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I volontari nordamericani della guerra di Spagna tra storiografia e memorialistica di Patrizia Dogliani Il cinquantenario dello scoppio della guerra civile spagnola è stato ricordato anche negli Stati Uniti con convegni e pubblicazioni. Al- la storiografia anglosassone ed americana si devono molti dei principali studi relativi alla Spagna contemporanea e in particolar modo alla guerra civile: riferimenti essenziali, al di là di ogni recente aggiornamento, rimangono i libri di Hugh Thomas (1961), di Robert Payne (1963), di Gabriel Jackson (1965), di Raymond Carr (1966) e i lavori di David T. Cattell sui rapporti tra Unione Sovietica e Spagna negli anni trenta1. Alcuni di questi testi accennano solo brevemente al coinvolgi- mento degli Stati Uniti nel conflitto; di diver- so sviluppo, separato dalla storiografia sulla Spagna contemporanea e frutto invece del ricco filone storico-diplomatico statunitense, sono i volumi che esaminano la politica este- ra americana durante il periodo di non-inter- vento. Da essi sono stati tratti i primi sugge- rimenti per interpretare sia l’atteggiamento dell’opinione pubblica americana durante l’embargo sia l’azione di solidarietà negli Usa con la Spagna repubblicana2. Si è dovuta però attendere la seconda metà degli anni sessanta per avere i primi studi d’insieme sulla partecipazione degli antifa- scisti americani alla guerra spagnola: il pri- mo volume del 1965 lo dobbiamo a Vincent Brome, The International Spain 1936-1939. È questo un testo essenzialmente di divulga- zione storica, che si sofferma sull’intervento dei volontari anglo-americani e dedica parti- colare attenzione alla formazione e all’attivi- tà militare della XV Brigata internazionale. A poca distanza dal libro di Brome sono ap- parse altre tre opere sul volontariato ameri- cano in Spagna, di Arthur Landis nel 1967, di Cecil Eby e di Robert A. Rosenstone nel 1969. Sempre nel 1969 fu pubblicato un altro lavoro di uno storico americano, Verle B. Johnston, che riprendeva e completava gli studi statunitensi sulle Brigate Internazionali Questa rassegna è stata realizzata durante un soggiorno di studio presso il Center for European Studies dell’Universi- tà di Harvard (Cambridge-Boston) nell’autunno-inverno 1986-1987, grazie ad un finanziamento del Cnr. Ringrazio il Center, e in particolare Charles Maier, Robert Fishman e Loren Goldner, per le informazioni bibliografiche e per l’invito a partecipare ai convegni relativi alia storia spagnola tenutisi nell’area universitaria di Cambridge nell’otto- bre-novembre 1986. 1 Si vedano Hugh Thomas, The Spanish Civil War, London, 1961 ; Robert Payne, The Civil War in Spain, London, 1963; Gabriel Jackson, The Spanish Republic and the Civil War 1931-1939, Princeton, 1965; Raymond Carr, Spain, 1808-1939, Oxford, 1966; David T. Cattell, Communism and Spanish Civil War, Berkeley, 1955 e Soviet Diplomacy and the Spanish Civil War, Berkeley 1957. 2 Cfr. gli studi di Allen Guttmann, ed in part, il libro da lui curato; American Neutrality and the Spanish Civil War, Boston, 1963; e di Foster Jay Taylor, The United States and the Spanish Civil War, New York, 1971; R.P. Traina, American Diplomacy and the Spanish Civil War, New York Bloomington, 1968. Italia contemporanea”, marzo 1987, n. 166

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I volontari nordamericani della guerra di Spagna tra storiografia e memorialistica

di Patrizia Dogliani

Il cinquantenario dello scoppio della guerra civile spagnola è stato ricordato anche negli Stati Uniti con convegni e pubblicazioni. Al­la storiografia anglosassone ed americana si devono molti dei principali studi relativi alla Spagna contemporanea e in particolar modo alla guerra civile: riferimenti essenziali, al di là di ogni recente aggiornamento, rimangono i libri di Hugh Thomas (1961), di Robert Payne (1963), di Gabriel Jackson (1965), di Raymond Carr (1966) e i lavori di David T. Cattell sui rapporti tra Unione Sovietica e Spagna negli anni trenta1. Alcuni di questi testi accennano solo brevemente al coinvolgi­mento degli Stati Uniti nel conflitto; di diver­so sviluppo, separato dalla storiografia sulla Spagna contemporanea e frutto invece del ricco filone storico-diplomatico statunitense, sono i volumi che esaminano la politica este­ra americana durante il periodo di non-inter- vento. Da essi sono stati tratti i primi sugge­rimenti per interpretare sia l’atteggiamento

dell’opinione pubblica americana durante l’embargo sia l’azione di solidarietà negli Usa con la Spagna repubblicana2.

Si è dovuta però attendere la seconda metà degli anni sessanta per avere i primi studi d’insieme sulla partecipazione degli antifa­scisti americani alla guerra spagnola: il pri­mo volume del 1965 lo dobbiamo a Vincent Brome, The International Spain 1936-1939. È questo un testo essenzialmente di divulga­zione storica, che si sofferma sull’intervento dei volontari anglo-americani e dedica parti­colare attenzione alla formazione e all’attivi­tà militare della XV Brigata internazionale. A poca distanza dal libro di Brome sono ap­parse altre tre opere sul volontariato ameri­cano in Spagna, di Arthur Landis nel 1967, di Cecil Eby e di Robert A. Rosenstone nel 1969. Sempre nel 1969 fu pubblicato un altro lavoro di uno storico americano, Verle B. Johnston, che riprendeva e completava gli studi statunitensi sulle Brigate Internazionali

Questa rassegna è stata realizzata durante un soggiorno di studio presso il Center for European Studies dell’Universi­tà di Harvard (Cambridge-Boston) nell’autunno-inverno 1986-1987, grazie ad un finanziamento del Cnr. Ringrazio il Center, e in particolare Charles Maier, Robert Fishman e Loren Goldner, per le informazioni bibliografiche e per l’invito a partecipare ai convegni relativi alia storia spagnola tenutisi nell’area universitaria di Cambridge nell’otto- bre-novembre 1986.1 Si vedano Hugh Thomas, The Spanish Civil War, London, 1961 ; Robert Payne, The Civil War in Spain, London, 1963; Gabriel Jackson, The Spanish Republic and the Civil War 1931-1939, Princeton, 1965; Raymond Carr, Spain, 1808-1939, Oxford, 1966; David T. Cattell, Communism and Spanish Civil War, Berkeley, 1955 e Soviet Diplomacy and the Spanish Civil War, Berkeley 1957.2 Cfr. gli studi di Allen Guttmann, ed in part, il libro da lui curato; American Neutrality and the Spanish Civil War, Boston, 1963; e di Foster Jay Taylor, The United States and the Spanish Civil War, New York, 1971; R.P. Traina, American Diplomacy and the Spanish Civil War, New York Bloomington, 1968.

Italia contemporanea”, marzo 1987, n. 166

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e sull’apporto della componente di lingua in­glese3. Possiamo considerare questi studi del­la seconda metà degli anni sessanta come de­finitivi ed esaurienti per la conoscenza delle vicende generali che coinvolsero una mino­ranza di americani nella guerra civile spagno­la: essi rimangono tuttora un punto di riferi­mento indispensabile per ogni più approfon­dita e specifica ricerca di merito.

Ci siamo soffermati sulle date di pubblica­zione dei testi sopracitati perché esse non so­no casuali, né rivelano soltanto un avanza­mento scientifico degli studi americani sul­la guerra civile spagnola in questo ultimo quarto di secolo. In Usa, forse più che in ogni altro paese, ad eccezione naturalmente per ovvie ragioni della Spagna, gli studi sulla guerra civile hanno risentito profondamente della situazione politica ed ideologica inter­na. Il lavoro condotto da Brome nel 1965 ci appare oggi quasi pionieristico. Sino ad allo­ra il maccartismo e la guerra fredda avevano per più di un quindicennio cancellato ogni ri­cordo delle vicende spagnole, disperso, inti­midito ed imprigionato molti reduci, reso difficile ogni reperimento archivistico. La ri­cerca di Brome, e poi di Landis e di Eby, si mosse allora in più direzioni con l’indispen­sabile aiuto dell’organizzazione degli ex-combattenti, il Valb (The Veterans of the Abraham Lincoln Brigade), che ha tuttora sede sociale a New York. Il lavoro che questi storici realizzarono in collaborazione con i veterani fu di effettuare interviste, reperire materiale documentario (corrispondenze, rapporti, memorie scritte e diari inediti, opu-

scolame dell’associazione), raccogliere, con­servare e riaprire gli archivi della Brigata sta­tunitense. Questa intensa attività ha sortito importanti risultati: per il quarantennale, al­la metà degli anni settanta, sono apparse ri­stampe di memorie da tempo introvabili sul mercato editoriale, quali quelle a cura di Ed­win Rolfe e Cecil Alvah Bessie, e reprints di opere del tempo di guerra, quale la strenna della XV Brigata internazionale, alla quale appartennero in maggioranza i volontari di lingua inglese, ivi compresi gli americani: The Book o f the X V Brigade. Il libro fu scritto nel corso del 1937 dai combattenti e raccoglie racconti personali, canzoni e poe­sie; alcuni autori del volume, come ad esem­pio l’italo-americano John Tisa, hanno solo recentemente ripreso il filo narrativo della memoria di quegli eventi e dato alle stampe o rilasciato interviste sulla loro esperienza spa­gnola4.

