che occupano il corpo della lettera, resteranno come impregnati da questo preambolo di ringraziamento e supplica; potremo anche dire che sono l’esplicitazione di quanto l’introduzione già contiene; esprimono la contemplazione esultante del mistero di Cristo, sono permeati dall’aspirazione supplicante perché si compia in pienezza il mistero riconosciuto e proclamato.

Queste introduzioni sono generalmente costruite sui due termini di eÚcarist…a-eÚlog…a, proseuc» che già nel giudaismo di lingua greca traducevano i termini ebraici di berakà e di tefillà.

Nella prima lettera ai Tessalonicesi abbiamo:«Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere,

continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 1,2-3).

In modo simile anche 2Ts 1,3.11-12; Gal 1,3-5; Rm 1,8-10; 1Cor 1,4-9; 2Cor 1,3-4; Fil 1,3-6.9-11.

Particolare attenzione meritano Col 1,3-2,3 ed Ef 1,3-2,10: qui più che mai le istruzioni e le esortazioni che seguono fanno talmente corpo con il ringraziamento iniziale, che le sue risonanze si prolungano praticamente sino al termine della lettera. L’esposizione sviluppata del mistero di Cristo appare come portata dall’onda dell’Eucaristia, che sembra ampliarsi solo per nuovamente concentrarsi su di Lui.

La teologia di queste lettere cristologiche è fondamentalmente eucaristica, nel senso che non è altro che una meditazione di ciò che costituisce la materia dell’eucaristia cristiana: procedendo dal rendimento di grazie, nella preghiera per il compimento in noi del mistero di Cristo (Col 1,27), essa non tende ad altro che alla dossologia (Col 3,17; Ef 1,6.14;2,7.18;3,21;5,20).

70 Ringraziamento iniziale particolarmente espresso in 1 Tess, Col, Ef, cfr SCHLIER, H. .Per la vita cristiana : fede, speranza, carità, (= Il pellicano), Morcelliana, Brescia 1975, 11-19.

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Unico infatti è il creatore ed il redentore, Cristo, nel quale il mondo com’era stato creato all’inizio, deve ora essere riconciliato con il suo Autore nel sangue della Croce. Questo mistero è anche quello della sua Chiesa radunata nel suo Corpo crocifisso, per divenire la pienezza del suo corpo risuscitato71.

I.3 DOSSIER LITURGICO E DOTTRINALE DEI PRIMI TRE SECOLI DELLA CHIESA

Abbiamo già fatto notare che il NT non è un libro liturgico, che informi direttamente sulla Liturgia, riti e preghiere, in uso nella Chiesa degli apostoli; non è una Mishnà, né un Talmùd.

Per ricercare notizie sulla celebrazione del Memoriale del Signore dobbiamo quindi rivolgerci alle fonti appropriate: consulteremo la Didakè dei dodici apostoli, la Tradizione apostolica e le Costituzioni apostoliche; benché non si tratti di libro liturgico, troveremo notizie molto utili nella lettera di Clemente, nella prima apologia di Giustino.

Le Costituzioni apostoliche sono del 380, cioè al di fuori dei tre primi secoli; ma il cap. VII, che risulta essere un ampliamento della Didakè, contiene materiale più antico, e vi individuiamo una Paleoanafora (VII,25,1-5), in uno stadio di sviluppo anteriore alla Anafora della Tradizione apostolica.

Ci interessiamo dei primi tre secoli, in modo distinto, perché costituiscono il periodo decisivo per la maturazione dell’anafora e del rito del memoriale secondo la volontà istitutiva e i contenuti intesi dal Signore Gesù.

Con la fine del IV sec., inizio del V, abbiamo già formate le grandi preghiere eucaristiche (come quelle di SAN BASILIO MAGNO, il Canone romano), in uso sino ai nostri giorni.

Nei primi tre secoli intendiamo individuare le tappe del formarsi della preghiera eucaristica, la sua struttura liturgico-teologica fondamentale. Insieme al dossier liturgico, ricostruiremo anche un sobrio dossier dottrinale dai Padri di questi primi tre secoli.

Questi secoli rivestono un altissimo interesse teologico, perché situiamo in essi il formarsi anche del Canone della Scrittura ispirata, del Simbolo apostolico; le Scritture ispirate sono riconosciute tali da una Chiesa che sin dalla Pentecoste celebra l’eucaristia. Preghiera eucaristica, Scrittura ispirata e Simbolo apostolico si formano nella stessa matrice della Chiesa apostolica, fedele nel celebrare il Memoriale del Signore, come da Lui ricevuto.

I documenti liturgici che esamineremo portano tutti un forte riferimento apostolico, espresso anche nel titolo: Didakè dei Dodici Apostoli, Tradizione

71 BOUYER, L., Eucaristia, teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, LDC, Leumann-Torino 1983, 115-122.

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Apostolica, Costituzioni Apostoliche. Esprimono la consapevolezza di una Chiesa che fa riferimento costante a Cristo, l’inviato , apostolo del Padre, il suo messaggero. Missione che continua attraverso i Dodici apostoli e la successione apostolica, nell’assistenza del dono dello Spirito Santo.72

Per quanto riguarda l’Eucaristia, abbiamo così la forte coscienza di Chiesa che il Memoriale del Signore, ricevuto e trasmesso, viene fedelmente celebrato secondo il suo mandato.73

I.3.1 Dossier liturgico: Didakè cap.9-10.14.15; Giustino,Apologia prima, 65-67;Tradizione apostolica, 4; Costituzioni apostoliche VII-VIII : La ‹‹Sinassi eucaristica››.

L’Eucaristia, in quanto inserita nella tradizione dei conviti di comunione religiosa, ed istituita da Gesù nel quadro liturgico conviviale dell’ultima cena, presenta l’aspetto di convegno della fratellanza cristiana, detta sinassi, da V, radunare. Abbiamo già vista la testimonianza biblica; nella Didakè, che sembra ancora conservare un pranzo religioso tra le due preghiere eucaristiche riportate nei cap. 9 e 10 si ammonisce, nel cap. 14, di riunirsi nel giorno del Signore per spezzare il pane e rendere grazie, ma tutto nella pace, con necessaria, previa, riconciliazione dei dissensi, affinché il sacrificio sia puro. Il Pane uno e spezzato è figura del raduno della Chiesa.

Ma anche dopo la scomparsa dell’intermezzo del pasto religioso giudaico, e dell’avvicinamento dei riti sul pane e sul vino, l’eucaristia non cessa di essere la riunione della fraternità cristiana. Giustino descrive (n. 67) la riunione eucaristica domenicale di tutti, dalla città e campagna, in un solo luogo. Giorno di tale riunione è la Domenica, per il suo significato rispetto a creazione e risurrezione del Signore. Dopo la comunione si fa ancora menzione di un’ultima raccolta di offerte, che il presidente distribuisce agli orfani, ammalati e bisognosi.

Benché ormai separata dall’agape, l’eucarestia è rimasta segno di comunione vissuta, di carità.

La … eucaristica congiunge il tema dell’unione al corpo di Cristo con quello dell’unità della Chiesa; anzi Paolo collega in maniera definitiva corpo

72 Al di là di questa evidenza, riportare la vita della Chiesa, nelle sue dimensioni morali-spirituali, canoniche, liturgiche alla ‹‹fondazione›› apostolica, si può consultare uno studio come il cap.IV : ‹‹ Le costituzioni ecclesiastiche antiche: un enigma che perdura›› di BRADSHAW, P. F. Alle origini del culto cristiano, cit., 87-114

73 L’Enciclica di GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia, dedica l’intero cap. terzo a ‹‹L’apostolicità dell’Eucaristia e della Chiesa ››

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eucaristico di Cristo ed il suo corpo ecclesiale, con un rapporto di causa ed effetto:

«Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,16).

Anche Didakè esprime lo stesso tema del rapporto pane e unità della Chiesa, con la bella allegoria del frumento sparso sui monti e riunito in un solo pane, ma non presenta espresso il rapporto causa-effetto tra l’unico pane e l’unità della Chiesa. Si potrebbe anche supporre che Didakè, il testo ritrovato nel 1875, sia anche anteriore alla prima lettera ai Corinti. Tale convito eucaristico ha prospettive escatologiche: vedi 1Cor 11,26 ‹‹ Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finchè egli venga››, e il Maranathà di Didakè 10.74

I.3.1.1 Esigenze ecclesiali della Sinassi eucaristicaL’essenza di tale sinassi non si esaurisce in un essere insieme solo

amichevole e fraterno, ma richiede un previo essere con Cristo, che l’Eucaristia porterà a pienezza in virtù del corpo dato e del sangue versato.

Infatti, perché si dia Eucaristia, è necessario un rappresentante di Cristo, capo della Chiesa, come presidente dell’assemblea. Solo a lui è affidata la preghiera eucaristica, l’anafora. La 1Cor, dopo avere trattato della cena del Signore nei cap. 10 e 11, in 12,27s nota: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli»; in Ef 4,11: «È Lui che ha stabilito alcuni come apostoli... per rendere i fratelli idonei a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo».

Anche Clemente, prima Lettera ai Corinti, per riportare la comunità all’armonia ordinata popria di tutte le opere di Dio, prescrive di fare tutto, nella liturgia, al tempo debito, secondo i tempi e i compiti ricevuti:

“Egli [il Signore] ci prescrisse di compiere le offerte e i servizi sacri; e non già a caso e senza ordine, ma nei tempi e nelle ore determinate. Ed Egli stesso, con la sua sovrana volontà, determinò dove e da chi vuole che siano compiuti, affinché essendo ogni cosa fatta santamente secondo il suo beneplacito, sia gradita alla sua volontà. […] Al sommo sacerdote , infatti, sono stati conferiti particolari uffici liturgici; ai sacerdoti è stato assegnato un posto speciale ed ai leviti incombono particolari servizi; il laico è tenuto ai precetti dei laici.” 75

Per noi è di grande importanza la conclusione di questo brano: 74 Troviamo il Maranathà anche alla conclusione di 1 Cor e l’invocazione ripetuta

‹‹vieni, Signore Gesù›› in Ap 20,17.20.

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“Ciascuno di noi, o fratelli, nel proprio posto, renda grazie a Dio, con retta coscienza e gravità, senza trasgredire la regola stabilita per il suo ufficio”76

Commenta L. Bouyer :”In altre parole, per Clemente, l’opera per eccellenza della Chiesa riunita è la preghiera eucaristica, alla quale tutti partecipano, ma ciascuno al suo posto e secondo la funzione sua propria”.77

È ben noto come Ignazio di Antiochia dia un inscindibile rilievo all’unità del Vescovo e dell’Eucaristia (ai Filadelfesi 4); Giustino parla di un presidente (Apol. 1,65 e 67). Anche nei testi liturgici che consideriamo, Eucaristia ed Episcopato sono strettamente connessi: così Didakè dopo aver parlato di Eucaristia domenicale nel cap. 14, inizia il 15 dicendo: «A questo scopo eleggetevi Vescovi e Diaconi degni del Signore: siano uomini mansueti, disinteressati, veritieri e sicuri: essi compiano tra voi l’ufficio dei profeti e dei maestri».78

In perfetta sintonia con questa disposizione, la più antica anafora completa che possediamo, quella di Ippolito, è riportata nel contesto di una consacrazione episcopale: essa viene proposta al vescovo neoconsacrato. Anche la prima liturgia completa di una Messa domenicale, quella riportata nel cap. 8 delle Costituzioni apostoliche, è riportata nel contesto della consacrazione del Vescovo: anche qui l’anafora, completissima, bella, prolissa, viene suggerita al neoconsacrato. Anche sull’Eucologio di Serapione si possono fare simili considerazioni.

Come si riconoscono esigenze particolari di ordinazioni e di vita per chi presiede e qualifica, diremo ora in nome e in persona di Cristo 79 , l’assemblea eucaristica, così la piena partecipazione alla sinassi eucaristica è concessa solo ai santi, cioè ai battezzati, che vivono in modo conforme al Vangelo, non

75 CLEMENT DE ROME, Epitre au Corinthiens, par JAUBERT, A.,(= Sources chrétiennes, n 167), Paris 1971, 167, n 40; traduzione italiana in BOUYER, L. , Spiritualità dei Padri, (= Storia della spiritualità cristiana), EDB 1966, 24.

76 Ibidem, 2577 Ibidem, 2578 Cfr CATTANEO, E., (a cura di), I ministeri nella Chiesa antica, testi patristici

dei primi tre secoli, Milano 199779 Cfr. Eccelsa de Eucaristia, cit, ove al n.29 Giovanni Paolo II

insegna :”L’espressione, ripetutamente usata dal Concilio Vaticano II, secondo cui ‹‹il sacerdote ministeriale compie il Sacrificio eucaristico in è persona di Cristo›› (LG ,10 e 28; PO 2), era già ben radicata nell’insegnamento pontificio. Come ho avuto modo di chiarire in altra occasione, in persona Christi ‹‹ vuol dire di più che –a nome -, oppure –nelle veci- di Cristo. In Persona : cioè nella specifica, sacramentale identificazione col sommo ed eterno Sacerdote, che è l’autore ed il principale soggetto di questo suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno››

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penitenti. Così in tutti i testi liturgici considerati: Didakè, Giustino, Ippolito, Costituzioni apostoliche, si tratta prima del Battesimo e poi dell’Eucaristia; anzi Giustino in Apol. 1,65-67 descrive l’iniziazione cristiana dal Battesimo all’Eucaristia.

Ricordiamo infine la monizione prima della comunione: «Chi è santo si avvicini, chi non lo è si converta» (Didakè 10). Le liturgie dell’oriente lo esprimono con il rito dei Sancta sanctis, che precede immediatamente la comunione80. La liturgia etiopica aggiunge inoltre un avviso ai peccatori di non presentarsi.

Pertanto la sinassi non è un qualsiasi stare insieme, amichevole: richiede una previa unità nella fede e santità, per l’iniziazione battesimale al Mistero di Cristo; il tutto autenticato dalla presidenza in nome di Cristo del Ministro ordinato.

I.3.1.2 Formazione della preghiera eucaristicaUn primo testo anaforico può individuarsi in Didakè 9-10. Forte è stata la

discussione dopo il suo ritrovamento nel 1875: è stata considerata sia una semplice preghiera per la benedizione ed il ringraziamento dell’Agape, anche come un eucaristia minore, preparazione alla vera eucaristia, quella ricordata nel cap. 14. Si può considerare vera preghiera eucaristica, per una comunità giudaica, in uno stato anteriore alla stessa eucaristia descritta in 1Cor 11,23-26, eucaristia celebrata secondo lo schema riportato in Lc 22,17-20: nel cap. 9,2 il primo calice corrisponde a quello escatologico di Luca 22,17; come in Luca 22,20 , il calice del sangue versato per noi è la bevanda spirituale di cui si parla nel cap. 10,3, dopo l’intermezzo del pranzo religioso giudaico menzionato in 10,1(il «dopo aver cenato» di Luca e Paolo). Meglio riflettere direttamente sul testo:

9,1. Riguardo all’Eucaristia farete il ringraziamento in questo modo. 2. Anzitutto sul calice:

Ti ringraziamo Padre nostro per la santa vite di Davide tuo servo, che ci hai fatto svelare

da Gesù Cristo tuo servo.A te sia gloria nei secoli . Amen

3. Poi sopra il pane spezzato:Ti ringraziamo o Padre nostro

per la vita e la conoscenza80 Cfr PAPROCKI, H., Le Mystère de l’Eucharistie Genese et interprétation de la

liturgie eucharistique byzantine, Cerf, Paris 1993, 441; su questo argomento tutto il n 36 dell’Eccl. de Euch.

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che ci hai fatto svelareda Gesù Cristo tuo servo.A te sia gloria nei secoli. Amen.4.Come questo pane spezzato era sparso sui collie raccolto è divenuto una cosa sola

così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terraNel tuo regno:perché tua è la gloria e la potenzaper mezzo di Gesù Cristo nei secoli. Amen.

5.Nessuno mangi o beva della vostra eucaristia se non solo i battezzati nel nome del Signore, poiché egli ha detto: ‹‹ Non date le cose sacre ai cani››

10,1. Dopo esservi saziati ringraziate così.2.Ti ringraziamo, o Padre santo,

per il tuo santo nome,che hai fatto abitare nei nostri cuori,e per la sapienza, la fede, l’immortalità

che ci hai fatto svelare da Gesù Cristo tuo servo.

A te sia gloria nei secoli. Amen.3.Tu, Signore onnipotente,Hai creato tutte le cose a gloria del tuo nome

e hai dato ai figli degli uominicibo e bevanda, perché ti lodino;ma a noi hai fatto la graziadi un cibo e di una bevanda spiritualee della vita eterna, per opera di Gesù Cristo il servo tuo.4.Anzitutto Ti ringraziamo perché sei potente.A te sia gloria nei secoli. Amen.5.Ricordati , o Signore della tua Chiesa,liberala da tutti i mali, rendila perfetta nel tuo amore,riuniscila dai quattro venti santificata,nel tuo regno che per lei hai preparato.Perché tuo è il potere e la gloria nei secoli. Amen.6.Venga la grazia e passi questo mondo!Osanna al Dio di David !

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Chi è santo si avvicini, chi non lo è si converta.Maranathà Amen.

7. Lasciate che i profeti rendano grazie a loro piacimento.81

Nel capitolo 9 notiamo la ‹‹cristologizzazione›› di una preghiera giudaica che presenta somiglianze di fondo con un Qiddùs; come nel cap. 10 si può notare una simile rifusione cristologica di una preghiera di ringraziamento per il pasto, una Birkat-ha-mazòn cristianizzata. La divisione tra le benedizioni-ringraziamento è scandita , a differenza della berakòt giudaiche da un più incisivo ed evangelico : ‹‹A Te sia gloria nei secoli››.

Può fare difficoltà che non si parli in modo esplicito dell’istituzione dell’ultima cena, come troveremo poi sempre nelle anafore eucaristiche, già nel terzo secolo. Ma si dà un chiaro riferimento che «abbiamo un cibo e bevanda spirituale e della vita eterna per opera di Gesù il servo tuo» (cap. 10). Un ‹‹embolismo implicito››, secondo gli studi di C. GIRAUDO sulla struttura letteraria della Todà.

Abbiamo già fatto notare come la benedizione sopra il primo calice non sia quella consacratoria del Sangue del Signore : si può accostare al primo calice di Lc 22,17, il calice escatologico; il calice del Sangue del Signore è quello del ringraziamento , in Didakè 10.

In Didakè 9 abbiamo il ringraziamento sopra il pane spezzato, in cui possiamo riconoscere la consacrazione del Corpo dato del Signore.

Sia nel cap. 9 che nel cap. 10, troviamo somiglianze giovannee: il rivolgersi al Padre Santo (Gv 17,11), lo svelamento per opera di Gesù Cristo, della conoscenza del nome santo del Padre, fatto abitare nei cuori; così per la sapienza, la fede e l’immortalità, la vita, a noi svelata da Gesù Cristo, servo di Dio., la glorificazione del Padre(cfr Gv 14-17).

In tutto questo si dà la piena realizzazione storica della «santa vite di Davide tuo servo, che ci hai fatto svelare da Gesù Cristo tuo servo», che costituisce il motivo del ringraziamento introduttivo. Si percepisce la prospettiva giudaica, che vede Gesù come compimento di Israele. Ma è molto bella la consapevolezza universale del dono ricevuto, espressa nella allegoria del frumento sparso sui monti che diventa un pane solo, segno della Chiesa raccolta dai confini della terra. (9,4;10,5).

81 La Doctrine des Douze Apotres (Didachè), par RODORF, W.- TUILIER, A. (=Sources Chrétiennes n 248) Cerf, Paris 1978, 175-182. Cfr MAZZA, E., L’Anafora eucaristica, studi sulle origini (= BEL ‹‹Subsidia›› 62) CLV Roma, 20-50; BOUYER, L. , Eucaristia, cit. 124-128.

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Con il Concilio di Gerusalenune del 49 la Chiesa acquista piena consapevolezza che Gesù Cristo è sì il pieno compimento delle promesse ad Israele, ma secondo la sua identità di Figlio, Verbo, immagine di Dio incarnata; di qui la sua signoria universale, per creazione e redenzione, un annuncio e conformità di vita che fa a meno delle costumanze giudaiche.

La paleoanafora82 di Costituzioni apostoliche VII,25,1-5 riflette questo stadio di maturazione della vita della Chiesa. Si può notare qualche somiglianza con Didakè 9, ma il tutto è rifuso in una più matura cristologia.

VII,25,1 [ …] per L’Eucaristia pregate così:25,2: Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la vita che tu ci hai

rivelato per Gesù Cristo tuo servo, per il quale tu hai tutto creato, e per il quale tu provvedi alle

necessità di tutti gli esseri, e che tu mandasti a farsi uomo per la nostra salute, tu hai acconsentito che egli soffrisse e morisse.

tu l’hai risuscitato e l’hai glorificato, l’hai fatto sedere alla tua destra,

per lui ancora tu ci hai promesso la risurrezione dei morti.25,3: Signore onnipotente, Dio eterno, come questo era sparso, poi è stato riunito per divenire un solo pane, nello stesso modo riunisci la tua Chiesa dalle estremità della terra,

nel tuo regno.25,4: Noi ti rendiamo ancora grazie, Padre nostro, per il prezioso sangue

di Gesù Cristo sparso per noi e per il prezioso corpo, di cui noi offriamo questi simboli,

avendoci lui stesso prescritto di annunciare la sua morte; per lui a te la gloria nei secoli. Amen.83

I riti sul pane e sul vino sono accostati, come danno già testimonianza Matteo e Marco; per cui si dà un unico ringraziamento, al Padre per la vita che

82 Con paleoanafore indichiamo genericamente le anafore che non presentano quella struttura matura .come nella preghiera eucaristica della Tradizione apostolica di Ippolito.

83 Les Constitutions apostoliques, par METZGER, M. T.III, livres VII et VIII, (=Sources Chrétiennes n. 336), Paris 1987, 52-53.Cfr MAZZA, E., cit, 51-69.: BOUYER, L. , cit, 128-144

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ci ha rivelato per Gesù Cristo, ancora indicato come servo di Dio, ma già confessato come partecipante alla creazione ed inviato a farsi uomo per la redenzione e risurrezione dai morti.

Non si dà ancora racconto di istituzione, ma si ricorda il precetto, ispirato a Paolo, di annunciare la sua morte.

Si riconosce la presenza, e si ringrazia, per il prezioso sangue e corpo (una anamnesi in senso forte?); a questo riconoscimento e ringraziamento si collega l’offerta sacrificale. Notare questo secondo ringraziare : nel primo si ringrazia il Padre per tutta l’opera di creazione e salvezza, tutta rivelata e realizzata per Gesù Cristo; ma ora nella celebrazione prescritta dal Signore questi eventi salvifici sono presenti nel ‹‹nel prezioso sangue di Gesù sparso per noi, nel prezioso corpo››, nella loro offerta sacrificale, è quindi necessario un secondo ringraziamento.

Si può anche notare un germe di epiclesi, ove si prega: «riunisci la tua Chiesa dalle estremità della terra, nel tuo regno», a somiglianza del frumento sparso sui monti, divenuto un solo pane.

Questa Paleoanafora di Costituzioni apostoliche VII, 25,2-5, si può considerare una trasformazione di Didakè 9 : in questa più intensa ‹‹cristologizzazione›› della preghiera giudaica, si accostano i riti eucaristici sul pane e sul vino, in una sola eucaristia, senza la frammentazione in molteplici berakòt, per l’intercalare .‹‹A Te sia gloria nei secoli Amen››; ora il ringraziamento al Padre è tutto cristologicamente motivato, sino all’estremo del ‹‹suo prezioso sangue e corpo›› eucaristici, in una preghiera anaforica, che presenta un’unica conclusione dossologica: ‹‹per lui a te la gloria nei secoli. Amen››.84

84 Possiamo fare altre osservazioni comparative, notando lo sviluppo della preghiera eucaristica, da Didakè a Costituzioni 25,1-5; Didakè 10, Birkàt-ha-mazòn cristianizzata, si può individuare in Costituzioni apostoliche VII, 26,1-6 : ma è divenuta una preghiera di ringraziamento dopo la comunione . Lo ricaviamo da più indizi: Didakè 10,1 inizia dicendo. Dopo esservi saziati (in greco emplestènai), cioè dopo avere mangiato nella commensalità dell’agape, i due riti eucaristici sul pane e sul pane e vino sono ancora separati, come nella Cena del Signore.

Notiamo invece come Cost. Ap.VII, 26 ,1 inizi con un : metà ten metalespin, che nel linguaggio eucaristico indica la comunione sacramentale; la preghiera eucaristica è tutta in Cost. Ap. VII,25,1-4; 25,5-6 danno norme per la comunione: 5. Ne mangino solo i battezzati nella morte del Signore. 6. I non iniziati ne mangiano a loro condanna, non avendo fede in Cristo. Se qualcuno la fa per ignoranza, sia iniziato. La Birkat ha-mazon cirtianizzata di Cost. Ap.VII,26,1-6,

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Ricordiamo anche l’Anafora delle Chiese caldee, che porta il nome degli ‹‹Apostoli Addai e Mari››, con ogni probabilità la più antica preghiera eucaristica giunta a noi, ancora in uso ai nostri giorni. E’ celebre presso i liturgisti perché ci è pervenuta senza un esplicito racconto istituzionale; un recente documento del PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, ne riconosce la validità.85

Ciò che è ancora in germe nella Paleoanafora di Costituzioni apostoliche VII,25,2-5, appare con evidenza, anche se in forma molto sobria, nell’anafora della Tradizione apostolica di Ippolito.86

Questo libro liturgico presenta segni evidenti di liturgia romana, come le due unzioni nell’amministrare il Sacramento del Battesimo (n. 21); la sua anafora si può ritenere abbia esercitato un influsso amplissimo: l’anafora del cap. 8 delle Costituzioni apostoliche, che sviluppa, in modo molto ampio, prolisso, la struttura di Ippolito, con l’aggiunta del Sanctus. Troviamo questa stessa struttura anche nelle anafore di Bisanzio, per la loro dipendenza dalle antiochene.

Come nella Paleonafora, anche nella Tradizione apostolica si dà un solo ringraziamento a Dio Padre, per tutta l’economia della salvezza, in cui è sempre attivo «il tuo diletto servo Gesù Cristo», confessato come Verbo e Figlio del

risulta così essere una preghiera di ringraziamento per l’Eucaristia celebrata secondo la Paleoanafore di Cost. Ap. VII,25,1-4

Anche la denominazione del Presidente è più tecnica : Didakè 10 termina dicendo :” Lasciate che i profeti rendano grazie a loro gradimento” che diviene in Cost. Ap.VII,26,6 :”affidate ai vostri Presbiteri di rendere grazie”. Cfr Les Constitutions apostoliques, III, cit,54-57.

85 Orientamenti per l’ammissione all’Eucaristia fra la Chiesa Calda e la Chiesa Assira dell’oriente, da ‹‹l’Osservatore romano››, 26 /10/ 2001; Una traduzione italiana del Documento con numerosi studi in Divinitas, XLVII, nuova serie, numero speciale 2004, a cura di B. Gherardini. Vedi anche l’analisi del Testo in GIRAUDO, C., In unum Corpus cit, 352-360. MAZZA, E., nello stesso fascicolo di Divinitas, Le récent accord entre l’Eglise chaldéenne et l’Eglise assyrienne d’orient sur l’Eucharistie, 124-137, nota a pag. 131 :” le document du Saint- Siège peut donc conclure que l’affirmation de la sacramentalité de l’Eucharistie et la présence du récit de l’institution sont suffisantes pur affirmer la validité de l’Eucharistie célébrée avec l’anaphore d’Addai e Mari.[…] récit de l’istitution est présent non d’un manier compacte et littérale, mais d’une maniere eucologique”. Il che significa essere come immerso nella preghiera, secondo la sua logica e genere letterario.

86 Non ci interessa dirimere l’intressante questione della figura storica di Ippolito: cfr BOUYER, L. l’Eucaristia, cit. ,166-176

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Padre. E’ bene riportare il testo : un vera anafora, che nella sua sobrietà ci permette di individuare quelli che sono gli elementi strutturali- teologici di tutte le anafore.

Il Signore sia con voi e con il tuo SpiritoIn alto i cuori li abbiamo verso il SignoreRendiamo grazie al Signore è degno e giusto.

*[Noi] ti rendiamo grazie, o Dio, per il tuo diletto servo Gesù Cristo, che negli ultimi tempi mandasti a noi [come] salvatore redentore e messaggero della tua volontà; lui, che è il tuo inseparabile Verbo, per mezzo del quale facesti ogni cosa, e [che], nella tua compiacenza, mandasti dal cielo nel seno di una

Vergine; ed egli, essendo stato concepito nel grembo, si incarnò e si manifestò [come] tuo Figlio nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine. Egli volendo compiere la tua volontà Ed acquistarti un popolo santo, stese le mani mentre pativa, per liberare dalla passione coloro che in te hanno creduto. Egli, quando si consegnava alla volontaria passione, Per sciogliere [il potere del]la morte e rompere i vincoli del diavolo, Per calpestare l’inferno e illuminare i giusti, Per fissare il limite della [morte] e manifestare la risurrezione

Prendendo il pane e rendendoti grazie, disse:‹‹Prendete, mangiate; questo è il mio corpo,che per voi sta per essere spezzato››.Allo stesso modo [prese] anche il calice, dicendo:‹‹Questo è il mio sangue, che per voi sta per essere versato.Quando fate questo, [voi] fate il mio memoriale !››

Celebrando dunque il memoriale della sua morte risurrezione,[noi] ti offriamo il pane ed il calice,rendendoti grazie perché ci hai resi degnidi stare davanti a te e di servirti.

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** E ti chiediamo di mandare il tuo Spirito Santosull’offerta della tua Chiesa,[perché] radunando[li] in un solo [corpo],dia a tutti coloro che partecipano ai santi [misteri]di essere riempiti di Spirito Santo,per la conferma della fede nella verità,affinché ti lodiamo e ti glorifichiamoper il tuo servo Gesù Cristo,per mezzo del quale a te [è] la gloria e l’onore,[a te] Padre, e al Figlio con il Santo Spiritonella tua santa Chiesa,ora e nei secoli dei secoli. Amen.87

Cristo è il messaggero, inviato dal Padre, incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine.

L’incarnazione si sviluppa nella passione redentrice, per compiere la volontà del Padre e liberare l’uomo. Nel contesto della passione, evento di redenzione, descritta con molteplicità di situazioni, si inserisce il racconto dell’istituzione dell’eucaristia.88

Il memoriale della passione, così celebrato con piena consapevolezza, porta con sé l’anamnesi in senso forte, e quindi l’offerimus, l’offerta del sacrificio, nei segni del pane e del vino. Segue l’epiclesi, invocazione dello Spirito sull’offerta della Chiesa, per i seguenti effetti: l’unità della Chiesa in un solo corpo, la conferma della fede nella verità, dei partecipanti ai santi misteri, la lode e glorificazione del Padre e della Trinità.

Narrazione dell’Istituzione, anamnesi, offerta sacrificale ed epiclesi diventeranno una struttura, variamente sviluppata, ma sempre presente nelle anafore mature. L’epiclesi presenterà con più evidenza una domanda per la trasformazione dei doni nel corpo e sangue del Signore (Costituzioni apostoliche VIII,39 domanda l’invio dello Spirito Santo per la manifestazione del corpo e del

87 HIPPOLYTE DE ROME , La Tradition apostolique, par BOTTE, B.,(= Sources Chrétienne, n 11 bis), Cerf, Paris 1968, 47-53.; traduzione di GIRAUDO, C., In unum Corpus, cit, 282s.

88 MAZZA, E., l’anafora eucaristica, studi sulle origini, cit, 111-165 dimostra, in modo convincente, come il testo di Ippolito accolga espressioni che ritroviamo nelle omelie pasquali, rapporti anche con Ireneo di Lione; esamina quindi, 166-194, la struttura dell’anafora in relazione a Didakè e Birkat ha-mazòn.

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sangue di Cristo); una seconda domanda sarà la trasformazione, per opera dello Spirito Santo, dei comunicandi al corpo e sangue di Cristo.

La liturgia romana pone l’epiclesi che chiede la trasformazione dei doni (transustanziazione) nel corpo e sangue del Signore prima della narrazione dell’Istituzione con le parole dichiarative: «questo è il mio corpo, questo è il calice del mio sangue...»; una seconda epiclesi segue l’anamnesi e l’offerta sacrificale, invocando lo Spirito Santo per l’unità nella carità della Chiesa, per la trasformazione dei comunicandi.

Anche le anafore secondo il tipo di Alessandria di Egitto, presentano una duplice epiclesi; l’orazione epiclettica, situata dopo il Sanctus e prima della narrazione dell’Istituzione, invoca lo Spirito Santo affinché riempia i doni. Il frammento Der-Balyzeh chiede espressamente che lo Spirito Santo operi la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore. Dopo l’esposizione della dottrina, la lex credendi, saremo in grado di ritornare sulle relazioni tra racconto dell’istituzione, con le parole dichiarative, consacranti, e l’efficacia dell’epiclesi.

I.3.2 Dossier della dottrinaGiustino, filosofo e martire (+165), rappresenta un valido “ponte” tra il

dossier liturgico e quello dottrinale, in quanto nella sua Apologia I ci descrive, senza riportare distesamente la preghiera eucaristica, sia lo schema della celebrazione, sia quello della preghiera stessa. Insieme a questa struttura celebrativa ed orazionale, ci espone la dottrina sulla qualità del pane e vino «eucaristicizzati», corpo e sangue del Signore, anzi espone la causa della conversione stessa. Vi possiamo intravedere il contesto di dottrina della fede che ha guidato il formarsi della preghiera eucaristica, come abbiamo constatato nelle sue linee essenziali.

Inoltre nel Dialogo con Trifone l’ebreo, dichiara la dottrina della Chiesa circa la natura sacrificale dell’Eucaristia.

I.3.2.1 La dottrina dell’Apologia 1,65-67 (testi in Appendice VI.6.1)

Ricordiamo anzitutto il valore ufficiale dell’insegnamento di questi capitoli: sono come il vertice di un documento presentato all’Autorità imperiale, Antonino il pio, ed i Figli associati nel governo.89. S. Giustino filosofo e martire, espone alla massima autorità il modo di procedere dei Cristiani in fatto di culto con grande libertà, non essendo ancora conosciuta la disciplina dell’‹‹arcano››, che

89 Testo greco con traduzione latina dei testi eucaristici di Giustino in : A. HÄNGGI-PAHL, I., Prex eucharistica, cit., 68-74

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protegge il ‹‹mistero›› da curiosità indebite; nella sua seconda opera, Il dialogo coll’ebreo Trifone, n. 117, appella il Memoriale del Signore ‹‹sacrificio eucaristico del pane e del calice››. Vedremo anche il suo primo abbozzo della dottrina della ‹‹transustanziazione››, in un contesto che professa chiaramente e fortemente la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia..90

I.3.2.1.1 La struttura liturgica: Essa risulta dalle due descrizioni dell’Eucaristia, quella che segue il

Battesimo (n. 65), quella dell’Eucaristia domenicale (n. 67); esse ci presentano uno schema essenziale ma completo della Messa: Letture, Omelia del Presidente, Saluto di pace, Offertorio, Preghiera Eucaristica del Presidente,‹‹Amen›› dell’assemblea, Comunione del pane e vino «eucaristicizzati» da parte dei presenti e degli assenti, unione nella carità, attenzione e aiuto ai bisognosi ricordati all’inizio e alla fine della celebrazione.

La struttura della preghiera eucaristica del presidente è Trinitaria: «Egli prende le offerte e innalza lodi a gloria del Padre di tutti per il nome del Figlio e dello Spirito Santo, e pronuncia un lungo ringraziamento (in greco Ù…) a Colui che ci ha fatto partecipi di questi doni» (n. 65).

«In tutte le nostre offerte lodiamo il Creatore dell’Universo per Gesù Cristo suo Figlio e per lo Spirito Santo[…] e chi presiede con tutte le sue forze innalza la preghiera di ringraziamento, ed il popolo acclama: “Amen”» (n. 67).

Tra i due resoconti, Giustino nel n. 66 ci offre spiegazioni sulla natura del cibo così eucaristicizzato, corpo e sangue del Signore, anzi sulla causa della conversione.

I.3.2.1.2 Dottrina sulla natura del pane e vino eucaristicizzati, come si realizza nella celebrazione:

Eucaristia non solo indica il modo nuovo di benedire-ringraziare il Padre, secondo il modello e i contenuti consegnateci dal Figlio, Gesù Cristo nostro Salvatore, ma viene a connotare anche il frutto della preghiera e celebrazione eucaristica: Eucaristia, cioè pane e vino eucaristicizzati, carne e sangue di Gesù.

Esponendo questa dottrina ad un pagano, come è l’Imperatore cui si rivolge, Giustino segue un modo di procedere graduale:

-- anzitutto afferma: «Noi prendiamo questo cibo non come pane comune o bevanda comune»;

-- indica poi come si realizza tale cibo eucaristico, con una efficacia simile a quello della Parola, il Verbo che si incarna: «...come Gesù Cristo nostro

90 Cfr ALTHANER, B., Patrologia, Marietti ,Casale Monferrato 1968, 71s

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Salvatore, incarnatosi in virtù del Verbo prese carne e sangue per la nostra salvezza, così anche questo alimento eucaristicizzato per la preghiera secondo la Parola, quella che viene da Lui, di cui si nutrono, assimilandolo, la nostra carne ed il nostro sangue, secondo quanto ci è stato insegnato, è carne e sangue di Gesù incarnato».66,1).

Questa preghiera, ispirata secondo il modello della Parola con cui Cristo nell’ultima cena ha reso grazie al Padre, consacra, nella terminologia di Giustino, eucaristicizza il pane e vino nella carne e sangue di Cristo.

Giustino nota la profonda somiglianza tra l’efficacia del Verbo filiale, la Parola che si incarna in Gesù di Nazareth, e la Parola della preghiera di ringraziamento, che viene da Cristo, pronunziata dal presidente, che converte il cibo così eucaristicizzato nella carne e sangue di Cristo.

Convalida poi le sue affermazioni riportando la narrazione dell’istituzione dell’ultima cena.

Troviamo così la spiegazione teologica del costituirsi della Preghiera eucaristica: dalla Didachè, attraverso le paleoanafore (abbiamo visto quella riportata da Costituzioni Apostoliche VII,25), sino all’anafora strutturalmente completa (manca il Sanctus) della Tradizione apostolica di Ippolito romano.

Ciò che la Chiesa, attraverso il presidente della celebrazione, in obbedienza al mandato e al modello istituito da Cristo ha progressivamente sviluppato, è stato un modo di ringraziare il Padre riguardo il pane ed il vino, che riproduce fedelmente la parola di ringraziamento di Gesù.

Questo modo cristiano di rendere grazie si è sempre più distaccato dalla sua matrice giudaica: ha cristologizzato la creazione, avvenuta per Cristo, quello stesso Cristo Gesù incarnato, morto e risorto, unitamente al quale si ringrazia il Padre di questa completa economia salvifica.

Questa completa economia salvifica, ha il suo vertice nella Pasqua del Salvatore, il suo “segno profetico vigiliare”, datoci come suo Memoriale: la sua narrazione, secondo il racconto evangelico, viene ora espressamente inserita nell’anafora, che ha da sempre “normato” nei gesti e nella preghiera.

Trattandosi, sino alla Tradizione apostolica inclusa, non di formule da recitare, ma di uno schema, modellato sull’esempio di Gesù, cui fedelmente attenersi, si può pensare che la narrazione stessa dell’Istituzione fosse già inclusa nel modo di rendere grazie secondo la parola normativa di Cristo. Ricordiamo la validità riconosciuta dell’anafora ancora in uso nella Chiesa assiro-caldea, degli Apostoli Addai e Mari, che non riporta in modo esplicito la narrazione dell’istituzione del Memoriale, le parole consacratorie91 .

91 Testo in latino in HÄNGGI, A. – PAHL, I. , Prex eucharistica, cit, 75-80

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Giustino, nel Dialogo con Trifone (n 117), afferma espressamente la natura di Sacrificio dell’Eucaristia92; lo vedremo ora, percorrendo il dossier dottrinale, con documentazione anche precedente a quella di Giustino, come le Lettere di Ignazio di Antiochia, martire a Roma circa il 110.

I.3.2.2 La dottrina dei Padri nel II – III secolo (vedi testi : Appendice VI.6.2-5)

Non dobbiamo attenderci dai Padri del III secolo che ora esaminiamo una trattazione sistematica; si tratta piuttosto di affermazioni occasionali, ma sviluppate nel contesto delle realtà di fede decisive e qualificanti la vita della Chiesa: proprio questa occasionalità dimostra ancora una volta la centralità unica dei misteri eucaristici per la Professione di fede e l’esistenza cristiana che ne deriva.

Queste “occasioni” si possono ridurre a tre:° l’identità di Cristo, Figlio veramente incarnato, nella crisi dello

Gnosticismo, prodromi di Docetismo: la fede nella realtà del corpo e sangue eucaristici è così solida, da tutti accettata, che si può compiere il passaggio dalla verità della carne e sangue eucaristici alla Verità e identità del Verbo incarnato;

° l’unità della Chiesa, che trova la sua sorgente qualificante nell’Eucaristia e nella relazione particolare (ora diremo sacramentale) del Vescovo celebrante, del suo Collegio presbiterale, con Cristo e il Padre;

° la qualità della vita Cristiana, la sua perfezione nel discepolo-martire.93

Percorriamo il dossier dottrinale considerando tre aspetti:= l’Eucaristia come cibo spirituale, corpo e sangue del Signore;= le dimensioni “tipologiche” secondo il Tipo Cristo, del Vescovo

celebrante;= l’Eucaristia come Sacrificio.94

I.3.2.2.1 l’Eucaristia come cibo spirituale, corpo e sangue del Signore.

La sinassi, … eucaristica, unità vissuta del Corpo ecclesiale, si realizza per la partecipazione al Corpo e Sangue eucaristici del Signore, nella celebrazione del memoriale della sua Pasqua. I Padri hanno sentito l’esigenza di evidenziare la qualità unica della carne e sangue eucaristici, che sono, per partecipazione liturgica, il fondamento qualificante il Corpo e la sinassi ecclesiali.

92 Cfr PE, 73s93 Cfr MAZZA, E., La celebrazione eucaristica, cit, 117-12094 Cfr ibidem, 122-166.

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Possiamo ricostruire un modo progressivo nel presentare la dottrina:95

l’Eucarestia non è cibo e bevanda comune. Così IRENEO, Contro le Eresie V,18,5: «Il pane della terra, ricevendo l’invocazione di Dio, non è più pane comune, ma Eucaristia, composta di due elementi, l’uno terrestre, l’altro celeste...». Abbiamo già visto simile affermazione nell’Apologia I di Giustino, n. 66,1s.

Gli elementi cessano di essere tali, pane comune; per effetto della preghiera di ringraziamento, che viene dal Signore, pronunciata su di essi, vengono “eucaristicizzati” in corpo e sangue del Signore; abbiamo già visto questo in Giustino, Apol. 1,66, possiamo ricordare ancora Ireneo, Contro le Eresie V,2,3: «Il vino mescolato ed il pane, ricevendo la Parola di Dio diventano eucaristia, corpo e sangue di Cristo, e con essi cresce e si compone la sostanza della nostra carne...».

Pane, vino divenuti Eucaristia: così si esprimono Didachè, Ignazio di Antiochia, Giustino, Ireneo, Origene, Didascalia apostolurum..96.; anzi Giustino ed Ireneo usano anche il neologismo, eucaristicizzare, pane e vino eucaristicizzati.

Questi termini indicano la novità unica del pregare ringraziando secondo l’esempio dato da Gesù nell’ultima cena: non solo si benedice Dio per i doni della terra e della alleanza, come nella birkàt ha mazòn giudaica, ma per tutta la storia salvifica, tutta realizzata per Cristo, tutta riassunta nella Pasqua di Cristo, nel suo corpo e sangue donato per noi; in essi abbiamo accesso al Padre, in una vita nuova; questo corpo e sangue donati per noi sono eucaristia vivente, il ringraziamento al Padre che solo Cristo può esprimere e vivere, cui ci associa.

Anche senza usare il termine eucaristicizzare, ORIGENE esprime la stessa realtà: «Noi rendiamo grazie al Creatore dell’universo, mangiamo i pani offerti con azioni di grazie e con preghiera sui doni, i pani che sono divenuti, per mezzo della preghiera, un corpo santo che santifica quelli che ne partecipano con pura intenzione» (Contra Celsum VIII,33).97

CIPRIANO, nella Lettera a Cecilio 63,14.17, oltre il ringraziare, chiede esplicitamente al Sacerdote celebrante, che fa le veci di Cristo, di «ripetere ciò che Cristo ha fatto; egli offre nella Chiesa a Dio Padre un sacrificio vero e pieno soltanto quando lo offre seguendo la modalità di Cristo… Poiché in tutti i sacrifici ricordiamo la sua passione - la passione del Signore è infatti il Sacrificio che noi offriamo - dobbiamo ripetere ciò che Lui ha fatto. Tutte le volte che

95 Cfr LIGIER, L., Il Sacramento dell’Eucaristia, cit, 114-117.96 Cfr RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit. , 83497 ORIGENE, Contro Celso , UTET, Torino 1971, 689

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offriamo il calice in memoria del Signore e della sua passione, la Scrittura ci comanda di ripetere quello che sappiamo che Lui ha fatto»98.

Quanto all’effetto ultimo i Padri sono ancora più espliciti: il pane ed il vino diventano corpo e sangue di Cristo.

Dobbiamo notare che la Sacra Scrittura, mentre non riporta la preghiera di ringraziamento pronunciata da Gesù, ci assicura dell’efficacia di questa preghiera, nel suo effetto: il corpo donato in sacrificio, il sangue versato. Ci assicura così di ciò che è decisivo, fondamentale: accogliamo e siamo resi partecipi dell’esodo vivente, la Pasqua, del Crocifisso glorioso al Padre, la sua Eucaristia vissuta nel rendere presente il suo corpo e il suo sangue versato per noi.

Riportiamo qualche testimonianza patristica:IGNAZIO di Antiochia:Smirnesi 7,1: «[Questi eretici doceti] si astengono dall’Eucaristia e

dall’orazione perché non riconoscono che l’Eucaristia è la carne del nostro salvatore Gesù Cristo, quella carne che soffrì per i nostri peccati e che il Padre, nella sua bontà, risuscitò».

Filadelfesi 4: «Procurate dunque di partecipare ad una sola Eucaristia; poiché una è la carne del Signore nostro Gesù Cristo, uno è il calice che ci unisce al sangue di Lui, uno è l’altare, come uno è il Vescovo».

Y. CONGAR nota lo stretto legame che unisce l’Eucaristia e la retta comprensione del mistero dell’Incarnazione del Verbo; la fede della Chiesa nell’Eucaristia corpo e sangue del Signore è così comune e forte, che nelle prime eresie, la gnosi, si trova in essa un argomento decisivo per risolvere le contestazioni sul rapporto tra Gesù ed il Padre.

Cita IRENEO, Contro le Eresie IV,18,4: «Come possono avere la certezza che il pane eucaristico è il corpo del loro Signore e il calice il suo sangue, se insieme non affermano che è il Figlio dell’autore del mondo, cioè il suo Verbo, per il quale le piante fruttificano, le sorgenti sgorgano..».

Congar cita inoltre IV,33,2, Atanasio e Cirillo di Alessandria: la divinità del Verbo e dello Spirito si mostra nel potere vivificante e divinizzante dell’Eucaristia: non lo può essere se in essa non riceviamo la carne del Ò, un corpo della stessa sostanza del Ò. Ma con Cirillo siamo già nel tempo delle grandi anafore, della teologia simbolico-mistagocica99.

98 CIPRIANO, Lettere 51-81, (=Scrittori cristiani dell’Africa romana 5/2), Città nuova , Roma 2007, 154-159

99 Cfr. CONGAR, Y. , “Doctrines christologiques et thèologie de l’Eucharistie (simples notes)”, Rev. Sc. ph. th 66 (1982) 233s.

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CLEMENTE ALESSANDRINO, Pedagogo I,VI 42,3,, esprime la sua fede nel corpo e sangue eucaristici, nel suo contesto proprio, l’introdurre i discepoli alla maturità cristiana: «Il Òj è tutto per il fanciullo: padre, madre, pedagogo, alimentatore. Mangiate, dice, la mia carne, e bevete il mio sangue (Gv 6,53s). Questi alimenti giovevoli a noi fornisce il Signore: ci porge la carne e ci versa il sangue. Non manca nulla ai fanciulli per crescere! O incredibile mistero…».100

IGNAZIO DI ANTIOCHIA ha talmente identificata la sua vita di discepolo con il corpo e sangue dell’Eucaristia, che scrivendo ai Romani, affinché non lo distolgano dal martirio, può dire: «Il mio amore è crocifisso, e non vi è più in me un fuoco terreno; ma un’acqua viva mormora in me e mi dice dentro: “vieni al Padre”. Non gusto più il cibo corruttibile dei piaceri della vita; voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, figlio di Davide; e voglio come bevanda il suo sangue, cioè l’amore incorruttibile» (n. 7).

Qui l’ideale di vita espresso è l’imitazione di Cristo fino a divenire come Lui, fino al martirio. Ignazio per sottolineare che la celebrazione dell’Eucaristia deve condurre all’imitazione di vita di Cristo, anche sino al martirio, compie un accostamento-prolungamento tra i contenuti del rito e la vita di fede e carità che ne sgorgano; arriva a dire: «Ricreatevi nella fede, che è la carne del Signore, e nella carità, che è il sangue di Gesù Cristo» (Tralliani 8). «Infatti il corpo ed il sangue di Cristo, da un lato, e la fede e l’agape, dall’altro, si implicano a vicenda»101.

Ignazio tratta dell’influsso dell’Eucaristia sulla vita del discepolo, parlando inoltre di «farmaco di immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere in Gesù Cristo per sempre» (Efesini 20); compie un’ardita opera di inculturazione, indicando che la salvezza autentica, dalla stessa morte, può essere ottenuta solo attraverso l’Eucaristia. Ad essa dobbiamo rivolgerci, non ai vari unguenti che sotto il nome di “farmaco di immortalità” potevano trovarsi nei mercati cittadini.

Non mancano testi in cui l’attenzione è rivolta direttamente alla venerazione dell’Eucaristia: Origene, Omelia su Esodo 13,3: «Voi che assistete abitualmente ai divini misteri, sapete con quanta rispettosa attenzione custodite

100 CLEMENT D’ALEXANDRIE , Le Pédagogue I (=SC n 70), Paris, Cerf 1960, 186-189, cfr la nota 2 di pag 188, ove si nota che il lettore cattolico applica naturalmente queste formule alla pietà eucaristica, ma senza maggiorare l’interpretazione.

101 MAZZA, E., La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell’interpretazione, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996, 132.

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il corpo del Signore, quando vi viene dato, per paura che non ne cada qualche particella e non vada perduta una parte di questo tesoro consacrato».102

In questi primi tre secoli prevale l’indicazione forte che l’Eucaristia è corpo e sangue del Signore; ma già incominciano a presentarsi espressioni teologiche, che cercano di spiegare l’Eucaristia dinanzi alla percezione dei sensi e della fede: così Ireneo, Contro le Eresie IV,18,5: «Il pane che viene dalla terra, ricevuta l’invocazione (epiclesi) di Dio, non è più pane comune, ma è l’Eucaristia, costituita di due elementi, uno terreno, l’altro celeste» 103.

Altri autori incominciano ad usare quei termini che saranno usati in modo ampliato nella teologia simbolico-mistagogica dei sec. IV-VIII: figura, tipo…

Concludendo, circa la natura del cibo eucaristico, notiamo più linguaggi articolati:

° il linguaggio della fede, che asserisce senza la minima incertezza essere l’Eucaristia corpo e sangue del Signore;

° un linguaggio apologetico, che per iniziare alla qualità dell’eucaristia, ricorda anzitutto che non è più cibo e bevanda comune, ma «cibo e bevanda spirituale e vita eterna» (Didachè 10), «medicina di immortalità, antidoto che allontana la morte e dà la vita in Cristo» (Ignazio, Efesini 20);

° un linguaggio teologico:- causa della mutazione è la preghiera di ringraziamento, secondo le parole

e le azioni istitutive del Signore Gesù.- si accenna già ad esprimere la relazione tra ciò che è realtà invisibile, di

fede, il corpo e sangue di Cristo, e ciò che ne è segno percepito dai sensi, la sua figura, tipo, il pane ed il vino. Constatiamo l’ingresso della Teologia sacramentale, tipologica nei Padri. Ci è utile considerare la sua nascita circa la figura, l’identità del Vescovo celebrante l’Eucaristia; ci sarà così più facile introdurci alla sua applicazione nel campo specifico del Corpo e Sangue eucaristici, con i suoi contenuti unici.

I.3.2.2.2 Le dimensioni “tipologiche” (sacramentali), secondo il tipo di Cristo, del Vescovo celebrante

In Ignazio di Antiochia la presidenza del Vescovo è il primo requisito per definire l’autenticità dell’Eucaristia, corpo e sangue del Signore:

Smirnesi 8,1: «Sia considerata vera (bšbaia) solo quell’eucaristia che si fa sotto il Vescovo, o di colui che egli avrà incaricato».

102 ORIGENE, Homelies sur l’Exode, traduction de B. Fortier, introduction et notes de H. de Lubac,(=Sources chretiennes 16), Cerf, Paris 1947, 263.

103 Per la discussione sul significato in Ireneo di Lione‹‹elemento terreno e celeste››, si può vedere MAZZA, E., La celebrazione eucaristica, cit, 138-141.

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Magnesi 4: «[Separatamente dal Vescovo] costoro si radunano in assemblea in modo non vero (m¾ bšbaioj)».

Affiora la concezione ignaziana dell’Eucaristia e della Chiesa, che esiste solo intorno al Vescovo e agli altri ministri. Il Vescovo presidente dell’Eucaristia non solo la celebra secondo il modello del Signore Gesù nell’ultima cena, sia nella Preghiera di ringraziamento che nei gesti costitutivi, ma inoltre prega ed agisce «al posto di Dio», essendo il «tipo di Dio».

Magnesi 6: «...sforzatevi di compiere tutto in quella concordia che Dio vuole, sotto la direzione del Vescovo che tiene il luogo di Dio, e dei presbiteri in luogo del collegio apostolico, e dei diaconi miei dolcissimi, ai quali è affidato il servizio di Gesù Cristo».

Tralliani 3: «Ma voi tutti dovete rispettare i diaconi come lo stesso Gesù Cristo, ed il Vescovo come l’immagine (tipo) del Padre, e i presbiteri come il senato di Dio e come il collegio apostolico: senza di loro non c’è Chiesa».

Le espressioni “tipo di Dio”, “in luogo di Dio”, “come il collegio apostolico” si comprendono meglio quando Ignazio parla di un Vescovo «carnale» in relazione ad un Vescovo ‹‹spirituale›› della comunità, che è Dio stesso oppure il Cristo. Scrivendo agli Efesini 1:

«E così, in nome di Dio, ho potuto ricevere tutti voi nella persona di Onesimo vostro Vescovo nella carne, uomo di una carità grande, indicibile».

DIO è il Vescovo reale, di cui Ignazio sa di esserne solo il tipo, l’immagine terrena; così può dire scrivendo a Policarpo 9, nella previsione del suo prossimo martirio: «…la Chiesa di Siria, che in vece mia avrà Dio per pastore. Solo Gesù Cristo le sarà vescovo e la vostra carità». Lo stesso si può dire dello stesso Policarpo, così salutato all’inizio della lettera: «Ignazio, detto anche Teoforo, a Policarpo, vescovo della Chiesa di Smirne, o meglio che ha per Vescovo Dio Padre e il Signore nostro Gesù Cristo».

Ascoltiamo il commento di E. Mazza: «Per Ignazio, dunque, la realtà della Chiesa è costituita da due livelli, uno carnale, visibile, ed uno spirituale, che è invisibile: è questo il luogo della vera realtà delle cose, tuttavia c’è una vera corrispondenza tra i due livelli, retto dal vocabolario della tipologia: t…poj e anche tij t…pon (tipo-figura, in luogo di...). Questa corrispondenza è reale, per cui al Vescovo invisibile corrisponde un Vescovo visibile che esercita veramente l’episcopato in modo corrispondente all’episcopato di Dio, cosicché se si disobbedisce o se ci si separa dal Vescovo, si disobbedisce o ci si separa da Dio. Questa corrispondenza non è altro che la sacramentalità dell’Episcopato»104.

104 MAZZA, E.,La celebrazione eucaristica, cit 123

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L’esigenza di una Eucarestia sicura, corpo e sangue di Cristo, cuore plasmante l’unità della Chiesa e la sua qualità di vita nella fede-carità, esige un rapporto di qualità, diremo ora sacramentale, tra il Presidente della celebrazione eucaristica e Gesù Cristo ed il Padre; non solo ringraziare secondo le parole del Signore Gesù riproducendo i gesti sul pane e sul vino dell’ultima cena, ma essere abilitato consacrato per questo.

Così Ippolito romano, ci fornisce la prima completa anafora nel contesto di una ordinazione; essa viene suggerita al neo consacrato (nn. 3-4); lo stesso notiamo nelle Costituzioni Apostoliche VIII: dopo la preghiera di Ordinazione del Vescovo, VIII,5, l’ordinato presiede una celebrazione eucaristica, di cui si riportano rubriche e preghiere, saluti, ammonizioni, una anafora molto prolissa.

Simile modo di procedere nell’Eucologio di Serapione ,, vescovo di Thmuis, IV sec.105

La perfetta corrispondenza tra il modo di ringraziare del Vescovo nella celebrazione dell’Eucarestia rispetto ai modello di preghiera e di celebrazione di Gesù nell’ultima cena, l’identità del loro frutto, corpo e sangue del Signore, richiede una analoga corrispondenza, realizzata per Ordinazione, tra il Vescovo presidente e il Vescovo celeste, Gesù ed il Padre.

Il neovescovo è abilitato all’offerta (Tradizione apostolica, 4); o come si esprime CIPRIANO,, lettera 63 a Cecilio, 14: «Infatti se Gesù Cristo, Signore e Dio nostro, è sommo sacerdote di Dio Padre e ha offerto per primo se stesso in sacrificio al Padre e comandò di ripetere tale offerta in suo ricordo, certamente fa le veci di Cristo quel sacerdote che ripete ciò che Cristo ha fatto; egli offre nella Chiesa a Dio Padre un sacrificio vero e pieno soltanto quanto lo offre seguendo la modalità di Cristo».

I.3.2.2.3 L’Eucarestia come SacrificioConcludiamo il Dossier dottrinale dei primi tre secoli raccogliendo le

testimonianze circa l’Eucarestia come sacrificio.Un tema già incluso nell’azione di grazie al Padre cui Cristo associa la sua

Chiesa: frutto del rendere grazie sono il pane ed il vino eucaristicizzati, divenuti corpo e sangue di Cristo, eucarestia vivente al Padre, memoriale, dai contenuti

105 HYPPOLYTE de ROME, La Tradition apostolique, par BOTTE, B., (Sources Chrétiennes nn 3-4), Paris 1968, 42-53; METZGER, M., par, Les Constitution apostoliques, T.III, livres VII et VIII, (Sources Chrétiennes n. 336), Paris 1987, 141-215. FUNK, F. X. , ed., Didascalia et Constitutiones apostolorum, 1-2, Paderbonae 1905: La preghiera di oblazione del Vescovo Serapione, pag. 172-176; PE pag 128-133.

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inauditi: lo stesso Crocifisso glorioso, via ormai aperta a noi per una comunione trasfigurante col Dio Uno e Trino.

Una dottrina già inclusa nel tema del martirio come imitazione della Passione del Signore; imitazione accessibile al discepolo del Signore in quanto, come ricorda Cipriano nella lettera 63,17: «la passione del Signore è il sacrificio che noi offriamo»; anzi «…la comunità dei fratelli ha meno entusiasmo a soffrire come Cristo durante le persecuzioni, se impara a vergognarsi del suo sangue durante i sacrifici» (63,17).

La celebrazione non si limita ad esprimere un semplice banchetto di fratellanza, ma costituisce un vero e proprio sacrificio; un aspetto caratteristico, proprio, perché la commensalità giudaica, anche se circondata di Berakot, benedizioni, non era ritenuta un sacrificio.

La koinon…a fraterna cristiana ha la condizione preliminare del Sacrificio: non solo essere insieme, ma essere insieme per la presenza del Crocifisso glorioso, via vivente al Padre nel suo corpo dato e sangue versato, che ci offre e cui partecipiamo.

È la sua Pasqua resa presente ed operante nel memoriale celebrato che ci introduce alla comunione filiale e fraterna, alla piena realizzazione del suo Regno.

Così, anteriormente ad ogni riflessione teologica, l’Eucarestia è definita sacrificio:

nella Didachè 14: “Il giorno del Signore, riunitevi; spezzate il pane e rendete grazie: però dopo avere confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro: chiunque ha qualche dissenso con il suo vicino, non si unisca a voi, prima che essi non si siano riconciliati, altrimenti il vostro sacrificio sarebbe profanato. Infatti di questo sacrificio il Signore ha detto: ‹‹In ogni luogo e in ogni tempo mi viene offerto un sacrificio puro, perché io sono un grande re - dice il Signore - ed il mio nome è ammirabile tra le genti» (Mal. 1,11).”.

GIUSTINO, nel dialogo con i Pagani (Apologia I,13), difende i Cristiani dall’accusa di ateismo, in quanto non hanno sacrifici, ma soltanto riunioni di preghiera e carità fraterna:

«Nessuna persona assennata potrà sostenere che noi siamo atei, dal momento che adoriamo il Creatore dell’universo e affermiamo, come ci è stato insegnato, che egli non ha bisogno di sacrifici cruenti, né di libagioni, né di incensi: noi invece lo onoriamo offrendogli come possiamo preghiere di lode e ringraziamento per quanto ci dona...».

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Di questo modo di ringraziare Dio Padre, per Cristo, nello Spirito, tratterà Giustino a conclusione dell’Apologia, nei nn. 56-67, come già sappiamo: l’Eucarestia, il sacrificio dei cristiani, sempre sorgente e unito ad atti di carità.

Invece nel Dialogo con Trifone l’ebreo,(n. 41,1-3; n. 117,1-3;), può parlare dei sacrifici in un contesto di tradizioni religiose conosciute: parla così del superamento dei sacrifici della legge. Ora sono graditi a Dio i Sacrifici fatti nel nome di Cristo; che lui ci ha trasmesso di fare, ossia di celebrare l’Eucarestia che nel suo contenuto profondo è sacrificio. L’Eucarestia è l’adempimento della profezia di Malachia 1,11.

Trattandosi di un Giudeo può avvalersi anche del tema del memoriale biblico: «Anche l’offerta di fiore di farina amici, - continuavo - che è stato tramandato di presentare per coloro che sono stati purificati dalla lebbra, era figura del pane dell’eucarestia, che il Signore nostro Gesù Cristo ci ha trasmesso di fare in memoria della passione che ha subito per purificare nell’anima gli uomini da ogni nequizia, e affinché rendiamo grazie a Dio per avere creato per l’uomo, il mondo e tutto ciò che contiene, per averci liberati dal male in cui ci trovavamo e per avere definitivamente distrutto principati e potenze per mezzo di Colui che ha patito in conformità al suo volere» (n. 41,1).106

Il tema dell’Eucarestia sacrificio ritorna anche in Ireneo Contro le eresie. In IV,17,1-4, mostra come già l’antica legge indicava il sacrificio gradito a Dio: lode, ringraziamento, misericordia, carità al bisognoso, obbedienza.

La differenza è che il sacrificio eucaristico della Chiesa viene ora offerto da uomini liberi al Dio senza bisogno, per mezzo del Verbo incarnato: IV,17,5-18,6.

Se Dio non ha bisogno dei nostri sacrifici, li gradisce e richiede come dono all’uomo bisognoso. «Chi ha pietà del prossimo fa un prestito a Dio» (Prv 19,17). «Venite benedetti dal Padre mio perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» (Mt 25,34-36).

Anche Ireneo conosce il tema del memoriale, quando dice che Cristo, nell’ultima cena «insegnò l’offerta del nuovo testamento, che la Chiesa, ricevutala dagli Apostoli, offre a Dio in tutto il mondo» (IV,17,5). Tutta la riflessione sul corpo e sangue di Cristo già considerata, si muove sempre nella prospettiva di un memoriale fedelmente celebrato.

Così pure CIPRIANO, nella lettera 63,17: «Poiché in tutti i Sacrifici noi facciamo la memoria della Passione del Signore - è infatti la Passione del Signore il sacrificio che noi offriamo - noi non possiamo fare diversamente da come Lui ha fatto».

Espressione liturgica.

