I sette calici dell'eresia

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Christopher J. SANSOM I sette calici dell'eresia "UN THRILLER AVVINCENTE, IN UNA PERFETTA CORNICE STORICA." - THE GUARDIAN C. J. SANSOM ROMANZO STORICO I SETTE CALICI DELL'ERESIA SPERLING PAPERBACK Un nuovo, inquietante caso per mastro Shardlake, l'awocato-detective al tempo di Enrico VIII. In un Paese già dilaniato dalle dispute religiose e dai processi per stregoneria ed eresia, si aggiunge il terrore superstizioso per una serie di raccapriccianti omicidi, perpetrati secondo un preciso rituale. Tra le vittime, anche un caro amico e collega di Shardlake, che in segreto comincia a indagare, calandosi in un mistero sempre più fitto dove le oscure profezie dell'Apocalisse sembrano cupamente avverarsi, in un crescendo inarrestabile... Laureato in Storia alla Birmingham University, CJ. SANSOM ha praticato la professione forense, esercitando come avvocato nel Sussex per poi dedicarsi con enorme successo alla narrativa. www.sperling.it www.frassinellieditore.it ART DIRECTOR: Francesco Marangon GRAPHIC DESIGNER: Carlo Mascheroni Dello stesso autore L'enigma del gallo nero, La scomparsa del fuoco greco, Il segreto della Torre di Londra, Inverno a Madrid. *

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Christopher J. Sansom - I sette calici dell'eresia

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Christopher J. SANSOM I sette calici dell'eresia "UN THRILLER AVVINCENTE, IN UNA PERFETTA CORNICE STORICA." - THE GUARDIAN C. J. SANSOM ROMANZO STORICO I SETTE CALICI DELL'ERESIA SPERLING PAPERBACK Un nuovo, inquietante caso per mastro Shardlake, l'awocato-detective al tempo di Enrico VIII. In un Paese già dilaniato dalle dispute religiose e dai processi per stregoneria ed eresia, si aggiunge il terrore superstizioso per una serie di raccapriccianti omicidi, perpetrati secondo un preciso rituale. Tra le vittime, anche un caro amico e collega di Shardlake, che in segreto comincia a indagare, calandosi in un mistero sempre più fitto dove le oscure profezie dell'Apocalisse sembrano cupamente avverarsi, in un crescendo inarrestabile... Laureato in Storia alla Birmingham University, CJ. SANSOM ha praticato la professione forense, esercitando come avvocato nel Sussex per poi dedicarsi con enorme successo alla narrativa. www.sperling.it www.frassinellieditore.it ART DIRECTOR: Francesco Marangon GRAPHIC DESIGNER: Carlo Mascheroni Dello stesso autore L'enigma del gallo nero, La scomparsa del fuoco greco, Il segreto della Torre di Londra, Inverno a Madrid. *

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Capitolo uno. I candelabri della Great Hall del Lincoln's Inn risplendevano di candele, lo spettacolo, infatti, ebbe inizio nel tardo pomeriggio. Erano presenti parecchi membri del Lincoln's Inn: avvocati in toga, con le mogli nei loro abiti migliori. Dopo un'ora che stavo a guardare, la schiena incominciò a farmi male, e invidiai i pochi membri anziani o infermi che s'erano portati dietro degli sgabelli. Lo spettacolo teatrale al Lincoln's Inn, che per tradizione si teneva all'inizio di marzo, era stato in precedenza annullato a causa della neve abbondante; ora, più avanti nel mese, faceva ancora un freddo insolito per la stagione, e il fiato di attori e spettatori si condensava in modo visibile, fluttuando nell'aria come fumo. Quell'anno si metteva in scena un'opera nuova, Le traversie per il tesoro, un'ampollosa recita morale con attori abbigliati in costumi sgargianti che rappresentavano i vizi e le virtù del genere umano. Mentre l'attore che recitava la parte di Virtù, con una vistosa barba bianca finta, ammoniva Falsità per i suoi inganni - piuttosto a proposito, direi, per un pubblico di legulei - la mia attenzione divagava e lasciavo scorrere lo sguardo sui visi in ombra del pubblico. Il tesoriere Rowland, un vecchio acido dal volto affilato, sbirciava gli attori come a chiedersi se non sarebbe stato meglio ingaggiare una compagnia con costumi meno dispendiosi, anche se la rappresentazione non richiedeva scenografie complicate. Di fronte a me scorsi il mio vecchio nemico Stephen Bealknap, i cui avidi occhi azzurri squadravano i colleghi: il suo sguardo non rimaneva mai fermo, e non incontrava mai quello degli altri; quando si accorse che lo fissavo distolse gli occhi. Era forse l'avvocato più disonesto in cui mi fossi mai imbattuto; mi bruciava ancora che diciotto mesi prima gli spietati intrighi del suo protettore, Richard Rich, m'avessero indotto a rinunciare a una causa contro di lui. Fui colpito dal suo aspetto stanco e malato. A breve distanza, il mio amico Roger Elliard, nella cui casa ero stato invitato a cena dopo la rappresentazione, teneva per mano la moglie. Era iniziata un'altra scena: Lussuria aveva stretto un'alleanza con Inclinazione al Male. Mentre i due si abbracciavano, il primo si accasciò in ginocchio, colto da un'improvvisa sofferenza. Ahimè, qual repentino turbamento sì da non potermi regger m'afferrò, uno spasimo di me s'impadronisce, e senza alcun rimedio ne morrò.

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Colpito dalla giustizia divina, l'attore tese una mano tremante in direzione del pubblico. Vidi Bealknap fissarlo con una sorta di sprezzante perplessità, ma Roger d'un tratto distolse lo sguardo. Conoscevo il motivo, e gliene avrei parlato più tardi. Finalmente la recita ebbe termine, gli attori s'inchinarono, gli spettatori applaudirono e noi rimettemmo in moto le membra infreddolite, uscendo in Gatehouse Court. Il sole stava tramontando in quel momento e illuminava con un riflesso fosco gli edifici di mattoni rossi e la neve che si scioglieva nel cortile. La gente si avviava all'uscita, o, se abitava al Lincoln's Inn, si dirigeva verso casa, infagottandosi nei mantelli. Rimasi all'entrata in attesa degli Elliard, salutando con un cenno chi conoscevo. Gli spettatori erano le uniche persone in giro, perché era la vigilia della Domenica delle Palme, un sabato in cui le attività legali erano di riposo. Guardai verso l'alloggio degli Elliard. Tutte le finestre erano illuminate e all'interno si vedevano muoversi servitori con i vassoi. Le cene di Dorothy erano ben note in tutto l'Inn, e persino a fine Quaresima, con la proibizione delle carni rosse, sapevo che avrebbe imbandito una ricca mensa e offerto agli invitati un allegro convito. A dispetto del freddo mi sentivo sereno e in pace come non lo ero da molto tempo. Fra una settimana esatta sarebbe stata Pasqua, e anche il 25 marzo, inizio ufficiale dell'Anno Nuovo, Il 1543. Talvolta, in precedenza, in quel periodo mi domandavo quali avversità avrebbe portato con sé il nuovo anno, ma adesso conclusi che avevo un lavoro gradevole e interessante, e buoni amici con i quali non vedevo l'ora di trascorrere il tempo. Quel mattino, mentre mi vestivo, m'ero soffermato a osservare il mio viso nello specchio d'acciaio della camera da letto: lo facevo di rado, perché la vista della mia schiena gobba mi rattristava sempre. Notai qualche striatura di grigio fra i capelli e rughe più profonde sul volto; pensai tuttavia che forse mi conferivano un aspetto più distinto, e, dato che l'anno prima avevo superato i quaranta, non potevo più far finta di sembrare giovane. Quel pomeriggio, prima della rappresentazione, avevo fatto una passeggiata lungo il Tamigi, poiché mi era giunta voce che il ghiaccio aveva cominciato a rompersi dopo un lungo, duro inverno. Mi spinsi fino a Tempie Stairs e guardai giù nel fiume. Era vero, grossi

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blocchi di ghiaccio s'urtavano fra loro con fracasso e si erano create fessure fra le torbide acque grigiastre. Rientrai camminando fra la neve molle e disciolta, pensando che forse la primavera era finalmente arrivata. All'ingresso della Hall rabbrividii a dispetto del pesante mantello foderato di pelliccia, perché, sebbene l'aria fosse sensibilmente più tiepida, faceva ancora freddo, e non avevo ancora ripreso il peso perso a causa d'una brutta febbre diciotto mesi prima. Trasalii leggermente quando qualcuno mi batté con la mano su una spalla. Era Roger, snello nel pesante pastrano che lo avvolgeva; al suo fianco mi sorrideva la moglie Dorothy, con le guance paffute arrossate dal freddo. «Eri di umore malinconico, Matthew», disse Roger. «Riflettevi sugli alti contenuti morali dello spettacolo?» «Alti come una casa e pesanti come un cavallo», disse Dorothy. «Proprio così», convenni. «Chi l'ha scelto?» «Il tesoriere.» Roger guardò Rowland conversare con un anziano giudice, annuendo gravemente con il capo. Abbassò la voce. «Voleva qualcosa che non fosse motivo di contrasti politici. Saggio, in giorni come questi. Però sarebbe stata meglio una commedia italiana.» Attraversammo insieme il cortile. Notai che sulla fontana di Gatehouse Court, gelata negli ultimi tre mesi, la neve se n'era quasi andata, scoprendo chiazze di ghiaccio grigio. Forse presto la fontana avrebbe ripreso a funzionare, facendo risuonare nella corte il suo gradevole scroscio. Sul ghiaccio c'era qualche moneta: persino con il gelo c'era ancora gente che gettava del denaro nella fontana, pregando per vincere una causa o avere fortuna in qualche affare di cuore; benché lo negassero, gli uomini di legge erano superstiziosi come tutti gli altri. Il maggiordomo di Roger, un vecchio di nome Elias che era con lui da parecchi anni, ci accolse alla porta e mi accompagnò al piano superiore perché potessi lavarmi le mani. Scesi quindi in salotto, dove grosse candele gettavano una luce calda e densa su poltrone e cuscini. Una decina di invitati, tutti avvocati con le rispettive mogli, sedevano o giravano qua e là, mentre Elias e un ragazzo servivano il vino. Un fuoco scoppiettante riscaldava l'ambiente, facendo sprigionare aromi dolci dalle erbe odorose sparse sul pavimento di legno, e i suoi riflessi facevano luccicare le posate d'argento sulla tavola imbandita. Secondo la nuova moda, le pareti erano decorate da ritratti in cornice,

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principalmente di personaggi della Bibbia. Al di sopra dell'ampio caminetto faceva bella mostra di sé uno degli arredi più pregiati del Lincoln s Inn, orgoglio e gioia di Roger. Si trattava di un grande fregio ligneo, in cui era intagliato un intricato motivo di fronde frammiste a fiori e frutti, con teste di animali che vi si affacciavano: un cervo, un cinghiale e persino un unicorno. Lì vicino Roger conversava con Ambrose Loder, che lavorava nel mio ufficio. La corporatura asciutta del mio amico era vivace e le mani sottili gesticolavano mentre ribadiva qualche concetto al panciuto avvocato, che restava immobile, con un'aria scettica dipinta sul viso rubicondo. Dorothy era accanto a lui con un'espressione gioviale e divertita, e i suoi abiti a tinte vivaci contrastavano con le toghe nere dei due avvocati. Indossava una veste di damasco verde con bordure gialle sul davanti e un alto colletto aperto sulla gola, che le stava assai bene. Nel vedermi, chiese licenza e venne verso di me. Conoscevo Dorothy da una ventina d'anni. Era figlia di un avvocato superiore del mio primo studio. Allora eravamo entrambi poco più che ventenni, e io m'ero subito sentito attratto dall'eleganza, dall'intelligenza e dal garbo di Dorothy, una combinazione rara. Anche lei sembrava gradire la mia compagnia, senza mai fare caso alla mia schiena gobba, e diventammo buoni amici. Dopo qualche tempo ardii pensare di poter trasformare l'amicizia in qualcosa di più. Tuttavia non avevo ancora manifestato i miei veri sentimenti, e di conseguenza non dovetti biasimare che me stesso quando appresi che Roger, mio amico e collega, aveva già chiesto la sua mano ed era stato accettato. Più tardi lui mi disse - e io gli credetti - di non essersi accorto dei miei sentimenti per Dorothy. Lei però li aveva intuiti, e s'era sforzata di indorarmi la pillola dicendo che la sua era stata una scelta difficile; ma io stentai a crederlo, perché Roger era bello quanto brillante, con movenze contraddistinte da una grazia vivace ed energica. Ora Dorothy, al pari di me, aveva passato la quarantina; tuttavia, salvo qualche rughetta intorno agli occhi, appariva parecchio più giovane. M'inchinai e la baciai sulle guance piene. «Felice Domenica delle Palme, Dorothy.» «Anche a te, Matthew.» Mi strinse la mano. «Come va la salute?» «Bene, attualmente.» La schiena mi dava spesso noia, ma in quegli ultimi mesi m'ero applicato con scrupolo agli esercizi che m'aveva prescritto l'amico speziale Guy, e m'ero sentito molto meglio.

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«Sei in gran forma.» «E tu sei più giovane ogni Anno Nuovo, Dorothy. Possa questo portarti pace e prosperità.» «Spero di sì. C'è però stato un fenomeno strano, hai sentito? Due enormi pesci si sono arenati nel Tamigi. Due grandi cose grigie, grandi come mezza casa. Devono essere sotto il ghiaccio.» Lo scintillio dei suoi occhi mi rivelò che, al pari di molti, trovava la faccenda deliziosamente assurda. «Erano vivi?» «No. Giacevano sui banchi di fango di Greenwich. Centinaia di persone hanno attraversato il Ponte di Londra per vederli. Tutti dicono che un fatto del genere, prima della Domenica delle Palme, è presagio di qualche evento terribile.» «Oggi giorno la gente trova sempre dei presagi. E la passione del momento per gli inesauribili predicatori di strada di Londra.» «Davvero.» Mi diede un'occhiata interrogativa, forse in cerca di una nota amara nella mia risposta. Vent'anni prima Dorothy, Roger e io eravamo stati tutti fautori della Riforma, nella speranza di un nuovo cristianesimo per il mondo. Loro lo erano ancora; tuttavia, benché negli anni della gioventù anche molti dei loro ospiti fossero stati riformisti, adesso non pochi s'erano adattati a una tranquilla vita professionale, impauriti e delusi dalla marea del conflitto religioso e della repressione, montata sempre più nel decennio successivo alla rottura del re con Roma. Come me ora. Mi domandai se Dorothy intuiva che, per me, la fede era pressoché svanita. Cambiò discorso. «Per noi, almeno, la novità è stata buona. Oggi abbiamo ricevuto una lettera da Samuel. Le strade per Bristol devono essere nuovamente aperte.» Sollevò le sopracciglia scure. «E, leggendo tra le righe, credo anche che abbia una ragazza.» Samuel era l'unico figlio di Roger e Dorothy, la luce dei loro occhi. Qualche anno prima la famiglia s'era trasferita a Bristol, città natale di Roger, che vi aveva ottenuto la carica di Cancelliere. L'anno precedente era tornato a esercitare la professione al Lincoln's Inn, ma Samuel, che adesso aveva diciotto anni e faceva pratica presso un mercante di stoffe, aveva deciso di rimanere a Bristol, cosa che un poco era dispiaciuta ai suoi genitori, lo sapevo. Sorrisi garbatamente. «Sei sicura di non leggere i tuoi desideri nella sua lettera?»

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«No, fa un nome, Elizabeth. La figlia di un mercante.» «Non potrà sposarsi prima di avere portato a termine il suo apprendistato.» «Meglio: questo gli concederà il tempo di vedere se sono fatti l'uno per l'altra.» Mi fece un sorrisetto furbo. «E forse a me di mandare qualche spia a Bristol. Il tuo assistente Barak, magari: so che è in gamba in un certo genere di lavori.» Scoppiai a ridere. «Barak è molto impegnato con me. Dovrai trovare un'altra spia.» «Quel suo spirito pungente mi piace. Se la passa bene?» «Lo scorso anno lui e la moglie hanno perso un bambino. È stato un brutto colpo per lui, anche se non lo dimostra.» «E lei?» «Non ho più visto Tamasin. Volevo invitarli a casa mia. Debbo farlo, lei è stata buona con me quando sono stato ammalato.» «Allora la Corte delle Suppliche ti tiene occupato. E sei anche diventato avvocato superiore: ho sempre saputo che un giorno avresti raggiunto quel traguardo.» «Già.» Sorrisi. «Ed è un bel lavoro.» Da più di un anno, ormai, grazie alla nomina dell'arcivescovo Cranmer, ero diventato uno dei due avvocati incaricati di patrocinare presso la Corte delle Suppliche, dove si prendevano in esame le istanze dei poveri. Il rango di avvocato superiore era una prerogativa di tale carica. «Non ho mai amato tanto il mio lavoro», proseguii. «Anche se l'impegno è gravoso, e certi clienti... be', la povertà non rende migliori gli uomini, e neppure più ragionevoli.» «Né dovrebbe», ribatté con fermezza Dorothy. «E una maledizione.» «Non mi lamento. Il lavoro è piuttosto vario.» Feci una pausa. «Ho un caso nuovo, un ragazzo rinchiuso nel manicomio di Bedlam. Domani incontro i suoi genitori.» «La Domenica delle Palme?» «C'è una certa urgenza.» «Un cliente pazzo.» «Il problema è se sia pazzo sul serio. Vi è stato rinchiuso per ordine del Consiglio Privato. Uno dei casi più strani che mi siano mai capitati. Interessante, anche se avrei desiderato non avere a che fare con questioni riguardanti il Consiglio.»

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«Vedrai che sarà fatta giustizia, non ho dubbi.» Mi posò una mano su un braccio. «Matthew!» Roger m'era apparso accanto e mi strinse vigorosamente la mano. Era un uomo piccolo e asciutto, con un viso sottile ma attraente, penetranti occhi azzurri e capelli scuri che incominciavano a diradarsi. Era pieno di energia, come sempre. Benché tanti anni prima m'avesse soffiato Dorothy, ero rimasto profondamente affezionato a lui. «Ho saputo che ha scritto Samuel», dissi. «Già, quel diavoletto. Era ora!» «Devo andare in cucina», disse Dorothy. «Ci vediamo fra poco, Matthew. Parla con Roger, secondo me ha avuto un'idea interessante.» M'inchinai quando lei ci lasciò, poi mi rivolsi a Roger. «Come sei stato?» gli domandai piano. Roger abbassò la voce. «Non mi è più venuto. Però starò più tranquillo quando avrò visto il tuo amico dottore.» «Ti ho notato distogliere lo sguardo quando Lussuria è stato colpito, durante la recita.» «Già. Ho paura, Matthew.» Parve d'un tratto indifeso, come un bambino. Gli strinsi un braccio. Nelle ultime settimane Roger aveva inaspettatamente perso l'equilibrio ed era caduto, senza motivi apparenti. Temeva di avere contratto l'epilessia, quel male terribile a causa del quale un uomo o una donna, altrimenti del tutto sani, di tanto in tanto crollavano al suolo privi di sensi, contorcendosi e grugnendo. Il morbo, incurabile, era ritenuto da alcuni una specie di pazzia temporanea, da altri una possessione da parte di uno spirito maligno. Il fatto che quei sintomi spettacolari potessero manifestarsi in qualsiasi momento faceva sì che la gente evitasse chi ne era affetto, e per un avvocato questo significava la fine della carriera. Gli strinsi il braccio. «Guy troverà la verità, te lo prometto.» Roger s'era confidato con me un giorno a pranzo, la settimana prima, e avevo fatto in modo che incontrasse al più presto il mio amico speziale, l'appuntamento era fissato di lì a quattro giorni. Roger fece un sorriso storto. «Speriamo che siano le notizie che desidero.» Abbassò la voce. «Ho detto a Dorothy di avere avuto dei dolori di stomaco. Credo che sia meglio, le donne sono solo capaci di preoccuparsi.»

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«Anche noi, Roger.» Sorrisi. «E a volte senza motivo. Questi mancamenti possono avere molte cause, e ricorda: non hai avuto le convulsioni.» «Lo so, è vero.» «Dorothy mi ha detto che hai qualche idea nuova», continuai per distrarlo. «Sì.» Accennò un mezzo sorriso. «Ne parlavo con l'amico Loder, ma sembra poco interessato.» Si gettò un'occhiata alle spalle. «Qui nessuno di noi è povero», disse piano. Mi prese per il braccio, allontanandomi un poco. «Ho letto il nuovo libro di Roderick Mors, Lamentazione di un Cristiano contro la Città di Londra.» «Dovresti stare attento: certuni lo ritengono sedizioso.» «La verità li spaventa.» Il tono di Roger era calmo, ma intenso. «Per Jesù, il libro di Mors è un atto d'accusa alla nostra città. Dimostra che tutte le ricchezze dei monasteri sono finite nelle tasche del re o dei suoi cortigiani. Le scuole monastiche e gli ospedali sono stati chiusi, i malati abbandonati a se stessi. I monaci erano piuttosto avari nel somministrare le cure, ma adesso i poveri non hanno più nulla. Sono una vergogna per noi tutti le legioni di miserabili che giacciono nelle strade ammalati o mezzi morti. Ieri a Cheapside sull'uscio di una porta ho visto un ragazzo con i piedi mezzi putrefatti per il congelamento. Gli ho dato una moneta, ma era di un ospedale che aveva bisogno, Matthew.» «Ma, come dici tu, la maggior parte è stata chiusa.» «Questo è il motivo per cui ho in progetto un ospedale finanziato dalle Inns of Court. Inizialmente con una sottoscrizione, poi con un fondo alimentato da lasciti e donazioni da parte degli avvocati.» «Ne hai parlato con il tesoriere?» «Non ancora.» Roger sorrise nuovamente. «Affilo le mie armi con i colleghi.» Accennò alla sagoma rotondetta di Loder. «Ambrose dice che i poveri infastidiscono ogni passante con i loro odori e vapori pericolosi: sarebbe disposto a pagare, purché le strade fossero ripulite. Altri si lagnano dell'invadenza dei mendicanti che chiedono l'elemosina ovunque. Io gli ho promesso la tranquillità: esistono argomenti per convincere coloro ai quali la carità fa difetto.» Sorrise, poi mi squadrò con serietà. «Mi aiuterai?»

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Riflettei un momento. «Anche se avessi successo, che mai potrebbe fare un solo ospedale di fronte a tutta la miseria che ci circonda?» «Alleviare le sofferenze di qualche infelice.» «Ti aiuterò, se mi sarà possibile.» Se c'era qualcuno in grado di realizzare quel progetto, era Roger. La sua energia e le sue capacità sarebbero state molto utili. «Darò un contributo per il tuo ospedale, e, se vuoi, ti aiuterò a trovare nuove sottoscrizioni.» Roger mi strinse il braccio. «Lo sapevo che mi avresti aiutato. Presto organizzerò un comitato...» «Un altro comitato?» Dorothy aveva fatto ritorno, rossa in viso per il calore della cucina. Guardò il marito con aria interrogativa e Roger le cinse la vita con un braccio. «Per l'ospedale, mia cara.» «Non sarà facile convincere la gente: hanno ancora male alla borsa, per tutte le tasse del re.» «E potrebbe fargli più male ancora», soggiunsi io. «Si dice che a questo nuovo Parlamento verrà chiesto di concedere ancora più soldi al re per la guerra contro la Francia.» «Che spreco», disse con amarezza Roger. «Quando si pensa a come potrebbe essere impiegato il denaro. Ma sì, sarà convinto che questo sia il momento giusto per un'impresa del genere: con il re di Scozia morto e sua figlia ancora bambina sul trono, gli scozzesi non potranno intervenire a fianco della Francia.» Annuii, d'accordo con lui. «Il re ha rispedito a casa i lord scozzesi catturati dopo Solway Moss, e si dice che gli abbiano giurato di combinare il matrimonio fra il principe Edoardo e l'infante Maria.» «Bene informato come sempre, Matthew», disse Dorothy. «Il tuo Barak continua a riportarti i pettegolezzi che si scambiano i suoi amici servitori di corte?» «Sicuro.» «Ho sentito che il re cerca una nuova moglie.» «Lo dicono da quando fu giustiziata Catherine Howard», disse Roger. «Di chi si tratta, ora?» «Lady Latimer», rispose Dorothy. «Suo marito è morto la settimana scorsa. Dopodomani ci sarà un gran funerale. Si dice che qualche anno fa il re si fosse incapricciato di lei, e che adesso si farà avanti.» Era una diceria che a me non era arrivata. «Poveretta», dissi, abbassando la voce. «Temerà per la sua testa.»