Bisogna però giungere agli anni ottanta, alla vigilia delle celebrazioni del cinquantesi­mo anniversario, perché si sviluppi la produ­zione in Usa di un’ampia pubblicistica: negli ultimi anni, e con maggiore intensità negli ul­timi mesi, sono apparsi gli scritti relativi alla vicenda spagnola dell’anarchica Emma Goldman, il diario di guerra di Tisa, i ricordi della vedova del primo comandante america­no in Spagna, Robert Hale Merriman, una raccolta di testimonianze orali da parte di John Gerassi e nuove antologie di testi lette­rari ispirati dall’impegno civile di molti intel­lettuali americani in favore della repubblica spagnola. Ritorneremo brevemente alla fine

3 Vincent Brome, The international Brigades, Spain, 1936-1939, London, 1965; Arthur Landis, The Abraham Lin­coln Brigade, New York, 1967; Cecil Eby, Between the Bullet and the Lie. American volunteers in the Spanish Civil War, New York, 1969; Robert A. Rosenstone, Crusade on the Left: The Lincoln Battalion in the Spanish Civil War, New York, 1969; Verle B. Johnston, Legions o f Babel. The International Brigades in the Spanish Civil War, Pennsylvania-London, 1967.4 The Book o f the X V Brigade: records o f British, American, Canadian and Irish Volunteers in the X V International Brigade in Spain 1936-1938, Published by the Commissariat of War of the XV Brigade in February 1938, Reprint Newcastle upon Tyne, 1975. Sulla realizzazione del volume si veda il ricordo di John Tisa, Recalling the good fight. An autobiography o f the Spanish Civil War, South Hadley, 1985, p. 6 e ss.

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della rassegna su quest’ultimo settore lettera­rio, che ha risentito meno di altri delle vicen­de politiche contemporanee e si è quindi svi­luppato con una certa continuità sin dall’im­mediato dopoguerra come tema interno alla storia della letteratura nordamericana.

Gli storici possono ora liberamente e pro­ficuamente lavorare presso gli archivi depo­sitati dal Valb presso la Public Library di New York, nell’archivio André Marty con­servato all’università di Harvard, nei fondi raccolti da alcune università californiane, nella Hoover Institution di Stanford e nella Brancroft Library di Berkeley, e soprattutto possono accedere alle nuove raccolte archivi­stiche che i veterani hanno contribuito a rac­cogliere negli ultimi anni presso l’Università Brandeis di Waltham, Boston. Inoltre gli americani stanno lavorando ormai da molto tempo alla raccolta di testimonianze orali. Forse meno preoccupati di noi degli aspetti metodologici e psicologici nell’approccio con gli intervistati, essi godono di un’ampia e consolidata esperienza giornalistica che for­nisce anche buoni risultati nel campo della divulgazione storica. Ultimamente le miglio­ri raccolte sono state realizzate da autori co­me Studs Terkel, regista radiotelevisivo cre­sciuto alla scuola giornalistica di Chicago, che ha dato alle stampe storie orali sulla Grande crisi del 1929, sulla guerra del Viet­nam e sulla seconda guerra mondiale; libro quest’ultimo, dal titolo The good war, che gli ha permesso di vincere un premio Pulitzer e che raccoglie, tra le altre, alcune testimo­nianze di ex-combattenti nella guerra civile spagnola. Occorre almeno ricordare un altro autore: Ronald Fraser, del quale esce in que­sti giorni una ristampa del libro apparso nel 1979, Blood o f Spain; trattasi di una rico­struzione, basata su testimonianze orali, di

come fu vissuta la guerra contemporanea­mente dal fronte franchista e da quello re- pubblicano. Il libro di Fraser, anche se non ha contribuito alla ricostruzione della storia degli americani in Spagna, in quanto gli in­tervistati erano esclusivamente spagnoli, ha certamente influenzato il metodo e soprat­tutto il riordino e la cura di successivi lavori di storia orale5.

I migliori risultati nella identificazione dei veterani americani non furono ottenuti dal Valb, ma da alcuni uffici federali, in partico­lare dal Subversive Activity Control Board, ufficio istituito da MacCarthy negli anni cin­quanta per perseguire ed inquisire tutti colo­ro che erano allora classificati tra i sovversivi e i comunisti, tra i quali vennero compresi nel 1955 anche gli ex-combattenti in Spagna. Pertanto, l’identificazione che non era riu­scita a fare il Valb al rimpatrio nel 1939, a causa della dispersione dei protagonisti e del­lo scoppio della seconda guerra mondiale, per la difficoltà di attribuire un nome ana­grafico a molti combattenti conosciuti solo con il nome di battaglia, per la perdita dello schedario generale di Brigata, per la reticen­za nella quale si chiusero molti reduci inqui­siti, riuscì in buona parte agli agenti dello Fbi, della Us Military Intelligence e ai “tribu­nali d’inquisizione” degli anni quaranta e cinquanta.

In occasione del cinquantesimo anniversa­rio, dopo tre anni di lavoro portato avanti in collaborazione con alcuni istituti universitari dell’area di Boston, l’associazione dei vetera­ni ha presentato ad un recente convegno te­nutosi all’Università di Harvard e al Massa­chusetts Institut of Technology un elenco il più possibile esaustivo di nomi di ex-volonta­ri, molti dei quali, sopravvissuti alla Spagna, trovarono la morte “sulle spiagge della Nor-

5 Cfr. John Gerassi, The Premature antifascists. An oral History, New York, 1986; Studs Terkel, “The good war”. An oral History o f world war two, New' York 1984; Ronald Fraser, Blood o f Spain: an oral history o f the Spanish Civil War, New York, 1979, 2a ed. riveduta e ridotta nel 1986.

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mandia, di Anzio, di Leyte e di Okinawa”. Un gruppo di essi è rimasto attivo in tutto questo dopoguerra nelle inziative in difesa della pace e del disarmo, dalla guerra di Co­rea a quella del Vietnam, dall’aiuto agli anti­franchisti imprigionati alla recente richiesta di sospendere gli aiuti americani ai contras del Nicaragua. Il maggiore sforzo per rico­struire la propria storia prima, durante e do­po la guerra di Spagna, è soprattutto apprez­zabile in un film di ottima qualità e di buon montaggio prodotto nel 1983 dal Valb in col­laborazione con una troupe cinematografica di Boston e con il supporto tecnico e narrati­vo di Studs Terkel, dal titolo “The good fight” (La giusta lotta). Il film mette a con­fronto la situazione europea con quella sta­tunitense degli anni trenta e ricerca le ragioni della partenza di volontari per la Spagna; in­daga inoltre sull’atteggiamento dell’opinione pubblica americana e sulla politica estera rooseveltiana nei confronti della Spagna6.

La principale domanda alla quale hanno voluto rispondere i veterani americani nel film, come in molti dibattiti che sono seguiti alla sua proiezione in aule universitarie, è stata quella del “perché siamo andati in Spa­gna?”; cosa significava per un nordamerica­no una lotta politica interna ad un paese eu­ropeo; come era da loro percepito il fasci­smo? Sono questi i principali quesiti ai quali hanno cercato di rispondere negli ultimi cin­quantanni gli antifascisti americani. Duran­te gli anni della guerra fredda e del maccarti­smo è stato sostenuto, basando la tesi sull’al­to numero di iscritti al partito comunista americano presente tra i combattenti, che

essi partirono per ordine dell’Unione Sovieti­ca, per combattere al suo servizio in una guerra estranea agli interessi degli Stati Uni­ti. Questa tesi ha permesso che si perseguisse­ro molti veterani con l’accusa di essere delle spie, un corpo estraneo e nemico del paese. Tutte le testimonianze e le memorie scritte al ritorno dalla Spagna recano questo segno e il desiderio di essere capiti, di essere reintegrati nella tradizione democratica americana.