106 PE, 73s

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Nella Didachè 9-10, negli schemi celebrativi di Giustino, Apol. I,65-67, la dimensione sacrificale dell’Eucarestia è inclusa nella convinzione espressa di celebrare il memoriale della Pasqua del Signore, nella sua novità , rispetto all’antica alleanza, di farci compiere l’esodo definitivo sino al Padre; ma sarà molto presto indicata con terminologia chiaramente sacrificale.

Si tratta di quel ritornare di categorie sacrificali che, dopo il silenzio dei Sinottici, vedremo nella terza parte presentarsi nuovamente in Giovanni, Ebrei, Lettere; inoltre è necessario introdurre i cristiani di provenienza pagana agli aspetti sacrificali del memoriale pasquale.

Già nella paleoanafora di Costituzioni apostoliche VII,25,4 appare un «offriamo» in relazione all’espressione «avendoci Lui stesso prescritto di annunciare la sua morte», che manifesta la consapevolezza di una celebrazione memoriale: un abbozzo dell’Anamnesi in senso forte che sempre seguirà nelle Anafore il racconto dell’Istituzione, e che sarà sempre accompagnato dall’offerta del sacrificio.

Così nella prima anafora con struttura completa (manca il Sanctus) da noi conosciuta, quella della Tradizione apostolica di Ippolito romano (n. 4) leggiamo: «Celebrando dunque il memoriale della sua morte e risurrezione, noi ti offriamo il pane ed il calice, rendendoti grazie perché ci hai resi degni di stare davanti a te di servirti».

La dimensione sacrificale di questa anafora viene come rinforzata ricordando il suo stretto legame con la consacrazione del Vescovo, con cui forma una sola sequenza rituale.

Dopo la preghiera di consacrazione, per invocare sul neovescovo: «lo Spirito del primato sacerdotale per offrire a Dio i doni della santa Chiesa in odore di soavità per mezzo del suo servo Gesù Cristo» (n. 3), il testo continua: «I Diaconi gli presentino l’offerta, ed egli, imponendo le mani su di essa insieme a tutti i sacerdoti, renda grazie dicendo», e qui segue la nota Anafora, con il Memores... offerimus.

Con questa unità di sequenza rituale che va dalla preghiera di consacrazione alla preghiera eucaristica, appare chiara nella celebrazione la natura sacrificale del memoriale eucaristico, già chiaramente indicata dalla Lettera 63 di Cipriano, ai nn. 14-17.

In questo modo l’offerta della Chiesa è indicata come il memoriale effettivo della Passione-morte-risurrezione di Cristo, in cui offriamo il suo corpo dato ed il suo sangue versato, secondo quanto fece il Signore Gesù alla vigilia della sua Pasqua.

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«La passione del Signore è infatti il sacrificio che noi offriamo», come con chiarezza quasi urtante dichiarava Cipriano, nella Lettera 63,17.

L’offerta della Chiesa è riconosciuta essere la presenza, che sarà poi detta sacramentale, del sacrificio di Cristo: il pane ed il vino diventano il santo e santificante corpo e sangue del Signore, e il sacrificio di Cristo, con tutta la sua realtà di salvezza, può essere presentata al Padre come offerta della Chiesa.

Così coloro che in essa si riconoscono e che ad essa partecipano nel sacro convito che segue il sacrificio, saranno uniti tra di loro non con una qualsiasi fraternità, ma per formare il corpo di Cristo, la comunità che radunata per Cristo nello Spirito Santo, offre al Padre il culto perfetto in Spirito e Verità (cfr Gv 4,23).

Questa è la fede della Chiesa circa l’eucaristia-sacrificio: come si esprime liturgicamente in modo già maturo nella celebrazione all’inizio del III sec.

Dopo Ippolito, ogni anafora dell’oriente ed occidente, dopo avere riportata l’istituzione di Cristo, contempla l’Anamnesi in senso forte, la consapevolezza di celebrare il memoriale della Pasqua di Cristo, espresso con “Memores”, o altra terminologia equivalente, cui è sempre unito “Offerimus”, la consapevolezza di offrire il sacrificio di Cristo.

Il celebrante ordinato, che nella comunità e per la comunità, agisce «in luogo di Cristo, secondo il “tipo” di Cristo, che fa le veci di Cristo», agisce ,diciamo ora, in persona Christi, può con piena consapevolezza, a nome della comunità, affermare: Memores (celebrando il memoriale del tuo Figlio morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta), offerimus ( Ti offriamo Padre, in rendimento di grazie, questo sacrificio vivo e santo: Prex euch. II).

Così la necessità di esplicitare, specialmente per i Greci, il significato sacrificale già incluso nel memoriale-pasquale107, ha facilitato l’introduzione nella stessa Anamnesi (in senso forte, dopo la narrazione dell’Istituzione), di formule esplicitamente sacrificali, come l’Offerimus. Una offerta che consiste nel ripresentare al Padre il pegno della salvezza che egli stesso ha affidato al suo popolo nel Memoriale istituito da Cristo.

Questo pegno, dai contenti inauditi, lo stesso corpo e sangue offerti in sacrificio per noi, fornisce alla preghiera di supplica (epiclesi) la sua base necessaria affinché la Pasqua di Cristo, resa presente, abbia in noi tutto il suo compimento: questo significherà pure la nostra consacrazione in un popolo di sacerdoti, animati dalla sua carità, votati alla lode del Padre, nella potenza vivificante dello Spirito Santo.

107 Cfr BOUYER, L. Eucaristia, cit 191

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Di qui, dopo l’Anamnesi e l’offerimus, lo sviluppo dell’Epiclesi, che una teologia dello Spirito Santo più matura e definita (Costantinopolitano I, AD 381, DH 150), presenterà come invocazione dello stesso Spirito. Infatti la riunione per il sacrificio del Cristo glorioso di tutti i suoi discepoli nel corpo ecclesiale, è opera propria dello Spirito di Cristo, il dono del Crocifisso glorioso, lo Spirito Santo.

Normale quindi che dalla consapevolezza nell’Anamnesi di unirsi all’offerta del Cristo pasquale, si passi subito all’invocazione dello Spirito Santo, affinché si manifestino i frutti dell’offerta e della comunione al sacrificio di Cristo, la qualità del popolo sacerdotale, nei vincoli della carità, alla gloria del Padre.

Nell’anafora di Ippolito, l’Epiclesi dello Spirito Santo, non contempla un’esplicita invocazione dello Spirito Santo per la consacrazione del Sacrificio stesso, la conversione del pane e del vino nel corpo dato e nel sangue versato.

Ma nell’epoca in cui si crederà necessario insistere sulla divinità e personalità dello Spirito Santo, nel sec. IV108, l’epiclesi si svilupperà come invocazione formale della discesa dello Spirito Santo sulle oblate, come in Maria SS. per l’incarnazione del Verbo, affinché si realizzi la sua presenza di Crocifisso glorioso vivificante i comunicandi nella celebrazione eucaristica.

Le anafore di tipo alessandrino-romano presentano una epiclesi prima del racconto dell’istituzione, come invocazione , implicita o esplicita, dello Spirito Santo per la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore, cioè la sacramentalizzazione del Sacrificio; seguirà dopo l’Anamnesi una seconda Epiclesi, implicita o esplicita, affinché lo Spirito Santo realizzi la piena efficacia santificante del sacrificio nella Chiesa.109

Le anafore antiochene-bizantine presentano una sola Epiclesi dopo la narrazione dell’Istituzione: nelle anafore di S. Giovanni Crisostomo e di S. Basilio affinché le oblate diventino il ‹‹prezioso›› corpo e sangue del Signore, e così santifichino, trasformino i comunicandi, realizzando l’unità piena della Chiesa.110

La Proposizione 22 del Sinodo “auspica che si mostri con più chiarezza il legame dell’Epiclesi con il racconto dell’Istituzione”; così “diventerebbe più evidente come tutta la vita dei fedeli sia, nella Spirito Santo e nel Sacrificio di

108 Cfr PAPROCKI, H., Le Mystère de l’Eucharistie, Genèse et interpretation de la liturgie eucharistique byzantine, Cerf, Paris 1993 , 84s; 327.

109 Per una informazione più completa, vedi le analisi sui testi anaforici di GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit. 464-517.

110 Cfr GIRAUDO, C., In unum Corpus, cit, 313-336.

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Cristo un’offerta spirituale gradita al Padre.” Abbiamo visto come la Sac. Car. accolga e specifichi tale richiesta, ai nn 12. 13. 48.

Preferiamo rispondere a questa richiesta nella parte conclusiva, dopo la parte storica e sistematica circa la Presenza sacrificale e la Comunione. : sappiamo bene come la discussione sull’efficacia consacratoria delle parole dell’Istituzione in relazione all’invocazione dello Spirito Santo per la ‹‹transustanziazione›› delle oblate sia sorta, con animo poco sereno, tra Bisanzio e Roma all’inizio del II millennio, come conseguenza del doloroso scisma, le astiosità e le incomprensioni che ne sono seguite.

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II EUCARISTIA: PRESENZA DEL CORPO DATO E DEL SANGUE VERSATO, SACRIFICIO DELLA NUOVA

ALLEANZA

Entriamo ora in un capitolo nuovo: l’esame storico del pensiero Cristiano quando ricerca intelligenza della fede circa la celebrazione e i contenuti del Mistero centrale della vita cristiana.

Non è che sino ad ora abbiamo disprezzato la dimensione storica: la preparazione veterotestamentaria e la piena rivelazione del Mistero eucaristico avvengono nella storia salvifica, tutta riassunta e portata a perfezione nella Pasqua di Cristo, il suo segno profetico vigiliare, datoci come suo Memoriale.

Abbiamo poi esaminato il dossier liturgico e la riflessione dottrinale corrispondente dei primi tre secoli, che fanno quasi un tutt’uno con la rivelazione, essendo i tempi apostolici e post-apostolici dell’accoglienza e della assimilazione immediata del mistero eucaristico.

Con il sec. IV entriamo in un nuovo periodo: è il secolo delle prime definizioni sull’identità divina di Cristo (Nicea, 325) e dello Spirito Santo (Costantinopolitano I, 381), l’utilizzo teologico del termine ÐmooÚsioj, consustanziale.

Il tempo del definitivo maturarsi delle grandi anafore ancora in uso in Oriente: S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo, in Occidente il Canone Romano.

È anche il tempo dei grandi Padri della Chiesa, in oriente Atanasio, Basilio e Gregorio di Nazianzio, Giovanni Crisostomo; in occidente Ambrogio, Girolamo ed Agostino (+430), della Mistagogia.

È il tempo della prima riflessione teologico-pastorale sul pane e vino eucaristicizzati (espressione cara a Giustino, anche Ireneo), corpo e sangue di Cristo. Dopo il forte realismo dei primi secoli, in cui si afferma il pane e vino dell’Eucarestia essere corpo e sangue di Cristo, si cerca l’intelligenza della relazione tra ciò che appare ai sensi, il pane ed il vino, e ciò che la fede afferma senza esitazioni essere la carne ed il sangue del Signore.

Si tratta della teologia simbolica, che utilizza sia la ‹‹tipologia biblica››, sia la teologia “iconica” di Platone.111

111 Possiamo citare S. Cipriano, riportando le riflessioni di MAZZA, E., La celebrazione eucaristica, cit, 162 :” Per Cipriano il rapporto di conformità o imitazione , tra l’Eucaristia della Chiesa e l’ultima cena, è il costitutivo stesso della sacramentalità. All’interno di questo rapporto c’è in primo piano la tipologia del sacerdote nei confronti di Cristo e del suo ruolo nell’ultima cena: il vescovo tiene il posto di Cristo e ne svolge il ruolo[… vedi la stretta somiglianza con ‹‹ Le dimensioni tipologiche (sacramentali),

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La riflessione non avviene nell’ambito della scuola, ma in un contesto di catechesi, con al centro l’attenzione alla stessa anafora, che ormai ha raggiunto la sua maturità, ed il suo frutto prezioso, il corpo dato ed il sangue versato, offerto in comunione, cibo e bevanda spirituali..

La nostra attenzione è attratta dalle catechesi sistematiche offerte agli iniziati ai santi Misteri, Battesimo, Cresima ed Eucaristia durante la veglia pasquale : il Vescovo è impegnato , come mistagogo, ad introdurre alla comprensione della presenza unica di Cristo, nell’estremo del suo dono pasquale, per conformare a sé gli inziati, inserirli sempre più nell’unità e nella carità del suo corpo ecclesiale. I grandi mistagoghi del IV sec. sono Cirillo di Alessandria, Teodoro di Mopsuestia, Giovanni Crisostomo, e Ambrogio di Milano.

Questa teologia mostrerà le sue insufficienze già nelle stesse Mistagogie dei Padri del IV sec. e ancor più nell’inculturazione nei popoli così detti barbari, che non conoscono il simbolo platonico contenente la realtà significata, e quindi disposti a drammatizzare la celebrazione del memoriale della Pasqua.

Seguirà la teologia dell’ous…a (forma participiale di ™im… essere) e della

parous…a (essere presso, in forma dinamica, perché vi confluisce anche il verbo

eimi, venire ). Teologia quindi della presenza vera, sostanziale del corpo e sangue del Signore nelle specie della convivialità eucaristiche, della transustanziazione del pane e del vino nel corpo dato e sangue versato.

Teologia della presenza sostanziale per transustanziazione, che rimarrà sino ai giorni nostri, sollecitata a sviluppi coerenti di fronte all’attuale contesto culturale: ricordiamo ancora l’Enciclica di Paolo VI, quasi a conclusione del Vaticano II, la Mysterium fidei, con particolare attenzione alla presenza Eucaristica per transustanziazione, nel contesto delle altra molteplici presenze del Signore Gesù alla sua Chiesa. E tutto nella prospettiva di assicurare il frutto del Concilio Vaticano II nei nostri giorni.

secondo il tipo di Cristo, del Vescovo celebrante›› in S. Ignazio di Antiochia, pag. 63 ]..Se l’Eucaristia è obbedienza e imitazione dell’ultima cena, il pane ed il vino saranno gli stessi dell’ultima cena, e poiché Cristo disse che quelli erano il suo corpo ed il suo sangue, anche il pane ed il vino della Chiesa saranno il corpo ed il suo sangue di Cristo. Non si può dubitare del realismo eucaristico di Cipriano; i termini adoperati per dire il rapporto che il sangue di Cristo ha con il vino sono: ostenditur, intelligitur, manifestatum est. Questo è il lessico dell’interpretazione figurale e tipologica [….] E’ in modo unitario e con lo stesso sistema figurale che Cipriano tratta sia del sacramento del corpo e sangue di Cristo, sia del sacramento della sua passione, sia del sacerdos come tipo di Cristo.

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Poiché si tratta dell’aspetto della celebrazione e dei suoi contenuti su cui la teologia ed il Magistero si sono più impegnati, la nostra attenzione sarà rivolta alla storia teologica di queste dottrine e definizioni: ma da questa prospettiva, della presenza sostanziale del corpo dato e del sangue versato, potremo spaziare facilmente su tutta la ricchezza del Mistero; il suo essere memoriale della Pasqua, il suo essere essenzialmente sacrificio, per realizzare comunione qualificata, il corpo vivo della Chiesa, la pienezza della vita cristiana. Una lex credendi, che confermando, con categorie sostanziale l’identità del corpo e sangue eucaristici, assicura tutta la dinamica orazionale della Chiesa, lex orandi, i frutti qualificati di vita cristiana, personale e comunitaria.

II.1 EUCARESTIA, PRESENZA DEL CORPO DATO E DEL SANGUE VERSATO.

Per ordinare in modo convincente il nostro materiale storico, tutto orientato all’intelligenza teologica della definizione di Trento: la Presenza sostanziale del corpo dato e del sangue versato, nelle specie del pane e del vino (D.H. 1651.1653), dobbiamo anzitutto notare come la categoria “presenza” compare tardivamente nella teologia e Magistero; la prima volta nella Bolla Transiturus de hoc mundo, di Urbano IV, 1264, DH 846, istitutiva della Solennità del Corpo del Signore.

La categoria “presenza” appartiene alla filosofia cristiana, che riguarda tutti quegli importanti sviluppi di pensiero filosofico che non si sarebbero realizzati senza l’apporto diretto o indiretto della fede cristiana (Fides et ratio 76): tali sono il concetto personale di un Dio libero e creatore, la concezione della persona come essere spirituale, l’evento storico centro e cuore della Rivelazione Cristiana.

La categoria della “presenza”, la sua realizzazione più intensa nell’Eucarestia, indica l’interiorità di una persona esistente, espressa sensibilmente, che si apre, si dona in tutta la sua ricchezza spirituale-corporea, ad altre persone, alla loro interiorità, la loro espressione esteriore.

La presenza del corpo dato e del sangue versato per noi è quella del Figlio incarnato, nella pienezza unica di verità e di amore espressa nella sua Pasqua, il suo passare al Padre per noi.

Una presenza, ricchezza interiore espressa nei segni conviviali del pane e del vino, che si dona a noi nello Spirito Santo, ci trasforma interiormente ed esteriormente, ci unisce nella comunione propria del corpo mistico, la Chiesa.

Se manca nel primo millennio una filosofia cristiana che ponga in risalto la ricchezza della categoria “presenza”, sono già del tutto rivelati i suoi contenuti, nella forte affermazione di fede che pane e vino della convivialità eucaristica

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sono il corpo offerto in sacrificio ed il sangue versato per noi, per conformare a sé tutto il nostro essere spirituale-corporeo.

Essendo “presenza” un concetto tardivo, siamo impegnati a individuare e raccogliere il dato rivelato fondamento di un corretto sviluppo e traduzione in questa categoria.

È sufficiente muoversi nel contesto della personalità corporativa, il genere letterario che collega un gruppo umano (per es. Israele) al capostipite, Giacobbe-Israele? Qui si estende la persona del capostipite, le sue qualità di vita e di fede alla comunità che ne porta anche il nome. Non è sufficiente, perché nel caso dell’Eucarestia e del corpo ecclesiale che in essa si costituisce, non si tratta della presenza di un uomo ad altri uomini, ma dello stesso Dio al suo popolo. Presenza al suo popolo sempre significata, percettibile attraverso segni.

Più adatta al nostro scopo è la presenza di alleanza, che prepara la presenza di Incarnazione del Verbo: la sua presenza eucaristica è il vertice della presenza di alleanza per i tempi della Chiesa.

JHWH, offrendo alleanza al suo popolo, vi instaura una specifica sua presenza. Ecco alcune linee storiche:

II.1.1 Presenza di alleanza nell’ATDio guida il suo popolo, durante il transito pasquale dalla schiavitù di

Egitto al monte della Teofania ed Alleanza, il Sinai, nella colonna di fuoco e di nube (Es 13,21s); ma la stessa etimologia pasqua-pesah (Es 12,11s) indica anzitutto passaggio di Dio.

L’Alleanza stipulata nel sangue (Es 24,6-8) significa la comunione vitale offerta al popolo; per questo JHWH parlerà del mio popolo, gli Israeliti del loro Dio. Mosè otterrà da JHWH che cammini col suo popolo: «Io camminerò con voi» è la promessa riportata in Es 33,14-16.

Questa presenza di Alleanza qualifica il popolo, ne fa il popolo sacerdotale, sua proprietà (Es 9,5-6) sua eredità (Dt 9,26), figlio, sposa... Intima presenza che esige di essere accolta nell’amore per Dio (Dt 6,4-6), manifestata nell’osservanza dei comandamenti. Presenta aspetti caratteristici:

è intima alla vita del popolo, specialmente nella promessa della nuova Alleanza (Ger 31,33-34), di JHWH che rimane trascendente, il Santo del tutto superiore ad ogni limite creato (Is 6,4).

simboleggiata: già nel deserto è richiesta a Mosè la costruzione del Tabernacolo perché possa abitare in mezzo al popolo (Es 25,8), e nella terra promessa è scelto un luogo, Gerusalemme, per edificare la Dimora, il suo Tempio (Dt 12,5).

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Ma l’infedeltà del popolo costringe la Gloria ad abbandonare il Tempio (Ez 10,18s).

Questa presenza di Alleanza viene in modo particolare celebrata, attualizzata nel Memoriale della Pasqua, notando insieme le spiccate caratteristiche di una presenza corporativa: nel memoriale pasquale si rinnova, si partecipa alle nuove generazioni l’identità religioso-nazionale del popolo, rivivendo nella celebrazione rituale l’evento religioso-tribale fondante.

escatologica: orientata al futuro di più intensa interiorità (la nuova ed eterna alleanza), di completa universalità, come indicato nel convito messianico di Is 25,6-8.

mediata: oltre i Mediatori (Abramo, Mosè) della storia salvifica già realizzata, si delinea la figura del Servo di JHWH, nel DeuteroIsaia.

I Libri sapienziali riflettono ulteriormente sull’Alleanza offerta: la Sapienza divina, il progetto di Vita che precede e fonda la stessa creazione, indica l’intima presenza di Dio nell’esistenza del suo popolo, offerta a tutti gli uomini.

Questa sapienza viene a coincidere col Mysterium, progetto salvifico che si manifesta e realizza nella storia, in cui Dio svela la sua verità, l’immagine della sua Gloria, per formare gli amici di Dio ed i Profeti (Sap 7,25-27): intensità di presenza che già prepara e prelude all’Incarnazione del Verbo, Verità-immagine filiale.

II.1.2 Presenza di alleanza nel NTL’Alleanza si qualifica come presenza di Incarnazione, sino al suo vertice

pasquale di Croce-risurrezione: la Croce è il discendere del Verbo incarnato sin nell’abisso del peccato dell’uomo, con tutta la pienezza della Verità e dell’Amore, per purificare e rinnovare l’esistenza umana, aprirci alla comunione col Padre in una vita risorta.

Si tratta di una presenza di intensità inaudita, alleanza pasquale definitiva. Sia nei Sinottici che in Giovanni è del tutto evidente questa dimensione pasquale del Verbo incarnato nella solidarietà umana. Sono scritti nella luce e prospettiva del Crocifisso glorioso che offre lo Spirito Santo.

Nei Sinottici Gesù realizza la profezia dell’Emanuele, Dio con noi (Mt 1,23; cfr. Is 7,14), e lo stesso Vangelo di Matteo si concluderà: «Ecco Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo». Questa presenza è colta in modo speciale nella preghiera comune (Mt 18,20), nell’azione caritativa (Mt 25,31-46), nell’accoglienza della guida apostolica della Chiesa (Mt 10,40). L’intensità di questa presenza trova la sua misura in quella realizzata nella celebrazione del Memoriale pasquale: il corpo dato ed il sangue versato (Mt 26,26-28).

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La storia evangelica, appare specialmente in Lc 9,51, è un salire verso Gerusalemme, luogo della Pasqua di Cristo; la croce-risurrezione viene più volte preannunciata. Gesù trasfigurato sul Monte (Lc 9,31), parla con Mosè ed Elia dell’esodo che avrebbe portato a compimento in Gerusalemme.

Ma gli stessi Vangeli dell’infanzia sono redatti in prospettiva di alleanza pasquale: il ritorno di Gesù dall’Egitto è ricordato come compimento della liberazione del popolo (Mt 2,15), e nella stessa prospettiva pasquale si leggono pure la presentazione di Gesù al Tempio e la sua perdita e ritrovamento.

Vangelo di Giovanni: è tutto scritto in prospettiva di alleanza pasquale: la Parola divina, trascendente, creatrice, si è fatta carne, ponendo la sua dimora tra noi (1,14); risulta evidente il richiamo alla tenda. Il verbo greco esk»nwsen è ricalcato sulla radice ebraica schakan, abitare; mishkan, abitacolo.

Il tema del Tabernacolo, come perfetta abitazione di Dio tra gli uomini, la Gerusalemme celeste in terra nuova e cieli nuovi, ritornerà nella conclusione del libro dell’Apocalisse 21,3:

«Ecco la dimora di Dio con gli uomini!Egli dimorerà tra di loroed essi saranno suo popoloed egli sarà il Dio con loro».Giovanni, più esplicitamente dei Sinottici, legge la Croce di Cristo come un

passare, transito pasquale, al Padre, per noi. «Sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre»: così introduce la narrazione della cena (13,1). Ma sin dall’inizio, tutto il suo Vangelo risulta intensamente, in modo programmatico, pasquale: Gesù è riconosciuto come il vero Agnello (1,29.36), e sarà crocifisso nell’ora del sacrificio degli agnelli pasquali nel Tempio, ed in Lui si compiranno le prescrizioni circa l’agnello della cena dell’esodo: «Non ne spezzerete alcun osso» (19,36; cfr. Es 12,46).

Tutta la liturgia celeste secondo Ap. 5,6-14 (ricordando che Giovanni ne riceve rivelazione nella situazione liturgica del giorno del Signore: 1,9-16), si svolge intorno al trono di Dio e dell’Agnello, che ha compiuto nella sua morte-risurrezione tutta la Scrittura (Cfr Lc 24,44-46), e solo così è in grado di aprire tutti i sigilli del libro della storia: il progetto di Dio può essere letto solo in Cristo e nella sua Pasqua (Ap 5,9s).

Temi comuni anche nelle lettere di S. Paolo, nelle lettere cattoliche: la morte di Cristo, nostra pasqua, (Cfr 1Cr 5,7; 1Pt 1,18-20) realizza il nostro esodo, verso una vita conformata a Cristo, di prima risurrezione.

Il sangue di Cristo che «con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio» (Eb 9,14), opera la purificazione delle nostre coscienze.

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Sacrificato una volta sola per tutti, « poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio eterno che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo suo si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo ad intercedere a loro favore» (Eb 7,24s). Ha così portato agli uomini una redenzione eterna (Cfr Eb 9,26-28; 10,10.14).

La croce di Cristo, sacrificio offerto una sola volta per tutti, costituisce il momento più forte e decisivo della storia religiosa dell’umanità, in quanto si manifesta il compimento perfetto ed inatteso, di tutta la religiosità umana (Cfr Eb 11,4-7; 12,1-29).

II.1.3 Realismo affermato dalle parole istituzionaliIl corpo dato ed il sangue versato, che la celebrazione eucaristica rende

presente alla Chiesa, ne qualifica tutta la sua vita; anche il rimanere di Gesù in noi, il mšnw di Gv 14,23 e 15,4-7, è tutto qualificato dalla presenza conviviale della carne data per la vita del mondo (Gv 6,51).

Dopo avere già notato nei Padri dei primi secoli la fede in un forte realismo del corpo e sangue eucaristici, il loro appellarsi a quanto fece Cristo nell’ultima cena, è utile per noi ritornare alle parole dichiarative dell’Istituzione del memoriale, segno profetico della Pasqua: questo è il mio corpo dato, mio sangue versato.

Può aiutare a cogliere il significato realistico di queste affermazioni, se le compariamo con altre simili del Signore Gesù, per es. quando dichiara: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12), «Io sono la porta» (Gv 10,9), «Io sono la vite» (Gv 15,1).

Dobbiamo anzitutto notare la situazione del tutto diversa.La dichiarazione « questo è il mio corpo dato» è parte di un segno profetico

della sua Pasqua, costitutiva del suo memoriale; siamo cioè nell’ambito di una azione sacra, realizzazione efficace del progetto salvifico di Dio, come era già ben familiare ad un giudeo istruito dalla Scrittura circa i segni profetici, anche nella celebrazione del memoriale dell’esodo.

Invece quando Gesù parla di se stesso come luce, porta, vite... si pone in un contesto di insegnamento, spiegando l’identità della sua persona filiale con delle metafore: luce, porta, vite. È del tutto evidente che Gesù non si trasforma in un’onda di fotoni, né in una porta di legno, neppure in un vegetale.

Le affermazioni del segno profetico-memoriale della Pasqua si pongono nell’ambito del realismo della storia della Alleanza pasquale, di JHWH, il Dio che é, pienezza di essere, per fare essere, vivere di Lui il suo popolo. Storia salvifica

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di quella pienezza di incarnazione nell’esistenza umana, che è la Pasqua del Signore.

Ma ci aiuta anche un’esame più dettagliato ed attento delle parole istitutive. Quando Gesù, ringraziando il Padre, prende il pane dichiarando: «Questo è il mio corpo dato», con questo, pronome dimostrativo, indica che ciò che ha in mano, il pane, è il suo corpo dato.

Ora il pronome dimostrativo questo, indica una realtà ancora da definirsi, ma si tratta di realtà ben concreta: il pane, nelle mani di Cristo, che afferma essere il suo corpo dato. Si tratta sempre di realtà concrete, di cui si dichiara l’identità nell’essere: questo concreto, nelle mie mani, è il mio corpo dato, cioè sono Io stesso nel mio donarmi in sacrificio per voi, nel mio corpo crocifisso.

Così Gesù ha chiaramente affermato, nell’azione profetica-memoriale, impegnante l’onnipotenza di Dio nel portare avanti la storia salvifica, che in essa il pane è il suo corpo dato, il vino è il suo sangue versato nel sacrificio pasquale. Qui, al contrario dell’insegnamento in immagini ove al soggetto sostanziale, Gesù viene attribuita una metafora, luce, porta..., è affermato che questo concreto nelle mani di Gesù, il pane, è il suo corpo dato. L’identità nell’essere (la sostanza) viene affermata tra due realtà ben concrete; questo, nelle mani di Gesù, essere il suo corpo.

Secondo questo realismo, Paolo parlerà di comunione con il sangue di Cristo, comunione col corpo eucaristico di Cristo, per essere un solo corpo ecclesiale (Cfr 1Cor 10,16s).112.

II.1.4 Insegnamento dei PadriIl significato pasquale del corpo dato e del sangue versato nell’Eucarestia

risulta esplicito. Ci limitiamo a qualche citazione:Pseudo-Ippolito (anonimo quartodecimano, fine del II sec., Homilia in S.

Pascha: «Questa era la Pasqua che Gesù desiderava per noi patire... Questo era

112 Queste analisi linguistiche, nel contesto delle proprietà specifiche del segno profetico-memoriale liturgico, sono condotte con molta erudizione al servizio della fede nel Mistero da J. Ladriere, come modello di assunzione della nostra capacità creaturale di linguaggio, nel mistero dell’incarnazione del verbo. Capacità del nostro modo proprio di comunicare, di venire assunta dal Verbo incarnato per realizzare ed affermare la sua più intensa presenza nell’esistenza della Chiesa e dell’uomo: Cfr. LADRIERE, J. , Approche philosophique d’une réflexion sur l’eucharistie, in L’articulation du sens, II, les langages de la foi, Ed. du Cerf, Paris 1984, 309-314.

Vedi soprattutto la chiarezza con la quale LIGIER, L. sviluppa bene il realismo delle parole istitutive del memoriale eucaristico: Il Sacramento dell’Eucaristia, Pont. Univ. Gregoriana, Roma 1974, 147-150.

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il desiderio salvifico di Gesù, questo il suo amore tutto spirituale: mostrare il tipo per quello che è, ossia solo il tipo, e dare invece ai discepoli, al posto di esso, il suo santo corpo: prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Prendete e bevete, questo è il mio sangue, la nuova alleanza, che è versato per molti in remissione dei peccati» (49)113.

Viene insegnato che, cessata la pasqua tipica, l’agnello, Gesù offre la pasqua vera, dando ai suoi discepoli il suo corpo ed il suo sangue.

Passando decisamente nel periodo che ci interessa, Pseudo-Crisostomo, Homelia in S. Pascha (fine IV sec.): «Per questo, essendosi l’Unigenito offerto una volta per tutte in sacrificio e bastando all’economia, non si immola più l’agnello, ma il Salvatore, giunto alla passione, lascia il pane ed il vino come replica (m…mema) del sacrificio per eccellenza, facendo con una preghiera (epiclesi) ineffabile, dell’uno il proprio corpo e dell’altro il suo sangue e ordinando di fare la Pasqua con questi segni (tÚpoij)» (39)114.

Questo omelista ci dice che il sacrificio della Croce è universale, basta per la salvezza di tutti, non ha più significato il sacrificio dell’agnello ebraico. Del suo sacrificio sulla Croce, Gesù ci ha lasciato l’imitazione rituale nel suo memoriale del pane e del vino: con essi, divenuti per la preghiera eucaristica corpo e sangue del Signore, noi celebriamo la Pasqua.

Eusebio di Cesarea, De Solemnitate Paschali (332 circa): «Queste cose (la cena pasquale ebraica) era ad essi prescritto di compiere insieme con l’uccisione della pecora e la sua manducazione. Per questo l’uscita dall’Egitto fece sì che la festa prendesse per loro il nome di Passaggio. Ma queste cose avvennero per loro in figura (tupikÒj), mentre erano scritte per noi. Ecco perché Paolo, svelando gli antichi simboli, così spiega la verità (¢l»qeia): La nostra Pasqua, Cristo, è stata immolata... Nutriti quindi delle carni razionali di questa vittima salvatrice, che con il proprio sangue ha salvato tutto il genere umano […]con la fede nel suo sangue, versato in espiazione per la nostra salvezza, contrassegnando l’abitazione dell’anima che è il nostro corpo...»

«I seguaci di Mosè immolavano l’agnello pasquale una volta l’anno, il 14 del primo mese, di sera. Noi invece, uomini della nuova alleanza, celebrando la nostra pasqua tutte le domeniche, ci saziamo in continuazione del corpo del Salvatore e comunichiamo ininterrottamente al sangue dell’agnello…»115.

113 CANTALAMESSA, R. , La Pasqua nella Chiesa antica, Traditio Christiana III, SEI, Torino 1978, 53.

114 Ibid., 78s.115 Ibid., 55s.

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Eusebio ci dice che i riti e l’agnello della pasqua ebraica erano tipi, simboli della verità che è Cristo: è Lui che ci fa compiere il vero esodo, il viaggio verso Dio, ogni domenica, saziandoci del corpo del Signore e comunicando al suo sangue.

Agostino, in S. Pascha: «La celebrazione quotidiana della Pasqua (cioè l’Eucarestia), deve servirci come continua meditazione di tutte queste cose. Non dobbiamo infatti dare a questi giorni di Pasqua una tale importanza, da trascurare la memoria della passione e risurrezione del Signore, che abbiamo ogni giorno nel convito del suo corpo e del suo sangue»116.

Qui Agostino insiste sul valore dell’eucarestia come Pasqua, non più solo annuale, ma anche settimanale, quotidiana.

La Pasqua ha costituito il passaggio dell’umanità a Dio per mezzo dell’immolazione dell’agnello Cristo: ma ora la presenza salvifica del Cristo-Pasqua, avviene nella celebrazione eucaristica, non più legata ad una festa annuale.

Trattandosi di un passaggio che deve realizzarsi in profondità, una vita nuova conformata a Cristo, e perseveranza, non è sufficiente la celebrazione rituale annuale, come presso gli ebrei, ma il memoriale della Pasqua di Cristo, convito del suo corpo e del suo sangue, deve essere fatto in continuità.

In tutti questi testi è affermato, in modo esplicito o sottinteso, che la Pasqua-eucarestia è l’adempimento del “tipo”, cioè della Pasqua dell’esodo, sia come avvenimento salvifico storico, sia come sua celebrazione memoriale-rituale, perché nell’Eucarestia vi è la realtà piena, definitiva dell’agnello Cristo, nel portarci al Padre

Celebrare l’Eucaristia-Pasqua è per tutti accogliere nel rito-memoriale la passione-morte di Cristo risorto, mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue: qui sta la sorgente, il fondamento della qualità della vita cristiana.

Giova notare come la Chiesa apostolica, prima di esprimere e assimilare la ricchezza dell’evento salvifico del Verbo incarnato crocifisso-risorto nelle festività dell’anno liturgico, ciclo di Pasqua e Natale, ha celebrato nell’Eucarestia il sacrificio del Crocifisso-risorto, mangiando il suo corpo dato ed il suo sangue versato, con frequenza «perseverante» (At 2,42).

La celebrazione pasquale-domenicale è certo anteriore alla Pasqua annuale, che suscitò la questione della data della festività pasquale: la domenica dopo il plenilunio di primavera, cui si opponevano i quartodecimani, che conservavano l’uso giudaico, del 14 Nisan.

116 Ibid., 198.

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Nella celebrazione eucaristica si dà l’oblazione dell’Agnello vero, Cristo, e si comunica al suo corpo e al suo sangue, come fondamento dell’autenticità della vita cristiana: questa è la comune professione di tutti i Padri. L’Eucarestia è il sacrificio pasquale del NT.

II.1.5 L’Eucarestia, presenza del corpo dato e del sangue versato in chiave tipologica-sacramentale. (alcuni testi in Appendice VII.I.1-4)

Una lettura attenta dei testi liturgici e patristici ci mostra che, insieme al forte realismo sull’identità del corpo e sangue del Signore, si pone la questione teologica-pastorale della loro relazione a ciò che appare ai sensi, il pane e vino nella celebrazione del memoriale. Cioè affiora la domanda: in che modo nella celebrazione, nel pane e vino dell’eucarestia è presente il corpo dato ed il sangue versato, il sacrificio pasquale?

La risposta si serve anzitutto delle categorie bibliche della tipologia. Un modo di leggere l’AT in relazione al NT: le realtà, persone, eventi, riti dell’AT sono prefigurazione, tipo, preparazione di quella pienezza unica che è il Figlio di Dio Incarnato, nella sua Pasqua, nel suo Memoriale. L’esegesi antica è persuasa che Cristo è la chiave interpretativa di tutta la Scrittura: Adamo è infatti il tÚpoltoà mšllontoj, figura-abbozzo di colui che deve venire, Cristo Signore (Rm 5,14).

Cristo non solo è la chiave ermeneutica per le figure, eventi salvifici della prima alleanza; ma anche eventi della storia sacra di Israele sono letti come “tipi”, prefigurazioni di riti della nuova alleanza: 1Cor 10,6: «Queste cose (che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, attraversarono il mare, furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e bevvero la stessa bevanda spirituale) avvennero come esempio (tupoi) per noi...». La tipologia, il riferimento a Cristo delle figure, eventi, anche dei riti (Cristo agnello pasquale in 1Cor 5,1; 1Pt 1,18-21) della prima alleanza, assicura l’unita della storia salvifica, tutta orientata, realizzata, celebrata in Cristo, la sua Pasqua.

Si percepisce, anche in questa comune unità e partecipazione, la differenza di contenuti salvifici tra i riti di Israele e quelli della Chiesa: così leggiamo in Eb 10,1: «Avendo infatti la legge solo un’ombra (sk…a) dei beni futuri, non la stessa immagine (e„kÒna) delle realtà salvifiche (pragm£twn)…».

Quindi le realtà salvifiche (pr£gmata, Cristo entrato con il suo sangue, nel santuario celeste, presso Dio) sono solo adombrate nella ritualità sacrificale della legge; di questi riti sacrificali del Tempio parla tutta la lettera agli Ebrei, ricordando la loro inutilità dopo il Sacrificio di Cristo, realizzato una sola volta

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per tutti: qui viene detto che erano solo ombre preannuncianti i beni futuri, decisivi per sempre e per tutti, di Cristo.

Cosa sono le immagini (e„kÒna) delle realtà salvifiche vere, quelle già realizzate nella Pasqua di Cristo? Si intendono essere l’Eucarestia (ed il Battesimo), di cui Ebrei fa solo cenni. Questa è anche l’interpretazione di Ambrogio, De Officiis 1,239 :

«Nella legge l’ombra, nel Vangelo l’immagine, nel cielo la realtà. Nella legge si immolava l’agnello, ora nel Vangelo si offre Cristo qui in immagine, lì (in cielo) nella realtà, lì dove come avvocato intercede per noi presso il Padre».117

Eb 9,24 dice ancora: «Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mano d’uomo, una qualche imitazione (¢nt…tupa) del vero (tèn ¢lhqinîn)».

Possiamo delineare un vocabolario neotestamentario, che unisce, intorno alla realtà piena, escatologica, la Pasqua di Cristo, i riti veterotestamentari e l’Eucarestia del NT.

AT realtà Pasqua di Cristo riti NTsk…a; ¢nt…tupoj pr£gmata; ¢lhqin£ e„kèn

I Padri si servono della tipologia, riguardante eventi e figure tipi di Cristo, come chiave ermeneutica per l’esegesi della Scrittura; e della stessa tipologia applicata ai riti, per l’intelligenza delle celebrazioni sacramentarie, per cogliervi la presenza e l’azione salvifica di Cristo.

La tipologia applicata ai Sacramenti si chiama anche Mistagogia: ricordiamo le catechesi mistagogiche rivolte ai neobattezzati dai Padri del IV sec.: Ambrogio, Teodoro di Mopsuestia, Giovanni Crisostomo e Cirillo di Gerusalemme.118

La terminologia della tipologia si arricchisce con altre categorie bibliche, come omo…wma (Rm 6,5) somiglianza concreta, non astratta, che partecipa della realtà che esprime e quindi contiene. Must»rion (Dan 2,18s.27s.47; 4,6; Sap 2,22; 6,22; Mc 4,11 e //; Mt 13,35; 1Cor 2,7...), tradotto in Latino con Sacramentum e Mysterium.

Ricordiamo ancora la categoria non biblica di sÚmbolon, il segno di identità perché rimanda all’altra parte del’oggetto spezzato; poiché rimanda, si spiega e comprende pienamente nell’altra parte, già in qualche modo la precontiene.

117 AMBROGIO, De officiis libri tres, ed G.Banterle, Opera omnia vol 13, Biblioteca Abrosiana – Citta nuova ed., Milano-Roma 1977, 166s

118 Cfr MAZZA, E., La Mistagogia, una teologia della liturgia in epoca patristica, (= BEL, ‹‹subsidia ››46) CLV, ed. Liturgiche, Roma, 1988.

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Categorie opportune, conformi alla tipologia delle persone-eventi e dei riti rispetto alla Pienezza di Cristo, perché affermano una partecipazione vera, concreta di tale Pienezza.

Questa partecipazione vera della pienezza di Cristo risulta inoltre più comprensibile nel platonismo dei Padri. I Padri pongono al servizio dell’intelligenza della Fede del Mistero di Cristo e dell’Eucarestia, dei loro contenuti unici, rivelati, una visione platonica dell’immagine, del simbolo, della somiglianza. Il nostro mondo sensibile è immagine, somiglianza concreta del mondo esemplare delle Idee sussistenti, già le contiene in sé, in qualche modo.

L’immagine platonica non è qualcosa di vuoto, senza contenuti reali; essa contiene, a suo modo, ciò che è massimamente reale, esistente in maniera indistruttibile, anche se risulta per l’uomo invisibile ed inafferrabile. Dove c’è l’immagine, c’è sempre la realtà, benché non nella sua pienezza. In questo senso l’immagine non è mai qualcosa di distinto, né di separato, contrapposto alla sua realtà. Non potrebbe essere immagine di una realtà, se quella realtà non portasse in sé, non ne fosse la manifestazione119.

Insieme alle categorie come immagine, Ðmo…wma (similitudine) simbolo, mistero, che, ognuna con un aspetto proprio, indicano la realtà salvifica in quanto si manifesta nel rito, già troviamo nei Padri di questo periodo la categoria “specie”; essa sottolinea rispetto alle precedenti, l’apparire esteriore, l’aspetto esterno, anche la prefigurazione veterotestamentaria delle realtà storico-salvifiche.120

La specie è in relazione alla verità salvifica, ma non nell’antitesi falso-vero, quanto piuttosto del provvisorio, del relativo dell’aspetto esteriore rispetto alla verità che intende indicare.

Il metodo tipologico presenta un uso delicato, in quanto richiede una grande maestria nell’esegesi, con la chiave ermeneutica Cristo, dell’intera S. Scrittura; insieme accoglienza consapevole del tradizionale forte realismo eucaristico del corpo dato e sangue versato, unita ad una matura padronanza del simbolismo ontologico platonico.

Il Padre della Chiesa che sembra meglio possedere queste doti, in un ambito culturale omogeneo, è Agostino.121

119 Cfr. MARSILI, S. , «La teologia della celebrazione dell’Eucaristia», in AA. VV., Anamnesis, 3/2, Casale Monferrato 1983, 46.

120 MAZZA, E., La mistagogia, cit.,31s.121 MAZZA, E., S.Augustin et la mystagogie, in Mystagogie : pensée liturgique

d’aujourd’hui et liturgie ancienne, éd. par A.M. TRIACCA et A. PISTOIA, (= BEL ‹‹subsidia›› 70), CLV, Ed. Liturgiche, Roma 1993, 201-226.

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Nelle sue omilie passa con molta agilità dal discorso sul pane eucaristico, sacramento del corpo di Cristo, alla Chiesa, anch’essa corpo del Signore. Ascoltiamo un passo del Discorso 272:

«Il Signore nostro Gesù Cristo… è stato appeso alla croce… è asceso al cielo… ora è lassù e siede alla destra del Padre: questo pane dunque come può essere il suo corpo?

Ebbene fratelli, il motivo per cui queste cose si dicono sacramenti, è perché in esse si vede una realtà e se ne comprende un’altra. Ciò che si vede ha un aspetto (specie) materiale, mentre ciò che si comprende produce un frutto spirituale. Se dunque vuoi comprendere il mistero del corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: “Voi siete il corpo di Cristo e sue membra”. Pertanto se vuoi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto quello che è il vostro mistero. A ciò che voi stessi siete, rispondete: “Amen”, e rispondendo lo sottoscrivete. Ti senti dire: “il corpo di Cristo”, e tu rispondi . “Amen”. Sii allora membro del corpo di Cristo, affinché il tuo Amen risponda pienamente al vero».122

Agostino spiegando che cosa sia il corpo di Cristo che è posto sull’Altare e che viene distribuito ai fedeli, ricorre a 1Cor 12,27: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte». Con questa citazione può passare dal pane eucaristico, sacramento del corpo di Cristo, alla Chiesa che, anch’essa è il corpo di Cristo.

La concezione dell’Eucarestia in Agostino è tutta fondata su una forte fede sul corpo di Cristo presente sull’altare, che ricevuto in comunione, fa dei cristiani, già iniziati ad esso per il battesimo, sue membra, il suo corpo ecclesiale.

Agostino contempla un unico Corpo di Cristo, alla destra del Padre, nel Sacramento dell’altare, e nelle membra del corpo ecclesiale: la Chiesa è corpo di Cristo perché partecipa del corpo eucaristico di Cristo: si tratta di modi di partecipazione del Corpo di Cristo, ma entrambi reali, diversi livelli di ontologica partecipazione.

Agostino si presenta come il miglior erede della concezione paolina dell’Eucarestia come sacramento dell’unità ecclesiale, e offre una coerente giustificazione teoretica di questa realtà. L’Eucarestia in quanto corpo di Cristo, è per sua natura il sacramento dell’unità123.

122 La Dottrina eucaristica di Sant’Agostino, edizione bilingue, Introduzione, note e versione italiana di DI NOLA, G. , (=Bibl. Patristica Eucaristica), Lib. Ed. Vaticana, 1997, 301.

123 Cfr. MAZZA, E., La celebrazione eucaristica., cit 184-189.

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Troviamo le categorie della tipologia anche nelle anafore eucaristiche: leggiamo nella Tradizione apostolica di Ippolito romano, al n. 21: «I diaconi presentino l’oblazione al Vescovo, e questi dica la preghiera eucaristica sul pane, perché diventi esempio (il greco dice: antitipo) del corpo di Cristo; e sul calice di vino con acqua, perché diventi antitipo (il greco dice: somiglianza) del sangue di Cristo».

Il traduttore latino ha sentito il dovere di conservare i termini greci che traduce; si tratta del vocabolario che già conosciamo, nel contesto della tipologia biblica e del platonismo. Il contesto liturgico ci è ugualmente già noto: il Vescovo, che agisce secondo il tipo di Cristo, come rappresentanza terrena del Vescovo celeste (Cristo e il Padre), celebra l’Eucarestia secondo il Tipo, come ha ringraziato e gestito Cristo nel darci il suo memoriale pasquale.

L’Eucarestia così celebrata produce gli stessi frutti di quella realizzata da Cristo nell’ultima cena: pane e vino sono il corpo e sangue di Cristo, esempio-antitipo, antitipo- Ðmo…wma (somiglianza), di quelli della cena del Signore.

II.1.6 La tipologia sacramentale nelle Mistagogie eucaristiche del IV sec.: il suo superamento.

Come accennato, nella seconda metà del sec. IV, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia, Ambrogio di Milano commentano ai neobattezzati i riti dell’iniziazione, in omelie mistagogiche, vere catechesi sui Misteri celebrati.

Usano la tipologia applicata alla liturgia, nel contesto platonico usuale; ma si notano novità di linguaggio, in cui si esprime il forte realismo eucaristico tradizionale.

Così Teodoro di Mopsuestia, spiegando l’anafora in uso nella sua Chiesa, dice: «Ora è proprio dando il pane che egli non ha detto: “questo è il tipo del mio corpo”, ma “questo è il mio corpo”; e alla stessa maniera per il calice non ha detto: “questo è il tipo del mio sangue”, ma questo è il mio sangue”; perché egli volle che avendo questi (il pane ed il calice) ricevuto la grazia e la venuta dello Spirito Santo, noi non guardiamo più alla loro natura, ma li prendiamo come essenti il corpo ed il sangue di nostro Signore»124.

124 MAZZA, E., La mistagogia, una teologia della liturgia in epoca patristica, (= BEL ‹‹subsidia›› 46), C.L.V.-Edizioni liturgiche, Roma 1988, 111; la citazione di Teodoro si trova nella sua Omelia 15,10 (TONNEAU, R. , – DEVRESSE, R. , Les homelies catéchétiques de Théodore de Mopsueste, LEV 1949, 475)

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In modo simile si spiega Cirillo di Gerusalemme: «Quando Lui stesso ha dichiarato e detto del pane: “questo è il mio corpo”, chi oserà ormai esitare? E quando Lui stesso afferma categoricamente dice: “questo è il mio sangue”, chi dubiterà mai e dirà che non è il suo sangue?”.

Offre inoltre una spiegazione teologica della conversione, per accreditare la veridicità delle parole di Cristo: «Una volta per sua propria volontà cambiò l’acqua in vino a Cana di Galilea, e non sarebbe degno di fede quando cambia il vino in sangue? Invitato alle nozze corporali, compì questo miracolo meraviglioso, e quando ai compagni dello sposo, diede come dono il godimento del suo corpo e del suo sangue, forse che noi non lo confesseremo maggiormente?»125.

Anche Giovanni Crisostomo sottolinea il realismo del corpo e del sangue eucaristici, al di là della tipologia simbolica, che conosce e usa. “Commentando il racconto dell’uscita degli ebrei dall’Egitto, Crisostomo fa il parallelo tra il sangue degli agnelli spalmato sugli stipiti delle porte e il sangue di Cristo che ha tinto di rosso la bocca dei fedeli a causa della comunione. Se l’angelo sterminatore è stato trattenuto dal tipo del sangue (quello degli agnelli), tanto più sarà trattenuto il maligno che vedrà la verità del sangue (quello di Cristo)” 126 .

Ambrogio di Milano conosce la tipologia, e la usa, come abbiamo già visto citando De officiis 1,238. Ma insieme percepisce l’insufficienza di tale linguaggio, in modo più acuto dei Padri coevi prima citati. Ricordiamo che con il Concilio di Nicea (325) il linguaggio teologico e magisteriale deve rispondere a nuove questioni fondamentali riguardo alla identità di Cristo, per le quali la categoria immagine risulta insufficiente.127

Certamente, come insegna Paolo in Col 1,15, Cristo è «l’immagine del Dio invisibile», ma ora si specifica: l’immagine consustanziale, della stessa sostanza (oÙs…a) del Padre: ÐmooÚsioj

Assistiamo così all’ingresso nel magistero della categoria oÙs…a (substantia) e derivati. Risulterà decisiva non solo per l’identità divina della persona del Figlio rispetto al Padre, ma anche per dichiarare la divinità dello Spirito Santo (Sinodo di Roma, anno 382, DH 168); ugualmente per definire, a Calcedonia la vera umanità di Cristo: ÐmooÚsioj a noi, consustanziale a noi (DH 301).

125 Crf. per i testi citati: MAZZA, E., La celebrazione eucaristica , cit 180.126 Ibidem 177127 MAZZA, E., La mistagogia, una teologia della liturgia in epoca patristica, cit. ,

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Sono questioni non secondarie, ma nel cuore stesso della rivelazione evangelica, della nostra salvezza. Sono le domande fondamentali da cui dipende tutto l’edificio della vita cristiana. Di fronte ad un invadente arianesimo, che poneva in dubbio la divinità di Cristo, il suo rapporto col Padre, Nicea ha tolto, secondo la rivelazione, specialmente Giovanni, ogni ambiguità: l’Io filiale di Cristo, (la sua persona), sta dalla parte del Padre, della stessa divinità del Padre, stessa oÙs…a, sostanza.

Evidentemente, per la rivelazione giudeo-cristiana, il dogma fondamentale della creazione, non si dà alcuna via di mezzo tra Dio creatore e la creatura. Cristo sta dalla parte del Padre, una cosa sola col Padre, ne è l’immagine consustanziale.

Ugualmente Cristo sarà dichiarato, nella sua umanità, consustanziale a noi.Queste categorie oÙs…a (sostanza), arricchiscono la terminologia

teologica, la specificano, la radicano nei fondamenti ontologici, lo stesso grado di essere, l’identità dell’essere.

oÙs…a è una forma participiale di e„m…, essere; nel suo uso teologico non dipende direttamente da nessun sistema filosofico, risponde alle domande fondamentali circa l’identità divino-umana di Cristo.

Anche il substantia latino, nell’uso teologico come dimostrabile in Tertulliano, traduce il greco oÙs…a. L’esistente, l’identità nell’essere, e solo secondariamente il soggetto degli accidenti, come nel sistema aristotelico.

Il nuovo linguaggio cristologico, sostanziale, fa qualche apparizione anche nella riflessione eucaristica dei Padri, completando le categorie della mistagogia:

Ritorniamo ad Ambrogio, il Padre mistagogo che sente l’esigenza di completare le categorie della teologia tipologica-simbolica con quelle della teologia sostanziale : De Mysteriis 54: «Se tanto poté una benedizione umana (di Mosè e di Eliseo) che cambiò la natura, cosa occorre dire della benedizione divina in cui operano le stesse parole di Cristo?

Questo sacramento, infatti, che tu ricevi, si compie con le parole di Cristo. Se tanto poterono le parole di Elia, da fare scendere dal cielo il fuoco, non potranno quelle di Cristo mutare la sostanza degli elementi? Hai letto riguardo alla creazione: poiché egli l’ha detto, furono fatte, egli ha comandato, e furono create. La parola di Cristo che ha potuto fare dal nulla ciò che non era, non può mutare le cose che sono in ciò che non erano? Non è minor cosa creare cose nuove che mutare le essenze?

Lo stesso S. N. Gesù Cristo dice: questo è il mio corpo; prima della benedizione delle parole celesti chiamiamo altra cosa, dopo la consacrazione vi è

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significato il corpo e tu dice: Amen, cioè è vero. Anche la mente creda ciò che la bocca dice».128

Ancor più elaborato è il linguaggio di S. Fausto, vescovo di Riez, valle del Rodano, fine del V sec., nell’Omelia Magnitudo: «Pertanto giustamente conferma la celeste autorità che la mia carne è veramente cibo e il mio

sangue è veramente bevanda. Receda quindi ogni vacillamento di incredulità, poiché chi è autore del dono è egli stesso anche testimone della verità. Infatti come sacerdote invisibile, per una misteriosa potenza della sua Parola, converte le creature visibili nella sostanza del corpo e del sangue suo dicendo: prendete e mangiate, questo è il mio corpo…

Né alcuno dubiti che le primitive creature (pane e vino), al cenno della divina potenza, possano trasformarsi nella natura del corpo del Signore per la presenza della somma maestà… quando il pane e il vino vengono collocati sugli altari per essere benedetti con le parole celesti, prima che siano consacrati con l’invocazione del nome suo, c’è la sostanza del pane e del vino, ma dopo le parole, c’è il corpo ed il sangue di Cristo. Che cosa c’è di strano se quelle cose che poté creare con la parola, le possa cambiare con la parola? Anzi sembra un miracolo minore, che una volta creato, sappia cambiare in meglio quanto si conosce che abbia creato dal nulla»129.

Ci giova osservare come la categoria sostanza viene usata in stretta connessione con quelle di creatura e natura-essenza, nel contesto della potenza creatrice divina.

La teologia dell’Eucarestia si dimostra bisognosa sia delle categorie tipologiche-simboliche, trattandosi di una celebrazione, memoriale della Pasqua del Signore, sia di categorie più direttamente ontologiche, per dichiarare l’identità del corpo dato e sangue versato, il tradizionale forte realismo del sacrificio. Si tratta inoltre di distinguere meglio la presenza di Cristo nel Sacrificio eucaristico e negli altri sacramenti.

Nell’Eucarestia è presente lo stesso Cristo nostra pasqua, corpo dato e sangue versato, che ci unisce a sé, forma la Chiesa suo corpo. Negli altri Sacramenti Cristo agisce, ci santifica in virtù della sua passione.

Negli altri sacramenti i segni simbolici (acqua, olio...) non cambiano natura, il loro essere profondo, la loro sostanza. Nell’Eucarestia il segno simbolico, pane e vino, risulta privo di realtà profonda propria, essendo divenuto

128 AMBROGIO , De Mysteriis 54, Opera omnia v. 17, Bibl. Ambrosiana-Città nuova, Milano-Roma 1982, 165

129 Questi testi di Ambrogio e Fausto, si possono trovare in PIOLANTI, A. , Il Mistero eucaristico, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1983, 182. 231s.

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il corpo dato ed il sangue versato. Queste categorie nuove, relative all’identità secondo l’essere, oÙs…a, sostanza, si riveleranno preziose, all’inizio del secondo millennio, per risolvere le prime vere difficoltà dottrinali.130

II.1.7 Crisi aperta della teologia tipologica-simbolicaChe per esprimere il tradizionale, rivelato forte realismo eucaristico, la

teologia simbolica avesse bisogno di un complemento nelle teologia dell’essere (e„m…, oÙs…a, sostanza), non rappresenta una sorpresa; anche i Concili cristologico-trinitari si muovevano nella stessa prospettiva.

L’uso delle categorie cristologiche (oÙs…a, sostanza) nella teologia eucaristica appare discreto nel primo millennio, fino a quando il forte realismo tradizionale circa il corpo dato ed il sangue versato non presenta incertezze, sino a quando la teologia tipologico-simbolica riesce ancora ad assicurare una certa intelligenza del mistero. Ma con le invasioni barbariche il contesto culturale ellenistico-platonico, la sua teologia simbolica risulta meno familiare. Anzi nei popoli germanici prevale una visione del mondo molto concreta, anche giuridica-tribale, che stenta a percepire la densità di contenuti ontologici del simbolo sacramentale, che non solo manifesta una realtà divina esteriore ad esso, ma già contiene le realtà salvifica. Difficoltà ad esprimere il rapporto tra segno, figura del pane e del vino e la verità del corpo dato e del sangue versato.

Difficoltà acuita dallo scadere dell’esegesi nell’allegorismo, minore sensibilità alla tipologia cristica, che si riflette anche nella comprensione della preghiera eucaristica, dei riti del memoriale.131

130 Cfr CARLÈ, P. L. , Le sacrifice de la nouvelle alliance, consubstantiel et transubstantiation, de l’Incarnation à l’Eucharistie, Bordeaux 1981, 261-269

131 MAZZA, E., La celebrazione eucaristica, cit, 191s :” Già prima del Medioevo si è persa la cultura soggiacente, e si è rotta l’unità, o meglio, la sintesi tra il dato biblico e l’eucaristia, al punto che le due componenti iniziano a vivere separatamente, ciascuna con la sua logica.Di conseguenza nel medioevo nascono due modi diversi di trattare l’eucaristia, ciascuno indipendente dall’altro: il modo figurale ed il modo del realismo sacramentale : 1) Il modo figurale nasce dalla tipologia quando questa ha subito un duplice mutamento: ha perso il suo rapporto con l’ontologia, è diventa allegoresi; le figure bibliche vengono trattate per se stesse, e acquistano valore morale in ordine alla celebrazione eucaristica. Da questa trasformazione nasce il commento allegorico della celebrazione eucaristica, basato sul rapporto tra l’eucaristia e il sacrificio di Cristo.

2) Di fianco a questi commenti ci sono le trattazioni sulla presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e nel vino dell’Eucaristia, che all’inizio sono basta su una concezione ingenua del realismo sacramentale…….

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La forte fede che rimane nella realtà del Sacrificio del corpo e del sangue del Signore cerca la sua espressione in un soggettivismo devoto, interpretazioni alquanto fantastiche dei riti della S. Messa.

Un caso interessante e curioso è quello di Amalario di Metz (+837): nel suo De ecclesiaticis officiis così commenta: nella S. Messa il calice è il sepolcro del Signore, i presbiteri celebranti sono i sepoltori, come Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, i Diaconi inclinati sono gli Apostoli, che avendo tradito Cristo nella passione si nascondono vergognosi, mentre i suddiaconi eretti sono le pie donne che contemplano il Sepolcro. 132

Tali soggettivismi devoti aberranti non restarono senza critiche, come quella di Floro di Lione (+860), ma sono segno che il memoriale del Signore, ringraziamento e gesti essenziali, non è più inteso nella sua sobrietà rivelata; alla tipologia, tutta relativa a Cristo e alla sua Pasqua, si sostituisce una esegesi soggettiva, arbitraria, incomprensione del rito-memoriale.

Possiamo per es. paragonare l’intelligenza dell’Eucarestia in Agostino. Ci parla del Corpo crocifisso glorioso di Cristo, che sta alla destra del Padre intercedendo per noi, e come lo stesso corpo nel sacramento della mensa-altare, realizzi, per la comunione, il corpo ecclesiale, nella sua unità-carità. E lo stesso corpo di Cristo crocifisso-glorioso, nei suoi vari modi di manifestazione e di ontologica partecipazione.

Ecco cosa diviene la riflessione sul “triforme corpo di Cristo” nelle devote riflessioni sui riti della comunione eucaristica nello stesso Amalario di Metz. Ogni rito della liturgia deve avere un significato mistico, riferirsi a Cristo e alla sua passione: cosa significa quindi che il corpo di Cristo nei riti di comunione viene suddiviso in tre parti, di cui un viene immessa nel calice, una viene posta sulla patena per la recezione dei presenti, ed una lasciata sull’altare per la comunione dei morenti?

Per Amalario la particella immessa nel calice mostra il corpo di Cristo già risorto dai morti, la parte data in comunione ai presenti il corpo di Cristo che camminava sulla terra e ancora vi cammina, quella lasciata sull’altare per il Viatico mostra il corpo che giace nel sepolcro.133

132 Cfr MARSILI, S. , La teologia della celebrazione eucaristica, in MARSILI, S.,, NOCENT, A. , AUGE’, M. , CHUPUNGCO, A.J. , La liturgia eucaristica (= Anàmnesis 3/2 ) , Marietti, Casale Monferrato 1983, 93s; particolarmente complete le riflessioni sulla persona ed il metodo di Amalario di Metz in MAZZA, E., La celebrazione eucaristica, cit ,192-203

133 AMALARIO espone una dottrina molto complessa, ed esposta con pluralità di modelli, circa il Corpo triforme di Cristo : vedi MAZZA, E., La celebrazione eucaristica,

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Le difficoltà più acute e anche allarmanti si avvertono quando con Carlo Magno nasce l’Europa cristiana, si organizzano e favoriscono gli studi, si cerca di fare sintesi sotto la luce del Vangelo tra la cultura greco-romana e la vivacità dei popoli germanici.

II.1.8 Le dispute scolastiche e l’incomprensione del Mistero.La questione fondamentale verte sulle relazioni, su come stanno tra di loro,

in quale rapporto:il Corpo celeste del Crocifisso gloriosoil corpo eucaristico, designato abitualmente nel I Millennio come corpus

mysticum; cioè secondo il modo di essere della celebrazione dei Misteri sacramentali

il corpo ecclesiale, generato dal Sacrificio-comunione eucaristica, indicato nel II Millennio come corpus mysticum, espresso e originato dai santi misteri.134

La questione viene posta esplicitamente nel Monastero di Corbia, nella Francia di nord-ovest, luogo di intensa vita religiosa e missionaria: da qui parte S. Oscar, evangelizzatore del nord Germania e paesi scandinavi.

Qui vengono composti i primi trattati sull’Eucarestia, sia dall’abate Radberto Pascasio (+ 860), sia dal suo monaco Ratramno, che aveva l’incarico dell’insegnamento nella scuola monastica di Corbia: ambedue i Monaci scrivono un trattato con lo stesso titolo, De corpore et sanguine Domini.135

Radberto Pascasio è affascinato dalla identità tra il corpo eucaristico ed il corpo celeste del crocefisso glorioso, secondo il tradizionale realismo della fede ecclesiale; non si impegna ad esprimere teologicamente i modi diversi di apparire: il Crocifisso glorioso è presente in cielo nella gloria del Padre, nel suo Memoriale nel modo conviviale adatto al nostro essere peregrinante verso la patria; gli manca l’agile uso di strumenti teologici.