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«Sì.» Dorothy fece un cenno con il capo, poi alzò la voce e batté le mani. «Amici, la cena è pronta.» Ci recammo tutti in sala da pranzo. La vecchia, lunga tavola era imbandita con piatti d'argento e i domestici schieravano i vassoi delle pietanze sotto la supervisione di Elias. Il posto d'onore spettava a quattro grossi polli: essendo ancora Quaresima, la legge avrebbe concesso di mangiare soltanto pesce, ma poiché il fiume era gelato il prezzo del pesce era divenuto proibitivo e il re aveva consentito che si consumasse carne bianca. Prendemmo posto. Io sedevo fra Loder, con il quale Roger aveva parlato in precedenza, e James Ryprose, un anziano avvocato con ispidi favoriti che gli incorniciavano una faccia raggrinzita come una vecchia mela. Di fronte a noi sedevano Dorothy, Roger e la signora Loder, grassoccia e soddisfatta di sé come il marito. Mi sorrise mettendo in mostra una dentatura bianca e perfetta; poi, con mia sorpresa, si portò una mano alla bocca e ne estrasse l'intera chiostra. Vidi che i denti erano conficcati in due gengive di legno, fatte in modo da adattarsi su quei pochi mozziconi grigiastri che erano tutto ciò che le rimaneva dei suoi veri denti. «Belli, vero?» chiese, accorgendosi del mio sguardo. «Me li ha fatti un barbiere-cerusico di Cheapside. Non posso tenerli per mangiare.» «Metti via quella roba, Johanna», disse suo marito. «Non si ha voglia di guardare certe cose quando si è a tavola.» Johanna sbuffò, almeno per quanto poteva farlo una donna sdentata, e mise la dentiera in una scatoletta, che ripose poi fra le pieghe dell'abito. Repressi un brivido: trovavo piuttosto raccapricciante l'usanza francese delle classi elevate di mettersi in bocca denti strappati ai morti, che da qualche anno s'era diffusa anche in Inghilterra. Roger riprese a parlare dell'ospedale, indirizzandosi stavolta al vecchio Ryprose. «Pensa ai malati e agli indigenti che potrebbero essere tolti dalle strade, curati addirittura.» «Sì, potrebbe essere utile», convenne il vecchio. «Ma... tutti quei pitocchi sani e robusti che infestano le strade importunandoti per farsi dare dei soldi, talvolta persino con minacce? Che fare con quelli? Io sono vecchio e certe volte ho paura a uscire da solo.» Fratello Loder si volse verso di me per esprimere il suo consenso. «Verissimo: quei due che nel novembre scorso hanno rapinato e ucciso il povero fratello Goodcole alle porte della città erano servi senza

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padrone, fuoriusciti dei monasteri. E non li avrebbero neppure acciuffati, se non fossero andati in giro a vantarsi di ciò che avevano fatto nelle osterie dove spendevano il denaro del povero Goodcole, e se un onesto taverniere non avesse chiamato i gendarmi.» «Sì, sì», annuì energicamente Ryprose. «Nessuna meraviglia che servi senza padrone vadano a mendicare e a rubare impunemente, quando, per garantire la nostra incolumità, la città non dispone che di qualche poliziotto, perdipiù vecchio quasi quanto me.» «Il consiglio comunale dovrebbe ingaggiare qualche uomo robusto per cacciarli dalla città a frustate», disse Loder. «Ma Ambrose», ribatté pacatamente la moglie, «perché sei così duro? Quando eravamo giovani, eri solito sostenere che i poveri avevano diritto a un'occupazione, e che il Comune avrebbe dovuto pagarli per svolgere lavori utili, come pavimentare le strade. Citavi sempre Erasmo e Juan Vives a proposito degli obblighi di uno Stato cristiano nei confronti dei miseri.» Gli sorrise con dolcezza, ottenendo una piccola rivalsa per il suo rimprovero a proposito della dentiera. «Eri proprio così, Ambrose», disse Roger. «Me lo ricordo bene.» «Anch'io», convenne Dorothy. «Ti scaldavi sempre riguardo gli obblighi del re verso i poveri.» «Be', da quella parte non c'è alcun interesse da ricavare, perciò non vedo proprio che cosa dovremmo fare noi.» Loder squadrò accigliato la moglie. «Magari portare nell'Inn diecimila accattoni pidocchiosi e offrire loro un pranzo di gala?» «No», rispose garbatamente Roger. «Soltanto servirci della nostra condizione di uomini facoltosi per dare un po' di aiuto. Magari finché non verranno tempi migliori.» «Non sono solo i pezzenti a rendere penoso camminare per strada», aggiunse tristemente il vecchio Ryprose. «Spunta fuori anche una miriade di predicatori farneticanti. In fondo a Newgate Street ce n'è uno che sta lì tutto il giorno a berciare che l'Apocalisse si avvicina.» Mormorii di assenso circolarono intorno al tavolo, e anch'io annuii. Negli anni successivi alla caduta di Thomas Cromwell la protezione accordata dal re ai riformatori, che lo avevano incoraggiato alla rottura con Roma, era finita. Il sovrano non aveva mai del tutto accolto il credo luterano, e adesso andava gradualmente tornando verso le vecchie forme di religiosità, una specie di cattolicesimo senza papa, mentre crescevano le misure repressive contro i dissidenti; negare che il pane e

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il vino dell'Eucarestia si trasformassero nel vero corpo e sangue di Gesù Cristo era adesso un'eresia che comportava la pena di morte. Persino la dottrina del purgatorio diventava di nuovo rispettabile. Tutto ciò era un anatema per i riformatori radicali, secondo i quali la sola verità si trovava nella Bibbia. La persecuzione non aveva fatto altro che spingere molti riformisti verso le frange estreme e, soprattutto a Londra, erano diventati chiassosi e arditi. «Lo sai che cosa ho visto oggi in strada?» chiese un altro degli ospiti. «Davanti a una chiesa c'era gente che posava rami sulla neve per la cerimonia della Domenica delle Palme. Poi è spuntata fuori una marmaglia di apprendisti, che hanno cominciato a prendere a calci i rami sbraitando che quella era una cerimonia papista, e che il papa era l'Anticristo!» «L'estremismo religioso offre agli apprendisti un altro pretesto per creare disordine», osservò Loder. «Domani potrebbero esserci tumulti», disse Roger. Ne convenni. La Domenica delle Palme le chiese tradizionaliste avrebbero celebrato i riti usuali, con gli anziani della parrocchia vestiti da profeti e un bambino che cavalcava un asino, mentre, nelle proprie, i predicatori radicali avrebbero gridato alla bestemmia papista. «Ci sarà un'altra purga», disse cupamente qualcuno. «Ho sentito voci secondo le quali il vescovo Bonner starebbe per colpire duro.» «Non altri roghi», soggiunse a bassa voce Dorothy. «La cittadinanza non lo tollererà», rispose Loder. «La gente non ama i radicali, ma meno ancora i roghi. Bonner non si spingerà a tanto.» «No?» chiese piano Roger. «Non è forse anche lui un fanatico? Forse che il consiglio comunale non si sta dividendo?» «La maggioranza della gente vuole vivere tranquilla», dissi io. «Anche quelli fra noi che una volta erano radicali.» Sorrisi di sbieco a Roger, il quale annuì. «Fanatici da tutt'e due le parti», disse Ryprose con tristezza. «E nel mezzo tutti noi, povera gente. A volte ho paura che ci porteranno alla rovina.» La compagnia si sciolse tardi, e fui uno degli ultimi ad andarsene. Uscii in una notte che s'era fatta nuovamente gelida, e la poltiglia di neve sciolta, tornata a ghiacciarsi, mi crocchiava sotto i piedi. Il mio umore era ancor meno lieto dopo la conversazione a tavola. Era vero che adesso Londra era piena di mendicanti e di fanatici: che città

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disgraziata. Ma una purga avrebbe solo peggiorato la situazione. C'era tuttavia qualcosa che non avevo detto agli altri commensali: i genitori del ragazzo chiuso a Bedlam erano membri di una congregazione protestante radicale, e i disturbi mentali di loro figlio erano di natura religiosa. Avrei voluto non avere accettato quel caso, ma avevo l'obbligo di occuparmi delle suppliche che mi venivano assegnate. E i genitori volevano che il figlio fosse liberato. Mi fermai di botto. Alle mie spalle un passo leggero scricchiolava sulla neve gelata. Mi voltai preoccupato. Il recinto del Lincoln's Inn era ritenuto sicuro, ma c'erano luoghi da cui ci si poteva entrare. La notte era buia, la luna seminascosta dalle nubi, e a quell'ora solo qualche finestra gettava riquadri di luce sulla neve. «Chi è là?» domandai. Non ci fu risposta, ma udii nuovamente la poltiglia scricchiolare, mentre qualcuno si allontanava rapido. Inquieto, lo seguii. Il rumore proveniva dall'estremità più lontana dell'edificio nel quale abitavano gli Elliard, addossato al muro di fondo del Lincoln's Inn. Nello svoltare l'angolo misi mano al pugnale. Avevo di fronte il muro di cinta: chiunque si fosse trovato lì, sarebbe stato in trappola; ma non c'era nessuno. Il piccolo riquadro di terreno tra i fabbricati e il muro alto più di tre metri, rischiarato dalle finestre dell'alloggio degli Elliard, era completamente vuoto. Un brivido mi corse lungo la schiena. Poi notai che la neve in cima al muro era stata smossa. Chiunque ci fosse stato, l'aveva scavalcato, e scalare quel muro richiedeva una buona dose di forza e agilità. Non ero sicuro fosse possibile, eppure il cortile deserto e la neve smossa affermavano il contrario. Pensai di dire al guardiano che si sarebbero dovuti collocare dei cocci di vetro in cima al muro. *** Capitolo due. Uscii di buon'ora diretto al mio studio il mattino dopo: i genitori del ragazzo internato a Bedlam vi erano attesi per le nove. I particolari inviatimi dalla Corte delle Suppliche erano schematici, ma bastavano a inquietarmi. Era stato il Consiglio Privato stesso a farvelo rinchiudere - «per avere bestemmiato la vera religione nel suo delirio di follia», come asseriva la delibera, senza neppure un formale atto d'accusa davanti alla curia episcopale. La questione era dunque politica e, di conseguenza,

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pericolosa. Cercai nuovamente di rassicurarmi pensando che qualunque mio coinvolgimento sarebbe rimasto in un ambito strettamente legale, però maledicevo la sorte che aveva fatto toccare quel caso a me, anziché al mio collega. Nelle carte il ragazzo, Adam Kite, era descritto come figlio di un capomastro tagliapietre e frequentatore della chiesa di St Martin, in Greek Lane. Avevo mandato Barak a indagare, e mi aveva riferito che il vicario era, parole sue, un «gran fracassone e un fanfarone». Era una cattiva notizia. Nei miei rapporti con gli ecclesiastici, li avevo sempre trovati persone con le quali era difficile avere a che fare, uomini duri e rudi che martellavano il prossimo con versetti della Bibbia come un carpentiere i chiodi. Mi riscossi dalle mie preoccupate riflessioni quando scivolai 17 su una chiazza di neve fusa, e per poco non feci un capitombolo. Qualcuno rise. In tutta la città le campane delle chiese suonavano per le funzioni della Domenica delle Palme. A quei tempi andavo in chiesa solo quando prescritto: la domenica successiva sarei dovuto andare a messa e fare la confessione annuale. Non ne ero affatto impaziente. Il tempo perturbato s'era fatto nuovamente più caldo, e Chancery Lane era fangosa come il cortile di una fattoria. Mentre passavo sotto il portone del Lincoln's Inn mi domandai se il tesoriere avrebbe fatto qualcosa per rendere più sicuro il muro di cinta. Avevo parlato con il portiere per informarlo del mio mancato incontro della notte prima. Avvertii qualcosa di bagnato colpirmi la faccia; fu seguito da un'altra goccia, la prima pioggia dopo due mesi di neve. Quando raggiunsi il mio studio pioveva forte, e avevo il cappello inzuppato. Con mia sorpresa, Barak era già nell'ufficio esterno. Aveva acceso il fuoco e sedeva al grosso tavolo per riordinare le carte in vista dell'udienza pomeridiana. Suppliche, deposizioni ed esposti s'impilavano tutto intorno a lui. I suoi tratti piacevoli e beffardi apparivano stanchi, e gli occhi erano iniettati di sangue. Aveva la barba lunga. «Stamattina dovete farvi la barba, altrimenti il giudice vi richiamerà per comportamento irrispettoso.» Benché avessi parlato bruscamente, l'amicizia tra Barak e me era profonda. Agli inizi ci eravamo trovati insieme in una missione per conto dell'ex capo di Barak, il Primo ministro Thomas Cromwell. Dopo l'esecuzione di Cromwell, avvenuta

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tre anni prima, Barak aveva cominciato a lavorare per me: un assistente poco ortodosso, ma molto in gamba. «D'accordo», rispose lui, non senza una certa irritazione. «Ho preparato tutto per l'udienza di questo pomeriggio. E presto saranno qui i genitori del matto.» «Non lo chiamate così», dissi, mentre sfogliavo i documenti. Era tutto in ordine, con parecchi appunti nella grafia contorta di Barak. «Siete qui di domenica? Siete venuto anche ieri? Trascurate la povera Tamasin.» «Sta bene.» Barak si alzò, mettendo da parte libri e scartoffie. Guardai il suo dorso ampio, domandandomi che cosa non andasse tra lui e sua moglie tanto da fargli passare il tempo a lavorare e, a giudicare dal suo aspetto, a rimanere in piedi tutta la notte. Tamasin era una ragazza graziosa, vivace come Barak, che era stato lieto di sposarla l'anno precedente, quantunque la gravidanza li avesse costretti a nozze affrettate. Il figlio era morto il giorno stesso della nascita, e durante i mesi successivi, per quanto Barak fosse stato allegramente scanzonato come prima, nel suo modo di scherzare c'era spesso un qualcosa di forzato, e a volte un'aria spaurita compariva nei suoi occhi. Sapevo che la perdita di un figlio poteva rafforzare certe coppie, come mandarne in frantumi altre. «Ieri avete visto i genitori di Adam Kite, quando hanno preso appuntamento», dissi. «I signori Kite, marito e moglie. Come sono?» Barak si voltò verso di me. «Gente che lavora: lui è un tagliapietre. Incominciò ringraziando Iddio per avergli concesso di presentare il loro caso alle Suppliche, poiché Egli non abbandona il vero fedele.» Barak arricciò il naso. «A me sembrano di quei fanatici della Bibbia. Però i devoti di mia conoscenza, per la maggior parte, sembrano piuttosto compiaciuti di sé, mentre i Kite hanno l'aria di due cani bastonati.» «Non c'è da meravigliarsene, con ciò che è loro capitato.» «Lo so.» Barak ebbe un'esitazione. «Dovrete andare laggiù, in mezzo a tutti quei pazzi che si strappano i vestiti e trascinano le catene?» «È probabile.» Tornai a esaminare gli incartamenti. «Il ragazzo ha diciassette anni. E stato portato davanti al Consiglio il 3 di marzo, accusato di avere tenuto un comportamento disordinato e sconveniente a Preaching Cross, sul sagrato di St Paul, schiamazzando con 'strani versi e grida'. Internato a Bedlam nella speranza di curarlo. Nessun altro

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provvedimento. Nessuna visita da parte di un medico o dichiarazione sul suo stato di salute. Questo non è conforme alla legge.» Barak mi guardò gravemente. «Ha avuto la fortuna di non essere accusato di eresia. Ricordate che cosa è accaduto a Richard Mekins e a John Collins.» «Adesso il Consiglio è più prudente.» Mekins era un apprendista di quindici anni, che diciotto mesi prima era stato arso vivo a Smithfield per avere negato la presenza di Gesù nell'Eucarestia. Il caso di John Collins era stato ancora peggiore: un giovane che aveva tirato una freccia contro una statua di Cristo in una chiesa. Molti avevano creduto che fosse pazzo anche lui, ma l'anno prima il re aveva fatto approvare un decreto che permetteva di mettere a morte i malati di mente, e pure Collins fu bruciato. La crudeltà di quei due casi aveva reso il popolino ostile alla mano di ferro esercitata sulla città dal vescovo Bonner. Da allora non c'erano stati altri roghi. «Dicono che Bonner sia di nuovo a caccia di radicali.» «Così mi hanno riferito anche ieri sera a cena. Voi che cosa pensate che succederà, Jack?» Barak aveva ancora amici fra coloro che lavoravano nelle pieghe più oscure della Corte, quelli che frequentavano taverne e osterie per riferire gli umori del popolo. M'ero fatto l'idea che di recente avesse passato parecchio tempo a bere con quelle sue vecchie e discutibili conoscenze. Tornò a squadrarmi con gravità. «Si dice che, ora che la Scozia non è più una minaccia, il re voglia allearsi con la Spagna per muovere guerra alla Francia. Però, per rendersi ben accetto all'imperatore Carlo, dovrà mostrarsi duro con gli eretici. Si dice anche che stia per tentare di far votare al Parlamento una legge che vieta alle donne e alla gente del popolo di leggere la Bibbia, e incoraggi il vescovo Bonner a schiacciare i radicali di Londra. Così si dice a Whitehall, comunque; perciò io con questa faccenda ci andrei cauto.» «Capisco. Grazie.» Questo non faceva che rendere le cose ancora più delicate. Cercai di sorridere. «L'altro argomento su cui si spettegolava ieri sera è che il re cerca una nuova moglie. Lady Latimer.» «Anche questo è vero, a quanto ho sentito. Stavolta, però, ha qualche problema: la signora non vuol saperne di lui.» «Lo ha respinto?» domandai sorpreso. «Così dicono. Non posso darle torto: adesso il re soffre di piaghe a tutt'e due le gambe, e per metà del tempo devono portarlo in giro per

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Whitehall su un carretto. Dicono che diventi ogni mese più grasso, e il suo umore è sempre più nero. Si dice anche che lei abbia interesse per un altro uomo.» «Chi?» «Di questo non si parla.» Esitò. «Quel balordo di Adam Kite potrebbe starsene più sicuro, se resta a Bedlam. E voi pure, invece di immischiarvi di nuovo con il Consiglio Privato.» «Faccio solo il mio mestiere di avvocato», sospirai. «Non vi potrete nascondere dietro la legge, una volta che sarà implicata certa gente. Lo sapete.» Compresi che Barak si preoccupava ogni volta che mi accostavo a qualcuno dei potenti nemici che ci eravamo fatti in passato. Il duca di Norfolk e Richard Rich, infatti, sedevano entrambi nel Consiglio Privato. «Una sfortuna che abbiano assegnato questo caso a me, anziché a Herriott», dissi. «Però adesso è mio, perciò devo solo procedere con prudenza. Studierò i documenti per il caso di domani. Mandatemi i Kite appena arrivano.» Entrai nel mio studio e chiusi la porta. Le parole di Barak mi avevano turbato. Mi diressi verso la finestra a colonnine. La pioggia cadeva più fitta, sferzando il vetro e alterando la visuale di Gatehouse Court. Rabbrividii leggermente, perché il rumore della pioggia battente mi riportava sempre a quella terribile notte di un anno e mezzo prima, quando per la prima e unica volta nella mia vita avevo ucciso un uomo. Se non l'avessi fatto lui avrebbe sicuramente ammazzato me, eppure ancora adesso quello scrosciare raccapricciante mi atterriva. Sospirai profondamente, rammentando non senza rammarico la mia serenità la sera precedente: forse che rallegrarmi di essere lieto m'aveva attirato la malasorte? Bedlam, pensai. A Londra bastava quel nome per destare timore e disgusto. Per molto tempo il Bethlehem Hospital era stato l'unico a Londra a curare i malati di mente e, per quanto fosse abbastanza consueto vedere dei mentecatti chiedere la carità per le strade e non pochi avessero qualche amico o famigliare che soffriva di disturbi mentali, i pazzi venivano evitati, non solo perché temuti in quanto pericolosi o ritenuti indemoniati, ma anche perché ricordavano ai sani che la follia poteva colpire all'improvviso chiunque, e in una terribile varietà di forme. Per questo Roger temeva l'epilessia, perché le crisi che l'accompagnavano erano uno spettacolo spaventoso. Sapevo che Bedlam ospitava solo casi gravi di pazzia: alcuni erano malati di

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famiglia ricca, altri mantenuti dalla beneficenza. Di tanto in tanto qualcuno come Adam Kite, che dava noia al potere, vi era internato, per toglierlo dalla circolazione. Oltre questo, non sapevo nulla. Poco dopo udii un colpetto alla porta, e Barak fece entrare una coppia di mezz'età. Rimasi sconcertato nel vederli accompagnati da una terza persona, un ecclesiastico dalla lunga tonaca: quest'ultimo era alto e magro, con sopracciglia cespugliose, folti capelli grigio ferro e un viso rosso e collerico. La coppia di mezz'età era austeramente vestita di nero, e apparivano entrambi profondamente avviliti; la donna era quasi in lacrime. Era piccola e minuta come un uccellino; il marito invece era alto e grosso, con i lineamenti marcati. S'inchinò, mentre la moglie mi faceva una profonda riverenza. Il prete mi gettò uno sguardo di brusco apprezzamento, per nulla intimorito dal fatto di trovarsi nel Lincoln's Inn, né di vedermi in toga nera, nel mio studio stracolmo di testi giuridici. «Sono l'avvocato superiore Shardlake. Voi dovete essere padron Kite e signora.» Sorrisi alla coppia nervosa per metterla a suo agio, concentrando su di loro la mia attenzione. Per la mia lunga esperienza sapevo che quando i clienti arrivano accompagnati da un terzo, quest'ultimo è di gran lunga più aggressivo del cliente stesso. Avrei scommesso che il religioso era il loro vicario, e che avrebbe costituito un problema. «Daniel Kite, per servirvi», disse l'uomo, con un inchino. «Questa è mia moglie, Minnie.» La donna fece un'altra riverenza, sorridendo incerta. «È stato gentile a riceverci di domenica», aggiunse Daniel Kite. «La Domenica delle Palme», disse con disgusto il prete. «Qui perlomeno non dobbiamo assistere a quelle assurde cerimonie papiste.» Mi lanciò un'occhiata di sfida. «Sono Samuel Meaphon. Questa famiglia afflitta appartiene alla mia congregazione.» «Accomodatevi, prego», dissi. Sedettero in fila su una panca, con Meaphon in mezzo. Minnie giocherellava nervosamente con le pieghe dell'abito. «Ho esaminato le carte inviatemi dalla corte», cominciai, «ma raccontano solo la storia a grandi linee. Vorrei che mi diceste che cosa è accaduto a vostro figlio dall'inizio.» Daniel Kite gettò un'occhiata inquieta a Meaphon. «Preferirei sentirlo da voi e da vostra moglie, signore», mi affrettai ad aggiungere. «Senza offesa per il buon reverendo, le testimonianze di prima mano sono le migliori.»