Tra le più toccanti narrazioni vi sono quel­le del poeta Edwin Rolfe del 1939, del diri­gente operaio Steve Nelson, in un libro scrit­to in carcere nel 1953, e dello scrittore e com­mediografo Cecil Alvah Bessie, al quale si deve il testo classico della memorialistica americana sulla guerra civile spagnola: Men in Battle. Bessie scrisse anch’egli, come Rol­fe e come gli altri reduci, la sua storia appena tornato dalla Spagna, nel 19397. Il libro ven­ne poi riedito in più occasioni in questo do­poguerra in Usa e in Messico e reca nell’in­troduzione dell’ultima edizione americana due autodifese dell’operato dei veterani ame­ricani scritte nel 1954 e nel 1975. Esse ap­paiono come una lucida condanna dell’atteg­giamento delle autorità americane che discri­minarono e strumentalizzarono, prima anco­ra di condannare, i reduci. Dopo un iniziale atteggiamento contrario all’entrata in guerra degli Stati Uniti, l’associazione dei veterani suggerì ai suoi iscritti di presentarsi volontari alla leva all’indomani di Pearl Harbor; alcu­ni di loro, come l’ultimo comandante della Lincoln, Milton Wolff, operavano già da tempo per conto della British Intelligence nelle zone occupate dai tedeschi, mettendo a

6 No pasaran! The 50th Anniversary o f the Abraham Lincoln Brigade, catalogo a cura degli Abraham Lincoln Bri­gade Archives e dei Veterans of the Abraham Lincoln Brigade, New York, s.d. Il film reca il titolo di The good fight, 1983, a colori, 98 min., dir. N. Buckner, M. Dore, S. Sills, Usa. Due convegni a Cambridge hanno esaminato, par­tendo dall’evento storico della guerra civile, le conseguenze che essa ha avuto in Spagna e nell’emigrazione antifasci­sta all’estero, in particolare negli Stati Uniti e nelPAmerica latina: The Spanish civil war: the aftermath, Cambridge, 16-18 novembre 1986 e !936-1986: From the Civil War to Contemporary Spain, Cambridge, 14-16 novembre 1986.

Edwin Rolfe, The Lincoln Battalion: the story o f the Americans who fought in Spain in the international brigades, New York, 1939 (2a ed. N.Y. 1974); Steve Nelson, The Volunteers, New York, 1953; Cecil Alvah Bessie, Men in bat­tle: a story o f Americans in Spain, New York, 1939.

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frutto nell’organizzazione della Resistenza le loro passate esperienze di guerriglia. Ma l’e­sercito americano relegò molti di loro in campi di disciplina in territorio statunitense e li impiegò, come semplici soldati o con gradi di sottufficiale, solo nell’ultima fase del con­flitto, tra la fine del 1944 e il 1945. Alcuni di essi, tra i quali Wolff, vennero in contatto durante la campagna d’Italia con il loro ex-comandante in Spagna, Luigi Longo; al­tri, che operarono nel sud della Francia, ri­trovarono i vecchi compagni d’arme francesi e spagnoli passati alla Resistenza e nutrirono per qualche tempo la speranza di estendere la liberazione alla Spagna. Ritornati in patria dopo la guerra, molti vissero la duplice tra­gedia della persecuzione personale, privati quasi sempre del posto di lavoro, e della crisi della sinistra americana e in particolare del partito comunista americano dal quale la maggioranza dei veterani uscì alla metà degli anni cinquanta8.

Per capire perché essi andarono in Spagna bisogna innanzitutto analizzare le origini et­niche e razziali dei volontari e l’epoca storica che essi vissero negli Stati Uniti; il 1936 se­gnò un momento di passaggio nelle lotte del­la sinistra americana, dopo l’organizzazione dei disoccupati durante la Grande crisi, le marce contro la fame, le speranze e la mobi­litazione del New Deal, la crescita numerica dell’organizzazione operaia nei sindacati e nel partito comunista e socialista, l’impegno degli intellettuali e la loro simpatia o adesio­ne al comuniSmo negli anni trenta. La Gran­de crisi aveva accelerato la circolazione di

manodopera tra gli States e il New Deal ave­va fornito lavori temporanei a giovanissimi alla dipendenza di uffici statali e di assisten­za pubblica. Tra questi lavoratori nomadi e tra questi giovani erano stati reclutati i nuovi quadri di attivisti sindacali e i componenti di quelle organizzazioni, in larga parte control­late dal partito comunista, che dovevano comporre, secondo la nuova parola d’ordine della Terza Internazionale, uno schieramen­to frontista interno alla società americana. Le autobiografie di Tisa e di due commissari politici in Spagna, John Gates e Steve Nel­son, sono estremamente significative in pro­posito. Tisa aveva appartenuto all’organiz­zazione giovanile socialista di Camden, New Jersey, e dopo aver guidato uno sciopero, era entrato nell’American Federation of La­bor ed aveva lavorato per la Works Progress Administration; nel 1936, dopo aver prote­stato contro l’atteggiamento moderato e contraddittorio assunto dal congresso A fi di quell’anno nei confronti della difesa della Spagna repubblicana, contattò l’organizza­zione comunista e partì volontario all’età di ventidue anni. La narrazione di Nelson si apre invece a Chicago, nel marzo 1930, du­rante la fase di organizzazione dei disoccupa­ti e in una delle tante incarcerazioni da lui su­bite; egli incontrò in quella occasione molti di coloro che sarebbero stati in seguito suoi compagni in Spagna, in particolare Oliver Law, leader della comunità nera di Chicago e futuro comandante nella guerra civile spa­gnola. John Gates, nato nel 1913, divenne a sua volta un dirigente della Young Commu-

8 Cfr. l’edizione del libro di Bessie, Men in battle, cit., del 1975 (S. Francisco), pp. 358-375; l’intervista a M. Wolff in S. Terkel, The good war, cit., pp. 480-487; J. Tisa, Recalling the good fight, cit., pp. 7 e 223-226. L’organizzazio­ne dei combattenti americani in Spagna cominciò a scrivere della propria esperienza ancor prima della fine della guerra civile; ricordiamo qui alcuni opuscoli da essa pubblicati; The Story o f the Abraham Lincoln Battalion: Writ­ten in the trenches o f Spain, New York, Friends of the A. Lincoln Battalion, 1938; Joseph North, (Foreword by Er­nest Hemingway), Men in the Ranks: the story o f twelve americans in Spain, New York, Friends..., 1939: R.B. Hud­son, True Americans: a tribute to american maritime workers who fought fo r world democracy in the trenches o f Spain, New York, Workers Library Publisher, 1939; D.H. White-J. Hawthorne, Fascist Spain, American Enemy, New York, Veterans of the A.L. Brigade, 1945 e degli stessi autori: From these Flonored dead, New York, 1945.

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nist League e, mandato da New York ad ope­rare nell’area industriale di Cleveland e di Youngstowne, nell’Ohio, partì per la Spagna a ventitré anni con lo stesso entusiasmo con il quale aveva diretto le lotte in America, sen­za particolari nozioni e conoscenze sulla po­litica interna spagnola ed internazionale, in uno slancio ideale e in rappresentanza di tan­ti altri giovani compagni che rimanevano a lottare in Usa.

Non possediamo purtroppo per ora dati precisi sulla provenienza territoriale dei vo­lontari americani, né ad essa gli storici della Lincoln hanno dedicato un’attenzione parti­colare. Ma valutando i singoli cenni biografi­ci contenuti nei libri di documentazione, quale il Book o f the X V Brigade, e nelle au­tobiografie, riteniamo che la maggioranza dei lavoratori manuali e degli agitatori politi­ci giunti dagli Usa in Spagna provenissero dalle aree di vecchia industrializzazione della costa atlantica e del Midwest: dalle regioni minerarie e siderurgiche della Pennsylvania (in particolare da Pittsburgh), dall’Ohio, dal New Jersey e da New York, dai quartieri operai e dai ghetti neri di Detroit e di Chica­go, dove il partito comunista americano ave­va reclutato all’inizio degli anni trenta la maggioranza dei nuovi militanti. Ad esem­pio, Sandor Voros, commissario politico del­la XV Brigata, emigrato dall’Ungheria a 21 anni nel 1920, ricordava nella sua autobio­grafia che la sua formazione politica era av­venuta all’interno della comunità di lavora­tori ungheresi di Cleveland, di New York e di Hamilton, in territorio canadese9.