Il monaco Ratramno , è attratto dalla questione teologica del modo della presenza di Cristo nel pane eucaristico, che afferma secondo la fede della Chiesa; ma avverte difficoltà a comporre, relazionare la figura simbolica (i segni del pane e del vino), con la Verità del corpo e del sangue di Cristo. Resta nella fede, ma distanzia in modo problematico, secondo la mentalità germanica, segno e contenuto. Notiamo che si tratta di disputa sviluppata in trattati, documenti

cit 200-202 134 Cfr DE LUBAC, H. , Corpus mysticum, Opera omnia 15, Jaca Book Milano

1982135 RATRAMNO, De corpore et sanguine Domini, (PL 121, 103-170 ); RADBERTO,

P., De corpore et sanguine Domini, CCM 16 , 3-131 [= PL 120, 1263-1350).

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scritti, disputa di scuola che non influisce sulla vita liturgica ed i comportamenti spirituali dei monaci benedettini dell’Abbazia.136

Anche la disputa suscitata dal Maestro Berengario verte sulle relazioni tra il corpo eucaristico ed il corpo del celeste; si tratta ancora di disputa scolastica, siamo già all’inizio del II millennio, nuova ripresa di vivacità della cristianità, dopo la conclusione alquanto cupa del I millennio. Berengario distanzia ulteriormente segni (pane e vino) e realtà salvifiche, corpo dato e sangue versato. Il corpo del Crocifisso glorioso sarebbe presente nei segni per la sua virtù santificatrice, e la presenza di Cristo nell’Eucarestia tende a ridursi a quella degli altri sacramenti.

Un forte disagio nell’intelligenza dell’Eucarestia, che crea turbamenti e reazioni. L’intelligenza del Memoriale del Signore sta nel cuore della vita della Chiesa, della sua unità nella carità, nel vigore evangelico della sua vita, dello stile proprio dei Ministeri ordinati, delle vocazioni e compiti nel corpo ecclesiale.

La prima reazione, nel concilio romano del 1058, DH 690, è molto energica nell’affermare l’identità tra il corpo del Crocifisso glorioso e quello eucaristico. La formula proposta a Berengario nel Concilio Romano del 1079 è più teologicamente elaborata (DH 700): l’identità tra il crocifisso glorioso ed il suo corpo e sangue eucaristici è affermata con l’uso della categorie sostanza (in veritate substantiæ) e natura (in proprietate naturæ), perché il pane e vino sono stati sostanzialmente convertiti nella vera e propria vivificatrice carne e sangue di N. S. Gesù Cristo.

Berengario morì riconciliato con la Chiesa, un caso personale, difficile a valutarsi, con risonanze, ma senza fare scuola.

II.1.9 Introduzione della categoria sostanza nel MagisteroCome già avvenne nel sec. IV per le questioni fondamentali sull’identità

divino-umana di Cristo, anche ora teologia e magistero si rivolgano all’oÙs…a-substantia, per risolvere un altro quesito fondamentale e decisivo della fede: come stanno tra di loro il corpo celeste del crocifisso glorioso ed il suo corpo eucaristico? È questione fondamentale, perché da essa dipende la qualità e natura stessa della Chiesa, che si forma e consolida partecipando al Sacrificio pasquale.

136 La comprensione storica-dogmatica di questa prima ‹‹crisi di crescita›› dell’intelligenza della Presenza sacrificale eucaristica è necessaria, anche perché ad essa si rivolgeranno i riformati dei sec. XVI, per giustificare la posizione minimalistica : cfr G. BAVAUD, La doctrine des Pères de l’Eglise sur l’Eucharistie. D’un controverse du siècle XVII au Document de Lima, in Nova et Vetera (1985) 134-148

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La risposta corretta è che si tratta della stessa sostanza, identità dell’essere concreto, fondamentale del Crocifisso risorto; e questo avviene per una mutazione sostanziale del pane e del vino nella propria e vera e vivificante carne e sangue del Signore Gesù, nella proprietà della sua natura e verità della sua sostanza.

Anche per l’uso teologico di oÙs…a, substantia, dobbiamo fare le stesse riflessioni che per il suo uso cristologico: non si dà nessuna dipendenza diretta da Aristotele, sostanza come substrato degli accidenti.

Abbiamo visto come per la crisi della teologia simbolica si è alla ricerca di categorie che rispondano meglio, nel nuovo contesto culturale, alla domanda fondamentale: qual’è l’identità del corpo e sangue del sacrificio eucaristico in relazione al Corpo e sangue del Crocifisso glorioso?

La risposta è che l’essere fondamentale, decisivo, concreto è lo stesso. Secondo la sostanza, l’identico Cristo crocifisso-glorioso è nella gloria del Padre, ed è negli elementi eucaristicizzati.

La realtà creata, nel suo essere concreto fondamentale come sta davanti a Dio, cioè la sostanza del pane e del vino, è mutata, per la preghiera eucaristica, nella celebrazione del memoriale, nella realtà concreta, creata, unita ipostaticamente al Figlio di Dio, la sostanza del corpo dato e del sangue versato.

È opportuno notare come in questo primo uso teologico, la categoria sostanza viene usata in stretta connessione con quelle di natura (in Ambrogio e Fausto anche creatura, essenza), nel contesto della potenza creatrice divina.

Il termine sostanza sarà poi privilegiato, raccogliendo in sé i significati di natura-creatura. Viene quindi a indicare l’essere concreto, fondamentale come sta davanti a Dio, che gli dà e gli conserva l’esistenza, e come Dio creatore può mutare, convertire, transustanziare, lasciando intatto ciò che della creatura appare a noi, le apparenze, specie. Il concetto di sostanza esprime quindi in modo adeguato il dato di fede rivelato e tradizionale: questo è il mio corpo dato, sangue versato in sacrificio. Il suo uso teologico esige il concetto di conversione della sostanza, transustanziazione, per indicare il livello di essere, fondamentale, ove si realizza il cambiamento radicale.

Si devono infine introdurre le specie, per indicare ciò che appare del pane e del vino, ciò che viene percepito dai nostri sensi umani e che rimane, mentre cambia l’essere profondo, che solo Dio direttamente tocca e muta, cioè la sostanza.

Già nel Lateranense IV questi concetti (sostanza, transustanziazione, specie), usati per la corretta professione di fede nel Sacrificio dell’Altare, sono

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presentati coerentemente insieme (DH 800), per assicurare l’unità della Chiesa. Trattasi di una professione di fede.

Concludendo: per professare l’identità del Figlio incarnato, la Chiesa ha scelto il termine ÑmooÚsioj, consustanziale; per professare l’identità del corpo dato e del sangue versato nel sacrificio eucaristico, la Chiesa ha scelto i termini di sostanza e conversione della sostanza, transustanziazione.

La Chiesa non ha più abbandonato questa terminologia, perché esprime l’identità del Figlio incarnato davanti al Padre e a noi, e l’identità del Corpo eucaristico rispetto al Corpo crocifisso glorioso celeste e rispetto agli elementi mutati nella profondità del loro essere concreto.

II.1.10 La teologia della presenza sostanziale elaborata dalla grande scolastica del sec. XIII

La Solenne professione di fede del Lateranense IV inserisce nel Simbolo apostolico romano una dottrina eucaristica che ci appare come un vigoroso sviluppo dell’articolo 9 : «Credo la Santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi».

Come ci avvisa H. de Lubac, la Communio Sanctorum indica sia la Comunione alle cose sante, l’Eucarestia, sia la Comunione dei Santi, cioè la Chiesa che ne risulta.137

Il Lateranense IV (DH 802), raccogliendo il frutto del Concilio romano del 1079, DH 700, e della riflessione teologica della scolastica del 1100, specialmente Pietro Lombardo, assicura la qualità salvifica, l’unità della Santa Chiesa, per il Sacrificio di Cristo, sacerdote e vittima:

«Infatti il suo corpo ed il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, perché il pane è transustanziato nel corpo ed il vino nel sangue per divino potere; cosicché per adempiere il mistero dell’unità, noi riceviamo da Lui ciò che Lui ha ricevuto da noi».

Abbiamo già accennato all’introduzione della categoria sostanza, come risponda alla domanda fondamentale dell’identità del corpo e sangue eucaristici con quelli del Crocifisso glorioso, e non dipenda da particolare sistema filosofico.

Anche ciò che appare all’uomo, le specie, sono categoria teologica, già usata dai Padri, non direttamente filosofica.

S. Tommaso può disporre per l’intelligenza del Mistero Eucaristico della filosofia di Aristotele, e non solo più attraverso le opere di Boezio e Avicenna, ma anche direttamente, delle stesse opere Metafisiche.

137 Cfr DE LUBAC, H.,, Corpus mysticum, cit. 10

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L’utilizzo di Aristotele risulta massiccio; la sua distinzione reale, metafisica, tra la sostanza e gli accidenti, la quantità, appare del tutto opportuna per avere una certa intelligenza del mistero soprannaturale della conversione delle sostanze rimanendo inalterate le specie, ciò che a noi appare.

Si può così cercare intelligenza della fede delle affermazioni del Lateranense IV, anche che il corpo e sangue del Signore siano veramente contenuti sotto le specie del pane e del vino.

Notiamo subito come la filosofia sviluppata da Tommaso per avere l’intelligenza possibile del Mistero rivelato, si presenti a noi come filosofia cristiana: solo il contesto di rivelazione che ne stimola la formazione, può giustificare i risultati ottenuti, anche sul piano puramente razionale (cfr. Fides et ratio 76).

Così la Sostanza di cui parla Tommaso non è direttamente il supporto, substrato degli accidenti, ma indica l’atto proprio di essere, la consistenza propria fondata nell’essere, cioè come Dio, pienezza dell’Atto di Essere, la pone nella sua esistenza.

Solo l’intelletto umano, illuminato dalla fede-rivelazione, può affermare il darsi della sostanza del corpo e sangue del crocifisso glorioso sotto le specie del pane e del vino; infatti l’intelletto umano afferma nelle cose dell’esperienza umana la loro partecipazione propria all’atto di essere, la loro consistenza nell’essere. Nel caso del Mistero eucaristico la rivelazione-fede afferma la conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue del Crocifisso glorioso: non arriva alla sostanza, atto di esistere, partendo dagli accidenti, ciò che appare e agisce sui sensi, ma dal giudizio dell’intelletto, facoltà che coglie l’essere, in questo caso per l’illuminazione della fede e la parola rivelata.

Anche se tale operazione di conversione delle sostanze può essere operata solo per la potenza divina, e da essa solo rivelata, non presenta in sé nulla di irrazionale, per la distinzione tra sostanza ed accidenti.

La definizione del Lateranense IV stimola l’intelligenza della fede dell’affermazione: «il corpo e sangue del Signore sono contenuti veramente nel Sacramento, sotto le specie del pane e del vino». Di che tipo di “contenzione”, presenza si tratta? come la sostanza del corpo e sangue glorioso può stare, rapportarsi con ciò che vediamo, le specie del pane e del vino?

Giova ricordare che la presenza eucaristica del corpo del Signore è veramente corporale, attraverso il suo corpo, ma nel modo sostanziale del corpo glorioso: non ha quindi rispetto alle specie una relazione locale di tipo “circonscrittivo”, come hanno i nostri corpi per le loro dimensioni, in relazione

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alle dimensioni misurabili di altri corpi, essere cioè in un luogo, come un’auto nel parcheggio.

Non è neppure una presenza spirituale, “informante”, come l’anima spirituale nel corpo umano: il corpo del glorioso non è infatti un principio spirituale informante le specie, ha una sua vera consistenza corporea; la sua quantità, dandosi a noi secondo il modo proprio della sostanza del Crocifisso risorto, non è misurabile, commensurabile alla nostra realtà sensibile.

Si tratta di una presenza sacramentale, corpo e sangue gloriosi contenuti veramente nel sacramento, per essere a noi significati e offerti nelle specie sacramentali. Il Crocifisso glorioso, sacrificio «eternizzato», «sempre vivo per intercedere per noi» (Eb 7,25), si fa presente a noi nella celebrazione del suo memoriale, in modo sostanziale, cioè nella sua vera identità; ma non nel suo modo glorioso, come si manifesterà a noi nell’ultimo giorno, ma nel modo conviviale, nelle specie del pane e del vino, come si addice al nostro essere pellegrinante, nel provvisorio del nostro tempo.

La teologia simbolico-tipologica, primo tentativo di intelligenza della fede del pane e vino eucaristicizzati nel corpo e sangue del Signore, considerava le specie, apparenze del pane e del vino come figura, immagine della ontologica presenza del corpo dato e del sangue versato.

Il necessario uso della categoria sostanza, per indicare tutta l’intensità di identità del corpo dato e sangue versato, poneva per gli aristotelici aiuto e difficoltà: aiuto, per la razionale distinzione tra la sostanza, atto proprio di esistere, e le apparenze, quantità estensiva, accidenti.

Poneva anche difficoltà, stimolo all’intelligenza del mistero: dopo la conversione di tutta la sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue, come si potevano dare accidenti senza soggetto sostanziale corrispondente? Infatti non si dà più sostanza del pane e del vino.

Qui entriamo nel cuore del mistero che supera la nostra razionalità, legata alla percezione dei sensi; le specie del pane e vino sono i segni-simboli conviviali del donarsi a noi del Crocifisso glorioso, nel suo vero corpo dato e sangue versato. Le specie sacramentali sono segno-simbolo della sostanziale presenza del Signore nella pienezza del suo donarsi al Padre per noi, che affermiamo con l’intelletto illuminato dalla luce della fede nella parola rivelata. Ciò che significano le specie, apparenze del pane e del vino è totalmente mutato.

In filosofia aristotelica non si darebbe l’assurdo irrazionale di quantità accidenti senza soggetto sostanziale che li sorregga nell’essere? Tanto più che non si vedrebbe come il Corpo del Crocifisso, nella pienezza della sua gloria,

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possa essere, nella sua sostanza, come limitato dall’accidente, dalla quantità e dalle proprietà sensibili del pane e del vino che vi ineriscono.

Nella intelligenza del Mistero, che rimane mistero, secondo la filosofia cristiana di Tommaso non si dà anche in questo nessuna ripugnante contraddizione. Le specie eucaristiche sono il manifestarsi a noi della Sostanza del corpo dato e sangue versato del Glorioso, non sono quindi senza un soggetto sostanziale.

Ma neppure possiamo dire che lo limitano; dobbiamo considerarle, le specie, nell’economia del Verbo incarnato: la pienezza dell’Essere filiale si è espressa in una vera umanità, per il vincolo ipostatico, personale. L’unione ipostatica non limita in alcun modo l’Essere Filiale divino del Verbo consustanziale al Padre, ma efficacemente presenta e offre a noi, in questo sacramento primordiale, originario, tutta la ricchezza della grazia e della partecipazione alla Vita divina.

L’umanità del Signore Gesù, nella sua pienezza di grazia, verità (Gv 1,14), di tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3), vive una vita autenticamente umana, di rapporti umani, e sempre per tutto illuminare, risanare, portare al suo livello di Vita filiale.

L’Eucarestia non è una nuova incarnazione, cioè impanazione. Il pane ed il vino eucaristici sono totalmente convertiti nel corpo e sangue di Cristo. Ma la presenza del Crocifisso glorioso nel memoriale eucaristico è ancora nello stile dell’incarnazione, spinta sino alla croce, per prendere su di sé tutta la peccaminosità umana per introdurci nell’amore del Padre, una vita risorta.

Le specie sacramentali del pane e del vino non limitano il corpo e sangue di Cristo, anzi servono alla sua manifestazione ed efficacia santificatrice per l’uomo, in ogni tempo e luogo ove verrà celebrato il suo Memoriale.

La filosofia aristotelica, in quanto per la sua radicale trasformazione operata da S. Tommaso diviene filosofia cristiana, non può evidentemente esaurire il Mistero, che rimane tale, nella luce superiore della carità divina, ma ne permette una sua intelligenza al di là di ogni irrazionalità.

La distinzione tra sostanza del corpo e sangue del crocifisso glorioso e le specie nelle quali si manifesta e si dona a noi ancora sottoposti alla caducità di questo mondo, ci aiuta a risolvere la questione del “cafarnaismo”, come il Signore si può dare a noi in cibo e bevanda (Gv 6,52); come inoltre affermare la vera, ontologica presenza del Signore, senza scadere in un fisicismo in cui sembri che si addenti, trituri, mastichi la stessa carne di Cristo, si beva il suo sangue?

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La sostanza del Crocifisso glorioso si dona a noi, Corpo dato e Sangue versato in Sacrificio, nel Sacramento, per alimentare, nutrire la nostra vita filiale e fraterna, nella carità Spirito Santo, che è già inizio di vita eterna, risorta, e così rimanere in noi; ma sono le specie sacramentali, attraverso cui si manifesta e dona a noi, che sono mangiate e bevute.

Anzi sappiamo che si dà un Unico Signore, crocifisso glorioso, che la sua sostanza non viene spezzata, moltiplicata nella molteplicità delle Celebrazioni, con le loro ostie e calici, ma viene, restando unica, resa presente nella molteplicità dei tempi e luoghi della vita della Chiesa e dei suoi discepoli.

Si moltiplicano e si spezzano le ostie perché l’unico Signore sia accolto e santifichi la molteplicità dei discepoli, ma minimamente si moltiplica l’unica sostanza dell’unico Crocifisso glorioso, presente nella molteplicità delle specie Eucaristiche.

S. Tommaso ha saputo esprimere questa intelligenza del Mistero, che risponde saggiamente alle domande del credente, non solo nelle sue opere teologiche, ma anche nelle sequenze, inni dell’Ufficio della solennità del Corpus Domini: una catechesi popolare, che diviene preghiera intelligente, di facile assimilazione.

Citiamo dal Lauda Sion, la sequenza della Messa:«Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo.È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino.Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura.È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi.Mangi carne, bevi sangue, ma rimane Cristo intero in ciascuna specie.Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve.Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato.Quando spezzi il sacramento, non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni

parte, quanto nell’intero.È diviso solo il segno, non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua

persona».Questa teologia della presenza sostanziale afferma una assoluta oggettività

del vero corpo e sangue di Cristo: il sacerdote che celebra secondo la fede della Chiesa rende presente sostanzialmente, nell’oggettiva realtà, il corpo dato ed il sangue versato, sia per chi ha fede, sia per chi è incerto nella propria fede, sia per chi non crede.

S. Tommaso spinge la propria oggettività al di là di quella di S. Bonaventura. Risulta dalla questione che si ponevano questi autori: cosa mangia il topo che per disavventura rodesse l’ostia consacrata?

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S. Tommaso sostiene che il sorcio mangia il vero corpo di Cristo, perché gli accidenti del pane, finché restano incorrotti, sono segno della sostanza del corpo di Cristo, e dove si trovano gli accidenti, lì si trova, tramite gli stessi accidenti, la sostanza del Corpo di Cristo.

S. Bonaventura , pur nella stesa fede dell’oggettività del corpo di Cristo nel sacramento, imposta la questione in modo molto personale: Cristo è nelle specie per un uso unicamente umano, questa è la sua volontà istitutiva del memoriale conviviale; poiché la manducazione da parte del topo è al di fuori di questa volontà istitutiva di Cristo, non si può sostenere che il topo mangi il corpo di Cristo.

Tommaso giudica questa opinione severamente, come una deroga alla verità del Sacramento, mentre Bonaventura, rispondendogli, sostiene che qualunque sia il valore dell’opinione di Tommaso, i suoi argomenti non impediscono che le pie orecchie aborriscano di sentire che il corpo di Cristo sia nel ventre del topo, e pertanto questa opinione è la più comune e certamente la più conveniente e la più conforme alla ragione. Giustamente Bonaventura afferma che sia opinione comune che il topo non mangia il corpo di Cristo; ciò che Bonaventura ha aggiunto di proprio è un forte argomento teologico: l’ordinabilità ad un uso umano»138.

La teologia della presenza sostanziale ha così raggiunto un alto grado di maturità nella grande teologia del sec. XIII: si alimenta nella celebrazione, nelle Questiones dei teologi raggiunge un alto livello di scientificità, e di impegno della ragione. Questo risulta certo massiccio, senza però distaccarsi dalla vita religiosa del popolo di Dio, anzi ne alimenta una solida devozione eucaristica. S. Tommaso ne ha lasciato un luminoso esempio nell’Ufficiatura del Corpus Domini.

Qui risulta la piena consapevolezza dell’Eucarestia come nuova Pasqua; Cristo ha comandato di fare in sua memoria ciò che ha fatto nell’ultima cena. Così ha istituito il suo sacrificio, affidato ai soli sacerdoti, perché lo assumano e servano ai fratelli, nella prospettiva dei beni eterni, della tavola del cielo.

La teologia quasi perfetta della presenza vera e sostanziale è sempre accompagnata dalla consapevolezza del sacrificio di Cristo per la comunione, la qualità della vita cristiana orientata ai beni eterni. Come la salvezza ci è stata procurata dalla morte di Cristo, così il Sacramento ci è dato sotto le due specie, perché fosse memoriale e ripresentazione della Passione del Signore.

Si tratta della convinzione comune di questo secolo: «L’Eucarestia è un sacrificio in quanto è il sacramento del corpo e del sangue di Cristo; la

138 MAZZA, E., La celebrazione eucaristica cit., 259.

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realizzazione del Sacramento, cioè la conversione, la presentazione sotto due specie distinte del Corpo e del Sangue di Cristo, è nello stesso tempo il Sacrificio… L’azione sacramentale, simbolicamente rappresentativa, realizzata nella celebrazione eucaristica, presenta alla nostra epoca, per la virtus divina (indipendente dal tempo e dallo spazio) l’unico sacrificio di Cristo. Ciò che il sacrificio della Croce ha fatto per il mondo, questo sacramento lo realizza per l’individuo»139.

Questa diffusa consapevolezza, che si esprime anche in quæstio distinta, come in S. Th. III, q 83, art 1, non conosce una trattazione sistematica, che ne analizzi i vari aspetti, come per la presenza sostanziale. Si potrebbe anche parlare di un ritardo teologico, che è stato avvertito acutamente quando la riforma del sec. XVI ha duramente contestato il sacrificio della Messa. Certamente tutta la Somma Teologica tratta «...dell’opera del Cristo, che sommamente sapiente ed amico (S. Th. I-II, q106,art 4) conforma nella sua carità il suo Corpo Mistico, che porta compimento in Lui la sua missione a gloria del Padre. “O sacro convito nel quale Cristo è mangiato, si fa memoria della sua passione ed è dato a noi il pegno della gloria futura”»140.

Sacrificio è ciò che porta alla comunione beatificante con Dio e i santi, superando e distruggendo l’ostacolo del peccato. Ora tutto l’impianto della Summa Theologica di Tommaso introduce a questo: tutto scaturisce dalla Trinità creatrice, per il Verbo nello Spirito Santo, affinché tutto ritorni ad essa, nella comunione beatificante, per la missione redentrice del Verbo incarnato, nel dono dello Spirito Santo. L’uomo risponde attivamente, nella propria vita morale, qualificata dalle virtù infuse, doni dello Spirito Santo, beatitudini (tutta la seconda parte della Summa).

L’Eucarestia è il vertice della Summa Theologica, perché è l’ultimo argomento direttamente e completamente steso dal Santo; vertice di questa ascesa verso la comunione beatificante, che è la trama vera della sistematica di Tommaso. Il Sacrificio di Cristo, della Chiesa, del cristiano è quindi considerato ovunque.

Ma è ancora come implicito, certo estraibile, non ancora sufficientemente elaborato. L’attenzione dei teologi è stata concentrata sulla questione della

139 NEUNHEUSER, B., L’Eucharistie II. Au Moyen Age et à l’èpoque moderne,(= Histoire des dogmes, IV, Sacraments, fasc. 4b), Cerf, Paris 1966, 87.

140 MONGILLO, D. , L’Eucaristia, suprema rivelazione dell’agape di Dio, norma dell’Agape della Chiesa nel mondo. Riflessioni ispirate dal pensiero di S. Tommaso, in Teologica & Historica, IX, Cagliari 2000, 187.

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presenza, sicuramente una presenza sacrificale, ma la crescita della teologia non è stata omogenea.

II.1.11 La teologia astrusa e senza gioia dei sec. XIV e XV: il Nominalismo

Il quadro teologico peggiora nettamente nel sec. XIV nel nuovo contesto di filosofia nominalistica. Essa da grande rilievo all’individuo, all’osservazione, ma dimostra sfiducia nella capacità razionale dell’uomo, di cogliere la verità oggettiva, fondata nella partecipazione all’essere.

Tutto il contrario della filosofia, e quindi per riflesso la stessa teologia di S. Tommaso: esse sono fondate in una comunione ontologica, tra la pienezza assoluta di Dio, e la partecipata e limitata realizzazione creaturale; prevale certo la dissomiglianza tra l’infinita perfezione di Dio e la partecipata e limitata perfezione delle creature, ma si danno ponti di comunione ontologica.

Ora invece si assottigliano gli strumenti razionali per avere una possibile intelligenza della Fede, prevale l’esaltazione della volontà divina, sino all’arbitrarietà.

Rappresentante di questo nuovo modo di fare teologia è Guglielmo di Ochkam (+1349). In campo eucaristico fa chiara professione di fede secondo l’insegnamento della Chiesa romana, ma l’insieme della sua teologia è un concentrarsi su questioni speculative, dimenticando che si tratta del Memoriale della Passione, di un atto di amore, di comunione di vita.

La transustanziazione attira l’interesse speculativo, ora sviluppato in modo logico: si perde il senso della sostanza, in senso creaturale-metafisico, per una considerazione piuttosto sperimentale. Non si distingue più la sostanza dalla quantità, gli accidenti.

Ochkam giunge a ritenere che l’opinione dell’‹‹impanazione››, per cui si conserverebbe la sostanza del pane, sarebbe più ragionevole, più facile ad insegnare. Ma dopo avere accumulato con sottili procedure logiche tante difficoltà sulla conversione della sostanza del pane nel Corpo del Signore, non vuole allontanarsi dall’insegnamento concorde della Chiesa e dei suoi Dottori.

Manca la gioia dell’intelligenza della fede, perché viene a mancare una dimensione filosofica: l’apertura umana, anche se minima, al mistero trascendente, che la può realizzare; quasi un credo, benché si tratti di cose irrazionali.

Una teologia con ampi sviluppi di logica, di filosofia naturale, in prospettiva nominalistica, con ridotto senso religioso, sacramentale.

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Ciò che in Ochkam rimane travaglio di pensiero, difficoltà nell’intelligenza della fede, mancanza del Gaudium veritatis, in J. Wycliff (+1384) diviene rinuncia e opposizione all’insegnamento della Chiesa. «Per lui il sacramento conteneva per natura il pane ed il vino, e (inoltre), ma solamente in modo sacramentale, il corpo ed il sangue di Cristo. Dopo la consacrazione, che non è altro che la santificazione della sostanza, l’ostia rimane localiter et substantialiter pane, ed essa diviene concomitanter il Corpo di Cristo. Il pane ed il vino dimorano così nella loro propria natura, non solo nelle apparenze degli accidenti»141.

Tali espressioni indebolivano, esprimevano in modo estremamente molto vago, il dogma della presenza reale, ed equivalevano ad una negazione della transustanziazione.

Le dottrine riformatrici di Wiclif, insieme a queste incertezze ed errori eucaristici, vennero condannati prima dalle autorità accademiche ed ecclesiastiche di Oxford e di Canterbury, e poi dal Concilio di Costanza nel 1415, (DH 1151-1153.)

Tale concilio si interessò pure della forte agitazione riformatrice che le idee di Wiclif suscitarono in Boemia.

Loro capo fu J. Hus, che non volle seguire la via di Wiclif nella contestazione della transustanziazione; le sue difficoltà eucaristiche si concentrano sulla questione del calice, da concedersi necessariamente ai laici.

In Boemia la comunione sotto le due specie era divenuta una questione fondamentale, una questione di salvezza. Conosciamo la tristissima storia del comparire di J. Hus al Concilio di Costanza, la sua contestazione sulla comunione al Calice, che unita alle questioni politiche interne dell’agitato regno di Boemia, portarono alla sua esecuzione capitale, nel 1415. Giovanni Paolo II, nella sua visita nella Repubblica Ceca, per la canonizzazione di Jean Sarkander, ha chiesto nel 1995 perdono, a nome di tutti i cattolici, per i torti causati ai non cattolici, nel corso della storia presso i Moravi142.

La teologia eucaristica dei sec. XIV e XV si presenta poco soddisfacente: il concentrarsi troppo su questioni marginali più logiche che sacramentali, il venir meno dell’opportuno strumento razionale, una certa dimenticanza del memoriale, unita alla lacerazione del tessuto ecclesiale per progetti di riforma portati avanti con agitazione di animo, al di fuori della carità e comunione

141 NEUNHEUSER, B., L’Eucharistie II cit., 103.142 GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Dott. P Smetana, Sinodal Senior of the

Evangelical Church of Czech Bretheren, in Insegnamenti, XVIII, 1, 1995, LEV ,1115-1117

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ecclesiale. Le debolezze, scismi ed errori della vita della Chiesa sono sempre accompagnate e favorite dalla incomprensione del mistero Eucaristico.

Ma come ci avvisa B. Neunheuser143,. insieme a queste debolezze, unite ad altre di pietà e devozioni alquanto distorte, si conservava nel popolo cristiano la convinzione di fede che la S. Messa è la ripresentazione sublime del Sacrificio della Croce, sorgente abbondante di benedizioni terrestri e celesti, e così, nonostante tutto, anche in questi tempi così tristi, un fiume abbondante di grazia scorreva dalla celebrazione del Sacrificio della Nuova Alleanza nel cuore di milioni di Cristiani.

Neppure mancavano lavori teologici e pastorali corretti, come il Commento al Canone di G. Biel (+1495), un maestro di teologia conosciuto e stimato da M. Lutero; parimenti nel Vocabolarius theologicus (1517) di Altensteig, si professava: «La S. Messa è un sacrificio, il sacrificio della Chiesa, nella quale si commemora il sacrificio unico di Cristo, per appropriarselo e ricavarne frutto».144

Proprio intorno alla comprensione del sacrificio della S. Messa l’unità della Chiesa ha conosciuto la più grave lacerazione di tutti i tempi; vera lacerazione, perché dalla incomprensione teologica si è passati alla manomissione del Canone, al rifiuto della S. Messa come sacrificio di Cristo e quindi del corrispondente sacerdozio ordinato.

II.1.12 La presenza vera, reale, sostanziale del corpo dato e del sangue versato in sacrificio, nel Concilio di Trento e nella Riforma

Il 1500 si presenta come il secolo della grande lacerazione ecclesiale; abbiamo già considerato come alla sua origine, provocando alterazioni liturgiche praticamente, allora, irreversibili, risulti decisiva l’incomprensione della presenza sacrificale del Signore nel memoriale eucaristico: di qui l’importanza unica, nella prospettiva ecumenica, dello studio che intraprendiamo.

Durante la solenne commemorazione del 450° anniversario dell’inizio del Tridentino (1545), Giovanni Paolo II, il 30/4/1995, affermava nel Duomo di Trento: «Numerosi erano infatti i problemi che agli albori del XVI sec. affliggevano la Chiesa, rendendo urgente una profonda riforma. In particolare la riflessione teologica accusava ritardi di fronte ai grandi interrogativi, intellettuali e religiosi, che fermentavano la cultura del tempo, ed offriva in tale modo il fianco all’errore dottrinale. In così preoccupante contesto, il Tridentino

143 NEUNHEUSER, B., L’Eucharistie II. cit., 101s.144 Ibidem, 107

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ripropose la dottrina cattolica in maniera precisa ed inequivocabile. Era una chiarificazione dogmatica che, in più di un caso, non si limitò a ristabilire la verità negata, ma valorizzò anche, riportandole nell’alveo cattolico, significative istanze messe in luce dalla riforma protestante».

Così non ci stupiremo del risultato attuale del dialogo tra la Chiesa Cattolica e la federazione Luterana mondiale, che ha portato alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, siglata il 31/10/1999.145

Il S. Padre nel suo discorso a Trento cita in proposito il Decreto sulla Giustificazione, che salvaguarda l’assoluto primato della Grazia di Dio e della sua opera in ordine alla salvezza dell’uomo, riaffermando insieme il ruolo da Cristo assegnato alla Chiesa e Sacramenti; mentre sottolinea con vigore l’opera di Dio, la necessità della fede, il Tridentino si appellò alla responsabile cooperazione dell’uomo nell’accogliere e corrispondere all’opera di Dio. Questo obiettivo risanamento dell’uomo peccatore è alle radici di un autentico umanesimo.

In questo contesto, Giovanni Paolo II pone nel massimo risalto l’insegnamento tridentino sul tema che ci sta a cuore:

«Altro frutto importante del concilio, che investe in maniera centrale e decisiva la vita di fede del popolo cristiano, è il decreto sull’Eucarestia.

Di fronte ad una prassi a volte poco illuminata, che aveva offerto ai riformatori l’occasione di porre in discussione il valore della Messa come sacrificio, il Concilio seppe formulare una teologia dell’Eucarestia, che ci appare ancor oggi sorprendentemente perspicua».

Il S. Padre, tra i decreti promulgati circa l’Eucarestia (sono tre: Presenza, nel 1551, Comunione, nel 1562, e Sacrificio, nel 1562), pone in grande risalto quello che più risolveva, nelle sue stesse radici, le difficoltà del secolo XVI, cioè il Decreto sul sacrificio della S. Messa; essa ripresenta in modo mirabile il Sacrificio della Croce, consumato una volta per sempre sul Calvario:

«Di quell’unico sacrificio la Messa è perenne ed efficace memoriale, e ne applica la virtù salutifera in remissione dei peccati».

Aggiunge Giovanni Paolo II:«A monte e a garanzia del realismo sacrificale della Messa, il concilio, in

una precedente sessione, la XIII, aveva sottolineato con espressioni precise ed

145 PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione, in EV 17, 744-817; Conferma ed Allegato, in EV 18, 1080-1095.

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inequivocabili (vere, realiter, substantialiter), la realtà della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche del pane e del vino».146

Seguendo questo schema di riflessioni storiche dogmatiche, riprendiamo ora il discorso sulla situazione ecclesiale del secolo, la prospettiva nominalista che rischiava di disarticolare tutto: grazia e natura, Dio e uomo, Chiesa, sacramenti, vita morale.

Esaminiamo anzitutto le difficoltà e le soluzioni, la nuova prassi eucaristica dei riformati, per poi esaminare la risposta e le chiarificazioni offerte dal Tridentino.

II.1.13 Contestazioni e nuova prassi della riforma: dal sacrificio della Messa alla Cena del Signore

La crisi di fede, sino al rifiuto rituale della Messa sacrifico, ha rappresentato il vero e consumato naufragio dell’unità cattolica, il segno evidente della lacerazione avvenuta.

Per capire quanto avvenuto, e quindi facilitare il dialogo ecumenico, la ricomposizione dell’unità cattolica, entriamo alquanto nella mens dei riformatori.

La Salvezza è dono, opera del solo Dio, per il Sacrificio della Croce: su questo la riforma presenta una forte sensibilità evangelica, secondo la perenne fede della Chiesa, e stimola la riflessione anche del Tridentino. Subentrano quindi le prospettive nominalistiche, che rendono difficile il dialogo Dio-uomo, grazia creata-increata, virtù infuse-vita morale, in una teologia di comunione.

Ne segue, come ricorda il S. Padre a Trento, «…una problematica reinterpretazione del ruolo dell’uomo religioso e della Chiesa»147.

Anche l’umanità di N. S. Gesù Cristo è sottoposta a notevole incomprensione nel suo ruolo salvifico, “strumentale”148; è come schiacciata sotto la Croce, salva sub contraria specie, con una certa tendenza all’irrazionale. Il sacrum commercium tra la persona filiale divina e l’uomo in Gesù, la communicatio idiomatum, sviluppata con sfumature diverse, introducono una certa confusione tra la natura umana e divina; Lutero accarezzerà un certo ubiquismo cristologico: Cristo uomo è presente ovunque, come lo è Dio.

146 GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione per il 450 anniversario dell’inizio del Concilio di Trento, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII,1 Lib. Ed. Vaticana 1997, pag 1995; La Documentation catholique, XCII (1995) n 2117, 539s

147 Ibidem148 Cfr. CONGAR, Y. , Luterana. Théologie de l’Eucharistie et Cristologie chez

Luther, in Rev. Sc. Ph. et Th. 66 (1982) 169-197.ID., Dottrine christologiques et thèologie de l’Eucharistie, in Rev. Sc. Ph. et Th. 66 (1982) 232-243.

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La Messa-sacrificio risulta un’opera buona umana, che contrasta la salvezza per il solo sacrificio della Croce, accolto nell’interiorità della fede fiduciale; è quindi da abolire, limitandosi al puro dato evangelico (?!) della Cena del Signore. Negata la Messa-sacrificio, risulta pure abolito il Sacerdozio ordinato, il valore propiziatorio della Messa per il perdono dei peccati, la Messa privata e quella in cui il solo sacerdote comunica…

Nella Cena del Signore, testamento con l’assicurazione del dono del perdono dei peccati, viene posto in risalto il sacramento, l’aspetto discendente di grazia da accogliersi con fede; e questo in separazione all’aspetto ascendente, del sacrificio di Cristo, che ci ha portato alla piena comunione col Padre.

Lutero si mostra anche disposto ad accettare in qualche modo la messa come sacrificio, ma solo come lode, ringraziamento del cristiano a Dio, intercessione; anche come ricordo, ma puramente soggettivo dell’unico sacrificio gradito al Padre, cioè la passione del Signore. Considera inoltre sacrificio il darsi di Cristo in comunione al cristiano nella Cena, anche il dono di carità del battezzato ai fratelli.

Condizione fondamentale di queste concessioni deve risultare la pari e assoluta capacità sacrificale del Prete e del laico nell’offrire il sacrificio di lode, nel ricordo soggettivo della Passione. Sull’inesistenza di un Sacerdozio ordinato per celebrare in persona Christi, secondo il “tipo di Cristo” il suo Memoriale, oggettiva ripresentazione del sacrificio della Croce, Lutero ha espressioni molto forti149.

A queste incertezze, errori circa il Sacrificio eucaristico, corrispondono incertezze, errori circa la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia: ci si salva per la fede fiduciale soggettiva, non per la ripresentazione oggettiva del corpo dato e del sangue versato, del Sacrificio unico nella celebrazione del Memoriale pasquale, nella fede della Chiesa apostolica e del credente in essa.

Entrando nella dottrina dei riformati circa la presenza del Corpo e del Sangue di Cristo, notiamo una notevole divaricazione di posizioni.

Lutero cerca di salvare una certa oggettività sostanziale, anzi la sua dottrina in proposito rappresenta un’eccezione al suo tendenziale soggettivismo.

149 Cfr. LUTERO, M. , Opere scelte, 7, Messa, sacrificio, e sacerdozio, Un sermone sul Nuovo Testamento, cioè sulla S. Messa (1520); Giudizio di M. Lutero sulla necessità di abolire la Messa privata (1521); La Messa privata e la consacrazione dei preti (1533), a cura di NITTI, S. , Claudiana, Torino 1995, 129 passim. ID. Scritti religiosi, a cura di VINAI, V. , UTET, 1967: Sermone sul venerabile sacramento del santo vero corpo di Cristo e sulle confraternite, 297-322; Messa in volgare e ordine del servizio divino, 653-672.

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Le parole consacranti “questo è il mio corpo” conservano una forza veramente efficace, in forza della celebrazione nella comunità dei credenti, riunita nel nome di Cristo, per accogliere la sua promessa.

Lutero, pur usando il termine di sostanza del corpo e del sangue, rifiuta la “transustanziazione” come indebito aristotelismo. Cristo è presente sostanzialmente nel pane, nel suo “uso”, la comunione, come dicono anche gli altri riformatori.

Per Lutero questo “uso” va al di là della comunione ricevuta con fede soggettiva, Cristo è qui per me; Cristo vi è presente per la fede della comunità nella sua promessa, il dono-testamento della Cena. Parla anche di comunione agli ammalati, quindi “uso” verrebbe ad indicare una celebrazione conforme alla volontà istitutiva di Cristo.

Si presentano subito restrizioni: non è sacrificale, non avviene per conversione della sostanza del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore; e quindi nel pane, con il pane, “impanazione”; inoltre per la comune presenza in ogni cosa dell’Umanità di Cristo, si tratterrebbe della comune presenza di Cristo in ogni pane, anche se qui, per la fede nella parola-promessa di Cristo so che è presente per me, per la comunità riunita.

Come osserva J. Lortz, non si può costruire una norma oggettiva solo su motivazioni e opinioni personali, soggettive e oscillanti, fare dipendere i contenuti dell’eucarestia da un Dottore privato150.

Calvino si oppone alla presenza in ogni luogo dell’umanità di Cristo: è solo in cielo, nella gloria del Padre, non è nell’Eucarestia. Essa ci permette di ascendere, nello Spirito Santo, al Cielo, ove c’è Cristo. Tutto si riassume nel sursum corda... A questa bella teologia dell’Ascensione non corrisponde il supporto di una teologia dell’Incarnazione, la presenza con Noi del Verbo incarnato, crocifisso e glorioso, per realizzare nella sua Pasqua l’ascensione al Padre151.

Zwingli afferma in modo molto più spiccato una pura concezione simbolica.La dimensione drammatica, realizzante la tristissima lacerazione della

Chiesa, di queste riduzioni dottrinali si manifesta quando diventano addirittura nuova prassi liturgica. Lex credendi e lex orandi celebrandi vengono ,in modo corrispondente, alterate: in contrasto con l’armonia tra la lex orandi e la lex credendi, come sempre si è realizzata nella Chiesa apostolica.

150 Cfr. LORTZ, J. , Storia della Riforma in Germania, vol. I, Jaca Book, Milano 1971, 425s.

151 Cfr. RATZINGER, J. - BEINERT, W. , Il problema della transustanziazione ed il significato dell’Eucaristia, ed. Paoline, Roma 1969,

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Nel tempo dei Padri apostolici, nello stesso substrato si sono formati il Simbolo battesimale apostolico, la Preghiera eucaristica, la Scrittura ispirata riconosciuta come tale dalla Chiesa apostolica; le decisioni dogmatiche sulla Cristologia avvengono nel contesto eucaristico, la sua verità celebrata e vissuta, come poi a sua volta la chiarificazione cristologica e pneumatologica (Nicea, Costantinopolitano I e III, Efeso e Calcedonia), influirà beneficamente per la completezza della Preghiera eucaristica: l’epiclesi pneumatologica... Fornirà anche la categoria corretta, sostanza, oÛs…a, per superare la crisi della teologia simbolica eucaristica, nel concilio Romano del 1079.

Ma ora una teologia riduttiva guida e forza una riforma liturgica, facendo violenza ai contenuti di fede del Canone, cioè la stessa lex orandi. Lutero, più ancora che organizzare direttamente, dovette accettare una radicale riforma liturgica attuata nel convento agostiniano di Wittenberg da un monaco agostiniano boemo, G. Zwilling, durante il suo ritiro nella fortezza della Wartburg (1521). Ma i suoi scritti Un sermone sul Nuovo Testamento, cioè sulla S. Messa, e La Cattività babilonese, ambedue del 1520, avevano preparato il terreno.

In quest’ultimo scritto denunciava tre abusi circa la S. Messa: il più orrendo era la concezione della S. Messa come opera buona, sacrificio che deroga all’unico sacrificio della Croce, inoltre il calice negato ai laici e la transustanziazione.

La nuova liturgia luterana trovava il suo testo nella Formula Missae del 1523: fermo restando che la struttura della liturgia della parola resta immutata come nel rito romano, la liturgia eucaristica, ancora in latino, si riduce all’offertorio, al dialogo del prefazio, seguito dal prefazio e dal racconto dell’ultima cena, dal canto del Sanctus e del Benedictus, il Padre nostro e la comunione sotto le due specie.

Più radicale la riforma della Deutsche Messe (1525), ad iniziare dalla lingua, il tedesco (Lutero ha già completata la buona traduzione del Nuovo Testamento). Si passa dalla liturgia della Parola alla Cena «...con una parafrasi catechistica del Padre nostro e con una esortazione a ricevere il Sacramento. Seguono le parole della consacrazione, nella recensione di Paolo-Luca: immediatamente dopo le parole sul pane c’è la comunione al corpo di Cristo, poi, recitate le parole sul calice, c’è la comunione al sangue di Cristo. Il racconto istitutivo viene cantato col tono del Vangelo. È conservata l’elevazione e durante

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la comunione si fanno dei canti appositi, tra i quali il Sanctus e l’Agnus Dei in tedesco152.

Così il canone viene praticamente soppresso, la liturgia eucaristica viene ridotta alle parole della consacrazione, o come dice Lutero al testamento di Cristo, e alla comunione; la preghiera eucaristica, non più percepita nei suoi contenuti, è come sostituita dal canto di lode della Comunità.

Contemporaneamente Zwingli inaugura la nuova pratica religiosa a Zurigo (1525), ed in modo ancor più radicale: La Cena, cioè il racconto dell’istituzione, e la comunione, avveniva quattro volte l’anno.

A Ginevra il testo di Calvino La forma delle preghiere e di canti ecclesiastici, con il modo di amministrare i Sacramenti e di consacrare il Matrimonio, secondo l’usanza della Chiesa antica, viene edito nel 1542; ma fin dal 1533 i riformati di lingua francese facevano riferimento ad un ordinamento del culto di G. Farel, dal titolo simile153.

La chiesa anglicana deve a Thomas Cranmer, col Libro della preghiera comune, nel 1549, una nuova liturgia eucaristica.

Cranmer sembra volere avvicinare tra di loro le teologie eucaristiche molto divergenti di Lutero e di Zwingli, da uomo colto, capace di riflessione indipendente per una notevole conoscenza della Scrittura e dei Padri. Ha sicuramente abbandonato su due punti la dottrina eucaristica cattolica: la concezione sacrificale, a somiglianza degli altri riformati, e la presenza corporale del Signore negli elementi per transustanziazione.

La nuova liturgia anglicana esprime questa duplice riduzione dottrinale, non con la soppressione del Canone, come avvenuto nelle chiese riformate del continente, ma con una diversa organizzazione delle preghiere. Per esempio, nella prima parte del canone si offrono a Dio le preghiere della comunità, e non i doni del pane e del vino; non si dà più l’elevazione dell’ostia e del calice. Nell’anamnesi si fa la memoria della passione e della risurrezione e ascensione di Cristo, ma non l’offerta dei doni eucaristici; ad essa si sostituisce l’offerta di

152 MAZZA, E., La celebrazione eucaristica., cit 282.; H.GRASS, Luther et la liturgie eucharistique, in B.Botte ed., Eucharisties d’orient et d’occident, (=Lex orandi 46), Cerf, Paris 1970, 135-149; TH. SUESS, L’aspect sacrificiel de la Sainte Cène a la lumière de la tradition luthérienne, ibidem, 151-170

153 FAREL, G. , aveva già nel 1524, a Neuchatel, pubblicato un’opera di riforma liturgica di analogo tenore: cfr. CALVINO, G. , Il piccolo trattato sulla S. Cena, nel dibattito sacramentale della riforma, a cura di TOURN, G. , Claudiana, Torino 1987, 53, nota 156.

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noi stessi, preghiere e suppliche. Si conclude con la Dossologia ed il Padre Nostro.

Per evitare un’interpretazione cattolica del canone semplicemente rimaneggiato, nel 1552 viene pubblicata una nuova messa anglicana, in cui il Canone non viene abolito, ma ulteriormente modificato, in modo che possa esprimere senza ambiguità la nuova dottrina eucaristica: fare memoria della morte di Cristo in Croce, l’unico sacrificio, e offrire a Dio noi stessi e le nostre preghiere, infatti la materia del sacrifico sono gli stessi credenti.

La recita dell’istituzione eucaristica non ha forza consacratoria sugli elementi, perché la loro santità risiede nel loro uso, e non nel pane e vino in se stessi.

Questo rito del 1552 conobbe qualche ritocco nel 1559, sotto la regina Elisabetta, con una indicazione più positiva della presenza di Cristo nel Sacramento. La tendenza, nelle complesse vicende politiche e religiose dell’Inghilterra e della Scozia, è verso un recupero dei contenuti cattolici del Canone.

Il Libro della Preghiera comune approvato dal Parlamento nel 1662, dopo la restaurazione della monarchia e della Chiesa anglicana, riprende la preghiera eucaristica di Cranmer, ma vi aggiunge delle rubriche, in cui la narrazione dell’Istituzione è presentata come Preghiera di consacrazione degli elementi.

Specialmente attraverso una migliore conoscenza delle preghiere eucaristiche orientali, fu composto e approvato dalla Chiesa anglicana nel 1928 un rito molto migliorato. Non fu votato dal Parlamento, ma influì sui canoni delle altre Chiese anglicane al di fuori del regno unito154.

Vedremo come con Arcic II (Anglican Roman Catholic International Commission), la convergenza eucaristica è riconosciuta completa, eccetto per quanto riguarda la custodia del SS. Sacramento.

Ma ritorniamo ora alla posizione presa dal Concilio di Trento in materia eucaristica.

II.1.14 L’insegnamento del Tridentino: Canoni e capitoli di dottrina. Il Decreto De SS. Eucharistia, della ses. XIII del 11/10/1551 ( testi :Appendice VI.8.1.)

Come risulta dal Proemio, il Concilio pone particolare attenzione a strappare gli abominevoli errori e scismi circa la dottrina della fede, l’uso ed il

154 Cfr. WYBREW, H. , La prière eucharistique dans la Tradition anglicane, in BOTTE, B. , ed.., Eucharisties d’orient et d’occident, (=Lex orandi 46), Cerf, Paris 1970, 181-197.

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culto della SS. Eucaristia, «proprio quell’Eucarestia che il nostro Salvatore ha lasciato nella sua Chiesa come segno della sua unità e della carità, con cui volle che tutti i cristiani fossero congiunti e uniti tra di loro» (DH 1635).

Poiché i canoni (DH 1651-1661) sono stati sottoposti a lunga discussione e contengono le prese di posizione di fede rispetto agli errori, iniziamo da essi, cercando poi nei Capitoli gli sviluppi dottrinali corrispondenti.

Can. 1 - DH 1651. Nel SS. Sacramento è contenuto vere, realiter, substantialiter il Corpo ed il Sangue di Cristo, tutto Cristo: è anatema chi lo negasse, come anche chi affermasse che è presente solo in signo, vel figura, aut virtute.

Vere, realiter e substantialiter definiscono la presenza del corpo e del sangue in modo inequivocabile: non è sufficiente vere, che può essere anche di un concetto nella mente; non basta la specificazione del realiter, che può riguardare un’azione, un’efficacia: qui la verità e l’efficacia sono dovute ad una presenza oggettiva, sostanziale, secondo l’essere proprio qui esistente, del corpo dato e del sangue versato del Signore glorioso.

Il cap. 1 della dottrina (DH 1636), sviluppa tale insegnamento: lo stesso N. S. Gesù Cristo sempre siede alla destra del Padre “secondo il suo modo di essere naturale”, e nondimeno è presente a noi, in molti altri luoghi, sacramentalmente, sotto l’apparenza delle specie sensibili, con la sua sostanza.

Un modo di esistenza difficile per noi ad esprimersi, ma che dobbiamo fermamente credere come possibile a Dio con una riflessione illuminata dalla fede.

Il cap. 2 (DH 1638) parla della ragione, motivo dell’istituzione di questo santissimo sacramento: lasciare a noi, mentre ritorna al Padre, le richezze del suo amore, nel memoriale della sua passione; perché fossimo alimentati e fortificati da questo cibo spirituale, vivendo della sua vita, ricevendo l’antidoto per essere liberati dalle colpe quotidiane e preservati dai peccati mortali; per ricevere un pegno della gioia eterna e «persino un simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo (cfr. 1Cor 11,3; Ef 5,23), e a cui volle che noi fossimo congiunti come membra dal vincolo strettissimo della fede, speranza e della carità, perché fossimo tutti unanimi nel modo di parlare e non vi fossero divisioni tra di noi (cfr. 1Cor 1,10)».

Il Can. 2 (DH 1652) afferma la mirabile e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo e di tutta la sostanza del vino nel Sangue, mentre rimangono soltanto le specie del pane e del vino. La Chiesa in modo appropriatissimo chiama transustanziazione tale conversione; chi nega tale

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mirabile e singolare conversione e afferma che rimane la sostanza del pane e del vino, è anatema.

Il cap. corrispondente, il 4, DH 1642, espone la dottrina con tre affermazioni “progressive”, collegate:

dato rivelato fondamentale: nel suo memoriale Cristo ha detto che era veramente suo corpo quello che offriva sotto la specie del pane

ne segue la continua persuasione della Chiesa, che il S. Concilio di nuovo dichiara: «attraverso la consacrazione del pane e del vino si compie la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo N. S., e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue».

e questa conversione fu dalla Chiesa Cattolica convenientemente e propriamente chiamata transustanziazione. Qui il concilio ha consapevolezza del fatto storico, che mentre sin dai tempi apostolici si parla con evidenza della trasformazione del pane e vino nel Corpo e Sangue del Signore, ed è molto precoce l’uso della categoria sostanza (creatura, natura), la categoria transustanziazione risulta più recente, degli inizi del II millennio.

La transustanziazione, indicando con chiarezza la conversione di tutta la sostanza del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore, viene usata dal magistero recente con intensificata predilezione. La Mysterium fidei di Paolo VI (3/9/1965) fa addirittura un passo avanti rispetto al Tridentino: rivela un legame causale tra la transustanziazione e la presenza reale:

«Cristo non si fa presente in questo sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue» (EV, II, 455).

«Il Credo di Paolo VI fa un ulteriore passo avanti ponendo un legame necessario tra transustanziazione e presenza reale: “Christus non aliter praesens fieri potest quam per conversionem totius substantiae panis in eius corpus et per conversionem totius substantiae vini in eius sanguinem”(Cristo non può farsi presente in altro modo che per la conversione di tutta la sostanza del pane nel suo corpo e per la conversione di tutta la sostanza del vino nel suo sangue) (n. 25)» (EV, III, 267-269).

Questa era la posizione di S. Tommaso d’AQUINO.(S.Th. III, 75, 2 in c)155.Il Magistero di Paolo VI esprime un chiaro indirizzo a favore della dottrina

di S. Tommaso, ma non per questo vuole sciogliere la legittima discussione teologica tra gli autori del sec. XIV e anche del sec. XVII.

«Oltre al vincolo tra “presenza reale” e “transustanziazione”, la Mysterium fidei rivela un altro legame, connesso con la controversia “transustanziazione-

155 LIGIER, L., Il Sacramento dell’Eucarestia. cit., 237.

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transfinalizzazione”, dando la precedenza ontologica alla prima riguardo all’altra: “Avvenuta la transustanziazione, le specie del pane e del vino senza dubbio acquistano un nuovo significato ed un nuovo fine, non essendo più l’usuale pane e l’usuale bevanda, ma il segno di un alimento spirituale; ma intanto acquistano un nuovo significato ed un nuovo fine, in quanto contengono una nuova realtà, che giustamente denominiamo ontologica”» (EV, II, 457)156.

Paolo VI, pur accogliendo benevolmente la più recente filosofia fenomenologica e simbolica, che sottolinea la transignificazione e transfinalizzazione degli alimenti eucaristici, vuole assicurare un frutto sicuro e senza ambiguità di tale intelligenza teologica del nuovo significato e fine, fondandoli nella stessa novità ontologica, per transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore.

In tale modo i frutti, fini del sacramento (unità nella carità del corpo ecclesiale, configurazione delle persone a Cristo) vengono non solo simbolizzati, significati, ma realizzati dalla stessa presenza corporale del Crocifisso glorioso nella pienezza del suo dono per noi157.

Ma torniamo al Tridentino, al Decretum de SS. Eucharistia:: il Can. 3 (DH 1653) afferma che Cristo è contenuto tutto intero in ognuna delle due specie ed in ogni parte di ciascuna specie, quando venisse divisa; nel Can. 4 (DH 1654) si anatematizza chi sostenesse che il corpo ed il sangue del Signore vi sono solamente durante l’uso (la comunione), ma né prima, né dopo nelle ostie consacrate che si conservano.

Nel cap. 3 (DH 1639-1641) si danno le motivazioni: negli altri sacramenti, Cristo, autore della santità, agisce quando vengono “usati”; invece nell’Eucarestia è presente lo stesso autore della santità, prima dell’uso, la comunione.

Le parole di Cristo, usate nella consacrazione, dichiarano che sotto la specie del pane vi è il corpo e che sotto la specie del vino vi è il sangue, ma trattandosi del Crocifisso glorioso, «in forza di quella naturale unione e concomitanza, per cui le parti del Cristo Signore, che ormai è risorto dai morti e non muore più (cfr. Rm 6,9), sono unite tra di loro; lo stesso corpo è sotto la specie del vino, e il sangue dotto la specie del pane, e l’anima sotto l’una e l’altra specie. Inoltre la divinità è presente per quella sua ammirabile unione ipostatica col corpo e con l’anima».

156 Ibid., 237s.157 Cfr. per tutta questa interessante riflessione teologico-filosofica: ibid., 220-

251.

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Ne segue l’adorazione con il culto di latria anche esteriore (can. 6 e cap. 5), la riserva eucaristica (can. 7 e cap. 6).

Il Cap. 7 ed il can. 11, trattano della preparazione necessaria per ricevere degnamente la SS. Eucarestia: la previa confessione dei peccati mortali, se vi è un confessore.

Il Cap. 8, ed i can. 8-10, parlano dell’uso di questo mirabile sacramento, per riceverlo con frutto sacramentale e spirituale, dell’obbligo di riceverlo almeno a Pasqua.

«Per ricevere sacramentalmente la comunione è sempre stata tradizione nella Chiesa di Dio che i laici la ricevessero dai sacerdoti, mentre i sacerdoti celebranti si comunicano da sé. Quest’uso deve essere a buon diritto e con ragione conservato in quanto deriva dalla tradizione apostolica» (DH 1648).

Molto bella la conclusione del Decreto:«Infine questo S. Sinodo con affetto paterno esorta, prega e scongiura,

“grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio” (Lc 1,78), che tutti i singoli cristiani una buona volta si uniscano e siano concordi in questo “segno di unità”, in questo “vincolo di carità”, in questo “simbolo di concordia”; e che memori della maestà così grande e dell’amore incomparabile di Gesù Cristo N. S. che ha dato per noi la sua vita diletta come prezzo della nostra salvezza e la sua carne come cibo (cfr. Gv 6,48-58), credano e venerino questi sacri misteri del suo corpo e del suo sangue con una fede così ferma e solida, con tale devozione dell’anima, con tale pietà e venerazione, da poter ricevere frequentemente quel pane supersostanziale (cfr. Mt 6,11), che sarà davvero per loro vita dell’anima e perpetua sanità della mente. Fortificati dal suo vigore (1Re 19,8), da questo triste pellegrinaggio possano giungere alla patria celeste, dove potranno mangiare, senza alcun velo, quello stesso “pane degli angeli” (Sal 78,25), che ora mangiano sotto le sacre specie» (DH 1649).

II.1.15 Dottrina e canoni Comunione sotto le due specie e comunione dei fanciulli: sessione XXI, del 16/7/1562

Si fanno le applicazioni pastorali a quanto definito nel Decreto precedente: essendo Cristo tutto sotto ogni specie, non vengono defraudati di alcuna grazia necessaria per la salvezza coloro che si comunicano sotto una sola specie; laici e chierici non celebranti non sono obbligati per disposizione divina, a comunicarsi sotto le due specie (DH 1726s.1731-1733).

La Chiesa ha il potere di stabilire e mutare nell’amministrazione dei sacramenti, “fatta salva la loro sostanza, quegli elementi che ritenesse più utili per chi li riceve, o per la venerazione degli stessi sacramenti, a secondo delle

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diversità delle circostanze, dei tempi e dei luoghi”; così “approvò la consuetudine di comunicare sotto una sola specie e decretò che fosse una legge vera e propria, che non è lecito riprovare o cambiare a piacere, senza l’intervento dell’autorità della Chiesa stessa” (DH 1728).

Parimenti i bambini prima dell’uso della ragione non sono obbligati a ricevere il sacramento dell’Eucarestia, perché non possono perdere la grazia che hanno ricevuto con il Battesimo e l’incorporazione alla Chiesa. Non si condannano i Padri santissimi che nell’antichità hanno comunicato i bimbi neobattezzati, “dovettero avere un motivo plausibile… per agire così” (DH 1730.1734).

II.1.16 Dottrina e canoni sulla Messa sacrificio: sessione XXII del 17/9/1562 (testi :Appendice VI.8.2 )

Già nell’agosto 1547 a Bologna i Teologi del Concilio iniziarono la discussione sugli articoli dedotti dalle opere dei riformatori.

Lutero prevedeva che sul sacrificio della S. Messa “il concilio suderà e si esaurirà”. «La predizione non si realizzò, ma non era del tutto falsa: infatti come per la giustificazione e la penitenza, anche per il sacrificio della Messa il concilio si vide di fronte a questioni che non erano state trattate a fondo né nella tarda scolastica e nemmeno nella teologia controvertistica»158.

Discussione ripresa a Trento nel dicembre del 1551, elaborati e discussi canoni e dottrina, ma, anche per l’accoglienza fatta ai teologi riformati di Wittemberg e Sassonia, non si arrivò alla definizione, ed il Concilio venne sospeso nell’aprile del 1552.

Si riprese la discussione degli articoli sospetti dei riformati nel luglio del 1562. In tutte le discussioni avvenute nei tre periodi interessati, non si levò mai voce che dubitasse che la Messa era sacrificio, e che il Signore Gesù avesse dato, comandato di celebrarla: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19; 1Cor 11,23ss).

Le difficoltà erano teologiche, perché mai la teologia si era impegnata fondo sulle relazioni Croce-Messa; il senso del memoriale biblico si era un poco oscurato, e la passione era piuttosto percepita attraverso una certa drammatizzazione dei riti. Poiché era evidente che nella Messa si realizzava il mandato del Signore di fare il memoriale-cena come Lui aveva fatto, sorgeva la questione come la Cena del Signore poteva essere un Sacrificio, in relazione all’unico sacrificio della Croce.

158 JEDIN, H. Storia del concilio di Trento, vol. III: Il periodo bolognese (1547-48), Il secondo periodo tridentino (1551-52), Morcelliana, Brescia 1973, 479.

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Il testo approvato e definito esprime una grande maturità in una sintesi stringata. Anche i capitoli di dottrina, insieme ai canoni, furono oggetto di prolungata discussione.

Nel can 1. (DH 1751) si definisce: nella Messa si offre a Dio un vero e proprio sacrificio; offrire non significa solo dare Cristo a mangiare, la comunione.

Il cap. 1, L’istituzione del sacrificio della Messa, offre la dottrina sviluppata, concentrata in particolare nel secondo periodo, (DH 1740), un periodo mozzafiato per la complessità delle subordinazioni, che merita un attento esame:

inizia con una concessiva, etsi: si è tutti d’accordo, riformati e cattolici, che Cristo si è offerto una sola volta sulla Croce per realizzare una redenzione eterna

con un tuttavia, quia tamen, si introducono tre proposizioni finali, che preparano le tre proposizioni principali che concludono il periodo:

ut relinqueret: Cristo al fine di lasciare alla sua diletta sposa un sacrificio visibile, come esige la natura umana

ut repræsentaretur, eiusque memoriam in fine sæculi permaneret: affinché venisse ripresentato quel sacrificio cruento da compiersi una volta per tutte sulla Croce, e ne rimanesse la memoria sino alla fine dei secoli

ut applicaretur: affinché si applicasse la salutare efficacia della Croce in remissione dei peccati che commettiamo ogni giorno

si giunge così alle tre proposizioni principali:obtulit: offrì a Dio suo Padre il suo corpo ed il suo sangue sotto le specie

del pane e del vino, secondo il nuovo sacerdozio eterno, l’ordine di Melchisedektradidit: li diede (corpo e sangue) in comunione agli Apostoli, che allora

costituiva sacerdoti del NTpræcipit: comandò ad essi e ai loro successori nel sacerdozio che li

offrissero, con le parole “fate questo in memoria di me”.In sintesi: Cristo, unico sacerdote, capace di tutti santificare, portare a

perfezione, sulla Croce, una volta per tutte si è offerto al Padre, per la redenzione eterna; ha lasciato alla Chiesa sua sposa, un sacrificio visibile, in modo conforme alla natura dell’uomo, per ripresentare-fare memoria, applicare i frutti dell’unico sacrificio della croce.159

L’ultima cena è un vero sacrificio, perché in essa ha offerto al Padre il suo corpo ed il suo sangue, sotto le specie del pane e del vino. Comunicandoli agli

159 Cfr GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit, 560-565

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apostoli li costituì sacerdoti del NT, e diede ordine di celebrare questo sacrificio-memoriale in sua memoria.

Che abbia istituito gli Apostoli sacerdoti con le parole “fate questo in memoriale di me” e che abbia ordinato loro e altri sacerdoti di offrire il suo corpo ed il suo sangue, viene inoltre definito nel can. 2, (DH 1752).