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Meaphon s'accigliò leggermente, ma accennò a padron Kite di proseguire. «Nostro figlio Adam era un bravo ragazzo, fino a sei mesi fa», incominciò il padre con una voce grave e triste. «Un pezzo di ragazzo robusto e allegro. La nostra benedizione del Signore, dato che non abbiamo avuto altri figli. Lo tenevo come apprendista nella mia bottega, a Billingsgate.» «Siete uno scalpellino?» «Maestro scalpellino, signore.» Nonostante l'afflizione, la sua voce non era priva di una nota d'orgoglio. Gli guardai le mani: grosse, callose, piene di piccole cicatrici. «Speravo che Adam continuasse il mio mestiere. Era un gran lavoratore, e molto devoto in chiesa.» «Molto devoto», annuì con enfasi il reverendo Meaphon. «Siamo veri osservanti della Bibbia, signore.» Un lieve accenno di sfida s'insinuò nella voce di Kite. «Qualunque cosa il mondo peccatore possa pensare di noi», aggiunse Meaphon, squadrandomi con occhio fiero. «Qualsiasi cosa mi direte a proposito delle vostre convinzioni religiose rimarrà confidenziale», replicai. «Vedo che non credete quanto crediamo noi.» C'era più rammarico che collera nel tono di Kite. «Il discorso non riguarda le mie convinzioni», ribattei, con ciò che sapevo essere un sorriso forzato. Lo sguardo di Meaphon saettò su di me. «Vedo che Iddio vi ha inflitto una prova, signore. Ma lo ha fatto soltanto affinché vi rivolgeste a Lui per riceverne soccorso.» Che quell'estraneo mi guardasse per alludere in tali termini alla mia schiena deforme mi fece imporporare di collera; tuttavia Minnie intervenne precipitosamente: «Vogliamo solo che aiutiate il nostro povero ragazzo, signore, che ci diciate se la legge può offrirci assistenza». «Allora spiegatemi che cosa è accaduto dal principio, chiaro e tondo.» Minnie trasalì per l'asprezza della mia voce. Il marito esitò, poi continuò il suo racconto. «V'ho già detto che Adam era un ragazzo come si deve. Tuttavia sei mesi fa incominciò a divenire taciturno e triste, e si rinchiuse in se stesso. Ci preoccupava. Poi un giorno dovetti lasciarlo da solo in bottega; al mio ritorno lo trovai inginocchiato in un angolo. Pregava,

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implorando il Signore di perdonare i suoi peccati. Gli dissi: Su, Adam, Dio ha stabilito un tempo per pregare e un tempo per lavorare. Allora mi obbedì, anche se ricordo che si alzò con il gemito più doloroso che avessi mai udito.» «Da allora glielo abbiamo sentito spesso», aggiunse Minnie. «Fu quello il principio. Lo avevamo sempre incoraggiato a pregare, ma da allora in poi... sembrava non voler più smettere.» La voce di Kite si spezzò, e avvertii la sua paura. «In ogni momento della giornata, nella bottega o persino in compagnia, cadeva in ginocchio e si metteva freneticamente a pregare che Dio perdonasse i suoi peccati e gli facesse sapere se era salvo. Non mangiava nemmeno più, si accasciava in un angolo e dovevamo rimetterlo in piedi, e lui opponeva resistenza come un peso morto. E quando lo facevamo rialzare, sempre quel terribile gemito.» «Che pena», aggiunse piano Minnie. Chinò il capo, ma non prima che potessi notare i suoi occhi pieni di lacrime. Kite mi guardò. «E convinto di essere dannato, signore.» Scrutai quei tre. Sapevo che i radicali credevano, con Lutero, che Dio aveva diviso l'umanità in salvi e dannati, e che soltanto coloro che venivano a Lui tramite la Bibbia sarebbero stati redenti il Giorno del Giudizio. Il resto del genere umano era condannato a bruciare per sempre all'inferno. Credevano anche che il Giorno del Giudizio, la fine del mondo preannunciata nel Libro dell'Apocalisse, sarebbe giunto presto. Non sapevo come rispondere, e fui quasi grato a Meaphon di rompere il silenzio. «Questa brava gente mi portò loro figlio», disse. «Parlai con Adam, provai a rassicurarlo che era salvo, gli dissi che a volte Dio ispira dubbi a coloro che ama di più, per mettere alla prova il loro spirito. Rimasi due giorni interi con lui, digiunando e pregando, ma non riuscii a fare breccia.» Scosse il capo. «Mi resisteva con tutte le sue energie.» Minnie mi guardò. Il suo volto era smunto, smarrito. «Da allora Adam fu solo pelle e ossa. Dovevo nutrirlo con il cucchiaio mentre mio marito lo sorreggeva, per impedire che crollasse al suolo. Devo pregare, continuava a ripetere. Non sono salvo! Credo di avere paura a sentir parlare di preghiere e di salvezza.» «Quali peccati pensa di avere commesso Adam?» domandai a bassa voce.

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«Non lo dice. Sembra credere di avere commesso ogni sorta di peccato esistente. Prima di tutto ciò era soltanto il solito ragazzino allegro, a volte rumoroso e sventato, ma non più di tanto. Non ha mai fatto nulla di male.» «A quel punto prese a uscire di casa», disse Daniel Kite. «A correre nei vicoli e negli angoli dove poteva pregare indisturbato. Dovevamo cercarlo ovunque.» «Avevamo paura che morisse di freddo», aggiunse Minnie. «Se la filava senza mantello, e dovevamo seguire le sue impronte nella neve.» Si colpì il grembo con il piccolo pugno, colta da una collera repentina. «Oh, trattare in quel modo i suoi genitori, quello è peccato.» Il marito posò sulle sue una mano arrossata dal lavoro. «Abbi fede, Minnie. Dio ci manderà una risposta.» Tornò a voltarsi verso di me. «Dieci giorni fa, in quei giorni di neve quando nessuno usciva di casa a meno di un impegno urgente, Adam scomparve. Lo facevo stare nella bottega, dove potevo tenerlo d'occhio, ma era diventato furbo come una scimmia, e quando gli voltai le spalle sgattaiolò via, aprì la porta e sparì. Cercammo dappertutto, senza riuscire a trovarlo. Poi, quello stesso pomeriggio, arrivò un funzionario dell'arcivescovo. Disse che Adam era stato trovato in ginocchio nella neve davanti a Preaching Cross, sul sagrato di St Paul, a implorare da Dio un segno per capire se era salvo e che gli fosse concesso di andare in Cielo come uno degli eletti. Urlava che la fine del mondo stava per arrivare, pregava Iddio e Gesù di non gettarlo all'inferno nel giorno del Giudizio Universale.» Minnie scoppiò a piangere e il marito tacque, chinando il capo, sopraffatto anch'egli dall'emozione. Era terribile assistere alla profondità del dolore di quelle due anime semplici. E ciò che loro figlio aveva fatto era pericolosissimo. A St Paul potevano accedere solo i predicatori autorizzati, e la dottrina del re ribadiva con fermezza che unicamente la fede, sola fide, non bastava a condurre l'uomo in paradiso. Ancor meno ortodossa era la dottrina di un'umanità divisa fra eletti da Dio e reprobi. Guardai Meaphon: si passava una mano sui folti capelli, corrucciato. «Dunque Adam fu portato davanti al Consiglio...» sollecitai con garbo Daniel. «Sì. Dalla prigione del vescovo dov'era stato chiuso. Mi convocarono. Andai a Whitehall Palace, dove quattro uomini, tutti vestiti riccamente,

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sedevano a un tavolo in un'ampia sala.» Gli tremava la voce, e, a quel ricordo, un filo di sudore gli comparve sulla fronte. «Adam era lì, in catene, con un carceriere a fianco.» Guardò il vicario. «Venne anche il reverendo Meaphon, ma non gli permisero di parlare.» «No, non mi ascoltarono», disse Meaphon. «Non mi aspettavo che lo facessero.» Probabilmente fu un bene, mi dissi. «Chi erano quegli uomini?» «Uno, quello con la veste bianca, era l'arcivescovo Cranmer: l'avevo visto predicare alla cattedrale di St Paul. C'era un altro religioso, un omone dall'aria irritata, con i capelli scuri. Mi sembra che gli altri due portassero abiti con pellicce e gioielli. Uno era un individuo piccolo e pallido, con una voce acuta; l'altro aveva una lunga barba scura e una faccia sottile.» Annuii lentamente. L'ometto pallido doveva essere Sir Richard Rich, ex protetto di Thomas Cromwell schieratosi con i conservatori alla caduta di quest'ultimo: un perfido e spietato opportunista. L'altro si adattava alle descrizioni che avevo udito di Edward Seymour, fratello della defunta regina Anna, un riformista. «Che cosa vi dissero?» «Mi chiesero in che modo Adam si fosse ridotto nello stato in cui era, e io risposi con sincerità. L'uomo pallido disse che pareva eresia, e si sarebbe dovuto bruciare il ragazzo. Proprio allora, però, Adam scivolò dalla sedia, e prima che il suo carceriere potesse fermarlo si gettò a terra, pregando freneticamente Dio di salvarlo. I consiglieri gli ordinarono di alzarsi, ma lui non prestò loro più attenzione che se fossero state mosche. Allora l'arcivescovo disse che Adam era palesemente fuori di senno e che lo si sarebbe mandato a Bedlam, per vedere se si trovava una cura. L'uomo pallido voleva ancora accusarlo di eresia, ma gli altri due non furono d'accordo.» «Capisco.» Rich, supposi, pensava che far bruciare un altro protestante radicale avrebbe accresciuto il suo prestigio fra i tradizionalisti, ma Cranmer, oltre a essere per natura indulgente, non intendeva esasperare ulteriormente Londra. Far chiudere Adam a Bedlam avrebbe risolto il problema, almeno per un po'. Annuii lentamente. «Questo ci conduce al problema principale.» Li squadrai. «Adam è pazzo sul serio?» «Io credo di sì», rispose Minnie.

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«Se non è pazzo, signore», disse Daniel Kite, «abbiamo paura che possa trattarsi di qualcosa di ancor peggio.» «Peggio?» domandai. «Possessione diabolica», rispose aspramente Meaphon. «Questo è il mio timore. Che un demonio si sia impadronito di lui, inducendolo a prendersi pubblicamente gioco della misericordia di Dio. E se le cose stanno così, allora solo pregando con tutte le forze insieme con Adam, lottando contro il diavolo, posso salvarlo.» «E ciò che credete anche voi?» chiesi al tagliapietre. Guardò Meaphon, poi si prese la testa fra le grosse mani. «Non lo, so, signore. Dio abbia pietà di mio figlio, se dovesse essere la verità.» «Credo che Adam sia solo in preda a una grande confusione e paura.» Minnie alzò il viso, incontrando lo sguardo di Meaphon, e in quel momento intuii che, nella coppia, era lei la più forte. Si rivolse a me. «Ma, qualunque sia la verità, restare a Bedlam lo ucciderà. Adam giace nella stanza in cui l'hanno chiuso a chiave. Fa freddo, non c'è fuoco. Lui non fa nulla, se ne sta solo lì accovacciato a pregare e pregare. Ci permettono di fargli visita solo un'ora al giorno. Per il mantenimento ci chiedono tre scellini al mese, più di quanto ci possiamo permettere, e non lo fanno neppure mangiare, né si prendono cura di lui. Il custode sarà contento, se muore.» Mi guardò con aria implorante. «Hanno paura di lui.» «Perché temono che sia un indemoniato?» Annuì. «E voi pensate che lo sia?» «Non lo so, non lo so. Ma se resta a Bedlam morirà.» «Dovrebbe essere affidato alla mia custodia», disse Meaphon. «Ma non lo faranno. Non quegli apostati e papisti del Consiglio.» «Allora almeno su un punto siete tutti d'accordo», dissi io. «Che non dovrebbe stare a Bedlam.» «Sì, sì», si affrettò ad annuire il padre del ragazzo, sollevato che si trovasse un terreno comune. Riflettei intensamente per un momento, quindi dissi con calma: «In questo caso i problemi sono due. Uno è la giurisdizione. Chiunque sia in condizioni di permettersi un avvocato ha il diritto di sottoporre il caso alla Corte delle Suppliche, ma il giudice potrebbe dire che la materia non rientra fra le sue competenze, e Adam verrebbe rimandato davanti al Consiglio Privato. Tuttavia, se non potete sostenere la retta di

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Bedlam, la corte potrebbe chiedere al Consiglio di prenderne in considerazione il pagamento, e intervenire per mettere fine al cattivo trattamento. Però il problema della dimissione di Adam è molto più difficile». Trassi un profondo respiro. «E se fosse rilasciato? Se fuggisse un'altra volta e si ripetesse ciò che è avvenuto a St Paul, potrebbe ritrovarsi con un'accusa di eresia. Se si riuscisse a far migliorare le sue condizioni, in tutta franchezza Bedlam potrebbe essere il luogo più sicuro per lui, a meno che non lo si possa far rinsavire. Avere a che fare con il Consiglio Privato potrebbe essere molto rischioso.» Non avevo accennato all'infelice John Collins, ma, dalle loro facce, avrei detto che ricordavano l'orrore di quanto gli era accaduto. «Dev'essere dimesso da quel luogo», disse Meaphon. «L'unica cura per Adam è capire che Iddio gli ha mandato questa prova e che non deve dubitare della Sua grazia. Che un demonio si sia impossessato di lui o che la sua mente sia turbata da qualche altra causa, soltanto io posso aiutarlo, con l'assistenza dei ministri miei colleghi.» Il prete fissò i genitori di Adam. Daniel Kite disse: «Amen», ma Minnie abbassò lo sguardo sul proprio grembo. «Non sarà dimesso, a meno che il Consiglio non sia persuaso che è sano di mente», dissi. «Ma possiamo ancora fare una cosa. Conosco un medico, un uomo saggio, che potrebbe esaminare Adam, persino essere in grado di aiutarlo.» Daniel Kite scosse energicamente il capo. «I medici sono uomini senza Dio.» «Questo medico è molto religioso.» Ritenni meglio non dire che il mio amico Guy era un ex monaco, in fondo al cuore tuttora cattolico. Kite appariva ancora dubbioso, ma Minnie si affrettò ad aggrapparsi alla speranza. «Portatelo da lui, signore, tenteremo di tutto. Ma non abbiamo i soldi per pagare...» «Sono certo che si potrà trovare un accordo.» Guardò il marito. Lui esitava, sbirciò Meaphon e alla fine disse: «Non può fargli del male, signore, questo è sicuro». Meaphon sembrava sul punto di disapprovare, al che intervenni io. «Non dubito che sia la mossa più opportuna da fare, dal punto di vista del bene di Adam. Nel frattempo mi adopererò affinché il suo caso venga preso in esame e le spese condonate. Alle Suppliche abbiamo talmente tanti casi che proprio adesso il giudice fa gli straordinari per sbrigare gli arretrati.

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Con un po' di fortuna, un'istanza urgente potrebbe essere giudicata nel giro di circa una settimana.» «Grazie, signore», disse Minnie. «Tuttavia, non mi andrebbe neppure di provare a inoltrare un'istanza di dimissione senza che vi sia qualche miglioramento». Fissai Meaphon. «Una richiesta del genere potrebbe essere respinta.» «Allora sembra che si debba aspettare e vedere che cosa dice il dottore.» La sua voce era calma, ma i suoi occhi erano ostili. «E penso che dovrei fare una visita a Bedlam, magari per mettere un po' di paura al custode. E vedere Adam.» I Kite si scambiarono occhiate imbarazzate. «Sarebbe una buona azione la vostra, signore», disse Daniel Kite. «Però debbo dirvi che la follia del mio povero ragazzo è uno spettacolo terribile.» «Nella mia carriera ho veduto molte cose brutte», risposi, sebbene in verità tremassi al pensiero della visita. «Andremo a trovare Adam domani, signore, alle nove», disse Minnie. «Verrete allora?» «Sì, avrò tempo prima delle udienze.» «Sapete come arrivarci? Andate oltre Bishopgate, signore, poi cercate il portone di Bedlam.» «Ci sarò.» Le sorrisi e mi alzai. «Farò ciò che posso. La questione, però, è oltremodo difficile.» Li accompagnai alla porta. Meaphon si soffermò sull'uscio mentre i Kite passavano nell'ufficio esterno. «Non credo che il dottore avrà successo», disse a bassa voce. «Le vie del Signore sono strane e sbalorditive e, dopo tutte le prove e le persecuzioni in questo mondo, Egli condurrà infine i veri cristiani alla Sua pace. Compreso Adam.» I suoi occhi grigi ardevano sotto il cespuglio delle sopracciglia; a colpirmi, tuttavia, fu che in lui c'era qualcosa di singolarmente teatrale, come se stesse recitando la parte di Virtù in un dramma il cui pubblico era l'intera Londra. «Certamente», risposi. «Prego che quel povero ragazzo possa trovare la pace.» «Ora ci recheremo al servizio divino», disse il prete. «Pregheremo ardentemente per lui.» Dopo che se ne furono andati tornai al mio scrittoio, per riesaminare le carte. Quindi mi alzai e andai alla finestra a guardare giù nel cortile inzuppato di pioggia. I Kite passarono sotto la finestra tenendosi forte il

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cappello, curvi sotto l'acqua che scrosciava a dirotto. «Non è uno di noi», sentii dire a Meaphon. «Quello non sarà salvo, alla Fine dei Tempi.» Li osservai mentre uscivano dal portone. Di una cosa ero certo: adesso Adam Kite era sotto la mia responsabilità. Dovevo stabilire che cosa fosse più vantaggioso per lui sul piano legale, ed ero parecchio in dubbio se essere dimesso presto da Bedlam gli sarebbe tornato utile, checché ne dicesse Meaphon. Minnie Kite, me lo sentivo, avrebbe messo al primo posto l'interesse di suo figlio, e avrebbe dato ascolto a me. Tornai nell'ufficio esterno. Barak sedeva al tavolo, fissando il fuoco con un viso serio. Quando pronunciai il suo nome sussultò. «Sembrate pensieroso», dissi. «Mi domandavo se andare a farmi la barba o stare a vedere se cessa di piovere.» «Secondo me pioverà tutto il giorno.» «Quel vicario mi ha lanciato un'occhiataccia, quando è passato.» «Vi ha sicuramente riconosciuto per un senza Dio. L'ho udito condannarmi gentilmente al fuoco eterno mentre passavano sotto la finestra.» Sospirai. «Sembra che abbia chiuso Adam Kite in una stanza e pregato con lui per due giorni. E ha fatto anche digiunare il ragazzo, anche se era già pelle e ossa. Quasi quasi mi domando se Bonner non faccia bene a fare fuori tutta quella banda.» Quando Barak mi squadrò stupito, aggiunsi: «Non parlavo sul serio». Sospirai. «Comincio a chiedermi se sia in questo che la riforma religiosa s'è trasformata, se quella gente è il futuro. Ed è un pensiero che mi spaventa.» «Ma assumerete il caso?» «Devo. Però starò molto attento, di questo non vi preoccupate. Voglio che Guy veda il ragazzo, ma prima bisogna che gli faccia visita io di persona.» «A Bedlam?» Sospirai. «Sì, domani.» «Posso venire anch'io?» «No, meglio che vada da solo. Grazie, comunque.» «Peccato», disse Barak. «Mi sarebbe piaciuto sapere se è vero che gemiti e grida si sentono fin dalla strada, facendo girare al largo la gente.» ***

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Capitolo tre Piu tardi quel mattino la pioggia cessò. Spuntò il sole, e il tempo tornò a farsi ancora una volta sereno e freddo. L'incontro con i Kite aveva fornito molto alimento ai miei pensieri, e decisi di uscire per una passeggiata. Nell'aria limpida ogni cosa appariva più netta: i rami spogli degli alberi si stagliavano contro l'azzurro del cielo e alcune chiazze di neve rimanevano visibili negli angoli dei campi nudi e bruni fra le case. Camminai fino ai sobborghi più vicini, lungo Holborn e giù per Shoe Lane. Si celebravano le funzioni religiose della Domenica delle Palme e notai che alcune chiese erano decorate con ghirlande appese al portico e ai battenti del portale, e addobbi di verzura si estendevano anche alle strade vicine, mentre altre offrivano il loro aspetto consueto. Su un sagrato si svolgeva una cerimonia all'aperto: un coro di ragazzini in cotta bianca cantava un inno davanti a una croce inghirlandata, accanto a tre uomini vestiti da profeti, con lunghi abiti bianchi, barbe finte e copricapi a colori vivaci. Mi venne in mente lo spettacolo della sera prima. Ricordai che un ospite alla tavola di Roger aveva parlato di apprendisti che avevano disturbato una cerimonia di fedeli con le fronde di palma. Circolavano molte storie di divisioni religiose nella selva di minuscole parrocchie di Londra: in una chiesa un vicario radicale cancellava sotto una mano di calce antichi affreschi, sostituendoli con brani della Bibbia, mentre in un'altra un vicario conservatore continuava a celebrare la messa in latino. Di recente avevo udito che in una chiesa una congregazione di radicali aveva parlato a voce alta mentre il campanello segnalava l'elevazione, e aveva fatto infuriare il prete tradizionalista, che aveva gridato loro: «Eretici! Sciagurati! Al rogo!» C'era da meravigliarsi che molti, come me, di questi tempi girassero al largo dalle chiese? Il prossimo fine settimana sarebbe stata Pasqua, quando tutti erano obbligati per legge a confessarsi. A Londra chi non obbediva veniva denunciato al vescovo Bonner, ma una malattia o affari urgenti erano accettati come scusa, e io ci avrei pensato più tardi. Non tolleravo il pensiero di confessare i miei peccati a un parroco, a un conformista il cui unico criterio nel conflitto dottrinario era seguire il vento e conservare il proprio posto. Se mi dovevo confessare, sapevo che uno dei miei peccati era un antico, semisommerso dubbio sull'esistenza

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stessa di Dio. Era questo il paradosso: il feroce contrasto fra papisti e sacramentari alienava completamente molti dalla fede medesima. Cristo aveva detto: dai loro frutti saranno conosciuti, e i fautori di entrambi i partiti apparivano ogni anno più marci. Mentre camminavo lungo Shoe Lane le porte intagliate di una chiesa si aprirono e i fedeli uscirono al termine della funzione. Erano persone molto diverse da quelle che avevo veduto sul sagrato: le donne in abiti neri, gli uomini in farsetti e cappe sobriamente scure, tutti avevano un atteggiamento di severa compostezza. La chiesa di Meaphon doveva essere come quella, e i parrocchiani un ristretto gruppo di radicali, dato che certuni facevano armi e bagagli e si trasferivano in cerca di una parrocchia il cui vicario fosse in armonia con le loro convinzioni. Se in quelle chiese il vescovo Bonner avesse cercato di rafforzare tutte le vecchie consuetudini, sarebbero scoppiati seri disordini, che sarebbero potuti sfociare in tumulti. Lui, però, stava dando un giro di vite: da poco era stato pubblicato un nuovo elenco di libri proibiti, mentre i predicatori privi di autorizzazione venivano arrestati. E allora, pensai, se s'imponevano con successo misure severe? I radicali non avrebbero fatto altro che entrare nella clandestinità: già certi gruppi tenevano riunioni illegali in case private, per discutere la Bibbia e sostenere le loro convinzioni intransigenti. Ero stanco quando rientrai a casa, in Chancery Lane, a poca distanza dal Lincoln's Inn. L'odore di pesce alla griglia proveniente dalla cucina dove la mia governante Joan preparava il pranzo era gradevole, sebbene attendessi con impazienza che la settimana ventura finisse la Quaresima, e tornasse a essere legittimo mangiare carne. Andai in salotto e mi sedetti presso il fuoco, ma neppure la mia accogliente dimora poteva dissipare la tensione che avvertivo, e non solo perché il caso di Adam Kite mi aveva trascinato in mezzo alle pericolose correnti dottrinarie che spazzavano la città, ma anche perché mi rendeva difficile sfuggire alla crescente consapevolezza della mia perdita della fede. Il mattino seguente di buon'ora mi recai a Bedlam. Sotto il mantello indossavo l'abito migliore, e m'ero anche messo il copricapo da avvocato superiore: non avrebbe recato danno impressionare il custode. Confesso che mi sentivo nervoso, al pensiero di andare in un manicomio. Non sapevo pressoché nulla riguardo la pazzia, essendo

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stato abbastanza fortunato da non averla mai incontrata tra famigliari o amici. Ero solo a conoscenza che i dottori dividevano i malati di mente tra coloro che soffrivano di una mania, i quali spesso avevano un comportamento agitato e violento, e i malinconici, che si estraniavano dal mondo in una loro sorta di tristezza. La malinconia era più comune e di solito meno grave; ero certo di avere io stesso, nel mio carattere, qualche tratto di malinconia. Come pure Adam Kite, supponevo. Qual era il suo problema? Di che si trattava? Il tempo incerto s'era nuovamente volto al brutto: nella notte era caduta un'altra spolverata di neve, che scintillava fredda al sole. Cavalcavo il mio buon cavallo, Genesis. M'era dispiaciuto farlo uscire dalla stalla, ma le strade erano troppo scivolose per camminare, e Bedlam si trovava all'estremità opposta della città. Varcai la cinta muraria di Londra a Newgate, proseguendo per Newgate Street fino al mercato. I venditori disponevano i loro banchi sotto la mole incombente della chiesa abbandonata della vecchia St Martin's Friary, mentre qualche massaia dalla cuffia bianca già esaminava le merci via via che venivano esposte. Attraversando il mercato udii qualcuno gridare. All'angolo dove Newgate Street incontrava gli Shambles, un uomo in farsetto nero, senza mantello nonostante il freddo, era in piedi su una scatola vuota, e agitava una grossa Bibbia nera in direzione dei passanti, la maggior parte dei quali distoglieva lo sguardo. Doveva essere il predicatore cui aveva accennato a cena il vecchio Ryprose. Guardai quell'uomo: un tipo giovane, con il volto acceso dalla passione. Si era ricominciato a lavorare nei macelli dietro gli Shambles. Giovedì sarebbe finita la Quaresima, e già si uccidevano pecore e bovini. Rivoli di sangue scorrevano dai cortili nel fosso di drenaggio al centro della strada gelata. Il predicatore li indicava con la Bibbia. «Così avverrà per il genere umano, negli ultimi giorni del mondo!» urlava con voce profonda. «I loro occhi saranno fusi, la pelle cadrà dalle loro ossa, e di loro non rimarrà altro che sangue, profondo quanto la briglia di un cavallo per trecento chilometri all'intorno! Così è detto nell'Apocalisse!» Mentre mi allontanavo dagli Shambles lo udii gridare: «Volgetevi soltanto a Dio, e conoscerete la dolce gioia della Sua redenzione!» Se l'avessero preso le guardie si sarebbe trovato in un bel guaio, perché predicava senza autorizzazione.