Una seconda componente di volontari era costituita da studenti universitari; quest’uiti- mi, più diversificati dei primi per provenien­za sociale e regionale, giunsero in Spagna an­che dai campus universitari della California e del sud. Provenivano dagli studi più diversi,

da quelli umanistici a quelli scientifici; ci pa­re però che prevalessero quelli ad indirizzo tecnico, che fecero sì che gli universitari in­sieme agli operai qualificati americani giunti in Spagna costituissero il nucleo portante di diversi servizi tecnici, del genio e dell’arti­glieria della XV Brigata internazionale. La componente più anziana delle formazioni americane era infine rappresentata da molti intellettuali e da lavoratori qualificati, tra i quali prevalevano i marittimi e un gruppo anarchico libertario che già prima della gran­de crisi aveva scelto una vita girovaga e dai mille mestieri. Era questa terza componente, in particolare gli intellettuali, che in parte si trovavano in Europa allo scoppio della guer­ra civile spagnola o che avevano già frequen­tato gli ambienti politici e culturali europei degli anni venti, ad avere nel 1936 un’idea più precisa della situazione in Spagna. Essi inoltre possedevano un’immagine, se non un’esperienza, di guerra, avendo vissuto la prima guerra mondiale sul fronte europeo o avendo almeno sofferto la crisi morale e il di­sorientamento del primo dopoguerra (un ri­chiamo quasi ovvio deve essere fatto alla “generazione perduta” dei giovani intellet­tuali americani in Francia descrittaci da He­mingway e da Fitzgerald). Essi erano forse gli unici in grado d’interpretare le peculiarità del fascismo e del nazismo. I più giovani non possedevano né un’idea di guerra moderna, né una conseguente preparazione psicologica ed identificavano il fascismo con la destra americana, con il razzismo, il Ku Klux Klan, con le squadre di picchiatori assoldate dal padronato per punire gli scioperanti e i “rossi”.

Nei giovani volontari che partivano per la Spagna dai porti statunitensi vi era una ri­chiesta di libertà e di egualitarismo che deri­va dalla loro esperienza quotidiana10. Anche

9 Da Sandor Voros, American Commissar, Philadelphia, 1961.10 “Tutti noi in questo gruppo siamo antifascisti, e nessuno di noi va in Spagna per una personale avventura. Noi an­diamo per un comune principio al quale crediamo, ed è il principio che non vi sono frontiere né paesi. Nessuno qui fa

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le testimonianze rilasciate nel film “The Good Fight” sottolineano questa istanza di eguaglianza; e lo sottolineano soprattutto le donne e i negri intervistati. Tom Page ricor­da come il suo impegno per la Spagna era na­to con la solidarietà con il popolo etiopico aggredito dallTtalia fascista nel 1935 e con le prime notizie di persecuzione razziale prove­nienti dalla Germania nazista e asserisce, sempre nel film, che nella Lincoln non avver­tì mai la discriminazione nei confronti della sua pelle nera. Evelyn Hutchins, volontaria nel servizio sanitario della XV Brigata, di­chiara che l’impulso a partire per la Spagna fu dettato anche da ragioni di emancipazione femminile.

Inoltre, tutte le testimonianze scritte e i da­ti raccolti concordano nel sottolineare che gli americani erano in maggioranza più giovani di altre componenti nazionali presenti nelle Brigate internazionali: gli statunitensi erano generalmente ventenni. Da questa constata­zione possiamo trarre un altro aspetto carat­teristico dei volontari della Lincoln: pur ap­partenendo ed identificandosi con compo­nenti linguistiche e razziali differenti, tutti, dal più vecchio al più giovane, si considera­vano esclusivamente americani. Ricordiamo qui un episodio significativo: Voros, quando arrivò in Spagna e si vide reclutato nelle for­mazioni ungheresi, rifiutò sino a rischiare l’arresto; egli era divenuto americano e tra gli americani voleva restare a combattere. Leggendo l’elenco dei nomi raccolti dal Valb nella citata pubblicazione apparsa per il cin­quantenario, riscontriamo che i cognomi dei volontari d’origine anglosassone non rag­giungono la maggioranza; troviamo molti

nomi italo-americani, ispanici, polacchi e una forte percentuale di patronimici d’origi­ne ebraica. Le conclusioni non ci devono stu­pire, se consideriamo che i volontari erano in maggioranza reclutati tra le file del partito comunista americano e che quest’ultime era­no composte, stando ai ricordi di Gates, a New York in larga parte da ebrei e nell’area di Cleveland e di Youngstown da slavi, un­gheresi, italiani, greci11. La grande maggio­ranza di questi giovani aveva vissuto l’emi­grazione solo attraverso l’esperienza dei pa­dri. Diversa era invece la situazione per i ca­nadesi che combatterono a fianco degli sta­tunitensi sul fronte spagnolo.

Alla fine degli anni sessanta Victor Hoar ha compiuto un’interessante ricerca sul bat­taglione canadese Mackenzie-Papineau, ba­sandosi su interviste e su di un fondo relativo a circa seicento cartelle personali di ex-com­battenti canadesi in Spagna, conservato pres­so la Toronto Public Library. Hoar ha calco­lato che circa milleduecentocinquanta volon­tari partirono dal Canada: il 61,5 per cento di essi era composto da trentenni, contro il 28,9 per cento di trentenni, calcolato con un’analoga campionatura, per gli statuniten­si. Una delle ragioni dell’età media alquanto alta dipendeva dal fatto che i volontari cana­desi erano spesso di recente immigrazione: tra i tre principali gruppi etnici rappresentati nel battaglione canadese, gli anglosassoni della British Columbia, gli ucraini della re­gione delle praterie e i finnici del nord-Onta­rio, prevalevano gli ucraini e i finnici e con essi altri immigranti provenienti dal centro- est dell’Europa, in particolare dall’Unghe­ria. Molti ucraini ed ungheresi si erano tra­

caso a chi è irlandese od ebreo, a chi è negro o rumeno, nessuno sta sopra o sotto un altro uomo”, da un discorso pronunciato alla partenza di un gruppo di volontari, riportato da S. Nelson, The Volunteers, cit., p. 32. Si vedano anche le interviste raccolte da J. Gerassi, The premature antifascists, cit., in particolare l’intervento dell’infermiera negra Salaria Kee O’Reilly (lungamente intervistata anche nel film “The Good Fight”): Salaria lavorava in un ospe­dale di Harlem e le fu rifiutato l’arruolamento nella missione della Croce rossa internazionale in Spagna perché di pelle nera: parti pertanto con il Lincoln Battalion.11 Cfr. John Gates, The Story o f an American Communist, New York, 1958, p. 32.

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sferiti in Canada nell’immediato primo dopo­guerra; la popolazione ucraina in Canada era addirittura raddoppiata tra il 1918 e il 1938 e la maggioranza dei militanti comunisti cana­desi erano d’origine ucraina, trasferitisi al Pc dal partito socialdemocratico ucraino, spic­catamente nazionalista. La maggioranza di questi volontari canadesi erano stati reclutati nelle città di Vancouver, Winnipeg, Montreal e Toronto. Toronto, ai confini con gli Usa e grande città di recente espansione, era il cen­tro di raccolta dei combattenti, che poi veni­vano generalmente convogliati dalle organiz­zazioni comuniste canadese e statunitense su New York, porto d’imbarco clandestino dei volontari nord-americani. A differenza però degli statunitensi, i canadesi avevano mante­nuto un forte legame con l’Europa; la guerra di Spagna non era per loro una generale lotta contro il fascismo internazionale, ma l’inizio di una lotta che li avrebbe riportati a vivere nel loro paese d’origine. Infatti, diversi di questi volontari provenienti dal Canada nel 1939 non ritornarono in America, ma rimasero in Francia o rientrarono allo scoppio della se­conda guerra mondiale nei paesi d’origine, confondendosi con la resistenza locale. Per età, per esperienza e per tradizione antifascista, i canadesi si riconobbero e si assimilarono più facilmente degli statunitensi ai volontari prove­nienti dall’Italia, dalla Germania, dalla Polo­nia e da altri paesi dell’Europa orientale12.