La conclusione del cap. 1 (DH 1741) esprime una corretta comprensione del memoriale biblico della pasqua ebraica; Cristo, nell’ultima cena ha istituito il memoriale della nuova Pasqua, il suo passare da questo mondo al Padre, se stesso da immolarsi dalla Chiesa, per mano dei sacerdoti sotto i segni visibili.

Questo sacrificio puro è la perfezione e la consumazione dei sacrifici dell’AT e delle religioni di natura (DH 1742).

Per assicurare quanto già detto circa la Messa come vero sacrificio, il concilio ribadisce l’identità del Sacrificio della Croce e della Messa, lo stesso sacerdote e la stessa vittima, solo diverso è il modo di offrire:

can. 3 (DH 1753): la Messa è sacrificio propiziatorio, non è soltanto sacrificio di lode, ringraziamento o semplice commemorazione soggettiva del Sacrificio realizzato sulla Croce; per questo motivo giova non solo a chi si comunica; e deve essere offerto per i vivi, i defunti, i peccati, pene, soddisfazioni e le altre necessità.

Nel cap. 2 (DH 1743) si danno le motivazioni: la Messa è sacrificio propiziatorio perché in essa è contenuto ed incruentemente immolato lo stesso Cristo che sulla Croce si è offerto cruentemente.

Il sacrificio della Messa non giova solo a chi ne partecipa con la Comunione, che è certo desiderabile, per riceverne frutti più abbondanti, come insegna il cap. 6 (DH 1747); infatti con una devota partecipazione al sacrificio, anche senza comunione sacramentale, si ottiene il dono della conversione per il perdono dei peccati e crimini anche ingenti. Tale dono di conversione deve poi essere portato necessariamente ad efficacia sacramentale nel Sacramento della Penitenza (DH 1706-1707).

Can. 4 (DH 1754): il sacrificio della Messa non toglie nulla al sacrificio della Croce. Spiega infatti il cap. 2 che si tratta della stessa vittima, lo stesso offerente, in modo cruento sulla Croce, in modo diverso nella Messa, per il ministero dei sacerdoti; non toglie nulla alla Croce, anzi la rende presente, con i suoi frutti ricevuti in abbondanza nella Messa.

Negli altri canoni e capitoli si chiarificano le questioni agitate in quei tempi (can. 5 e cap. 3): si approvano le Messe in onore dei Santi, precisando che il Sacrificio si offre a Dio, ringraziandolo per le loro vittorie, corone, implorando la loro protezione.

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Can. 6 e cap. 4: il Canone romano non contiene errori, anzi innalza a Dio la mente degli offerenti il sacrificio della Messa, con “effluvi” di grande santità e pietà.

Can. 7 e cap. 5: paramenti, cerimonie e riti della Messa servono a rendere più evidenti la maestà di sacrificio così grande, per indurre le menti dei fedeli alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo sacrificio.

Can. 8 e cap. 6: si esprime ancora il desiderio che i fedeli si comunichino in ogni Messa, non solo nel desiderio, ma anche sacramentalmente; quando ciò non avviene, e si comunica solo il sacerdote celebrante, la Messa possiede ancora un carattere ecclesiale, viene offerta infatti per tutti i fedeli che appartengono al corpo di Cristo. Tali Messe, dette allora private, non sono né illecite, né da abolire.

Nel can. 9 e nei cap. 7-8 si tratta ancora dei riti della Messa: opportunità di mescolare acqua nel vino dell’offerta, sia perché dal fianco aperto del Signore uscì sangue ed acqua (Gv 19,34), sia per significare l’unione del popolo fedele con Cristo capo.

Quanto alla lingua della Messa, si condanna chi dicesse che deve essere celebrata solo nella lingua del popolo; non vi è quindi nessuna preclusione all’uso attuale.

Neppure è da condannare l’uso corrente sino alla riforma del Vaticano II, cioè di recitare il Canone, dopo il Sanctus, in segreto. Le motivazioni di questo uso, nella Chiesa romana, si pensa tardivo, fine del primo millennio, sono difficili ad essere precisate: una influenza orientale? il canto del coro che copre la voce del Celebrante? In ogni modo si introduce una concezione della celebrazione, come discesa della divinità sull’altare, presenza dei divini Misteri160. Notiamo che il Tridentino chiede di non condannare una prassi

160 Cfr. NOCENT, A. , Storia della celebrazione dell’eucarestia, in Anamnesi, 3/2, La liturgia eucaristica: teologia e storia della celebrazione, Mariti, Casale Monferrato 1983, 244s.Cfr LOSSKY, A., La proclamino de prières eucharistiques a haute voix : un enjeu ecclésiologique, in BRAGA, C. et PISTOIA, A., ed., Les mouvements liturgiques, B.E.L. (‹‹subsidia›› n 129), C.L.V. ed. Liturgiche, Roma 2004, 196-204, ricorda la legislazione bizantina di Giustiniano, che nel 565 domanda ‹‹ che i vescovi e i preti pronuncino a voce alta la preghiera dell’anafora, per introdurre i membri dell’assemblea ad una più grande compunzione e alla glorificazione del Maestro››(200). Fa notare inoltre come, nella ricostruzione di S. Sofia, lo stesso Giustiniano volle una struttura architettonica bassa, con colonne, che non costituisse una totale separazione tra Altare e popolo, per facilitare l’ascolto e la comunicazione tra celebrante ed assemblea:. L’iconostasi, che separa nettamente gli ambiti, risulta posteriore, influsso slavo accolto anche a Bisanzio.

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introdotta, e così riconosce che si può fare diversamente, come nella riforma del Vaticano II. Rimane viva la questione delle relazioni tra parola proclamata e silenzio, per fruttuosamente celebrare e vivere la pasqua del Signore.

II.2 MISTAGOGIA DELLA PRESENZA SACRIFICALE, NEL TRIDENTINO E NEL VATICANO II.

In questa seconda parte ci siamo interessati della questione dogmatica che soprattutto ha impegnato l’alto Medioevo sino al Tridentino, la Presenza sostanziale del Signore nell’Eucaristia: la presenza del Corpo dato e del Sangue versato, una presenza sacrificale. Ricordiamo come questa presenza unica del Crocifisso-Risorto avesse già guidato tutta l’operazione liturgica della formazione della Preghiera eucaristica, come ha poi normato tutti gli interventi chiarificatori a sua protezione, del Magistero della Chiesa dall’inizio del II Millennio sino al Tridentino.

Un dato forte, rivelato, che assicura la qualità vera della Chiesa, della vita cristiana, così fondamentale, necessario, che quando viene posto in crisi, in passaggi culturali e di intelligenza della fede delicati, il pensiero cristiano reagisce fortemente sotto la guida autorevole del Magistero. Lo constateremo ancora, in modo più sistematico, nella prospettiva sacrificale che ora affronteremo.

Vorrei ora, quasi a conclusione di questa parte storica, con lo sguardo rivolto alla Riforma liturgica del Vaticano II, trarre alcune indicazioni per favorire una fruttuosa Mistagogia dell’Eucaristia, l’interesse che perseguiamo in tutte le tappe del nostro percorso teologico.

Che relazione evidenziare tra Presenza sostanziale , sacrificale e Mistagogia ?

Una relazione fondamentale, sempre attiva, qualificante l’operazione mistagogica, i suoi frutti : Mistagogia significa introdurre nella ‹‹densità›› del Mistero, nella Celebrazione e nella Vita che ne proviene. Nell’Eucaristia il Signore è presente in modo unico, sostanziale, sacrificale per introdurci nella sua relazione filiale vissuta, pregata, al Padre, per i fratelli, realizzare l’unità, carità della Chiesa.

RATZINGER, J., Introduzione allo spirito della liturgia, cit, nel proporre una proclamazione della Preghiera eucaristica che, supposta la sua conoscenza dall’Assemblea, contempli momenti di voce sommessa, per una interiorizzazione, accoglienza consapevole del Mistero, ricorda come questa fosse la prassi di Gerusalemme, e questo in tempi remoti : 210s.

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Una corretta operazione mistagogica richiede molteplici attenzioni, in quanto la presenza unica, sostanziale e sacrificale proietta luce nuova sul Vescovo-sacerdote celebrante, la Preghiera eucaristica, la S.Scrittura annunciata, la comunità battesimale riunita, la solidarietà verso i poveri. Tutte articolate presenze del Signore, in relazione a quella unica, la più intensa , centrale del Corpo dato e de sangue versato. Una fruttuosa mistagogia si nutre di tutte queste presenze, per vivere tutto la qualità cristiana della nostra esistenza personale e sociale.

Questo sarà il nostro impegno nella terza parte, notando come nei tempi più recenti teologia e Magistero porranno in risalto tali articolate presenze, con grande frutto dell’operazione mistagogica.

Infine qualche osservazione, suscitata dagli ultimi canoni del Tridentino esaminati, riguardanti ritualità., gesti, vesti, lingua, parola e silenzio; tutte dimensioni che dobbiamo evidentemente vivere ora secondo le norme liturgiche del Vaticano II e del Messale di Giovanni Paolo II. Ma tutto questo doveroso aggiornamento, molteplice, ampio deve poter meglio esprimere il cuore palpitante della più intensa presenza del Signore, sostanziale sacrificale.

Una completa Mistagogia deve ricercare ‹‹il decoro della celebrazione eucaristica››; è questo il titolo del capitolo quinto dell’enciclica ‹‹Eccelsia de Eucharistia.161

Soluzioni pastorali liturgiche di grande sensibilità risultano in definitiva inconcludenti, anche dannose, se lavorano in superficie : un Mistagogia che non va al cuore del Mistero della fede, non può introdurre ad esso, non può quindi fruttificare la qualità vera della Chiesa e della vita cristiana.

161 Anche RATZINGER, J. , Introduzione allo spirito della liturgia, cit. Ne tratta ampiamente nella parte II III, IV.

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IIIEUCARISTIA: SACRIFICIO DI CRISTO E DELLA SUA CHIESA, PER LA COMUNIONE, LO STILE PROPRIO

DI VITA CRISTIANA

III.1 L’EUCARESTIA SACRIFICIO DI CRISTO E DELLA CHIESA

Rappresenta il punto di partenza obbligatorio per ogni riflessione sistematica: l’eucarestia è anzitutto Sacrificio: lo vediamo nella costante fede della Chiesa, lo mette in risalto un documento recente, la lettera apostolica Dominicæ cenæ al n. 9:

«L’Eucarestia è soprattutto sacrificio: sacrificio della redenzione, e al tempo stesso, sacrificio della nuova alleanza, come crediamo e come chiaramente professano le Chiese di Oriente: “Il sacrifico odierno, ha affermato secoli fa la Chiesa greca, è come quello che un giorno offrì l’unigenito incarnato Verbo, viene da Lui (oggi come allora) offerto, essendo l’identico e unico sacrificio”162. Perciò è proprio col rendere presente quest’unico sacrificio della nostra salvezza, che l’uomo ed il mondo vengono restituiti a Dio per mezzo della novità pasquale della redenzione. Questa restituzione non può venire meno: è fondamento della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. Se venisse a mancare si dovrebbe mettere in causa sia l’eccellenza del sacrificio della redenzione, che pure fu perfetto e definitivo, sia il valore sacrificale della S. Messa. Pertanto l’Eucarestia, essendo vero e proprio sacrificio, opera questa restituzione a Dio»163.

Anche nell’‹‹ Ecclesia de Eucharistia ›› Giovanni Paolo II ribadisce il dato rivelato tradizionale dell’Eucaristia sacrificio:

«Istituendolo [ il Sacramento eucaristico ], Egli non si limitò a dire ‹‹questo è il mio corpo››,‹‹ questo è il mio sangue››, ma aggiunse ‹‹ dato per voi….versato per voi››(Lc 22,19-20). Non affermò soltanto che ciò che dava loro da mangiare e da bere era il suo corpo ed il suo sangue, ma ne espresse anche il valore sacrificale, rendendo presente in modo sacramentale il suo sacrificio, che si sarebbe compiuto sulla Croce alcune ore dopo per la salvezza di tutti» ( n 12).164

162 Synodus costantinopolitana adversus Sotericum (mensibus ianuario 1156 et maio 1157) :ANGELO MAI , Spicilegium romanun, t. , Romae 1844, 77; PG 140,190.

163 Dominicæ cenæ, in EV VII, n.190, 197.164 Anche la Mane nobiscum Domine n 15, lettera apostolica per l’Anno

eucaristico afferma :” Non si può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha anche

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Cercheremo una intelligenza sistematica della S. Messa come sacrificio, in più prospettive

° partendo dalla problematica della Teologia post-tridentina sul costitutivo specifico della Messa in quanto sacrificio distinto dalla Croce, svilupperemo la teoria sacramentale della Messa: sacrificio della Croce, dal Signore stesso sacramentalizzato nel memoriale della cena, perché sia partecipato dalla Chiesa.

° partendo dalla problematica odierna sullo stesso concetto di sacrificio, cercheremo l’intelligenza della fede sullo specifico proprio del sacrificio della Messa, in relazione ai sacrifici delle Religioni, dell’esistenza umana.

Queste considerazioni creano il contesto del dialogo ecumenico; sappiamo infatti che su questa realtà salvifica si è consumato l’evento più tragico della storia della Chiesa, la frattura della Riforma del XVI sec. Vedremo come la dottrina attuale circa :Le presenze di Cristo alla sua Chiesa, ed il vertice “sostanziale sacrificale” dell’Eucarestia nel dialogo ecumenico., possa offrire un ulteriore aiuto nel lungo cammino verso la piena Unità.

Penso sia opportuno, per ordinare le nostre riflessioni sistematiche, presentare una descrizione generica del sacrificio: «In ogni sacrificio c’è sempre un dono (oblazione), che elimina (immola) un ostacolo, per stabilire tra le persone una più stretta unione (comunione)»165. Sempre nella consapevolezza che l’Eucaristia è sacrificio in senso unico, la novità donata da Dio alla sua Chiesa : talmente unico che non si può racchiudere in definizioni generiche; piuttosto sono in Lui fondate, trovando in Lui una inaudita realizzazione, sulla misura di Dio.

III.1.1 Problematica post-tridentina.Trento definisce che la Messa è “sacrificio vero e proprio”, distinto da

quello della Croce, benché unito e del tutto relativo ad esso. Secondo lo stile proprio di un Concilio che conferma la dottrina della fede in situazione di crisi, ma non sviluppa ampia intelligenza teologica, il Tridentino non specifica in cosa consiste tale sacrificio eucaristico; pur asserendo che Cristo è immolato in modo incruento nella Messa, non determina il costitutivo di questa immolazione.

un senso profondamente e primariamente sacrificale. In esso Cristo ripresenta a noi il sacrificio attuato una volta per tutte sul Golgota”; Sacramentum caritatis n 9 ‹‹ EUCARISTIA :GESU’ VERO AGNELLO PASQUALE. La nuova ed eterna alleanza nel sangue dell’Agnello.

165 QUARELLO, E., , Il sacrificio di Cristo e della sua Chiesa, Queriniana, Brescia 1970, 13.

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Certo offriva la chiave per la soluzione di tali problemi teologici rinnovando la corretta intelligenza della cena Memoriale della Croce, che ripresenta alla Chiesa, perché ne partecipi, ne riceva i frutti.

L’intelligenza del Memoriale, che sacramentalizza, rende presente nei segni sacramentali efficaci voluti dal Signore, la sua Croce, poteva trovare qualche difficoltà nella distanza di ben undici anni, che separa la sezione 13, che definisce nel Decreto sul sacramento dell’Eucarestia, la presenza vera, reale e sostanziale del corpo dato e del sangue versato (11 Ottobre 1551), e la sessione 22, che definisce la dottrina ed i canoni sul sacrificio della Messa (17 Settembre 1562). In verità, la previa affermazione della presenza vera, reale e sostanziale del corpo dato e del sangue versato rappresenta un grande aiuto; è reso presente in modo unico non un generico Corpo e Sangue, ma un corpo dato ed un sangue versato; come ricorda la Mane nobiscum Domine, tutte le dimensioni dell’Eucaristia, anche quella Sacrificale, si riannodano, trovano il significato proprio, nell’‹‹aspetto che più di tutti mette alla prova la nostra fede : è il mistero della presenza reale››(n 16)

III.1.1.1 Prospetto delle teorie post-tridentineI teologi post-tridentini, continuando l’investigazione di Isidoro che

spiegava il sacrificio come un “fatto sacro” (sacrum-factum), si impegnano ad indagare l’operato specifico, sacro, che distingue l’Eucarestia dalla Croce.

-Taluni ricercano nella prospettiva di un mutamento, equivalente all’immolazione della Croce

-altri nella prospettiva della sola oblazione-altri cogliendo nella semplicità dell’indirizzo del Tridentino il tema del

memoriale, preparano la cosiddetta teoria sacramentale.Immolazionisti:

Suarez S.J. (+1617) sottolineava il mutamento reale della transustanziazione degli elementi;

S. Roberto Bellarmino SJ (+1621) vedeva il mutamento, immolazione di Cristo, nella distruzione della sua presenza reale nella comunione. Altri, come

L. Lessio S.J. (+1623) parlavano di immolazione virtuale, in quanto le parole consacratorie avrebbero effetto di mettere a morte Cristo, se ne fosse ancora capace. Altri come

J.B.Franzelin (+1886), cardinale S.J., pensavano ad un annientamento morale, perché l’atto eucaristico pone Cristo in uno stato di impotenza, non può ne muoversi né parlare.

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Oblazionisti: M. Lepin, L’idée du sacrifice de la Messe, Paris 1926, trova lo

specifico del sacrificio nell’oblazione fatta da Cristo reso presente dalla transustanziazione.

M. De La Taille S.J., Mysterium fidei, Paris 1931, la Messa è costituita sacrificio dalla oblazione liturgica fatta dalla Chiesa, della stessa oblazione di Cristo fatta sulla Croce, ed ormai gloriosa.

Riportiamo da L. Ligier, la valutazione di queste teorie:«Elaborate dopo Trento, e prolungate sino ai nostri giorni, queste teorie

avevano il merito:a) di discernere, nella struttura interna dell’evento eucaristico, qualche

atto che lo qualificava come sacrificio vero, distinto da quello della Croce;b) di essere concordi con le affermazioni tridentine sulla presenza reale e la

transustanziazione.Presentavano però gravi disagi:A) la loro speculazione partiva da un concetto prestabilito, troppo generico,

di sacrificio, costituito da “oblazione” e “immolazione” (o suo equivalente). Perciò per ritrovare l’uno o l’altro nella Messa, arrivavano ad argomentazioni troppo materiali (Suarez), accomodatizie (Bellarmino), vuote (Lessio); o ad analisi poco adatte al caso (Lepin);

B) in conseguenza tralasciavano l’elemento principale, presente nella tradizione antica, cioè l’anamnesi, memoriale, della passione e morte del Signore;

C) elaborate dopo Trento, esse portavano la pesante ipoteca del Concilio riguardo all’Eucarestia: separazione esagerata tra il tema del sacramento e quello del sacrificio»166.

Notiamo anche i precursori della teoria sacramentale, come Vasquez S.J. (+1604), e il Card. Billot S.J. (+1931) che vedendo l’operato sacro, il sacrificio, nella separazione delle specie; entravano nella semplicità del Tridentino, in considerazioni più attente alla struttura del memoriale.

I più recenti studi sul Mysterium-sacramentum, Segno profetico vigiliare, il Memoriale facilitano l’esposizione della teoria sacramentale del sacrificio. Ci lasciamo in questo ispirare dalla riflessione liturgico-teologica di L. Ligier.167

166 LIGIER, L., Il sacramento dell’Eucarestia, 354s.167 Ibidem 334-336. 355-375.

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III.1.1.2 La teoria sacramentale del sacrificio della Messa.L. Ligier parte dalla rivelazione biblica: la Croce del Signore è resa

presente nel Memoriale della sua Pasqua: la sua preghiera di ringraziamento al Padre, alimenti, gesti e parole.

Compie quindi una duplice ricerca: a) individuare nella struttura del Memoriale istituito dal Signore i segni, parole che efficacemente sacramentalizzano il Sacrificio della Croce, lo pongono in risalto;

b) per poi ricercare, presentare l’essenza teologica del sacrificio così reso presente, sacramentalizzato.

Segni sacrificali, che indicano l’esistenza dell’atto sacrificale. Li ricerchiamo sia a livello di Sacramentum tantum, l’insieme dei segni liturgici, sia a livello di Sacramentum et res, la res salvifica contenuta ed espressa dal segno sacramentale: corpo dato, sangue versato.

Sacramentum tantum: la comunità liturgica, costituita da battezzati, già iniziati al sacrificio pasquale, sotto la presidenza del ministro ordinato, segno sacramentale di Cristo capo, buon pastore, maestro e sposo della Chiesa, sin dal suo costituirsi, si pone in tensione sacrificale davanti al Padre.

La alimenta ed illumina nella liturgia della Parola, la esprime in modo iniziale nell’offertorio, ma in modo pieno la realizza offrendo e poi partecipando al sacrificio di Cristo, reso presente, sacramentalizzato dal Ministro ordinato.

Sacramentum et res: segni efficaci del sacrificio sono individuati sia nell’epiclesi, che invoca lo Spirito Santo per la conversione dei doni nel corpo e sangue del Signore Gesù, sia nella consacrazione quando il Ministro ordinato, agendo e parlando in Persona Christi, rende presente il corpo dato, il sangue versato per noi.

Viene chiaramente indicato che l’atto sacrificale eucaristico è proprio di Cristo, è Lui che lo compie nel rito che è il suo Memoriale, quale sacerdote principale.

Il riferimento alla croce di Cristo trova qui una duplice espressione: la prima, nel rito della consacrazione, è data dalle parole di Gesù:

«mio corpo dato per voi, mio sangue sparso per voi e per tutti…»; l’altra, congiunta alla consacrazione, nell’anamnesi in senso forte:

qui il Presbitero celebrante, a nome della Chiesa, riconosce che nel Memoriale si commemora, rendendola presente, la Passione del Signore, non disgiunta dalla sua Risurrezione, Ascensione al Cielo. Non solo si riconosce, ma in risposta al «Fate questo in memoria di me», si offre, offerimus.

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In tale modo la parola, azione di Cristo, viene confermata, accolta e partecipata dalla Chiesa.

Anche la Chiesa prende parte a questi segni efficaci sacramentali del sacrificio:

infatti, grazie al Sacerdote che agisce in Persona e virtù di Cristo, sacramentalizzando il suo sacrificio, in nome della Chiesa, lo accoglie, lo proclama, lo riconosce, lo adora, lo offre, unendosi alla sua offerta.

i singoli fedeli, ricevendo in comunione il corpo dato, si uniscono intimamente al suo sacrificio, si lasciano mortificare e vivificare dalla Croce gloriosa del Signore.

La comunione eucaristica è segno evidente della partecipazione più intensa al Sacrificio già sacramentalizzato dal Sacerdote che agisce in Persona e virtute Christi . Rappresenta l’esercizio più intenso del sacerdozio battesimale, la più intensa, attiva partecipazione al sacrificio di Cristo presente nell’Eucarestia, perché sia poi manifestato, realizzato nella concretezza, res, della vita personale e sociale.

III.1.1.3 L’atto sacrificale della Messa nella sua essenza.I segni sacramentali già individuati ci introducono facilmente a cogliere

l’essenza dell’atto sacrificale proprio dell’Eucarestia. Particolarmente eloquente la Lex orandi: la liturgia eucaristica sin dalle sue origini e universalmente, presenta due dimensioni dell’atto sacrificale di Cristo:

il suo dono assoluto e divino al Padre, a vantaggio nostro, per noi suoi fratelli

la sua domanda, accolta e realizzata, di partecipazione ecclesiale.Infatti tutte le liturgie eucaristiche presentano il dono di Cristo, con questo

orientamento basilare: «…mio corpo dato per voi», «mio sangue sparso per voi e per tutti» nel suo ritorno filiale al Padre, attraverso la morte, il suo «vado ad Patrem» (Gv 16,5), «in manus tuas commendo spiritum meum» (Lc 23,46).

Il sacrificio indica la relazione vissuta a Dio, è sempre offerto a Dio, per stare in modo adeguato davanti a Lui; e congiuntamente esprime, introduce nella nostra esistenza, una qualità nuova di vita, come dono fatto a noi, a tutto nostro vantaggio: il medesimo atto della Croce, con cui Gesù Cristo ritorna al Padre, ci riconcilia con Lui, e realizza per noi novità di vita risorta, in qualità di figli e fratelli.

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Questo vantaggio nostro viene ben espresso nelle parole dichiarative del Memoriale: corpo dato per voi, per i molti, sangue sparso per voi, per i molti , cioè tutti.

Il sacrificio che la celebrazione del memoriale-sacramento rende presente è la stessa passione-morte di Cristo, il suo passare per noi al Padre. Essendo l’evento ultimo e definitivo della sua dedizione filiale e obbediente al Padre per noi, racchiude in sé tutto l’orientamento della sua vita, la sua totale esistenza, nel suo stare in mezzo noi; e proietta tale sua intera storia umana con noi, per noi, presso il Padre.

Parimenti il Padre porta a pienezza l’opera affidata a Cristo: (Gv 17,4) «Io Ti ho glorificato sopra la terra compiendo l’opera che Tu mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a Te, con quella gloria che avevo presso di Te prima che il mondo fosse»; il Padre conferisce a tale atto della Croce, al Crocifisso glorificato, un valore sovratemporale valido fino alla fine dei tempi.

Ci domandiamo: tale atto della Croce, del passare di Cristo al Padre, non risulta forse concluso, e ormai confinato nel passato? come può ancora essere il sacrificio vero che la Messa-memoriale rende presente?

Come prima risposta, dobbiamo cogliere l’evidenza che l’ultimo atto di qualsiasi persona non è passato e chiuso, come possono esserlo gli atti precedenti: esso porta la persona al suo stadio di pienezza. Ed essendo l’ultimo, esprime come la persona entra nell’eternità, ove viene conservato, poiché non c’è più successione di tempo scandito da atti liberi, a somiglianza della nostra situazione terrena.

Se ciò è già valido per ogni uomo, lo è anzitutto per Cristo, la cui vita umana, veramente umana, è la storia con noi del Figlio di Dio, vissuta con tutta la consapevolezza, la libertà e l’amore del Figlio di Dio. Il suo passare al Padre attraverso la Croce, l’affidare a Lui tutta la sua vita filiale, fraterna (Lc 23,46: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»; «Tutto è compiuto» (Gv 19,30), non è un atto concluso e passato; in realtà l’ultimo atto filiale di Cristo innalza per sempre la sua persona davanti al Padre, nell’atteggiamento dell’abbandono fiducioso all’amore del Padre, dal quale nello Spirito Santo tutto ha ricevuto, ed ora nello stesso Spirito amore, tutto ridona.

Dobbiamo cogliere una ulteriore dimensione del Signore Gesù, che ci introduce al valore sovratemporale della sua morte, passare al Padre, per noi. Gesù è il nuovo Adamo, l’unico mediatore, per tutti i tempi: il suo ultimo atto, la Croce, ha riferimento salvifico per tutti, e non risulta chiuso, sino a quando tutti, avendone partecipata la grazia, siano ritornati al Padre.

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Fino al suo ritorno glorioso, l’atto sacrificale di Cristo resta vincolato alla storia, secondo la dimensione storica della economia salvifica: il suo essere Capo e Primogenito, possedendo in sé la Pienezza, per tutti, di ogni tesoro di sapienza e di grazia.168

Lo specifico del sacrificio eucaristico risalta inoltre dal suo essere sacrificio di partecipazione: il dono di Gesù fatto al Padre per noi include l’esigenza di partecipazione ecclesiale.

Lo dimostra la lex orandi: il comando «Fate questo in memoria di me», richiede che il Sacrificio della Croce sia ri-presentato, per essere offerto, anzi partecipato.

Visto in sé solo, il sacrificio della Croce, che realizza la redenzione di tutti, non è sacrificio di comunione, perché non è sacramento partecipabile. Invece l’Eucarestia, come sacramento della Croce, è sacrificio di comunione, partecipabile.

Possiamo concludere ancora con L. Ligier: «In definitiva, l’atto di Cristo, fatto presente nella Messa, è il suo dono nella morte redentrice, in quanto essa diventa principio di partecipazione ecclesiale. È il gesto della Croce, ma modellato e tematizzato attraverso il sacramentalismo della Cena, allo scopo di essere da noi partecipato.

Questa nostra analisi non è il risultato di una speculazione gratuita, ma è basata sul sacramentalismo eucaristico»169.

Riportiamo ancora, sempre ispirandoci a Ligier, alcune osservazioni sulla forma sacramentale del Sacrificio eucaristico. Sono osservazioni ovvie, dopo il percorso teologico già realizzato.

La figura sacramentale della Messa risulta del tutto diversa dalla figura storica della Croce, figura che la provvidenza, la libertà umana, le circostanze diedero alla passione e morte di Cristo.

Come abbiamo visto nello studio del memoriale e delle benedizioni ebraiche, la forma sacramentale della Messa è maturata sin dall’AT, per ricevere infine la sua struttura propria nelle scelte compiute dal Signore Gesù nell’ultima

168 Cfr DE LA SOUJEOLE, B.D., , La présence dans les saints mystères, réflexions à propos du présent cristologique de l’eucharestie, R Thom 104 (2004), 395-419, ove l’autore fa notare come nel sacrificio eucaristico non è sufficiente parlare della presenza del Crocifisso glorioso presso il Padre, ma si deve precisare il rendere presente l’atto stesso della Croce, quando Cristo, nella sua coscienza messianica , si è offerto in sacrificio per tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni luogo; il Sacrificio eucaristico rende contemporaneo a ciascuno di noi il Sacrificio della Croce.

169 LIGIER, L., Il sacramento dell’Eucarestia , cit , 362.

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cena.170 Non è quindi una forma fortuita, in seguito a vicende accidentali della vita umana; è una struttura di preghiera, di gesti e di segni che Dio preparava nel suo progetto sapiente, perché il sacrificio della Croce fosse ri-presentabile e partecipabile.

Per questo il Signore Gesù si è sottratto alle vicende che lo stavano conducendo alla morte di Croce, e si è preso delle ore di incognito nel Cenacolo, per istituire, con sovrana libertà, il memoriale della sua Pasqua.

La figura sacramentale della Messa è strutturata per la sua relazione teologica alla Croce, perché esprima, e contenga, il suo sacrificio, il suo passare per noi al Padre: l’Eucarestia è anzitutto il sacramento della passione del Signore. La preghiera, i segni (come la separazione delle specie del corpo dato e del sangue versato) sono espressivi del passare di Cristo al Padre, del suo Sacrificio.

La forma sacramentale della Messa risulta concretamente modellata sui riti scelti dal Signore Gesù nel Cenacolo: presentare gli elementi, ringraziando consacrarli, spezzare il pane e dare in comunione. Questi quattro gesti di Cristo divengono costitutivi la forma sacramentale della Messa: presentazione dei doni, preghiera eucaristica, frazione, comunione.

Di conseguenza la figura sacramentale della Messa risulta strutturata dalla forma liturgica dell’ultima cena; cioè dalla forma rituale che nostro Signore ha voluto dare al suo Sacrificio della Croce, per introdurre ad esso i suoi apostoli (segno profetico vigiliare), perché poi ne fosse nella Chiesa il Memoriale perpetuo.

Fa parte di questa struttura sacramentale del memoriale della Croce, anche l’assemblea ed il suo presidente-celebrante, perché codesta assemblea è formata da cristiani segnati dai sacramenti del Battesimo e Ordine, affinché tutti intervengano sacramentalmente secondo la loro propria funzione.

Possiamo ancora brevemente richiamare le azioni e parole più decisive nell’esprimere e realizzare il sacrificio di Cristo e la sua partecipazione ecclesiale:

° riferimento all’atto di Cristo, che sacramentalizza la sua Croce: nel racconto dell’istituzione dell’ultima cena, parla Cristo, in riferimento

alla celebrazione attuale, nell’oggi della Chiesa. Infatti il rito conserva, per queste parole di Gesù, pronunciate dal sacerdote che Lo rappresenta, la loro forma personale: «mio corpo, mio sangue».

170 Sacr. Car.. n 12 specifica :”Questo grande mistero viene celebrato nelle forme liturgiche che la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, sviluppa nello spazio e nel tempo”.

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Tutte le anafore, eccetto, come abbiamo accennato, le ‹‹paleoanafore›› ,quelle nestoriane171, non soltanto hanno il racconto dell’istituzione, ma lo sottolineano con riti secondari (come acclamazioni di fede da parte dell’assemblea, intensi «amen»), ne fanno così un elemento costitutivo, segnalato, della celebrazione.

La novità e l’importanza del momento acquistano particolare rilievo, perché nell’anafora il sacerdote parla sempre a nome della Chiesa, il “noi” ecclesiale, e solo qui in nome di Cristo: quindi la CONSACRAZIONE È IL MOMENTO ESSENZIALMENTE CRISTICO.

Ricordiamo ancora che le parole della consacrazione non esprimono e realizzano la sola presenza reale, ma il sacrificarsi di Cristo, il «corpo dato ed il sangue versato per voi e per tutti». Anche la Mediator Dei, 51 (DH 3848) insegna che la separazione delle specie è sacramentalmente espressiva del sacrificio della Croce.

«L’atto eminentemente cristico della consacrazione non può essere isolato dal «rendere grazie»; perché acquisti “valore sacramentale” è necessario che sia inserito nella Preghiera eucaristica. Da tale contesto deriva il suo significato riguardo alla celebrazione attuale. Altrimenti esso avrebbe soltanto valore narrativo: si affermerebbe che nel rito passato celebrato nel Cenacolo gli elementi del pane e del vino furono cambiati nel corpo e sangue di Gesù […] Ma è solo l’inserimento nel Canone che conferisce al racconto significato sacramentale di fronte al Padre per la Chiesa di oggi, e lo costituisce rito di consacrazione»172.

° Riferimento all’atto della Chiesa: l’atto di Cristo, di rendere presente il suo Sacrificio della Croce, viene invocato dalla Chiesa nella epiclesi, e sacramentalmente realizzato dal Sacerdote nella consacrazione: la Chiesa lo domanda nell’epiclesi e lo compie ministerialmente nella consacrazione.

L’impegno essenziale della Chiesa, in quanto distinta da Cristo, viene espresso anzitutto nell’atto anamnetico. Atto, perché essendo la risposta della Chiesa al comando del Signore: «Fate questo in memoria di me», l’ Offerimus dell’anamnesi non è solo discorso, ma anche un atto impegnativo. È presente in tutte le liturgie: per mezzo di esso, la Chiesa si unisce all’atto sacrificale di Cristo, reso presente, lo offre al Padre, lasciandosi coinvolgere, partecipando al suo offrirsi. Afferma Benedetto XVI nella sua Enciclica D.C.E.:, n 13 :

171 Vedi nota n. 78 circa il carattere molto arcaico dell’Anafora di Addai e Mari, la loro validità riconosciuta, il modo particolare, diffuso, della presenza in essa del racconto istituzionale.

172 LIGIER, L., Il Sacramento dell’.Eucarestia, cit 368.

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“L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione.”

Così nella Messa Cristo è offerto al Padre sia per un atto suo, sia per un atto della Chiesa; e la Chiesa offre anche se stessa. Nei nuovi canoni romani, III e IV, dopo l’anamnesi, e unitamente ad una seconda epiclesi dello Spirito Santo, viene domandata ed espressa l’offerta della Chiesa, di se stessa, al Padre, come effetto, prolungamento del sacrificio, reso presente, di Cristo:

-- III: «a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo ed un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito…»

-- IV: «a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane, e berranno di quest’unico calice, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo a lode della tua gloria».

Questa invocazione dello Spirito Santo, desiderio vivo della Chiesa, non ancora atto, prenderà forma sacramentale nella comunione, perché acquisti attualità concreta e storica nel sacrificio della vita personale e sociale.

La Messa, ripresentazione vera, reale, sostanziale dell’unico sacrificio della Croce, ha ricevuto forma sacramentale atta a divenire sacrificio partecipato; sacrificio della Chiesa e dei cristiani in essa. Sacrificio in veste sacramentale e ripetibile.

Il Sacrificio della Croce fu compiuto da Cristo solo, per la redenzione di tutti, principio di partecipazione futura. Tale partecipazione non apparteneva alla sua essenza e definizione; al contrario il sacrificio eucaristico è sacrificio di partecipazione: esso è il rito sacramentale istituito da Cristo perché la sua Chiesa lo rendesse presente in tutti i tempi e luoghi della sua esistenza, affinché ne partecipasse.

III.2 LA PRESENZA SACRIFICALE DI CRISTO NELL’EUCARISTIA

III.2.1 La presenza attiva di Cristo nell’eucaristia, in relazione alle sue altre presenze nella vita della Chiesa

Cristo è presente ed attivo come sacerdote e vittima nella S. Messa: queste categorie sono ora familiari ed ovvie.

Il Concilio Lateranense IV le ha inserite nel Magistero, sin dal sec XIII: «Gesù Cristo, lo stesso è sacerdote e vittima» (DH 802). Riprende il Tridentino: «Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il

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ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla Croce: diverso è solo il modo di offrirsi» (DH 1743).

Il NT porta quelle indicazioni che saranno esplicitate dalla teologia e magistero: nell’ultima cena Gesù si presenta celebrante del primo rito sacramentale; il comando della iterazione del memoriale rivolto agli apostoli, era indicativo dell’intenzione di Cristo di rimanere il sacerdote principale del rito così istituito.

Decisivo inoltre ricordare che la lettera agli Ebrei parla di un sacerdozio eterno di Cristo, esercitato davanti al Padre: «Poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di Lui si accostano a Dio, essendo Egli sempre vivo per intercedere a loro favore» (Eb 7,34s).

Apocalisse mostra chiaramente che la sua qualità di vittima non è terminata. Gesù si presenta, nelle liturgie celesti, come Agnello sgozzato: «Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello come immolato» (Ap 5,6). «L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione» ( Ap 6,12).

Nell’Apocalisse le rivelazioni a Giovanni avvengono di Domenica, giorno liturgico: Gesù si manifesta con abiti sacerdotali, quasi per avvisare di una stretta sintonia, continuità tra la liturgia eucaristica e quella celeste (1,9-16).173

La categoria di Cristo sacerdote e vittima assume grande rilievo nei sec. III-IV, e attraverso Agostino passò ai dottori del medioevo: essi però, non dando rilievo sistematico all’Eucaristia come sacrificio, ‹‹non sono portati a sottolineare il sacerdozio eucaristico di Cristo.››174

La categoria è comunque presente: il sacerdote nella consacrazione, (dice S. Tommaso, III,83,1 ad 3) agisce in Persona e virtù di Cristo, e così, in un certo modo, abbiamo lo stesso sacerdote e vittima.

Ancora più esplicito S. Alberto Magno: ‹‹Viene offerto per tutti. La sapienza divina ha unito l’oblazione all’offerente: e chi offre e ciò che viene offerto sono lo stesso nell’essere della persona» (De Sacramento eucharistiae, dist. V, cap. III).

173 Cfr ECCL. de EUCH. n 19 :” E’ un aspetto dell’Eucaristia che merita di essere posto in evidenz :mentre noi celebriamo il sacrificio dell’Agnello, ci uniamo alla liturgia celeste, associandoci a quella moltitudine immensa che grida : ‹‹La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello ! “(Ap 7,10) L’Eucaristia è davvero uno squarcio di cielo che si apre sulla terra. E’ un raggio di gloria della Gerusalemme celeste, che penetra le nubi della nostra storia e getta luce sul nostro cammino”.

174 LIGIER, L., Il sacramento dell’Eucarestia, cit, 282.

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Nella teologia dopo il Tridentino, viene posta la domanda:come Cristo esercita il suo sacerdozio nella celebrazione delle singole

Messe?La risposta viene cercata utilizzando la categoria metafisica di causa:

alcuni, non vedendo in Cristo che la causa prima che agisce sulla causa seconda, il sacerdote visibile, parlavano di oblazione virtuale; altri richiedevano un atto speciale di Cristo per ogni Messa, una attuale oblazione.

-- La scuola dell’oblazione attuale di Cristo capeggiata da Suarez, S.J. (+1617), parla di atto distinto di Cristo sacerdote in ogni Messa; ritiene insufficiente parlare, con categorie metafisiche, di causa prima, Cristo sommo sacerdote, e di causa seconda, il sacerdote ministeriale.

-- I sostenitori dell’oblazione virtuale, capeggiati da Vasquez, S.J. (+1604), affermano che Cristo agisce in ogni Messa in quanto è il principio di ogni attività della Chiesa: anche l’azione del celebrante deriva da Lui, sommo Sacerdote.

Ma all’inizio del nostro secolo anche la scuola dell’oblazione attuale non parla più di un atto distinto in ogni Messa, e ripetuto in ogni celebrazione, ma di un atto unico e sovratemporale col quale il Signore glorificato abbraccia in una unica oblazione le offerte terrestri di tutti i secoli. In tale modo non si dava più vera differenza tra attualisti e virtualisti.

Una migliore intelligenza si può avere usando una categoria più adatta, già in uso dall’inizio del II millennio per il mistero eucaristico, la categoria presenza. Ricordando inoltre che la categoria presenza aveva un utilizzo più ampio: molti infatti sono i modi della presenza attiva dell’agire salvifico di Cristo nella liturgia e nella vita.175

La verità posta in crisi prima da Berengario e poi dai Riformatori del sec. XVI, sulla presenza eucaristica, portarono non solo una chiarificazione sulle sue proprietà esclusive, come vera, reale e sostanziale, ma anche a concentrarne l’uso per questo unico mistero, in modo quasi esclusivo.

Ora teologia e magistero sono ritornati ad un uso più ampio della categoria di Presenza, per indicare i vari modi dell’agire salvifico di Cristo nella Liturgia e vita.

175 Cfr JUNGMANN, J.A. , De praesentia Domini in communitate cultus et de rationibus cum haec doctrina dudum oscurata et hodie redintegranda sit, in Acta congressus intern. De Theologia conc. Vaticani II, ed . A. SCHONMETZER, Typis poliglottis vaticanis, 1968, 296-299. NEUNHEUSER, B., De praesentia Domini in communitate cultus: quaestionis evolutio historica et difficultas specifica, ibid. 316-329. RAHNER, K. , De praesentia Domini in communitate cultus : syntesisis theologica, ibid. 330-338.

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Con la Mediator Dei, Pio XII, 1947, n. 16 (DH 3840), il Magistero inizia a parlare, in relazione alla presenza più intensa, unica nelle specie consacrate, di più presenze di Cristo nell’azione liturgica.

Citiamo dalla Sacrosantum Concilium, n. 7:«Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua

Chiesa, ed in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel Sacrificio della Messa sia nella persona del Ministro, - Egli che, offertosi una volta sulla Croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti - (Trento, DH 1743), sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza, è Cristo che battezza. È presente nella sua Parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la S. Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20).

In quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la sua Chiesa, sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di Lui rende il culto all’eterno Padre.

Giustamente però la Liturgia è ritenuta come l’esercizio del sacerdozio di Cristo Gesù (…). Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia l’efficacia».

La categoria “presenza” si è sviluppata nel contesto del pensiero Cristiano, in relazione all’agire salvifico proprio di Cristo, Verbo incarnato, attivo nella creazione e redenzione; è quindi categoria e concetto proprio della filosofia cristiana (cfr. Fides et ratio, n. 76).

Presenza indica il modo proprio di comunicare, agire, realizzare comunione, trasformare, di soggetti spirituali, dotati di coscienza ed interiorità, che si aprono all’altro. Nel soggetto umano ciò avviene attraverso l’espressione corporea. L’umanità del Crocifisso glorioso agisce e ci trasforma per una sua particolare presenza corporale, nello Spirito Santo, nell’azione liturgica.

La categoria “presenza” appunto perché formatasi nel contesto dell’Alleanza-redenzione, risulta più adatta a meglio introdurre nell’attività di Cristo Sacerdote; le categorie di causa, atto, di virtualità risultano ancora troppo generiche.

Anche la sua etimologia (in greco parous…a) è in perfetta sintonia col dogma cristologico ed eucaristico: deriva dalla forma participiale oÙs…a

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derivabile da due verbi sia e„m…, essere, sia eimi (differenza solo nell’accento) venire, con l’aggiunta della preposizione par£: un essere, venire presso, una presenza dinamica ed attiva rivolta a qualcuno, per creare novità benefica di vita.

Conosciamo dalla S. Scrittura l’uso escatologico di parous…a, la venuta finale del Signore Gesù, per creare terra nuova e cieli nuovi, Risurrezione dei morti.176

Conosciamo l’uso dei concili cristologici di oÙs…a, sostanza, per l’identità di Cristo, ÐmooÚsioj .. Conosciamo soprattutto l’uso eucaristico di oÙs…a e metaous…wsij: sostanza e transustanziazione.

La presenza di Cristo, vera, reale, sostanziale è la presenza sua più intensa negli ultimi tempi, i tempi della Chiesa, in attesa e nel desiderio della piena manifestazione del Crocifisso glorioso.

Ora, come nel passato, la presenza, paroLs…a eucaristica, non è più considerata come isolata da una molteplice presenza attiva del Signore Gesù alla sua Chiesa.

Troviamo l’uso più ampio del termine nella Mysterium fidei di Paolo VI, l’Enciclica pubblicata durante i lavori conciliari del Vaticano II, il 3/9/1965. Paolo VI parla di molteplici presenze di Cristo alla sua Chiesa, tutte indicate come vere e reali, in relazione alla più intensa, quella eucaristica, che è inoltre sostanziale.

Quasi in crescendo, Paolo VI, parla di una presenza di Cristo alla sua Chiesa che prega, compie opere di misericordia, mentre Egli abita per la fede nei nostri cuori (Ef 3,17). È presente nella Chiesa che annuncia la sua Parola, regge e governa, con la sacra potestà del Ministero, il popolo di Dio, celebra i Sacramenti.

«Ma ben altro è il modo, veramente sublime, con cui Cristo è presente alla sua Chiesa nel sacramento dell’Eucaristia (…) contiene infatti lo stesso Cristo ed è “quasi la perfezione della vita spirituale ed il fine di tutti i Sacramenti” (S Thomas, S.Th. III, q. 73,a. 3 respondeo.).

176 “ Il termine parousìa non è molto frequente nel NT(24 volte, di cui 14 in Paolo…….‹‹Il vocabolo è ellenistico. Ma il suo contenuto essenziale proviene dall’AT, dal giudaismo e dal pensiero proto-cristiano›› (Oepke, ThW v, 863), suppone quindi già il passaggio del giudeo –cristianesimo al mondo ellenistico…..in esso l’accento è posto sull’attesa venuta di Gesù.” BRAUMANN, G. , voce Parousìa, in COENEN, L. , BEYREUTHER, E. , BIETENHARD, H. , Dizionario dei concetti biblici del Nuovo testamento, EDB, 1976, 1215

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Tale presenza si dice “reale”, non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è anche corporale e sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero, si fa presente.

Malamente dunque qualcuno spiegherebbe questa forma di presenza immaginando il corpo glorioso di natura pneumatica onnipresente».

La presenza del corpo dato e del sangue versato in Sacrificio è quindi unica, reale per antonomasia, perché sostanziale. Ad essa sono ordinati tutti gli altri modi di presenza: nel ministro ordinato, nella Parola di Dio, nei Sacramenti, nella Comunità riunita in preghiera, nella Fede e Carità.

Individuiamo in questa visione così relazionata delle presenze di Cristo (quella eucaristica, la più intensa, perché sostanziale, tutte le valorizza) una prospettiva valida per ben impostare il dialogo ecumenico tra le varie comunità ecclesiali.

III.2.2 Le relazionate presenze del Signore Gesù alla Chiesa, il suo vertice Eucaristico, nel dialogo ecumenico.

Riformati del secolo XVI, Ortodossi e Cattolici, si presentano come Chiesa della Parola, dell’Eucaristia e dell’unico Pastore.

Si tratta di modi di presenza salvifica del Signore Gesù da non porsi in alternativa o in opposizione, ma in derivazione, progressione.

Quando la Comunità si riunisce per l’ascolto delle S. Scritture il Signore Gesù stabilisce una prima forma di presenza ai suoi discepoli, nella sua Parola. Dobbiamo ricordare come nello stare con noi del Verbo incarnato, tutte le sue parole, opere, tendono alla parola-opera della Croce, ove Cristo dice tutto e con la massima intensità di se stesso: essere Figlio, nell’amore Spirito Santo, obbediente al Padre, una sola cosa con Lui; ed insieme una sola cosa con noi, con la nostra umanità peccatrice.

Non solo scende fino in fondo nella nostra miseria (Fil 2,6-11), ma nella sua umanità obbediente, crocifissa, risorta ci riporta al Padre: sacrificio espiatorio.

Ma anche nella vita ecclesiale tutte le parole della Chiesa tendono alle parole, gesti efficaci dei Sacramenti, ove è presente lo stesso Cristo, il Crocifisso glorioso, che agisce ex opere operato, santificando e conformando a sé l’uomo in situazioni particolari della sua vita, per un compito ecclesiale.

Ma tutte le parole, attività extrasacramentali e sacramentali della Chiesa sono ordinate all’evento-parola dell’Eucaristia: qui è presente tutto Cristo, corpo, sangue, anima, divinità, nel suo evento pasquale, in cui porta a

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compimento, riassume la sua vita per noi, per redimere tutta l’umanità. Qui è racchiuso tutto il bene della Chiesa, dell’umanità redenta.177

Cristo nei Sacramenti è certamente presente (il Ministro non lo sostituisce, gli permette di essere sacramentalmente presente ed agire), ma la materia del sacramento (acqua, olio, balsamo, gesti del Ministro), mentre significa efficacemente la grazia conferita, non si muta nella grazia così significata; resta infatti olio, acqua…

Nell’Eucaristia invece il pane ed il vino si convertono sostanzialmente nell’evento di grazia significata: il corpo ed il sangue versato in Sacrificio, in modo permanente; restano solo le specie, apparenze simboliche. Si realizza così la Presenza reale per antonomasia, cioè Cristo è presente con tutto il suo stare e donarsi a noi, sino all’estremo della Croce, in cui ricapitola tutta la sua esistenza offerta per noi, per introdurci nella sua Gloria, nell’amore del Padre.

A vino nuovo, otri nuovi: negli altri Sacramenti Cristo agisce dando nuovo significato e finalità alla materia, in modo che, in mano a Lui, Sommo sacerdote, comunichi la Grazia, ma senza essere mutata nella sua natura. Così l’acqua, l’olio sono transignificati, transfinalizzati, acquistano significato e finalità nuove.178

Si parla debitamente di transignificazione, transfinalizzazione della materia del sacramento.

Invece nell’Eucaristia la transignificazione e transfinalizzazione degli elementi, pane e vino, si realizza in modo unico, sulla misura della loro stessa transustanziazione; non solo simboleggiano il Corpo dato ed il Sangue versato, ma li rendono presenti, essendo trasformati nel loro essere profondo, la loro sostanza.

Nell’Eucaristia abbiamo così la permanente penetrazione del Crocifisso glorioso nella vita della Chiesa, per dare al Padre, nello Spirito Santo, la perfetta glorificazione, operare il superamento delle resistenze peccaminose, realizzando l’unità nella Carità del corpo ecclesiale di Cristo.

Nel dialogo ecumenico, ci si muove, con carità ritrovata, sul terreno comune di un millennio e mezzo di unità della Chiesa, in cui si condivideva rivelazione, tradizione viva, celebrazione, successione apostolica in comunione col successore di Pietro.

177 Cfr RAHNER, K. , Parola ed eucaristia, in Saggi sui Sacramenti e l’Escatologia, ed. Paoline, Roma 1969, 109-172

178 Cfr DE FINANCE, J. , Citoyen de deux mondes, Università gregoriana ed.-P.Tequi, Roma-Paeis, 292-298.

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Ogni Chiesa offre la sua fede nelle Presenze reali di Cristo: Parola, Preghiera liturgica, Ministero, Sacramenti, azione caritativa. Si tratta di considerarle, e anche prolungarle, sino a quella presenza unica, perché sostanziale, propria del Sacrificio eucaristico.

Il dialogo ecumenico trova la via giusta quando esamina i contenuti e dinamismo del Mistero eucaristico: l’ecclesiologia della Chiesa unita non può essere che una ecclesiologia eucaristica. Questo cammino è stato portato aventi con grande frutto specialmente con gli ortodossi calcedonesi, Patriarcato di Costantinopoli.

Vi hanno contribuito l’opera teologica di N. Afanassieff (1893-1966), uno dei maggiori teologi russi della Diaspora, il vero fondatore dell’ecclesiologia eucaristica; ancor più, perché vivente il greco J. Ziziulas, nato nel 1931, Metropolita di Pergamo, la punta più avanzata della teologia ortodossa179.

La fede nell’Eucarestia è riconosciuta comune alla Chiesa cattolica romana, così pure la fede nel Sacerdozio ordinato, che vi è strettamente annesso; resta da approfondire la fede nel primato del successore di Pietro, ma la questione degli Uniati e del temuto proselitismo cattolico nei paesi slavi del post-comunismo ha rimandato lo studio comune programmato180.

Grandi progressi sono stati realizzati in materia di eucaristia con la Comunione anglicana, mediante ARCIC (commissione internazionale anglicana cattolica-romana).

Il Card. Cassidy, Presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in una lettera ai co-presidenti dell’ARCIC II, riconosceva che in materia eucaristica non era più necessario ulteriore dialogo, essendosi realizzato un sostanziale accordo, eccetto per quanto riguarda la riserva eucaristica.181

179 COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA CHIESA CATTOLICA ROMANA E LA CHIESA ORTODOSSA, Il mistero della chiesa e dell’eucaristia alla luce del mistero della santa Trinità, Monaco 6/7/ 1982, in E. Oe. 1, nn 2183-2197 e in Regno documenti 1982, pag. 542; Cfr. SPITERIS, Y. , La Teologia ortodossa neo-greca, EDB, 1992, 363-416. MC PARTLAN, P. , The Eucharist makes the Church, H. de Lubac and J. Ziziulas in dialogue, T*T Clark, Edinburg 1993, fa notare le divergenze di posizioni : Ziziulas considera l’Eucaristia a partire soprattutto dalla sua dimensione cosmica, escatologica.

180 Cfr. l’accordo su tali questioni raggiunto a Balamand nel 1993, L’uniatismo, metodo d’unione del passato e la ricerca attuale di unità, in Enchiridion Œcumenicum, vol. 3, EDB, 1995, 1867-1900.

181 Cfr Lettera del Card. Cassidy ai Copresidenti dell’ARCIC II, Chiarificazioni su Eucaristia e Ministero, dell’ 11/3/ 1994, in E. Oe., 3, nn 315-317.

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Di grande rilevanza la discussione teologica suscitata dal documento di Lima (1982), Battesimo, Eucarestia , Ministero (BEM), del Consiglio ecumenico della Chiesa, Commissione fede e costituzione.182 Ha ricevuto una risposta ufficiale cattolica, da parte del Segretariato per l’unione dei cristiani.

Le risposte ufficiali cattoliche riconoscono con soddisfazione un lavoro proficuo, da proseguire; proficuo perché ci si muove sul terreno comune della tradizione liturgica e patristica, il che permette di meglio coordinare e porre in dialogo le tradizioni liturgiche e dottrinali delle Chiese sorelle e comunità ecclesiali. Grande progresso è l’avere così ricuperato lo schema tradizionale della preghiera eucaristica, come si è manifestato in tutte le famiglie liturgiche del primo millennio.

La Chiesa cattolica sa che le verità della fede non devono essere separate le une dalle altre, poiché formano un tutt’uno organico: questa prospettiva risulta necessaria particolarmente quando si tratta di Eucarestia, poiché essa è come la coppa della sintesi di tutte le realtà rivelate.

Muovendosi sempre nel riconoscimento di quanto di positivo si dà nel dialogo ecumenico sull’Eucarestia, la Chiesa cattolica si impegna a portare a maturità di fede rivelata gli aspetti essenziali e decisivi del Mistero:

anzitutto la sua natura di Sacrificio di Cristo, reso presente nel memoriale celebrato, perché la Chiesa ne partecipi. Cristo non solo intercede per noi presso il Padre, ma si dona per noi, come sacrificio eternizzato: è questo sacrificio del Crocifisso glorioso che la celebrazione eucaristica rende presente, sacrificio in cui esprime la sua intercessione e ringraziamento.

il sacrifico di Cristo è reso presente con tutti i suoi frutti: propizia, espia i peccati, santifica, per gli offerenti e per tutti, vivi e defunti.

la presenza reale del corpo dato e del sangue versato in sacrificio è dovuta ad un cambiamento, conversione sostanziale del pane e del vino.

adorazione di Cristo presente in modo permanente nelle specie consacrate e conservate per la comunione; le varie Chiese hanno sviluppato diverse forme di adorazione al Sacramento conservato.

182 COMMISSIONE FEDE E COSTITUZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE, Battesimo, Eucaristia, ministero, Documento di Lima 1982, in E. Oe. 1, 3032-3181; SEGRETARIAT FOR PROMOTING CHRISTIAN UNITY, Baptism, Eucharist and Ministry (BEM), A Chatolic response, july 21 1987, in E.V. 10, nn 1914-2068 ( B. L’Eucaristia nn 1970-2009.)

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la natura sacrificale dell’Eucarestia richiede, secondo l’istituzione di Cristo, un ministro consacrato per questo, in successione apostolica. La successione apostolica porta con sé la questione della comunione del collegio apostolico, il servizio di Pietro e successori183.

Professando, celebrando e vivendo nell’Eucarestia la totalità organica delle verità di fede, mentre si prega, anche insieme, si desidera ardentemente, si cresce nella carità per superare le incomprensioni e sviluppare un fruttuoso dialogo teologico, nella speranza che si giunga presto ad una conclusione approvata dal S. Padre, ci si deve attenere al can. 908: «È vietato ai sacerdoti cattolici concelebrare l’Eucarestia con i sacerdoti o ministri delle Chiese o delle comunità ecclesiali che non hanno la piena comunione con la Chiesa cattolica».

III.2.3 Problematica circa il concetto stesso del sacrificio, in relazione alla storia delle religioni, rivelazione e vita cristiana.

Sacrificio è un termine che ci proviene dalla storia delle religioni, purificato in relazione a JHWH nell’Antico Testamento, messo in crisi, anche nell’uso lessicale, nei Vangeli Sinottici di fronte alla novità unica della Pasqua di Cristo; ripreso da Paolo, Giovanni, Ebrei e Pietro per esprimere tale novità definitiva ed assoluta.

Per l’uso molto moderato che ne fanno alcuni testi del NT, ci si è domandati, anche per la reticenza contemporanea di parlare e accettare sacrifici , se non lo si può sostituire con categorie più gradite, come carità, dono, liberazione.

Possiamo assumere come stimolo, reattivo nel valutare la proprietà del termine sacrifico nell’indicare i contenuti del Mistero eucaristico, la teoria antisacrificale sviluppata dal letterato contemporaneo francese R. Girard184.

183 I risultati positivi di tale dialogo si possono verificare nella vicenda teologica e personale del fratello di Taizé, MAX THURIAN: il suo trattato L’Eucaristia, memoriale del Signore, sacrificio di azione di grazie e d’intercessione, A.V.E., Roma 1967, manifesta un punto di arrivo di corretta dottrina eucaristica. Qualche incertezza sul culto dell’Eucaristia dopo la celebrazione del Sacrificio (vedi pag. 304); difficoltà superate con la sua ordinazione sacerdotale, per mano del card. Corrado Ursi, Arcivescovo di Napoli.

184 GIRARD, R. , Mensonge romantique et vérité romanesque, Paris, Grasset 1961

ID. , La violenza ed il sacro , Adelphi, Milano 1960.ID., Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano

1983.

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III.2.3.1 Desiderio mimetico, violenza, sacrificio e socialità in Girard

R. GIRARD è un letterato contemporaneo francese, che insegna nelle università del Nord America; il suo atteggiamento di pensiero è all’inizio in linea con la cultura agnostica predominante, che cioè il religioso sia marginale, senza alcun influsso decisivo sulla socialità dell’uomo. Il suo pensiero è radicalmente mutato, attraverso un percorso letterario e di riflessione sulla storia delle religioni, sino ad ritrovare nel Vangelo di Cristo la fonte della vera socialità. Insieme suscitando molte discussioni e perplessità.

La teoria antisacrificale di Girard parte da lontano, da una riflessione sul genere letterario del romanzo: il romanzo è ogni produzione letteraria che da voce al desiderio, desiderio dell’autore, e del lettore, di donarsi un’altra origine rispetto alla propria, tentativo di altra identità, altra storia, nello sforzo «mimetico» di imitare l’altro: come in Don Chisciotte .

A questi sogni, falsità romantiche, seguirà il ritorno alla realtà, per la morte, l’insuccesso dell’eroe modello; questa sarebbe la verità insinuata dal romanzo.

Concentrandosi così sullo studio del desiderio, Girad ritiene che esso sia essenzialmente mimetico: il desiderio ancora indifferenziato, latente, viene suscitato dal desiderare perseguito dall’altro, desiderio cioè di imitare, mimetico; «triangolare» , perché più ancora che il desiderio di qualcosa, risulta decisivo desiderare ciò che desidera l’altro, imitare il suo desiderio.

Ma tali desideri di imitazione diventano conflittuali, suscitano violenza, specialmente quando la società tende a divenire indifferenziata, e si perde il senso dei propri ruoli e desideri corrispondenti.

Per superare tale violenza scatenata dal desiderio mimetico, che porta al caos sociale, si cerca un capro espiatorio, su cui si riversa la responsabilità, e che viene eliminato; come nell’uccisione del padre dall’orda primitiva, in Freud.

In un processo inconscio il capro espiatorio viene sacralizzato, in quanto il suo sacrificio permette una certa ricomposizione dell’ordine sociale: il desiderio mimetico, la violenza che ne consegue, il sacrificio del capro espiatorio (linciaggio di una persona indifesa, marginale) spiegano per Girard l’origine del «sacro», dell’ordine sociale. Anche della religione, infatti per gestire la residua violenza dei desideri mimetici si organizzerà la ritualità sacrificale, per perpetuare i benefici del sacrificio del capro espiatorio.

Il sacro, la religione, la socialità avrebbero quindi questa inconfessabile ed inconscia origine violenta.

ID., Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987.

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Solo il Vangelo, la croce di Cristo (preparata da alcun figure veterotestamentarie, come Giobbe, il Servo di JHWH) svelano in un desiderio puro, di servizio generoso, di carità. totalmente al di fuori della spirale violenta del desiderio mimetico, l’inautenticità del sacro violento, del conseguente Sacrificio rituale, della società così realizzata.

Per Girard il sacrificio denota radici violente; anche il cristianesimo non è stato indenne da tali rigurgiti sacrificali, come certe teorie teologiche dell’espiazione, della soddisfazione, che presentano sullo sfondo un Dio vendicativo e collerico.

Girard si presenta anti-sacrificale, antiviolento: vede facilmente nell’organizzazione del sistema giudiziario la ricerca di un altro capro espiatorio, anche se ora non più marginale, ma con indizi di responsabilità; ma sempre dispensando gli accusatori dall’esame sincero della propria violenza e responsabilità. Anche nei rapporti internazionali presenta un pacifismo ad oltranza.

Girad ha certo il merito di avere posto in risalto il significato sociale e culturale del Vangelo, notevolmente disatteso in ambito accademico; suscitando infine un grande polverone con le sue intuizioni, non sviluppate in una matrice di pensiero più ampio, sistematico, filosofico e storico.

Più osservazioni si possono fare a Girard, per completare il suo percorso di pensiero cristiano. Anzitutto ricordare che il desiderio dell’uomo non è in sé indifferenziato: l’uomo creato secondo l’Immagine di. Dio ha i desideri conformi a questa sua fondamentale qualifica, specificata dal suo ruolo familiare e sociale; la vita religiosa e sociale è fondata in questa apertura alla Trascendenza propria dell’uomo.

E’ pur vero che con il peccato delle origine il desiderio dell’uomo risulta turbato, perché ha preso il falso modello del Serpente tentatore di essere come Dio: ne segue l’insorgere del desiderio mimetico e violento.

Ma la natura dell’uomo non è totalmente corrotta, e la cura del Creatore rimane attiva, per offrire possibilità di corretta vita religiosa e sociale. Si direbbe che la prospettiva di Girard si avvicina alquanto al pessimismo violento del mito delle origini tipo Enuma helish’, solo l’evento di Cristo, preparato da alcune figure del Vecchio testamento, permette lo svelamento e il superamento del sacro e del politico inconsciamente violento.

La mancanza di fiducia nella razionalità propria dell’Immagine di Dio, rendono difficile il programma di una vita sociale, con autorità efficace non violenta; anche una ritualità religiosa sacrificale, come situarsi rettamente davanti ad un vero Assoluto personale.

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Lo stato attuale del pensiero di Girard si potrebbe avvicinare ad altri sistemi di pensiero debole, come quello di Vattimo185: esaltano l’impatto benefico dell’evento Cristo, ma per la debolezza della prospettiva metafisica non riescono ad elaborare un pensiero cristiano, di valida e coerente eticità e socialità.