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Lungo Cheapside gli apprendisti in camice blu aprivano le botteghe dei padroni per iniziare la giornata di lavoro, sollevando tende a colori vivaci mentre il loro fiato si condensava per il freddo. Alcuni cacciavano, con calci e botte se non si muovevano abbastanza alla svelta, i mendicanti che di notte avevano trovato riparo sulle soglie. Un gruppo di disgraziati, uomini e donne, già zoppicava in direzione della Great Conduct per chiedere l'elemosina a chi veniva ad attingere l'acqua, affollandosi gli uni sugli altri sui gradini che la circondavano, come un branco di corvi famelici. Passando osservai i loro volti sofferenti e piagati. Uno di loro, un vecchio con un ciuffo di capelli grigi che sbavava e tremava, colse il mio sguardo e tese una mano, invocando: «Aiuti un vecchio monaco di Glastonbury, signore! Hanno impiccato il mio abate!» Gli gettai una moneta da sei pence, sulla quale si tuffò con uno scatto repentino, prima che ci riuscissero gli altri. C'erano tanti senzatetto per strada, ora. Vivere a Londra dopo la soppressione dei conventi significava abituarsi a scene penose a ogni angolo. Molti si limitavano a distogliere lo sguardo, fingendo di non vedere quei miseri. Non pochi mendicanti erano ex dipendenti dei monasteri, altri povera gente venuta dalla campagna, dove grandi estensioni di terra erano state recintate per farvi pascolare le pecore e i villaggi erano stati demoliti. E i malati che un tempo riuscivano a trovare un temporaneo rifugio negli ospedali monastici adesso giacevano per le strade, dove spesso morivano. Pensai che avrei aiutato Roger e il suo progetto: almeno avrei fatto qualcosa. Superai nuovamente la cinta urbana e infilai Bishopgate Street. L'ospedale si trovava fuori delle mura, dove ogni anno le nuove case si espandevano sempre più. Il pomeriggio precedente ero tornato al Lincoln's Inn, per leggere ciò che avevo potuto trovare in biblioteca a proposito di Bedlam. Era stato una fondazione monastica, ma era sopravvissuto perché alcuni pazienti provenivano da famiglie agiate, e di conseguenza erano una potenziale fonte di guadagno. Il re ne aveva designato il responsabile, attualmente un cortigiano di nome Metwys, che a sua volta aveva nominato un custode a tempo pieno. Era questo l'uomo che, secondo quanto credevano i genitori, sperava che Adam Kite morisse. Presso Bishopgate dovetti fermarmi: transitava il corteo funebre di un uomo ricco, con cavalli neri, carrozze nere e un seguito di poveri vestiti di nero che cantavano salmi. Un vecchio di nobile aspetto camminava

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in testa al corteo, reggendo un bastone bianco: il maggiordomo della casa del defunto con il bastone simbolo della sua carica, che avrebbe spezzato e gettato nella fossa. Dall'imponenza del funerale supposi che dovesse trattarsi di Lord Latimer, la cui moglie pareva essere oggetto della concupiscenza del re. Mi scoprii il capo. Passò una grossa carrozza con i finestrini aperti. Una donna guardava fuori, il volto incorniciato da una cuffia d'un nero lustro. Era sulla trentina: il mento sfuggente e la bocca piccola rendevano il suo viso, che altrimenti sarebbe apparso grazioso, soltanto interessante. Osservava la folla con grandi occhi attoniti, come assenti. Mi sembrò di leggervi la paura. La carrozza passò oltre con fragore e Lady Catherine Parr svanì dalla mia vista. A Bishopgate varcai il Muro di Londra. Poco oltre giunsi a un grosso cancello di legno che si apriva in un alto muro di cinta. I battenti erano spalancati, ed entrando mi ritrovai in un vasto cortile sterrato, punteggiato da chiazze di neve, con al centro una cappella. Le pareti di fondo delle case formavano tre lati del cortile, mentre il quarto era costituito da un lungo fabbricato a due piani di pietra grigia, dall'aspetto vecchissimo. Le imposte di legno grezzo di alcune finestre erano aperte. Nel cortile la gente andava e veniva, e vidi un paio di viuzze in mezzo alle case. Dunque Bedlam non era una prigione chiusa; e non udivo neppure grida o rumor di catene. Mi diressi verso una grande porta a un'estremità dell'edificio. Quando bussai, si presentò ad aprire un uomo tarchiato, con una faccia dura e beffarda, che indossava un sudicio grembiule grigio. Un grosso mazzo di chiavi gli pendeva dalla cintura di cuoio grasso. «Sono mastro Shardlake», dissi. «Ho un appuntamento per vedere Adam Kite.» L'uomo squadrò la mia toga. «Avvocato, signore?» «Sì. Siete il custode Shawms?» «No, signore. Il custode è fuori, ma dovrebbe tornare presto. Sono uno dei guardiani, Hob Gebons.» «Ci sono i genitori del giovane Kite?» «No.» «Aspetterò.» Si fece da parte per lasciarmi entrare. «Benvenuto nella casa dei matti», disse, mentre richiudeva la porta. «Pensate di far rilasciare Adam Kite?»

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«Spero di sì.» «Saremmo contenti di vederlo andare via, perché rende nervosi gli altri pazzi. Lo teniamo sotto chiave. Qualcuno lo crede posseduto dal demonio», aggiunse a bassa voce. «Voi che ne pensate, Gebons?» L'uomo scrollò le spalle. «Pensare non è affar mio.» Si fece più vicino. «Se avete un pochino di tempo, signore, potrei mostrarvi qualcuno dei nostri pezzi migliori: Re Cesso e il Sapiente in Catene. Per uno scellino.» Esitai, poi gli diedi la moneta. Quanto più ne sapevo di ciò che avveniva in quel luogo, tanto meglio era. Gebons mi condusse lungo un corridoio imbiancato a calce che percorreva l'edificio in tutta la sua lunghezza, con finestre su un lato e porte di legno verniciate di verde sull'altro. Faceva freddo, e si respirava un sentore acre di sudiciume. «Quanti pazienti avete?» «Trenta, signore. Un po' assortiti.» Vidi che nelle porte verdi erano stati praticati degli spioncini ad altezza d'occhio. Sulla soglia di una porta aperta c'era un altro guardiano in grembiule grigio, che guardava all'interno. «È l'acqua per lavarmi, Stephen?» udii domandare una voce di donna. «Sì, Alice. Prendo il tuo vaso da notte?» La scena era abbastanza civile, quasi casalinga. Gebons mi sorrise. «Alice è sana di mente per la maggior parte del tempo. Però ha un brutto mal caduco, e in un batter d'occhio può finire a terra a sbavare e sputare.» Fissai Gebons, ma pensai a Roger. «Ha il permesso di andare e venire, a differenza di questi tipi.» Il guardiano s'era arrestato davanti a una porta chiusa con un pesante catenaccio. Mi fece un sogghigno, mostrando i denti grigi e rotti. «Guardate un po' Sua Maestà.» Aprì lo spioncino, poi si ritrasse per permettermi di guardare. Scorsi una cella quadrata, con le imposte chiuse e una candela che tremolava conficcata in una vecchia bottiglia sul pavimento. Ciò che vidi mi tolse il respiro, facendomi arretrare di un passo. Un vecchio grande e grosso, enormemente grasso, sedeva su un cesso portatile verniciato di bianco. Aveva la barba corta, tagliata nella stessa foggia con cui era rappresentato il re sulle monete. Una veste stravagante e variopinta,

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fatta di brandelli di stoffa cuciti insieme, ne avvolgeva la pesante mole. Impugnava un bastone da passeggio con una palla di legno conficcata in cima, a imitare uno scettro. Sulla testa calva portava una corona di carta dipinta di giallo. «Come vi sentite, oggi, Maestà?» chiese Hob. «Abbastanza bene, amico. Puoi far entrare i miei sudditi, darò loro udienza.» «Magari più tardi, sire. Prima devo pulire i cessi!» «Sfrontato insolente...» Gebons chiuse lo sportello, mettendolo a tacere. Si volse verso di me con una risata rauca. «E convinto di essere il re. Era un maestro di scuola. Non un granché, i suoi allievi lo prendevano in giro e giocavano a calcio in classe. Poi decise di essere il re, e la sua mente si allontanò da tutti i suoi guai.» «Imitare il re», dissi, «è pericoloso.» Gebons annuì. «E per questo che la sua famiglia lo ha messo qua dentro, per toglierlo dalla circolazione. Molti pazzi dicono cose pericolose: svitati come sono, dimenticano che al giorno d'oggi bisogna fare attenzione a quel che si dice. E adesso», ghignò nuovamente, «venga a vedere il Sapiente in Catene. È due porte più giù. Una persona istruita, come si deve.» Sbirciò la mia toga con un sorriso beffardo. «Un dottore in legge di Cambridge. Non avendo ottenuto la carica che voleva, aggredì il preside del suo college, lasciandolo mezzo morto. Con quelli come me va d'accordo, ma guai a vedere qualcuno istruito. Sapeste quanto s'infuria! Se entrate nella sua stanza vi salta addosso e vi riduce la faccia a brandelli. E uno che teniamo ben chiuso a chiave, ma posso aprire lo spioncino per farvi dare un'occhiata.» «No, grazie.» «Si diverte a realizzare mappe e progetti: adesso ci sta ridisegnando le fognature. Avrete notato che qui c'è puzza.» «Certo, un cattivo odore.» Udii un suono di voci non lontane, e riconobbi quella di Daniel Kite, incollerita. «Dov'è?» chiesi. «Nel parlatorio. Devono essere entrati dal retro. Siete sicuro di non voler vedere il Sapiente?» aggiunse, ora chiaramente in tono di scherno. «No», tagliai corto. «Portatemi dai Kite.»

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Gebons mi condusse in una stanzetta con sgabelli sbilenchi sparsi qua e là, un tavolo malandato e un fuoco che ardeva nel focolare. Le pareti erano nude. Minnie Kite sedeva su uno sgabello con un'aria profondamente abbattuta, mentre il marito discuteva con un uomo grasso, dalla faccia arcigna, in giustacuore nero. «Potreste provare a farlo mangiare!» gridava Daniel. «Oh, già: mettere uno dei miei guardiani a farlo stare in piedi mentre un altro gli caccia il cibo in bocca. Mica hanno il tempo, e neppure voglia di farlo, vostro figlio fa paura. Per la Madonna, fa già abbastanza impressione, con quel suo modo di gorgogliare e borbottare e invocare il nome di Dio: non stupisce che metà dei miei guardiani dicano che è un indemoniato! Gli si mette lì il cibo, lui può decidere se mangiare o no.» «Ci sono problemi?» chiesi con calma. «Voi dovete essere il custode Shawms», aggiunsi, quando il grassone si voltò. «Sono l'avvocato Shardlake, il legale dei Kite.» Shawms ci gettò uno sguardo indifferente. «Come fate a permettervi un avvocato, quando dite che non potete pagarmi la retta?» domandò con prepotenza. «Sono stato nominato dalla Corte delle Suppliche», spiegai. «Oh», commentò sprezzante. «L'avvocato dei poveri, dunque, anche se è tutto in ghingheri.» «Che può fare domanda alla Corte per annullare la vostra retta, e prendere in esame qualunque reclamo per maltrattamenti», replicai seccamente. «Domani stesso, se ciò che vedrò oggi non mi soddisferà.» Shawms mi fissò con occhi porcini, profondamente incassati. «Mica facile badare a quel ragazzo...» «Ha solo bisogno di essere nutrito», disse Minnie, «e che qualcuno gli rimetta la coperta sulle spalle quando gli scivola giù.» Si volse verso di me. «Fa così freddo, qui, e questo mascalzone non vuole fargli un po' di fuoco...» «Il fuoco costa!» Mi rivolsi ai Kite. «Magari potrei vedere Adam.» «Stavamo per andare da lui.» «Andatelo a vedere, se volete», disse Shawms. «Da lui non caverete niente.» Mi squadrò. Capivo che per lui Adam era una scomoda grana, e che probabilmente non gli sarebbe dispiaciuto che morisse. E neppure

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al Consiglio sarebbe dispiaciuto; per loro sarebbe stata la soluzione di un problema. «E dopo, mastro Shawms, vorrei dirvi due parole.» «D'accordo. Andiamo, vi porterò da lui. Non ho tempo da sprecare.» Fummo condotti a un'altra delle porte verdi. Era chiusa a chiave; Shawms l'aprì e guardò dentro. «E tutto vostro», disse, e se ne andò. Seguii Minnie Kite nella stanza. Era luminosa, imbiancata a calce, con le imposte semiaperte. Come aveva detto Minnie, faceva un freddo dannato. C'era anche un tanfo disgustoso, un misto di sporcizia e pelle non lavata. L'unico mobilio erano un letto a ruote e uno sgabello. Un giovane alto, dai sudici capelli neri, era inginocchiato in un angolo con la faccia al muro e bisbigliava tra sé e sé parole così rapide che erano difficili da distinguere: «Mi pento dei miei peccati mi pento per carità ascoltami per carità ascoltami in nome di Gesù...» Indossava una camicia sporca di cibo e un farsetto di pelle. Una grossa chiazza scura sulle brache mostrava che se l'era fatta addosso. Aveva un ceppo alla caviglia, legato a una catena che andava fino a un anello di ferro nel pavimento. Minnie si avvicinò, inginocchiandosi accanto al figlio, e gli pose un braccio intorno alle spalle. Lui neppure se ne accorse. «La catena serve a impedirgli di correre fuori, nei sagrati delle chiese», spiegò a bassa voce Daniel Kite. Non si avvicinò ad Adam, limitandosi a rimanergli accanto a testa bassa. Trassi un profondo respiro e mi accostai al ragazzo, notando che era un giovanotto dalle spalle larghe, anche se adesso era ridotto pelle e ossa. Mi chinai a guardarlo in volto. Una visione penosa: un tempo doveva essere stato un bel ragazzo, ma ora i suoi tratti rivelavano un tormento quale mai avevo veduto. Aveva la fronte contratta in un cipiglio agonizzante, i grandi occhi atterriti fissavano il muro senza vederlo e la bocca non aveva un attimo di tregua, mentre la bava gli colava sul mento. «Dimmi che sono salvo», non cessava di ripetere. «Fammi sentire la Tua grazia.» Si arrestò un momento, come se ascoltasse una qualche voce, poi riprese più disperatamente che mai: «Jesù! Ti supplico!» «Adam», disse implorante la madre, «sei sporco. Ti ho portato dei vestiti nuovi.» Cercò di tirarlo in piedi, ma lui resistette, rifugiandosi in un angolo. «Lasciami!» disse, senza nemmeno guardarla. «Devo pregare!»

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«E sempre così?» chiesi a Minnie. «Adesso sì.» Lo lasciò andare, e ci rialzammo entrambi. «Non vuole più alzarsi. I suoi gemiti disperati, quando è costretto a stare in piedi, spezzano il cuore.» «Dirò al mio amico medico di venire», dissi piano. «Però... a dire il vero, mentre è in queste condizioni, se potrò garantire che venga accudito potrebbe trovarsi meglio qui che fuori.» «Dev'essere accudito», disse la donna, «altrimenti morirà.» «Vedremo. Parlerò con il custode Shawms.» «Se volete lasciarci un momento, signore, proverò a pulirlo un poco. Vieni, Daniel, aiutami a sollevarlo.» Il marito la raggiunse. «Ora vado dal custode», dissi. «Ci troviamo in parlatorio, quando avrete finito.» «Grazie, signore», rispose Minnie, con un sorriso tremulo. Suo marito evitava ancora il mio sguardo. Li lasciai e andai in cerca di Shawms, pieno di rabbia per il modo in cui Adam era stato lasciato tra i suoi escrementi. L'orrore di ciò che provava la sua mente malata andava oltre ogni mia comprensione, ma sapevo come trattare dipendenti pigri e venali. Shawms era in una sua stanzetta, seduto a bere birra guardando un fuoco robusto. Mi squadrò con asprezza. «Voglio che il ragazzo sia nutrito», dissi seccamente. «A forza, se occorre. Sua madre gli cambia gli abiti, e voglio che lo si tenga pulito. Inoltrerò un'istanza al tribunale affinché gli sia garantito un adeguato benessere, e il Consiglio se ne accollerà le spese.» «E fino allora chi paga per tutto il lavoro che i miei guardiani dovranno fare, per non parlare di calmare i pazienti che hanno paura di avere tra loro un indemoniato?» «I fondi di Bedlam. A proposito, avete un medico di servizio?» «Sì. Il dottor Frith viene una volta ogni quindici giorni. È rinomato per le sue pozioni, ma non servono. Di solito si faceva venire una donna che conosceva le erbe, e a certi pazienti piaceva, ma il dottor Frith la mandò via. Non sono io a scegliere i medici, spetta al sovrintendente Metwys.» «Viene un cappellano?» «Il posto è vacante da quando quello vecchio è morto. Il sovrintendente non ha ancora provveduto.»

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Fissai la faccia grassa e paonazza, infuriato al pensiero dei pazzi lasciati in balia sua e dello sfaticato guardiano. «Voglio che si accenda il fuoco in quella stanza», dissi. «Adesso pretendete troppo, signore», protestò Shawms. «Il fuoco è un extra, e non pagherò io per ciò che esula dai fondi di Bedlam. Il sovrintendente Metwys mi licenzierebbe.» «Allora farò richiesta che siano cancellate le spese, non che le paghi il Consiglio.» Shawms mi diede un'occhiataccia. «Vi prendete delle libertà, gobbo.» «Meno di voi. E chiaro?» «Ordinerò di accendere il fuoco.» «Vedremo.» Mi voltai e lo piantai in asso senza aggiungere altro. Tornai in parlatorio e mi sedetti, immerso in profondi pensieri. Adam Kite mi aveva sconvolto: qualunque cosa lo facesse tanto soffrire, non c'era alcuna possibilità di chiedere alla corte una dichiarazione che era compos mentis. La mia unica speranza era che Guy potesse aiutarlo in qualche modo. Alzai gli occhi quando la porta si aprì. Entrò una donna dai capelli bianchi, guidata da una donna più giovane in grembiule grigio da guardiana. Mi stupì vedere una sorvegliante donna, ma immaginai che ne occorressero, se le pazienti dovevano mantenere il pudore. La donna canuta teneva la testa china e camminava a passo strascicato, mentre la guardiana l'accompagnava a una sedia presso la finestra. Vi si accasciò, pesante e inerte come un sacco. Nel vedermi, la guardiana mi fece una riverenza. Aveva un viso meritevole di attenzione, troppo lungo per essere grazioso ma non privo di carattere, e con vividi occhi azzurro scuro. I capelli ai lati della cuffia bianca erano castani. Sembrava sulla trentina. «Vorrei che Cissy si sedesse qui per un poco, signore.» «Certamente.» «Oggi è molto depressa, e preferisco che stia fuori della sua stanza. Ti porterò da cucire, Cissy, ti piace rimettere a nuovo i grembiuli.» Era strano vederla parlare alla donna molto più anziana come se fosse una bambina. Cissy sollevò gli occhi opachi quando la guardiana prese una borsa da cucito e un grembiule strappato che teneva ripiegato sul gomito. Posò il grembiule sulle ginocchia di Cissy, ponendole nella mano grassoccia un ago infilato. «Forza, Cissy, sei una cucitrice

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bravissima. Fammi vedere che cosa sai fare.» Riluttante, Cissy prese l'ago. «Non darà fastidio.» La donna mi fece una riverenza e mi lasciò con Cissy, che si mise a cucire senza mai guardarmi. Dunque non tutti i guardiani erano dei bruti, pensai. Poco dopo, i Kite fecero ritorno. Mi alzai e riferii loro la mia conversazione con Shawms. «Allora Adam deve rimanere qui?» chiese Minnie. «Questo è il luogo più sicuro per lui, finché non si potrà farlo rinsavire.» «Forse il senso è questo», disse Daniel Kite. Mi guardò con un'inattesa aria di sfida. «A volte Iddio invia le prove più terribili a coloro che ama di più, come Giobbe, dice il reverendo Meaphon: potrebbe essere un monito, per rammentare agli uomini che la fine dei tempi è prossima e devono abbandonare le vie del peccato. Forse è per questo che Adam spaventa la gente: le ricorda che tutti devono pregare per salvarsi.» «No!» Minnie si volse verso il marito. «Dio non tormenterebbe in questo modo un povero credente.» «Chi sei tu per dire che cosa può fare Iddio nella Sua saggezza?» esclamò lui. «Se questa non è opera di Dio, è opera di Satana, e allora è un indemoniato, come dicono certuni.» Capii che erano entrambi al punto di rottura. «È malato», intervenni garbatamente. «Questo potete dirlo voi», ribatté Daniel Kite. «Non siete un vero credente!» Distolse lo sguardo da me e dalla moglie, poi ci voltò le spalle e se ne andò. «Non siate in collera con lui, signore», disse Minnie. «Cerca disperatamente delle risposte. Vuol bene al nostro ragazzo.» «Capisco, signora. Prometto di adoperarmi come posso. D'ora innanzi Adam verrà accudito, e vedrò che cosa si può fare per la sua povera mente. Mi rimetterò in contatto con voi prestissimo. E avvertitemi subito se il suo trattamento non migliora.» «Sì. Veniamo tutti i giorni.» Fece una riverenza e se ne andò seguendo il marito. Voltandomi, vidi che Cissy mi sbirciava con una scintilla di curiosità negli occhi spenti, ma quando incontrai il suo sguardo chinò il capo sul cucito. Udii dei passi ed entrò la guardiana, con aria preoccupata. «Ho sentito parlare ad alta voce», disse. «Cissy sta bene?» «Sì.» Feci un sorriso triste. «Erano solo i miei clienti.»

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La donna andò a controllare il cucito di Cissy. «E un buon lavoro, sarà come nuovo.» Venne compensata da un tremulo sorriso della vecchia. Tornò a volgersi verso di me. «Siete venuto a fare visita ad Adam Kite, signore?» «Sì.» «Poveri genitori.» Esitò. «Molti hanno paura di Adam, paura che sia posseduto dal demonio. E il custode Shawms spera che, senza assistenza, muoia di stenti.» Si accigliò. «E un uomo cattivo.» «Ho appunto ammonito il custode Shawms. Finirà nei guai con il tribunale, se non si prende cura di Adam in modo adeguato. Grazie dell'informazione.» Le sorrisi. «Il vostro nome?» «Ellen Fettiplace, signore.» Esitò, poi aggiunse: «Di che cosa soffre quel povero Adam, signore? Non ho mai sentito di un caso come il suo». «Nemmeno io. Farò venire un medico a visitarlo. Un uomo in gamba.» «Il dottor Frith non vale niente.» «Sono lieto che qui ci sia almeno una sorvegliante che si prende cura dei suoi pazienti.» Arrossì. «Siete gentile, signore.» «Come siete finita a lavorare qui, Ellen?» Mi diede uno sguardo, poi sorrise malinconica. «Io qui ero una ricoverata.» «Oh», ribattei, colto alla sprovvista. M'era parsa la persona più equilibrata che avessi incontrato lì quel giorno. «Mi offrirono un posto da sottoguardiana quando... quando venni a stare meglio.» «E non ve ne vorreste andare?» Ancora il suo sorriso triste. «Non potrò mai andarmene di qua, signore», rispose. «Non esco da dieci anni. Anche se sono sana di mente, morirò a Bedlam.» *** Capitolo quattro. Per tutti i due giorni successivi fui impegnato in tribunale, ma il giovedì pomeriggio ero libero e combinai di portare Roger da Guy. Era Giovedì Santo e mentre rientravo al Lincoln's Inn dal tribunale a Westminster vidi le chiese nuovamente piene. Il giorno seguente il grande drappo che durante la Quaresima celava il presbiterio sarebbe stato rimosso, e chi rimaneva fedele alle vecchie tradizioni si sarebbe avvicinato alla

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croce camminando sulle ginocchia. Dopo la messa gli altari sarebbero stati privati dei paramenti in memoria di com'era stato tradito Cristo durante l'Ultima Cena, mentre a Whitehall il re avrebbe lavato i piedi a dodici poveri. Mi rattristava rendermi conto di quanto poco tutto ciò significasse ora per me. Avevo davanti quattro giorni di vacanza, ma per me sarebbero stati vuoti e squallidi. Se non altro, per la fine della Quaresima Joan, la mia governante, mi aveva promesso una sella di manzo arrosto. Faceva ancora freddo e il cielo era color grigio ferro, anche se non era più nevicato. Prima di passare a prendere Roger feci una capatina nel mio studio, e fui lieto di vedere che vi era stato acceso un bel fuoco. Barak e il mio scrivano, Skelly, erano entrambi occupati ai loro scrittoi. Barak alzò gli occhi mentre mi liberavo della cappa foderata di pelliccia e mi scaldavo le mani davanti al caminetto. S'era fatto la barba, ma notai che al suo farsetto bruno mancava un bottone, e sul petto aveva ciò che sembrava una macchia di birra. Mi chiesi se fosse rimasto fuori tutta la notte, e ripensai a Tamasin. La coppia abitava quasi accanto alla bottega di Guy, e decisi che sulla via del ritorno le avrei fatto visita, come se passassi di lì per caso. «Mi sono informato presso la cancelleria del tribunale», disse Barak. «L'istanza di Adam Kite verrà discussa martedì prossimo, insieme con il caso Collins.» «Bene.» Fui tentato di dirgli di farsi ripulire il farsetto, ma non volevo sembrare un vecchio rompiscatole, e anche lui sapeva bene che non conveniva presentarsi in tribunale con gli abiti in disordine. Diedi un rapido sguardo a un paio di nuovi verbali, quindi mi rimisi la cappa. «Accompagno mastro Elliard da Guy», dissi. Barak s'era alzato e guardava fuori della finestra. «Che cosa è capitato a quella vecchia canaglia di Bealknap?» chiese incuriosito. «Bealknap?» Mi alzai e lo raggiunsi. «Sembra che debba crollare da un momento all'altro», disse Barak. Dalla finestra vidi il mio vecchio rivale seduto su una panca presso la fontana ancora gelata. Una cartella giaceva nella neve accanto a lui. Persino a distanza la sua faccia scavata appariva d'un pallore malsano. «Che gli succede?» domandai. «Dicono che sia debole e malato da settimane», rispose Skelly, guardandoci zelante dal suo tavolo.