Ma quanti furono gli americani che parti­rono volontari per la Spagna? Il calcolo si è rivelato molto difficile ed è stato più volte ri­

veduto; il commissario Voros, arrivando in Spagna dopo la battaglia di Jarama del feb­braio 1937, riscontrò che era difficile compi­lare un attendibile elenco non solo degli scomparsi, ma anche degli americani presenti al fronte. Oltre alla confusione e alle perdite umane di quei giorni (in una sola giornata a Jarama erano stati contati 153 morti su 337 effettivi americani mandati all’attacco), nei mesi successivi sempre a detta di Voros, il partito comunista americano si rifiutò di regi­strare i nomi dei caduti e di comunicarli alle famiglie e alle organizzazioni americane per motivi di sicurezza, ma anche per non scorag­giare la partenza di nuovi americani e l’invio di aiuti dagli Usa. Parte degli archivi di battaglio­ne, trasportati da Tisa a Barcellona al Quartie­re generale delle Brigate internazionali, dopo il ritorno in patria della Lincoln, andarono poi dispersi e pertanto solo una parte di essi entra­rono in Usa nelle valigie di alcuni commissari e comandanti. Solo a posteriori si è tentato un calcolo: testimonianze e ricostruzioni storiche concordano nel valutare a circa tremila le unità statunitensi presenti totalmente in Spagna du­rante il 1937 e il 1938. Più difficile ancora è stato il calcolo dei morti e dei dispersi: certa­mente più di un terzo, alcuni giungono ad af­fermare che essi raggiunsero quasi la metà de­gli effettivi; sicuramente fu un numero estre­mamente alto, che risponde alle notizie che ci sono pervenute sul continuo impegno degli americani al fronte e nelle trincee13.

Altra questione che ha fatto discutere mol­to gli storici e i protagonisti: quanti di loro

12 Victor Hoar, The Mackenzie-Papineau Battalion. Canadian participation in the Spanish Civil War, s.l., 1969. Tra i volontari era anche presente un gruppo di una quarantina di franco-canadesi, alcuni cattolici in contrasto con la posizione pro-franchista assunta dal delegato apostolico in Canada, Monsignor Antoniutti; un solo italo-canadese risulta aver partecipato alla missione in Spagna. 1 canadesi, a differenza degli statunitensi, non risentirono di nessun particolare problema o discriminazione politica al loro ritorno in patria.13 Si è giunti ad un calcolo totale di circa cinquemila nord-americani presenti tra il 1936 e il 1939 in Spagna, com­prendendo tra essi i circa tremila statunitensi, i quasi milletrecento canadesi e gli americani che avevano lavorato nei servizi sanitari per conto del governo repubblicano. Nessuna fonte parla di volontari americani schieratisi con i ribel­li franchisti, tanto che si tende ad escludere la presenza di fascisti nord-americani a quel tempo in terra spagnola; cfr. F.J. Taylor, The United States, cit., cap. V (documentazione basata sulle fonti diplomatiche americane del tempo).

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erano comunisti? Certamente la maggioran­za; Johnston e Brome, sulla base di testimo­nianze raccolte, asseriscono che la percen­tuale dei comunisti americani era più alta di quella del sessanta per cento registrata a li­vello internazionale, facendo una media tra tutti i componenti delle Brigate internaziona­li: probabilmente essa si aggirava sul settan- tacinque per cento. Gates parla addirittura di un ottanta per cento, considerando che, se già la maggioranza di coloro che partivano dagli Stati Uniti era iscritta e militante nelle file del partito comunista americano, almeno un quindici per cento aderì alla Terza Inter­nazionale in Spagna. Diverse ragioni spiega­no questa alta percentuale: innanzitutto il fatto che il partito comunista americano fos­se il maggior reclutatore di volontari; John­ston ha incontrato nella sua ricerca persone che avrebbero voluto partire per la Spagna, ma non ne trovarono il modo, non avendo contattato il Pc. Coloro che partirono auto­nomamente erano essenzialmente intellettua­li o lavoratori manuali ormai trentenni che avevano già una qualche familiarità con l’Europa e con pratiche di viaggio ed aveva­no una rete di contatti personali con la Fran­cia, l’Inghilterra o con l’Unione Sovietica. Anche i socialisti americani contribuirono con la Debs Column ad inviare volontari, ma in numero irrisorio rispetto al contingente raccolto dai comunisti. Furono essenzial­mente le agenzie di viaggio comuniste, ope­ranti sulla piazza di New York, ad effettuare la maggior parte degli invii di aiuti e di com­

battenti clandestini in Spagna. Da quando il governo degli Stati Uniti aveva deciso, nel gennaio 1937, l’embargo nei confronti della Spagna, non solo i volontari ottenevano un passaporto nel quale era esplicitamente vie­tato l’ingresso in questo paese, ma erano an­che suscettibili di condanna ad un anno di prigione o ad una forte penale “per arruola­mento di un cittadino americano in una guer­ra straniera” . A piccoli gruppi gli americani venivano quindi imbarcati su transatlantici in rotta verso la Francia sotto la falsa veste di comitive di turisti o di gruppi di lavoratori interessati a visitare l’Esposizione universale di Parigi del 193714. _

In base a questi elementi, sin dal 1937 l’o­pinione pubblica americana di destra, favo­revole a Franco e ad una politica di totale embargo nei confronti della repubblica spa­gnola, accusò i volontari americani di essere al soldo dell’Unione Sovietica e della Terza Internazionale e pertanto un corpo estraneo alla democrazia americana15. L’aspetto che invece appare più sorprendente è che tuttora vi siano degli storici che assumono questi da­ti come pregiudiziale per sostenere che l’uni­ca funzione che le Brigate internazionali eb­bero nella guerra civile spagnola fosse quella di imporre la presenza e la direzione nella po­litica interna spagnola dell’Unione Sovietica. Questa tesi, riproposta nel 1982 dall’ameri­cano R. Dan Richardson, non rende giustizia agli ideali, allo spontaneismo ed anche alle diversità storiche e politiche nazionali che spinsero migliaia di uomini a combattere per

14 Quasi tutte le memorie dei volontari si aprono con il racconto del viaggio transatlantico nell’inverno 1936-1937, delle macchine fotografiche portate al collo in maniera vistosa e con le attrezzature da campeggio nascoste in valigia, con l’arrivo in Francia e la visita frettolosa di Parigi in attesa di essere smistati verso il sud e di poter attraversare i Pi­renei. Per i primi americani che entrarono in Spagna, il viaggio fu semplificato dalla chiusura non definitiva e rigida della frontiera franco-spagnola; per quelli che arrivarono successivamente il passaggio fu più difficile e fu general­mente compiuto a piedi. Gli ultimi giunsero per mare ed alcuni di essi, come accadde agli americani e canadesi partiti con la nave “Ciudad de Barcelona” nella tarda primavera del 1937, persero la vita ancor prima di giungere in Spa­gna, silurati da sottomarini italiani che assediavano le coste spagnole.15 Cfr. F.J. Taylor, The United States, cit., e A. Guttmann, American neutrality, cit.; Dante Antony Puzzo, Spain and the great powers 1936-1941, New York, 1962, William E. Watters, An international affair: non-intervention in the Spanish Civil War 1936-1939, New York, 1971.

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la Spagna repubblicana. Importante pertan­to ci pare il contributo che nel 1983 E.H. Carr ha portato alla discussione con un li­bro che chiarisce nuovamente i rapporti che intercorsero tra la Terza Internazionale e i movimenti antifascisti europei ed americani al momento della costituzione delle Brigate internazionali e durante il loro successivo incorporamento nell’esercizio regolare spa­gnolo con il decreto Prieto del settembre 193716.

In realtà, leggendo le memorie scritte dai volontari americani, traspare una situazione più complessa di un semplice richiamo orga­nizzativo e disciplinare del partito comunista americano; da esse si può intuire e trarre una comune aspirazione all’egualitarismo, da sperimentare nelle formazioni combat­tenti in Spagna, che avrebbe dovuto consoli­dare le diverse provenienze sindacalista, co­munista, anarchica, libertaria ed antirazzista di quei militanti americani che amarono far­si chiamare in seguito “the premature anti­fascists”. I nomi che scelsero per identificare le loro formazioni rendevano omaggio alla comune tradizione democratica americana: Lincoln Battalion, Washington Battalion, John Brown Battery. Bessie ha dichiarato che “Abraham Lincoln non fu scelto casual­mente, Lincoln rappresentava per tutti noi quegli aspetti della tradizione democratica americana che vivranno per sempre e che per sempre faranno onore al nome degli Sta­ti Uniti: la battaglia contro la schiavitù, con­tro lo sfruttamento del ricco sul povero, la lotta per la dignità e per il progresso umano contro quelle forze che vorrebbero far retro­cedere i popoli dal raggiungimento e dall’e­spletamento delle loro potenzialità”17. An­

che i canadesi attinsero dalla tradizione ideale del loro paese; William Lyon Mac­kenzie e Louis Papineau avevano guidato nella prima metà dell’Ottocento la lotta dei coloni canadesi contro gli inglesi. Queste de­nominazioni rivelano anche che i nordameri­cani non avevano una tradizione più recente di lotta e di vittime del nazifascismo alla quale richiamarsi, come invece accadde ai tedeschi, agli austriaci o agli italiani, che de­dicarono le loro formazioni al ricordo non solo di eroi nazionali, come Garibaldi, ma anche a compagni caduti od imprigionati in lotte recenti: pensiamo ai battaglioni “Sozzi”, “Nanetti”, “Thàlmann”, “ 12 Feb­braio” .