Un pensiero che da debole può assumere tratti di violenta polemica verso chi ha fiducia in una comunicazione ragionevole circa le verità etiche e sociali. Un pensiero segnato da tale debolezza e sottile polemica, non può certo valorizzare la categoria universale del sacrificio, pur nella consapevolezza della totale superiorità dell’evento di Cristo e della sua Pasqua.

III.2.3.2 Sacrificio nella storia delle religioni.Sacrificio esprime l’esigenza, il desiderio vivo dell’uomo di entrare in una

relazione positiva con il sacro, il divino; assume ritualità e significati dipendenti dalla concezione del mondo del sacro, del divino: se assoluto personale etico, benevolo verso l’uomo, se idolo violento, immorale; se prevale una concezione animistica, di Spiriti da ingraziare, da cui difendersi, oppure un cosmo divino, in cui immergersi, anche identificarsi.

Qualche accenno alle grandi tradizioni religiose: Nell’Induismo il Sacrificio rappresenta: il principio cosmico per eccellenza, strutturante il cosmo e la società; il sacrificio tesse un legame sacro tra tutti gli esseri, mentre l’egocentrismo manifesta il demoniaco per eccellenza. Ma solo i sacrifici domestici sono sopravvissuti nella pratica religiosa indù, mentre i sacrifici pubblici, solenni sono caduti in disuso. Invece di sacrificare animali l’uomo sacrifica l’animale che è in se stesso: passioni, desideri cattivi.

Il Gita passa dal registro magico-rituale a quello etico-spirituale: l’uomo dedica mentalmente a Dio (nel Gita il Signore supremo personale si sostituisce agli dei vedici): i suoi atti quotidiani .

Anche il Buddismo conosce simili interiorizzazioni, ma rispetto al Gita il Signore supremo perde di personalità, in una visione di tendenza panteistica186.

Il sacrificio nell’Islam occupa un posto paradossale: mentre la spiritualità islamica, di totale sottomissione ad Allah, si ispira, anche si fonda nel Sacrificio di Abramo del figlio Isacco o Ismaele, la pratica sacrificale occupa un posto secondario, facoltativo nei riti costitutivi il pellegrinaggio alla Mecca187.

185 cfr. GILBERT, P. , Metafisica e violenza, libertà e mediazione, in Filosofia e teologia, 1999, 308-320

186 cfr. CAHN, A. , Le sacrifice dans l’hinduisme, in NKUSCH, M. , Le Sacrifice dans le religions, Beauchesne, Paris 1994, 181-202; GIRA, D. , Le Sacrifice dans le boudhisme, ibidem 203-224.

187 cfr. PLATTI, E. , Le Sacrifice en Islam , ibidem ,157-176.

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III.2.3.3 Il Sacrificio nella rivelazione veterotestamentaria.Nell’Antico testamento si può supporre che la maggior parte di sacrifici sia

di origine pagana, cananea, ma debitamente purificati dalla concezione idolatrica, per l’accoglienza di JHWH , Dio unico dell’alleanza e della creazione, purificati da ogni violenza contro l’uomo (cfr Lv 20, 2 ss) .

La contestazione profetica di un culto soltanto esteriore, che non esprime l’orientamento corretto del la vita religiosa e sociale, non intende l’abolizione del sacrificio esteriore, ma assicurarne la sua funzione interiore e sociale.

Il sacrificio vuole manifestare, alimentate il giusto atteggiamento di adorazione, ringraziamento davanti a JHWH , accogliendo il prossimo con misericordia e giustizia, togliendo l’impedimento del peccato: il sacrificium laudis dell’obbedienza della vita, del cuore contrito ed umiliato:

(Sal 39(40);49(50);50(51))Su questa prospettiva personale, volontaria del sacrificio ha certo influito il

sacrificio di Abramo, che trova consenzienti il Padre ed il Figlio Isacco, e viene poi espresso nel sacrificio dell’ovino, l’ariete (Cfr Gn 22).

Così pure manifesta impegno personale il sacrificio dell’agnello pasquale, esprimente la fede in JHWH del popolo che si dispone all’Esodo, e parimenti il sacrificio del dono della vita del servo di JHWH in Isaia, pur esso congiunto col simbolo dell’agnello (Is 53,7).

Si è anche fatto notare che il sacrificio di Isacco, cioè dell’ovino, ariete, è sempre situato, in tutte le tradizioni, nel luogo della futura Gerusalemme, inoltre in alcune tradizioni nella stessa data della Cena pasquale rituale ebraica, il 15 Nisan.

Queste tradizioni vetero-testamentarie e giudaiche del sacrificio, personale, volontario di Abramo-Isacco, dell’ovino in cui viene espresso, dell’agnello memoriale della Pasqua giudaica, per rinnovare la dedizione a JHWH dell’Alleanza e dell’esodo, del sacrificio volontario del Servo di JHWH, nel simbolo ancora dell’agnello condotto al macello, confluiranno e saranno poi valorizzate in contesto neotestamentario, in Gesù Agnello di Dio, secondo Giovanni, Vangelo ed Apocalisse, anche Paolo, 1Cor 5,7, e 1Pt 1,19.

III.2.3.4 Nei Vangeli sinottici Si nota un notevole distacco dalla terminologia cultuale, neppure risulta

che N. S. Gesù Cristo abbia mai preso parte a sacrifici; ha si chiesto di preparare la Pasqua, cioè l’agnello pasquale, ma per un uso liturgico in cui l’aspetto di memoriale era del tutto prevalente. Si può anche ricordare «Misericordia io voglio, e non sacrificio» (Mt 12,7; 9,1-3), la purificazione del

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tempio ( Cfr Mt 21,12-13; Mc 11,15-17), la lacerazione del velo del tempio (Mt 27,51). Ancora l’approvazione, al commento dello scriba: «Hai detto bene, maestro, è secondo verità che Egli è unico e non ve ne altri all’infuori di Lui; amarlo con tutto il cuore, con tutte le forze e con tutta la mente e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e sacrifici» (Mc 12,33).

Sono sì espressioni di superamento, rottura, ma che dovranno conciliarsi con l’affermazione programmatica: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per portare a compimento» (Mt 5,17).

In verità Cristo porta a compimento la Pasqua, l’esodo, nella sua Croce, che ci introduce ad una vita di resurrezione, nello Spirito Santo; come già sappiamo, il significato sacrificale della Croce viene spiegato nella Cena, dal segno profetico del corpo dato, del sangue versato, per voi, per tutti, per la remissione dei peccati.

Nella rivelazione biblica abbiamo già notato l’influsso su questa dichiarazione istitutiva il suo memoriale, di Es 24,6-9, dell’insegnamento dei profeti sulla nuova alleanza, i Carmi del servo di JHWH. La croce di Gesù è autentico sacrificio personale, per portare l’umanità alla comunione vissuta, filiale col Padre, nel superamento dell’ostacolo del peccato.

I discepoli sono invitati a mangiare il corpo dato, bere il sangue versato, ricevere così la capacità di seguire attivamente Gesù, nella sua novità di vita, la vita delle Beatitudini.

Concretamente si tratterà di preferire Gesù a tutto il resto, compresa la propria vita, portare la propria croce seguendo Gesù (Cfr Lc 14,25-27; Mt 10,37-38). Chi ama la sua vita, la perde, la via della salvezza risulta stretta. Certo tutto nella gioia di chi ha già trovato lo sposo, il tesoro prezioso (Cfr Mt 9,15; 13,44-46).

Dopo la forte riduzione dei sinottici, per concentrare tutta l’attenzione sulla Croce salvifica di Cristo, abbiamo una certa ripresa di terminologia sacrificale, ormai tutta applicata ad introdurci all’intelligenza della Pasqua del Signore, la partecipazione ad essa del discepolo.

III.2.3.5 Paolo Accoglie l’interpretazione giudeo-cristiana, che vede nella croce di Cristo

un vero sacrificio: Cristo è il vero Agnello pasquale (1Cor 5,7), la sua morte un sacrificio di espiazione per il peccato (significato di ¢mart…a, in 2Cor 5,21, che traduce l’ebraico HATTA, che indica sia peccato, sia vittima per espiare il peccato).

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Così pure in Ef 5,2: «Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato, e ha dato se stesso per noi (in offerta, prosfor£), offrendosi a Dio in sacrificio (qus…a) di soave odore» (cfr. Ef 2,13-16). Rm 3,25 ci dice che Cristo è stato fatto da Dio strumento di espiazione (…last»rion), per mezzo della fede, nel suo sangue.

III.2.3.6 Ebrei Parla del sacrifico volontario di Cristo per noi in terminologia chiaramente

veterotestamentaria, ma come suo compimento definitivo e assoluto: redenzione eterna per il sangue: 9,11-15; 10,3-14; una sola volte per tutte (™f£pax): 7,27; 9,12; 10,10. Eb 13,10 usa anche il termine mensa sacrificale (qusiast»rion) per indicare la Croce, o l’altare eucaristico.

III.2.3.7 Giovanni; PietroGiovanni pone in risalto l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo:

Gv 1,29.36; 19,31-37; tutto il suo Vangelo è in prospettiva pasquale, come abbiamo già visto. In Apocalisse le grandi liturgie celesti si celebrano intorno al trono di Dio e all’Agnello immolato: 5,6-14; 12,10-12; 19,1-9; 22,1-5.

Nella sua prima lettera troviamo anche detto che Gesù è sacrificio di espiazione per i nostri peccati, ƒlasmÒj; 1Gv 2,2; 1Gv 4,10.

Pietro riporta il tema del sangue, dell’Agnello, del tempio e del sacrificio:1Pt 1,2.18-21; 1Pt 2,4-10. Cristo non ha trionfato sulle potenze per una semplice dottrina, ma per la sua vita, portata a compimento nella sua Pasqua: la Croce di Cristo riconcilia l’umanità; in sintonia con Paolo: Ef 2,14-22; Tt 2,13s.

III.2.4 Il sacrificio della Chiesa e dei cristiani.Il NT porta la buona novella dell’azione di Dio in Cristo Gesù: in Lui,

sommo sacerdote, è stato realizzato ciò che i sacrifici delle religioni ed anche dell’AT non potevano realizzare; la Chiesa vive del sacrificio di Cristo, con Lui offre la propria esistenza a Dio.

La vita del cristiano è frutto continuo del sacrificio di Cristo, del suo sangue, ed è resa così capace di offrirsi a Dio con Lui: aspersi dal suo sangue (1Pt 1,2), «non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi» (1Pt 1,18-20). Uniti strettamente a Cristo, per mezzo suo «anche voi venite impiegati come pietre vive, per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali (pneumatik£j qus…aj), graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2,5).

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Anche Rm 12,1: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (qus…an zîsan ¡g…an eÙ£reston tî Qeî): è questo il vostro culto spirituale (logik¾n latre…an)». Un sacrificio, culto spirituale a Dio, che richiede una trasformazione secondo la volontà di Dio, non conformarsi alla mentalità di questo mondo (Rm 12,2). Paolo, nella parte parenetica delle sue Lettere detta norme precise sul comportamento etico, nelle concrete relazioni umane : sponsali, filiali, fraterne, sociali, di lavoro. Tutto sempre nella luce, presenza di Cristo Gesù , nel Signore (Cfr Col 3,17-25; Ef 5,22.6,9; Rm 13,1-7).Tutta la vita umana diviene così, per Gesù Cristo, culto spirituale secondo il ‹‹lÒgoj››, parola (logik¾n latre…an, qus…an di Rm 12,1)., questo ‹‹‹come risposta cristiana alla crisi cultuale di tutto il mondo antico››.188.

Culto secondo la parola etica, che ora non è più soddisfatta della mistica ellenistica del ‹‹lÒgoj››, che per quanto bella, entusiasmante, disprezza le dimensioni corporali dell’uomo, negli schemi gnostici di elitaria ascesi intellettuale di ricongiungimento col Pleroma divino. Culto spirituale, offrire i nostri corpi come ‹‹sacrificio vivente, gradito a Dio›› che la Croce di Cristo rende possibile, superando le irresolute difficoltà giudaiche, delle relazioni tra il sacrificio della lode e della vita, ed il culto sacrificale del Tempio.(Sal 49(50); 50(51),17-21).

Ef 5,1-2 parlerà ancora di una partecipazione al sacrificio (qus…an tî qeî) di Cristo al Padre. «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato, e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore».

È il tema consueto in Paolo, di vita cristiana conformata a Cristo, i suoi stessi sentimenti (Fil 2,1-5), secondo il suo Spirito, che in noi lotta contro le opere della carne (Gal 5,15-25).

III.2.4.1 Testimonianze sul Sacrificio di Cristo e della Chiesa, dei cristiani nel pensiero cristiano.

Per i Padri dei primi tre secoli vedi quanto detto circa l’Eucarestia come sacrificio, in I.3.2.2.3. Il tema del sacrificio risulta presente, anzi diffuso, nella dottrina dei Padri dopo il terzo secolo. Accenniamo solo a S. Giovanni Crisostomo e a S. Agostino.

188 RATZINGER, J., Introduzione allo spirito della liturgia, cit. 42s Cfr SACR. CAR., FORMA EUCARISTICA DELLA VITA CRISTIANA, Il culto

spirituale – logiké latreia ( Rm 12,1), n 70.

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III.2.4.1.1 Giovanni Crisostomo .Nell’omelia 17 parla di Cristo, che è venuto ad espiare il peccato mediante

il sacrificio di se stesso. A causa delle nostre fragilità presentiamo oblazioni ogni giorno, cioè celebriamo l’Eucarestia:

«Nel farlo ricordiamo la morte del Signore, ed essa è una, non molte. Perché una e non molte? Perché essa è stata offerta una volte per tutte […]. Infatti noi offriamo sempre il medesimo agnello, e non oggi uno e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il sacrificio è sempre uno solo. Ora tu osservi: poiché questo sacrificio viene offerto in molti luoghi, ci sono forse molti Cristi? No, perché in tutti i luoghi uno solo è il Cristo. Perché sta intero qui e intero lì, così come uno solo è il corpo e non vi sono molti corpi, così uno solo è il sacrificio. Nostro sommo sacerdote è colui che ha offerto la vittima che ci purifica. Anche noi ora offriamo quella vittima che allora fu offerta, e che mai si consumerà. Questo avviene nel ricordo di ciò che allora capitò: fate questo, disse il Signore, in memoria di me. Noi non offriamo un altro sacrificio […], ma sempre lo stesso, o meglio noi rinnoviamo la memoria del sacrificio»189.

III.2.4.1.2 S. Agostino Riporto alcuni insegnamenti tratti dalla Città di Dio, che vengono citati

nella scolastica:Libro X,5: qui Agostino riflette sui sacrifici dell’Antica legge, notando che

hanno valore in quanto esprimono atti di religione, di onesta coscienza, «affinché in questo modo ci uniamo a Dio e nel contempo, con lo stesso fine, veniamo in aiuto al prossimo».

Agostino conclude questa riflessione con una definizione sovente riportata: «Dunque, il sacrificio visibile è sacramento, cioè segno sacro di un sacrificio invisibile»190.

Sacrificio invisibile: le corrette disposizioni interiori davanti a Dio, e all’uomo immagine di Dio, che realizzano comunione.

Questa definizione viene citata da S. Tommaso, nella S. Th. III,q 22,art 2 respondeo, ed è usata per l’umanità crocifissa del Signore: essa in Croce è sacrificio per la remissione dei peccati, per conservarci in grazia, sempre uniti a Dio, affinché aderiamo perfettamente a Dio, ciò che avverrà soprattutto nella Gloria.

189 DI NOLA, G. , La dottrina eucaristica di Giovanni Crisostomo, Bibliot. Patrist. Euchar., LEV, 1997, 355-357.

190 ID., La dottrina eucaristica di S. Agostino, Bibliot. Patrist. Euchar., LEV, 1997, 342s.

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Oltre questa definizione, per altro molto generica, del sacramento-sacrificio, Agostino specifica meglio cosa intende per Sacrificio:

«Vero sacrificio è pertanto ogni opera che pratichiamo per unirci in santa comunione con Dio, riferita cioè a quel bene ultimo col quale possiamo essere veramente felici. Ne consegue che anche la stessa beneficenza che si pratica nel soccorrere il prossimo, se non si fa per Dio, non è sacrificio».

Per Agostino ogni opera di misericordia e anche ogni atto di temperanza è sempre riferito a Dio, solo per questo può dirsi sacrificio:

«Il mio bene è unirmi a Dio: allora si verifica che tutta la città redenta, cioè l’assemblea e la comunità dei santi, viene offerta a Dio come sacrificio universale per la mediazione di quel grande sacerdote che nella passione, assumendo la condizione di servo, ha offerto per noi persino se stesso, affinché fossimo il corpo di un capo così sublime».

Cioè tutte le opere di carità dei cristiani, sia rivolte al prossimo, sia di personale mortificazione, che rendono possibile l’edificazione della Città di Dio, costituiscono un sacrificio universale, che viene offerto a Dio per la mediazione del grande sacerdote Cristo.

Tutto confluisce nel realizzare l’unità della Chiesa:«Questo è il sacrificio dei cristiani, l’essere cioè molti e un solo corpo in

Cristo. La Chiesa celebra questo mistero col sacramento dell’altare, che i fedeli ben conoscono, e nel quale le si mostra chiaramente che nella cosa che offre essa stessa è offerta» (ibid., X,6)191.

La Chiesa sa di offrire se stessa per mezzo di Lui, che è contemporaneamente sacerdote e vittima:

«Ha voluto che il sacramento quotidiano di questa realtà fosse il sacrificio della Chiesa che, essendo il corpo di Lui che è il suo capo, sa di offrire se stessa per mezzo di Lui».

Agostino in questo stesso contesto afferma che tutti i sacrifici dell’AT erano molteplici e vari segni di questo vero sacrificio: «Perché in molti se ne figurava uno solo, era come se si esprimesse un solo concetto usando parole diverse; e questo perché venisse inculcato senza suscitare avversione alcuna. È a questo sommo e vero sacrificio che tutti i falsi sacrifici hanno ceduto il posto» (ibid., X,20)192.

III.2.4.1.3 La grande scolastica Del sec. XIII presenta un insegnamento diffuso sull’Eucarestia sacrificio, in

quanto Memoriale della passione del Signore; ma non si dà ampia riflessione 191 Ibid., 346-349.192 Ibid., 350s.

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sistematica, se la si paragona con la teologia speculativa quasi perfetta, relativa alla presenza sostanziale, alla transustanziazione.

Di questo argomento ci siamo già interessati nella parte più storica.Solo qualche accenno, per dirimere la questione che ci siamo posti sulla

validità del termine sacrificio:l’Eucarestia « è il sacramento della passione di Cristo, destinato a

perfezionare l’uomo nella sua unione col Cristo che ha patito», «sacramento della carità», «vincolo della perfezione» (S. Th. III,q 73,art 3, ad 3). Il sacramento del sacrificio, perché diventi possibile la comunione vitale con il sacrificio redentore, siamo sempre più introdotti e confermati nella novità di vita risorta, nella comunione vissuta col Padre e i suoi figli.

III.2.4.1.4 Conclusioni sul concetto di sacrificio: L’escursus biblico-patristico, con accenno alla scolastica, manifesta l’uso

costante del termine sacrificio, i cui contenuti, dimensioni, frutti sono quelli realizzati nel Sacrificio unico, vertice, della Croce; quando parliamo di sacrificio cristiano ci riferiamo sempre a questo atto della Croce, in cui il Signore Gesù ha racchiuso tutta la sua vita, il suo stare in mezzo a noi, per aprire la nostra vita all’amore del Padre, in una qualità di vita nuova.

Il termine sacrificio può ancora aiutarci ad avere una qualche intelligenza del Mistero massimo della fede, che l’Eucarestia rende presente e ci partecipa.

Il termine sacrificio indica una realtà sacra, la sua finalità di una comunione vissuta con Dio; l’Eucarestia ha sempre come suo riferimento qualificante il Padre, il vivere nella sua carità, Spirito Santo, adorando e ringraziando.

Il termine sacrificio include, per realizzare tale comunione di vita con Dio, una offerta, oblazione della vita: nell’Eucarestia, Cristo venuto in mezzo a noi come dono del Padre, vive tutta la nostra vita umana come offerta, dono di amore riconoscente al Padre, e partecipa a noi questo dono vissuto come risposta di amore al Padre, per i fratelli; ci offre la capacità di fare della nostra vita, conformata alla sua, un dono a Dio per i fratelli, nella stessa carità Spirito Santo.

Il sacrifico indica che l’oblazione non può fare a meno di una certa immolazione, distruzione della vittima sacrificale, per raggiungere la comunione con Dio: si devono infatti superare degli ostacoli, per la chiusura egoistica dell’uomo, il suo stato ancora peccaminoso.

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Ora nell’Eucarestia viene reso presente il sacrificio della Croce, il paziente portare di Cristo tutti i nostri peccati, resistenze, per superarli in un amore più grande, misericordioso.

Anche l’offerta del cristiano, della Chiesa, unita e vivificata dall’immolazione di Cristo, include necessariamente la rinuncia, distruzione, di atteggiamenti egoistici, di chiusure peccaminose, per rendere il dono dell’offerta della propria esistenza sempre più conforme a Cristo, nel dinamismo dello Spirito Santo amore.

Il concetto di Sacrificio, se viene spogliato della sua genericità per una intelligente accoglienza della Croce di Cristo, resa presente e partecipata nell’Eucarestia, dimostra la sua piena validità, anzi necessità: le sue articolazioni di dono, che richiede la distruzione dell’ostacolo (immolazione), per una piena comunione adorante con Dio in una vita nuova, risultano del tutto valide per una fruttuosa intelligenza del mistero dell’Eucarestia.

Non si troverebbe altro termine così completo, come dimostra inoltre il perenne uso nell’AT e NT, nei tempi della Chiesa; presenta anche il vantaggio della possibilità di dialogo con le altre religioni, che lo usano.

Risulta così di valido aiuto per purificare la concezione di Dio, del sacro, che vi è sottesa, della qualità della vita umana, personale e sociale che ne risulta:

«Il sangue prezioso di Cristo, come di Agnello senza difetti e senza macchia [...], predestinato già prima della fondazione del mondo» (1Pt 1,19s).

Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, secondo l’interpretazione di Girard nel suo libro così intitolato.

III.2.4.2 La validità del termine sacrificio per l’Eucarestia, viene ulteriormente confermata, esaminando gli aspetti, indirizzi costitutivi

della celebrazione: ° azione di grazie ossia accoglienza della Grazia ° oblazione, ossia Chiesa presentata e accolta.

III.2.4.2.1 Azione di grazie, ossia accoglienza della grazia: per il termine stesso, Eucarestia significa azione di grazie, accogliere con

riconoscenza la grazia, dicendo grazie. Il sacerdote inizia la preghiera eucaristica, dopo il Sursum corda, invitando: Rendiamo grazie a Dio, cui il popolo risponderà: È cosa buona e giusta. Ma pure la conclusione della celebrazione sarà: Rendiamo grazie a Dio, e questa volta come risposta del popolo stesso, dopo l’invito del celebrante: La Messa è finita, andate in pace.

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Tutto è incluso in un Rendiamo grazie a Dio, prima invito del celebrante, poi consapevolezza proclamata del popolo.

L’Eucarestia non solo un’occasione in cui possiamo rendere grazie a Dio, ma è in se stessa un rendere grazie, lo è per definizione, in quanto è pura grazia, grazia donata, lo stesso sacrifico di Cristo reso presente, accolto, partecipato.

Un rendere grazie che significa accogliere la grazia, facendo nostro il sacrificio preparato e regalato da Cristo: accogliere la grazia inaspettata, con un rendere grazie, riconoscente, che solo Cristo, crocifisso glorioso, può parteciparci.

Il mondo pagano non conosce un vero ringraziamento alla divinità, perché di fronte ad essa sperimenta la difficoltà del come stare davanti ad essa, come propiziarsela; il sacrificio è piuttosto un tentativo.

Cristo ha capovolto l’ordine primitivo del culto: in Lui il Padre ha preso l’iniziativa; non fornisce solo la materia, cosa sacrificare nei beni da Lui creati, ma ci dona anche nel suo Figlio crocifisso il sacrificio per potere stare degnamente davanti a Lui.

Benché l’uomo avesse rifiutato l’iniziativa di amore del Padre inviandoci il suo Figlio, mettendolo in Croce, Gesù mantenne il progetto paterno, facendo della morte che subiva il sacrificio della nostra salvezza. Anzi c’è l’ha donato nel Memoriale della sua Pasqua, determinando Lui stesso la sua struttura rituale, perché fosse presente ed efficace per noi.

Consapevole di questo ineffabile dono, la Chiesa, secondo il comando di Cristo, entra nella preghiera sacrificale non in primo luogo con l’offerta, l’oblazione, ma sapendo che l’offerta, l’oblazione le viene donata, inizierà col rendere grazie, predisporre i cuori all’accoglienza della grazia.

Fare il vero sacrifico, significa anzitutto accoglierlo, perché donato, rivelato nella preghiera e gesti opportuni del Memoriale. L’accoglienza della grazia sta quindi nel cuore del sacrificio. Per ringraziare è necessario accogliere la grazia. Il sacrificio inizia con l’accoglienza della grazia.

Così il sacerdote, facendosi tutta accoglienza, inizierà il Prefazio con azioni di grazie; questa accoglienza viene intensificata quando il Sacerdote, agendo in persona di Cristo, dice le parole della Consacrazione, l’atto con cui Cristo ci regala il suo sacrifico.

In quanto poi il Sacerdote, nell’atto della consacrazione, parla ed agisce in nome del corpo ecclesiale di Cristo, quindi in persona ecclesiæ, esprime l’atteggiamento della Chiesa che va incontro a Cristo, per ricevere, assumere il suo sacrificio.

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All’accoglienza fatta a nome di tutti dal sacerdote che agisce e parla in persona ecclesiæ, seguirà l’accoglienza personale di ciascun battezzato, nell’esercizio del suo sacerdozio, che ha il suo vertice nella Comunione: essa appartiene a quel medesimo movimento di accoglienza della grazia, che rende partecipi nel sacramento e poi nella vita del Sacrificio di Cristo.

I due atti di accoglienza del Sacrificio, del Sacerdote ordinato che agisce in persona Christi et Ecclesiæ, e del battezzato nella comunione, sono ambedue avvolti da un duplice Rendiamo grazie a Dio :del Sacerdote ordinato all’inizio del prefazio, introduzione al rendere grazie; dei battezzati nello sciogliersi dell’assemblea: La Messa è finita, andate in pace, Rendiamo grazie a Dio.

Ricordiamo ancora che il rendere grazie-accoglienza della grazia del Sacrificio, esprime il rendere grazie di Gesù nell’ultima cena, lo attualizza nel tempo della Chiesa.

Questo rendere grazie, a misura unica della conoscenza che Cristo ha dell’amore del Padre per Lui e per i suoi fratelli uniti a Lui, può essere debitamente confessato e pronunciato solo da chi, per il sacramento dell’Ordine, viene abilitato a parlare ed agire in persona Christi et Ecclesiæ. Infatti: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me voi tutti che siete affaticate oppressi, ed io vi ristorerò» (Mt 11,27s).

Solo Cristo può introdurci, nel Memoriale della sua Croce, il suo passare al Padre, affidandosi totalmente all’amore del Padre nonostante il rifiuto dell’uomo, alla conoscenza e partecipazione di questo amore, nella sua perfetta corrispondenza filiale e fraterna.

III.2.4.2.2 Oblazione, ossia Chiesa presentata e accoltaIl rendere grazie è a misura della conoscenza e dell’accoglienza della

grazia; la grazia del Sacrificio di Cristo accolto e reso presente, sacrificio che ci porta alla comunione filiale e fraterna nell’amore del Padre. Il Sacrificio della Messa è l’oblazione di Cristo, accolta e resa presente, perché diventi l’oblazione della Chiesa.

Tale oblazione della Chiesa, che si unisce all’oblazione che Cristo fa per noi al Padre, è presente, praticamente, in tutte le anafore; è collocata nell’anamnesi, la risposta della Chiesa al «fate questo in memoria di me», quando con l’Offerimus la Chiesa esprime la sua offerta. Nel canone romano con le parole:

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«...offriamo alla tua maestà divina, tra i doni che ci hai dato, la vittima pura, santa e immacolata, pane santo della vita eterna e calice dell’eterna salvezza».

Il Padre è alla sorgente del dono, ma è pure al termine del dinamismo di vita nuova suscitato dal dono: offrendosi alla sua Chiesa nel suo Figlio, vuole accoglierla in Sé, unita al suo Figlio.

Primo soggetto di questa oblazione è Cristo stesso: la Chiesa accogliendo il sacrifico attuato da Lui, lo fa suo, presentandolo al Padre: abbiamo visto nel Canone romano:

«offriamo… tra i doni che ci hai dato... la vittima pura santa ed immacolata…».

Vi corrisponde nell’anafora bizantina di S. Crisostomo; «...le cose tue, scelte tra quanto è tuo, le offriamo a Te...».

La novità di questa oblazione eucaristica non consiste nella sua identificazione con Cristo, la persona del Crocifisso glorioso: il Padre ha pieno e perenne compiacimento nel suo Figlio diletto, gradisce sempre il dono del suo Figlio.

Il fatto nuovo è che Cristo unisce a Sé la Sua Chiesa nell’oblazione eucaristica. Qui abbiamo la novità del soggetto dell’oblazione; il fatto nuovo è che questo dono che Cristo fa di se stesso, prima rifiutato dall’umanità nella Passione del Signore, è ora accolto dalla Chiesa e nella celebrazione del memoriale della Pasqua, partecipato e offerto al Padre.

L’elemento nuovo e specifico dell’oblazione eucaristica è che con Cristo e per Cristo viene accolta e gradita dal Padre anche la Chiesa.

Questo costituisce la struttura del sacrificio eucaristico e del nuovo sacerdozio, ordinato e battesimale, che vi corrisponde: non vi sono più vittime sostitutive, come nei sacrificio del tempio, né sacerdoti che spoglino i membri del popolo di Dio del loro sacerdozio.

Cristo si è offerto per noi, ha voluto nella successione apostolica un segno sacramentale del suo essere capo e sposo della chiesa, non per toglierci la capacità personale di offrirci al Padre, ma per realizzarla.

Quando la Chiesa assume e presenta il sacrificio di Cristo, questo significa che essa, unita a Lui, suo capo e sposo, può presentarsi al Padre, viene da Lui accolta e gradita. Qui sta la novità dell’oblazione eucaristica.

Tempo privilegiato di tale oblazione, in quanto è della Chiesa, risulta essere l’anamnesi: qui il Celebrante, operando e parlando a nome della Chiesa universale, fa l’offerta a nome di tutti battezzati, anche gli assenti, i fratelli separati.

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In quanto deve essere personalmente partecipata, nell’esercizio del personale sacerdozio battesimale, ciò si realizza nella personale comunione: ciascuno si fa presente, personalmente offrendosi e comunicando all’oblazione di Cristo, per essere in Cristo accolto dal Padre.

L’accoglienza ecclesiale del sacrificio di Cristo, realizzata nell’anamnesi dal Ministro competente, viene personalizzata nella comunione.

La qualità sacrificale sia del rendere grazie-accogliere la grazia, sia dell’oblazione di Cristo e della Chiesa offerta al Padre, viene posta in risalto considerando la supplica, l’invocazione connessa con i due indirizzi complementari dell’azione di grazia e dell’oblazione.

Sia l’accoglienza ringraziante della grazia del sacrificio, sia l’offrire e vivere di questa grazia, l’oblazione di Cristo e nostra al Padre, è come segnata da due tempi di attesa, di supplica. Questi due momenti di supplica hanno il loro vertice nella duplice epiclesi, invocazione dello Spirito Santo:

° anzitutto si chiede al Padre l’invio dello Spirito Santo, per santificare i doni offerti, affinché diventino il corpo e sangue di Cristo, e così sia reso presente alla chiesa il Sacrificio di Cristo. La prima epiclesi, pre-consacratoria nella liturgia romana, è intrinsecamente collegata al desiderio della grazia, l’accoglienza della grazia, dicendo grazie.

° dopo l’anamnesi e l’offerimus, si presenta una seconda epiclesi, affinché l’oblazione della Chiesa sia accolta, gradita, porti i suoi frutti di vita nuova: «Volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno...» (Canone romano); «Ti preghiamo umilmente: per la comunione al tuo corpo e al tuo sangue, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo…» (Canone II).

Questa supplica in relazione all’offerta del sacrificio e ai frutti della partecipazione personale al sacrifico, è posta opportunamente tra l’anamnesi, il suo offerimus, e la comunione, tra l’evento ecclesiale del sacrificio di Cristo e della sua Chiesa, ed il suo adempimento personale nella comunione. Si chiede, che il sacrificio reso presente ed offerto, sia propizio, santificante per i comunicandi.

Concludiamo, sottolineando ancora come la Chiesa riceve, offre, partecipa al Sacrificio di Cristo con gli atteggiamenti di accoglienza riconoscente e supplica costitutivi la preghiera eucaristica.

Qui troviamo il riferimento al Padre, teologico, che fa dell’eucarestia un vero sacrificio: la preghiera eucaristica, che avvolge i gesti del memoriale, accoglie, esprime, realizza il dono di Cristo e con Lui della Chiesa tutta intera al Padre.

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Non solo sacramentalizza il Sacrifico, ma realizza un vero sacrifico, in forma sacramentale, affinché l’intera vita, personale e comunitaria, sia conformata a Cristo, quasi trasfigurata, un dono gradito al Padre193.

III.3 LA COMUNIONE SACRAMENTALE

III.3.1 La comunione eucaristica, la più intensa partecipazione sacramentale al Sacrificio .

Constatando come in alcune celebrazioni eucaristiche solo il Sacerdote, o pochi fedeli con Lui, comunicano al Corpo del Signore, si pone la domanda: si tratta ancora del memoriale della Pasqua ? esso non include un dare da mangiare e bere nella sua essenza costitutiva ?

La storia della celebrazione ci presenta sia una diminuzione del numero dei comunicandi, sia anche un cambiamento nel modo di offrire le specie consacrate:

dal sec. IX non si da più la comunione in mano194

dal sec. XII si instaura spontaneamente l’uso di comunicare sotto la sola specie del pane195.

il Concilio di Trento esprime il vivissimo desiderio e la convenienza che i fedeli partecipino al sacrificio eucaristico, non solo con la devozione, ma nel modo pieno, con la comunione sacramentale; insieme afferma che le Messe nelle quali comunica sacramentalmente al Sacrificio il solo Sacerdote, sono lecite, celebrate per tutti i fedeli. (DH 1747. 1758).

Riguardo alla Comunione sotto la sola specie del pane, rimandiamo al Decretum de comunione sub utraque specie et parvulorum, DH 1729. 1733, di cui abbiamo parlato.

Il Vaticano II riprende l’argomento, nella Sacrosantum Concilium n. 55: “Si raccomanda quella partecipazione più perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo la comunione del Sacerdote, ricevono il corpo del Signore dallo stesso Sacrificio.

Fermi restando i principi dottrinali stabiliti dal concilio di Trento, la comunione sotto le due specie si può concedere sia ai chierici e religiosi sia ai

193 Cfr LIGIER, L., Il Sascramento dell’Eucarestia.,cit, 336-348 su rendimento di grazie e oblazione, come indirizzi costitutivi del sacrificio eucaristico. Sono pagine magistrali.

194 Cfr RIGHETTI, M. , Manuale di storia liturgica, 3: La Messa, Ancora, Milano rist. 1998, 516-517

195 Ibidem, 507

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laici, in casi da determinare dalla Sede Apostolica e secondo il giudizio dei Vescovi, come per esempio…”

Per l’applicazione vedi Introduzione generale al Messale romano, edizione tipica prima, n. 142, in EV, 3, nn 2295-2316, norme non mutate nella edizione tipica II del 1975, specificate dalla Commissione episcopale per la liturgia della CEI, nel documento: La comunione sotto le due specie, del 16 / 1 / 1975, cfr. Ench CEI vol II, pag. 630, n 1896.

Con l’edizione tipica terza del Messale romano, 2002, l’Introduzione generale conosce numerose modifiche, e manifesta la volontà di una ordinata ulteriore estensione della Comunione sotto le due specie: queste norme sono esposte al n. 283 corrispondente al n. 242 dell’edizione del 1975196.

Per orientarci in questa materia di comunione frequente e di comunione sotto le due specie, proponiamo solo alcuni principi generali

L’Eucaristia è il Sacramento della Pasqua del Signore, il Sacrificio di Cristo reso presente perché sia sacramentalmente partecipato; il memoriale del Signore include un: prendete, mangiate e bevete.

forma essenziale, decisiva , costituente l’Eucaristia risulta essere il Sacrificio, il sacrificio della Croce reso presente nel Memoriale, affinché sia partecipato: Corpo dato e Sangue versato per l’accesso al Padre, nel Ringraziamento, nuova Alleanza, remissione dei peccati.

la partecipazione sacramentale piena al Sacrificio reso presente si realizza in una convivialità simbolica, il mangiare e bere il Corpo dato ed il Sangue versato: Eucarestia nella sua forma derivata, la Cena del Signore.

la dignità battesimale sacerdotale richiede la partecipazione sacramentale al Sacrificio; parimenti, secondo il discorso eucaristico di Gv 6,53-58, il mangiare e bere la carne ed il sangue del Signore è necessario per avere in noi la Vita, giungere alla Risurrezione. La Chiesa ha precisato un minimo nel Concilio Lateranense IV, DH 812, Diritto canonico can. 920.

la fragilità del Cristiano in peccato grave esige la sua astensione dalla Comunione sacramentale, prima della riconciliazione

196 1 II testo della Institutio ( Introduzione ) è stato fatto conoscere prima dell’edizione del Missale romanum, cfr. Ephem. Liturgicae 114 (2000) 5-6, 263-264 ( il n 283 a pag 456), ove sono riportate in grassetto le novità del Testo rispetto alla Institutio del messale 1975

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sacramentale: DH 1662. 1647 1706 s., Can. 916, Eccl. de Euch n 36, Sac. Car. nn 20-21.

si dà non solo la convenienza, ma la necessità di unirci al Sacrificio sacramentale di Cristo, che mortifica e vivifica, per vivere nella propria situazione ecclesiale ed umana la conformità a Cristo crocifisso glorioso che ci dona la pienezza della sua vita, nelle concrete situazioni di crescita personale, di vocazione, di sofferenza, di accoglienza del prossimo, del bisognoso.

pur professando che sotto le specie del pane e del vino si da tutto il Cristo, con il suo corpo, sangue, anima e Divinità, è bene, quando concesso e possibile, comunicarsi sotto le due specie, per la maggior espressività del segno sacramentale, come istituito dal Signore Gesù.

III.3.2 La Comunione eucaristica come partecipazione ai frutti del Sacrificio, la res tantum dell’Eucarestia.

Questi frutti sono molteplici: unione e conformità a Cristo, nutrimento della vita soprannaturale, purificazione, antidoto del peccato, unità e carità ecclesiale, pegno della salvezza escatologica. É infatti sacramento di pienezza, perfezionamento; cerchiamo intelligenza teologica di questi frutti considerando:

III.3.2.1 Effetti ecclesiali, unità e carità. Escatologici.Li consideriamo insieme, perché è lo stesso corpo di Cristo crocifisso e

glorioso, partecipato dai suoi discepoli, dal Cenacolo del Giovedì santo sino all’ultima Eucarestia e Viatico, ad essere la causa e sorgente dell’unità vitale della Chiesa attraverso i secoli, in tutti gli spazi, nonostante la frattura della morte, sino alla risurrezione finale, la pienezza escatologica. Ascoltiamo Sacr.Car. n 30 :

“L’uomo è creato per la felicità vera ed eterna, che solo l’amore di Dio può dare. Ma la nostra libertà ferita si smarrirebbe, se non fosse possibile già fin d’ora sperimentare qualcosa del compimento futuro [….] Questa meta ultima, è lo stesso Cristo Signore vincitore del peccato e della morte, che si rende presente a noi in modo speciale nella Celebrazione eucaristica. Così pur essendo noi ancora ‹‹stranieri e pellegrini››(1 Pt 2,11) in questo mondo, nella fede già partecipiamo alla pienezza della vita risorta”

Il medesimo Spirito santo, frutto del sacrificio pasquale del Signore, è il principio interiore dell’unità ecclesiale nella fede e carità, il nuovo stile di vita risorta.

Questi effetti di unità e carità ecclesiale, con anticipo e proiezione escatologica, sono chiaramente riconosciuti, professati nel Nuovo Testamento:

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in modo particolare da Paolo, Giovanni, con il concetto, dimensione vissuta della koinon…a, communio, comunione.

Il termine greco koinon…a indica unità, condivisione, compartecipazione; non è mai usato nella traduzione dei LXX.

In Paolo koinon…a acquista una portata centrale, con significati che occorre distinguere nettamente nei confronti sia del mondo greco (comunità costituita partecipando ad una idea comune, una natura condivisa), sia del mondo ebraico (convocazione dell’assemblea del Popolo di Dio) .

Infatti per Paolo koinon…a si riferisce rigorosamente alla relazione, partecipazione vissuta con Cristo, comunicando il suo Corpo eucaristico, realizzando così il suo unico Corpo ecclesiale (Cfr 1 Cor 10,16s.).

Koinonia diviene così «partecipazione al Figlio»(l Cor 1,9), allo «Spirito Santo» (2 Cor 13,13), al Vangelo (Fil 1,5), ai «patimenti di Cristo»(Fil 3,10). Paolo esprime questa qualità, perfezione di vita, ricevuta e partecipata dal Signore Gesù, coniando parole nuove, con il comune prefisso sun-, sun- cioè con-: con-patire (Rm 8,17), con-crocifissi (Rm 6,6), conresuscitati (Col 2,12.3,1; Ef 2,6), con-ereditare (Rm 8,17), con-regnare (1Tm 2,12).

Questa comunione con Cristo è opera di un intervento creatore di Dio, comporta una trasformazione dell’uomo, sin nelle sue radici profonde, in quanto lo «incorpora» nel Corpo ecclesiale di Cristo, in relazione di solidarietà vissuta con tutti i battezzati, partecipi di Lui. Questo si inaugura nel Battesimo, quando per l’azione dello Spirito i credenti sono immersi nella Morte e Risurrezione di Cristo (Rm 6,4-5 ), per formare un colo Corpo (1Cor 12,13).

Il Battesimo è una «incorporazione» iniziale, nella prospettiva dell’Eucarestia, per diventare un solo Corpo di Cristo, partecipando di un solo pane e calice, il suo Corpo dato ed il suo Sangue versato (1 Cor 10,16s.) Così la Chiesa «è il suo Corpo, e la Pienezza di colui, che si realizza interamente in tutte le cose» ( Ef 1,23).197

Non si tratta del dissolvimento delle singole personalità, della fusione di più personalità, ma di un qualità nuova di vita solidale e personale in «Cristo Gesù», attingendo, partecipando alla sua pienezza, che riversa, come Capo nella sua Chiesa (Col l,18s.)

Quando Paolo appella all’unità , chiede di partecipare degli stessi atteggiamenti di Cristo, attinti da Lui (Fil 2,1-12); riconoscere «un solo Corpo,

197 Sacramentum caritatis n 17 .”A questo proposito, come hanno detto i Padri sinodali, dobbiamo chiederci se nelle nostre comunità cristiane sia sufficientemente percepito lo stretto legame tra Battesimo, Confermazione ed Eucaristia. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che veniamo battezzati cresimati in ordine all’Eucaristia”

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Spirito, Speranza, Signore..» ( cfr Ef 4,3-6). Un solo Corpo, in Cui «ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri»(Rm 12,5).

Membra, articolazioni, di cui alcune (Apostoli, Profeti, Evangelisti, Dottori cfr Ef 4,11; 1Cor 12,27s.) decisive, costitutive, affinché tutti, con la propria grazia-dono ricevuta, possano crescere, attingendo dal Capo Cristo, nell’edificazione del suo Corpo, realizzando l’uomo maturo (persona nella comunità), al livello della statura che attua la pienezza di Cristo.(Ef 4,11-16).

Nella comunione eucaristica, ricevendo il Corpo dato ed il sangue versato, diveniamo partecipi del Sacrificio di Cristo, la sua capacità di dono, attingiamo alla sua «Pienezza», incorporati in Lui, in Lui vitalmente uniti a tutti i membri della Chiesa che sono ugualmente partecipi di Lui; beneficiamo dei loro Ministeri e carismi; veniamo incorporati da Cristo capo, nel suo Corpo ecclesiale, mistico, per crescere così nell’unità, verità, carità, secondo la misura della pienezza dello stesso Cristo Gesù.

Lo Spirito Santo, frutto del Sacrificio pasquale, è il principio interiore dell’unità ecclesiale, nella fede e carità nel nuovo stile di vita risorta, secondo le beatitudini.198

Questa unità del Corpo ecclesiale ha il suo aspetto visibile nello stesso Battesimo che abilita alla comunione del corpo eucaristico, nella celebrazione eucaristica. Ricevendo così l’abbondanza dei frutti dello Spirito Santo (Gal 5,22s), i carismi ricordati in 1Cor 12,1-14,40, il dono più prezioso, quello della Carità.

Questa unità visibile nella celebrazione dell’unico Battesimo, nella Comunione all’unico Pane e Calice, per cui veniamo incorporati nell’unico Corpo, è posta in risalto, qualificata dai Ministeri,«articolazioni» (Apostoli,Profeti, Evangelisti, Pastori, Dottori), necessari per la crescita del Corpo, a misura della Pienezza di Cristo.( cfr 1Cor 12,28; Ef 4,11-16)199

198 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia, n 35, parla di ‹‹ vincolo di comunione sia nella dimensione invisibile che, in Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, ci lega la Padre e tra di noi…››, e al n 36 :‹‹La comunione invisibile, pur essendo per sua natura sempre in crescita, suppone la vita della grazia…la pratica delle virtù della fede, della speranza e della carità….L’integrità dei vincoli invisibili è un preciso dovere morale del cristiano che vuole partecipare pienamente all’Eucaristia comunicando al corpo e sangue di Cristo.››

199 GIOVANNI PAOLO II, ibidem, n 15, parla della ‹‹dimensione visibile›› dell’Eucaristia ‹‹implicante la comunione nella dottrina degli Apostoli, nei Sacramenti e nell’ordine gerarchico. L’intimo rapporto esistente tra gli elementi invisibili e gli elementi visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come sacramento di Salvezza. Solo in questo contesto si ha legittima celebrazione dell’Eucaristia e la vera

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Non siamo noi a costruire il Corpo ecclesiale, ma vi siamo inseriti, assunti, incorporati.200 Esso ci precede, nella pienezza del Capo, nella sua perfetta accoglienza nella fede di Maria SS 201in quella già riversata ed accolta nei Cristiani battezzati prima di noi. In Esso riceviamo il dono dello Spirito Santo, la Comunione col Padre ed il Figlio (1 Gv. 1,1-4), riconosciamo l’Unità della Chiesa, le articolazioni- ministeri apostolici che la esprimono e la realizzano.

Questa Unità ecclesiale, particolarmente visibile nei suoi ministeri-articolazioni apostoliche, ci precede, e risulta già come inclusa in ogni celebrazione eucaristica, cui comunichiamo.

“L’unicità ed indivisibilità del corpo eucaristico del Signore implica l’unicità del suo corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile.

Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nella braccia aperte del Signore ne consegue l’inserimento nel suo corpo, unico ed indiviso.

Anche per questo, l’esistenza del ministero petrino, fondamento dell’unità dell’episcopato e della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l’indole eucaristica della Chiesa. [....].

Unità dell’Eucaristia e unità dell’episcopato con Pietro e sotto Pietro non sono radici indipendenti dell’unità della Chiesa, perché Cristo ha istituito l’Eucaristia e l’Episcopato come realtà essenzialmente vincolate. L’Episcopato è uno; come una è l’Eucaristia: l’unico sacrificio dell’unico Cristo “morto e risorto”202.

partecipazione ad essa››.200 Del carattere intrinsecamente ‹‹sociale›› dell’Eucaristia parla anche

BENEDETTO XVI nella ‹‹Deus caritas est››, n 14 :‹‹L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani.››

201 Sacramentum caritatis n 33 :” Per questo ogni volta che nella Liturgia eucaristica ci accostiamo al Corpo e al Sangue di Cristo, ci rivolgiamo anche a Lei, che aderendovi pienamente, ha accolto per tutta la Chiesa il sacrificio di Cristo. Giustamente i Padri sinodali hanno affermato che ‹‹Maria inaugura la partecipazione della Chiesa al sacrificio del Redentore››( Propositio 4).

202 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Communionis notio,alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, Lettera del 28/6/1992, in EV,13, nn. 1794. 1797.

Cfr. COMMISSIONE INTERNAZ. ANGLICANA-CATTOLICA ROMANA, La Chiesa come comunione, Dublino 1990, in Ench. Oecum. 3,37-53

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° Comunione ed unità della Chiesa nella lex orandi e credendi.Sin dalle Origini la celebrazione dell’Eucaristia è il riunirsi proprio dei

cristiani, e nei primi tempi era congiunta con l’«agape».Da questo contesto di unità e solidarietà sorgeva, secondo Didachè 9,4, la

supplica per il perfetto raduno della Chiesa intera. La domanda si basava sul simbolismo del pane fatto da una moltitudine di chicchi di frumento riuniti in uno. Tema che non era altro che quello dell’unico pane di 1Cor 10,16s. allegorizzato.

L’epiclesi delle preci eucaristiche invocano l’unità presente ed escatologica della Chiesa, molto marcata nelle anafore siro-bizantine: “....venga la Spirito tuo Santo sopra di noi tuoi servi e sopra questi tuoi doni presentati,.... per la santificazione dell’anima, del corpo e dello spirito, affinchè diveniamo un solo corpo ed un solo spirito e troviamo parte e abbiamo eredità con tutti i santi, che fin da quando erano nel mondo ti furono graditi”203.

Anche il Canone romano, subito dopo il Sanctus, invoca l’unità della Chiesa: “Noi te lo offriamo [questo santo ed immacolato sacrificio], per la tua Chiesa santa e cattolica, perché tu le dia pace e la protegga la raccolga nell’unita e la governi su tutta la terra”.

Anche nei canoni frutto della riforma liturgica vaticana: Can. II “Ti preghiamo umilmente, per la comunione al corpo e al sangue di

Cristo, lo Spirito santo ci riunisca in un solo corpo”.Can III “ ...dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diveniamo in Cristo

un solo corpo ed un solo spirito.”Il tema dell’unità operata dalla partecipazione alla S. Eucaristia è sovente

presentato come uno sviluppo dell’argomento paolino della comunione all’unico pane (1 Cor 10,16s); allegoricamente si richiama anche la semina, la raccolta del grano per la preparazione del pane.

Cipriano, in più luoghi, ritorna su questo tema:“II Signore chiamando suo corpo il pane fatto dalla riunione della

moltitudine dei chicchi, intende significare l’unità del nostro popolo” (Epist. LXIX, V)204.

Agostino allegorizza anche di più: oltre alla semina e al raccolto, ricorda la macina e la confezione del pane: questo lungo lavoro simbolizza la fatica

203 GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, prospettive teologiche sull’Eucaristia a partire dalla ‹‹lex orandi››, Gregorian University press-Morcelliana, Roma-Brescia 1989,432

204 CIPRIANO, Lettere 51-81, cit., 216-217

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dell’iniziazione dei catecumeni alla recezione dei sacramenti pasquali. Possiamo ricordare un passo del Sermo 272: “ Cristo nostro Signore ci da un segno di ciò che siamo. Egli vuole che siamo uniti: è il segno sacramentale della nostra unità che egli consacra sulla tavola”. Ritornano spesso in Agostino, parlando della nostra partecipazione eucaristica al Sacrificio le espressioni: “Diveniamo perfetti nella [unità] del corpo” ( In Sal. 39, n 12)205; con la partecipazione eucaristica,«la Chiesa diviene il Corpo di Cristo». L’Eucaristia è il sacramento «attraverso il quale in questo tempo la Chiesa si consocia (consociatur: molti un corpo solo)».

Cirillo di Alessandria collega il tema dell’unico pane di Paolo con la santificazione, partecipazione alla santificazione-sacrificio di Cristo (Gv 17,17-19), invocata da Gesù per i suoi discepoli nella preghiera per l’unità:

“Per fondarci nell’unità con Dio e tra di noi...,per amalgamarci gli uni agli altri, il Figlio unigenito, sapienza e consiglio del Padre, escogitò un mezzo meraviglioso: per un solo corpo, il suo proprio, Egli santifica i fedeli nella comunione mistica, rendendoli «con-corporei» con sé e tra di loro” (in Joan. lib. XI, 11).206

S. LEONE MAGNO afferma: “ La comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, non presenta altro effetto che farci passare (transeamus, trasferirci, transfigurarci) in ciò che assumiamo” (Sermo 63, 7).207

Abbiamo visto come sino all’inizio del II Millennio Corpus, mysticum indica il Corpo eucaristico del Crocifisso glorioso, mistico in quanto reso presente nel «mistero», il memoriale celebrato; esso realizza, per la celebrazione del sacrificio e la sua partecipazione, il corpo ecclesiastico di Cristo, indicato anche come corpo vero.

Il superamento della teologia simbolica, la disputa suscitata da Berengario porteranno a sottolineare il dato di fede essere il Corpo eucaristico lo stesso Crocifisso glorioso, nelle specie conviviali: corpo vero, la stessa identità, sostanza del Crocifisso glorioso.

Si arriva così ad indicare per vero il Corpo eucaristico, per mistico il corpo ecclesiale. L’operazione teologica di ribadire, senza ombre di ambiguità, la

205 La Dottrina eucaristica di S. Agostino, Introduzione, versione e note di DI NOLA, G. , ( =Biblioteca patristica eucaristica ) Lib. Editr. Vaticana, 1997, 189

206 PG 74, 560; CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni /3, libri IX-XII (=testi patristici 113) Città nuova ed. Roma 1994, 367

207 LEON LE GRAND, Sermons III, Traduction et notes de Dom R. Dolle, (= SC 74) Paris 1961, 84 s

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verità sostanziale del Corpo eucaristico, rifluisce con benefico effetto sulla consistenza di unità, animazione dello Spirito Santo, del corpo ecclesiale.

Anche se in verità la concentrazione sulla presenza sostanziale del Corpo eucaristico, portò ad una certa negligenza nel teologizzare i suoi effetti di unità, carità, nelle articolazioni ministeriali e carismatiche della Chiesa.

Non del tutto però: il Lateranense IV indica l’effetto, la res dell’Eucaristia: “ad perficiendum mysterium unitatis”. (portare a compimento il mistero dell’unità ecclesiale: DH 802).

Pure S. Tommaso d’Aquino esprime più volte la piena consapevolezza essere l’Eucaristia: “Sacramentum ecclesiasticae unitatis” ( S.Th., q. 73, art. 2, c.); “ Sacramentum caritatis”(S.Th. III,q. 73, art. 3, ad 3)208. Suo effetto proprio essere l’unità e la carità.(Sacr. Car. n 1).

La riforma porta con sé, in seguito alle incertezze sulla presenza del Signore nella sua «Cena», una notevole dimenticanza dei temi tradizionali sull’incorporazione in Cristo, la Chiesa come corpo di Cristo.

Sono invece presenti nel Concilio di Trento . Eucaristia “symbolum unitatis et caritatis” (DH 1635); anche l’espressione agostiniana; «Signum unitatis, vinculum caritatis, symbulum concordiae»(DH 1649). Afferma ancora il Tridentino:

“Egli [N.Signore] volle che questo sacramento fosse pegno della nostra gloria futura e della gioia eterna e persino simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo, e a cui volle che noi fossimo congiunti come membra dal vincolo strettissimo della fede, della speranza e della carità, perché fossimo tutti unanimi nel modo di parlare e non vi fossero divisioni tra di noi” (DH 1638).

Le affermazioni di stile agostiniano si ritrovano con evidenza nel Vaticano II: nella Lumen gentium. Il tema viene sviluppato in più luoghi:

LG n 3: “..con il sacramento del Pane eucaristico viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli che costituiscono un solo corpo in Cristo.”

LG n 7: “Nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi...Così noi tutti diventiamo membri di quel corpo, e individualmente siamo membri gli uni degli altri.”

LG n 11:.” Cibandosi poi del Corpo di Cristo nella S. Comunione, mostrano concretamente l’unità del popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente prodotta”.

208 Sacramentum caritatis è il titolo che BENEDETTO XVI ha dato alla sua Esortazione apostolica post-sinodale., citando S. Tommaso d’AQUINO.

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Giovanni Paolo II, nell’‹‹Eccl. de Euch.›› n 23 :”L’Eucaristia rinsalda l’incorporazione a Cristo, stabilita nel Battesimo mediante il dono dello Spirito (cfr 1 Cor 12, 13.27).”

Ancora nel n 24: “Il dono di Cristo e del suo Spirito, che riceviamo nella comunione eucaristica, compie con sovrabbondante pienezza gli aneliti di unità fraterna che albergano nel cuore umano, e insieme innalza l’esperienza di fraternità insita nella comune partecipazione alla stesa mensa eucaristica a livelli che si pongono ben al di sopra di quello della semplice esperienza conviviale umana.”

Benedetto XVI nella ‹‹Deus caritas est››, n 14, sottolinea il carattere sociale della ‹‹mistica›› eucaristica :

“L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona: Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani. Diventiamo ‹‹un solo corpo››, fusi insieme in un’unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé”

Troviamo evidentemente questo tema nel discorso ecumenico: per quanto riguarda gli Orientali si ricorda che “per mezzo del Sacerdozio e dell’Eucaristia restano ancora uniti a noi da strettissimi vincoli” (UR n 15).

Più articolato si presenta il discorso circa i riformati del sec. XVI: UR n 22: “Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell’unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di essi sono stati rigenerati. Tuttavia il Battesimo di per sé è solo l’inizio e l’esordio, perché esso tende interamente all’acquisto della pienezza della vita in Cristo. Pertanto il Battesimo è ordinato all’integra professione di fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto, e infine alla piena inserzione nella comunione eucaristica.”

Il tema dell’unità, celebrata, espressa e partecipata nella comunione eucaristica, viene inculcata nella Gaudium et Spes in proiezione escatologica:

“Un pegno di questa speranza e un viatico per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel Sacramento della fede nel quale degli elementi naturali coltivati dall’uomo vengono tramutati nel Corpo e nel Sangue glorioso di Lui, come banchetto di comunione fraterna e pregustazione del convito del cielo” (GS n 38).

Anche i Sinottici collegano la celebrazione dell’ultima cena, istituzione del memoriale eucaristico, con il banchetto escatologico; calice «escatologico» di Lc

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22,16-18; significato escatologico del Calice del Sangue in Mt 26,27-29 e Mc 14,23-25.

La proiezione escatologica è presente in vari modi nella preghiera eucaristica: nella prima e seconda acclamazione dopo la consacrazione, nella stessa «anamnesi: in attesa della sua venuta. Canone III, IV», nel suffragio per i defunti , il ricordo e la venerazione della Beata Vergine Maria e dei Santi...

Passiamo ora dagli effetti ecclesiali ed escatologici a quelli più personali: ma ci rendiamo conto che è la stessa intensa Koinonia, comunione nell’unità-carità ecclesiale, secondo gli articolati Ministeri e carismi, a indicarci come, la Comunione al Sacrificio di Cristo, ci trasformi, conformi a Lui interiormente e corporalmente.

III.3.2.2 Effetti cristici e pneumatici della comunione al Sacrificio.

1Cor 10,16s, la comunione dell’unico pane per formare un solo Corpo, Gv 15,1-17, la vite ed i tralci con il comandamento nuovo della carità sottolineano maggiormente l’effetto dell’unità. A sua volta il discorso del pane della vita di Gv 6 indica con forza la trasformazione personale, il rimanere in Cristo come Lui è nel Padre, essere così introdotti nella pienezza della vita, sino alla Risurrezione dell’ultimo giorno. (Gv 6,53-58).

Distinguiamo effetti cristici e pneumatici, ponendo in risalto che Cristo si dona a noi col suo Corpo e Sangue , offerti in Sacrificio, configurandoci a Sé; insieme ricordando che il Crocifisso glorioso è fonte, è datore della Spirito Santo, che ci trasforma nel cuore e nella vita.

Cristo nella comunione eucaristica ci unisce a sé grazie alla mediazione del suo essere umano, il suo Corpo ed il suo Sangue; inoltre si unisce a noi grazie alla mediazione del suo Spirito: i. due effetti sono quindi strettamente connessi.

° Effetti cristici.Già per il dono della grazia battesimale, Cristo abita per la fede nei nostri

cuori (Ef 3,17), vi dimora insieme al Padre e allo Spirito Santo, configurandoci alla sua immagine, in modo dinamico.

La presenza eucaristica ha di proprio che viene mediata dal suo Corpo e Sangue offerti in Sacrificio, Cristo nella pienezza del suo dono di vita per noi. Presenza del Crocifisso glorioso corporalmente espressa e donata.

Nel suo corpo e suo sangue offerti nella sua Pasqua Cristo riassume e racchiude tutta la sua esistenza divino-umana: ricevendoli in comunione tutta la nostra vita viene assimilata e configurata all’intera vita di Cristo, nel suo compendio di Croce e Risurrezione.

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Ci unisce a se in forza del suo Sacrificio in quanto è nostro Signore per creazione e redenzione, perché nella nostra vita si manifesti la pienezza di grazia, scienza e sapienza che racchiude in sé e comunica a noi. Il Sacramento della passione del Signore crea con noi reciprocità di vita: comunione di vita donata ed accolta .

-- Cristo viene a noi e ci unisce a sè attraverso il suo Corpo crocifisso e glorioso

-- noi veniamo congiunti a Lui, nel suo mistero pasquale divenuto nostro, perché si manifesti nella nostra vita concreta, corporale, configurata alla sua. Ricevendo il corpo del Crocifisso glorioso, anche il nostro corpo viene rinnovato, affinché esprima in tutto, nell’osservanza dei comandamenti, nell’atteggiamento delle Beatitudini, il dono integro, casto a Dio e ai Fratelli.209

° Effetti pneumatici della Comunione eucaristica.Il Crocifisso glorioso si dona a noi come fonte dello Spirito Santo; si

possono ricordare alcuni passi del Nuovo Testamento: -1Cor 15,45: “L’ultimo Adamo divenne Spirito datore di vita”-2Cor 3,17 : “I1 Signore è lo Spirito”.-Ef 2,18 : “Siate ricolmi dello Spirito”-1Cor 10,3 ci parla di «cibo e bevanda spirituali»Nella preghiera eucaristica la domanda dello Spirito Santo per i suoi frutti

nei comunicandi, viene espressa nella Epiclesi.Nei commentari siriaci l’invocazione viene interpretata come

manifestazione della condizione gloriosa di Cristo nell’Eucaristia (in Teodoro di

209 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n 14 .”[ nell’Eucaristia] l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare ad operare in noi e attraverso di noi. Solo a partire da questo fondamento cristologico-sacramentale si può capire correttamente l’insegnamento di Gesù sull’amore. Il passaggio che Egli fa compiere dalla Legge e dai Profeti al duplice comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo, la derivazione di tutta questa esistenza di fede dalla centralità di questo precetto, non è semplice morale che poi possa sussistere autonomamente accanto all fede in Cristo e alla sua riattualizzazione nel Sacramento: fede, culto ed ethos si compenetrano a vicenda come unica realtà che si configura nell’incontro con l’agape di Dio. La consueta contrapposizione di culto ed etica qui semplicemente cade. Nel ‹‹culto›› stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri.”

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Mopsuestia210); i Bizantini si esprimono nel rito dello Zeon (l’aggiunta di acqua calda nel calice immediatamente prima della Comunione)211.

Lo stato spirituale è proprio non solo dell’essere glorioso di Cristo in pienezza fontale, ma in modo realmente partecipato anche del battezzato comunicando, per esserne ulteriormente «riempito», nell’attesa che il mondo intero ne sia impregnato.

Lo Spirito Santo è il principio da cui proviene la qualità nell’uomo dell’essere nuovo, pneumatico, e del suo corrispondente agire: solo Cristo è la causa e la sorgente dello stato nuovo qualificato dallo Spirito Santo.

II corpo di Cristo è pienamente pneumatico, il nostro solo parzialmente: comunicandosi a noi ci fa crescere nella sua situazione spirituale, ci introduce sempre più nel suo agire guidato dallo Spirito Santo, nel suo vertice dell’obbedienza pasquale: “[Cristo] per virtù di Spirito eterno, offrì se stesso immacolato a Dio” (Eb 9,14).

La comunione eucaristica è il momento in cui i battezzati, uniti al corpo pneumatico di Cristo, sono portati dallo Spirito Santo a vivere conformati a Cristo nel dono al Padre per i fratelli, a portare il frutto molteplice dello Spirito Santo, come espresso in Gal 5,22:

“II frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.” Questo agire secondo lo Spirito, accettando generosamente la lotta spirituale contro la carne e le sue opere (Gal 5,15-21), opera inoltre il consolidamento del Corpo ecclesiale, sostenendo la rinuncia agli atteggiamenti egoistici , di possessività particolari, per il bene dell’intera Chiesa, e questo secondo Ministeri e carismi ricevuti.