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«Alla recita avevo pensato che stesse poco bene.» «Speriamo che non sia niente di leggero», disse Barak. Sorrisi enigmaticamente. «Devo andare.» Li lasciai e scesi in Gatehouse Court. Per raggiungere l'abitazione di Roger dovevo passare accanto alla fontana. Bealknap non s'era mosso. La sua figura sparuta era avvolta in un costoso mantello foderato di martora, ma anche così il clima non era tale da sedere all'aperto. Nel passargli davanti ebbi un attimo di esitazione. «Fratello Bealknap», chiesi, «vi sentite bene?» Mi fissò un istante, poi distolse lo sguardo. Non guardava mai nessuno negli occhi. «Perfettamente, fratello», rispose secco. «M'ero solo seduto un momento.» «Avete lasciato cadere la cartella. Si bagnerà.» Si chinò e la raccolse. Vidi che la sua mano tremava. «Andatevene!» Mi stupì notare che aveva un'aria spaventata, quasi si sentisse colpevole. «Volevo solo aiutarvi», ribattei asciutto. «Voi, aiutare me!» Emise uno sbuffo ridendo in modo sarcastico, poi, non senza sforzo, si alzò e barcollò via, in direzione di casa sua. Scossi il capo e tirai dritto. Roger si trovava in anticamera. Una candela era stata accesa nel pomeriggio buio, e lui vi stava accanto con un documento tra le lunghe dita. «Un momento, Matthew», disse con un sorriso. Mosse rapidamente il capo, scorrendo lo scritto, poi lo porse allo scrivano con un cenno di approvazione. «Molto bene, Bartlett», disse. «Un'ottima bozza. Ora, Matthew, andiamo un po' a vedere quella sanguisuga.» Sorrise con un certo nervosismo. «Vedo che ti sei messo gli stivali. Buona idea. Anch'io metterò i miei, queste scarpe si rovinerebbero con la fanghiglia.» Prese i propri stivali, quelli di cuoio robusto che portava spesso, e ci dirigemmo verso le stalle. «Nessun'altra crisi?» gli domandai a bassa voce. «No, grazie a Dio.» Sospirò profondamente, e compresi che era ancora preoccupato. «Hai molto lavoro?» chiesi, per distrarlo. «Più di quanto ne possa sbrigare.» Roger era un eccellente legale, e dopo il suo ritorno a Londra s'era fatto una reputazione straordinaria. «Stasera devo incontrare un nuovo cliente prò bono.»

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Una voce che chiamava Roger per nome ci fece voltare. Dorothy si affrettava verso di noi con un'aria divertita, reggendo un involto impacchettato nella tela cerata. «Hai dimenticato questo», disse. Il marito arrossì nel prendere l'involto. «La sua urina, per il medico», spiegò Dorothy. Roger mi fece un sorrisetto storto. «Che farei senza di lei?» chiese. «Dimenticheresti la testa, marito mio.» Dorothy sorrise nuovamente, poi rabbrividì, perché indossava solo un abito da casa. «Torna dentro, cara», disse Roger, «altrimenti avrai bisogno anche tu di un dottore.» «Sì. Buona fortuna, amore. Arrivederci, Matthew. La settimana prossima vieni a cena da noi.» Si voltò e si allontanò, stringendosi nelle spalle per il freddo. «Odio ingannarla», disse Roger. «Crede ancora che abbia mal di stomaco. Ma non la voglio inquietare.» «Lo so. Adesso andiamo, e fa' attenzione a non rovesciare il pacchetto.» Roger era preoccupato e parlò poco mentre cavalcavamo lungo Cheapside. I mercanti chiudevano le botteghe, e dovemmo farci strada fra qualche cliente in ritardo e scatole vuote gettate in mezzo alla via. Un paio di bambini scalzi e cenciosi schizzavano pericolosamente vicino agli zoccoli dei nostri cavalli per raccogliere la verdura marcia - i rifiuti del raccolto dell'anno passato gettati via dai negozianti - in mezzo alla sporcizia delle strade. I mendicanti si affollavano di nuovo intorno al Conduct, e uno agitava un bastone con in cima un pezzo di pancetta marcia, urlando come un pazzo dai gradini: «Fate la carità a Tom di Bedlam! Aiutate un pover'uomo fuori di testa! Guardate il mio cuore spezzato, guardatelo in cima a questo bastone!» «Probabilmente non è mai arrivato neanche vicino a Bedlam», dissi a Roger. «Se tutti gli accattoni che dicono di esserci stati vi fossero stati ricoverati davvero, quel posto dovrebbe essere grande come Westminster Hall.» «Com'è il tuo cliente che vi è stato rinchiuso?» «Seriamente malato. Uno strazio a vedersi. Vorrei pregare Guy di visitarlo, e spero che possa capirci qualcosa lui, perché io non ci riesco.» «Il dottor Malton è dunque uno specialista di pazzia?» Roger mi gettò uno sguardo inquieto.

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«Niente affatto», risposi, rassicurante. «Però esercita la medicina da quasi quarantanni, e ha visto ogni genere di malattia esistente. Ed è un buon medico, non come certi dottori che non conoscono altra cura che salassi e purghe. E solo il tuo timore a suggerirti di poter avere il mal caduco; sintomi come il mancamento possono avere almeno un centinaio di cause, e tu non hai mai avuto un solo accenno di crisi.» «Però ho visto quelle crisi. Avevo un cliente che ne soffriva, e una volta cadde al suolo nel mio studio, farfugliando e sbavando, con il solo bianco degli occhi visibile.» Scosse il capo. «Uno spettacolo terrificante. E accadde a un uomo di età avanzata.» «Tu hai assistito a quelle crisi e ti sei fissato sulla cosa più spaventosa che hai visto. Se non sapessi che sei un avvocato in gamba, ti darei dello zuccone.» Sorrise. «Già, forse.» Per allontanare la sua mente dai crucci gli narrai la storia del predicatore di Newgate, che preannunciava grandi fiumi di sangue. «Come può un uomo che profetizza cose del genere essere buono, essere cristiano?» domandai. «Anche se all'ultimo momento esaltava le gioie della salvezza.» Roger scosse il capo. «Viviamo in un mondo pazzo furioso, Matthew. Mundus furiosus. Ogni parte si scaglia contro l'altra, predicando rabbia e odio. I radicali profetizzano la fine del mondo. Per convertire pochi e confondere molti.» Mi guardò con un sorriso colmo di tristezza. «Ricordi quando eravamo giovani, quando leggevamo Erasmo riguardo la stupidità delle indulgenze garantite dalla Chiesa in cambio di denaro, delle cerimonie interminabili e delle messe in latino che si frapponevano tra la gente comune e la comprensione del messaggio di Cristo?» «Sì. Eravamo un gruppo di lettura. Ricordo i libri di Juan Vives, su come il principe cristiano potesse mettere fine alla disoccupazione intraprendendo lavori pubblici, costruendo ospedali e scuole per i poveri. Ma eravamo giovani», aggiunsi amaramente. «E sognatori.» «Uno Stato cristiano che viveva in serena armonia», sospirò Roger. «Tu ti sei reso conto prima di me che era andato tutto in malora.» «Io ho lavorato per Thomas Cromwell.» «E io sono sempre stato più radicale di te.» Si volse nella mia direzione. «Eppure ci credo ancora, credo ancora che la Chiesa e uno Stato non

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più vincolati al papa possano trasformarsi in qualcosa di buono e di cristiano, a dispetto della corruzione dei nostri governanti e di tutti questi nuovi fanatici.» Non risposi. «E tu, Matthew?» mi chiese. «In che cosa credi, ora? Non l'hai mai detto.» «Non lo so più, Roger», risposi a bassa voce. «Ma vieni, svoltiamo qui. Le case sono vicine le une alle altre, le vie propagano un'eco, e in questi giorni si deve stare attenti a che cosa si dice in pubblico.» Il sole stava tramontando quando facemmo il nostro ingresso nello stretto vicolo in Bucklersbury dove viveva e lavorava Guy. Era pieno di botteghe di speziali, e Roger fece una faccia contrariata nel vedere alligatori impagliati e altre stranezze in mostra in gran parte delle vetrine. Quando smontammo di sella e legammo i cavalli a una sbarra, parve sollevato dal fatto che la vetrina di Guy esibisse solo vasi da farmacia dipinti. «Perché mai esercita in questo posto dimenticato da Dio, se è medico?» chiese Roger, estraendo il suo campione di urina dalla borsa della sella. «Guy è stato ammesso a fare parte del Collegio di Medicina solo lo scorso anno, dopo avere salvato la gamba a un ricco consigliere comunale. Prima era tenuto a distanza per via della sua pelle scura e perché è un ex monaco, nonostante la laurea in medicina conseguita in Francia. Poteva esercitare solo come speziale.» «Ma perché ci resta, ora?» Il viso di Roger si contrasse in una smorfia di disgusto alla vista di uno scimmiotto in salamoia dentro un vaso, nella vetrina della bottega accanto. «Dice di essersi ormai abituato a vivere qui.» «In mezzo a questi mostri?» «Sono solo povere creature morte.» Sorrisi rassicurante. «Certi speziali sostengono che parti polverizzate dei loro corpi possono fare meraviglie. Guy non è di questo parere.» Bussai alla porta. Aprì quasi subito un giovane in camice blu da apprendista. Piers Hubberdyne era un apprendista speziale assunto da Guy l'anno precedente. Era un giovane alto, sulla ventina, con capelli scuri e lineamenti di una bellezza talmente fuori del comune da far voltare la testa alle donne per strada. Guy diceva che era alacre e coscienzioso, una rarità fra gli apprendisti di Londra, notoriamente indisciplinati. S'inchinò.

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«Buona sera, mastro Shardlake. Voi siete mastro Elliard?» «Sì.» «È il vostro campione di urina, signore? Posso prenderlo?» Roger glielo porse con sollievo, e Piers ci fece entrare nella bottega. «Chiamo il dottor Malton», disse, e ci lasciò. Aspirai l'aroma dolce e muschiato di erbe che regnava nel gabinetto medico di Guy. Roger guardava i vasi sugli scaffali, etichettati con precisione. Mazzetti di erbe giacevano su un tavolo accanto a mortaio e pestello e a un bilancino da orefice. Sopra il tavolo era appeso un grafico dei quattro elementi e delle nature umane a essi corrispondenti: malinconica, flemmatica, cordiale e collerica. Roger li contemplò. «Dorothy sostiene che sono un uomo del tipo aereo, cioè leggero e cordiale», commentò. «Con un pizzico di flemmatico, senza dubbio. Se il tuo temperamento fosse stato interamente aereo, non avresti saputo lavorare come hai fatto.» «E tu, Matthew, sei sempre stato un malinconico. Lo denomino il tuo colorito scuro e la corporatura asciutta.» «Non ero così asciutto prima della febbre, un anno e mezzo fa.» Lo squadrai gravemente. «Credo che, senza le cure di Guy, mi avrebbe ucciso. Non ti preoccupare, Roger, lui saprà aiutarti.» All'ingresso di Guy nella stanza mi voltai, non senza sollievo. Era sui sessanta, e i capelli ricciuti, neri quando l'avevo incontrato per la prima volta, erano ora bianchi, e rendevano più vistoso ancora, per contrasto, il colorito scuro dei lineamenti affilati. Notai che incominciava a diventare curvo, come un vecchio. Quando eravamo divenuti amici, sei anni prima, Guy era infermiere in un monastero: i conventi avevano ospitato molti stranieri, e Guy era originario di Granada, in Spagna, dove i suoi antenati erano stati musulmani. Dopo avere abbandonato il saio benedettino per il camice dello speziale, aveva cambiato anche quello con la toga nera a colletto alto del medico. Quando entrò pensai che il suo volto scuro sembrava un po' teso, come se avesse dei crucci; ma poi ci guardò con un ampio sorriso. «Buon giorno, Matthew», disse. La sua voce tranquilla conservava ancora una cantilena esotica. «E voi dovete essere mastro Elliard.» I suoi penetranti occhi neri scrutavano attentamente Roger. «Sì», bofonchiò quest'ultimo, con un poco di nervosismo. «Venite nel mio gabinetto, vediamo che problema c'è.»

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«Abbiamo portato un campione di urina, come ha chiesto. L'ho dato al ragazzo.» «Lo esaminerò.» Guy sorrise. «Tuttavia, a differenza di certi miei colleghi, non faccio un totale affidamento sull'urina. Prima la visiterò. Puoi aspettare qui, Matthew?» «Certamente.» Mi lasciarono, e sedetti su uno sgabello presso la vetrina. La luce stava scemando, e vasi e recipienti proiettavano lunghe ombre sul pavimento. Ripensai ad Adam Kite, domandandomi a disagio se Guy, in segreto ancora fedele alla vecchia chiesa, sapesse capire se davvero Adam era posseduto dal demonio. Negli ultimi giorni m'ero anche ritrovato a riflettere sulla guardiana dai capelli scuri: che cosa intendeva, dicendo di non poter più lasciare Bedlam? Era stata condannata a esservi rinchiusa in permanenza? La porta si aprì ed entrò il giovane Piers, con una candela in mano e un grosso libro sotto il braccio. Posò il volume su uno scaffale elevato, insieme con numerosi altri, poi andò ad accendere le candele di un alto candelabro. La luce gialla tremolò tutto intorno alla stanza, aggiungendo un odor di cera all'aroma di erbe. Si volse verso di me. «Non vi spiace se continuo il mio lavoro, signore?» domandò. «Prego, fai pure.» Sedette al tavolo, prese una manciata di erbe e prese a triturarle. Si rimboccò le maniche del camice, rivelando braccia forti, i cui muscoli guizzavano mentre pestava le erbe. «Da quanto sei con il dottor Malton?» gli chiesi. «Un anno esatto, signore.» Si volse verso di me e mi sorrise con i denti bianchi e scintillanti. «Il tuo vecchio padrone era morto, vero?» «Sì, signore. Abitava nella via accanto. Il dottor Malton mi prese con sé quando morì all'improvviso. Ho avuto fortuna, è un uomo d'una sapienza rara. Ed è buono.» «È vero», convenni. Piers tornò al lavoro. Era molto diverso dalla maggior parte degli apprendisti, ragazzacci rumorosi che combinavano sempre guai: aveva i modi misurati e sicuri di un uomo fatto, non quelli di un ragazzo. Passò un'ora prima che Guy e Roger facessero ritorno. Era scesa la notte, e Piers s'era dovuto chinare ancor di più sul suo lavoro, con una

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candela accanto. Guy gli posò una mano su una spalla. «Per stasera basta, ragazzo mio. Va' a mangiare qualcosa; prima, però, portaci un po' di birra.» «Sissignore.» Piers fece un inchino e uscì. Guardai Roger e fui lieto di leggere sul suo viso un'espressione di profondo sollievo. «Non ho il mal caduco», disse con un sorriso radioso. Guy sorrise garbatamente. «Le cose più strane possono avere una soluzione semplice. M'è sempre piaciuto partire dalla spiegazione più semplice possibile, che, come insegnava Guglielmo di Occam, il più delle volte è quella vera. Perciò ho iniziato dai piedi di mastro Elliard.» «Mi ha fatto mettere a piedi nudi», disse Roger, «poi mi ha misurato le gambe, mi ha fatto distendere sul lettino e mi ha piegato i piedi avanti e indietro. Confesso che ero meravigliato: ero venuto aspettandomi un'erudita disquisizione sulla mia urina.» «Alla fine, non ne avremo bisogno», sorrise trionfante Guy. «Ho scoperto che il suo piede destro è sensibilmente piegato a destra, perché la gamba sinistra di mastro Elliard è leggermente più lunga. Un problema che con gli anni s'è accentuato. Il rimedio è una scarpa speciale, con un inserto di legno che correggerà l'andatura. La farò preparare dal giovane Piers, che ha mani molto abili.» «Vi sono grato più di quanto possa dire, signore.» Vi fu un colpetto alla porta, e Piers rientrò con tre boccali di peltro su un vassoio, che depose sul tavolo. «Beviamo per festeggiare la liberazione di mastro Elliard dalle cadute.» Guy prese uno sgabello, offrendone un altro a Roger. «Roger sta pensando a una sottoscrizione per un ospedale», dissi a Guy, che scosse il capo con amarezza. «In questa città gli ospedali sono estremamente necessari. Sarebbe una cosa buona e cristiana. Forse potrei essere utile, dare consigli.» «Sarebbe una buona azione, signore», disse Roger. «Roger coltiva ancora gli ideali di Erasmo», soggiunsi. Guy annuì «Anch'io un tempo studiavo Erasmo. Era molto in voga quando venni in Inghilterra. Pensavo che avesse parzialmente ragione, quando asseriva che la Chiesa era troppo ricca, troppo legata alle cerimonie... anche se la maggior parte dei monaci miei confratelli non era d'accordo, e diceva che non scriveva con penna timorata.» Il suo volto s'incupì. «Forse

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vedeva più chiaramente di me che i discorsi di riforma avrebbero portato alla soppressione dei monasteri. E anche di molto altro. E tutto questo a che prò?» aggiunse amaramente. «Per un regno di bramosia e di terrore.» La difesa dei monaci da parte di Guy parve mettere un tantino a disagio Roger. Guardai l'uno e l'altro: in cuor suo Guy era ancora cattolico, Roger un riformista radicale divenuto moderato. Io mi trovavo non tanto a mezza via fra loro, quanto piuttosto estraneo all'intera questione. Una posizione solitaria. «Ho un caso sul quale volevo chiedere il tuo consiglio, Guy», dissi, per cambiare discorso. «Un caso di mania religiosa, o perlomeno forse si tratta di questo.» Gli esposi la vicenda di Adam. «Il Consiglio Privato l'ha quindi rinchiuso a Bedlam per toglierlo di mezzo», conclusi. «I genitori vogliono che lo faccia rilasciare, ma non sono sicuro che sia una buona idea.» «Ho saputo di innamorati pazzi», disse Roger, «ma pazzi per la preghiera... Mai sentita una cosa del genere.» «Io sì», disse Guy, ed entrambi ci voltammo verso il suo viso scuro e grave. «E una nuova forma di malattia mentale, che Martin Lutero ha aggiunto alle miserie umane.» «Che intendi dire?» domandai. «Ci sono sempre state persone che odiano se stesse, che si torturano con il rimorso per mancanze reali o immaginarie. Quand'ero infermiere sono stato testimone di casi del genere. Allora si poteva dire che Dio promette la salvezza a chiunque si penta dei propri peccati, perché non pone nessuno al di fuori della Sua pietà e della Sua carità.» Alzò lo sguardo, il volto adirato come gli accadeva di rado. «Adesso, però, qualcuno ci viene a dire che Iddio ha deciso, come per un capriccio, di salvare alcuni e di condannare altri ai tormenti eterni, e se Dio non ti concede la sicurezza della Sua grazia, tu sei dannato. È una delle principali dottrine di Lutero. Lo so, l'ho letto. Lui potrà anche essersi sentito una creatura indegna, salvata dalla grazia di Dio, ma s'è mai soffermato a pensare che cosa poteva significare la sua filosofia per coloro che non hanno la sua forza interiore, la sua presunzione?» «Se fosse vero», disse Roger, «di sicuro metà del popolo impazzirebbe.» «E voi, credete di essere salvo?» chiese d'un tratto Guy. «Di avere ottenuto la grazia di Dio?»

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«Spero di sì. Mi sforzo di vivere virtuosamente, e spero di essere salvo.» «Sì. Molti, come voi o me, si appagano della speranza della salvezza, rimettendosi nelle mani del Signore. Ora, però, ci sono alcuni che sono assolutamente certi di essere salvi. Possono essere pericolosi, perché si credono speciali, al di sopra dei comuni mortali. Proprio come ogni moneta ha due facce, ce ne sono invece altri che bramano la certezza, eppure rimangono convinti di esserne indegni, e possono ridursi nelle penose condizioni di quel giovane. L'ho sentito definire 'panico da salvezza', sebbene il termine non faccia giustizia agli atroci patimenti di chi ne soffre.» Fece una pausa. «Il problema, forse, è in primo luogo il motivo per cui il ragazzo è divorato dal rimorso.» «Magari ha commesso qualche peccato gravissimo», dissi. Fui lieto di vedere che Guy scuoteva il capo. «No, di solito in questi casi i peccati sono lievi; è piuttosto qualcosa nel funzionamento del loro cervello a condurli a tali estremi.» «Mi aiuterai a scoprirlo, Guy? A Bedlam alcuni credono che Adam sia posseduto dal demonio, e ho paura che possano fargli del male.» «Andrò a visitarlo, Matthew», rispose Guy. «Vi andrò come medico, certo, non come ex monaco, altrimenti si crederebbe senz'altro nelle mani del demonio.» D'improvviso il mio amico mi apparve vecchio e stanco. «Grazie», dissi. «Il giovane Piers ha l'aria di essere un gran lavoratore», continuai. «Lo è. Un buon apprendista. Forse migliore di quanto meriti», aggiunse a bassa voce. «Davvero?» chiesi perplesso. Guy non rispose. «Piers è anche molto intelligente. La sua comprensione è meravigliosamente rapida.» Inaspettatamente ebbe un sorriso che gli trasformò il volto. «Lasciate che vi mostri qualcosa che ho discusso con Piers, una cosa nuova in campo medico, che molti dei miei colleghi disapprovano.» Si alzò, dirigendosi allo scaffale dei libri. Ne prese il pesante volume che Piers vi aveva riposto poc'anzi. Fece spazio sul tavolo, posandovelo con cura. Roger e io andammo a raggiungerlo. «De hi umani Corporis Fabrica», disse piano Guy. «Il funzionamento del corpo umano. Appena pubblicato, mi è stato portato da un amico, un mercante tedesco. E opera di un medico olandese che lavora in

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Italia, Andrea Vesalio. Là la pratica della dissezione dei cadaveri è permessa da anni, sebbene sia stata proibita fino a non molto tempo fa.» «La vecchia chiesa non l'approvava», disse Roger. «Sì, ed era uno sbaglio. Vesalio è il primo uomo a sezionare corpi umani su larga scala dopo secoli, forse da sempre. E sapete che cosa ha scoperto? Che gli antichi, Ippocrate e Galeno, le massime autorità che i medici non possono mettere in discussione senza rischiare di essere espulsi dal Collegio di Medicina, avevano torto.» Si volse verso di noi con un bagliore negli occhi scuri. «Vesalio ha dimostrato che gli antichi sbagliavano in molte loro descrizioni dell'interno del corpo umano, e conclude che anche a loro non era consentito sezionare dei cadaveri, e che le loro descrizioni provenivano da studi condotti non sugli uomini, ma sugli animali.» Scoppiò a ridere. «Questo libro desterà un grande scompiglio. Il Collegio cercherà di screditarlo, persino di distruggerlo.» «Ma come possiamo sapere che Vesalio ha ragione, e gli antichi torto?» chiesi. «Paragonando le sue descrizioni e i suoi disegni qui contenuti con ciò che possiamo vedere con i nostri stessi occhi quando viene aperto un cadavere. Ora al collegio dei barbieri-cerusici sono stati assegnati quattro corpi di criminali impiccati, per una dissezione pubblica.» Le sue parole mi fecero rabbrividìre, perché avevo sempre avuto un'indole schizzinosa, ma lui continuò: «E c'è un altro modo ancora, grazie al quale ho potuto vedere con i miei occhi». «Quale?» chiese Roger. «Un coroner di Londra può richiedere che un cadavere venga aperto ed esaminato, se si rende necessario per scoprire come l'uomo è morto. Molti medici lo ritengono un lavoro indegno di loro, e il compenso non è alto, ma io ho offerto i miei servigi, e sono già stato in grado di verificare per conto mio le affermazioni di Vesalio. E ha ragione lui.» Guy aprì il libro lentamente, quasi con reverenza. Era in latino, illustrato con disegni eseguiti meravigliosamente, ma non privi d'un qualcosa di beffardo, persino di crudele: mentre Guy ne sfogliava le pagine vidi uno scheletro curvo su una tavola nell'atteggiamento di chi pensa, un corpo scorticato che pendeva da un patibolo, con tutte le interiora in mostra. Nell'angolo di un disegno di intestini esposti, un puttino sedeva a espellere un escremento, sorridendo al lettore.