Anche dopo la guerra gli ex-combattenti americani amarono richiamarsi al nome del­la Lincoln Battalion (anzi della “Lincoln Bri­gade”), anche se la loro organizzazione in Spagna era stata ben più complessa ed arti­colata. Il primo contingente di 96 americani aveva lasciato New York alla volta della Spa­gna il 26 dicembre 1936; con essi viaggiava un gruppo di combattenti latino-americani, in larga parte cubani fuggiti in Usa alla ditta­tura di Batista e comandati da un giovane studente di medicina, Rodolfo de Armas (morto nel febbraio 1937 sul fronte di Jara- ma), che avrebbero formato la Cuban sec­tion del Lincoln Battalion. I primi volontari furono convogliati verso il campo di adde­stramento di Villanueva de la Jara, presso Albacete e, dopo l’arrivo di altri quattrocen­to nordamericani, formarono il quarto bat­taglione della XV Brigata internazionale, co­stituita da inglesi, australiani, slavi e da fran­cesi e belgi. Complessivamente, il gruppo più omogeneo di nordamericani, raccolti sotto i

16 R. Dan Richardson, Comintern Army: the international brigades and the Spanish civil war, Lexington, 1982; E.H. Carr, The Comintern and the Spanish Civil War, New York, 1984.17 C.A. Bessie, Men in battle, cit., ed. 1975, p. XL Marion Merriman ricorda che il nome da dare al battaglione fu democraticamente votato in Spagna dai primi volontari americani nel febbraio 1937: cfr. Marion Merriman-Warren Lerude, American Commander in Spain. Robert Hale Merriman and the Abraham Lincoln Brigade, Reno, 1986, p. 89.

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battaglioni Lincoln, Washington e “Mac- Pap”, fu impiegato nei quasi due anni di pre­senza in Spagna su sei fronti di combattimen­to: sul fiume Jarama, tra il febbraio e il giugno 1937, in difesa di Madrid e sulla strada che congiunge Valencia a Madrid contro le truppe italiane; nella battaglia di Brunete, ad ovest di Madrid, nell’offensiva fascista del luglio-ago­sto 1937; sul fronte d’Aragona, nella controf­fensiva repubblicana dell’agosto-ottobre 1937; nella battaglia alle fonti dell’Ebro nel­l’ottobre 1937; a Teruel, a nord-ovest di Valen­cia dal dicembre 1937 sino alla rovinosa ritira­ta del marzo 1938 ed infine nel contrattacco sulle rive dell’Ebro durante l’estate 1938.

In tutte queste battaglie, gli americani subi­rono spaventose decimazioni soprattutto tra gli ufficiali, tanto che uno dei protagonisti, Edwin Rolfe, ha sostenuto che tra i graduati e i commissari vi furono proporzionalmente più uccisi che tra i soldati semplici, così da porre agli americani continui problemi di ri­cambio dei quadri dirigenti; la stessa osserva­zione era stata fatta da Longo nella sua narra­zione sulle Brigate internazionali18. Il primo grosso contributo di vittime lo diedero subi­to, nella battaglia di Jarama tra il febbraio e il marzo 1937, dove rimasero uccisi o feriti la maggioranza degli americani già giunti in Spagna; tra i feriti vi era anche il primo e cer­tamente il più popolare dei comandanti che il battaglione americano ebbe: Robert Hale Merriman, che con il marinaio James Harris e il commissario politico Stamber componeva il primo comando. A Merriman, che sarebbe poi scomparso in battaglia un anno dopo il suo primo ferimento, tutte le memorie, le cro­nache dell’epoca (comprese le corrisponden­

ze giornalistiche di Hemingway) e le successi­ve ricostruzioni storiche hanno dedicato am­pio spazio. La recente biografia scritta dalla moglie Marion contribuisce ora a correggere delle inesattezze e a ricostruire complessiva­mente non solo la figura di combattente, ma anche le motivazioni ideali e culturali che spinsero un giovane ricercatore in economia agraria di ventotto anni, che stava comple­tando in Europa la sua tesi di dottorato, a partecipare tra i primi alla guerra di Spagna. A Merriman fu assegnato quasi subito dopo il suo arrivo il comando di battaglione, con il grado di maggiore dell’esercito, perché aveva ricevuto in patria una educazione militare e sportiva, come giocatore di calcio e come uf­ficiale della riserva dell’esercito statuniten­se19. Merriman ferito fu temporaneamente sostituito al comando da Martin Hourihan; quando ritornò in possesso delle sue funzio­ni, nell’estate 1937, la XV Brigata era stata nel frattempo completamente ristrutturata in due reggimenti sotto la direzione del croato Copie: il primo, al comando di George Na­than, comprendeva i battaglioni Lincoln e Washington (il Washington raccoglieva a sua volta la maggioranza dei combattenti negri, non solo statunitensi, comandati da Oliver Law); il secondo raggruppava le formazioni inglesi. Dopo la morte di Law, Steve Nelson, commissario politico, passò al comando della Washington che, poco dopo, per le perdite subite e per la scarsità degli effettivi, venne reincorporata nella Lincoln.

Sul fronte d’Aragona, durante l’estate 1937, gli americani detenevano larga parte del comando della XV: Merriman e Nelson coordinavano il Battaglione Lincoln-Wa-

18 “Molto gravi sono le perdite delle brigate internazionali nella battaglia del Jarama... Tra i morti e i feriti, sono numerosi i quadri militari e politici: giovani commissari e valorosi comandanti. Alcune compagnie e al­cuni battaglioni hanno cambiato il loro comandante più volte in una sola giornata. Il battaglione Lincoln, nel corso della battaglia, ha conosciuto sei comandanti” , da Luigi Longo, Le Brigate internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956, p. 237.19 Su Merriman, oltre a tutte le memorie e agli studi già ricordati, si veda anche Ernest Hemingway, The Spanish war, London, 1938, p. 35.

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shington, con l’aiuto di Hans Amlie, inge­gnere del Wisconsin e membro della Irish Re­public Army; altri due americani, Thompson come comandante e Joe Dallet come com­missario politico, comandavano la Macken­zie-Papineau. Della vita nelle trincee, dei combattimenti, dell’organizzazione degli ac­campamenti e dei tempi di riposo rimangono ampie testimonianze nel Book o f the X V Bri­gade. I primi profili dei combattenti scom­parsi, le loro origini e le motivazioni del loro arruolamento sono deducibili da queste pagi­ne, scritte con grande coinvolgimento emoti­vo ed ideale. Sappiamo da alcuni sopravvis­suti ed in particolare da Voros, che molti vo­lontari tenevano dei diari: alcune di queste pagine furono pubblicate nel Book; Voros, quando venne inviato, alla metà del 1937, in Spagna dal partito comunista americano per verificare lo stato d’animo dei combattenti americani si documentò essenzialmente su questi diari più che in confidenze ed incontri personali. Solo recentemente si è fatto ricor­so a questi appunti dal fronte per completare la storia “interna” della Lincoln: Marion Merriman ha integrato i suoi ricordi perso­nali con pagine tratte dal taccuino del mari­to; Tisa ha fatto ricorso al suo diario; Geras- si ha invitato i protagonisti intervistati a con­sultare i vecchi appunti.

Le difficoltà militari e politiche riapparve­ro tra l’autunno e l’inverno 1937-1938, quan­do, oltre alla complessa riorganizzazione del­le Brigate internazionali nell’esercito regola­re repubblicano, gli americani e più in gene­rale la XV Brigata persero in battaglia buona parte della prima generazione di quadri diri­genti: sul fronte d’Aragona morì Joe Dallet, alle Fuentes d’Ebro scomparve un altro uffi­ciale della “Mack-Pap”: Milton Herndon, che comandava il reparto d’artiglieria. Mil­

ton, meccanico qualificato, era fratello di Angelo, leader della comunità nera di Chica­go, e fu da essa celebrato, insieme a Law, co­me il contributo in sangue che i negri ameri­cani avevano dato alla lotta antirazzista in Europa. Nella ritirata del marzo 1938 scom­parvero poi Merriman, Copie e il nuovo commissario politico della Lincoln, Dave Doran20. Dei primi volontari americani giun­ti all’inizio del 1937 ne erano sopravvissuti poco più di una quarantina; altri combatte­vano ancora in unità minori nel sud della Spagna. L’ultimo comando americano, che sotto la direzione di José Antonio Valledor, uno dei protagonisti della rivolta delle Asturie, affrontò la battaglia sulle rive dell’Ebro era composto da Milton Wolff, da Lamb, co­mandante in seconda, da Watt, commissario politico; John Gates, giunto dal sud, era di­venuto commissario politico della Brigata.