L’Eucarestia è il Sacramento in cui le strutture pneumatiche, ministeriali e carismatiche, conferite dall’Ordine e dalla Cresima, trovano accrescimento e sviluppo. Anche in questa prospettiva il frutto della comunione eucaristica, unità e carità della Chiesa, viene a saldarsi con l’effetto più personalizzante, cristico e pneumatico.

Dopo avere esaminato l’effetto ecclesiale e quello personale dell’Eucarestia, percependo insieme la loro inseparabilità, siamo in grado di orientarci sul tema dell’Inter-comunione con i battezzati di Chiese e Comunità cristiane separate.

210 Cfr PE, 217, ove si riporta l’Epiclesi dell’‹‹Anaphora in Catechesi mystagogica VI Theodori Mopsuesteni››

211 PAPROCKI, H., Le Mystère de l’Eucharistie, cit., 442s

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III.3.3 L’offerta cattolica della condivisione eucaristicaII Diritto canonico norma questa materia nel can 844, che è stato

ulteriormente sviluppato nel Direttorio ecumenico, promulgato il 25/3/1993, nei numeri 122-136. 159-160.212

Il principio dottrinale, già sappiamo essere la distinzione tra effetto ecclesiale e personale, anche se in sé inscindibili, viene esposto al n. 129:

“II Sacramento è un’azione di Cristo e della Chiesa per mezzo dello Spirito. La celebrazione di un Sacramento in una comunità concreta è il segno della realtà della sua unità nella fede, nel culto e nella vita comunitaria. In quanto segni, i sacramenti, ed in modo particolare l’Eucaristia, sono sorgenti di unità della comunità cristiana e di vita spirituale, per incrementarle. Di conseguenza la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile.

Al tempo stesso la Chiesa cattolica insegna che mediante il Battesimo i membri della altre Chiese e Comunità ecclesiali si trovano in una unità reale, anche se imperfetta con la Chiesa cattolica, e che «il Battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell’unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati [....], esso tende interamente all’acquisto della pienezza della vita in Cristo» (UR n 22).

Per i battezzati l’Eucarestia è un cibo spirituale, che li rende capaci di vincere il peccato e di vivere della vita stessa di Cristo, di essere più profondamente incorporati in Lui e di partecipare più intensamente a tutta l’economia del mistero di Cristo.

É alla luce di questi due principi basilari, i quali devono sempre essere considerati insieme, che la Chiesa cattolica, in linea di principio, ammette alla comunione eucaristica e ai sacramenti della Penitenza e Unzione degli infermi esclusivamente coloro che sono nella sua unità di fede, di culto e di vita ecclesiale.

Per gli stessi motivi essa riconosce anche che, in certe circostanze, in via eccezionale e a determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali”.

Il Direttorio distingue accuratamente tra condivisione offerta alle chiese orientali, con successione apostolica e sacramenti validi, e condivisione offerta alle comunità ecclesiali che di valido hanno il solo battesimo. Evidentemente con gli Orientali separati da Roma può, nei casi considerati, darsi reciprocità, cioè

212 Cfr E.V. 13, nn 2401-2443.

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un cattolico ricorrere ad un Ministro orientale separato. La reciprocità viene esclusa ove i sacramenti dell’Eucaristia, Penitenza ed Unzione non sono validi.

Il n. 131 descrive le situazioni in cui può darsi e desiderarsi:-- quando si da un motivo grave ed urgente di comunicarsi, come in

pericolo di morte, prigionia, con impossibilità di accedere al proprio Ministro.--il sacramento deve essere richiesto spontaneamente -- è richiesta la fede cattolica circa il sacramento desiderato, riceverlo con

le debite disposizioni.-- il ministro cui si ricorre sia validamente ordinato.Eccetto il caso di pericolo di morte, in cui il sacramento può sempre essere

richiesto, nel n 130 si chiede che tra Conferenze episcopali cattoliche e Sinodi orientali si stendano accordi in questa materia, che “permettano il discernimento in situazioni di grave e pressante necessità, e la verifica delle condizioni qui sotto elencate” (n 131).

Notare la delicatezza ecumenica del n 124: “poiché presso i cattolici e presso i cristiani orientali vigono usanze diverse riguardo alla frequenza della comunione, alla confessione prima della comunione e al digiuno eucaristico, è necessario che i cattolici abbiano cura di non causare scandalo e diffidenza tra i cristiani orientali non seguendo le consuetudini della Chiesa d’Oriente.

Un cattolico che desidera legittimamente ricevere la comunione presso i cristiani orientali deve, nella misura del possibile, rispettare la disciplina orientale e, se questa Chiesa riserva la comunione sacramentale ai propri fedeli, escludendo tutti gli altri, deve astenersi dal prenderne parte.”

Degno di considerazione è l’applicazione di questo Direttorio nel caso dei rapporti Cattolici-Anglicani: le Conferenze episcopali di Inghilterra-Galles, Scozia e Irlanda213 , nel documento «Un solo pane, un solo corpo» dopo avere esposto la dottrina cattolica circa l’Eucarestia, precisano le norme del Direttorio sulla condivisione da offrire agli Anglicani; la reciprocità, come sappiamo, non è ancora possibile (DH 3315-3319)

La chiesa Anglicana di Inghilterra dà una sua risposta col documento «L’eucarestia sacramento di unità»214

Nel Documento cattolico altre la normatività già stabilita dal Direttorio, troviamo ulteriori sviluppi nei nn 159-160, che riguardano i casi che sorgono nei Matrimoni misti tra cattolici e cristiani separati.

213 CONFERENZE EPISCOPALI DI INGHILTERRA-GALLES, D’IRLANDA E SCOZIA, Un solo pane e un solo corpo, in Regno-documenti 3/1999,122-136.

214 CHIESA D’INGHILTERRA, L’Eucarestia sacramento di unità, in Regno-documenti 9/2001,319-328

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I matrimoni misti sono da sconsigliare, perché, come ricorda il Direttorio n 144: “La perfetta unione delle persone e la condivisione completa della vita, che costituiscono lo stato matrimoniale, sono più facilmente assicurati quando i coniugi appartengono alla medesima comunità di fede.”

Quando si realizza un Matrimonio misto “La compartecipazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio crea un vincolo sacro fra marito e moglie, e pone la coppia in un rapporti nuovo con la Chiesa cattolica” (n 111 di «Un solo pane, un solo corpo»); ne segue che la comunione all’Eucarestia può in casi eccezionali, da sottoporre alla decisone del Vescovo, essere concessa al coniuge anglicano.

Sono le situazioni di gioia e di dolore: gioia, come Battesimi, Cresime, prime Comunioni, Ordinazioni; dolori come le Esequie (n 112); questi casi non costituiscono situazioni canoniche per un permesso codificato, ma solo materia per il discernimento, di volta in volta, del Vescovo o suo delegato (n 113). Non viene pertanto in nessun modo concessa una intercomunione generale, da offrirsi indiscriminatamente a tutti i battezzati credenti e ben disposti. Lo vieta l’inscindibile legame tra comunione eucaristica e unità della Chiesa: la Comunione eucaristica riconosce già realizzata ed esprime tale Unità della Chiesa, per incrementarla.

La risposta della Chiesa anglicana d’Inghilterra , pur concordando che la communicatio in Sacris non debba essere considerata un «un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei Cristiani» (Vaticano II, U.R., n 8), si mostra favorevole ad una ampia condivisione eucaristica: “I gradi di condivisione eucaristica che abbiamo in mente sono

-- anzitutto, la reciproca ospitalità eucaristica, poi -- la partecipazione dei ministri, escludendo la presidenza o la

concelebrazione, alle celebrazioni eucaristiche delle rispettive Chiese (come previsto dai nostri canoni ecumenici e accordi ecumenici),

-- la piena interscambiabilità dei ministeri come parte della piena unità visibile” (n 36-37).

Tutto il dialogo con le comunità ecclesiali conseguenza della lacerazione del sec XVI, si muove nella prospettiva del n 22 del decreto U.R. “Le comunità ecclesiali da noi separate, quantunque manchi loro la piena unità con noi derivante dal Battesimo, e quantunque crediamo che esse, specialmente per la mancanza del sacramento dell’Ordine, non hanno conservato la integra e genuina sostanza del Mistero eucaristico, tuttavia, mentre nella S.Cena fanno memoria della morte e risurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa. Bisogna quindi

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che la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il culto e i ministeri della Chiesa, costituiscano l’oggetto del Dialogo.”

Sarebbe quindi necessario che il Dialogo ecumenico si concentrasse al più presto possibile sul Mistero Eucaristico, vera «coppa della sintesi» delle realtà di fede, che già in sé contiene, senza ulteriori parcheggiamenti inconcludenti.

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IV LA SACRAMENTUM CARITATIS E LE DOMANDE DEL SINODO

Siamo ora in grado, con la ‹‹Sacramentum caritatis›› di cercare una prima risposta alle domande teologiche del Sinodo, quelle maggiori della Proposizione 22:

I. «Il legame della Epiclesi con il Racconto dell’Istituzione»; una risposta che raggiunga la finalità di rendere più evidente «come tutta la vita dei fedeli sia, nello Spirito Santo e nel sacrificio di Cristo un’offerta spirituale gradita al Padre».La Sacr. Car. ne tratta al n 13: “ E’ quanto mai necessaria per la vita spirituale dei fedeli una coscienza più chiara della ricchezza dell’anafora: insieme alle parole pronunciate da Cristo nell’Ultima Cena, essa contiene l’epiclesi, quale invocazione al Padre perché faccia discendere il dono dello Spirito affinché il pane ed il vino diventino il corpo ed il sangue di Cristo, e perché ‹‹ la comunità tutta intera diventi sempre più corpo di Cristo215››” Così pure il n 48 :” In particolare la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità dell’anafora tra l’invocazione dello Spirito Santo e il racconto dell’istituzione”

II. «In questo quadro il Sinodo avverte la necessità che sia meglio precisato la natura della diversa causalità implicita nella formula: la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa». La Sacr. Car. ai nn 14 – 15 offre un incisivo insegnamento magisteriale sul primato ontologico-storico dell’Eucaristia sulla Chiesa.

IV.1 RELAZIONI TRA L’EPICLESI E IL RACCONTO DELL’ISTITUZIONE

Una via per raggiungere questa maggior chiarezza percorre obbligatoriamente la storia della genesi della Prex eucaristica, quella che abbiamo seguito nei primi tre secoli, come sviluppo del dato evangelico rivelato. La Sacr. Car. al n 12 ci avvisa : “ A tale proposito è necessario risvegliare in noi la consapevolezza del ruolo decisivo esercitato dallo Spirito Santo nello sviluppo della forma liturgica e nell’approfondimento dei divini misteri “

Per passare poi a considerare quella che possiamo dire la soluzione romana in rapporto a quella bizantina circa le relazioni liturgiche tra racconto istitutivo consacratorio e l’invocazione dello Spirito Santo. Vedere questo nel contesto dei grandi Concili cristologici e pneumatologici della Chiesa unita.

215 Citazione dalla Proposizione 22

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La controversia poi sorta nell’ambito poco sereno, aggressivo di uno scisma che sempre incide sull’intelligenza della fede, ci fa intravedere, nel suo felice superamento, grandi frutti spirituali: comprensione più completa del cuore stesso dell’Eucaristia, la partecipazione al sacrificio di Cristo reso presente, per ottenere frutti abbondanti di vita inizialmente risorta nello Spirito Santo, nell’unità della Chiesa.

IV.1.1 Breve richiamo della genesi della Prex eucaristica, nel contesto del Vangelo.

Abbiamo già sottolineato, trattando della genesi della Prex, una progressiva sempre più intensa ‹‹cristologizzazione›› della Preghiera giudaica, specialmente quelle della benedizione-ringraziamento del Pasto: questo si può seguire a grandi linee nello sviluppo della Prex dalla Didachè dei Dodici apostoli 9-10, attraverso la Paleoanafora di Costituzioni apostoliche VII, 25-26, sino alla Preghiera eucaristica essenzialmente completa della Tradizione apostolica. 216

Abbiamo notato l’energica e fondamentale affermazione che il cibo e bevanda spirituale così ricevuti essere il corpo e sangue del Signore; anzi Giustino ne offre anche la spiegazione: la preghiera di ringraziamento che realizza tale effetto contiene le parole del Signore. Simile spiegazione ci offre pure Ireneo di Lione.

Si tratta comunque di uno schema di Preghiera eucaristica, che Giustino, riferendola a quella dell’Ultima Cena, ci avvisa essere tutta rivolta al Padre per Cristo, nello Spirito Santo; essa viene proclamata da un Presidente qualificato, ‹‹apostolico››, come apostolico è anche il titolo di tutte le testimonianze scritte che ci riportano lo schema di tale preghiera. 217

Preghiera sempre rivolta al Padre nello Spirito Santo: un agire liturgico in conformità all’istituzione del Signore, risulta decisivo per ‹‹eucaristicizzare›› i doni, rendere presente la ‹‹passione del Signore, nel suo Corpo e suo Sangue››: con frutti non solo personali, ma anzitutto ecclesiali, l’unità della Chiesa.

Possiamo riannodare tale Preghiera nello Spirito Santo, nel fare liturgico del Memoriale istituito e affidato a Pietro e agli Apostoli, ai discorsi di Gesù nell’ultima cena, come riferiti ampiamente da Giovanni. Quì Gesù afferma:

“Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, Egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi

216 ? Vedi indice I.3 Dossier liturgico e dottrinale dei primi tre secoli della Chiesa

217 ? vedi inoltre in APPENDICE VI.6 DOSSIER DOTTRINALE, con i testi dei Padri.

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renderete testimonianza, perché siete stati con me sin dal principio” (Gv 15,26s).

Si dà quindi nei tempi della Chiesa una testimonianza duplice e sinfonica del Signore Gesù: quella degli Apostoli, la tradizione apostolica, il suo vertice qualitativo nella celebrazione perseverante del Memoriale del Signore; ed insieme, dello Spirito di verità, per convincere il mondo quanto al peccato, perché non credono in Lui, quanto alla giustizia, perché Gesù sale al Padre, quanto al giudizio, perché il Principe di questo mondo è già vinto. Portare gli Apostoli alla Verità intera, quella comune, il mio comune del Padre e del Figlio.(Cfr Gv 16, 5-15).218

Per realizzare il perseverante celebrare del Memoriale del Signore nei tempi della Chiesa, è determinante il primo coinvolgimento sacramentale degli Apostoli nell’ultima cena, l’affidarlo loro con il precetto: ‹‹fate questo in memoria di Me››; sarà poi necessaria la rinnovata commensalità con il Risorto, ma infine ancora la Preghiera con Maria SS e i fratelli e le sorelle nell’attesa che il Crocifisso risorto ‹‹mandi su di voi ciò che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città finché non siate rivestiti di potenza dall’alto››(Lc 16,49-53).

Così la Preghiera eucaristica sarà sin dagli inizi lo sviluppo autentico del Benedire-ringraziare di Cristo nello Spirito Santo al Padre, celebrato dal Successore degli Apostoli nei riti del Memoriale istituito dal Signore, per ‹‹eucaristicizzare›› il pane ed il vino, Corpo dato e Sangue versato in sacrificio.

Normale che sia ricordato l’evento istitutivo, con il suo frutto prezioso, Corpo e Sangue del Signore. Non solo ricordo, ma agire liturgico; il vertice qualitativo dell’obbedienza al comandamento di Gesù: “Anche voi mi renderete testimonianza, perchè siete stati con me fin dal principio”( Gv 15,27), consiste nel celebrare il Memoriale della sua Pasqua: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”( Lc 22,19). Questa obbedienza al fare liturgico richiesto dal Signore all’Apostolo e al suo Successore, è decisiva per ‹‹eucaristicizzare›› il pane ed il vino›› nel Corpo dato e nel Sangue versato: non abbiamo qui evidenti fondamenti rivelati, biblici della ‹‹consacrazione››?.218 ? Solamente accenniamo che nel Mistero eucaristico, la presenza del Crocifisso glorioso nelle specie del pane e del vino, in attesa della sua piena manifestazione , risurrezione in terra nuova e cieli nuovi, è come contenuto tutto il legittimo progresso dogmatico, crescita di intelligenza della Fede professata, celebrata e vissuta dalla Chiesa; lo Spirito Santo apre alla più perfetta conoscenza di questo mistero che forma e guida la Chiesa nel suo pellegrinare verso la parusia; per il ‹‹principio mariano›› della Chiesa è già pienamente accolto in Maria SS, per il ‹‹principio petrino›› l’autenticità di questa legittima crescita di intelligenza e di esposizione è già accordata, in continuità.

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Una Preghiera che sarà rivolta al Padre, nello Spirito Santo come ogni preghiera cristiana( cfr Rm 8,15, Gal 4,6); invocando lo Spirito Santo, perché gli Apostoli ‹‹rivestiti di potenza dall’alto ›› (Lc 24,49) possano dare testimonianza del Crocifisso risorto, della sua Pasqua, con tutti i suoi frutti: normale che lo Spirito Santo sia espressamente invocato perché il Crocifisso glorioso sia reso presente, con tutti i suoi frutti. Pasqua e Pentecoste sono inscindibili, la seconda è il frutto, pienezza della prima.; lo Spirito Santo ‹‹operante già nella creazione (Gn 1,2) è pienamente presente in tutta l’esistenza del Verbo incarnato [….] Pertanto, è in forza dell’azione dello Spirito che Cristo stesso rimane preente ed operante nella sua Chiesa, a partire dal suo centro vitale che è l’Eucaristia›› (Sacr. Car. n 12).

Con il timore di abusare delle espressioni, potremmo dire: anche per l’invocazione dello Spirito Santo si passa da un ‹‹embolismo implicito››, sempre presente in una preghiera nello Spirito Santo, ad un embolismo più esplicito, quando lo stesso Spirito Santo viene espressamente invocato, in forza della promessa di Gesù che l’avrebbe inviato dal Padre.

Qui si aprono le due soluzioni liturgiche nell’invocare lo Spirito Santo: quella Romana con similitudini Alessandrine, e quella Bizantina.

IV.1.2 La soluzione romana.Le nostre riflessioni sono generali, circa lo stile e le articolazioni del

Canone, presuppongono ma non entrano nei necessari studi di dettaglio sulla sua genesi letteraria. 219

Il Canone romano accentua la dimensione ‹‹epiclettica››, di preghiera, intercessione, indicando le finalità ecclesiali e più personali già immediatamente dopo il Sanctus220; la parte anamnetica, il ricordo degli eventi salvifici, è considerata nel prefazio, variabile; come il ricordo che tutto per Cristo viene creato, santificato, fatto vivere e benedetto, donato viene riservata non all’inizio, ma alla conclusione, prima della Dossologia.

219 ? Cfr MAZZA, E., Le odierne preghiere eucaristiche, 1.Struttura, Teologia, Fonti, EDB 1964 131-180; Id., L’Anafora eucaristica studi sulle origini,(=BEL ‹‹subsidia›› 62), C.L.V. - Ediz. liturgiche, Roma 1992, 263-308; GIRAUDO, C. ., Eucaristia per la Chiesa, cit, 487-506; RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit., 497-598

220 ‹‹ Te igitur clementissime Pater [……] Memento Domine famulorum famularumque tuarum [….]››

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In questo contesto di preghiera, già sin dall’inizio tutta offertoriale 221, nella prospettiva dell’unità della Chiesa, della qualità salvifica della vita cristiana, nella comunione della Madonna SS, Apostoli e Martiri, è normale che si ponga in evidenza che tutto avviene, in definitiva, per il sacrificio unico del Corpo e Sangue di Cristo.

E si chieda al Padre di realizzarlo, in vista della transustanziazione delle oblate, con l’invocazione pre-consacratoria «santifica o Dio questa offerta con la potenza della tua benedizione»; una espressione che ci sembra felice, della riforma di Paolo VI, che rispettando il carattere arcaico del Canone romano, usa categorie bibliche, di Luca, relative alla promessa dello Spirito Santo: sarete «rivestiti di potenza dall’alto[... ]li benediceva»( Lc 24,49s).

Certo si dà forte sottolineatura liturgica della ripresentazione del Sacrificio, nella celebrazione del Memoriale dell’intero mistero pasquale di passione, risurrezione e ascensione al cielo, e quindi della sua offerta in vista della partecipazione ecclesiale, con i suoi frutti.

Si tratta dell’Anamnesi in senso forte: porre in risalto la ripresentazione del Sacrificio, la sua offerta-accettazione fruttuosa, nel contesto dei precedenti sacrifici accetti non solo nella famiglia abramica, ma anche nella religiosità universale di Abele e di Melchisedek.

Frutti abbondanti del Sacrificio, pienezza di ogni grazia e benedizione del Cielo, si attendono dalla partecipazione di un altare terreno in perfetta corrispondenza, di ‹‹identità ››coll’altare celeste: si invoca per questo un intervento angelico. 222

221 ? Cfr. GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit., 496 s., parla di un ‹‹filo conduttore della tematica offertoriale›› dal Te igitur al Quam oblationem, l’epiclesi romana. La evidente sottolineatura del carattere offertoriale-sacrificale del canone romano mi sembra in sintonia con il Simbolo apostolico romano, che dà, in proporzione, molto rilievo all’Incarnazione-redenzione, la Passione del Signore.

222 ? Questo riferimento, ‹‹identità ›› dell’altare terreno con quello Celeste del ‹‹Supplices Te rogamus››, seconda ‹‹epiclesi in senso forte›› del Canone romana, (una interpretazione legittima, non da tutti condivisa) mi sembra abbia fondamento biblico in Gv 6,61-63 E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima ? E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e vita.” Eb 10,19-20 Avendo dunque fratelli, piena fiducia di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Cristo, per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne.” Anche sempre Ebrei 9,11 : “Cristo invece, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione, entrò una volta per sempre nel santuario non con il sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio

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Frutti di comunione salvifica con i Defunti e con i Santi, sia per il Ministro, che per il popolo; giova ancora ricordare che queste finalità di comunione, unità, qualità salvifica di vita frutto del Sacrificio accetto per Cristo, sono già precisate sin dall’inizio, dopo il Sanctus; comunione salvifica a misura del ricordo e della intercessione anzitutto della ‹‹gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo›› e di S. Giuseppe, ma anche di Pietro e Apostoli, Santi successori di Pietro, il Vescovo Cipriano, laici, tutti martiri.

Prima delle solenne dossologia al Padre, per fondarla nella mediazione universale di Cristo, sia nella creazione, sia nella redenzione santificazione, si fa ‹‹sintesi›› di tutto l’operare salvifico di Dio, che il Memoriale della Pasqua rende presente e porta a pienezza: ‹‹ Per Cristo nostro Signore, tu, o Dio, crei e santifichi sempre, benedici e dono all’uomo ogni bene››.

La solenne dossologia risale al Padre per la mediazione riconosciuta di Cristo, ‹‹nell’unità dello Spirito Santo››: non partecipa dei timori di ‹‹subordinazionismo››, come avverrà nella reazione anti-ariana. 223

sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna.”; inoltre Eb 9,24: :”Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da nani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore”. Ancora Eb 7,25; 6,14-16.19-20. Notare come questo ‹‹entrare di Cristo nel santuario celeste›› avviene nello Spirito santo :” Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio” Eb 9,14. Cfr anche Ef 4,10 Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose”; sempre in Efesini 1,18-21.

Inoltre nelle liturgie celesti dell’Agnello, di cui Giovanni ha rivelazione nel ‹‹giorno del Signore››( Ap 1,10): ricordare l’invito rivolto a Giovanni Ap 4,1 :” Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito” .Per la storia dell’esegesi del ‹‹Supplices te roagamus›› , cfr RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit. 566-599; GIRAUDO, C., In unm corpus, cit ,543-546; Introduzione alle relazioni tra liturgia terrena e celeste cfr VANNI, U. , Tempo ed eternità nell’Apocalisse: traccia per una riflessione teologica-biblica, in CASALEGNO, A. ed., Tempo ed eternità, cit ,5-71; significativo quanto afferma LIGER, L. , Il Sacramento dell’eucarestia, cit, 261: “ La liturgia romana col suo canone I, nella preghiera ‹‹supplices Te rogamus››, mostra nella comunione una partecipazione al sacrificio ‹‹celeste››, cioè al sacrificio contemplato nella prospettiva della risurrezione e glorificazione di Cristo (“in sublime altare tuum, in conspectu divinae maiestatis tuae ....omni bnedictione celesti….)

223 ? Cfr. JUNGMANN, J. A., De praesentia Domini in communitate cultus et de rationibus cur haec doctrina dudum oscurata et hodie redintegranda sit, In Acta congressus inter. de theol. Conc.Vaticani II, ed A. Schonmetzer, Typis poliglottis vaticanis, 1968, 296-299, e NEUNHEUSER, B., De praesentia Domini in communitate cultus : quaestionis evolutio historica et difficultas specifica , ibidem 316-319.

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IV.1.3 La soluzione liturgica bizantina.Mi riferisco all’Anafora che va sotto il nome di S. Giovanni Crisostomo

(testo in Appendice VI.5.4) con qualche riferimento alla più antica e ampia di S. Basilio Magno 224. Mi sembra che la relazione tra Istituzione ed Epiclesi debba essere situata in una Chiesa Antiochena, di Cappadocia, Bizantina con una più matura teologia Cristologica, Pneumatica e Trinitaria, con il frutto dei Concili celebrati in Oriente nei secoli IV-V.

Preghiera di lode e ringraziamento, nell’adorazione ugualmente offerta alle Tre Persone divine. In Giovanni Crisostomo viene a mancare, nel parlare di creazione, il riferimento esplicito alla creazione per Cristo, che troviamo ancora nella più antica di Basilio.

Ma risulta molto forte la fede che in Cristo si è compiuta l’intera economia salvifica per noi, sino al vertice dell’Ultima Cena, segno anticipatore della Croce, Memoriale dell’intera economia ‹‹ della croce, della sepoltura, della resurrezione il terzo giorno, dell’ascensione nei cieli, della sessione alla destra, della seconda e gloriosa nuova venuta.››-*

L’‹‹offerimus›› che ne segue risulta quindi molto completo, nel quadro di questa intera economia realizzata per Cristo.

Non si parla, nell’anamnesi in senso forte, della Pentecoste, ma si chiede espressamente, intensamente, il dono dello Spirito Santo, in primo luogo sul noi ecclesiale, perché sia nei suoi membri trasformato in senso salvifico, realizzando l’unico Corpo ecclesiale, in tutte le sue articolazioni; e per raggiungere tali finalità ecclesiali, si domanda la trasformazione del pane e del vino nel prezioso corpo e sangue di Cristo.

Come nota genialmente il P. Cesare Giraudo, .qui si fa dipendere la trasformazione ecclesiale (Epiclesi + intercessioni) dalla trasformazione pneumatica del corpo e sangue di Cristo.

Come intendere questa trasformazione: notare in primo luogo come anche la Chiesa bizantina, a somiglianza di quella romana, circonda, dopo le parole istitutive, il corpo e sangue di segni di adorazione.225

Consapevolezza quindi che nella celebrazione del memoriale, nell’agire liturgico, secondo il comando del Signore, ad opera del Successore apostolico, il sacrificio della croce è reso presente, nel corpo dato e sangue versato. Ma frutto della Pasqua è il dono dello Spirito Santo, invocato nel Cenacolo, come ora è invocato dal Celebrante, nel noi ecclesiale.

224 ? per il testo cfr. GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit 430-452; Il testo dell’anafora di S. Giovanni Crisostomo è riportata in APPENDICE VI. 5.4.

225 Cfr PAPROCKI, H., Le Mystére de l’Eucharistie, cit. 433

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I rapporti tra il Corpo di Cristo e lo Spirito sono molteplici nella storia evangelica; non solo ‹‹concepito per opera dello Spirito Santo››(Mt 1,18; Lc 1,35), ma anche segnato, manifestato dallo Spirito nel suo Battesimo (cfr Mt 3,16 e //), guidato dallo Spirito nel deserto per vincere le nostre tentazioni (cfr Mt 4,1); in questo stesso Spirito agisce parla ed esulta (cfr Lc 10,21); secondo Ebrei 9,14, nella Croce offrì se stesso con uno Spirito eterno al Padre, mentre la stessa risurrezione è operata dallo Spirito (1Pt 3,18); Spirito santo che il Risorto invierà salito al cielo dal Padre (cfr Lc 24,49), per vivificare l’esistenza e la missione della Chiesa, realizzare l’unità promessa nei discorsi dell’ultima cena.(cfr Gv 14,15-31; 16,5-15).

“Sarà poi lo stesso Spirito ad insegnare ai discepoli ogni cosa ed a ricordare loro tutto ciò che Cristo ha detto (cfr Gv 14,26), perché spetta a Lui, in quanto Spirito di verità (cfr Gv 15,26), introdurre i discepoli alla verità tutta intera (cfr Gv 16,13). Nel racconto degli Atti lo Spirito discende sugli Apostoli riuniti in preghiera con Maria nel giorno della Pentecoste (cfr 2,1-4), e li anima alla missione di annunciare a tutti i popoli la buona novella. Pertanto è in forza dell’azione dello Spirito che Cristo stesso rimane presente ed operante nella sua Chiesa, a partire dal suo centro vitale che è l’Eucaristia” (Sacr. Car. n 12).

Nessuna contrapposizione tra il Corpo dato ed il Sangue versato in sacrificio, il corpo nello Spirito Santo asceso al cielo ed il corpo del Crocifisso glorioso che dona lo stesso Spirito alla Chiesa, con tutti i suoi frutti.

E’ ricco di significato che la Prex eucaristica bizantina, in quanto preghiera già tutta nello Spirito Santo, dopo avere percorsa tutta l’economia del Verbo incarnato sino alla sua Pasqua, che il Memoriale rende presente nel corpo dato e sangue versato, invochi lo Spirito Santo, attivo in tutta la storia di Cristo, agente della sua Risurrezione-glorificazione; Lo invochi perché trasformi il corpo dato ed il sangue versato in sacrificio, nel ‹‹prezioso corpo e sangue›› del Crocifisso risorto che vivifica la sua Chiesa nell’attesa della trasformazione escatologica, cosmica.

Questa prospettiva della missione dello Spirito è certo facilitata, anzi suggerita dallo sviluppo della teologia orientale e dalle definizioni del Costantinopolitano I, del 381: ‹‹Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita›› 226.Esprime ,in campo eucaristico, le ampie prospettive della teologia orientale sullo Spirito Santo : oltre al ‹‹Filioque››, lo Spirito mandato dal Figlio

226 ?Cfr PAPROCKI, H., Le Mystère de l’Eucharistie, Genèse et interprétation de al liturgie eucharistique byzantine, Cerf, Paris 1993, 71-88; a pag. 84 documentazione sulle relazioni tra la Liturgia di S. Basilio ed il suo Trattato sullo Spirito Santo. Così pure pag.324s sul significato dell’Epiclesi nell’anafora di Basilio.

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da parte del Padre, giustamente sottolineato dalla Chiesa romana, esiste anche una ulteriore reciprocità personale tra lo Spirito Santo ed il Figlio, quella delineata nel n 12 della Sacr. Car. , qui sopra citata.227

Il Canone romano dice le stesse cose, senza nominare espressamente lo Spirito Santo.

IV.1.4 Vantaggi della sintesi romano-bizantina: “Diventerebbe così più evidente come tutta la vita dei fedeli, sia nello Spirito Santo e nel sacrificio di Cristo, una offerta spirituale gradita al Padre”. (Proposizione 22 ). Conferma e approfondisce la Sacr. Car. n 13 :

“Lo Spirito, invocato dal Celebrante sui doni del pane e del vino posti sull’altare, è il medesimo che riunisce i fedeli ‹‹in un solo corpo››, rendendoli un’offerta spirituale gradita al Padre” ; ancora al n 48 :” In particolare la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità tra l’invocazione dello Spirito Santo ed il racconto dell’istituzione, in cui ‹‹si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima Cena ( Or. Gen. Mes. Rom, 79 d)››

Il legame tra il racconto dell’istituzione e l’epiclesi dello Spirito Santo presenta due facce complementari, reciprocamente arricchenti . Nel Canone romano la parte anamnetica risulta tutta concentrata nel Prefazio variabile: tra l’ora di Cristo, l’ora della Pasqua, che ricapitola la molteplicità dei momenti salvifici, i misteri della sua vita, e la celebrazione del suo memoriale pasquale, nei tempi della Chiesa, si dà vera contemporaneità.

Su questo solido fondamento, dopo il Sanctus, si sviluppa la grande preghiera epiclettica perché l’offerta sacrificale della Chiesa sia accetta al Padre . Un filo offertoriale, domanda di comunione, unità che abbraccia la chiesa terrena e celeste, nelle sue articolazioni di Ministero apostolico e di santità laicale.

Un’offerta, coi frutti di comunione, beni salvifici che solo il Sacrificio di Cristo, reso presente, partecipato, offerto attualizza. Per questo si prega il Padre di santificare l’offerta della Chiesa, il pane ed il vino, con la ‹‹potenza della tua benedizione...perché diventi per noi il corpo ed il sangue del tuo amatissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo››. Per questo il sacerdote compie i riti e dice in ‹‹Persona Christi›› le parole consacranti.

227 Cfr SESBUÉ, B., La personalità dello Spirito Santo nella testimonianza biblica, nella teologia trinitaria recente e nell’esperienza storica della Chiesa e degli uomini, in TANZARELLA, S., ed, La personalità dello Spirito Santo, in dialogo con B. Sesboué, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 1998, 25-31

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Nell’anamnesi in senso forte, ‹‹l’offerimus›› della Chiesa ha una dimensione universale, perché già preannunciata nel Sacrificio di Abramo e al di là di esso nei sacrifici accetti di Abele e Melchisedek; inoltre, per mediazione angelica, si unisce, identifica con lo stesso altare celeste; ne segue che la partecipazione sacramentale al sacrificio porterà abbondanza di grazia e benedizioni, comunione con i ‹‹santi apostoli e martiri››, per i vivi e i defunti.

Il Canone romano si manifesta come una grande epiclesi, con un momento forte per rendere presente il sacrificio di Cristo sacramentalmente realizzato dal Ministro in successione apostolica ( la consacrazione); un secondo momento forte perché ne dimostri tutta l’efficacia di grazia e di benedizione, come sacrificio accetto al Padre, in unità alla sua dimensione di liturgia celeste.

La liturgia bizantina, più matura nella sua teologia trinitaria, cristologica e pneumatica, sviluppa ampiamente, nella preghiera sempre rivolta al Padre, tutta l’economica salvifica, di creazione, incarnazione e redenzione, tutta realizzata per Cristo, sino all’estremo del sacrificio della Croce, il corpo dato ed il sangue versato, resi presenti nel suo Memoriale fedelmente celebrato, nei riti e nelle parole, dal Ministro ordinato.

All’anamnesi post consacratoria di tutta l’economia di Cristo, segue l’invocazione dello Spirito per la trasformazione dei comunicandi. Per questo si chiede l’azione dello stesso Spirito Santo: la missione dello Spirito, in relazione anzitutto al Corpo di Cristo non solo crocifisso, ma nello Spirito risorto, asceso al cielo, carne viva e vivificante.

Nella liturgia bizantina l’economia del Verbo incarnato e crocifisso, la sua presenza, penetrazione più intensa nella nostra vita per la celebrazione del Memoriale, si completa nella missione e nell’efficacia vivificante dello Spirito Santo, frutto della stessa Pasqua; anzitutto nel Corpo dato e Sangue versato, ma per realizzare l’unità del Corpo ecclesiale in tutte le sue articolazioni, qualità di vita redenta verso la pienezza, trasformazione escatologica.

Senza scadere in una aberrante ‹‹allegoresi››, volere vedere nei riti della messa un richiamo indebito ai molteplici fatti della passione, morte e risurrezione, dono dello Spirito Santo, la Liturgia bizantina esprime bene, nella struttura liturgica, il Memoriale che rende presente la Croce salvifica, e che dà l’avvio alla domanda del dono vivificante dello Spirito Santo, nell’Umanità SS. del Crocifisso, nella sua carne e sangue donati in Sacrificio , ma per la trasformazione in Lui della Chiesa.

La Liturgia romana realizza ed esprime le stesse finalità, in una situazione teologica si direbbe più arcaica, ma non meno comunicativa ed efficace, in una struttura epiclettica che avvolge e realizza il sacrificio di Cristo reso presente,

230

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un sacrificio molto marcato nella sua realizzazione sull’altare della Chiesa e per identità sull’altare glorioso, Celeste, e i frutti di trasformazione ecclesiale presente ed escatologica.

IV.2«IN QUESTO QUADRO IL SINODO AVVERTE LA NECESSITÀ CHE SIA MEGLIO PRECISATA LA NATURA DELLA DIVERSA CAUSALITÀ IMPLICATA NELLA FORMULA: LA CHIESA FA L’EUCARISTIA, L’EUCARISTIA FA LA CHIESA. » (PROPOSIZIONE 22).

La Sacramentum Caritatis offre una ulteriore ‹‹significativa opzione magisteriale››228: afferma al n 14: “ Pertanto nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l’Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula”; come poi riconosce al n 15 : “L’Eucaristia dunque è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa”.

Dopo avere ricercato in H. de Lubac .l’origine di questo effato, richiameremo il precedente insegnamento magisteriale, specialmente nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II.

Saremo così in grado di precisare meglio la causalità reciproca, sottolineando una certa precedenza non solo ontologica ma anche storica dell’Eucaristia verso la Chiesa.

IV.2.1 L’origine dell’effato nella Teologia di H. de Lubac.. Viene comunemente attribuito al Teologo gesuita, che ne parla in tutti i

suoi studi sulla Chiesa e sull’Eucaristia.In Cattolicesimo (1938) l’Eucaristia realizza l’unità e la carità della Chiesa

229:“Si comprende, in queste condizioni, l’orrore che lo scisma ha sempre

ispirato al vero credente, e perché fin dal principio sia stato maledetto come l’eresia. Spezzare l’unità è anche corrompere la verità, ed il veleno della discordia è pernicioso come quello della falsa dottrina” 230

In Corpus mysticum (1949) non si parla d’altro. In relazione all’insegnamento paolino, che il Corpo eucaristico partecipato genera il Corpo ecclesiale, tanto che il termine Corpo viene ad indicare sia quello eucaristico

228 CARD. SCOLA, A. Presentazione cit., pag.11229 ? Cfr DE LUBAC, H., Cattolicesimo, aspetti sociali del Dogma, Opera omnia,

vol. 7, Jaka Book 1978, 56-59.230 ? Ibidem 45s

231

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che quello della Chiesa ( 1Cor 10,15-17), esamina l’evoluzione del significato Corpo mistico e Corpo vero nei Padri del I e II millennio.

Fa notare come Corpus mysticum nel primo millennio indica anzitutto il corpo frutto della celebrazione dei S.Misteri, mentre il Corpo vero è quello generato dalla comunione eucaristica, la Chiesa.

Per sottolineare l’identità ‹‹sostanziale›› tra il Corpo crocifisso glorioso alla destra del Padre e quello eucaristico, all’inizio del II millennio il termine di Corpo vero verrà attribuito a quello eucaristico, quello mistico alla Chiesa. Nello sfondo sta la certezza di fede che dalla natura, verità del Corpo eucaristico dipende la qualità del Corpo ecclesiale.

“Nel pensiero di tutta l’antichità cristiana, Eucaristia e Chiesa sono legate tra di loro. In S. Agostino, per l’influsso della controversia donatista, questo legame s’accentua con una forza tutta particolare, e lo stesso si nota negli scrittori latini dei sec. VII, VIII, IX.Per essi, come per Agostino, dal quale tutti dipendono direttamente o attraverso altri e del quale riproducono incessantemente le formule, l’Eucaristia ha con la Chiesa un rapporto come causa ed effetto, tra mezzo e fine e, nello stesso tempo, come tra segno e realtà.” 231

Il tema viene ripreso in Meditazioni sulla Chiesa ( edite nel 1952), in cui compare l’effato esplicito:

“Se il Sacrificio è accettato da Dio, se la preghiera della Chiesa è esaudita, è perché a sua volta, nel senso più rigoroso della parola, l’Eucaristia fa la Chiesa. Essa, ci dice Agostino, è il Sacramento ‹‹quo in hoc tempore consociatur Ecclesia››.... ‹‹Perficiamur in corpore››”. 232

Nell’introduzione L. Sartori compone l’espressione reciproca, che può sembrare paritetica: “De Lubac insiste sulla mutua relazione, che si può esprimere nell’assioma: l’Eucaristia fa la Chiesa, e la Chiesa fa l’Eucaristia” 233

In realtà, in termini di causa ed effetto, l’efficienza dell’Eucaristia è del tutto prevalente. Lo confermiamo brevemente nel Magistero della Chiesa.

IV.2.2 Eucaristia e la generazione della Chiesa nel Magistero. Ne abbiamo già accennato, parlando del frutto della comunione

eucaristica, la res ultima del Sacramento: unità e carità del Corpo ecclesiale, il

231 ? DE LUBAC, H., Corpus mysticum, L’Eucaristia nella Chiesa del Medioevo, Opera omnia v 15, Jaca book 1982, 33

232 ? ID., ., Meditazioni sulla Chiesa, Opera omnia, vol. 8, Jaka Book Milano 1979, 95.

233 ? Ibidem, XIX.

232

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suo più intenso inserimento in esso del cristiano, secondo il suo specifico sacramentale.

Di questa res, effetto ultimo del Sacramento parlano concisamente il Lateranense IV: “Per adempiere il mistero dell’unità, noi riceviamo da Lui ciò che Lui ha ricevuto da noi”(DH 802), e più diffusamente il Tridentino:

“Infine questo santo sinodo con affetto paterno esorta e prega e scongiura ‹‹grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio››( Lc 1,78), che tutti i singoli cristiani una buona volta si uniscano e siano concordi in questo ‹‹ segno di unità››, in questo ‹‹vincolo di carità›› (Cf Agostino, In evangelium Iohannis, tract. 26,13), in questo simbolo di concordia” (DH 1649).

Qualche citazione dalla Mystici corporis di Pio XII, :“...con la sacra Eucaristia i fedeli vengono nutriti e corroborati ad un stesso

convito e vengono uniti da un vincolo ineffabile divino tra di loro e col Capo di tutto il Corpo”( n 18).

“Giacché Gesù Cristo volle che questa mirabile unione, mai abbastanza lodata, per la quale veniamo congiunti tra noi ed il nostro divino Capo, si manifesti ai credenti in modo speciale per mezzo del sacrificio eucaristico. In esso infatti i ministri dei Sacramenti non solo rappresentano il Salvatore nostro, ma anche tutto il corpo mistico ed i singoli fedeli; in esso i fedeli, uniti al Sacerdote nei voti e nelle preghiere comuni, per le mani dello stesso Sacerdote offrono all’Eterno Padre, quale ostia graditissima di lode e di propiziazione pei bisogni di tutta la Chiesa, l’Agnello immacolato, dalla voce del solo Sacerdote reso presente sull’altare.”(n 81) 234

Dell’insegnamento diffuso del Vaticano II abbiamo già parlato 235;

insegnamento ripreso e sviluppato in più occasioni da Giovanni Paolo II: nella

sua prima enciclica, la Redemptor hominis: “ E’ verità essenziale, non soltanto

dottrinale, ma anche esistenziale. che l’Eucaristia costruisce la Chiesa”( n 20)

236; nella Domincae cenae, compare un numero, il 4, dal titolo ‹‹Eucaristia e

Chiesa.›› :”Grazie al Concilio ci siamo resi conto, con forza rinnovata, di questa verità:

come la Chiesa ‹‹fa l’Eucaristia››, così ‹‹l’eucaristia costruisce›› la Chiesa; e questa

234 ? PIO XII, Mystici corporis, AAS 35 (1943), 202. 232235 ? Cfr III.3.2.1.Effetti ecclesiali unità e carità

236 RH n 29: AAS 71(1979) 311

233

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verità è strettamente unita al mistero del Giovedì santo”.237. Siamo così attirati

dall’enciclica eucaristica di Giovanni Paolo II, che tratta esattamente di questo.

IV.2.3 «Ecclesia de Eucaristia», «La chiesa vive di Eucaristia». “Dal mistero pasquale nasce la Chiesa. Proprio per questo l’Eucaristia, che

del mistero pasquale è il sacramento per eccellenza, si pone al centro della vita ecclesiale. Lo si vede sin dalle prime immagini della Chiesa che ci offrono gli Atti degli Apostoli [.....] Nella ‹‹frazione del pane›› è evocata l’Eucaristia. Dopo duemila anni continuiamo a realizzare quell’immagine primigenia della Chiesa. E mentre lo facciamo nella celebrazione eucaristica, gli occhi dell’anima sono ricondotti al triduo pasquale: a ciò che si svolse la sera del Giovedì Santo, durante l’Ultima Cena, e dopo di essa.

L’istituzione dell’Eucaristia infatti anticipava sacramentalmente gli eventi che di li a poco si sarebbero realizzati, a partire dall’agonia del Getsemani”(n 3).

Giovanni Paolo II sviluppa anche una ‹‹prova liturgica››, di questo nascere della Chiesa dall’Eucaristia. Si tratta dell’acclamazione del popolo ‹‹Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta››, come risposta alla solenne annuncio del Sacerdote ‹‹Mistero della fede›› dopo la consacrazione. Qui, dice il Papa, “la Chiesa mentre addita il Cristo nel mistero della sua Passione, rivela anche il suo proprio mistero: Ecclesia de eucharistia.

Se con il dono dello Spirito Santo a Pentecoste la Chiesa viene alla luce e si incammina per le strade del mondo, un momento decisivo della sua formazione è certamente l’istituzione dell’Eucaristia nel Cenacolo. Il suo fondamento, la sua scaturigine è l’intero Triduum paschale, ma questo è come anticipato e ‹‹concentrato›› per sempre nel dono eucaristico.

In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l’attualizzazione perenne del mistero pasquale. Con esso istituiva una misteriosa ‹‹contemporaneità›› tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli [....] C’è nell’evento pasquale e nella Eucaristia che lo attualizza nei secoli, una ‹‹capienza›› davvero enorme, nella quale l’intera storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione. Questo stupore deve invadere sempre la chiesa raccolta nella Celebrazione eucaristica.”(n 5).

Ho voluto riportare distesamente queste affermazioni fondamentali e programmatiche, che sorreggono l’insegnamento specifico del Cap. II, ‹‹l’Eucaristia edifica la Chiesa››.

237 D.C . n 4 . EV VII, 165, nella nota 16 cita espressamente DE LUBAC, H. ., Méditation sur l’Eglise, 2 ed., Paris 1953,pp. 129-137

234

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“C’è un influsso causale dell’Eucaristia, alle origini stesse della Chiesa”(n 21). Giovanni Paolo II individua tale affermazione nel Vaticano II: vi è detto “che la Chiesa ossia il Regno di Dio già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo” (LG 3). Si domanda il Papa: come «cresce?» e trova la risposta nello stesso numero della Lumen gentium, ove si dice: “Ogni volta che il sacrificio della Croce ‹‹col quale Cristo nostra Pasqua è stato immolato››(1 Cor 5,7) viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione. E insieme col sacramento del pane eucaristico viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cf. 1 Cor 10,17).”

L’influsso causale dell’Eucaristia sulla nascita e crescita della Chiesa, viene ulteriormente spiegato col preciso affidamento del Memoriale della sua Pasqua agli Apostoli ‹‹seme del nuovo Israele e origine della sacra gerarchia››:

“Offrendo loro come cibo il suo corpo e il suo sangue, Cristo li coinvolgeva misteriosamente nel Sacrifico che si sarebbe consumato di li a poche ore sul Calvario. In analogia con l’Alleanza del Sinai, suggellata dal sacrificio e dall’aspersione del sangue, i gesti e le parole di Gesù nell’Ultima Cena gettavano le fondamenta della nuova comunità messianica, il popolo della nuova Alleanza” (n 21).

Giovanni Paolo II sviluppa ampiamente questo tema dell’Apostolicita dell’Eucaristia e della Chiesa; dall’insieme del discorso, tenendo presente l’effato del n 21 ‹‹C’è un influsso causale dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa››, e del n 5 ‹‹un momento decisivo della sua [ Chiesa] formazione è certamente l’istituzione dell’Eucaristia nel Cenacolo››, potremo dire che la connotazione dell’Apostolicità va piuttosto dall’Eucaristia verso la Chiesa.

L’Eucaristia è stata affidata nell’Ultima Cena agli Apostoli, è stata tramandata da loro e dai loro successori fino a noi; questa successione, ‹‹ossia l’ininterrotta serie, risalente fino agli inizi, di ordinazioni episcopali valide›› risulta ‹‹essenziale perché ci sia la Chiesa in senso proprio e pieno›› (n 29).

‹‹L’Eucaristia è Apostolica perché viene celebrata conformemente alla fede degli Apostoli››. Il Magistero in diverse occasioni ‹‹ha prcisato la dottrina eucaristica, anche per quanto attiene l’esatta terminologia, proprio per salvaguardare la fede apostolica in questo eccelso Mistero. Questa fede rimane immutata ed è essenziale per la Chiesa che tale permanga›› (n 27).

Istituzione apostolica, successione apostolica, dottrina apostolica sono qualità intrinseche all’Eucaristia, sue costitutive, e ridondano sulla qualità apostolica della Chiesa.

235

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Si comprende meglio perché il Papa dia tanto rilievo alla qualità del Sacerdote che in successione e comunione apostolica, ‹‹compie il Sacrificio eucaristico in Persona di Cristo e lo offre Dio in nome di tutto il popolo››(LG n 10).

Riprendendo il suo insegnamento della lettera apostolica Dominicae Cenae, n 8, ribadisce: ‹‹In Persona Christi vuol dire di più che ‘a nome’, oppure ‘nelle veci’ di Cristo. In persona: cioè nella specifica, sacramentale identificazione col sommo ed eterno Sacerdote, che è l’autore e il principale soggetto di questo suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno››. ‹‹La comunità non è in grado di darsi da sola il ministro ordinato. Questi è un dono che essa riceve attraverso la successione episcopale risalente agli Apostoli.››(n 29).

La natura apostolica dell’Eucaristia, per la necessità del ministro ordinato in successione apostolica, le è intrinseca; anzi il Papa ribadisce, con la Dominicae Cenae n 2, che L’Eucaristia ‹‹è la principale e centrale ragione d’essere del Sacramento del sacerdozio, nato effettivamente nel momento dell’istituzione dell’Eucaristia e insieme con essa››.

Parafrasando potremo dire: è la qualità ineffabile, che desta ogni stupore, del Mistero eucaristico che ridonda sulla qualità della persona del Ministro ordinato: a tale Eucaristia, tale Ministro, per volontà istitutiva del Signore.

Nostro Signore ha affidato nell’Ultima Cena il suo Memoriale, per edificare la sua Chiesa, a Pietro e agli Apostoli: l’Eucaristia, lo stesso corpo e sangue donati in Sacrificio, resi presenti, partecipati per realizzare l’unico Corpo ecclesiale, nella molteplicità dei tempi, luoghi e persone. L’Eucaristia, l’unico Corpo del sacrificio partecipato da tutti, restando uno nella sua pienezza di verità, grazia, tesori di sapienza (cfr Col 1,19; 2,3.9; Ef 1,22s; 4,11-16; Gv 1,14-18), genera nelle varie situazioni temporali e locali l’indivisa comunione ecclesiale: una enorme, a misura dello Spirito Santo carità, capacità unificante.

“L’incorporazione a Cristo, realizzata nel Battesimo, si rinnova e si consolida continuamente con la partecipazione al Sacrifico eucaristico, soprattutto con la piena partecipazione ad esso che si ha nella comunione sacramentale.”(n 22).

La Chiesa così edificata e consolidata non si chiude in se stessa, anzi “diventa sacramento per l’umanità, segno e strumento della salvezza operata da Cristo, luce del mondo e sale della terra (Cfr. Mt 5,13-16) per la redenzione di tutti.”

“Perciò dalla perpetuazione nell’Eucaristia del sacrificio della Croce e dalla comunione col corpo e sangue di Cristo la Chiesa trae la necessaria forza

236

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spirituale per compiere la sua missione. Così l’Eucaristia si pone come fonte e insieme come culmine di tutta l’evangelizzazione, poiché il suo fine è la comunione degli uomini con Cristo e in Lui col Padre e con lo Spirito Santo.”(n 22)

“L’azione congiunta e inseparabile del Figlio e dello Spirito Santo, che è all’origine della Chiesa, del suo costituirsi e del suo permanere, è operante nell’Eucaristia”(n 23).

La celebrazione dell’Eucaristia richiede, come esigenza sua intrinseca, costitutiva, vincoli visibili ed invisibili, reciprocamente correlati, necessari per l’esistenza e la qualità di vita della Chiesa.

Vincoli visibili, sacramento dell’Ordine e del Battesimo; vincoli invisibili “la vita di grazia, per mezzo della quale si è resi ‹‹partecipi della natura divina›› (2 Pt 1,4), e la pratica delle virtù della fede, della speranza e della carità. Solo così infatti si ha vera comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo” (n 36).

La qualità istituita dal Signore di questi vincoli visibili e invisibili, ‹‹il cuore›› della vitalità della Chiesa, sono, potremo dire ‹‹a misura›› dell’Eucaristia; il Battesimo è tutto orientato alla perfetta e dinamica inserzione nel Corpo di Cristo che l’Eucaristia rende presente, l’esercizio del sacerdozio battesimale vi si esercita in pienezza.

L’Ordine, la comunione e successione apostolica con Pietro e sotto Pietro, realizza ed esprime l’autenticità dell’unità universale del Corpo di Cristo, a misura della qualità del Corpo eucaristico che rimane indiviso, pur nella molteplicità delle celebrazioni particolari.

Quell’unico corpo ecclesiale di Cristo così generato nell’Eucaristia per il ministero apostolico, rimane affidato all’autorità e cura pastorale apostolica, perché porti tutti i suoi frutti di comunione trinitaria, di vita cristiana.

Ma pure la qualità della preghiera cristiana dipende dai contenuti inauditi dell’Eucaristia: la preghiera giudaica è divenuta cristiana in forza del Novum del Sacrificio del corpo e sangue del Signore, che ci partecipa la sua preghiera filiale, fraterna al Padre, il suo ringraziamento, la sicurezza nel suo amore:

“Ma certo, fin dalla storia vissuta di Gesù, l’evento del Giovedì Santo porta visibilmente i tratti di una ‹‹sensibilità›› liturgica, modulata sulla tradizione storica antico-testamentaria e pronta a rimodularsi nella celebrazione cristiana in sintonia col nuovo contenuto della Pasqua”(n 47).

Spedifica ancora la Sacr. Car.: “[… ] Gesù inserisce il suo novum radicale all’interno dell’antica cena sacrificale ebraica.[….] L’antico rito è stato compiuto ed è stato superato definitivamante attraverso il dono dell’amore del Figlio di Dio incarnato.[….] Il Memoriale del suo dono perfetto, infatti, non consiste nella

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esmplice ripetizione dell’ultima cena, ma propriamente nell’Eucaristia, ossia nella novità radicale del culto cristiano.”( n 11).

Non solo la preghiera liturgica e personale, ma tutti gli aspetti qualitativi della vita ecclesiale sono come segnati dalla celebrazione eucaristica: arte, musica...tutto il cap. V, il ‹‹Decoro della celebrazione eucaristica››. Anche l’elogio rivolto a Maria SS, è quello di essere Donna ‹‹ Eucaristica ››, il cap. VI. dell’enciclica.

IV,2.4 Eucaristia principio causale della Chiesa nella Sacramentum caritatis.

Nella presentazione dell’Esortazione apostolica, il Card. A: Scola. parla di una ‹‹significativa opzione magisteriale per il primato della causalità eucaristica su quella ecclesiale››238

Il fondamento di questo primato consiste nell’evidenza che Cristo ‹‹ci ha amati per primo›› (1Gv 4,19); “ Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo”. “ Cristo stesso nel Sacrificio della Croce ha generato la Chiesa come sua sposa e suo corpo”( n 14). Papa Benedetto riprende l’insegnamento biblico-patristico sull’origine della Chiesa, nuova Eva, dal fianco di Cristo trafitto sulla Croce nel sonno della morte. Il sangue e l’acqua che sgorgano da tale trafittura del Costato , come segnalato da Giovanni (Cfr Gv 19,34) sono simboli dei Sacramenti pasquali, Battesimo ed Eucaristia, che edificano fanno crescere la Chiesa. 239. Prosegue :

“ Uno sguardo contemplativo ‹‹a colui che hanno trafitto››(Gv 19,37), ci porta a considerare il legame causale tra il Sacrificio di Cristo, l’Eucaristia e la Chiesa. La chiesa in effetti ‹‹vive dell’ Eucaristia (Eccl. De Euch. n 1)››. Poiché in essa si rende presente il sacrificio redentore di Cristo, si deve innanzitutto riconoscere che ‹‹c’è un influsso causale dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa (Eccl. De Euch. n 21››). L’Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo. “.(n 14)

In forza della donazione che Cristo fa di se stesso, che l’Eucaristia rende presente, ‹‹edificandoci continuamente come suo corpo››, Benedetto XVI. può concludere :

“ Pertanto nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e la Chiesa stessa che fa l’Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo

238 CARD. SCOLA, A. Presentazione, in Osser. Rom. del 14/3/ ’07, 11239 Sacr. Car. nota 30, cita LG 3; cfr J. CRYSOSTOME, Huit Catéchèses baptismales

3,13-19 :(= SC 50 b,174-177)

238

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presente nell’Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce”.(n 14).

Primato certo del dono di Cristo inviato dal Padre, ma, nell’Unità trinitaria, anche un primato del dono e dell’agire dello Spirito Santo. La forma liturgica dell'Eucaristia, nella varietà degli usi legittimi nelle Chiesa in successione e comunione apostolica, è pur essa opera dello Spirito Santo (n 12); esso, Spirito Santo, rende testimonianza del dono di Cristo alla sua Chiesa nel Memoriale fedelmente ricevuto, celebrato e trasmesso (cfr 1Cor 11,23-26), assicurandone una più intensa intelligenza ed espressività liturgico-orazionale.; la transustanziazione, che rende presente la Croce salvifica di Cristo, richiede la fedele ministerialità del Celebrante competente, parole e gesti della Consacrazione, ma sempre in contesto di preghiera, epiclesi, invocazione dello Spirito Santo.240.

“La radice trinitaria, Cristologica e pneumatologica della celebrazione del Mistero eucaristico costituisce la base per un approfondimento della realtà teologica della Chiesa in chiave eucaristica”241

Papa Benedetto XVI .può concludere all’inizio del n 15 : “L’Eucaristia è dunque costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa”

IV.2.4 Precedenza ontologica e storica della causalità dell’Eucaristia rispetto la Chiesa.

Raccogliamo il frutto non solo delle precedenti riflessioni in materia, ma dell’intero trattato. Non possiamo avere dubbi sull’osservazione fenomenologia: è la Chiesa che celebra, fa l’Eucaristia. Ma se discendiamo un poco di più in profondità, nella verità del Sacrificio, Sacramento, dobbiamo dire che è una Chiesa eucaristica, nella sua costituzione intrinseca e nella sua qualità di vita, a celebrare l’Eucaristia per consolidarsi e crescere nella sua stessa qualità eucaristica.

Una Chiesa eucaristica: la sua verità-qualità dipende dall’‹‹ora›› di Cristo, dal suo Triduum paschale, che vincendo il peccato umano, ci porta a vivere una vita risorta personale e sociale di Comunione trinitaria; ma è esattamente

240 Ci sembra si possano applicare anche in questo caso la promessa di Gesù nei discorsi dell’Ultima Cena :” Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me sin dall’inizio”(Gv 15, 26-27); anche le parole di Pietro in Atti 5, 32 :” E di questi fatti (Passione e Risurrezione) siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a Lui”

241 CARD. SCOLA, A. Presentazione, cit.

239

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nell’Eucaristia che il Triduum paschale di morte, risurrezione, dono dello Spirito Santo vivificante è reso presente con tutti i suoi frutti.

Una Chiesa eucaristica, ‹‹Universale sacramento della salvezza ››(LG 48, GS 45) per tutti gli uomini, perché nell’Eucaristia l’unico Corpo offerto in sacrificio per tutti, indivisibile, viene reso presente, offerto, partecipato nella molteplicità dei tempi, dei luoghi, delle comunità e delle persone in esse.

Una Chiesa eucaristica, che viene qualificata dalla ‹‹penetrazione›› 242 più intensa in essa del Verbo incarnato , partecipazione del corpo dato e del sangue versato del Crocifisso glorioso. Questa presenza unica, la più intensa, perché sostanziale e corporale, qualifica tutte le molteplici presenze del Signore alla sua Chiesa: parola, ministro, assemblea orante dei battezzati, attenzione ai poveri; esse sono prerequisite e predisponenti alla celebrazione del Memoriale sacrificale, che, nella forza dello Spirito Santo, ‹‹trasfigura›› le persone nel corpo ecclesiale, per la pubblica testimonianza e annuncio del Vangelo.

Una Chiesa eucaristica nella vita morale, spirituale secondo le beatitudini, carità, delle comunità e delle persone in esse. Non si spiega la vita cristiana, lo stile proprio del Ministro, dei religiosi, della vita familiare e di lavoro, nella società, senza questa vicinanza estrema e intima partecipazione del corpo e sangue del Crocifisso glorioso.

Una Chiesa eucaristica, di cui il Ministero Petrino-apostolico, in successione e comunione, è esigenza istituita, intrinseca, necessaria. Il servizio di Pietro, successori, senza i quali non si dà unità e comunione del Collegio apostolico dei Vescovi, è necessario, per assicurare autenticità, universalità alle celebrazioni eucaristiche che animano e qualificano le Chiesa particolari; è poi ancora necessario, necessità istituita dal Signore Gesù, affinché per la sua autorità di magistero e guida pastorale, la celebrazione del Memoriale assicuri la qualità eucaristica di vita in tutta la Chiesa, delle sue articolazioni ministeriale e carismatiche.

Servizio petrino come necessità intrinseca di una Chiesa eucaristica, meta attraente a sè, nella preghiera e sacrificio eucaristico, tutto il movimento ecumenico, di conversione, impegno comune di carità e di dialogo teologico. L’Eucaristia è la ‹‹coppa della sintesi››243 di tutte le verità rivelate, professate, celebrate e vissute.

242 ? Cfr DE FINANCE, J., Citoyen de deux mondes, cit., 294.243 ‹‹Coppa della sintesi›› in relazione all’Eucaristia è espressione di S. Ireneo,

Contro le eresie III, 16, 7, cfr B. SESB_UO, Tout récapituler dans le Christ, Christologie et sotériologie d’Irénée de Lyon, (= Jésus et Jésus-Christ 80) Desclée, Paris 2000, 157-159

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Insieme alla preminenza ‹‹ontologica-qualitativa›› dell’Eucaristia, dobbiamo anche delineare una sua precedenza temporale, storica: la Chiesa nasce nel Cenacolo, nel coinvolgimento sacramentale di Pietro e degli Apostoli al Corpo e Sangue già offerti in sacrificio per tutti, e dal comandamento dato della sua celebrazione memoriale nei tempi della Chiesa.

La Chiesa nasce universale con l’affidamento a Pietro e ai Dodici del Memoriale eucaristico; tra l’universalità prodotta dall’Eucarestia ed il Ministero petrino che ne assicura l’autenticità nella celebrazione e nei frutti, si dà una relazione intrinseca, costitutiva.

Questa precedenza storica, interiore, non si intuisce anche nella preghiera nella ‹‹sala al piano superiore››, dove abitavano, ( At 1,13) con la presenza di Maria SS, mentre Pietro guida la decisione apostolica per l’integrità numerica-qualitativa del Collegio apostolico ? non ha grande significato che tutto avvenga nel Cenacolo, cioè ‹‹la sala al piano superiore››( Lc 22,11) ? 244

Precedenza storica riguardo al dono dello Spirito Santo, all’annuncio del giorno della Pentecoste, del Battesimo e del segno sacramentale del dono dello Spirito Santo.(cfr At 2,14-41).

IV.3 CONCLUDENDO: MISTAGOGIA E SISTEMATICA TEOLOGICO- MORALE.

Abbiamo registrato e documentato nell’Introduzione questo desiderio diffuso del Sinodo, e quasi concentrato nella Proposizione 16. 245 Delineare il rapporto tra Teologia sistematica e Mistagogia delle preghiere liturgiche, riti e segni sacramentali, rapporto che si può opportunamente esprimere come relazione tra lex orandi,credendi e vivendi. .246

244 ? CONGREGAZIONE PER LA DOTRINA DELLA FEDE, Lettera ‹‹comunionis notio››, su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 28/ 6 / 1992, AAS 85(1993), 838-850, n 9.