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Guy spalancò il volume sull'illustrazione di un cuore umano aperto su una tavola. «Qui», disse. «Vedete? Il cuore ha quattro camere, quattro, non tre come ci è sempre stato insegnato.» Annuii, ma tutto ciò che vedevo era un orribile miscuglio di valvole e tessuti. Guardai Roger, che appariva un po' pallido. Dissi: «Molto interessante, Guy, ma temo che per noi vada un po' troppo oltre. E dobbiamo fare ritorno al Lincoln's Inn». «Oh, benissimo.» Guy, di norma il più intuitivo degli uomini, sembrava non rendersi conto che quel libro ci aveva turbati. Sorrise. «Forse l'anno nuovo preannuncia la venuta di un tempo di meraviglie. Ho sentito dire che uno studioso polacco ha pubblicato un libro che dimostra, mediante l'osservazione dei pianeti, che la Terra gira intorno al Sole, non il contrario. Ho chiesto al mio amico di procurarmene una copia. Questo nuovo anno 1543 potrebbe trovarci alle soglie di un mondo nuovo.» «Conosci molti mercanti stranieri?» «Noialtri che abbiamo un aspetto e un accento forestiero dobbiamo restare uniti», sorrise con tristezza. Indossammo i mantelli, e Roger pagò un marco. Guy promise che l'inserto per la sua scarpa sarebbe stato pronto nel giro di un paio di settimane al massimo. Uscimmo, e Roger si profuse in ringraziamenti a Guy per il suo aiuto. Quando la porta si chiuse Roger mi prese per un braccio. «Non ti so dire quanto ti sia grato per avermi portato dal dottor Malton. Ti sarò debitore per sempre.» «Tra amici non esistono debiti», risposi con un sorriso. «Sono lieto di essermi reso utile.» «Io però avrei anche fatto a meno del libro sulla dissezione», aggiunse mentre ripartivamo. e Cavalcammo su per Bucklesbury. Passammo davanti a un antico palazzo dell'epoca di Enrico III, l'Old Barge, da tempo ridotto a un formicaio di abitazioni fatiscenti. Barak e Tamasin abitavano lì. «Roger, ti spiace se ti lascio proseguire da solo?» chiesi. «Vorrei fare una visita.» Guardò in direzione del Barge, con aria stupita. «Mica qualche sgualdrina?» s'informò. «Ho sentito che lì dentro ne abitano parecchie.» «No, il mio segretario e sua moglie.» «E io debbo andare all'appuntamento con il mio nuovo cliente.» «Di che caso si tratta?»

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«Non lo so ancora. Un procuratore mi ha mandato una lettera riguardo a un suo cliente, che ha una lite in corso per una proprietà a Southwark. Il suo cliente è troppo povero per pagarsi un legale, ma dice che il caso vale la pena, e mi ha chiesto di rappresentarlo gratuitamente. Tutto è un po' vago, ma ho accettato di andare all'incontro.» «Chi è il procuratore?» «Un uomo di nome Nantwich. Mai sentito. Oggigiorno però ci sono tanti avvocati a spasso che ronzano intorno agli Inns in cerca di lavoro.» Si strinse nel mantello. «Fa freddo per andare a cavallo, e preferirei rientrare a casa a celebrare tranquillamente la fine dei miei timori.» Girò la propria cavalcatura, poi si arrestò. L'aria sapeva di fumo di legna ed era gelida di brina. «Dov'è la primavera?» chiese, poi con la mano mi fece un cenno di commiato e se ne andò nell'oscurità della notte. Io scesi da cavallo e mi diressi verso le finestre illuminate dell'Old Barge. *** Capitolo cinque. Ero stato a casa di Barak prima che sposasse Tamasin, e ricordavo quale cercare fra le numerose porte di legno grezzo affacciate sulla strada. Immetteva in una scala che conduceva ai malconci appartamenti nei quali era suddivisa la vecchia dimora cadente. Le scale scricchiolavano rumorosamente nel buio pesto, e dalla mia visita precedente ricordavo che l'intero edificio sembrava sul punto di crollare. Rammentavo che l'alloggio di Barak era il tipico appartamento da scapolo: piatti sporchi impilati sul tavolo, abiti sparsi in terra e cacche di topo negli angoli. Ero stato lieto quando, sposando Tamasin, annunciò che si sarebbero trasferiti in una casetta nei pressi del Lincoln's Inn, e mi dispiacque quando il progetto venne abbandonato. L'Old Barge non era posto per una ragazza, specie per una amante della casa come Tamasin. Al secondo piano bussai alla porta del loro alloggio. Un minuto dopo l'uscio si aprì appena, lasciando intravedere una testa coperta da una cuffia profilarsi contro il lume di una candela all'interno. «Chi è?» chiese, non senza nervosismo. «Io, mastro Shardlake.»

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«Ah, entrate, signore.» Tamasin aprì la porta e la seguii nell'ampio locale che faceva da stanza da pranzo, camera da letto e salotto. S'era data da fare: tutto era lindo, i piatti disposti su un vecchio cassettone sbrecciato, il letto rifatto con cura. Il locale, però, puzzava di umidità, e macchie di muffa nerastra chiazzavano il muro intorno alla finestra. Le crepe tra le imposte sgangherate erano state riempite di stracci per non far passare il vento. C'erano stati tentativi di ripulire la parete, ma la muffa era tornata ad allargarsi. Vidi che Barak non c'era. «Volete sedervi, signore?» Tamasin m'indicò una sedia presso il tavolo. «Volete togliervi il mantello? Purtroppo Jack è fuori.» «No, lo tengo. Io... ehm... non mi tratterrò a lungo.» La verità era che in quell'alloggio privo di fuoco faceva un freddo tale che non avevo voglia di levarmi il mantello. Sedetti e squadrai con attenzione Tamasin. Era una giovane donna graziosa di poco più di vent'anni, con zigomi alti, grandi occhi azzurri e una bocca carnosa. Prima di sposarsi ci teneva a vestire bene quanto glielo permettevano le sue possibilità, anzi, forse un po' di più. Ora, però, indossava un abito grigio, sformato, con sopra un grembiule che mostrava la trama, e i suoi capelli biondi erano cacciati sotto una grossa cuffia bianca da donna di casa. Mi sorrideva lieta, ma notai che aveva le spalle curve e gli occhi spenti. «E passato molto tempo dall'ultima volta che ci siamo visti, signore», disse. «Circa sei mesi. Come ve la passate, Tamasin?» «Oh, abbastanza bene. Mi spiace che non ci sia Jack.» «Non importa. Passavo da queste parti dopo avere accompagnato un amico a consultare il dottor Malton.» «Gradite un bicchiere di birra, signore?» «Volentieri, Tamasin, ma forse dovrei andare...» Restare da solo con lei era sconveniente. «No, signore, rimanete», disse. «Siamo vecchi amici, vero?» «Spero di sì.» «Un po' di compagnia mi farebbe piacere.» Andò a versarmi una birra da una brocca sulla credenza e me la portò, prendendo lo sgabello di fronte a me. «Il dottor Malton ha potuto aiutare il vostro amico?» Bevvi un sorso di birra, gradevolmente forte. «Si. Cadeva senza preavviso e temeva che gli fosse venuto il mal caduco, ma è risultato che aveva solo un difetto a un piede.»

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Tamasin sorrise con il calore di una volta. «Immagino che per lui sarà stato un bel sollievo.» «Sì. Suppongo che quando arriverà a casa si metterà a ballare, con il piede storto e tutto il resto.» «Il dottor Malton è un uomo in gamba. Credo che vi abbia salvato quando avete avuto quella febbre, due inverni fa.» «Sì, lo credo anch'io.» «Purtroppo non potè fare nulla per il mio povero piccolo George.» «Lo so.» Fissò un punto vuoto presso la parete di fondo. «Era nato morto, l'abbiamo deposto nel posticino che gli avevamo preparato laggiù.» Si volse verso di me con gli occhi colmi di dolore. «Dopo, non volevo che Jack portasse via la culla: era come se, finché era lì, rimanesse qualcosa di Geòrgie. Lui, però, odiava anche solo ricordarlo.» «Mi dispiace di non essere venuto a trovarvi dopo la morte del bambino, Tamasin. Avrei voluto, ma Jack disse che stavate meglio sola.» «Ero piuttosto sconvolta. Jack non voleva che mi si vedesse in quello stato.» Sospirò, accigliandosi un poco. «E voi, signore, state bene?» «Sì. Lavoro sodo e tiro avanti, con l'aiuto di Jack», risposi con un sorriso. «Lui vi ammira, signore. Racconta sempre come mastro Shardlake cercava di vincere una causa indebolendo la controparte e tirando fuori nuove prove.» «Davvero?» Scoppiai a ridere. «A volte, da come parla, mi sembra che mi ritenga uno sciocco.» «È il suo modo di fare.» «Sì.» Sorrisi. Quando ci eravamo conosciuti due anni prima, in occasione della Grande Visita del re a York, avevo nutrito una certa diffidenza per la personalità vivace e la sicurezza ostentate da Tamasin, che m'erano parse poco femminili. Tuttavia durante i pericoli che avevamo corso insieme avevo sviluppato per lei un affetto quasi paterno. Guardando la stanca massaia che avevo di fronte, mi chiesi che fine avesse fatto il suo spirito. Il mio volto dovette rivelare qualcosa dei miei pensieri, perché le tremarono le labbra, e due grosse lacrime le rotolarono lungo le guance. Chinò il capo.

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«Tamasin», domandai accennando ad alzarmi, «che succede? E ancora per quel povero bimbo?» «Mi spiace, signore.» «Andiamo, dopo tutto quello che abbiamo passato nello Yorkshire qualche lacrima non è niente. Ditemi che cosa vi affligge.» Trasse un sospiro tremante e si asciugò gli occhi con una manica, prima di volgere nuovamente verso di me il viso rigato di lacrime. «È cominciato con il bambino», disse a bassa voce. «La sua morte fu un brutto colpo per Jack quanto per me. Dicono che quando muore un bambino la madre lo conserva sempre nel cuore, ma è rimasto anche nel cuore di Jack. Oh, è così in collera.» «Con voi?» «Con tutto. Con Dio stesso: visse come una crudeltà da parte Sua avergli tolto il figlio. Non era mai stato molto praticante, ma adesso non mette più piede in chiesa. Domani è Pasqua, ma ha rifiutato di andare a messa e confessarsi.» «Voi ci andrete?» «Sì, anche se... anche se sento di avere smarrito anch'io la fede. Ma voi mi conoscete», aggiunse con un pizzico del vecchio umorismo. «Preferisco stare dalla parte di chi comanda.» «Al giorno d'oggi è saggio.» «Jack dice che ci vado solo per sfoggiare i miei abiti migliori.» Si guardò il grembiule. «Be', è vero che dopo avere portato questa roba tutta la settimana, mi fa piacere mettermi qualcosa di carino per uscire. Temo però che se Jack continua a non farsi vedere, ci saranno delle domande, e potrebbe finire nei guai con i responsabili della chiesa; specie, poi, sapendo che ha sangue ebreo nelle vene.» Serrò le labbra. «Voleva tramandare la sua discendenza per mezzo di nostro figlio. Viene fuori quando è ubriaco.» «Lo è spesso?» Ricordavo il suo aspetto trasandato di quel mattino. «Sempre di più. Esce con i suoi vecchi amici, e a volte non torna per tutta la notte. Sarà con loro anche adesso. E credo che vada pure con altre donne.» Ne rimasi sbigottito. «Chi?» «Non lo so. Forse con qualche vicina. Sapete che cosa sono certune che abitano qui.» «Ne siete sicura?» Mi guardò dritto negli occhi. «Sì, dall'odore che ha certe mattine.»

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Sospirai. «Niente accenni... a un altro figlio?» «No. Forse sono come la vecchia regina Caterina d'Aragona, non sono in grado di generare figli sani.» «Ma sono solo... quanto... sei mesi che vostro figlio è morto. Troppo presto, Tamasin.» «Abbastanza perché Jack si allontani. Certe volte, quando è ubriaco, dice che io vorrei domarlo, ridurlo a un rammollito animale domestico.» Guardò la stanza attorno a sé. «Come se si potesse addomesticare qualcuno in un posto come questo.» «A volte Jack può essere insensibile, persino crudele.» «Be', almeno non mi picchia. Molti mariti lo fanno.» «Tamasin...» «Oh, quando è di nuovo sobrio si scusa, e allora è tanto caro, mi chiama la sua pollastrella e dice che non pensava quello che ha detto, è la rabbia che parla per lui, perché Iddio ci ha tolto nostro figlio. Questo lo posso comprendere. Perché Dio di cose tanto malvagie?» domandò, con una collera repentina. Scossi il capo. «Non sono la persona in grado di dare una risposta, Tamasin. Ho dubbi anch'io.» «Signore», disse lei, fissandomi. «Potreste parlare voi con Jack, scoprire che cosa c'è nella sua mente? In questi giorni è tanto imprevedibile, non so se... se mi vuole ancora.» «Oh, Tamasin», risposi. «Io sono sicuro di sì. Affrontare con lui certi argomenti potrebbe non essere facile. Persino se venisse a sapere che mi avete parlato del vostro matrimonio andrebbe in collera con tutt'e due.» «Sì, è orgoglioso. Ma se riuscite, cercate di scoprire qualcosa.» Mi guardò implorante. «Voi sapete come far parlare la gente. E io non ho nessun altro cui chiederlo.» «Ci proverò, Tamasin. Ma dovrò fare molta attenzione a cogliere il momento adatto.» Annuì riconoscente. «Grazie.» Mi alzai. «Adesso bisogna che vada. Se dovesse arrivare in questo momento e trovare che mi confidate i vostri crucci s'innervosirebbe.» Posai una mano sulle sue. «Ma se le cose peggiorassero, o voleste parlare con qualcuno, mandatemi un biglietto a casa, e verrò.» «Siete buono, signore. Certi giorni non faccio altro che starmene seduta a guardare depressa per ore e ore quella macchia di umidità, senza

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forze, a chiedermi che cosa ci sia in me di sbagliato. La muffa non se ne andrà. Ho un bel pulire, ma le macchie nere tornano di nuovo a spuntare sul muro.» Sospirò. «Non è come ai vecchi tempi, quando lavoravo al servizio della povera regina Catherine Howard. Ero solo l'ultima delle domestiche, ma c'era sempre qualcosa di interessante da vedere.» «E anche di pericoloso», dissi con un sorriso, «come si dimostrò poi.» «Lo so.» Fece una pausa. «Si dice che presto ci sarà una nuova regina. Una vedova: Catherine, Lady Latimer. Sarà la sesta. Fantastico, vero?» «Indubbiamente inconsueto.» Scosse la testa, meravigliata. «C'è mai stato un re come questo?» La lasciai. Mentre scendevo le scale buie, ricordai quando Barak e Tamasin s'erano sposati, in una bella giornata di primavera di un anno prima. Avevo invidiato la loro felicità. Un uomo solo può facilmente credere che tutti i matrimoni siano felici, che le coppie si amino come Roger e Dorothy. Quella sera, però, avevo intravisto la tristezza che può celarsi sotto la superficie. Avevo supposto a ragione che qualcosa non andasse per il suo verso, ma non pensavo che la situazione fosse così brutta. «Dannato Barak!» dissi a voce alta mentre uscivo in strada, facendo trasalire un signore che andava verso il Barge, forse per incontrare una prostituta. Passai la maggior parte del Venerdì e del Sabato Santo in casa, a lavorare sulle mie scartoffie. Il tempo rimaneva insolitamente freddo, e ci fu anche un'altra leggera nevicata. Ero d'umore inquieto, quasi infastidito. Di sabato tirai addirittura fuori matite e album da disegno: nell'ultimo anno ero tornato al mio vecchio passatempo, ma quel giorno non riuscivo a trovare nessun soggetto da dipingere. Fissavo il foglio vuoto senza che mi venisse in mente nulla se non cerchi confusi e linee scure, con le quali difficilmente un uomo sano di mente avrebbe potuto fare un disegno. Mi coricai, ma non riuscii a prendere sonno; giacevo pensando in che modo intavolare il discorso di Tamasin con Barak senza peggiorare la situazione. Poi, quando mi addormentai, sognai quel povero matto di Adam Kite. Entravo nella sua stanzaccia a Bedlam e lo trovavo accucciato sul pavimento, a pregare come un disperato; quando tuttavia mi accostavo a lui mi accorgevo che non invocava il nome di Dio, né quello di Gesù, bensì il mio: era Mastro Shardlake che implorava per salvarsi. Mi svegliai di soprassalto.

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Era ancora buio, ma l'alba non era lontana e pensai di andare a lavorare, anche se era la Domenica di Pasqua. In studio avevo altre carte di cui occuparmi. La mia governante, già in piedi, incalzava il ragazzo, Peter, perché accendesse il fuoco e scaldasse un po' in quella mattinata rigida. Feci colazione, indossai la toga e m'avvolsi nel mantello per recarmi da Chancery Lane al Lincoln's Inn. Quando uscii dal portone mi dissi che faceva meno freddo, e la neve superstite si stava trasformando nuovamente in poltiglia fangosa. Mi voltai a guardare casa mia. Gli alti comignoli che spuntavano dal tetto di tegole si stagliavano contro un cielo dagli strani colori, con fasce di un azzurro pallido alternate a nubi tinte di rosa sotto il sole nascente. Mi misi in cammino, concentrandomi sulle cause in programma per il martedì, compresa quella di Adam Kite. Varcai il Great Gate, feci un cenno di saluto al portiere e attraversai il cortile melmoso in direzione del mio ufficio. Non era ancora giorno fatto. Quasi tutte le finestre erano spente, ma, non senza sorpresa, vidi una luce proprio nel mio studio: Barak doveva esservi venuto direttamente da dove aveva trascorso la notte, senza neppure passare da casa. Pezzo di disgraziato, pensai. Poi sussultai udendo un grido. Una voce maschile urlava di terrore. Scorsi presso la fontana due figure che guardavano nell'acqua. «Oh, Dio!» strillava uno dei due. Mi diressi verso di loro. Vidi il ghiaccio fatto a pezzi; al di sotto l'acqua era rossa, d'un rosso vivo. Il cuore prese a galopparmi dolorosamente. A giudicare dalle corte toghe nere, i due giovani che guardavano nell'acqua erano studenti: uno era basso e tarchiato, l'altro alto e smilzo. Avevano gli occhi arrossati, probabilmente stavano tornando ai loro alloggi dopo qualche baldoria durata tutta la notte. «Che c'è?» chiesi seccamente. «Che succede?» Lo studente tarchiato si voltò verso di me. «C'è... c'è un uomo déntro la fontana», disse con voce tremante. L'altro studente indicò qualcosa che sporgeva dall'acqua. «Quello... quello è un piede.» Li squadrai con severità, domandandomi se fosse uno scherzo; ma quando mi accostai vidi, nella luce crescente, che la gamba di un uomo, calzata da uno stivale, sporgeva tra i frammenti di ghiaccio. Respirai a fondo e mi chinai. Scorsi la forma di una lunga toga scura fluttuare in quell'acqua rosso vivo. Era un avvocato. Ebbi un istantaneo capogiro,

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poi mi feci forza e mi rivolsi agli studenti. «Aiutatemi a tirarlo fuori», ordinai secco. Quello che aveva parlato fece un passo indietro, ma quello alto e sottile si avvicinò. «Dovresti tirare quella gamba», dissi, «poi lo prenderò io.» Lo studente si fece il segno della croce, quindi afferrò la gamba per lo stinco, respirò profondamente e tirò. Il ghiaccio si sollevò a grossi frammenti mentre emergevano prima la gamba, poi l'intero corpo. L'altro studente mi aiutò ad agguantare il cadavere, freddo come una pietra. Lo tirammo fuori dall'acqua, stendendolo sul terreno intriso di fanghiglia. La toga gli s'era sollevata sopra la testa, celandone il viso. Fissai il corpo: un uomo piccolo, minuto. ? «Guardate l'acqua.» Lo studente alto parlava in un bisbiglio. Adesso s'era fatto quasi completamente chiaro, ed era visibile un cerchio d'un vivo colore vermiglio, «E piena di sangue», disse l'altro. «Oh Signore.» Mi voltai verso il cadavere. Tremavo, e non soltanto per il freddo dell'acqua gelida che m'aveva inzuppato mentre tiravamo il corpo fuori dalla fontana. Mi accosciai, presi la toga per l'orlo e la scostai dal viso. «Oh, Gesù Cristo!» gridò uno dei due studenti. Si girò di spalle e lo udii vomitare. Io, però, rimasi paralizzato da ciò che per me, era un duplice orrore. Il primo era la larga ferita aperta nella gola dell'uomo, rossa contro il pallore mortale della pelle ed estesa quasi da un orecchio all'altro. Il secondo era il viso: quello di Roger. *** Capitolo sei. Per qualche istante rimasi a fissare impietrito quell'orrendo cadavere e l'atroce ferita alla gola. Gli occhi di Roger erano chiusi, il viso color alabastro appariva in pace. Mi chiesi se il suo volto non sarebbe dovuto essere stravolto dall'orrore, per quella morte spaventosa. Per un attimo, nella penombra del primissimo mattino, ebbi la folle speranza che quella cosa sul terreno potesse non essere affatto Roger, ma una copia di gesso fabbricata da qualche artista balzano per farmi un brutto scherzo. Anche mentre guardavo, tuttavia, dalla gola tagliata qualche goccia di sangue scuro gocciolò fin sulla neve. «Per favore, signore, copritelo», disse con voce stridula lo studente tarchiato. Mi tolsi il mantello, chinandomi sul cadavere. D'un tratto la commozione mi vinse. «Oh, povero amico mio!» esclamai, e gli occhi

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mi si riempirono di lacrime mentre sfioravo dolcemente il viso di Roger, freddo come il ghiaccio. Lo coprii con il mantello e m'inginocchiai accanto a lui, lasciando sgorgare le lacrime. Una mano sulla spalla mi fece sussultare. Alzai lo sguardo sulla faccia ansiosa dello studente alto che mi aveva aiutato. «Signore, che facciamo?» chiese tremante. «Presto arriverà gente.» Mi rialzai vacillando e respirai profondamente. «Va' a dire al portiere di svegliare il gendarme, che deve convocare il coroner. Ne sei capace, giovanotto?» «Sì, signore.» Il ragazzo annuì e corse verso la portineria. Mi volsi, fissando nuovamente quella grossa tazza di pietra piena d'acqua rosso vivo. Ormai s'era quasi completamente levato il sole, che arrecava un tepore inconsueto ma mostrava anche in tutto il loro orrore il cadavere e la vasca. L'altro ragazzo, che s'appoggiava alla fontana voltando le spalle alla raccapricciante acqua rossa, tremava convulsamente. «Tu, corri al mio studio... guarda, è là, dove è già accesa una luce: c'è il mio assistente, digli di venire immediatamente. Il suo nome è Barak.» Il ragazzo deglutì, poi annuì e barcollò via. Guardai le finestre dell'appartamento degli Elliard: tutto spento. Pregai che Dorothy fosse ancora a letto. Mi resi conto, con profondo scoramento, che le avrei dovuto dire che Roger era morto. Non potevo lasciare quell'incombenza a un estraneo. Qualche momento dopo, scorsi con sollievo Barak correre verso di me, seguito con più lentezza dallo studente. Quando vide il cadavere presso la fontana rimase a bocca aperta, «Per le trippe di Giuda! Che diavolo è successo qui?» Aveva gli occhi arrossati e puzzava di alcol: doveva essere di nuovo stato fuori casa tutta la notte. Nonostante ciò, in quella circostanza non avrei desiderato avere nessuno al mio fianco più di lui. «Roger Elliard è morto», dissi, con voce tremante. «È stato assassinato.» «Qui?» chiese incredulo Barak. «Stanotte. Qualcuno gli ha tagliato la gola e l'ha gettato nella fontana.» «Jesù.» Barak si chinò con garbo, rovesciò un angolo del mio mantello e fissò quel volto di alabastro. Risollevò in fretta il mantello, poi guardò la fontana. «La gola dev'essergli stata tagliata dentro: non c'è sangue sul terreno. E neppure segni di lotta sulla neve. A meno che...» esitò. «Che cosa?» «A meno che non si sia ucciso lui stesso. Non avevate detto che temeva di essere ammalato?»