Abbiamo tentato di riassumere qui breve­mente le vicende storiche e di esemplificare con alcuni profili personali il complesso con­tributo di vite e di lotte che i volontari ameri­cani diedero alla Spagna. Molte domande però rimangono aperte dopo la lettura delle storie e delle memorie del Lincoln Battalion; domande trascurate dagli storici e dai prota­gonisti. Tutte le autobiografie ci paiono sin­cere, ma fanno intravedere particolari sui quali spesso il narratore non si sofferma; via via che si allontana dall’esperienza vissuta il ricordo tende a smussare i contrasti esistiti e a sottolineare piuttosto il solidarismo che aveva unito e che tuttora lega tra loro gli ex-combattenti. Ci siamo però chiesti quale conoscenza gli americani avessero a quel tempo della situazione interna spagnola; se avessero avuto un qualche ruolo nella repres­sione del Poum e degli anarchici spagnoli nelle giornate di Barcellona; quale fosse stata

20 Per un profilo di Joe Dallet, giovane dirigente comunista di Youngstown, e di Dave Doran si veda J. Gates, The story o f on American Communist, cit., pp. 48-58. Altre biografie dei caduti sono contenute nei libri di E. Rolfe, C.A. Bessie, V. Brome, V.B. Johnston.

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la funzione dei commissari politici americani e come essi vivessero, da militanti americani, il rapporto con gli alti comandi spagnoli e con i quadri dirigenti delle Brigate interna­zionali.

Ci pare che la grande maggioranza dei vo­lontari americani, almeno quelli che furono inquadrati nelle formazioni qui descritte, sia rimasta estranea ai contrasti interni intercor­si tra le forze della sinistra spagnola e ai fatti di Barcellona. Gli americani furono essen­zialmente impegnati in combattimento e mai in funzioni di polizia interna. Molti erano però antitrotskisti; Hoar rivela che uno dei requisiti negativi per il quale si rifiutava in Canada l’arruolamento tra le file dei partenti per la Spagna era quello di appartenere ad un gruppo trotskista; il secondo quello di aver appartenuto alle Giubbe rosse della polizia canadese21. Nelson confessava nella sua au­tobiografia del 1953, in maniera brutale ma sostanzialmente sincera, di aver sostenuto, in qualità di commissario politico, la repressio­ne nei confronti del Poum. Gates invece cer­cava di giustificare nel 1958 l’atteggiamento suo e dei suoi compagni: nulla di diverso avrebbero potuto fare gli americani che di consentire con la repressione; a quel tempo erano tutti convinti, in base alla lettura dei giornali spagnoli come di quelli comunisti in­ternazionali, che esistesse effettivamente una quinta colonna interna disgregatrice dell’e­sercito repubblicano: se i processi in Urss stavano rivelando che spie e traditori aveva­no operato in quel paese, nulla di più facile

che agenti fascisti si fossero infiltrati anche nella classe operaia spagnola ed internazio­nale.

I veri contrasti nacquero invece in seno al­le forze combattenti americane e tra esse e i comandi delle Brigate internazionali. Gli americani dovevano apparire in Spagna co­me coraggiosi combattenti, generosi compa­gni d’arme, ma anche come individualisti e indisciplinati, come grandi bevitori, difficil­mente assoggettabili alla disciplina imposta da alcuni dirigenti comunisti europei, in par­ticolare da André Marty, che era il loro diret­to superiore. Si doveva trattare probabil­mente di diverse mentalità e di diverso modo di affrontare la militanza politica; era questo che principalmente divideva gli americani da altre componenti europee. Se non abbiamo trovato mai segnalazioni di screzi intervenuti tra volontari americani e spagnoli, quelli tra americani e francesi erano all’ordine del giorno, altri ancora insorsero tra gli america­ni e gli inglesi. I francesi cercarono per lungo tempo di detenere la supremazia nella XV Brigata; mentre i contrasti con gli inglesi, av­vennero essenzialmente tra ufficiali che non riuscivano a superare le differenze di classe e di cultura che pur permanevano tra i com­battenti. A questi problemi interni venne ad aggiungersi un profondo sconforto per le perdite umane subite nei primi combattimen­ti e per la dura vita di trincea. Riteniamo che l’equilibrata personalità di Merriman e l’a­scendente che egli seppe esercitare sugli uo­mini abbiano avuto un’importanza fonda-

21 Vedi Hoar, The Mackenzie-Papineau, cit., cap. IV, dove ricorda anche che l’assassino di Trotsky arrivò in Ame­rica proprio passando per il Canada con un passaporto canadese appartenente ad un volontario della British Colum­bia, morto combattendo in Spagna: Tony Babich. Non abbiamo trovato testimonianza scritta sulla presenza di anar­chici americani nella guerra di Spagna, anche se siamo convinti che alcuni di loro abbiano operato ih Catalogna: nes­suna notizia utile si può trarre dal testo americano che più ha analizzato lo scontro avvenuto nella sinistra spagnola nel corso del 1937: Burnett Bolloten, The grand camouflage, 1961, nuova edizione riveduta The Spanish Revolution. The left and the struggle fo r power during the Civil war, Chapel Hill, 1979. Né gli scritti di Emma Goldman sono rive­latori in proposito, in quanto la dirigente anarchica russo-americana ormai viveva in esilio in Francia ed intratteneva rap­porti diretti e personali con gli spagnoli, senza l’intermediazione dell’organizzazione anarchica americana; si veda David Porter (edited with introductions by) Vision on fire. Emma Goldman on the Spanish revolution, New York, 1983.

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mentale nell’evitare che si moltiplicassero le sommosse interne e le diserzioni, che pur si produssero nel corso del 1937. Quando Vo- ros arrivò in Spagna nell’estate 1937 per in­dagare sui fatti trovò una situazione ben di­versa da quella idilliaca che in patria il gior­nale comunista “Daily Worker” presentava ai lavoratori americani: continuavano e si in­tensificavano le proteste americane per il cat­tivo trattamento subito al loro arrivo in Spa­gna e per l’insufficiente addestramento rice­vuto e Marty aveva a più riprese minacciato di rinviare a casa il contingente americano. Il compito dei commissari fu pertanto quello della pacificazione interna e di curare i rap­porti con i comandi. Gates ha asserito, in un’intervista rilasciata a Johnston, che fu a conoscenza, e pertanto come commissario responsabile, di una sola esecuzione di un americano combattente nelle unità di sua giurisdizione durante la ritirata della prima­vera 1938; la condanna per diserzione fu ese­guita come esempio e monito per altri atti di indisciplina.

Le immagini sulla vita di trincea, che le biografie suscitano, non appaiono diverse da quelle nitidamente descritte da George Or­well in Omaggio alla Catalogna. Ciò che in­vece risulta immediatamente diversa è la do­tazione tecnica e in armi che gli americani possedevano rispetto ai giovanissimi volon­tari anarchici e sindacalisti del fronte catala­no. Dotati di buoni tecnici, gli americani riu­scirono facilmente a superare le difficoltà, se non personali, almeno di battaglione nel ma­neggio delle armi. Inoltre, anche il più sprov­veduto volontario americano aveva quasi sempre un buon allenamento sportivo e un sufficiente addestramento alla vita all’aria aperta, che gli facilitarono il primo adatta­

mento in Spagna. Infine, più fonti hanno sottolineato che gli americani al fronte gode­vano di “un alto standard di vita” : riceveva­no pacchi da casa ed erano in generale ben equipaggiati. Rolfe ricorda che prima di par­tire, con parte dei fondi raccolti, lui ed altri compagni fecero acquisti a Manhattam, do­tandosi di un’attrezzatura di base per il cam­peggio. Si trattava certamente di una situa­zione anomala rispetto a quella vissuta da tanti volontari europei, giunti in Spagna già privi di mezzi e impoveriti da una precedente vita d’emigrazione, e a quella dei campesinos descritti da Orwell, per i quali il possesso col­lettivo di un coltellino da campeggio costitui­va già un’inaspettata fortuna22.