245 ? Cfr. nell’Introduzione, 8246 ? Sacr. Car. al n 6, cita la Preposizione 16, e afferma .” La fede si esprime nel

rito, e il rito rafforza e fortifica la fede” Non intendiamo, evidentemente, esaurire l’argomento della Mistagogia: un saggio ampio, comprensivo si può trovare in: RAFFA, V., Liturgia eucaristica, Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, (= BEL ‹‹subsidia›› 100), C.L.V.- Edizioni liturgiche, Roma, 1998. Teologia della Mistagogia, insieme a approfondito esame dei quattro mistagogi principali, in MAZZA, E., La Mistagogia, una teologia della liturgia in epoca patristica, (= BEL ‹‹subsidia›› 46), C.L.V.- Edizioni liturgiche, Roma 1988.

Tutti gli studi di GIRAUDO, C. hanno finalità mistagogica, in particolare i suoi Testi, l’ampio esame delle preghiere eucaristiche svolto in essi. Intendiamo solo trarre alcune conseguenze dal cammino teologico-storico percorso.

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Mistagogo per autonomasia è il Sacerdote celebrante, qualificato ‹‹ontologicamente›› per l’ordinazione sacerdotale ad agire in Persona Christi, essere suo segno sacramentale, di Lui, presente ed attivo in vari modi nell’azione liturgica, quindi non sostituibile.

Per portare l’assemblea liturgica all’accoglienza fruttuosa del Crocifisso risorto, in modo consapevole, di vera partecipazione attiva del Sacrificio, personalizzarla nella Comunione sacramentale, risulta anzitutto necessaria la preparazione spirituale e scientifica del Presbitero celebrante; la sua consapevolezza anzitutto di agire in Persona Christi per l’edificazione, crescita del suo corpo ecclesiale.

Questo corpo ecclesiale, che si manifesta nell’assemblea qui riunita, già partecipa per il Battesimo, precedenti Eucaristie, sacramenti ricevuti, carismi e doni dello Spirito Santo, alla pienezza di Cristo, al noi ecclesiale: il Celebrante deve percepire e servire questa pienezza di Cristo già accolta ed operante, ed insieme riportarla, consolidarla, farla crescere inserendola nella sua fonte sorgiva, il sacrificio di Cristo.

Il sacerdote celebrante, mentre serve la Comunità ecclesiale come segno sacramentale, efficace di Cristo Capo e Sposo della Chiesa, per introdurla sempre più, per il Sacrificio di Cristo reso presente, in novità di vita risorta, esercitando così, in comunione e successione apostolica, il ‹‹principio petrino››, è ben consapevole della natura mariana della Chiesa. Natura mariana, ‹‹principio mariano›› di una Chiesa, che già, in Maria SS, è in pienezza realizzata, per la sua completa accoglienza, in fede, speranza e carità, del Sacrificio redentore. (LG nn 63-65).

“Per questo, ogni volta che nella Liturgia eucaristica ci accostiamo al Corpo e al Sangue di Cristo, ci rivolgiamo anche a Lei che, aderendovi pienamente, ha accolto per tutta la Chiesa il sacrificio di Cristo.[….] Maria di Nazareth, icona della Chiesa nascente, è il modello di come ciascuno di noi è chiamato ad accogliere il dono che Gesù ha fatto di se stesso nell’Eucaristia” (Sac. Car. n 33)

In Maria SS si è realizzata così la pienezza del ‹‹sacerdozio comune, battesimale››: anche il Celebrante è partecipe personalmente di questa Chiesa mariana, nella misura della sua Fede, Speranza e Carità.247

247 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, del 15/ 8 / 1988, n 27 , AAS (1988) 1717-1720 La partecipazione universale al sacrificio di Cristo, in cui il Redentore ha offerta al Padre il mondo intero, e, in particolare l’umanità, fa sì che tutti nella Chiesa, siano un ‹‹regno di sacerdoti››( Ap 5,19;cfr. 1 Pt 2,9), partecipino cioè non solo alla missione sacerdotale, ma anche a quella profetica e regale di Cristo

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Le due dimensioni della partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, ministeriale e battesimale, ‹‹principio petrino apostolico e mariano››, benché ordinate l’una all’altra, sono ‹‹essenzialmente distinte››, non si possono confondere (LG n 10), come non si può confondere Cristo capo e sposo della Chiesa, con il suo Corpo ecclesiale, di Lui partecipe e dipendente. Questo nell’unione profonda tra noi ed il Signore Gesù: ‹‹La celebrazione liturgica opera del –Christus totus-››; così la Sacr. Car. intitola la prima sezione della II Parte, citando S. Agostino : “Non bisogna credere infatti che il Cristo sia nel capo senza essere anche nel corpo, ma egli è tutto intero nel capo e nel corpo” (Sacr. Car. n 36).

Pur dovendo sempre muoversi in questa percezione di un corpo di Cristo ecclesiale già costituito, per farlo crescere, nel sacrificio di Cristo reso presente e partecipato, verso la sua meta pienamente gloriosa, risulta necessario, perché sia autentico mistagogo, che il Celebrante abbia umile consapevolezza di agire in Persona di quel Cristo, dalla cui ‹‹pienezza›› dipende, nello Spirito Santo, tutta la vita qualificata delle Persone e dalla Comunità.

Qualsiasi prospettiva teologica, che pur animata da ottime intenzioni di valorizzare il noi ecclesiale, il sacerdozio dei fedeli, ponga in qualche sfumatura confusa la qualità sacramentale dell’agire presidenziale in Persona Christi, risulta perturbante i compiti mistagogici; compiti che ben esercitati, sono tutti a vantaggio del popolo sacerdotale.

La celebrazione perseverante dell’Eucaristia è privilegiato luogo teologico della confessione di Fede nel Signore, il suo essere una sola cosa, nello Spirito Santo col Padre, al quale nella sua Pasqua resa presente ci conduce. In questo contesto eucaristico lo Spirito Santo ha guidato la Chiesa ad una più esplicita professione della verità rivelata su Cristo, lo stesso Spirito Santo, la Trinità.248

Messia […]. Ciò riguarda tutti nella Chiesa, le donne come gli uomini, e riguarda ovviamente anche coloro che sono partecipi del ‹‹sacerdozio ministeriale››, che possiede il carattere di servizio.[…] Il Concilio Vaticano II, confermando l’insegnamento di tutta la tradizione, ha ricordato che nella gerarchia della santità proprio la ‹‹donna›› Maria di Nazareth, è figura della Chiesa. […] In questo senso si può dire che la Chiesa è insieme mariana ed ‹‹apostolico petrina.››. Nella nota 55 il Papa cita VON BALTHASAR, H. U., ricordando che il ‹‹triplice munus›› del sacerdozio ministeriale non mira ad altro che a formare la Chiesa in quell’ideale di santità che è già preformato e prefigurato in Maria; Maria è regina degli Apostoli, senza pretendere per sé i poteri apostolici; essa ha altro e di più.

248 Cfr CONGAR, Y. , ‹‹Doctrines christologiques et Théologie de l’Eucharistie (simples notes)››, in Revue de sciences philosophique et theologiques 66 (1982) 233ss.

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Questa più esplicita dottrina, sancita dai grandi concili del IV e V secolo, è specialmente in Oriente, rifluita nella maturazione ancora in corso delle preghiere eucaristiche. Queste conoscenze teologiche-storiche aiutano il Celebrante mistagogo: vivere personalmente e introdurre l’assemblea dei battezzati ad una professione di fede nella SS. Trinità non statica, ma già in sè roveto ardente, dinamica di dedizione, verità, riconoscente, filiale nell’amore Spirito Santo al Padre. Questa novità desta grande ‹‹stupore››: nell’Eucaristia la professiamo, ma per essere inseriti in essa, adorarla e parteciparla!

Nella preghiera, azione eucaristica il Crocifisso glorioso ce ne fa partecipi: il suo corpo dato ed il suo sangue versato, sacrificio al Padre per noi, reso presente, ci uniscono alla sua dedizione filiale, fraterna, intensificando il dono dello Spirito Santo, di carità ed unità.

Abbiamo già considerato come la Preghiera eucaristica bizantina, nei suoi legittimi sviluppi, esprima le relazioni tra Croce, resa presente, riconosciuta e adorata, come vertice dell’economia cristologica, e la missione dello Spirito Santo vivificante il corpo ed il sangue del Crocifisso reso prezioso, glorioso; tutto questo affinché i comunicandi ne siano vivificati, inseriti nell’unico Corpo ecclesiale. 249

Questa Preghiera eucaristica rappresenta uno scrigno prezioso contenente i frutti di un cammino sicuro di crescita nella professione e nell’intelligenza della fede, divenuta preghiera, azione liturgica, qualità di vita cristiana, ecclesiale e personale.

Il Canone romano raggiunge le stesse finalità, con una Preghiera dal sapore più biblico, arcaico, ricca di immagini e figure tipiche vetero testamentarie,( Abramo, Abele, Melchisedek) di immediato interesse ecclesiale, in una tradizione apostolica dichiarata nel ricordo di Pietro, suoi successori santi nel servizio universale della Chiesa, nel nome del suo successore attuale; uniti al ricordo di Paolo e degli Apostoli, di altri santi, non solo Vescovi martiri, ma anche laici.. Ma “ [….] ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo”

Una tradizione apostolica, nel contesto della piena accoglienza mariana, che quasi conduce alla narrazione degli eventi rituali costitutivi il Memoriale che si sta celebrando. Il tutto avvolto in una epiclesi, preghiera di ringraziamento, santificazione, per l’unità qualificata della Chiesa, con un vertice nella prima epiclesi, in senso forte, che domanda esplicitamente la trasformazione del pane e del vino nel Corpo dato e Sangue versato, che il Celebrante sacramentalmente realizza nella consacrazione.

249 Cfr Eccl. De Euch., n. 17

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Una epiclesi tutto avvolgente, che attraverso il riconoscimento pieno, anamnesi in senso forte, del Sacrificio di Cristo reso presente, introduce alla sua risurrezione e ascensione; presenza del Mistero pasquale, che si partecipa e si esprime non solo nell’offerta sacrificale della Chiesa attuale, ma in tutti i sacrifici di tutti i tempi graditi al Padre: Abramo, Abele, Melchisedek.

Questa Prex eucharistica diviene quindi nuovamente epiclesi in senso forte (Supplices te rogamus), preghiera più intensa, invocando una mediazione angelica, perché il corpo e sangue sacrificali dell’altare terreno, che sono per identità gloriosi sull’altare celeste, davanti al Padre, 250essendo così divenuti del tutto santi e santificanti, portino ai comunicandi ‹‹la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo››

Domanda di grazia che si estende dai fedeli ancora pellegrini sulla terra, ai defunti, affinchè tutti quelli che riposano in Cristo, ricevano in dono ‹‹la beatitudine, la luce e la pace››; insistendo ancora nella preghiera, che per la misericordia del Signore, possiamo tutti essere accolti nella comunità dei Santi apostoli e martiri, di cui si fanno nomi significativi: Giovanni il Battista, che riassume in sè tutto l’antico testamento, un Papa, vescovi, laici, donne vergini e sposate, tutti martiri.

Il Mistagogo celebrante, iniziato alla genesi delle anafore eucaristiche, è consapevole quanto quell’architettura mirabile che è la preghiera eucaristica, nelle sue strutture comuni portanti, nella sua ricca varietà, sia legittimo sviluppo del benedire ringraziare del Signore nell’Ultima Cena; il Signore Gesù lo ha affidato a Pietro e Apostoli, come il suo Memoriale, per darci il dono inaudito, che suscita stupore, del pane e del vino così eucaristicizzati, eucaristia vivente perché divenuti il suo Corpo dato e il suo Sangue versato per la nostra salvezza.251

Il Mistagogo consapevole apprezzerà ancor più come, nel cuore palpitante dell’Eucaristia di tutti i tempi e luoghi della Chiesa, stia la certezza di fede della presenza del vero corpo e sangue del Crocifisso glorioso; abbiamo visto nel percorso storico le vicende teologiche di questa fede inconcussa, mai minimamente incrinata.

Prima l’uso di una teologia simbolica, iconica, di sapore biblico, tipologico, con qualche venatura platonica sempre accompagnata dall’affermazione forte,

250 Vedi citazioni bibliche nella nota 222; cfr Eccl. de Euch. n 19251 Cfr Sacr. Car. n 12 .” Questo grande mistero viene celebrato nelle forme

liturgiche che la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, sviluppa nel tempo e nello spazio.[….]Pertanto è in forza dell’azione dello Spirito che Cristo stesso rimane presente ed operante nella sua Chiesa, a partire dal suo centro vitale che è l’Eucaristia”.

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espressa col verbo della realtà, cioè ‹‹essere›› il vero corpo e sangue del Crocifisso glorioso.

Quindi il passaggio, ( quando l’uso della teologia simbolica è risultato difficile nel delicato passaggio culturale da una matura classicità romana, ad una più vivace, ma meno colta, cultura gotico-barbarica) ad una teologia più esplicitamente ‹‹sostanziale››; questo allo scopo di sottolineare fortemente, con

le categorie dell’essere,(Ñus…a, l’esistente, sostanza), l’identità del Corpo sacrificale eucaristico con quello del Glorioso alla destra del Padre.

La differenza sta solo nel suo manifestarsi a noi, ora, nelle specie conviviali del pane e del vino, il cibo e la bevanda di cui abbisognamo nel nostro pellegrinaggio terreno.

Il Mistagogo avvertito gode di questa presenza sacrificale, così reale del Glorioso nella sua Chiesa, per farne sempre più il suo Corpo, donandole tutta la pienezza dei suoi doni, di verità, di grazia, di tutti i tesori della sapienza e della scienza (cfr Col 1,19; 2,3.9; 2,3.9; Ef 1,22-23; Gv 1,14-18), nello Spirito Santo. Mentre guida nella Preghiera eucaristica l’assemblea all’accoglienza di questa così intensa presenza del Crocifisso, che invoca e sacramentalmente realizza, avverte la necessità di mai incrinare, anche solo con espressioni infelici, la fede del popolo sacerdotale. 252

252 ? Per es., con l’ottima intenzione di sottolineare la distinzione del modo di presentarsi a noi del Crocifisso-risorto, nella celebrazione del suo Memoriale sotto le specie del pane e del vino, e quello che realizzerà nel suo avvento glorioso nella piena capacità di realizzare terra nuova e cieli nuovi, in una presenza svelata del suo volto, parlare di presenza-assenza del Crocifisso glorioso nell’Eucaristia: l’espressione è ambigua, perché unisce una presenza vera, ‹‹sostanziale›› ad una assenza del pieno, attuale svelamento della sua capacità terminale di trasformare il nostro ‹‹cuore››, i corpi nella risurrezione finale e nel cosmo trasfigurato.

Tanto più che il Crocifisso glorioso dell’Eucaristia è lo stesso di quello della Parusia; la sua capacità attuale di trasformare i nostri cuori, le persone nel Corpo ecclesiale, è tutta orientata alla loro trasformazione completa, con la risurrezione dei nostri corpi.

La questione teologica ricca di contenuti e di significato, di una prospettiva escatologica dell’Eucaristia, per l’influsso che esercita sul modo di esprimere la Presenza reale, richiede attento studio, cfr. MARTELET, G. , Résurrection, eucharistie et genèse de l’homme, Desclée Paris 1972. Cfr BOEVE, L. - LEJISSEN, L. , ed., Sacramental presence in a postmodern context, Leuven university press-Uitgeverji Peeters, Loiven-Paris-Sterling, 2001. Il card. Dannels, nel saluto iniziale, avverte dell’estrema delicatezza dell’argomento, perché interessa lo statuto della presenza reale eucaristica.

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In questa prospettiva, il Mistagogo per introdurre alla pienezza del Mistero eucaristico, sente parimenti la necessità di professare, vivere e far vivere una fede nel Verbo incarnato, fondamento e misura della creazione, operante la redenzione ( che ha in sè la pienezza di ogni grazia, verità) una fede che risulti completa, senza diminuzioni, parzialità. 253

Ugualmente una integra professione di fede nello Spirito Santo ‹‹Signore e vivificante››, principio interiore della vita del Crocifisso glorioso e della sua Chiesa.

Questa fede, professata, celebrata, vissuta ha trasformato, per opera dello Spirito Santo, nella Chiesa degli Apostoli, nel tempo dei grandi Concili, a partire da quello di Gerusalemme, sempre più radicalmente, la Todà e le benedizioni, Berakot, del Vecchio testamento nella Preghiera eucaristica cristiana.( cfr Sacr. Car . 12. 48).

Questa fede ha usato le stesse categorie ‹‹sostanziali››, prima per esprimere correttamente, al di la di ogni incertezza, che il Cristo dei Vangeli è una sola cosa col Padre, vita filiale divina ( Nicea DH 125 ), e fraterna con noi, per la sua Incarnazione ( Calcedonia DH 301); e poi all’inizio del II millennio ha usata le stesse categorie sostanziali per assicurare la verità fondamentale che il Corpo eucaristico è per identità nelle specie del pane e del vino, il Corpo del Crocifisso glorioso.( Sinodo romano DH 700; Concilio tridentino DH 1636; 1651)..

Presenza del corpo offerto in sacrificio: il Mistagogo La professa nella fede, e La rende presente, con tutte le implicazioni spaziali e temporali di una presenza sostanziale corporea. Un corpo sostanziale, la sostanza del Crocifisso glorioso, che pur reso presente in più luoghi, in più tempi per animare e qualificare le comunità particolari e le persone in esse, rimane indiviso, per realizzare, nella sua pienezza, la Chiesa universale sino all’avvento glorioso del Signore.

253 ? Cfr RAFFA, V., Liturgia eucaristica, Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, cit., dopo avere esaminato, comparativamente, le teorie avanzate circa l’origine della Preghiera eucaristica da una matrice giudaica, pag.379-429, conclude: “ Più attendibile, se rettamente compresa, ci sembra la persuasione di Cirillo di Alessandria e della tradizione più che millenaria, secondo cui l’unico punto di riferimento è quello di Cristo, che ci ha dato anche il modello della preghiera eucaristica”. Tutta l’opera di Raffa, nel suo percorso storico, teologico, liturgico, è guidata dalla persuasione che il Memoriale della Pasqua del Signore, la sua Eucaristia, rappresenta un NOVUM: più che la matrice giudaica, nella sua difficile individuazione, si deve valorizzare la preparazione vetero-testamentaria.

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In quanto presenza corporea, qualifica, in questa costitutiva dimensione universale, i luoghi ed i tempi particolari della celebrazione.

Il celebrante saggio mistagogo conosce l’importanza di un luogo quasi plasmato, edificato e organizzato in tutto secondo i contenuti inauditi e familiari dei Mistero reso presente: mentre ne ha somma cura, sa farsene interprete verso l’assemblea, in tutta la sua ricchezza simbolica: sarà, se l’abside è rivolto ad oriente, orientare se stesso e il popolo di Dio verso il Crocifisso glorioso, un’alba che illumina questa assemblea, in un orizzonte cosmico, nell’attesa dell’alba definitiva, della risurrezione dei corpi in cieli nuovi e terra nuova.

Anche se l’abside non presenza tale orientamento, è sempre il Crocifisso glorioso ad indicare ove rivolgere lo sguardo, il cuore, nella Celebrazione, per un cammino nuovo della vita personale e comunitaria, in tutte le sue attività.

L’Eucaristia possiede questa intrinseca dimensione di rinnovamento cosmico, un’ambito universale di Speranza, che i cristiani partecipi del Corpo eucaristico devono servire in tutte le loro responsabilità di vita, sociali, professionali. 254

Se il luogo particolare, anche nei suoi riferimenti cosmici, deve essere valorizzato, ancor più cura ‹‹mistagogica›› il celebrante deve avere per la dimensione temporale della Celebrazione dei Misteri del corpo e del sangue di Cristo; anzitutto il ritmo domenicale, il giorno della Risurrezione, ricordo della creazione e della nuova creazione.

Ma anche la stessa celebrazione conosce i ritmi successivi di una più intensa presenza del Signore: il costituirsi dell’assemblea dei Battezzati, il loro convertirsi al Signore, lasciare più decisamente un passato di disordine peccaminoso per aprirsi all’accoglienza di più abbondante grazia, nell’ascolto della Parola del Signore, dell’omelia del Celebrante mistagogo, che introduce ad una assimilazione più consapevole del Vangelo, tutto nel contesto della presenza dello stesso Sacrificio del corpo e del sangue del Signore; dalla prima offerta dei doni e di se stessi, sino alla Preghiera eucaristica, nella ritualità e nelle parole del Memoriale, affinché diventino il sacrificio del Calvario reso presente,

254 ? Cfr. MC PARTLAN, P. , The Eucharist makes the Church, H. de Lubac and J. Ziziulas in dialogue, T*T Clark, Edimburg 1993: Ziziulas vede l’Eucaristia della Chiesa quasi a partire dalla sua dimensione escatologica, rinnovamento universale; de Lubac sottolinea la dimensione storica dell’Eucaristia, che costituisce e fa crescere la Chiesa nel tempo; dà più risalto al Celebrante che agisce non solo nella Chiesa, con la Chiesa, ma anche in Persona Christi, capo della Chiesa.

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assumente in sè, la vita, i desideri della Chiesa, dei presenti, di tutta l’umanità che cerca la comunione vissuta con Dio. 255

Possiamo parlare di un tempo sacramentale, che rende presente l’Ora della Croce, in cui il Signore Gesù porta a compimento tutta la storia religiosa di Israele, della Chiesa e dell’intera umanità; questa storia si concentra nell’ora della Croce, la sua capienza salvifica universale nella coscienza messianica di Cristo, di essere salvatore e redentore di tutta l’umanità e dei singoli uomini; già tutti per creazione sono amati in LUI, chiamati ad essere partecipi di Lui.

Il tempo sacramentale converge verso l’invocazione (Epiclesi) e la realizzazione ministeriale del Corpo dato e del Sangue versato (consacrazione); l’accoglienza del Sacrificio reso così presente è sottolineata in tutti i riti liturgici da segni di particolare adorazione, riconoscimento di una presenza sostanziale-corporale del Signore, invocata, realizzata, accolta.

Il tempo sacramentale conosce questo momento vertice, che crea contemporaneità tra l’ora del sacrificio di Cristo e questa particolare comunità . ”Il punto qui non è il ricordo di un evento per se passato ed irrepetibile, ma [..….] quello che è avvenuto una sola volta, diventa evento per sempre”.

Il tempo sacramentale, il suo concentrarsi nella ‹‹consacrazione›› deve essere percepito dal Celebrante mistagogo, indurne l’accoglienza nell’assemblea; il Corpo, e il sangue della Croce, ci offre la sua contemporaneità salvifica: “il Risorto vive e dà la vita, vive e opera comunione, vive e apre il futuro, vive ed indica la strada”. 256

Indebolire la percezione di questo tempo sacramentale può essere collegato e, anche dipendente, ad una debolezza del Mistagogo celebrante nel percepire la sua valenza ministeriale di agire in Persona Christi, per rendere presente qui, ora il suo Sacrificio, per la comunità ecclesiale; può avvisare di qualche debolezza cristologica, circa la coscienza messianica divino-umana del Signore, di salvare nell’Ora della croce, una volta per sempre, tutti gli uomini e i singoli uomini, riunirli nella sua Chiesa universale, in questa assemblea particolare che associa ora al suo Sacrificio.

Il tempo sacramentale non indulge a nessuna allegoresi, tipo quella di Amalario 257, che cerca di vedere nei particolari della celebrazione una immagine dei fatti della Passione e Risurrezione del Signore; sa invece cogliere, nella struttura liturgica indicata dal Signore Gesù nell’Ultima Cena, nel benedire

255 ? Cfr. RAHNER, K. , Parola ed eucaristia, in Saggi sui sacramenti e l’escatologia, ed. Paoline, Roma 1969, 109-172.

256 ? RATZINGER, J., Introduzione allo spirito della liturgia, cit. 99 257 ? Vedi Indice II.1.7

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ringraziare della Anafora, le parole e l’agire del Celebrante che esprimono e realizzano la presenza più intensa del Crocifisso glorioso, il suo corpo dato e sangue versato per noi. Sappiamo come la Chiesa , ‹‹salva la sostanza del sacramento››, ha tutto il potere di ‹‹precisare›› i momenti forti della loro celebrazione.258

Il tempo sacramentale è tutto qualificato dalla presenza dello Spirito Santo, solo in Lui preghiamo, professiamo la Fede, celebriamo; ed insieme la Chiesa petrino-apostolica ,che ministerialmente realizza ed accoglie la presenza del Corpo dato e del sangue versato in Sacrificio, sa individuare i momenti di preghiera specifici, Epiclesi in senso forte, domanda dello Spirito Santo, per la trasformazione sempre più intensa della Chiesa, e delle sue membra, nella comunione al Corpo di Cristo crocifisso glorioso e datore dello Spirito.

Il tempo dello Spirito si può cogliere nella sua invocazione, ma la sua realizzazione coincide con quella del Corpo eucaristico, Crocefisso e glorioso, reso presente, ricevuto nella comunione; non ha temporalità diretta, propria; i suoi effetti sono sempre da cogliersi in una struttura di Incarnazione, Pasqua, Sacramentale come sua presenza vivificante e trasfigurante il corpo della Chiesa. 259

L’allegoresi non corrisponde alla verità della struttura liturgica-sacramentale dell’eucaristia; il ricordo salvifico degli eventi della vita del Signore, tutti orientati e raccolti nell’Ora della Croce, che il Memoriale eucaristico rende presente, viene debitamente realizzato nelle solennità, feste dell’anno liturgico; tutti i Misteri, eventi salvifici della vita del Verbo incarnato, sono vissuti, nella coscienza messianica del Signore per noi, gli uomini di tutti i tempi e luoghi, e infine come riassunti, ricapitolati nell’Ora della Croce.

Possiamo quindi richiamarne la contemporaneità alla nostra vita, alla vita della Chiesa, dell’umanità, nel momento in cui il Salvatore più si dona a noi, nel vertice ricapitolatore della sua Croce, nella Celebrazione del suo Memoriale.

Il tempo di questo ricordo, contemporaneità salvifica, sarà anzitutto il Prefazio variabile della Messa romana, e le intercessioni, ugualmente variabili,

258 DH 1061, 1699, 1728, 3556, 3857. Cfr RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit., 798-822 ove esamina in modo storico, liturgico esauriente, la ‹‹forma›› del Sacramento eucaristico, ed il momento della Consacrazione

259 Cfr l’immagine biblica del ‹‹vento››, usata nel vangelo. di Giovanni 3,8 , usata da Gesù, per indicare il modo di agire dello Spirito :‹‹Il vento soffia dove vuole e ne senti al voce, ma non sai di dove viene e dove va: così e di chiunque è nato dallo Spirito››; cfr tutta la sintesi di SESBUÉ, B. , La personalità dello Spirito Santo nella testimonianza biblica, nella teologia trinitaria recente e nell’esperienza storica della Chiesa e degli uomini, cit.

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sviluppo dell’Epiclesi per la trasformazione dei comunicandi; è significativo che questi ‹‹oggi›› storici di salvezza hanno significato e ragion d’essere specialmente nella celebrazione del Memoriale pasquale del Signore: l’Ora sacramentale che rende presente l’evento della Croce, in cui tutto l’agire salvifico del Signore, la sua coscienza messianica, raggiunge la sua pienezza, per trasformare nello Spirito Santo la nostra vita, ricapitola in sè tutta la vita terrena del Signore, della sua SS. Madre che l’accoglie con fede integra.

Il celebrante mistagogo è consapevole di questa temporalità liturgica, che ci fa rivivere tutta la storia salvifica: la sua attesa nell’Avvento del Signore, il suo stare con noi nei Misteri della sua Vita terrena, sino alla sua Pasqua, Pentecoste, che qualificano il tempo ordinario della vita della Chiesa.

Così il tempo liturgico, a partire dall’intensità unica della Presenza eucaristica, dà significato quasi-sacramentale allo scorrere dell’anno sidereo: anzi ne valorizza solstizi (Nascita del Signore, Nascita del Battista), e equinozi (Pasqua, in relazione al ciclo lunare; esaltazione della Croce).

“L’intreccio di queste feste è puramente cristiano, senza alcun richiamo diretto all’Antico testamento, ma si trova comunque in continuità con la sintesi di cosmo e storia, di memoria e di speranza, che era già caratteristico delle festa anticotestamentaria, e che viene espresso in modo nuovo nel calendario cristiano”. 260

L’Eucaristia non solo crea contemporaneità salvifica tra l’Ora della croce e la nostra vita, ma insieme dà valenza, significato di salvezza allo scorrere dell’anno liturgico, che riassume tutta la storia salvifica, in cui per Cristo, la sua Pasqua siamo inseriti, nel quadro cosmico della storia dell’universo.

La capacità mistagogica della Preghiera eucaristica, la sua potenzialità di rendere presente il Mistero della salvezza, affinché trasformi la vita della Chiesa, comunità e persone, si presenta a noi immensa, a misura dell’agire di Cristo crocifisso glorioso, e del suo Spirito Santo.

E’ come uno scrigno prezioso, in cui viene espresso tutto l’intreccio di lex orandi, credendi e vivendi, come lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e di Cristo, ha realizzato nei tempi della Chiesa. Il celebrante mistagogo, in quanto agisce in Persona Christi, nel suo Spirito Santo, per la comunità ecclesiale, è in grado di pregarla, attuando con il suo Ministero, il Memoriale della Pasqua del Signore, affinché la comunità ecclesiale ne partecipi, lo esprima nella vita cristiana.

La Preghiera eucaristica che ci fa stare come popolo sacerdotale davanti al Padre, per la presenza del Corpo dato e del sangue versato, segna, trasforma

260 ? RATZINGER, J., ibid. 105s

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nello Spirito di Cristo la Chiesa, già ora nel suo cammino terreno, in attesa della sua trasformazione definitiva nella piena manifestazione del Crocifisso glorioso.

In tutto e sempre affinché per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell’unità della Spirito Santo, sia data al Padre onnipotente ogni onore e gloria: quella Gloria, conoscenza, manifestazione, lode della verità, bontà divina, partecipazione della sua vita Trinitaria, che è la vera vita, in pienezza, dell’uomo. 261

261 ? Cfr. IRENEO DI LIONE, Adversus Haereses, IV, 20,4-6; 14,1; III, 20, 2. Cfr ALSZEGHY, Z. – FLICK, M. , Gloria Dei, Greg. 36 (1955), 361-390.

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V BIBLIOGRAFIA SUL SACRAMENTO DELL’EUCARESTIA

Selezione degli scritti consultati.

V.1 MAGISTERO.

PAOLO VI, Mysterium fidei, AAS 57 (1965) 753-774GIOVANNI PAOLO II, Dominicae cenae, AAS 72 (1980) 113-148ID., Ecclesia de Eucharistia, AAS 95 (2003) 433-475ID., Tertio millenio ineunte, AAS 87 (1995) 5-41ID., Novo millenio ineunte, AAS 93 (2001) 266-309ID., Mane nobiscum Domine, AAS 94 (2004) 337-352BENEDETTO XVI, Deus caritas est, AAS (2006) 217-252ID., Sacramentum caritatis, LEV, 2007L’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Atti

del XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, NARDIN R. ed.., Lateran University Pres, Città del Vaticano 2008

CONGREGATIO DE CULTU DIVINO ET DISCIPLINA SACRAMENTORUM, Compendium eucharisticum, LEV, 2009

Commenti al Sinodo:F. G. BRAMBILLA, Sacramentum caritatis, in Teologia 32 (207) 115-122R. FISICHELLA, Il sentiero per Emmaus. Commento teologico-pastorale

alla Sacramentum caritatis, Lateran Univrsoty Press, Città del Vaticano, 2007A.SCOLA., L’Esortazione apostolica post-sonodale «Sacramentum

caritatis»: un atto di receptio dell’insegnamento conciliare. in RDT 48 (2007) 165-180

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G. MARCHESI, L’Eucaristia : «Sacramento della carità» in Civ Catt 158 (2007) II 169-178

R. NARDIN-R. TANGORRA ed., Sacramentum caritatis. Studi e commenti sull’Esortazione apostolica post-sinodale, Lateran University Press, Città del Vaticano 2008

( Il card. Angelo Scola, intervenendo al Sinodo su La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, riporta una bilbiografia completa sulla recezione della Sacramentum caritatis nella letteratura teologica: Osser. Rom. dell’11/10/ 2008, pag 11)

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V.2 TESTI PER LA SCUOLA E STUDI COMPRENSIVI.

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1982

V.3 STUDI SULLE ODIERNE ANAFORE

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SCHNITZLER Th., I tre nuovi Canoni ed i nuovi prefazi, (=Punti scottanti di teologia n. 42), ed. Paoline, Roma 1970.

V.4 S. SCRITTURA

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245.

V.5 ORIGINE DELLE ANAFORE NELLA S. SCRITTURA, GIUDAISMO E VITA DELLA CHIESA.

V.5.1Fonti:HÜNGGI A. & PAHL I. (ed.), Prex eucharistica. Textus e variis linguis

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b), Cerf, Paris 1968CAVALLETTI S., Il trattato delle benedizioni (berakhòt) del Talmud

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V.5.2Studi:BOUYER L., Eucarestia, Teologia e spiritualità della Preghiera eucaristica,

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V.6 PADRI DEI PRIMI TRE SECOLI. DOSSIER DOTTRINALE:

DI NOLA G., La Dottrina eucaristica dei sec. I-IV, Clemente Romano-Atanasio, Libreria Editrice Vaticana, 1999

IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettres, (=S C 10 b), Cerf, Paeis 1958ID., in CORTI G. (ed.), I Padri apostolici, Città Nuova, Roma 1966;GIUSTINO, vedi in HANGGI & PAHL, op. cit. 69-75GIUSTINO, Le apologie, introduzione di Rebuli L., ed. Messaggero, Padova

1982 GIUSTINO, Dialogo con Trifone, ed. Paoline, Milano 1988 .IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, in BELLINI E. (ed.), Contro le eresie

e gli altri scritti, Jaka book, Milano 1981.CLEMENTE ALESSANDRINO, Le Pédagogue, I, (=SC n 70) Cerf, Paris

1960.ORIGENE, Contro Celso , UTET, Torino 1971 .CIPRIANO, Lettere 51-83, ( = Scrittori dell’Africa romana 5/2), Città nuova

2007

V.7 PADRI DELLA CHIESA

HAMANN A. (ed.), L’Eucharistie. Textes recuell is et présentés, par DDB, 1981 .

AMBROGIO, De Mysteriis , in Opera omnia, vol. 17, Bibliot. Ambrosiana, Città Nuova, Milano-Roma 1982, 165.

ID., De officiis libri tres, ed. G. BANTERLE, Opera omnia vol. 13. Bibliot. Ambrosiana, Citta nuova, Milano-Roma 1977

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ID., La Pasqua nella Chiesa antica, SEI, Torino 1978CARPIN A., L’Eucaristia in Isidoro di Siviglia, ed. Studio Domenicano,

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patristica eucharistica, Libreria Editrice Vaticana, 1997 .ID., La dottrina eucaristica di Sant’Agostino, Bibliot. Patrist. Euchar., LEV,

1997 .

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V.8 MEDIO EVO

d. ALBERTI MAGNI, Liber de Sacrificio Missae; Liber de Sacramento Eucharistiae, in Alberti Magni Miscellanea, ed. P. IAMMY, T .XXI, Lugduni 1651

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V.9 RIFORMA E CONCILIO TRIDENTINO

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V.10 TEOLOGIA ECUMENICA

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controverse du XVII siècle au document de Lima, in Nova et Vetera (1985) 134-148

V.11 STUDI

Actuosa partecipatio, conoscere, comprendere e vivere la Liturgia, studi in onore di D.Sartore csj, A. MONTAN-M. SODI ed. (=Monumenta studia instrumenta liturgica 18) LEV 2002

BIFFI G., Eucarestia, Chiesa, Mondo, in Sacra Doctrima (1997) 1-55.CARRARA A., Violenza, sacro, rivelazione biblica, il pensiero di René

Girard, Vita e pensiero, Milano 1985CUVA A.,La presenza di Cristo nella Liturgia,, ELEV, Ed. liturgiche Roma

1973De CLERCK P., “Lex orandi, lex credendi”. Sens originel et avatars

historiques d’un adage equivoque, Question liturgiques (1978) 193-212.ID., “Lex orandi, lex credendi”, un principe heuristique, La Maison-Dieu 2

(2000) 61-78.FERRARO G, L’‹‹ORA›› di Cristo nel quarto Vangelo, Herder , Roma 1974

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ID., ‹‹Ecclesia de Eucharistia vivit››. Aspetti della lettera enciclica di Giovanni Paolo II, in Eph. Lit 117 (2003) 287-307 GIRARD R., La violenza ed il sacro, Adelphi, Milano 1980. ID., Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983. ID., Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987 . CONGAR Y., Le Myster du temple, (=lectio divina 22) Cerf, Paris 1958 GY P. M., La Liturgie dans l’histoire, Cerf-S.Paul, Paris 1990 HUMBRECHT TH.-D., L’Eucharistie “representation” du Sacrifice du Christ selon S. Thomas, R T (1998) 355-386 MANZI F., The passover “memorial” of Exodus 12,1-14, and its sacramental significance, Notitiae (1998) 311-323 MARTELET G., Résurrection, eucharistie et genèse de l’homme, Desclée, Paris 1972 NEUSCH M., Le sacrificie dans les religions, Beauchesne, Paris 1994 . QUARELLO E., Il sacrificio di Cristo e della Chiesa, Queriniana, Brescia 1970 . RAHNER K., Parola ed eucaristia, in Saggi sui sacramenti e l’escatologia, ed. Paoline, Roma 1969 RATZINGER J., Eucaristia come genesi della missione, Ecclesia Orans (1998) 137-161. ID. La festa della fede, Jaca Book, Milano 1983 ID. Cantate al Signore un canto nuovo. Saggi di cristologia e di liturgia, Jaca Book, Milano 1996 SARTORE D., Le molteplici presenze d Cristo nella recente riflessione teologica, in AAVV, Cristologia e Liturgia, Atti della VIII settimana di studio del’Associazione professori di Liturgia, EDB, 1980, 231-255 TILLARD M. R., L’Eucaristia e lo Spirito Santo, postfazione di Mazza E., ed. OR, Milano 1998 . .TREMBLAY R., A proposito della presenza sacrificale di Cristo nell’eucarestia. Giustificazione complementarietà di due ap procci, in SANNA I. (ed.), Gesù Cristo speranza del mondo, Mursia, Roma 2000. .VANHOYE A., La novità del Sacerdozio di Cristo, Civiltà Cattolica (1988) I 16-27, e Notitiae (1998) 594-608. ID., Il dinamismo dell’Eucarestia, in A. VANHOYE, F. MANZI, U. VANNI, Il Sacerdozio della nuova alleanza, Ànco ra, Milano 1999.

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VI APPENDICE.

VI.1ESEMPI BIBLICI DI TODA

VI.1.1 Neemia 9,6-36* Alzatevi e benedite il Signore vostro Dio ora e sempre! Si benedica il tuo

nome glorioso che è esaltato al di sopra di ogni benedizione e di ogni lode! Tu, tu solo sei il Signore, tu hai fatto i cieli, i cieli dei cieli e tutte le loro schiere, la terra e quanto sta su di essa, i mari e quanto è in essi; tu fai vivere tutte queste cose e l’esercito dei cieli ti adora. Tu sei il Signore, il Dio che hai scelto Abram, lo hai fatto uscire da Ur dei Caldei e lo hai chiamato Abramo. Tu hai trovato il suo cuore fedele davanti a te e hai stabilito con lui un’alleanza, promettendogli di dare alla sua discendenza il paese dei Cananei, degli Hittiti, degli Amorrèi, dei Perizziti, dei Gebusei e dei Gergesei; tu hai mantenuto la tua parola, perché sei giusto. Tu hai visto l’afflizione dei nostri padri in Egitto e hai ascoltato il loro grido presso il Mare Rosso; hai operato segni e prodigi contro il faraone, contro tutti i suoi servi, contro tutto il popolo del suo paese, perché sapevi che essi avevano trattato i nostri padri con durezza; ti sei fatto un nome fino ad oggi. Hai aperto il mare davanti a loro, ed essi sono passati in mezzo al mare sull’asciutto; quelli che li inseguivano tu li hai precipitati nell’abisso, come una pietra in fondo alle acque impetuose.

Li hai guidati di giorno con una colonna di nube e di notte con una colonna di fuoco, per rischiarare loro la strada su cui camminare. Sei sceso sul monte Sinai e hai parlato con loro dal cielo e hai dato loro decreti giusti e leggi di verità, buoni statuti e buoni comandi; hai fatto loro conoscere il tuo santo sabato e hai dato loro comandi, decreti e una legge per mezzo di Mosè tuo servo. Hai dato loro pane del cielo quando erano affamati e hai fatto scaturire acqua dalla rupe quando erano assetati e hai comandato loro che andassero a prendere in possesso il paese che avevi giurato di dare loro. Ma essi, i nostri padri, si sono comportati con superbia, hanno indurito la loro cervice e non hanno obbedito ai tuoi comandi; si sono rifiutati di obbedire e non si sono ricordati dei miracoli che tu avevi operato in loro favore; hanno indurito la loro cervice e nella loro ribellione si sono dati un capo per tornare alla loro schiavitù. Ma tu sei un Dio pronto a perdonare, pietoso e misericordioso, lento all’ira e di grande benevolenza e non li hai abbandonati. Anche quando si sono fatti un vitello di metallo fuso e hanno detto: Ecco il tuo Dio che ti ha fatto uscire dall’Egitto! e ti hanno insultato gravemente, tu nella tua misericordia non li hai abbandonati nel

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deserto: la colonna di nube che stava su di loro non ha cessato di guidarli durante il giorno per il loro cammino e la colonna di fuoco non ha cessato di rischiarare loro la strada su cui camminavano di notte.

Hai concesso loro il tuo spirito buono per istruirli e non hai rifiutato la tua manna alle loro bocche e hai dato loro l’acqua quando erano assetati. Per quarant’anni li hai nutriti nel deserto e non è mancato loro nulla; le loro vesti non si sono logorate e i loro piedi non si sono gonfiati. Poi hai dato loro regni e popoli e li hai spartiti fra di loro come un sovrappiù; essi hanno posseduto il paese di Sicon, cioè il paese del re di Chesbòn e il paese di Og re di Basan. Hai moltiplicato i loro figli come le stelle del cielo e li hai introdotti nel paese in cui avevi promesso ai loro padri di farli entrare per possederlo. I loro figli vi sono entrati e hanno preso in possesso il paese; tu hai umiliato dinanzi a loro i Cananei che abitavano il paese e li hai messi nelle loro mani con i loro re e con i popoli del paese, perché ne disponessero a loro piacere. Essi si sono impadroniti di fortezze, di una terra grassa, e hanno posseduto case piene d’ogni bene, cisterne scavate, vigne, oliveti, alberi da frutto in abbondanza; hanno mangiato e si sono saziati e si sono ingrassati e hanno vissuto in delizie per la tua grande bontà. Ma poi sono stati disobbedienti, si sono ribellati contro di te, si sono gettati la tua legge dietro le spalle, hanno ucciso i tuoi profeti che li scongiuravano di tornare a te, e ti hanno offeso gravemente. Perciò tu li hai messi nelle mani dei loro nemici, che li hanno oppressi. Ma al tempo della loro angoscia essi hanno gridato a te e tu li hai ascoltati dal cielo e, nella tua grande misericordia, tu hai dato loro liberatori, che li hanno strappati dalle mani dei loro nemici. Ma quando avevano pace, ritornavano a fare il male dinanzi a te, perciò tu li abbandonavi nelle mani dei loro nemici, che li opprimevano; poi quando ricominciavano a gridare a te, tu li esaudivi dal cielo; così nella tua misericordia più volte li hai salvati. Tu li ammonivi per farli tornare alla tua legge; ma essi si mostravano superbi e non obbedivano ai tuoi comandi; peccavano contro i tuoi decreti, che fanno vivere chi li mette in pratica; la loro spalla rifiutava il giogo, indurivano la loro cervice e non obbedivano.

Hai pazientato con loro molti anni e li hai scongiurati per mezzo del tuo spirito e per bocca dei tuoi profeti; ma essi non hanno voluto prestare orecchio. Allora li hai messi nelle mani dei popoli dei paesi stranieri. Però nella tua molteplice compassione, tu non li hai sterminati del tutto e non li hai abbandonati perché sei un Dio clemente e misericordioso.

** Ora, Dio nostro, Dio grande, potente e tremendo, che mantieni l’alleanza e la misericordia, non sembri poca cosa ai tuoi occhi tutta la sventura che è piombata su di noi, sui nostri re, sui nostri capi, sui nostri

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sacerdoti, sui nostri profeti, sui nostri padri, su tutto il tuo popolo, dal tempo dei re d’Assiria fino ad oggi.

Tu sei stato giusto in tutto quello che ci è avvenuto, poiché tu hai agito fedelmente, mentre noi ci siamo comportati con empietà. I nostri re, i nostri capi, i nostri sacerdoti, i nostri padri non hanno messo in pratica la tua legge e non hanno obbedito né ai comandi né agli ammonimenti con i quali tu li scongiuravi. Essi mentre godevano del loro regno, del grande benessere che tu largivi loro e del paese vasto e fertile che tu avevi messo a loro disposizione, non ti hanno servito e non hanno abbandonato le loro azioni malvagie. Oggi eccoci schiavi nel paese che tu hai concesso ai nostri padri perché ne mangiassero i frutti e ne godessero i beni. I suoi prodotti abbondanti sono dei re ai quali tu ci hai sottoposti a causa dei nostri peccati e che sono padroni dei nostri corpi e del nostro bestiame a loro piacere, e noi siamo in grande angoscia.

VI.1.2 Dn 3,26-45Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri; degno di lode e glorioso è il

tuo nome per sempre. Tu sei giusto in tutto ciò che hai fatto; tutte le tue opere sono vere, rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi. Giusto è stato il tuo giudizio per quanto hai fatto ricadere su di noi e sulla città santa dei nostri padri, Gerusalemme. Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo a causa dei nostri peccati, poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo. Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti, non li abbiamo osservati, non abbiamo fatto quanto ci avevi ordinato per il nostro bene. Ora quanto hai fatto ricadere su di noi, tutto ciò che ci hai fatto, l’hai fatto con retto giudizio: ci hai dato in potere dei nostri nemici, ingiusti, i peggiori fra gli empi, e di un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra. Ora non osiamo aprire la bocca: disonore e disprezzo sono toccati ai tuoi servi, ai tuoi adoratori. Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza; non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo tuo amico, di Isacco tuo servo, d’Israele tuo santo, ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare .( QUASI EMBOLISMO, Gn 15,5-6) Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia.

** Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi

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il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c’è confusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto. Fà con noi secondo la tua clemenza, trattaci secondo la tua benevolenza, secondo la grandezza della tua misericordia. Salvaci con i tuoi prodigi, dà gloria, Signore, al tuo nome. Siano invece confusi quanti fanno il male ai tuoi servi, siano coperti di vergogna con tutta la loro potenza; e sia infranta la loro forza! Sappiano che tu sei il Signore, il Dio unico e glorioso su tutta la terra.

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VI.2SEGNI PROFETICI VIGILIARI , MEMORIALI DEGLI EVENTI FONDANTI

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VI.3LE FONTI DELL’ISTITUZIONE

Cospirazione del SinedrioCena e unzione di BetaniaTradimento di GiudaPreparazione CenaIndicazioni traditore

Matteo

26,1-526,6-1326,14-1626,17-20

26,21-25

Marco

14,1-214,3-914,10-1114,12-1714,18-21

Luca

22,1-2(7,36-50)22,3-6 22,7-13

(22,21-23)

Giovanni

11,47-53 12,1-10

Istituzione Eucaristia 26,26-28 14,22-24 22,19-20Prossimità del Regno,Calice Escatologico

26,29 14,25 (22,14-18)

Canto dell'Inno, UscitaAnnuncio rinnegamentoAgonia al GetsemaniCattura di GesùLezione di umiltà e servizio, promesse a Pietro e ai

dodici

26,3026,31-3526,36-4626,47

14,2614,27-3114,32-4214,43

22,39(22,31-34) 22,39-46 22,47-5322,24-38

18,1

18,2-11

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VI.4IL RACCONTO DELL’ISTITUZIONE

1 Cor 11,23-25 Lc 22,19-20 Mc 14,22-24 Mt 26,26-28Ð kÚrioj'IhsoàjIl Signore Gesù ™n tÍ nuktˆnella notte Î pared…detoin cui veniva tradito

kaˆE

Kaˆ ™sqiÒntwn aÙtînE mentre mangiavano

Essi

'EsqiÒntwn d aÙtîn�Mentre essi mangiavano

œlaben ¥rton kaˆPrese del pane eeÙcarist»sajDopo aver reso grazieŒklasenSpezzò

kaˆ epen�E disse

labën ¥rtonPrese il paneeÙcarist»saj Dopo aver reso grazieœklasenSpezzòkaˆ œdwken aÙto‹j E diede ad essi lšgwn,dicendo

Labën ¥rton Prese il paneeÙloghsaj Pronunciata la

benedizioneœklasen Spezzòkaˆ œdwken aÙto‹j E diede ad essi kaˆ ependicendo

labën Ð'Ihsoàj ¥rton kaˆPrese Gesù il pane

eeÙloghsaj Pronunciata la

benedizioneœklasen Spezzòkaˆ doÝj to‹j maqhta‹j E avendo dato ai suoi

discepoliepen,dicendo

ToàtÒQuesto moÚ ™stin Tõ sîmamio è il corpo

ToàtÒ Questo ™stin tÕ sîm£ mouÈ il corpo mio

L£bete, toàtÒ ™stin Prendete questotÕ sîm£ mou.È il corpo mio

L£bete f£gete, toàtÒPrendete e mangiate

questo™stin tÕ sîm£ mou.È il corpo mio

tÕ Øpr Ømîn:�Che è per voi

tÕ Øpr Ømîn �Che per voi Gv 6,51

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toàto poie‹teQuesto fate e„j t¾n ™m¾n

¢n£mnhsin.Nella mia memoria

didÒmenonÈ datotoàto poie‹te Questo fatee„j t¾n ™m¾n

¢n£mnhsinNella mia memoria

. kaˆ Ð ¥rtoj d Ön ™gë dèsw�E il pane che io darò¹ s£rx moÚ ™stin Øpr tÁj toà kÒsmou zwÁj�La carne mia è per la vita nel mondo

1 Cor 11,23-25 Lc 22,19-20 Mc 14,22-24 Mt 26,26-28æsaÚtwj allo stesso modokaˆ tÕ pot»rion anche il calicemet¦ tÕ deipnÁsai, dopo aver cenato

kaˆ tÕ pot»rion anche il caliceæsaÚtwj allo stesso modomet¦ tÕ deipnÁsai, dopo aver cenato

kaˆ labën pot»rione avendo preso il caliceeÙcarist»saj avendo reso grazieœdwken aÙto‹j, diede lorokaˆ œpion ™x aÙtoà

p£ntej. E bevvero di esso tutti :

kaˆ labën pothrion e avendo preso il calicekaˆ eÙcarist»saj e avendo reso grazieœdwken aÙto‹j diede loro

lšgwn, dicendo

lšgwn,. dicendo

kaˆ epen aÙto‹j, �e disse loro

lšgwn, dicendo

Toàto tÕ pot»rionQuesto è il calice¹ kain¾ diaq»kh ™stˆn Della nuova alleanza™n tù ™mù a†mati: nel di me sanguetoàto poie‹te, questo fateÐs£kij Ogni volta™¦n p…nhte, che ne bevetee„j t¾n ™m¾n

¢n£mnhsin.In mia memoria

Toàto tÕ pot»rion Questo è il calice¹ kain¾ diaq»kh Della nuova alleanza™n tù a†mat… mou, nel di me sanguetÕ Øpr Ømîn �che per voi™kcunnÒmenonViene versato

ToàtÒ ™stin Questo ètÕ aŒm£ mou il sangue miotÁj diaq»khj tÕ dell’alleanza

™kcunnÒmenon Viene versato Øpr pollîn�Per molti

P…ete ™x aÙtoà p£ntej Bevete da lui tutti, toàto g£r questo infatti, ™stin tÕ aŒm£ mou è il sangue miotÁj diaq»khj dell’alleanzatÕ perˆ pollîn che per molti ™kcunnÒmenon viene versato e„j ¥fesin ¡martiîn in remissione dei peccati

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Eucaristia 269

VI.5DOCUMENTI LITURGICI.

VI.5.1 DIDAKÈ 9-10.IX 1 Riguardo all’Eucaristia, così rendete grazie 2 dapprima per il calice

Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la santa vite di David tuo sevo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. Amen 3 Poi per il pane spezzato Ti rendiamo grazie, Padre Nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. 4 Nel modo in cui questo pane era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una cosa sola, così si raccolga la tua chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli. Amen. 5 Nessuno però mangi né beva della vostra Eucaristia se non i battezzati nel nome del Signore, perché anche a riguardo a ciò il Signore ha detto «Non date ciò che è santo ai cani ».

X 1 Dopo che vi sarete saziati, così rendete grazie 2 Ti rendiamo grazie, Padre santo, per il tuo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede, L’immortalità che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. Amen. 3 Tu Signore onnipotente, hai creato ogni cosa a gloria di tuo nome; hai dato agli uomini cibo e bevanda a loro conforto, affinché ti rendano grazie; ma a noi hai donato un cibo e una bevanda spirituali e al vita eterna per mezzo del tuo servo. 4 Soprattutto ti rendiamo grazie perché sei potente. A te gloria nei secoli. Amen. 5 Ricordati, Signore della tua chiesa, di preservarla da ogni male, e di renderla perfetta nel tuo amore; santificata, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno che per lei preparasti. Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli. Amen 6 Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna alla casa di David. Chi è santo si avanzi, chi non lo è si penta. Maranatha. Amen. 7 ai profeti però permettete di rendere grazie a loro piacimento Cfr PE, 66-69..

VI.5.2 Costituzioni apostoliche VII.XXV 1[...] per l’Eucaristia pregate così. 2 Noi ti rendiamo grazie,

Padre Nostro, per la vita che tu ci hai rivelato, per Gesù Cristo tuo servo, per il quale tu hai tutto creato, e per il quale tu provvedi alle necessità di tutti gli esseri, e che tu mandasti a farsi uomo per la nostra salute, tu hai acconsentito che egli soffrisse e morisse, tu l’hai risuscitato, l’hai glorificato e lo hai fatto sedere alla tua destra, per lui ancora tu ci hai promesso la risurrezione dei morti. 3 Signore Onnipotente, Dio Eterno, come questo era sparso, poi è stato riunito per diventare un solo pane, nello stesso modo riunisci la tua chiesa dalle

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Eucaristia 270estremità della terra nel tuo regno. 4 Noi ti rendiamo ancora grazie Padre Nostro per il prezioso sangue di Gesù Cristo sparso per noi e per il prezioso corpo, di cui noi offriamo questi simboli, avendoci lui stesso prescritto di annunciare la sua morte; per lui a te la gloria nei secoli. Amen. 5 [... ]Ne mangino solo i battezzati nella morte del Signore [... ] 6 I non iniziati ne mangino a loro condanna non avendo fede in Cristo, se qualcuno lo fa per ignoranza sia iniziato.

Cfr Les Constitutions apostoliques, T.III,par M. Metger (=SC n 336), 52-53

VI.5.3 L’anafora della tradizione apostolica.Il Signore sia con voi. E con il tuo Spirito.In alto i nostri cuori. Li abbiamo verso il Signore.Rendiamo grazie al Signore. È Degno e giusto.[[noi] ti rendiamo grazie, o Dio,per il tuo diletto servo Gesù Cristo,che mandasti a noi[come] salvatore e redentore e messaggero della tua volontà;lui, che è il tuo inseparabile Verbo,per mezzo del quale facesti ogni cosa,e [che], nella tua compiacenza, mandasti dal cielo nel seno di una vergine;ed egli, essendo stato concepito nel grembo si incarnòe si manifestò [come] tuo Figlio.nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine.Egli, volendo compiere la tua volontà,e acquistarti un popolo santo,stese le mani mentre pativa,per liberare dalla passione coloro che in te hanno creduto.Egli quando si consegnava volontariamente alla tua passione,per sciogliere [il potere del] la morte e rompere i vincoli del Diavolo.per calpestare l’inferno e illuminare i giusti.per fissare il limite [della morte] e manifestare la risurrezione,

prendendo il pane [e] rendendoti grazie, disse:

«Prendete e mangiate: questo è il mio corpo,che per voi sta per essere spezzato».Allo stesso modo [prese] anche il calice,

Celebrando dunque il memoriale della sua morte e risurrezione, [noi] ti offriamo il pane e il calice,

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Eucaristia 271rendendoti grazie perché ci hai resi degni di stare dinanzi a te e di servirti.E ti chiediamo di mandare il tuo Spirito Santo, sull’offerta della santa Chiesa.[perché] radunando [li] in un solo [corpo],dia a tutti coloro che partecipano ai santi [misteri]di essere riempiti di Spirito Santo.per la conferma della fede nella verità,affinchè ti lodiamo e ti glorifichiamoper il tuo servo Gesù Cristo, per mezzo del quale a te [è] la gloria e l’onore,([a te] Padre, e al Figlio, con il Santo Spirito)nella tua santa Chiesa,ora e nei secoli eterni. Amen.(Traduzione di C. Giraudo, In unum corpus, cit. 282s)

VI.5.4 L’ANAFORA DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO--La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore del Dioe Padre e la comunione dello Spirito santo sia con tutti voi !--E con il tuo spirito.

--Teniamo in alto i cuori!--Li teniamo verso il Signore.

--Rendiamo grazie al Signore !--E’ degno e giusto.

--E’ degno e giusto inneggiare a te, renderti grazie,adorarti in ogni luogo della tua sovranità. Tu infatti sei il Dio ineffabile, inconcepibile, invisibile, incomprensibile, che esisti sempre, che esisti allo stesso modo, tu e l’unigenito tuo Figlio e lo Spirito tuo santo. Tu dal nulla ci conducesti all’esistenza E, caduti, [ ci] alzasti di nuovo, e nulla tralasciasti di fare per condurci al cielo e gratificarci del regno futuro. Per tutte queste cose rendiamo grazie a te, all’unigenito tuo Figlio e all Spirito tuo santo, per tutti i tuoi benefici che conosciamo e che non conosciamo,

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Eucaristia 272 quelli manifesti e quelli non manifesti, che furono fatti in nostro favore. Ti rendiamo grazie anche per questa liturgia che ti sei degnato di ricevere dalle nostre mani, sebbene ti stiano dinanzi migliaia di Arcangeli e miriadi di Angeli, i Cherubini e i Serafini dalle sei ali [e] dai molti occhi, sublimi, alati, i quali cantano l’inno trionfale: [Santo, santo, santo è il Signore Sabaoth; ecc.]Con queste potenze anche noi, Sovrano filantropo vociferiamo e diciamo : Santo sei e santissimo [tu] e l’unigenito tuo Figlio e lo Spirito tuo santo. Santo sei e santissimo, e magnifica è la tua gloria. [Tu] amasti il tuo mondo a tal punto da dare il tuo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna. Egli essendo venuto e avendo compiuta tutta l’economia [stabilita] per noi, Nella notte in cui consegnava se stesso, prendendo il pane nelle sue sante e innocenti e immacolate mani, avendo pronunciato-l’azione di grazie e la benedizione, [lo] spezzò e diede ai suoi discepoli e apostoli, dicendo : ‹‹Prendete, mangiate :questo è il mio corpo, che per voi [sta per essere spezzato in remissione dei peccati]›› Similmente [prese] anche il calice, dopo avere cenato dicendo : ‹‹Bevetene tutti: questo è il mio sangue della nuova alleanza, che per voi e per molti sta per essere versato in remissione dei peccati. (Fate questo in memoria di me. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete questo calice, annunciate la mia morte e confessate la mia risurrezione, finche io venga)››

Memori dunque di questo salutare comando, e di tutte le cose che per noi furono fatte, della croce e della sepoltura, della risurrezione il terzo giorno, dell’ascensione nei cieli, della sessione alla destra, della seconda e gloriosa nuova venuta, ti offriamo a partire dai tuoi doni, le cose che sono tue, in tutto e per tutto.

** ….e invochiamo e preghiamo e supplichiamo : manda lo Spirito tuo santo sopra di noi e sopra questi dono presentati,

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Eucaristia 273 e fa di questo pane il prezioso corpo del tuo Cristo, trasformando[lo] per mezzo dello Spirito tuo santo, e di ciò che è in questo calice il prezioso sangue del tuo Cristo, trasformando[lo] per mezzo dello Spirito tuo santo, affinché siano, a coloro che [li] ricevono , per la sobrietà dell'anima, per la remissione dei peccati, per la comunione del tuo santo Spirito, per il compimento del regno, per la libertà nei tuoi confronti, non per il giudizio e la condanna. Ancora tu offriamo questo culto spirituale,per coloro che riposano nella fede:per i padri, i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i predicatori….,in particolare per la santissima , illibata…. e sempre vergine Maria,per san Giovanni precursore e battista,…e per tutti i tuoi santi…;e ricordati di tutti coloro che si sono addormentati nella speranza della risurrezione..e dà loro riposo…Ancora ti invochiamo: ricordati, Signore, di tutto l’episcopato….,di tutto il presbiterato, del diaconato in Cristo…..Ancora ti offriamo questo culto spirituale per tutta la terra abitata….Ricordati, Signore della città in cui dimoriamo….Ricordati Signore , dei naviganti, dei viandanti…, della loro salvezza.Ricordati, Signore di coloro che portano frutto….e si ricordano dei poveri,e su tutti noi manda le tue misericordie.E concedi a noi, con una sola bocca e un solo cuore, di glorificare il venerabile e magnifico tuo Nome,di te, Padre e Figlio e santo Spirito, ora [ e sempre nei secoli dei secoli].Amen !(Traduzione di C. Giraudo, In unum corpus, cit. 331-333.)

VI.6DOSSIER DOTTRINALE.

VI.6.1 Giustino.Apologia I,66 1-4 [...]finite le preghiere ci diamo il bacio della pace. Poi si porta a colui che

presiede l’assemblea dei fratelli, del pane e un calice i vino annacquato. Egli li prende e loda e glorifica il Padre dell’universo per il nome del Figlio e dello Spirito Santo, poi fa una lunga Eucaristia, per averci fatti degni di questi doni. Quando ha terminato le preghiere e l’Eucaristia, tutto il popolo presente lancia

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Eucaristia 274l’esclamazione Amen.[...]quando colui che presiede ha fatto l’Eucaristia e tutto il popolo ha risposto i ministri che chiamiamo diaconi distribuiscono a tutti gli astanti il pane, il vino e l’acqua consacrati, e ne portano agli assenti.

Questo alimento noi lo chiamiamo Eucaristia, e non è dato di partecipare se non a chi crede veri gli insegnamenti nostri, ha ricevuto il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e viva secondo le norme di Cristo. Poiché noi non lo prendiamo come un pane comune e una bevanda comune; ma come Gesù Cristo Salvatore nostro, incarnatosi in virtù del verbo di Dio, prese carne e sangue per la nostra salvezza, così il nutrimento, consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle parole di Cristo e di cui si nutrono per la assimilazione il sangue e le carni nostre, è secondo la nostra dottrina, carne e sangue di Gesù incarnato.

Gli apostoli infatti nelle loro memorie dette Vangeli, tramandarono che Gesù Cristo lasciò loro questo comando: prese una pane e rese grazie Egli disse loro: Fate questo in memoria di me; questo è il mio corpo; e preso similmente il calice, rese grazie e disse: questo è il mio sangue; e a loro solo li offrì.

Apologia I,67Il giorno che è chiamato giorno del sole, tutti, nelle città e in campagna, si

riuniscono in uno stesso luogo: si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, per quanto il tempo lo permette. Quando il lettore ha finito, colui che presiede fa un discorso per ammonire ed esortare all’imitazione di questi begli insegnamenti. Poi ci alziamo tutti e preghiamo insieme ad alta voce. Quindi come abbiamo già detto, quando la preghiera è terminata si porta del pane con del vino e dell’acqua. Colui che presiede fa salire al ciclo le preghiere e le eucaristie, con tutto il fervore di cui è capace, e tutto il popolo risponde all’acclamazione Amen. Poi si fa la divisione e la spartizione delle eucaristie a ciascuno, e si manda la loro parte agli assenti, per mezzo del ministero dei diaconi. Coloro che sono nell’abbondanza e vogliono donare, donano generosamente ciascuno quanto vuole, è ciò che è raccolto è affidato a colui che presiede, ed egli assiste gli orfani, le vedove, e coloro che sono nel bisogno, sia per malattia che per qualunque altra causa, i prigionieri, gli stranieri di passaggio, insomma porta soccorso a tutti i bisognosi. Ci aduniamo tutti nel giorno del sole, perché è il primo giorno, in cui Dio traendo la materia dalle tenebre, creò il mondo, e perché questo in stesso giorno Gesù Cristo, nostro salvatore, risuscitò da morte.

Cfr PE, 68-73

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Eucaristia 275VI.6.2 Ignazio di Antiochia.