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«Non era malato, non gravemente. Giovedì lo avevo portato , da Guy. Credete che qualcuno si ucciderebbe in questo modo, nel bel mezzo di Gatehouse Court?» Udii la mia voce farsi più acuta. «Non siate stupido! Roger era soddisfatto come chiunque altro. Aveva tutto per cui vivere! Stava progettando di costruire un ospedale, era felicemente sposato con la migliore delle donne...» Mi resi conto di gridare, e tacqui. Mi passai una mano sulla fronte madida, alzando l'altra in un gesto di scusa. «Mi spiace, Jack.» «Tutto bene», rispose calmo. «Per voi è stato di certo un brutto colpo.» «No», risposi, sentendomi tremare la voce. «Sono infuriato. Questo intendeva essere un monito terribile.» Barak rifletté un istante. «Sì», disse piano. «Se non fossero arrivati quegli studenti, non sarebbe stato trovato finché gli avvocati che abitano qui non fossero usciti per andare alla messa di Pasqua.» Osservai nuovamente il corpo, serrando i pugni. «Chi può avere fatto una cosa tanto mostruosa a un uomo buono e pacifico? Tagliargli la gola e lasciarlo morire dissanguato lì dentro? Il giorno di Pasqua. Ma perché?» Udii un mormorio di voci. Tre o quattro avvocati erano usciti dai loro alloggi e si stavano avvicinando. Forse avevano sentito le mie grida. Alla vista del cadavere uno esclamò: «Per la Madonna!» Si fece largo un uomo alto e anziano, in toga di seta. Riconobbi con sollievo il tesoriere Rowland. I capelli bianchi gli si drizzavano in disordine sulla testa. «Fratello Shardlake?» chiese. «Che succede? Il portiere mi ha svegliato...» S'interruppe, guardò il corpo coperto dal mantello, poi gli occhi gli si sbarrarono per l'orrore alla vista della fontana arrossata. Gli dissi ciò che sapevo. Trasse un profondo respiro, poi si chinò e scoprì nuovamente il viso di Roger. Dovetti lottare contro l'impulso di dirgli di lasciarlo in pace. Un sussurro di raccapriccio corse fra i presenti, ormai una decina. Scorsi tra loro Bealknap. Di solito era avido di scandali, ma adesso rimaneva a guardare in silenzio, sempre pallido e malaticcio. Pensai che Dorothy avrebbe udito le loro voci: dovevo avvertirla. Poi Barak mi bisbigliò di nascosto: «C'è una cosa che dovete vedere. Qua dietro». «Devo dire alla moglie di Roger...» dissi. «Dovreste vederla subito.»

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Rimasi un attimo indeciso, poi annuii. «Mastro tesoriere», dissi, «potete attendere un momento?» «Dove andate?» domandò, innervosito. «Voi e questi ragazzi siete stati quelli che lo hanno trovato, dovete rimanere qui per il coroner.» «Torno fra un minuto. Poi dirò alla signora Elliard che cosa è accaduto. Sono un amico di famiglia.» Il vecchio si volse nello scorgere, con la coda dell'occhio, uno studente appena arrivato che si accostava al corpo. «Indietro, balordo d'uno scrivano!» urlò. Ne approfittai per svignarmela. Barak mi condusse in un punto lontano una ventina di passi. «Vedete quelle orme?» chiese. Guardai in quella direzione. Intorno alla fontana gli studenti e io avevamo ridotto la neve in poltiglia, e i curiosi avevano lasciato un groviglio di tracce che convergevano verso la scena del delitto; tuttavia Barak indicava una duplice fila di orme separate, una diretta verso la vasca e un'altra che se ne allontanava, girando intorno all'angolo dell'edificio nel quale abitavano gli Elliard. Era il punto dove, una settimana prima, avevo udito l'intruso sconosciuto. Barak si chinò a esaminare le impronte. «Guardate come sono profonde quelle dirette verso la fontana. Più di quelle che tornano. Come se chi le ha lasciate trasportasse qualcosa di pesante.» «Io ho sentito qualcuno qui, la notte di Capodanno», bisbigliai. «Si è diretto verso il muro di cinta...» «Seguiamole.» «Devo dire a Dorothy...» «La neve si sta sciogliendo in fretta.» Era così, il sole mattutìno recava il primo vero tepore della primavera, e potevo udire l'acqua di scioglimento gocciolare dalle grondaie. Esitai, poi seguii Barak intorno all'angolo del fabbricato. «Sembrano le impronte di un uomo di corporatura normale», disse Barak. «Però più grosso di Roger.» Le orme arrivavano al muro, poi svoltavano bruscamente a destra, per finire a una pesante porta di legno. «E passato di qua», disse Barak. «L'altra volta aveva scavalcato il muro. Sempre che fosse la medesima persona di quella notte.» «Allora non trasportava un cadavere.» Barak spinse la porta. «E chiusa a chiave», disse.

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«Solo gli avvocati hanno la chiave. Dall'altra parte c'è il frutteto, poi i Lincoln's Inn Fields. Io ho la chiave, ma è nello studio.» «Fatemi salire», disse Barak. Feci scaletta con le mani, mentre lui si arrampicava, appoggiando i gomiti in cima al muro. «Le orme proseguono verso il frutteto», disse. Saltò giù. «Ha portato il povero mastro Elliard dal frutteto? Però, Jesù, dev'essere pesante. Ditemi in che cassetto è la chiave e corro a prenderla.» Esitai. «Dovrei tornare. Bisogna che sia io a dirlo a Dorothy. Dalle sue finestre si vede la fontana...» «Andrò da solo. Ma devo farlo adesso, prima che le impronte svaniscano.» «Non sapete che cosa potreste trovare dall'altra parte», lo ammonii. «Se n'è andato da un pezzo. Però seguirò le orme fin dove potrò. Dobbiamo scoprire tutto quello che possiamo. Sapete bene quanto me che se un assassino non viene preso in fretta, spesso non si trova più.» Respirò a fondo. «E questo non è un delitto qualsiasi, passionale o a scopo di rapina. L'assassino prima l'ha stordito, poi l'ha trasportato nel Lincoln's Inn e. l'ha gettato nella fontana. Quando gli è stata tagliata la gola era ancora vivo, altrimenti non avrebbe sanguinato. Deve averlo colpito abbastanza forte da farlo rimanere privo di sensi per un pezzo, ma non tanto da ucciderlo. Ha corso un bel rischio: che sarebbe accaduto se fosse rinvenuto e avesse lottato? Si direbbe una specie di feroce vendetta.» «Roger non aveva un solo nemico al mondo. Un altro avvocato? Solo un membro del Lincoln's Inn avrebbe avuto la chiave di quella porta.» «Adesso bisogna andare», disse gravemente Barak, «se dovete dirlo voi alla signora.» Annuii, mordendomi un labbro. Barak mi strinse un braccio con un gesto inatteso, poi corse verso Gatehouse Court. Lo seguii a passo più lento. Quando girai l'angolo udii un grido di donna. Provai un intenso brivido lungo la schiena, e mi misi a correre. Troppo tardi. In mezzo alla ressa che cresceva intorno alla lontana Dorothy, in camicia da notte, era inginocchiata sul terreno fradicio accanto al corpo del marito e gemeva penosamente per la disperazione. Il mio mantello era stato rimosso dalla testa di Roger, e lei aveva visto quel viso straziato. Gemette di nuovo. Corsi fino a lei e caddi in ginocchio, afferrandola per le spalle. La sua pelle era fredda sotto l'esile tessuto. Sollevò il viso verso di me:

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appariva sconvolta, con gli occhi sbarrati, la bocca aperta, i capelli scuri selvaggiamente scomposti. «Matthew?» boccheggiò. «Sì, Dorothy... oh, non dovevi uscire, non avrebbero dovuto lasciarti vedere...» Fissai la calca con sguardo accusatore. la gente strascicava i piedi imbarazzata. «Non sono riuscito a fermarla», disse, tutto rigido, il tesoriere Rowland. «Avreste potuto provarci!» « Non potete parlarmi in questo tono...» «State zitto», sbottai, spinto dalla collera. Il tesoriere rimase a bocca aperta. Feci alzare Dorothy, ma appena si fu rimessa in piedi prese a tremare. «Vieni dentro, Dorothy, vieni...» «No!» si ribellò, tentando di liberarsi dalla mia stretta. «Non posso lasciare Roger qui disteso.» La sua voce tornò a farsi più acuta. «Dobbiamo andare», le dissi con dolcezza. «Viene il coroner.» «Chi... l'ha ucciso?» Mi fissò come sforzandosi di comprendere qualcosa capace di dare un senso all'orrore che l'attorniava. «Lo scopriremo. Ora vieni dentro. Il tesoriere Rowland garantirà che nessuno faccia nulla di irrispettoso. Vero, signore?» «Sì, certo.» Il vecchio sembrava davvero imbarazzato. Dorothy mi permise di condurla in casa, dove lo scrivano di Roger, Bartlett, indugiava sconvolto sulla soglia del suo ufficio. Era un uomo di mezz'età, scrupoloso, che aveva seguito Roger da Bristol. «Signore», sussurrò. «Che... cosa è accaduto? Dicono che il padrone è stato ucciso.» «Temo di sì. Più tardi verrò da voi e vedremo che fare con il suo lavoro.» «Sì, signore.» Dorothy fissava Bartlett come se non l'avesse mai visto prima. Ancora una volta le presi le braccia, guidandola dolcemente su per l'ampia scala che saliva alle loro stanze. Il vecchio Elias era sull'uscio aperto, mezzo svestito, con i capelli bianchi arruffati. Accanto a lui, una giovane cameriera in grembiule bianco e cuffia. «Oh, signora», disse la domestica con accento irlandese, poi rivolse verso di me un viso rigato di lacrime. «S'era appena alzata, signore, dev'essere andata sul davanti a guardare dalla finestra. Ha gridato ed è corsa fuori e...»

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«D'accordo.» Squadrai la ragazza. Era grassoccia, con i capelli scuri. Sembrava di buon senso e sinceramente turbata per la sua padrona. Dorothy avrebbe dovuto fare molto affidamento su di lei nei giorni a venire. «Qual è il vostro nome?» le chiesi. «Margaret, signore.» «Avete un po' di vino forte, Margaret?» «Ho dell'acquavite, signore. Gliela porto. Signore... là fuori... è proprio il padrone?» «Sì, temo di sì. Ora, per cortesia, portate l'acquavite. E un abito più pesante per la vostra padrona. Non deve prendere freddo.» Condussi Dorothy in salotto, sedendo con lei in una poltrona davanti al caminetto. Mi guardai attorno, rammentando la piacevole serata che vi avevo trascorso una settimana prima. Dorothy tremava: mi resi conto che era passata dall'orrore allo smarrimento. La domestica fece ritorno, drappeggiò una veste calda sulle spalle di Dorothy e le offrì un bicchiere di cordiale, ma la mano di Dorothy tremava talmente che glielo tolsi dalle dita. «Rimanete», dissi a Margaret. «Casomai avesse bisogno di altro.» «Povero padrone...» Margaret prese uno sgabello accanto alla padrona e vi si lasciò cadere pesantemente, anche lei sconvolta. «Su», dissi dolcemente a Dorothy, «bevi questo, ti farà bene.» Non oppose resistenza quando le sollevai il bicchiere fino alle labbra, facendola bere come una bambina. Il suo viso era pallido, le guance paffute s'erano come afflosciate. Alla cena le avevo detto che sembrava più giovane dei suoi anni, ma ora era d'un tratto diventata vecchia e macilenta. Mi domandai tristemente se quel suo sorriso caldo e malizioso le sarebbe mai tornato sulle labbra. Il cordiale le colorò di rosa le guance, e Dorothy parve tornare lentamente in sé, benché tremasse ancora. «Matthew», disse piano, «hanno detto che sei stato tu a trovare Roger.» «Lo hanno trovato certi studenti. Sono andato da loro per aiutarli a tirare fuori il corpo.» «Ero in salotto e ho udito un rumore all'esterno.» Sembrava stesse ricordando qualcosa successo molto tempo prima. Ho visto la fontana tutta rossa, con la gente intorno, e ho pensato: Che sta succedendo? Poi ho visto il corpo in terra. Sapevo che era Roger: l'ho riconosciuto dagli stivali. I suoi vecchi

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stivali di cuoio.» Deglutì, e credetti che ricominciasse a piangere, ma, al contrario, mi fissò con occhi pieni di collera. «Chi è stato?» domandò. «Chi ha commesso quest'azione crudele e malvagia? E perché?» «Non lo so. Dorothy, dov'era ieri sera Roger?» «Era... era fuori. Il suo nuovo cliente prò bono.» «Lo stesso cliente che aveva visto giovedì? Quando lo lasciai dopo che eravamo stati dal dottor Malton, disse che andava a un incontro con un cliente prò bono. Aggiunse di avere una lettera su quel caso.» «Sì, sì», singhiozzò. «Arrivò martedì, da un certo legale. Sì, ricordo: un uomo di nome Nantwich.» «Roger disse da dove gli aveva scritto?» «Da qualche parte a Newgate, credo. Sai come sono quegli avvocatucoli, la metà non ha neppure uno studio. Aveva sentito che Roger lavorava gratis per la povera gente. Chiese a Roger se avrebbe potuto incontrare il suo cliente in una taverna di Wych Street giovedì sera, dato che l'uomo di giorno lavorava.» «Hai visto la lettera?» «Non gliela chiesi. Pensai che fosse strano proporre un incontro in una taverna, ma Roger era curioso, e tu sai com'è di buon cuore.» S'interruppe di botto, con un singhiozzo soffocato. Per un attimo, parlando, aveva dimenticato che Roger era morto, e l'orrore di quella realtà tornò a colpirla con rinnovata violenza. Mi fissò a occhi sbarrati. Io le afferrai una mano, sentendola fredda. «Dorothy, mi dispiace tanto. Però te lo debbo chiedere: che cosa accadde all'incontro?» «Niente. Quell'uomo non si fece vivo. Poi però arrivò un'altra lettera, che venne infilata sotto la porta Venerdì Santo, con la quale Nantwich si scusava perché il cliente non era potuto venire alla taverna, e chiedeva a Roger di incontrarlo ieri sera, nello stesso luogo. Quest'ultima lettera io non l'ho vista», aggiunse con un filo di voce. «E Roger vi è andato naturalmente.» Sorrisi amaramente. «Vorrei che non l'avesse fatto.» Qualcosa mi colpì. «Stanotte faceva freddo. Doveva indossare un mantello.» «Sì, infatti.» Corrugai la fronte. «E allora dov'è?» «Non so.» Dorothy rimase zitta per un momento, quindi proseguì: «Mi stupii che alle dieci della sera non fosse ancora rincasato. Ma sai che

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era capace di lasciarsi coinvolgere in qualcosa e rimanere a parlare per ore». Era, non è: stavolta il tempo era giusto. «Ero stanca e andai a letto presto. Aspettavo che tornasse, ma finii con l'addormentarmi. Mi svegliai al mattino presto, e quando non lo trovai accanto a me pensai che si fosse coricato nell'altra stanza da letto. Lo fa quando rientra tardi, per non disturbarmi. E per tutto il tempo...» s'interruppe, nascondendo il viso tra le mani e singhiozzando sonoramente. Tentai di riflettere. Il cliente aveva chiesto di incontrarsi con Roger in Wych Street, sul lato opposto dei Lincoln's Inn I ields. La via più comoda per arrivarvi era attraversare il frutteto. Ma perché quell'uomo non s'era presentato giovedì? Il cuore mi diede un balzo al pensiero che Roger, come tutti gli avvocati, aveva con sé la sua lettera di mandato. C'erano poche possibilità che fosse rimasta sul corpo, e il mantello che indossava era scomparso. Tuttavia avevamo almeno un nome, Nantwich. Un nome poco comune. Guardai Dorothy con il cuore colmo di compassione. I suoi singhiozzi cessarono. Mi fissò, e nei suoi occhi vidi una collera che rispecchiava la mia. «Chi è stato?» chiese a bassa voce. «Roger non aveva un solo nemico al mondo. Chi è quel demonio?» «Lo prenderò, Dorothy, te lo prometto.» «Ne sei sicuro»? «Lo giuro.» Cercò a tentoni la mia mano, stringendola forte. «Adesso devi aiutarmi tu, Matthew. Ti prego: sono sola.» «Ti aiuterò.» D'un tratto la voce le si ruppe in pianto. «Oh, Roger!» Le lacrime ripresero a sgorgare, con sonori singhiozzi laceranti. Margaret mise un braccio intorno alle spalle della padrona, mentre io le tenevo la mano. Eravamo ancora così, come una raffigurazione della Pietà, quando Elias entrò a dire che c'era di sotto il coroner, e doveva vedermi subito. Archibald Browne, coroner del Middlesex, era un uomo anziano e acido; ed era anche uno della vecchia, corrotta specie di quelli capaci di lasciare un cadavere a marcire in strada per giorni finché qualcuno non li avesse pagati per fare un'indagine, non era purtroppo di quei magistrati più competenti, stipendiati, che avevano istituito i Tudor. Era piccolo, calvo e tozzo, con una faccia tonda butterata dal vaiolo.

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Quando uscii stava in piedi accanto al tesoriere, con le mani nelle tasche della spessa cappa, e fissava il corpo di Roger. Rowland allontanava con gesti bruschi i passanti che si fermavano a guardare. Notai che il sole aveva ormai sciolto gran parte della neve. Mi chiesi stancamente dove fosse Barak. Rowland mi indicò. «Questo è fratello Matthew Shardlake», disse a Browne. «Ha chiamato lui i gendarmi.» «Spero di avere più aiuto da lui che da quei due ragazzi», grugnì il coroner Browne. Posò su di me due occhi cisposi. «Avete parlato con la vedova?» «Sì, signore.» «Come sta?» «Piange», tagliai corto. «Dovrò interrogarla. Potete venire con me, se la conoscete. Adesso ditemi, in nome di Jesù, che cosa è successo.» Gli descrissi il ritrovamento del corpo di Roger, gli dissi che Barak aveva seguito le orme e che Dorothy mi aveva parlato di uno strano cliente. «Nantwich?» Il tesoriere Rowland era perplesso. «Mai sentito nominare. Credevo di conoscere la maggior parte dei legali.» Gli occhi di Browne si restrinsero mentre mi squadrava. «Shardlake. Conosco il vostro nome.» Sogghignò. «Non eravate voi quello del Lincoln's Inn di cui si fece beffe il re a York, un paio d'anni fa? Vi riconosco dalla descrizione.» Di un gobbo, pensai. Sapevo che quella storia mi avrebbe perseguitato sino alla fine dei miei giorni. «Dobbiamo scoprire con chi s'era incontrato Roger», dissi freddamente. Browne studiò il volto del cadavere, poi ne smosse la povera testa con la punta di un piede. Strinsi i pugni, adirato. «Brutto affare», proseguì. «Buttarlo nella fontana. Sembra molto tranquillo. Non potrebbe essersi tagliato la gola da sé?» «No, era un uomo felice.» «Allora è strano.» Scosse la testa. «Una fontana di sangue.» Si rivolse al tesoriere. «Dovrebbe farla prosciugare.» Corrugai la fronte: quella frase, una fontana di sangue. L'avevo già sentita prima da qualche parte, ne ero certo.

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«Dov'è quel vostro uomo che è andato a seguire le orme?» chiese Browne. «Non lo so. E partito mezz'ora fa.» «Be', fatelo venire da me quando torna. Dovrò rivolgermi al coroner del re prima di formare una lista di giurati".» Ricordai che il re adesso si trovava a Whitehall, e imprecai: qualunque crimine nel raggio di venti chilometri dalla residenza reale e fuori dei confini della Città di Londra, o anche solo di poco, come Lincoln's Inn, era di competenza del regio coroner, che se ne sarebbe occupato insieme con Browne. «Questo comporterà un ritardo», dissi. Browne scrollò le spalle. «Non posso farci niente.» «Quanto ci vorrà per nominare una giuria?» «Dipende se il regio coroner accetta di formare una giuria di uomini di legge. Ed è Pasqua. Dubito che apriremo un'inchiesta prima di metà settimana.» Strinsi le labbra. In ogni delitto era di vitale importanza indagare subito, prima che le tracce si raffreddassero. Come aveva detto Barak, molti colpevoli o li si acchiappava subito, o non li si prendeva mai più. «Credo che gli avvocati dell'Inn vorranno che l'inchiesta sia condotta al più presto possibile», dissi. «Dato che è coinvolto uno di loro.» Il tesoriere Rowland annuì, d'accordo con me. «Sì, vogliamo un'indagine subito.» «Dobbiamo trovare quell'avvocato, quel Nantwich. Potreste farlo, signore... solo una richiesta generica, per iniziativa del tesoriere?» «Sì, bisogna farlo.» «E, se posso dare un suggerimento», dissi, approfittando del vantaggio, «il modo in cui è morto è così singolare - stordito e mantenuto privo di sensi finché non è stato gettato nella vasca - che sarebbe opportuno far aprire il cadavere.» Era un'idea sgradevole, ma Guy avrebbe scoperto qualcosa che poteva esserci d'aiuto. «Conosco il dottor Malton, che svolge questo compito per conto del coroner di Londra. Il suo onorario è modesto. Posso mandarglielo.» «Oh, quel vecchio moro», grugnì Browne. «E chi paga?» «Io, se occorre. Roger Elliard era mio amico. E potrei chiedere, per favore», aggiunsi alzando la voce, «che ne venga ricoperto il corpo?»

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«D'accordo.» Il coroner tirò svogliatamente il mio mantello sopra il viso di Roger, poi si volse verso di me, fregandosi le mani grassocce. «Ripetetemi il nome del deceduto.» «Roger Elliard.» «Bene. Vedrò la vedova. Ora si può rimuovere il corpo. Mastro tesoriere, prendete un carro e fatelo portare nel mio magazzino.» Dorothy aveva in parte riacquistato la propria compostezza quando il vecchio Elias, ora vestito di tutto punto ma ancora alterato in volto, ci fece entrare in salotto. Sedeva presso il caminetto, a fissare le fiamme tenendo per mano la cameriera, Margaret. «Dorothy», le dissi con gentilezza, «questo è il coroner Browne. Ti farà alcune domande, se te la senti.» Il magistrato guardò il fregio intagliato sopra il caminetto, gli animali scolpiti che si affacciavano in mezzo alle fronde. «Un bel lavoro», commentò. Dorothy alzò gli occhi. «Un pezzo si ruppe quando ci trasferimmo qui», disse debolmente. «Roger lo fece sostituire, ma non riuscì bene.» Notai che un angolo del fregio era fatto male, di un colore leggermente diverso. «E ancora bello», disse Browne, in un goffo tentativo di mettere a suo agio Dorothy. «Posso sedere?» Dorothy gli indicò la poltrona in cui m'ero seduto prima io. Lui ripetè le domande sul cliente prò bono, la interrogò sugli ultimi spostamenti di Roger, ma senza che emergesse nient'altro di inconsueto. Notai che non prendeva appunti, e questo mi preoccupò: non aveva l'aria di un uomo dotato di grande memoria. «Vostro marito aveva qualche nemico?» chiese Browne. «Nessuno. C'erano alcuni avvocati che non gli riuscivano particolarmente graditi, contro i quali aveva vinto o perso delle cause. Ma questo vale per qualunque avvocato di Londra, e nessuno di loro assassina i propri colleghi in...» la voce le venne meno «...in quel modo orribile e perverso.» «Nessuna possibilità che si sia tolto la vita?» La brutalità della domanda mi urtò, ma indusse anche Dorothy a dare il meglio di sé. «No, mastro coroner, assolutamente nessuna. Chiunque vi direbbe che la sola idea che possa essersi ucciso non ha alcun senso. Avrei desiderato da voi la delicatezza di parlare con altre persone,

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prima di chiedere a me se mio marito s'è tagliato la gola.» Provai un moto di ammirazione per lei: il suo spirito si stava ridestando. Browne arrossì e si alzò dalla poltrona. «Benissimo», disse asciutto. «Per ora basterà. Devo andare a palazzo reale, a incontrare il coroner del re.» S'inchinò rigidamente, poi uscì. I suoi passi pesanti risuonarono lenti giù per la scala. «Vecchio grassone!» esclamò di cuore Margaret. Dorothy mi guardò. I suoi occhi arrossati erano pieni di disperazione. «Sembra che non gliene importi assolutamente nulla», disse. «Mio povero Roger.» «Questo per lui è solo un lavoro», risposi, «ma ti prometto che gli starò alle costole.» «Grazie», disse, posandomi una mano sul braccio. «Ora scenderò nello studio di Roger. Mi assumerò quanto posso del suo lavoro, se desideri.» «Sì, grazie. Oh, e qualcuno dovrà scrivere a nostro figlio, dirlo a Samuel.» Gli occhi le si riempirono daccapo di lacrime. «Vuoi che lo faccia io?» le chiesi dolcemente. «Non dovrei chiedertelo. Io...» «No, farò tutto ciò che posso, Dorothy. Per te e per Roger.» Fuori scorsi con sollievo Barak rimanere a osservare il corpo di Roger che veniva caricato su un carro, ancora avvolto nel mio mantello. Sembrava abbattuto. Notai che aveva con sé un mantello scuro che riconobbi. «Avete trovato il mantello di Roger?» «Sì, nel frutteto. Ho pensato che fosse il suo, dalla taglia.» Rabbrividii, sentendo la mancanza del mio. «Avete seguito le orme?» «Fin dove ho potuto. Portavano attraverso il frutteto, nei Lincoln's Inn Fields, ma la neve se n'era andata quasi tutta.» «Non c'era niente nelle tasche?» «Un mazzo di chiavi di casa. L'assassino deve avere sottratto la chiave del frutteto. E la sua borsa: non ha preso la borsa, c'erano dentro circa due sterline.» «Non aveva delle carte? Nessun appunto?» «Niente.» «Ieri notte era andato a un incontro con un nuovo cliente in una taverna di Wych Street.»