Queste osservazioni ci conducono all’ulti­ma parte della nostra rassegna e a chiederci se è possibile definire storicamente come l’o­pinione pubblica americana si atteggiò nei confronti della guerra civile spagnola, ancor prima che nei confronti dei volontari partiti per la Spagna. Purtroppo nessun nuovo stu­dio è venuto a completare e ad aggiornare i lavori di Guttmann e di Taylor degli anni ses­santa; il recente saggio di Fredrick Pick, con­tenuto in un libro collettivo riguardante il coinvolgimento di tutto il continente ameri­cano nelle vicende spagnole, ci pare, pur ag­giornato, insufficiente e soprattutto alquan­to generico nella pretesa di analizzare troppi temi relativi agli Usa e ai fascismi europei. Si deve pertanto ancora far ricorso a studi par­ziali sulle forze politiche e confessionali ame­ricane dell’epoca piuttosto che a lavori rive­latori delle componenti sociali e culturali che si fronteggiarono negli Stati Uniti al momen­to dell’embargo.

Il governo americano aveva per la prima volta applicato l’embargo nei confronti di un

22 [Gli americani] “Sono arrivati direttamente da New York. Sono sbarcati a Valencia già equipaggiati di tutto pun­to: elmetto, maschera antigas, zaino. I comitati americani di aiuto alla Spagna hanno lavorato bene, non c’è che di­re”, da L. Longo, Le Brigate internazionali, cit., p. 213. Alcuni artiglieri americani erano stati inoltre addestrati in Unione Sovietica, come Anderson, che aveva frequentato la Scuola Lenin di Mosca e che organizzò nell’aprile 1937 la Batteria John Brown.

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paese coinvolto in una guerra interna duran­te l’aggressione fascista all’Etiopia nel 1935; nel 1936 Roosevelt aveva suggerito un “mo­ral embargo” nei confronti della Spagna. Ma fu essenzialmente all’inizio del 1937 che si accese il dibattito all’interno del paese, allor­ché il Congresso doveva decidere se proroga­re o meno l’American neutrality act votato nel 1935. Sappiamo da diversi studi che furo­no essenzialmente i cattolici americani e i quadri diplomatici ad influenzare la scelta di Roosevelt. È noto il ruolo sostenuto dall’al- lora ambasciatore americano a Londra, Jo­seph P. Kennedy, in qualità non solo di tena­ce fautore della politica neutralista di Neville Chamberlain, ma soprattutto di influente rappresentante in patria della comunità cat­tolica democratica che ebbe un peso determi­nante nella rielezione a presidente di Roose­velt nel novembre 1936. Appare quindi chia­ro che Roosevelt sacrificò ogni scelta corag­giosa in campo internazionale in favore di un consolidamento della sua politica interna, anche se gli studi sui cattolici, in particolare quelli recenti di George Q. Flynn, hanno sot­tovalutato l’evento spagnolo. Ciò che an­drebbe inoltre approfondito è lo scontro che si produsse tra il clero cattolico e la chiesa protestante: il fatto più conosciuto fu la cor­rispondenza aperta che intercorse sulla stam­pa americana tra protestanti favorevoli al­l’appoggio alla Spagna repubblicana e i cat­tolici solidali con la chiesa spagnola. Vi sa­rebbero molti altri fatti rivelatori di un pro­fondo contrasto nelle coscienze religiose americane: uno dei pochi recentemente ana­lizzato è quello relativo all’adozione da parte

di famiglie americane di bambini baschi; adozione che non fu mai attuata a causa del­l’opposizione decisa dei cattolici23.

Ma dietro alla tardiva posizione pubblica presa da una parte dei protestanti nell’autun­no 1937, vi erano ormai un lungo scontro tra testate d’informazione schierate in Usa pro o contro la Spagna repubblicana e gli aiuti che pur clandestinamente continuavano a partire dai porti americani alla volta della penisola iberica. Ha probabilmente ragione la storica cinematografica Marjorie Valleau nel soste­nere che fino alla guerra del Vietnam non si riprodusse più nell’opinione pubblica statu­nitense “una così intensa ondata emotiva, un cosi profondo impegno, una così violenta partigianeria” come quella registrata nei confronti della guerra civile spagnola. Dopo i bombardamenti di Madrid, il congresso de­gli scrittori americani prese a maggioranza una decisa posizione nei confronti della Spa­gna repubblicana (ricordiamo, tra i più acce­si sostenitori, solo Upton Sinclair con il suo lavoro No pasaran. They shall not pass. A story o f the siege o f Madrid, 1937); lo stesso fece una parte dei corrispondenti di lingua inglese dalla Spagna, che abbandonarono in quegli eventi il consueto distacco e la profes­sionale neutralità dai fatti descritti. Ma po­chi intellettuali ed artisti americani ebbero il coraggio e soprattutto la convinzione perso­nale di portare sino alle estreme conseguenze il loro appoggio alla Spagna e di lottare per modificare la politica estera americana. Ci pare interessante il confronto fatto dalla Val­leau tra la produzione cinematografica sulla guerra civile spagnola realizzata in Usa e

23 Oltre agli insostituibili testi di A. Guttman e di F.J. Taylor, già citati, si vedano: Carlton J.H . Hayes (ex amba­sciatore in Spagna), The United States and Spain: an interpretation, New York, 1951 e il più recente Mark Falcoff- Frederick B. Pike (edited by) The Spanish Civil War, 1936-1939. American Hemispheric Perspectives, Lincoln, Lon­don, 1982 (prende in esame, oltre agli Usa, anche l’opinione pubblica di Messico, Cuba, Columbia, Peru, Cile, Ar­gentina); e i lavori sui cattolici di George Q. Flynn, American Catholics and the Roosevelt Presidency 1932-1936, Le­xington, 1968; Roosevelt and Romanism: Catholics and American Diplomacy 1937-1945, Westport, 1976; sulla que­stione dell’adozione dei bambini baschi cfr. Dorothy Legarreta, The Guernica generation: Basque refugee children o f the Spanish civil war, Reno, 1984.

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quella europea, in particolare francese. I films americani, anche quelli che espressero durante e dopo il conflitto, un’aperta simpa­tia per lo schieramento frontista, si sottomi­sero alla politica hollywoodiana che suggeri­va loro di rimanere distaccati, “noncontro- versial as possible”, e di creare scene di ca­rattere melodrammatico che esaltassero l’im­pegno individuale più che l’azione di massa. Ricordiamo, ad esempio, come fu reso diver­so dal libro di Hemingway il film iniziato nel 1941 e terminato, con molti tagli, solo nel 1943, “Per chi suona la campana”. Gli ame­ricani che vollero produrre films decisamente pro-repubblicani lavorarono in Europa, co­me fece Hemingway per “The Spanish Earth”24.

Di Hemingway si è scritto tanto, forse troppo, sul suo vitalismo individualista, sul­le ambiguità del suo carattere come dei suoi scritti; ci pare però che in questa occasione, fra tutti gli scrittori e i giornalisti americani del tempo, egli sia stato il meno contraddit­torio e il più sincero sostenitore della causa

repubblicana, trascurando, forse perché non era mai stato comunista, i contrasti insor­ti nella sinistra spagnola ed internazionale. Stanley Weintraub, in un libro del 1968, ci ha illustrato i dubbi che insorsero in parte dell’intellettualità americana nei confron­ti della guerra civile spagnola nel corso del 1937 (emblematico fu il ripensamento da parte di Dos Passos), tanto che, se essa ha espresso alcune tra le pagine più alte della poesia e della letteratura del nostro se­colo, non con la stessa forza ha influito su­gli eventi spagnoli ed americani. Bisognerà tornare in futuro su questi aspetti. I già an­nunciati convegni sul 1937, per il cinquan­tennale dei congressi degli intellettuali fa­vorevoli alla repubblica spagnola, consenti­ranno, è auspicabile, non solo la pubblica­zione di nuove antologie letterarie, ma una più completa ed aggiornata riflessione sul ruolo storico degli intellettuali europei e spa­gnoli nella guerra di Spagna25.

Patrizia Dogliani

24 Sull’attività giornalistica si veda Frank C. Hanighen (edited by) Nothing but danger, New York, 1939 (contiene la testimonianza di una quindicina di corrispondenti di lingua inglese in Spagna). Inoltre Marjorie A. Valleau, The Spanish Civil War in American and European Films, Ann Arbor, 1982: vengono qui esaminati sei films americani sulla Spagna: “The last train from Madrid” (1937); “Blockade” (1938), “For Whom the bell tolls” (1943), “Confi­dential Agent” (1945), “The Angel wore red” (1960), “Behold a Pale Florse” (1964).25 Cfr. Stanley Weintraub, The Last Great Cause. The intellectuals and the Spanish Civil War, New York, 1968, in part. p. 221 e ss.; John M. Muste, Say that we saw Spain die. Literary consequences o f the Spanish civil war, Wa­shington, 1966; Voices against Tyranny. Writing o f the Spanish civil war, New York, 1986; Valentine Cunningham (edited by), Spanish Front. Writers on Civil War, London-New York, 1986.