Smirnesi 7,1.(Questi eretici doceti) si astengono dall’Eucaristia e dall’orazione perché

non riconoscono che l’Eucaristia è la carne del nostro salvatore Gesù Cristo, quella carne che soffrì per i nostri peccati e che il Padre, nella sua bontà, risuscitò. Coloro, che negano il dono di Dio, trovano la morte nella loro stessa contestazione. Meglio sarebbe per loro celebrare l’Eucaristia e poi risorgere.

Smirnesi 8,1-2.Seguite il vescovo, come Gesù Cristo segue il Padre; seguitelo nel collegio

dei presbiteri come gli apostoli; quanto ai diaconi, venerateli come la legge di Dio. Che nessuno faccia, senza il vescovo, alcuna di quelle cose che riguardano la chiesa. Sia ritenuta valida quella Eucaristia che si celebra sotto [la presidenza de] il vescovo o di chi ha ricevuto da lui l’autorità. Dove c’è il vescovo, c’è la comunità; come dove è Gesù Cristo, ivi è la chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito battezzare né celebrare l’agape (l’Eucaristia); ma quello che Egli ha approvato e gradito a Dio. In tal modo tutto ciò che si farà (nella chiesa) sarà sicuro e valido.

Filadelfiesi 4Procurate dunque di partecipare ad una sola Eucaristia; poiché una è la

carne del Signore nostro Gesù Cristo, uno è il calice che ci unisce nel sangue di Lui, uno è l’altare, come uno è il vescovo, circondato dal collegio dei presbiteri e dai diaconi, miei compagni nel ministero. In tal modo tutto ciò che farete, sarà fatto secondo la volontà di Dio.

Filadelfiesi 5,1La vostra preghiera mi renderà perfetto in Dio, affinché possa conseguire

quella eredità che la sua misericordia mi ha assegnato, rifugiandomi nel vangelo come nella carne di Gesù, e negli apostoli come nel collegio presbiterale della Chiesa.

Tralliani 8,1Voi dunque armatevi di mansuetudine, rigeneratevi nella fede, dato che

esiste la carne del Signore; e nella carità, dato che esiste il sangue di Gesù Cristo.

Efesini 20,2(In una seconda lettera mi propongo di scrivervi) specialmente se il Signore

mi farà conoscere che ciascuno di voi in particolare e tutti insieme, sorretti dalla grazia, animati da una stessa fede e concordi in Gesù Cristo della stirpe di Davide secondo la carne, figlio dell’uomo e figlio di Dio, vi mantenete indissolubilmente uniti nell’obbedienza al vescovo e al collegio dei presbiteri,

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Eucaristia 276spezzando un unico pane, che è farmaco d’immortalità, antidoto che preserva dalla morte e assicura per sempre la vita in Gesù Cristo. Cfr Lettres (=SC 10b)

VI.6.3 Clemente Alessandrino.Il Pedagogo lib I, cap VI 42,3II Logos è tutto per il fanciullo: padre, madre, pedagogo, alimentatore.

Mangiate, dice, la mia carne e bevete il mio sangue (Gv 6,53-ss).Questi alimenti giovevoli a noi fornisce il Signore: ci porge la carne ci versa il sangue. Non manca nulla ai fanciulli per crescere!. O incredibile mistero!. Egli ci comanda di lasciare l’antica e carnale corruzione, come anche l’antico cibo, e partecipando di un altro nuovo nutrimento, quello di Cristo, ricevendo lui stesso, se possiamo, ci comanda di porlo in noi, di mettere dentro al petto il Salvatore, perché distruggiamo le nostre passioni carnali Cfr Le Pédagogue, (=SC n70 ) Cerf, Paris 1960, 186-189

VI.6.4 Ireneo.Contro le Eresie IV,17,5.Quando diede consiglio ai suoi discepoli di offrire a Dio le primizie delle sue

creature, non già perché ne avesse bisogno, ma affinché non si dimostrassero infruttuosi o ingrati, Gesù prese il pane, che è cosa creata, e rese grazie dicendo: Questo è il mio corpo. Similmente il calice, che partecipa della nostra natura creata, dichiarò che era suo sangue ed insegnò che era la nuova oblazione del nuovo testamento. E la chiesa, ricevutala dagli apostoli la offre in tutto il mondo a Dio, che ci da gli alimenti , come primizia dei suoi doni nel nuovo testamento, a riguardo del quale Malachia, uno dei dodici profeti (minori), così profetò: Non sono più contento di voi, dice il Signore onnipotente e quindi dalle vostre mani non accetterò più il sacrificio. Poiché da dove nasce il sole fin dove tramonta, il mio nome è glorificato tra le nazioni, ed ovunque si offre incenso al mio Nome ed un sacrificio illibato: poiché grande è il mio Nome tra i popoli, dice il Signore onnipotente. Con queste parole egli fa intendere chiaramente che il popolo antico cesserà dal!’offrire sacrificio a Dio; e che in ogni luogo gli verrà offerto un sacrificio illibato, e il suo nome verrà glorificato fra le nazioni.

Contro le Eresie IV, 18,5.Come possono dire (gli gnostici) che andrà in corruzione e non avrà parte

alla vita quella carne che è nutrita dal corpo e dal sangue del Signore? Cambino opinione oppure cessino di fare le offerte di cui ho parlato. La nostra dottrina è in accordo con l’Eucaristia e a sua volta l’Eucaristia conferma la nostra dottrina.

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Eucaristia 277Noi infatti offriamo a Dio cose sue, manifestando con questo fatto la comunione e l’unione (del Verbo con il corpo e il sangue) e professando la risurrezione della carne e dello spirito. Come infatti il pane della terra, ricevendo l’invocazione di Dio, non è più pane comune, ma l’Eucaristia composta di due elementi, l’uno terrestre e l’altro celeste, così i nostri corpi, partecipando dell’Eucaristia, non sono più corruttibili, poiché portano la speranza della risurrezione eterna.

Contro le Eresie V,2,2-3.Del tutto stolti sono coloro (gli gnostici) che disprezzano tutta l’economia di

Dio ne negano la salvezza della carne e disprezzano la sua risurrezione, sostenendo che essa è incapace di incorruttibilità. Se la carne non è salvata vuoi dire che il Signore non ci ha riscattati col suo sangue, il calice dell’Eucaristia non è la comunicazione del suo sangue e il pane che noi spezziamo non è la comunicazione del suo corpo. Non c’è infatti sangue se non dalle vene e dalla carne e dall’altra sostanza dell’uomo quale divenne realmente il verbo di Dio. Egli ci ha riscattati con il suo sangue, come dice anche il suo apostolo: Nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati per mezzo del suo sangue (Col 1,14). Poiché siamo sue membra ed egli ci nutre con le cose create. È lui che mette a nostra disposizione le creature e fa sorgere il sole e cadere la pioggia come vuole. Questo calice, che viene dalla natura creata, egli ha affermato che è il suo sangue e con esso alimenta il nostro sangue; questo pane che viene dalla natura creata, egli ha assicurato che è il suo corpo, e con esso nutre i nostri corpi.

Dal momento dunque che il vino mescolato e il pane, ricevendo la parola di Dio diventano Eucaristia, corpo e sangue di Cristo e con essi cresce e si compone la sostanza della nostra carne, come possono sostenere (gli gnostici) che quella carne che è nutrita dal corpo e dal sangue si Cristo, e che è suo membro, è incapace di ricevere il dono di Dio, cioè la vita eterna? Il tralcio della vite, deposto nella terra, a suo tempo produce frutto e il chicco di frumento, che cade nella terra e si discioglie, risorge moltiplicato per virtù dello spirito di Dio che contiene ogni cosa. Il pane e il vino, poi, messi a disposizione degli uomini dalla sapienza divina, quando ricevono la parola di Dio, divengono Eucaristia, cioè il corpo e il sangue di Cristo. Alla stessa maniera i nostri corpi, nutriti dall’Eucaristia, posti in terra e dissolti in essa, risorgeranno a suo tempo in grazia del verbo di Dio, che donerà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre.

Cfr Contro le eresie, in BELLINI E., ed., Contro le eresie e altri scritti, cit.

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Eucaristia 278VI.6.5 Cipriano.

63° Lettera a Cecilio 14. Non c’è dunque motivo di credere, fratello carissimo, che si debba

seguire quanto fanno certuni, che in passato hanno ritenuto di dover offrire della sola acqua con il calice del signore: si deve invece chiedersi chi essi abbiano imitato. Infatti se nel sacrificio che Cristo ha offerto si deve seguire solamente Lui, noi dobbiamo obbedire immediatamente e fare ciò che Cristo ha fatto e prescritto. Nel vangelo egli dice: «Se farete quello che io vi dirò di fare non vi chiamerò servi, ma amici» (Gv 15,14-15). Anche il Padre dall’alto dei cieli proclama che si deve ascoltare solamente Cristo:«Questi è il mio figlio dilettissimo, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17,15). Se dobbiamo ascoltare solamente Cristo non dobbiamo badare a ciò che un altro prima di noi ha pensato di dover fare, ma a quello che ha compiuto prima Cristo, che precede ogni altro. Non bisogna infatti seguire una prassi comune, ma la verità che viene da Dio.

Dio parla per bocca del profeta Isaia e dice: «Mi adorano, ma invano, perché insegnano dottrine e precetti umani»( Is 29,13). Il Signore in un altro passo del vangelo ripete lo stesso rimprovero dicendo: «Voi rifiutate il comandamento del Signore, per imporre le vostre tradizioni»(Mt 7,9). E in un altro passo dice ancora «Chi non osserverà il più piccolo di questi comandamenti ed insegnerà agli uomini in questo modo, sarà ritenuto infimo nel regno dei cicli» (Mt 5,19). Se non è lecito violare il più piccolo dei comandamenti del Signore, tanto meno quando si tratta di prescrizioni così grandi ed importanti, così direttamente legate al mistero della passione del Signore e della nostra redenzione: in questo caso non è permesso di calpestare e variare tali ordini per seguire una tradizione umana.

Infatti se Cristo Gesù. Signore e Dio nostro, è sommo sacerdote di Dio Padre e ha offerto se stesso per primo in sacrificio al Padre e comandò di ripetere tale offerta in suo ricordo, certamente fa le veci di Cristo quel sacerdote che ripete ciò che Cristo ha fatto: Egli offre nella chiesa a Dio Padre un sacrificio vero e pieno soltanto quando lo offre seguendo le modalità di Cristo.

15 Diversamente si sovverte tutta la verità della disciplina religiosa se non si osserva fedelmente quello che viene prescritto da Dio, a meno che qualcuno nel sacrificio del mattino tema di esalare l’odore del sangue di Cristo, sapendo di vino. A questo modo la comunità dei fratelli ha meno entusiasmo nel soffrire come Cristo durante le persecuzioni, se impara a vergognarsi del suo sangue

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Eucaristia 279durante i sacrifici. E tuttavia il Signore dice nel vangelo: «Se qualcuno si vergognerà di me, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui» (Mc 8,38). Anche l’Apostolo dice «Se io piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo» (Gal 1,10). In che modo possiamo versare il nostro sangue per Cristo se ci vergogniamo di bere il suo sangue?

17 Poiché in tutti i sacrifici ricordiamo la sua passione - la passione del Signore è infatti il sacrificio che offriamo - dobbiamo ripetere quello che lui ha

fatto. Tutte le volte che offriamo il calice in memoria del Signore e della sua passione, la scrittura ci raccomanda di ripetere quello che sappiamo che lui ha

fatto. Se qualcuno dei nostri predecessori, fratello carissimo, per ignoranza o per semplicità d’animo non ha compiuto e non ha rispettato quello che il Signore

ci ha comandato di fare con il suo esempio e il suo insegnamento, questo è affare suo; la bontà divina potrà scusare la sua pochezza. Noi invece non

potremo trovare perdono, perché ora siamo stati avvertiti ed istruiti dal Signore ad offrire il suo calice misto a vino, secondo quello che lui ha offerto. Dobbiamo

prindirizzare delle lettere ai nostri colleghi su questo argomento affinché dappertutto la legge evangelica e la tradzione del Signore siano rispettate e non

ci si discosti da quello che il Signore ha raccomandato e che ha fatto egli stesso.Cfr

Lettere 51-83,(=Scrittori dell’Africa romana 5/2), Cità nuova, Roma 2007, 155-159

VI.7TEOLOGIA SIMBOLICA ,INTRODUZIONE DELLA CATEGORIA SOSTANZA

VI.7.1 Ebrei 10,1 Ski¦n (g¦r) œcwn Ð nÒmoj tîn mellÒntwn ¢gaqîn, ombra avendo la legge dei futuri benioÙk aÙt¾n t¾n e„kÒna tîn pragm£twn, non la stessa immagine delle realtà (salvifiche)

9,24 Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mano d’uomo, ¢nt…tupa tîn ¢lhqinîn (una qualche imitazione del vero).

AT realtà escatologica piena NTski¦n (Ombra) pragm£twn ™ikÒna¢nt…tupa ¢leqinîn

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Eucaristia 280Una qualche imitazione del vero

VI.7.2 Cor 10,6Taàta dŸ tÚpoi »mîn ™gen¾qhsanQueste cose come esempio per noi avvennero

VI.7.3 Ambrogio: De Officiis1, 239“Nella legge l’ombra, nel vangelo l’immagine, nel cielo la realtà. Nella

legge si immolava l’agnello, ora nel vangelo viene offerto Cristo; ma viene offerto come un uomo che subisce la passione, e offre se stesso come sacerdote[…] qui in immagine, li (in cielo) egli è nella realtà li dove come avvocato intercede per noi presso il Padre.” De officiis libri tres, ed. G. BANTERLE, opera omnia vol 13, Biblio. Ambrosiana-Città nuova, Milano-Roma 1977, 166s

VI.7.4 Ippolito : Tradizione Apostolica n 21“I diaconi presentino l’oblazione al vescovo, e questi dica la preghiera

eucaristica sul pane, perché diventi esempio (il greco dice antitipo) del corpo di Cristo; e del calice di vino con acqua perché diventi antitipo ( il greco dice somiglianza) del sangue di Cristo.” Cfr La Tradition apostolique, (=SC 11 b), Cerf, Paris 1968, 90s

VI.7.5 Sinodo di Roma, Berengario di Tours.DH 700.Io, Berengario, credo con il cuore e confesso con la bocca che il pane e il

vino che sono posti sull'altare, in virtù del mistero della santa preghiera e delle parole del nostro redentore sono trasformati sostanzialmente nella vera e propria e vivificante carne e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e che dopo la consacrazione sono il vero corpo di Cristo, che nacque dalla Vergine e che per la salvezza del modo fu appeso alla croce, e che siede alla destra del Padre, e il vero sangue di Cristo che fu effuso dal suo fianco, non soltanto mediante il segno e la forza del sacramento, ma nella proprietà della natura e nella verità della sostanza. Come in questo breve è contenuto e io ho letto e voi comprendete, così io credo, e contro questa fede non insegnerò mai più. Così mi aiuti Dio e questi santi vangeli di Dio.

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Eucaristia 281VI.7.6 Lateranense IV (1215) DS 802:

Una, è inoltre la chiesa universale dei fedeli, fuori dalla quale nessuno assolutamente si salva e nella quale lo stesso Gesù Cristo è sacerdote e vittima; infatti il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino poiché il pane è transustanziato nel corpo, e il vino nel sangue per divino potere; cosicché per adempiere al mistero dell’unità, noi riceviamo da lui, ciò che lui ha ricevuto da noi.

Questo sacramento non può compierlo nessuno se non il sacerdote, che sia stato regolarmente ordinato, secondo il potere della chiesa che lo stesso Gesù Cristo concesse agli apostoli e ai loro successori[…]

SACRAMENTUM TANTUM : Una fidelium Universalis Ecclesia, in qua idem sacerdos et sacrificium Jesus Christus

SACRAMENTUM ET RES : Cuius corpus et sanguis in sacramentum altaris sub speciebus panis et vini veraciter continentur transsubstantis pane in corpus et vino in sanguinem, potestate divina.

RES TANTUM : … ad perficieundum mysterim unitatis

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Eucaristia 282

VI.8IL CONCILIO TRIDENTINO:

VI.8.1 DECRETO SULLA S.S. EUCARESTIA, (1551)A) La presenza reale[DS 1636] Principio docet sancta

Synodus et aperte ac simpliciter profitetur, in almo sanctae Eucharistiae sacramento post panis et vini consecrationem Dominum nostrum Iesum Chri-stum verum Deum atque hominem vere, realiter ac substantialiter sub specie illarum rerum sensibilium contineri. Neque enim haec inter se pugnant, ut ipse Salvator noster semper ad dextram Patris in caelis assideat iuxta modum exsistendi naturalem, et ut multis nihilominus aliis in locis sacramentaliter praesens sua substantia nobis adsit, ea exsistendi ratione, quam etsi verbis esprimere vix possumus, possibilem tamen esse Deo, cogitatione per fidem illustrata assequi possumus et constan-tissime credere debemus

[DS 1636] In primo luogo il santo Concilio insegna e professa apertamente e semplicemente che nel venerabile sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, NSGC, vero Dio e [vero] uomo, è contenuto veramente, realmente e so-stanzialmente sotto l'apparenza di quelle cose sensibili. E non vi è alcuna con-traddizione nel fatto che lo stesso nostro Salvatore sia sempre assiso alla destra del Padre nei cieli secondo un modo di esistenza naturale, e che nondimeno in molti altri luoghi sia a noi sacramentalmente presente nella sua so-stanza, con quel modo di esistenza che noi, anche se a stento possiamo esprimere con parole, tuttavia con una riflessione illuminata dalla fede possiamo riconoscere come possibile a Dio e dobbiamo fermamente credere.

[DS 1651] Si quis negaverit, in sancrissimae Eucharistiae sacramento contieri vere, realiter et substantialiter, corpus et sanguinem una cum anima et divinitate Domini nostri lesu Christi ac proinde toturn Christum; sed dixerit, tantummodo esse in eo ut in signo vel figura, aut virtute: anathema sit

DS 1651] Se qualcuno negasse che nel sacramento della ss.ma Eucaristia è contenuto veramente, realmente e so-stanzialmente il corpo e il sangue uni-tamente all'anima e alla divinità di NSGC, e perciò tutto Cristo; ma dicesse che è in esso soltanto come nel segno o nella figura o nell'efficacia. a. s.

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Eucaristia 283

B) La permanenza della presenza reale[DS 1639] Commune hoc quidam est

sanctissimae Eucharistiae cum ceteris sacramentis, symbolum esse rei sacrae et invisibilis gratiae formam visibilem; verum illud in ea excellens et singulare reperitur, quod sacramenta tunc primum sanctificandi vim habent, cum quis illis utitur: at in Eucharistia ipse sanctitatis auctor ante usum est.

[DS 1639] La ss.ma Eucaristia ha in comune con gli altri sacramenti il fatto di essere il simbolo di una realtà sacra e la forma visibile di una grazia invisibile; ma inoltre ha questo di eccellente e. di singolare, che cioè, mentre gli altri sacramenti hanno la forza di santificare solo a partire dal momento che si ricevono, invece nell’Eucaristia, ancor prima di riceverla, vi è l’autore stesso della santità.

[DS 1640] Nondum enim Eucharistiam de manu Domini Apostoli susceperant, cum vere tamen ipse affirmaret corpus suum esse, quod praebebat; et sernper haec fides in Ecclesia Dei fuit, statim post consecrationem verum Domini nostri corpus verumque eius sanguinem sub panis et vini specie una cum ipsius anima et divinitate exsistere: sed corpus quidem sub specie panis et sanguinem sub vini specie ex vi verborum, ipsum autem corpus sub specie vini et sanguinem sub specie panis animamque sub utraque, vi naturalis illius connexionis et concomitantiae, qua partes Christi Domini, qui iam ex mortuis resurrexit non amplius moriturus, inter se copulantur, divinitatem porro propter admirabilem illam eius cum corpore et anima hypostaticam unionem. [DS 1641] Quapropter verissimum est, tantundem sub alterutra specie atque sub utraque contineri. Totus enim et integer Christus sub panis specie et sub quavis ipsius speciei parte, totus item sub vini specie et sub eius partibus exsistit

[D5 1640] Infatti gli Apostoli non avevano ancora ricevuto l'Eucaristia dalla mano del Signore, che già egli stesso affermava veramente che era il suo corpo quello che dava [loro]; e sempre vi fu questa fede nella Chiesa di Dio, che subito dopo la consacrazione il vero corpo e il vero sangue di NS esistono, unitamente alla sua anima e divinità, sotto le specie del pane e del vino: il corpo è sotto la specie del pane e il sangue sotto la specie del vino in forza delle parole; ma lo stesso corpo è sotto la specie del vino e il sangue sotto la specie del pane, e l'anima sotto entrambe, in forza di quella naturale connessione e concomitanza, per la quale le parti di Cristo Signore, ormai risorto dai morti per non più morire, sono tra loro unite; la divinità poi [è presente] per quella sua mirabile unione ipostatica con il corpo e con l'anima. [DS 1641] Perciò è cosa verissima che quanto è contenuto sotto entrambe le specie, è altrettanto contenuto sotto l’una o laltra. Infatti Cristo è tutto e integro sotto la specie del pane e sotto ogni sua parte, ed è ugualmente tutto sotto la specie del vino e sotto le sue parti.

[D5 1653] Si quis negaverit, in venerabili sacramento Eucharistiae sub unaquaque specie et sub singulis cuiusque speciei partibus separatione

[D5 1653] Se qualcuno negasse che nel venerabile sacramento dell'Eucaristia è contenuto tutto Cristo sotto ogni specie e sotto le singole parti di ciascuna specie,

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Eucaristia 284jacta totum Christum contineri: an. s. dopo la loro separazione, an. s.

[DS 1654] Si quis dixerit, peracta consecratione in admirabili Eucharistiae sacramento non esse corpus et sanguinem Domini nostri lesu Christi, sed tantum in usu, dum sumitur, non autem ante vel post, et in hostiis seu particulis consecratis, quae post communionem reservantur vel supersunt, non remanere verum corpus Domini: an. s.

[DS 1654] Se qualcuno dicesse che dopo la consacrazione non vi è nel mi-rabile sacramento dell'Eucaristia il corpo e il sangue di NSGC, ma [che vi è] soltanto durante l'uso, mentre è ricevuto, e non già prima o dopo, e che nelle ostie o particele consacrate, che sono conservate o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore, an. s.

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Eucaristia 285

C) La transustanziazione, ovverosia il perché della presenza reale permanente[DS 1642] Quoniam autem Christus

redemptor noster corpus suum id, quod sub specie panis offerebat, vere esse dixit, ideo persuasum semper in Ecclesia Dei fuit, idque nunc denuo sancta haec Synodus declarat: per consecrationem panis et vini conversione fieri totius substantiae panis in substantiam corporis Christi Domini nostri, et totius substantiae vini in substanliam sanguini eius. Quae conversio conv-nienter et proprie a sancta catholica Ecclesia transsubstantatio est appellata

[DS 1642] Poiché Cristo, nostro re-dentore, disse che era veramente il suo corpo quello che offriva sotto la specie del pane, per questo la Chiesa di Dio fu sempre persuasa, e di nuovo questo s. Concilio lo dichiara, che attraverso la consacrazione del pane e del vino si compie la trasformazione in tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo NS, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue. E questa trasformazione fu dalla s. Chiesa cattolica convenientemente e propriamente chiamata transustanziazione.

[DS 1652] Si quis dixerit, in sacrosancto Eucharistiae sacramento remanere substantiam panis et vini una cum corpore et sanguine Domini nostri lesu Christi, negaveritque mirabilem illam et singularem conversionem totius sub-stantiae panis in corpus et totius sub-stantiae vini in sanguinem, manentibus dumtaxat speciebus panis et vini, quam quidem conversionem catholica Ecclesia aptissime transsubstantiationem appellat: an. s.

[DS 1652] Se qualcuno dicesse che nel sacrosanto sacramento dell'Eucaristia rimane la sostanza del pane e del vino unitamente al corpo e al sangue del SNGC, e negasse quella mirabile e singolare trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue rimanendo soltanto le specie del pane e del vino, trasformazione che la Chiesa cattolica in maniera molto appropriala chiama transustanziazione. an. s.

D) L’adorazione con il culto di latria anche esteriore[DS 1643] Nullus itaque dubitandi

locus relinquitur, quin omnes Christi fideles pro more in catholica Ecclesia semper recepto latriae cultum, qui vero Deo debetur, huic santissimo sacramento in veneratione exhibeant

[D5 1643] Non vi è dunque alcun motivo di dubitare che tutti i fedeli cristiani, secondo l'uso sempre ricevuto nella Chiesa cattolica, debbano prestare nella venerazione a questo ss.mo sacramento il culto di latria, che è dovuto al vero Dio

D5 1656] Si quis dixerit, in sancto Eucharistiae sacramento Christum unigenitum Dei Filium non esse cultu latriae etiam externo adorandum, atque ideo nec festiva peculiari celebritate venerandum, neque in processionibus secundum laudabilem et universalem Ecclesiae sanctae ritum et consuetudinem

[DJ 1656] Se qualcuno dicesse che nel s. sacramento dell'Eucaristia Cristo, Figlio unigenito di Dio, non deve essere adorato con il culto di latria anche esteriore, e che perciò non si deve ve-nerare con particolare solennità festiva, né si deve portare solennemente nelle processioni secondo il lodevole e

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Eucaristia 286sollemniter circumgestandum, vel non publice, ut adoretur, populo proponendum, et eius adoratores esse ido[lo] latras: an. s.

universale rito e consuetudine della s. Chiesa, oppure [dicesse] che non si deve esporre pubblicamente al popolo per essere adorato, e che i suoi adoratori sono idolatri, an. s.

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Eucaristia 287

VI.8.2 DOTTRINA E CANONI SUL SACRIFICIO DELLA MESSA (1562)

E) Il carattere sacrificale della celebrazione eucaristica[DS 1740] Is igitur Deus et Dominus

noster, etsi semel se ipsum in ara crucis, morte intercedente, Deo Patri oblaturus erat, ut aeternam illic redemptionem operaretur: quia tamen per mortem sacerdotium eius exstinguendum non erat, in Coena novissima, qua nocte tradebatur, ut dilectae sponsae suae Ecclesiae visibile (sicut hominum natura exigit) relinqueret sacrificium, quo cruentum illud semel in cruce peragendunt repraesentaretur eiusque memoria in finem usque saeculi permaneret, atque illius salutari; virtus in remissionem eorum, quae a nobis quotidiae committuntur, peccatorum applicaretur: sacerdotem secundum ordinem Melchisedech se in aeternum constitutum declarans, corpus et sanguinem suum sub speciebus panis et vini Deo Patri obtulit ac sub earundem rerum symbolis Apostolis (quos tunc Novi Testamenti sacerdotes constituebat), ut sumerent, tradidit, et eisdem eorumque in sacerdotio successoribus, ut offerrent, praecepit per haec verba: « Hoc facile in meam commemorationem, etc. », uti semper catholica Ecclesia intellexit et docuit.

[DS 1740] Egli, Dio e Signore nostro, benché dovesse offrire se stesso a Dio Padre una volta per tutte sull'altare della croce attraverso la [sua] morte, per operare là una redenzione eterna, tuttavia, poiché con la morte non doveva estinguersi il suo sacerdozio, nell'ultima Cena, nella notte in cui veniva tradito, per lasciare alla Chiesa, sua diletta sposa, un sacrificio visibile (come la natura umana esige), attraverso il quale venisse ripresentato quel sacrificio cruento da compiersi una volta per tutte sulla croce, e il suo memoriale si perpetuasse fino alla fine dei secoli, e la sua salutare efficacia si applicasse in remissione di quei peccati che da noi si commettono ogni giorno, dichiarando che egli era costituito sa-cerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech, offrì a Dio Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino, e sotto gli stessi segni li diede da mangiare agli Apostoli (che allora costituiva sacerdoti del Nuovo Testamento), e comandò ad essi e ai loro successori nel sacerdozio che li offrissero, con queste parole: « Fate questo in memoriale di me, ecc. », come sempre comprese e insegnò la Chiesa cattolica.

[DS 1741] Nam celebrato veteri Pascha, quod in memoriam exitus de Aegypto multitudo filiorum Israel immolabat, novum instituit Pascha, se ip-sum ab Ecclesia per sacerdotes sub signis visibilibus immolandum in memoriam transitus sui ex hoc mondo ad Patrem, quando per sui sanguinis effu-sionem nos redemit eripuitque de po-testate tenebrarum et in regnum suum transtulit

[DS 1741] Infatti, avendo celebrato l'antica Pasqua, che la moltitudine dei figli d'Israele immolava in memoriale dell'uscita dall'Egitto, egli istituì la nuova Pasqua, [cioè] se stesso da immolarsi sotto segni visibili, da parte della Chiesa per mezzo dei sacerdoti, in memoriale del suo passaggio da questo mondo al Padre, quando attraverso l'effusione del suo sangue ci redense e [ci] strappò dal potere delle tenebre e [ci] trasferì nel suo regno.

[DS 1751] Si quis dixerit, in Missa [DS 1751] Se qualcuno dicesse che

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Eucaristia 288non offerri Deo verum et propriujn sacrificium, aut quod offerri non sit aliud quam nobis Christum ad manducandarn dari: an. s.

nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, oppure che questa offerta consiste unicamente nel fatto che Cristo viene dato a noi per essere mangiato, an. s.

[DS 1752] Si quis dixerit, illis verbis: « Hoc facite in meam commemorationem », Christum non instituisse Apostolos sacerdotes, aut non ordinasse, ut ipsi aliique sacerdotes offerrent corpus et sanguinem suum: an. s.

[DS 1752] Se qualcuno dicesse che con quelle parole: « Fate questo in memoriale di me », Cristo non abbia istituito gli Apostoli sacerdoti, oppure che non abbia ordinato che essi stessi e gli altri sacerdoti offrissero il suo corpo e il suo sangue, an. s

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Eucaristia 289

F) II fine espiatorio del sacrificio eucaristico[DS 1743] Et quoniam in divino hoc

sacrificio, quod in Missa peragitur, idem ille Christus continetur et incruente immolatur, qui in ara crucis semel se ipsum cruente obtulit: docet sancta Synodus, sacrificium istud vere propitiatorium esse, per ipsumque fieri, ut, si cum vero corde et recta fide, cum metu ac reverentia, contriti ac paenitentes ad Deum accedamus, mi-sericordiam consequamur et gratiam inveniamus in auxilio opportuno. Huius quippe oblatione placatus Dominus, gratiam et donum paenitentiae concedens, crimina et peccata etiam ingentia dimittit. Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum ministerio, qui se ipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa. Cuius quidem oblationis (cruentae, inquam) fructus per hanc incruentam uberrime percipiuntur: tantum abest, ut illi per hanc quovis modo derogetur. Quare non solum pro fidelium vivorum peccatis, poenis, satisfactionibus et aliis necessitatibus, sed et pro defunctis in Christo, nondum ad plenum purgatis, rite iuxta Apostolorum traditionem offertur

[DS 1743] E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in maniera in-cruenta quello stesso Cristo che offrì se stesso una volta per tutte sull'altare della croce in maniera cruenta, il s. Concilio insegna che questo sacrificio è veramente propiziatorio; e che per mezzo di esso, se ci accostiamo a Dio con vero cuore e retta fede, con timore e riverenza, contriti e penitenti, otteniamo misericordia e troviamo la grazia per un aiuto opportuno. Davvero il Signore, placato da questa offerta, concedendo la grazia e il dono della penitenza, rimette le colpe e i peccati, per quanto grandi siano. Infatti una sola e medesima è la vittima. [ossia] quello stesso che ora si offre attraverso il ministero dei sacerdoti [e] che allora offrì se stesso sulla croce, soltanto diverso è il modo di offrire. E i frutti di quella oblazione (cruenta) sono ricevuti con grande abbondanza attraverso questa [oblazione] incruenta: in nessun modo questa fa torto a quella. Perciò essa viene legittimamente offerta, secondo la tradi-zione degli Apostoli, non soltanto per i peccati, le pene, le soddisfazioni e le altre necessità dei fedeli vivi, ma anche per i defunti in Cristo, non ancora pienamente purificati.

[D5 1753] Si quis dixerit, Missae sacrificium tantum esse laudis et gratiarum actionis, aut nudam commemorationem sacrificii in cruce peracti, non autem propitiatorium; vel soli prodesse sumenti; neque pro vivis et defunctis, pro peccatis, poenis, satisfactionibus et aliis necessitatibus offerri debere: an. S.

[D5 1753] Se qualcuno dicesse che il sacrificio della Messa è soltanto [un sacrificio] di lode e di azione di grazie, oppure una semplice commemo-razione del sacrificio compiuto sulla croce, e non [un sacrificio] propiziatorio; oppure [dicesse] che giova soltanto a chi lo riceve, e che non si deve offrire per i vivi e per i defunti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni e le altre necessità, an. s.

[DS 1754] Si quis dixerit, blasphemiam irrogari sanctissimo Christi

[DS 1754] Se qualcuno dicesse che con il sacrificio della Messa si commette

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Eucaristia 290sacrificio in cruce peracto per Missae sacrificium, aut illi per hoc derogari an. S.

una bestemmia contro il ss.mo: sacrificio di Cristo compiuto sulla croce, oppure che questo viene sminuito a causa di quello, an. s.

Traduzione di C. Giraudo, Eucaristia per la Chiesa, cit., 531-635; 538; 561-562

VI.9ECCLESIA DE EUCHARISTIA

Lettera Enciclica di Giovanni Paolo IIEucaristia: Sacrificio di Cristo e della Chiesa.11. « Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito » (1 Cor 11,23),

istituì il Sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue. Le parole dell'apostolo Paolo ci riportano alla circostanza drammatica in cui nacque l'Eucaristia. Essa porta indelebilmente inscritto l'evento della passione e della morte del Signore. Non ne è solo l'evocazione, ma la ri-presentazione sacramentale. È il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli. Bene esprimono questa verità le parole con cui il popolo, nel rito latino, risponde alla proclamazione del « mistero della fede » fatta dal sacerdote: « Annunziamo la tua morte, Signore! ». 

La Chiesa ha ricevuto l'Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza. Questa non rimane confinata nel passato, giacché « tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell'eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi ».

Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di salvezza è reso realmente presente e « si effettua l'opera della nostra redenzione ». Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l'ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti. Ogni fedele può così prendervi parte e attingerne i frutti inesauribilmente. Questa è la fede, di cui le generazioni cristiane hanno vissuto lungo i secoli. Questa fede il Magistero della Chiesa ha continuamente ribadito con gioiosa gratitudine per l'inestimabile dono. Desidero ancora una volta richiamare questa verità, ponendomi con voi, miei carissimi fratelli e sorelle, in adorazione davanti a questo Mistero: Mistero grande, Mistero di misericordia. Che cosa Gesù poteva fare di più per noi?

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Eucaristia 291Davvero, nell'Eucaristia, ci mostra un amore che va fino « all'estremo » (cfr Gv 13,1), un amore che non conosce misura. 

12. Questo aspetto di carità universale del Sacramento eucaristico è fondato sulle parole stesse del Salvatore. Istituendolo, egli non si limitò a dire « Questo è il mio corpo », « questo è il mio sangue », ma aggiunse « dato per voi...versato per voi » (Lc 22,19-20). Non affermò soltanto che ciò che dava loro da mangiare e da bere era il suo corpo e il suo sangue, ma ne espresse altresì il valore sacrificale, rendendo presente in modo sacramentale il suo sacrificio, che si sarebbe compiuto sulla Croce alcune ore dopo per la salvezza di tutti. « La Messa è ad un tempo e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della Croce e il sacro banchetto della comunione al corpo e al sangue del Signore ».

La Chiesa vive continuamente del sacrificio redentore, e ad esso accede non soltanto per mezzo di un ricordo pieno di fede, ma anche in un contatto attuale, poiché questo sacrificio ritorna presente, perpetuandosi sacramentalmente, in ogni comunità che lo offre per mano del ministro consacrato. In questo modo l'Eucaristia applica agli uomini d'oggi la riconciliazione ottenuta una volta per tutte da Cristo per l'umanità di ogni tempo. In effetti, « il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell'Eucaristia sono un unico sacrificio ». Lo diceva efficacemente già san Giovanni Crisostomo: « Noi offriamo sempre il medesimo Agnello, e non oggi uno e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il sacrificio è sempre uno solo. [...] Anche ora noi offriamo quella vittima, che allora fu offerta e che mai si consumerà ».

La Messa rende presente il sacrificio della Croce, non vi si aggiunge e non lo moltiplica. Quello che si ripete è la celebrazione memoriale, l'« ostensione memoriale » (memorialis demonstratio) di esso, per cui l'unico e definitivo sacrificio redentore di Cristo si rende sempre attuale nel tempo. La natura sacrificale del Mistero eucaristico non può essere, pertanto, intesa come qualcosa a sé stante, indipendentemente dalla Croce o con un riferimento solo indiretto al sacrificio del Calvario. 

13. In forza del suo intimo rapporto con il sacrificio del Golgota, l'Eucaristia è sacrificio in senso proprio, e non solo in senso generico, come se si trattasse del semplice offrirsi di Cristo quale cibo spirituale ai fedeli. Il dono infatti del suo amore e della sua obbedienza fino all'estremo della vita (cfr Gv 10,17-18) è in primo luogo un dono al Padre suo. Certamente, è dono in favore nostro, anzi di tutta l'umanità (cfr Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20; Gv 10,15), ma dono innanzitutto al Padre: « sacrificio che il Padre accettò,

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Eucaristia 292ricambiando questa totale donazione di suo Figlio, che si fece “obbediente fino alla morte” (Fil 2,8), con la sua paterna donazione, cioè col dono della nuova vita immortale nella risurrezione ».

Nel donare alla Chiesa il suo sacrificio, Cristo ha altresì voluto fare suo il sacrificio spirituale della Chiesa, chiamata ad offrire, col sacrificio di Cristo, anche se stessa. Ce lo insegna, per quanto riguarda tutti i fedeli, il Concilio Vaticano II: « Partecipando al Sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la Vittima divina e se stessi con essa ».

Presenza reale e sostanziale del sacrificio15. La ripresentazione sacramentale nella Santa Messa del sacrificio di

Cristo coronato dalla sua risurrezione implica una specialissima presenza che – per riprendere le parole di Paolo VI – « si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali'“, ma per antonomasia perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente ». È riproposta così la sempre valida dottrina del Concilio di Trento: « Con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione ».Davvero l'Eucaristia è mysterium fidei, mistero che sovrasta i nostri pensieri, e può essere accolto solo nella fede, come spesso ricordano le catechesi patristiche su questo divino Sacramento. « Non vedere – esorta san Cirillo di Gerusalemme – nel pane e nel vino dei semplici e naturali elementi, perché il Signore ha detto espressamente che sono il suo corpo e il suo sangue: la fede te lo assicura, benché i sensi ti suggeriscano altro ».

« Adoro te devote, latens Deitas », continueremo a cantare con il Dottore Angelico. Di fronte a questo mistero di amore, la ragione umana sperimenta tutta la sua finitezza. Si comprende come, lungo i secoli, questa verità abbia stimolato la teologia ad ardui sforzi di comprensione. 

Sono sforzi lodevoli, tanto più utili e penetranti quanto più capaci di coniugare l'esercizio critico del pensiero col « vissuto di fede » della Chiesa, colto specialmente nel « carisma certo di verità » del Magistero e « nell'intima intelligenza delle cose spirituali » che raggiungono soprattutto i Santi. Resta il confine additato da Paolo VI: « Ogni spiegazione teologica, che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino hanno cessato di

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Eucaristia 293esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il corpo e il sangue adorabili del Signore Gesù ad essere realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino ».

Comunione al sacrificio16. L'efficacia salvifica del sacrificio si realizza in pienezza quando ci si

comunica ricevendo il corpo e il sangue del Signore. Il Sacrificio eucaristico è di per sé orientato all'unione intima di noi fedeli con Cristo attraverso la comunione: riceviamo Lui stesso che si è offerto per noi, il suo corpo che Egli ha consegnato per noi sulla Croce, il suo sangue che ha « versato per molti, in remissione dei peccati » (Mt 26,28). Ricordiamo le sue parole: « Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me » (Gv 6,57). È Gesù stesso a rassicurarci che una tale unione, da Lui asserita in analogia a quella della vita trinitaria, si realizza veramente. L'Eucaristia è vero banchetto, in cui Cristo si offre come nutrimento. Quando, per la prima volta, Gesù annuncia questo cibo, gli ascoltatori rimangono stupiti e disorientati, costringendo il Maestro a sottolineare la verità oggettiva delle sue parole: « In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita » (Gv 6,53). Non si tratta di un alimento metaforico: « La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda » (Gv 6,55).

L’Eucaristia edifica la Chiesa21. Il Concilio Vaticano II ha ricordato che la Celebrazione eucaristica è al

centro del processo di crescita della Chiesa. Infatti, dopo aver detto che « la Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo », quasi volendo rispondere alla domanda: « Come cresce? », aggiunge: « Ogni volta che il sacrificio della Croce “col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato” (1 Cor 5,7) viene celebrato sull'altare, si effettua l'opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata e prodotta l'unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cfr 1 Cor 10,17) ».

C'è un influsso causale dell'Eucaristia, alle origini stesse della Chiesa. Gli evangelisti precisano che sono stati i Dodici, gli Apostoli, a riunirsi con Gesù nell'Ultima Cena (cfr Mt 26,20; Mc 14,17; Lc 22,14). È un particolare di notevole rilevanza, perché gli Apostoli « furono ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia ». Offrendo loro come cibo il suo corpo e il suo sangue, Cristo li coinvolgeva misteriosamente nel sacrificio che si sarebbe consumato di lì a poche ore sul Calvario. In analogia con l'Alleanza del Sinai,

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Eucaristia 294suggellata dal sacrificio e dall'aspersione col sangue, i gesti e le parole di Gesù nell'Ultima Cena gettavano le fondamenta della nuova comunità messianica, il Popolo della nuova Alleanza.

Gli Apostoli, accogliendo nel Cenacolo l'invito di Gesù: « Prendete e mangiate... Bevetene tutti... » (Mt 26,26-27), sono entrati, per la prima volta, in comunione sacramentale con Lui. Da quel momento, sino alla fine dei secoli, la Chiesa si edifica mediante la comunione sacramentale col Figlio di Dio immolato per noi: « Fate questo in memoria di me... Fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me » (1 Cor 11,24-25; cfr Lc 22,19). 

22. L'incorporazione a Cristo, realizzata attraverso il Battesimo, si rinnova e si consolida continuamente con la partecipazione al Sacrificio eucaristico, soprattutto con la piena partecipazione ad esso che si ha nella comunione sacramentale. Possiamo dire che non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma che anche Cristo riceve ciascuno di noi. Egli stringe la sua amicizia con noi: « Voi siete miei amici » (Gv 15,14). Noi, anzi, viviamo grazie a Lui: « Colui che mangia di me vivrà per me » (Gv 6,57). Nella comunione eucaristica si realizza in modo sublime il « dimorare » l'uno nell'altro di Cristo e del discepolo: « Rimanete in me e io in voi » (Gv 15,4).

Unendosi a Cristo, il Popolo della nuova Alleanza, lungi dal chiudersi in se stesso, diventa “sacramento” per l'umanità, segno e strumento della salvezza operata da Cristo, luce del mondo e sale della terra (cfr Mt 5,13-16) per la redenzione di tutti. La missione della Chiesa è in continuità con quella di Cristo: « Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi » (Gv 20,21). Perciò dalla perpetuazione nell'Eucaristia del sacrificio della Croce e dalla comunione col corpo e con il sangue di Cristo la Chiesa trae la necessaria forza spirituale per compiere la sua missione. Così l'Eucaristia si pone come fonte e insieme come culmine di tutta l'evangelizzazione, poiché il suo fine è la comunione degli uomini con Cristo e in Lui col Padre e con lo Spirito Santo.

23. Con la comunione eucaristica la Chiesa è parimenti consolidata nella sua unità di corpo di Cristo. San Paolo si riferisce a questa efficacia unificante della partecipazione al banchetto eucaristico quando scrive ai Corinzi: « E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane » (1 Cor 10,16-17). Puntuale e profondo il commento di san Giovanni Crisostomo: « Che cos'è infatti il pane? È il corpo di Cristo. Cosa diventano quelli che lo ricevono? Corpo di Cristo; ma non molti corpi, bensì un solo corpo. Infatti, come il pane è tutt'uno, pur essendo costituito di molti grani, e questi, pur non vedendosi, comunque si trovano in esso, sì che la loro

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Eucaristia 295differenza scompare in ragione della loro reciproca perfetta fusione; alla stessa maniera anche noi siamo uniti reciprocamente fra noi e tutti insieme con Cristo ». L'argomentazione è stringente: la nostra unione con Cristo, che è dono e grazia per ciascuno, fa sì che in Lui siamo anche associati all'unità del suo corpo che è la Chiesa. L'Eucaristia rinsalda l'incorporazione a Cristo, stabilita nel Battesimo mediante il dono dello Spirito (cfr 1 Cor 12,13.27).

L'azione congiunta e inseparabile del Figlio e dello Spirito Santo, che è all'origine della Chiesa, del suo costituirsi e del suo permanere, è operante nell'Eucaristia. Ne è ben consapevole l'Autore della Liturgia di san Giacomo: nell'epiclesi dell'anafora si prega Dio Padre perché mandi lo Spirito Santo sui fedeli e sui doni, affinché il corpo e il sangue di Cristo « a tutti coloro che ne partecipano servano [...] per la santificazione delle anime e dei corpi ». La Chiesa è rinsaldata dal divino Paraclito attraverso la santificazione eucaristica dei fedeli.

24. Il dono di Cristo e del suo Spirito, che riceviamo nella comunione eucaristica, compie con sovrabbondante pienezza gli aneliti di unità fraterna che albergano nel cuore umano, e insieme innalza l'esperienza di fraternità insita nella comune partecipazione alla stessa mensa eucaristica a livelli che si pongono ben al di sopra di quello della semplice esperienza conviviale umana. Mediante la comunione al corpo di Cristo la Chiesa raggiunge sempre più profondamente quel suo essere « in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».

Ai germi di disgregazione tra gli uomini, che l'esperienza quotidiana mostra tanto radicati nell'umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice

di unità del corpo di Cristo. L'Eucaristia, costruendo la Chiesa, proprio per questo crea comunità fra gli uomini. 

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Eucaristia 296

VII INDICE ANALITICO

INDICE DEGLI AUTORIAFANASSIEF, N.......................142AGOSTINO....92; 98; 99; 101; 102;

106; 138; 150; 151; 161ALBERTO MAGNO....................138ALSZEGHY, Z...........................192ALTENSTEIG............................116ALTHANER, B.............................81AMALARIO........................106; 107AMBROGIO..92; 93; 100; 103; 104;

105; 109ARISTOTELE............................110ATANASIO..................................92AUGE’, M..................................106AVICENNA................................110BASILIO MAGNO....70; 91; 92; 173BAVAUD, G...............................108BEINERT, W.............................119BELLARMINO, R......................132BENEDETTO XVI.....11; 12; 14; 17;

137; 160; 163; 165; 182BERENGARIO...........108; 139; 162BEYREUTHER, E......................140BIEL, G.....................................116BIETENHARD, H......................140BIFFI, I.......................................19BILLOT.....................................132BLANCHARD, Y. M.....................21BOEVE, L..................................188BOEZIO.....................................110BONAVENTURA.......................113BOSETTI, E.................................19BOTTE, B..................................122BOTTE, B..............................79; 87

BOUYER, L.. . .9; 20; 26; 31; 32; 35; 38; 50; 60; 70; 72; 75; 76; 78; 90

BRADSHAW, P.F...................26; 71BRAGA, C......................21; 50; 128BRAUMANN, G.........................140BROUARD, M..............................18CAHN, A...................................147CALVINO, G......................119; 121CANTALAMESSA, R...................98CARLÈ, P. L..............................105CASALEGNO, A..........................19CATTANEO, E.............................72CAZELLES, H.............................47CHUPUNGCO, A.J.....................106CIPRIANO.........83; 84; 87; 89; 161CIRILLO DI ALESSANDRIA93; 162CIRILLO DI GERUSALEMME...103CLEMENTE ALESSANDRINO....84CLEMENTE ROMANO..........70; 72COENEN, L...............................140COLACRAI, A..............................19CONGAR, Y.................84; 118; 186CRANMER, T............................121DE FINANCE, J.................142; 183DE LA SOUJEOLE, B.D.............135DE LA TAILLE, M...............48; 132DE LUBAC, H.. .107; 109; 177; 178DEVRESSE, R...........................103DI NOLA, G...............102; 150; 161EUSEBIO DI CESAREA...............98FAREL, G..................................121FAUSTO....................104; 105; 109FLICK, M..................................192FLORO DI LIONE.....................106FRANZELIN, J. B......................132

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Eucaristia 297FUNK, F. X..................................87GILBERT, P...............................146GIOVANNI CRISOSTOMO...91; 92;

93; 100; 103; 150; 173GIOVANNI PAOLO II.8; 10; 14; 17;

18; 71; 73; 116; 117; 129; 130; 159; 160; 163; 177; 178; 179; 185

GIRA, D.....................................147GIRARD, R................144; 145; 146GIRAUDO, C......14; 17; 23; 24; 27;

28; 39; 43; 44; 48; 62; 63; 75; 77; 79; 91; 126; 161; 171; 172; 173; 174; 184

GIROLAMO.................................92GIUSTINO.. .70; 71; 72; 73; 80; 81;

82; 83; 88; 89GREGORIO DI NAZIANZO.........92GUGLIELMO DI OCHKAM.......115HÄNGGI, A............................80; 82HUS, J...............................115; 116IGNAZIO DI ANTIOCHIA.....72; 82;

83; 84; 85; 86IPPOLITO ROMANO20; 73; 78; 79;

87; 89; 90; 91; 102IRENEO DI LIONE. .83; 84; 85; 88;

89; 192JAUBERT, A................................72JEDIN, H...................................125JEREMIAS, J.............46; 48; 60; 66JUNGMANN, J. A..............139; 173LADRIERE, J...............................97LAFONT, G.....................17; 18; 48LARCHER, G...............................32LEJISSEN, L..............................188LEONE MAGNO........................162LEPIN, M..................................132LESSIO.....................................132

LIETZMANN, H..........................60LIGIER, L.....30; 43; 56; 63; 83; 97;

123; 132; 135; 137; 138; 156; 173

LORTZ, J...................................119LOSSKY, A................................128LUTERO, M.....116; 118; 119; 120;

121; 125MAI, A.,.....................................130MANARANCHE, A......................14MARSILI, S.......................101; 106MARTELET, G...........................188MARTINI, C. M...........................16MAZZA, E... .20; 75; 76; 77; 79; 82;

85; 86; 87; 92; 100; 101; 102; 103; 106; 107; 113; 120; 171; 184

MC PARTLAN, P...............142; 189METZGER, M........................76; 87MONGILLO, D..........................114MOSCHETTI, S.M.......................16NEUNHEUSER, B.... .10; 114; 115;

116; 139; 173NICHOLAS, R. A,........................16NITTI, S....................................119NKUSCH, M..............................147NOCENT, A.......................106; 128ORIGENE..............................83; 85PAHL, I.................................80; 82PAOLO VI......10; 93; 123; 124; 140PAPROCKI, H.20; 73; 91; 165; 174;

175PERROT, CH...............................18PIETRO LOMBARDO................109PIO XII..............................139; 178PIOLANTI, A.............................105PISTOIA, A....................21; 50; 128PLATTI, E..................................148

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Eucaristia 298PSEUDO IPPOLITO.....................98PSEUDOCRISOSTOMO..............98QUARELLO, E...........................131RADBERTO, P...........................107RAFFA, V.......26; 33; 83; 171; 172;

184; 188; 190RAHNER, K...............140; 141; 190RATRAMNO..............................107RATZINGER, J.......9; 19; 119; 128;

129; 149; 190; 192RIGHETTI, M............................156RODORF, W................................75RUSSO, G...................................19SCHLIER, H..................6; 9; 54; 69SCHNACKEMBURG, R.................9SCHURMANN, H..........................9SCOLA, A........11; 12; 19; 176; 182SERAPIONE..........................73; 87SESBÖUÉ, B.............................191SESBÖUÉ, B.............................175SPATAFORA, A...........................19SPITERIS, Y..............................142SUAREZ............................132; 138

TANZARELLA, S.......................175TEODORO DI MOEPSUESTIA...93;

100; 103THURIAN, M.............................144TOAFF, A. S................................43TOMMASO D’AQUINO....110; 111;

112; 113; 114; 123; 151; 162TONNEAU, R............................103TORIBIO CUADRADO, J. F.........18TOURN, G.................................121TREMBLAY, R.............................19TUILIER, A..................................75URBANO IV................................93VANNI, U............................19; 172VASQUEZ.........................132; 139VATTIMO..................................146VINAI, V....................................119VON BALTHASAR, H. U...........185WYBREW, H..............................122WYCLIFF, J...............................115ZIZOULAS, J.............................142ZWILLING, G............................120ZWINGLI...........................120; 121

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Eucaristia 299

VIII INDICE

PREFAZIONE .............................................................................................. 3

ABBREVIAZIONI E SIGLE .......................................................................... 6

INTRODUZIONE ......................................................................................... 7

L’EUCARISTIA NELL’INSIEME ORGANICO DELLA TEOLOGIA 18ESAME LETTERARIO-TEOLOGICO DELLA II PREGHIERA

EUCARISTICA 24

I LA RIVELAZIONE BIBLICA E I PRIMI TRE SECOLI DELLA CHIESA . 30

I.1 GENESI DELL’EUCARISTIA CRISTIANA: PREPARAZIONE VETEROTESTAMENTARIA E GIUDAICA.....................................................30I.1.1 RADICI DELLA FONDAMENTALE STRUTTURA BIPARTITA: ANAMNESI ED

EPICLESI : LA TODÀ 32I.1.2 DALLA TODÀ ALLA BENEDIZIONE-BERAKÀ 33I.1.3 BENEDIZIONE (BERAKÀ), MEMORIALE E SACRIFICIO 35I.1.4 LE SERIE DI BERAKÒT, LA BIRKÀT HA-MAZÒN 37I.1.5 LA BERAKÀ GIUDAICA, IL SACRIFICIO DI LODE E L’OFFERTA DELLA VITA,

NEL CUORE E SULLE LABBRA DEL VERBO INCARNATO 40I.1.6 EVENTI FONDANTI, DIMENSIONI SACRIFICALI-COMUNIONALI DELLA STORIA

DELLA SALVEZZA. SEGNI PROFETICI VIGILIARI, DIVENUTI MEMORIALI SACRIFICALI-CONVIVIALI DEGLI EVENTI FONDANTI 44

I.2 GENESI DELL’EUCARISTIA CRISTIANA. LA RIVELAZIONE NEOTESTAMENTARIA...........................................................................56I.2.1 INTRODUZIONE 56I.2.2 ISTITUZIONE DEL MEMORIALE EUCARISTICO 58I.2.3 L’EUCARESTIA NELLA VITA DELLA CHIESA SECONDO LE S. SCRITTURE 77

I.3 DOSSIER LITURGICO E DOTTRINALE DEI PRIMI TRE SECOLI DELLA CHIESA81I.3.1 DOSSIER LITURGICO: DIDAKÈ CAP.9-10.14.15; GIUSTINO,APOLOGIA

PRIMA, 65-67; TRADIZIONE APOSTOLICA, 4; COSTITUZIONI APOSTOLICHE VII-VIII : LA ‹‹SINASSI EUCARISTICA››. 82

I.3.2 DOSSIER DELLA DOTTRINA 92

II EUCARISTIA: PRESENZA DEL CORPO DATO E DEL SANGUE VERSATO, SACRIFICIO DELLA NUOVA ALLEANZA ......................... 107

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Eucaristia 300II.1 EUCARESTIA, PRESENZA DEL CORPO DATO E DEL SANGUE VERSATO.....109

II.1.1 PRESENZA DI ALLEANZA NELL’AT 110II.1.2 PRESENZA DI ALLEANZA NEL NT 111II.1.3 REALISMO AFFERMATO DALLE PAROLE ISTITUZIONALI 112II.1.4 INSEGNAMENTO DEI PADRI 114II.1.5 L’EUCARESTIA, PRESENZA DEL CORPO DATO E DEL SANGUE VERSATO

IN CHIAVE TIPOLOGICA-SACRAMENTALE. (ALCUNI TESTI IN APPENDICE VII.I.1-4) 116

II.1.6 LA TIPOLOGIA SACRAMENTALE NELLE MISTAGOGIE EUCARISTICHE DEL IV SEC.: IL SUO SUPERAMENTO. 120

II.1.7 CRISI APERTA DELLA TEOLOGIA TIPOLOGICA-SIMBOLICA 123II.1.8 LE DISPUTE SCOLASTICHE E L’INCOMPRENSIONE DEL MISTERO. 124II.1.9 INTRODUZIONE DELLA CATEGORIA SOSTANZA NEL MAGISTERO 126II.1.10 LA TEOLOGIA DELLA PRESENZA SOSTANZIALE ELABORATA DALLA

GRANDE SCOLASTICA DEL SEC. XIII 127II.1.11 LA TEOLOGIA ASTRUSA E SENZA GIOIA DEI SEC. XIV E XV: IL

NOMINALISMO 133II.1.12 LA PRESENZA VERA, REALE, SOSTANZIALE DEL CORPO DATO E DEL

SANGUE VERSATO IN SACRIFICIO, NEL CONCILIO DI TRENTO E NELLA RIFORMA 135

II.1.13 CONTESTAZIONI E NUOVA PRASSI DELLA RIFORMA: DAL SACRIFICIO DELLA MESSA ALLA CENA DEL SIGNORE 137

II.1.14 L’INSEGNAMENTO DEL TRIDENTINO: CANONI E CAPITOLI DI DOTTRINA. IL DECRETO DE SS. EUCHARISTIA, DELLA SES. XIII DEL 11/10/1551 ( TESTI :APPENDICE VI.8.1.) 142

II.1.15 DOTTRINA E CANONI COMUNIONE SOTTO LE DUE SPECIE E COMUNIONE DEI FANCIULLI: SESSIONE XXI, DEL 16/7/1562 145

II.1.16 DOTTRINA E CANONI SULLA MESSA SACRIFICIO: SESSIONE XXII DEL 17/9/1562 (TESTI :APPENDICE VI.8.2 ) 146

II.2 MISTAGOGIA DELLA PRESENZA SACRIFICALE, NEL TRIDENTINO E NEL VATICANO II....................................................................................149

III EUCARISTIA: SACRIFICIO DI CRISTO E DELLA SUA CHIESA, PER LA COMUNIONE, LO STILE PROPRIO DI VITA CRISTIANA ................ 151

III.1L’EUCARESTIA SACRIFICIO DI CRISTO E DELLA CHIESA.....................151III.1.1 PROBLEMATICA POST-TRIDENTINA. 152

III.2LA PRESENZA SACRIFICALE DI CRISTO NELL’EUCARISTIA...................160

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Eucaristia 301III.2.1 LA PRESENZA ATTIVA DI CRISTO NELL’EUCARISTIA, IN RELAZIONE

ALLE SUE ALTRE PRESENZE NELLA VITA DELLA CHIESA 160III.2.2 LE RELAZIONATE PRESENZE DEL SIGNORE GESÙ ALLA CHIESA, IL

SUO VERTICE EUCARISTICO, NEL DIALOGO ECUMENICO. 164III.2.3 PROBLEMATICA CIRCA IL CONCETTO STESSO DEL SACRIFICIO, IN

RELAZIONE ALLA STORIA DELLE RELIGIONI, RIVELAZIONE E VITA CRISTIANA.168III.2.4 IL SACRIFICIO DELLA CHIESA E DEI CRISTIANI. 173

III.3LA COMUNIONE SACRAMENTALE.....................................................182III.3.1 LA COMUNIONE EUCARISTICA, LA PIÙ INTENSA PARTECIPAZIONE

SACRAMENTALE AL SACRIFICIO . 182III.3.2 LA COMUNIONE EUCARISTICA COME PARTECIPAZIONE AI FRUTTI DEL

SACRIFICIO, LA RES TANTUM DELL’EUCARESTIA. 184III.3.3 L’OFFERTA CATTOLICA DELLA CONDIVISIONE EUCARISTICA 193

IV LA SACRAMENTUM CARITATIS E LE DOMANDE DEL SINODO ...... 197

IV.1 RELAZIONI TRA L’EPICLESI E IL RACCONTO DELL’ISTITUZIONE...........197IV.1.1 BREVE RICHIAMO DELLA GENESI DELLA PREX EUCARISTICA, NEL

CONTESTO DEL VANGELO. 198IV.1.2 LA SOLUZIONE ROMANA. 200IV.1.3 LA SOLUZIONE LITURGICA BIZANTINA. 202IV.1.4 VANTAGGI DELLA SINTESI ROMANO-BIZANTINA: 204

IV.2 «IN QUESTO QUADRO IL SINODO AVVERTE LA NECESSITÀ CHE SIA MEGLIO PRECISATA LA NATURA DELLA DIVERSA CAUSALITÀ IMPLICATA NELLA FORMULA: LA CHIESA FA L’EUCARISTIA, L’EUCARISTIA FA LA CHIESA. » (PROPOSIZIONE 22).........................................................................206IV.2.1 L’ORIGINE DELL’EFFATO NELLA TEOLOGIA DI H. DE LUBAC.. 206IV.2.2 EUCARISTIA E LA GENERAZIONE DELLA CHIESA NEL MAGISTERO. 207IV.2.3 «ECCLESIA DE EUCARISTIA», «LA CHIESA VIVE DI EUCARISTIA». 208IV.2.4 PRECEDENZA ONTOLOGICA E STORICA DELLA CAUSALITÀ

DELL’EUCARISTIA RISPETTO LA CHIESA. 213

IV.3 CONCLUDENDO: MISTAGOGIA E SISTEMATICA TEOLOGICO- MORALE....215

V BIBLIOGRAFIA SUL SACRAMENTO DELL’EUCARESTIA ................. 225

V.1 MAGISTERO..............................................................................225

V.2 TESTI PER LA SCUOLA E STUDI COMPRENSIVI.............................225

V.3 STUDI SULLE ODIERNE ANAFORE..........................................227

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Eucaristia 302V.4 S. SCRITTURA...........................................................................227

V.5 ORIGINE DELLE ANAFORE NELLA S. SCRITTURA, GIUDAISMO E VITA DELLA CHIESA.................................................................228V.5.1 FONTI: 228V.5.2 STUDI: 228

V.6 PADRI DEI PRIMI TRE SECOLI. DOSSIER DOTTRINALE:........228

V.7 PADRI DELLA CHIESA..............................................................229

V.8 MEDIO EVO...............................................................................229

V.9 RIFORMA E CONCILIO TRIDENTINO.......................................230

V.10TEOLOGIA ECUMENICA...........................................................230

V.11STUDI........................................................................................231

VI APPENDICE. ..................................................................................... 233

VI.1 ESEMPI BIBLICI DI TODA........................................................233VI.1.1 NEEMIA 9,6-36 233VI.1.2 DN 3,26-45 235

VI.2 SEGNI PROFETICI VIGILIARI , MEMORIALI DEGLI EVENTI FONDANTI.....236

VI.3 LE FONTI DELL’ISTITUZIONE...........................................................237

VI.4 IL RACCONTO DELL’ISTITUZIONE.....................................................238

VI.5 DOCUMENTI LITURGICI...........................................................240VI.5.1 DIDAKÈ 9-10. 240VI.5.2 COSTITUZIONI APOSTOLICHE VII. 240VI.5.3 L’ANAFORA DELLA TRADIZIONE APOSTOLICA. 241VI.5.4 L’ANAFORA DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO 242

VI.6 DOSSIER DOTTRINALE.............................................................244VI.6.1 GIUSTINO. 244VI.6.2 IGNAZIO DI ANTIOCHIA. 245VI.6.3 CLEMENTE ALESSANDRINO. 246VI.6.4 IRENEO. 247VI.6.5 CIPRIANO. 248

VI.7 TEOLOGIA SIMBOLICA ,INTRODUZIONE DELLA CATEGORIA SOSTANZA. . .249VI.7.1 EBREI 249VI.7.2 COR 10,6 250

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Eucaristia 303VI.7.3 AMBROGIO: DE OFFICIIS 250VI.7.4 IPPOLITO : TRADIZIONE APOSTOLICA N 21 250VI.7.5 SINODO DI ROMA, BERENGARIO DI TOURS. 250VI.7.6 LATERANENSE IV (1215) DS 802: 251

VI.8 IL CONCILIO TRIDENTINO:......................................................252VI.8.1 DECRETO SULLA S.S. EUCARESTIA, (1551) 252VI.8.2 DOTTRINA E CANONI SUL SACRIFICIO DELLA MESSA

(1562) 256

VI.9 ECCLESIA DE EUCHARISTIA...........................................................259

VII INDICE ANALITICO .......................................................................... 264

VIIIINDICE ......................................................................................................... 267