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Barak guardò verso il muro di cinta. «Allora l'ha fatto da qualche parte nei Lincoln's Inn Fields. Un dannato lavoro, trascinare un corpo.» Mi guardò sconvolto. «Che accidenti sta succedendo?» *** Capitolo sette. Due giorni più tardi, il martedì dopo Pasqua, Barak e io scendemmo al fiume a prendere una barca per Westminster. Indossavo un mantello nuovo, perché non potevo tollerare di portare quello vecchio, inzuppato del sangue di Roger. Avevo davanti una giornata piena di lavoro: le cause di cinque poveretti sarebbero state discusse di fronte al giudice delle Suppliche. Speravo che venisse fissata anche una data per prendere in esame l'istanza relativa ad Adam Kite. La mattinata aveva finalmente un tocco di primavera, spirava una brezza gradevole. Di norma me ne sarei rallegrato; non però con quello che adesso mi pesava sul cuore. Quando attraversammo Fleet Street dirigendoci verso Tempie Bar, vedemmo un eretico penitente condotto alla cattedrale di St Paul. Indossava un camice grigio e reggeva fra le mani tremanti un fascio di rami di betulla. Gli era stata versata cenere in testa e sulle spalle, e aveva viso e capelli grigi. Intorno al collo portava una corda, con la quale veniva trascinato da uno degli uomini del vescovo Bonner. Li seguivano tre alabardieri armati di spada, e la piccola processione era aperta da un uomo che suonava il tamburo. I passanti si arrestavano: alcuni lo schernivano, altri apparivano seri. Qualcuno diceva: «Coraggio, fratello!» e i soldati si guardavano attorno con irritazione. Rimasi sbalordito nel vedere che l'uomo legato era quel forsennato predicatore del mercato di Newgate: doveva essere stato arrestato per avere predicato senza licenza. Sarebbe stato portato alla St Paul's Cross, dove Bonner lo avrebbe redarguito sui pericoli dell'eresia; se fosse stato sorpreso di nuovo sarebbe potuto finire sul rogo. Il ghiaccio s'era ormai sciolto sul fiume, le cui acque grigie scorrevano gonfie e rapide. I barcaioli avevano passato un inverno difficile, come sempre quando il fiume si ghiacciava, e l'uomo ai remi dell'imbarcazione che prendemmo a Tempie Stairs aveva una faccia sparuta e affamata. Gli dissi di andare a Westminster. «Il molo è rotto, signore. Il ghiaccio ha spezzato i pali di sostegno, devono essere sostituiti.»

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«Allora a Whitehall Stairs», sospirai, anche se mi garbava poco dover passare in mezzo alla ressa di Westminster. L'uomo salpò, e io sedetti a guardare il fiume. Avevo passato gran parte del giorno precedente esaminando le cause di Roger e dando istruzioni al suo scrivano; poi avevo scritto una lettera al giovane Samuel Elliard a Bristol. Quando salii al piano superiore per fare nuovamente visita a sua madre, la trovai chiusa in se stessa, seduta a fissare il fuoco, con la domestica che le teneva la mano. Alla fine si lasciò convincere e andò a coricarsi. «Avete sentito di quei grossi pesci?» chiese il barcaiolo, interrompendo i miei tristi pensieri. «Cosa? Ah, sì.» «Spuntati fuori da sotto il ghiaccio. Grossi quasi come una casa.» Annuì con un sorriso. «Io li ho visti.» «Come sono?» chiese incuriosito Barak. «Grigi, con grosse teste piene dei denti più strani che si siano mai visti. Adesso cominciano a puzzare. Li hanno tagliati a pezzi per tirare fuori l'olio di pesce, anche se certi dicono che sono maledetti. Il mio vicario sostiene che sono il Leviatano, il grande mostro degli abissi la cui comparsa preannuncia la Seconda Venuta.» «Magari saranno balene», dissi io. «Una specie di creature giganti che vivono in alto mare. Ne parlano i pescatori.» «Questo non è alto mare, signore. E quelli sono più grossi di quanto può essere qualunque pesce. Hanno certe teste enormi. Io li ho visti, come pure mezza Londra.» La barca approdò a Whitehall Stairs. Passammo sotto l'Holbein Gate, proseguendo per King Street. Io tenevo una mano sulla borsa, perché Westminster era il posto meno raccomandabile che si trovasse in Inghilterra. Di fronte a noi incombeva l'ampia mole dell'abbazia di Westminster, che faceva sembrare minuscola persino la sua vicina, la Westminster Hall, sede della maggior parte delle aule dei tribunali. Dietro Westminster sorgeva un labirinto di costruzioni, quelle sopravvissute all'incendio che una generazione prima aveva distrutto gran parte del vecchio Westminster Palace. La Camera dei Comuni vi si riuniva nella Painted Chamber, e la Corte delle Suppliche era vicina. Intorno alla Westminster Hall e all'abbazia era tutta una confusione di fabbricati, botteghe, taverne e locande che servivano una clientela di avvocati, ecclesiastici e membri del Parlamento, abituali frequentatori

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di Westminster. Venditori ambulanti, merciai e prostitute affollavano sempre le vie, e il diritto di rifugio di cui godeva Westminster aveva da tempo attirato nella zona i furfanti. L'amministrazione di Westminster era caotica, perché le richieste dei ricchi abitanti che venisse trasformata in centro urbano erano sempre state respinte, e ora che l'abbazia era stata soppressa anche l'autorità temporale esercitata in passato dall'abate non esisteva più. Il Parlamento era in seduta, e King Street era ancora più affollata e pittoresca del solito. Botteghe e case si allineavano lungo la via, con le vaste dimore dei ricchi mercanti, dotate di piani superiori sporgenti, miste a tuguri malandati. La strada puzzava per le numerose concerie della periferia. Rammentavo che l'anno precedente i giudici si erano lagnati di essere costretti, nel corso della loro annuale processione in pompa magna alla Westmister Hall, a farsi strada in mezzo a pecore e bovini condotti al mercato. Ci facemmo largo a gomitate in Palace Yard, tra i bottegai che decantavano a gran voce le loro mercanzie. C'era un'infinità di venditori ambulanti, alcuni che schiamazzavano su carretti tirati da un asino, altri con appesi al collo vassoi di cianfrusaglie strampalate. Barak li allontanava quando facevano per accostarsi. Notai una banda di laceri, ma muscolosi giovanotti sbirciare un uomo di mezz'età dall'aria altezzosa, con una lunga cappa foderata di ermellino e un elegante farsetto lasciato aperto per mostrarne l'interno di seta, che incedeva con gravità: probabilmente un deputato del Parlamento proveniente dalla campagna, che non trovava di meglio che ostentare la propria agiatezza in King Street. Fossimo stati dopo il tramonto, non avrei dato granché per la sua pelle. «L'inchiesta è per domani», dissi a Barak. Avevo ricevuto un messaggio di mattina presto. «Scusate, m'ero scordato di dirvelo.» «Occorre che sia presente anch'io?» «Sì. E anche Dorothy, povera donna. Per lei sarà terribile: erano molto legati l'uno all'altra.» «Se la sentirà di affrontare l'inchiesta?» «Spero di sì. E forte. Sono andato subito a farle visita: è sempre molto taciturna, bianca come uno straccio.» Mi morsi un labbro. «Spero che i gazzettieri non s'impadroniscano della storia e la facciano girare per tutta la città.» «Ne sarebbero lieti.»

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«Lo so. Per Dio, quel coroner Browne è un buono a nulla. Avrebbe dovuto aprire l'inchiesta ieri. Adesso l'assassino potrebbe già essere in un altro Paese.» Scossi il capo. «Mi sono assunto il compito di fare visita più tardi a Guy, per sapere che cosa ha scoperto sulle condizioni del corpo.» Mi si parò davanti un cencioso venditore ambulante con un vassoio di paccottiglia appeso al collo. «Anelli e fibbie, signore, per la vostra dama, roba di Venezia...» Lo scansai. Adesso eravamo quasi in New Palace Yard: il grande cancello che immetteva nel recinto dell'abbazia di Westmister era proprio di fronte a noi. La ressa era più fitta, e quando varcai il portale quasi inciampai in un biscazziere seduto lì vicino con le sue carte truccate, che incitava i passanti a tentare la fortuna. Entrammo in Westminster Yard, il cui vasto spazio era già pieno di avvocati. La grossa torre dell'orologio segnava le nove e mezzo. Perlomeno eravamo puntuali. «Tammy mi ha raccontato che qualche sera fa siete venuto a farle visita», disse Barak. Dunque glielo aveva riferito. Era una sorta di pressione su di me per parlargli? Non era il momento. Risposi con noncuranza: «Passavo dalle parti dell'Old Barge mentre tornavo da Guy. Quel vostro alloggio è molto umido». Barak scrollò le spalle, imbronciato. «Me ne sarei andato se il bambino fosse vissuto. Ma è morto.» «Tamasin m'è parsa un po'... depressa.» «Dovrebbe farsi una ragione per quel bambino. Io me la sono dovuta fare.» La sua voce s'indurì. «E piena di debolezze da donnicciola. Non so che fine abbia fatto il suo vecchio spirito.» Non mi guardò mentre parlava, cosa rara per lui. Vidi che al centro del cortile la fontana coperta da una cupola, che d'inverno gelava, aveva ripreso a funzionare, e l'acqua ne sgorgava allegramente. Chiusi un attimo gli occhi. La White Hall era un locale piccolo, di fronte alla molto più spaziosa Painted Hall, sull'altro lato di un vecchio cortile. Vi era stata allestita una piccola anticamera affollata, con panche lungo le pareti: i ricorrenti sedevano pigiati gli uni sugli altri, a guardare gli avvocati che parlavano in aula. Povera gente di tutto il Paese veniva a farvi sostenere i propri ricorsi da me e dall'avvocato mio collega, entrambi stipendiati dallo Stato, e molti indossavano gli abiti fatti in casa dei campagnoli.

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Non pochi apparivano intimiditi all'idea di trovarsi in mezzo a quei grandi, antichi edifici, ma certuni avevano un'aria risoluta. Vidi seduto il mio primo cliente: Gib Rooke, un uomo basso e tarchiato, sulla trentina, con una faccia quadrata e cotta dal sole. Indossava una veste rossa, di gran lunga troppo vistosa per un tribunale, e squadrava in cagnesco due uomini che conversavano al centro dell'aula. Uno era un uomo alto, in abiti costosi; l'altro, con mia sorpresa, era Bealknap. Notai che il mio vecchio nemico appariva sparuto nella sua toga nera, mentre rovistava in qualche incartamento nella sua cartella. L'uomo alto non sembrava soddisfatto di lui. «E allora, Gib», disse Barak sedendosi accanto a Rooke. «Vi siete vestito bene per l'occasione?» Rooke fece un cenno di assenso a Barak, poi levò lo sguardo su di me. «Buon giorno, mastro Shardlake. Siete pronto per la lotta?» Lo squadrai con severità: avere un proprio avvocato dava un po' alla testa a certi miei clienti, che ne approfittavano per pavoneggiarsi e schernire; a loro svantaggio però, poiché il tribunale esige serietà e rispetto. «Sono pronto», risposi. «Abbiamo una buona causa. Se perdiamo, potrebbe essere perché la corte vi ritiene un insolente; perciò misurate le parole. Vestirsi come un pavone non è un buon inizio.» Gib arrossì. Era uno dei tanti contadini che negli ultimi quindici anni avevano piantato un orto nelle paludi di Lambeth, oltre il fiume: la crescita di Londra comportava un'incessante richiesta di generi alimentari per la città. Prosciugando appezzamenti di acquitrino incolto, i contadini vi si erano insediati senza il consenso dei proprietari, che non avevano mai messo a coltura la terra e spesso risiedevano lontano. Di recente, tuttavia, i proprietari terrieri s'erano accorti che c'era da guadagnare, e ricorrevano ai tribunali locali per cacciare i contadini e impossessarsi dei frutti del loro lavoro. Gib s'era rivolto alle Suppliche contro lo sfratto citando antiche leggi, e io ero riuscito a scoprire qualche precedente un po' vago, grazie al quale si poteva sostenere che, se un uomo occupava per una decina d'anni una terra di estensione inferiore ai due acri senza che la proprietà gli venisse contestata, poteva rimanervi. Gib accennò a Bealknap. «Quel vecchio porco di Sir Geoffrey non sembra soddisfatto del suo avvocato.» «Conosco Bealknap. Non lo sottovalutate.» Per la verità, era un avvocato in gamba. Oggi, però, sembrava che avesse problemi con le

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sue carte: stava frugando freneticamente nella borsa. Nell'alzare brevemente la testa mi scorse, sussurrò qualcosa al suo cliente ed entrambi si allontanarono. Sedetti dall'altro lato di Gib, che mi guardò con occhi pieni di curiosità. «Corre voce che ci sia stato un terribile delitto al Lincoln's Inn», disse. «Un avvocato trovato dentro la fontana con la gola tagliata. La domenica di Pasqua.» Era ciò che temevo: la notizia si diffondeva. «L'assassino verrà scoperto.» Gib scosse il capo. «Dicono che non si sa chi è. Che razza di modo per ammazzare qualcuno. Ah, be', sono i tempi.» «Suppongo che intendiate parlare di segni e prodigi», ribattei stancamente, ricordando il barcaiolo. Gib alzò le spalle. «Io non ne so niente. Ultimamente, però, ci sono stati alcuni brutti delitti. A gennaio uno dei coltivatori della palude venne trovato assassinato in modo orribile. Un'altra strana faccenda. Non mi stupirei se a ucciderlo fosse stato il padrone del terreno», aggiunse a voce alta. La gente si volse a guardarlo. «Se non controllate la lingua perderete la causa», lo ammonii seccamente. «Guai in vista», bisbigliò Barak. Bealknap aveva lasciato il suo cliente e veniva verso di noi. «Vi posso parlare, fratello Shardlake?» chiese. Notai che sudava, benché nell'aula, non riscaldata, facesse freddo. Mi alzai in piedi. «Certamente.» Ci allontanammo di qualche passo. «Il vostro cliente non dovrebbe fare commenti ingiuriosi sui proprietari terrieri in un'aula di tribunale», esordì pomposamente. Sollevai le sopracciglia. «È tutto ciò che avete da dire?» «No... no...» Bealknap esitò, si morse un labbro, poi sospirò profondamente. «C'è un problema, fratello Shardlake. Non ho depositato l'atto di proprietà del terreno del mio cliente.» Lo squadrai attonito. La più banale delle incombenze del mestiere di avvocato era assicurarsi che la documentazione venisse correttamente sottoposta alla corte. Molte erano le storie che circolavano sul conto di giovani avvocati che non s'erano curati di presentare in tempo i propri documenti e s'erano visti respingere le cause. Bealknap, tuttavia, faceva l'avvocato ormai da vent'anni. Una volta tanto mi guardò dritto con quei

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suoi occhi azzurro pallido, nei quali lessi il panico. «Aiutatemi, fratello Shardlake», sussurrò disperatamente. «Aiutate un collega avvocato. Fate rinviare la causa. Posso inoltrare gli atti più avanti.» «Se li presentate adesso il giudice vi ascolterà: l'ufficio delle istanze è aperto.» «Li ho perduti», disse Bealknap, d'improvviso frenetico. «Mi raccomando a voi, Shardlake. Dovevo depositarli oggi, credevo di averli nella borsa. Sono stato malato! Il dottor Archer mi ha di nuovo purgato e ho defecato misto a sangue per tutta la notte...» Molti avvocati lo avrebbero aiutato per solidarietà professionale, ma io ero sempre stato contrario a certi accordi a spese di un cliente. «Mi spiace, Bealknap», dissi a bassa voce, «ma ho dei doveri verso il mio cliente.» Bealknap si lasciò sfuggire un suono a metà tra un sospiro e un gemito. Poi si sporse in avanti, quasi sibilando: «Lo sapevo che non mi avreste aiutato, voi... rospo dalla schiena gobba. Non lo dimenticherò!» Vidi che il suo cliente, un poco in disparte, osservava incuriosito Bealknap. Senza una parola mi voltai e tornai presso Barak e Gib Rooke. «Che c'era?» domandò Barak. «Sembrava sul punto di saltarvi addosso.» «Non ha depositato la prova della proprietà. Ha perso gli atti da qualche parte.» Barak fischiò. «Allora è messo malissimo.» Strinsi le labbra. L'insulto di Bealknap non era servito che a rafforzare la mia determinazione di battermi per Gib Rooke, il quale, nonostante la sua spavalderia, di fronte alla legge non era che un bimbetto. «Che cosa?» chiese ansioso. «Che succede?» Glielo spiegai. «Se lo dichiarasse subito con sincerità, il giudice potrebbe accordargli un rinvio, sempre che sia di buon umore. Viceversa Bealknap mentirà e imbroglierà.» «Allora Sir Geoffrey è fregato?» «Potrebbe esserlo.» Adesso Bealknap era inginocchiato e cercava di nuovo nella borsa, freneticamente, senza speranza. Mentre vi rovistava dentro gli tremavano le braccia. Poi l'usciere fece la sua comparsa sulla soglia del tribunale.

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«Tutti coloro che debbono rivolgersi alla Corte delle Suppliche di Sua Maestà si facciano avanti...» Bealknap lo guardò costernato; poi si alzò e si unì alla calca mentre tutti facevano il loro ingresso nella vecchia sala dipinta di bianco, con le sue alte finestre sporche; l'unica macchia di colore era il giudice in toga rossa seduto sul suo scranno. Sir Stephen Ainsworth, giudice delle Suppliche, era onesto, ma aveva la lingua tagliente. Appena si venne alla nostra causa fece notare che il fascicolo sottoposto alla corte era incompleto. Come mi aspettavo, Bealknap si alzò e disse di avere inoltrato gli atti, ma che lo scrivano del tribunale doveva averli smarriti, e si affrettò a chiedere un rinvio dell'udienza. «Dov'è la vostra ricevuta per la consegna degli atti?» chiese Ainsworth. «L'ho lasciata al mio impiegato, ma ha lui la chiave dello studio, e non è ancora arrivato. Stamattina sono stato costretto a partire presto, dato che il molo di Westminster è crollato...» Dovevo dare atto a Bealknap di saper pensare alla svelta. Ainsworth, tuttavia, si rivolse all'usciere. «Fate venire il cancelliere delle Suppliche», disse. Bealknap parve sul punto di svenire quando il cancelliere fu fatto entrare e confermò che gli atti non erano mai stati depositati. «Sospetto che mi abbiate mentito, fratello Bealknap», disse freddamente Ainsworth. «State ben attento. Il ricorso del vostro cliente contro Gilbert Rooke è respinto per carenza di titolo. Padron Rooke, potete rimanere sulla vostra terra. Siete stato fortunato.» Gib sogghignava da un orecchio all'altro. Bealknap si accasciò su una sedia, grigio in faccia. Il suo cliente gli si accostò e prese a bisbigliare animatamente, con aria furibonda; colsi un bagliore di denti bianchi, sormontati da legno scuro. Un altro convertitosi ai denti finti. «Fratello Shardlake», proseguì Ainsworth, «mi è stato riferito che avete inoltrato un'istanza per il caso di un ragazzo inviato a Bedlam dal Consiglio Privato.» «Sì, Vostro Onore.» Picchiettò con la penna sul tavolo, pensieroso. «Ho la giurisdizione per trattare questo caso?» «La questione, Vostro Onore, è che non è stato effettuato nessun accertamento sullo stato di salute mentale del ragazzo. Questo andrebbe fatto, prima che una persona venga privata della libertà. E' prassi obbligatoria.» Trassi un profondo respiro. «Propongo che venga inviato

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a visitarlo un medico, signore. Nel frattempo, però, se acconsentite a discutere la causa, bisognerebbe anche stabilire chi paga la retta richiesta a Bedlam e affermare la necessità di un rapporto sui suoi progressi. I genitori del ragazzo sono poveri.» «Queste, perlomeno, sono cose sulle quali posso deliberare. Benissimo, la corte fisserà a breve termine una data per l'udienza. Tuttavia, mastro Shardlake...» mi squadrò gravemente. «Queste sono acque insidiose: politica e pazzia.» «Lo so, Vostro Onore.» «State attento allora, per il bene del vostro cliente, e anche del vostro.» * * * Gib era arcicontento dell'esito: la sua spavalderia era sfumata e piangeva di gioia. Mi promise eterna gratitudine e uscì dall'aula quasi ballando. Le udienze andarono avanti: per me fu una giornata positiva, dato che vinsi tutte le cause. La corte chiuse i lavori alle sedici e trenta e, mentre vincitori e vinti del giorno sfollavano, mi soffermai sui gradini con Barak. «Bealknap sembrava non stare bene», dissi. «Peggio ancora dopo che la sua causa è stata respinta.» «E sempre stato una furba canaglia, ma oggi faceva pena. Adesso sarà un nemico più accanito che mai.» Guardammo, oltre il quadrilatero, verso la Painted Hall, dov'era in seduta la Camera dei Comuni. Erano state accese le candele, e attraverso le alte finestre si vedevano lampi di luce gialla. Barak grugnì. «Si dice che in questa sessione ogni legge presentata dal re verrà approvata.» Sputò in terra. «I parlamentari che non sono ancora stati comprati dal re possono essere corrotti con bustarelle e minacce.» Rimasi in silenzio, non potendo che approvare. «I genitori di Adam Kite saranno contenti», disse. «Sì. Avere a che fare con il Consiglio rendeva nervoso il giudice Ainsworth, ma è un uomo onesto. Questo mi fa venire in mente, non ve l'avevo detto, di avere visto passare il funerale di Latimer il giorno in cui andai a Bedlam. Vidi Lady Catherine Parr, o perlomeno credo che fosse lei. Sedeva in una grossa carrozza.» «Com'è?» chiese Barak incuriosito. «Non una gran bellezza. C'è però in lei qualcosa che attira l'attenzione. M'è sembrato che avesse paura.»

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«Paura di dire di sì al re, forse, e paura di dirgli di no.» Annuii mestamente, perché la tristezza di quella donna s'era comunicata anche a me. «Bene», dissi. «Devo prendere una barca per andare da Guy, e sapere che cosa ha scoperto. Volete andare al Lincoln's Inn, a definire le cause di oggi? E scrivere ai Kite di venire da me domani?» Tornammo a Whitehall Stairs. Una sequela di prostitute dal trucco sgargiante aveva preso posto dall'ingresso fino a New Palace Yard, mettendosi in fila per farsi notare dai parlamentari di passaggio dopo la chiusura della seduta della Camera. Quando passai, due si chinarono in avanti per mettere in mostra profonde scollature. «Che sfrontate», dissi. «Se le autorità le pescano, si faranno frustare.» «Non capiterà», rispose Barak con un ghigno storto. «I deputati si opporranno. Per certuni, l'occasione di spassarsela un po' nei bordelli è tutto ciò che rende attraenti quei lunghi dibattiti.» «Sarà per questo che fanno così presto ad approvare tutto quello che vuole il re.» Era buio quando giunsi da Guy. La bottega era chiusa, ma quando bussai aprì. M'invitò a sedere con gravità. Prese a sua volta posto di fronte a me nel gabinetto di consultazione, strinse le mani fra loro e mi guardò serio. Il lume di candela accentuava i tratti del suo volto scuro. «Come sta la povera signora Elliard?» domandò. «E sconvolta. Non ci sono stati ulteriori sviluppi nelle indagini sull'assassinio di Roger. Non s'è trovato nessun avvocato che si chiami Nantwich, il nome sulle lettere ricevute da Roger. Sembra che sia stato l'assassino a mandarle.» «E tu? Hai un'aria stanca, Matthew. Eppure negli ultimi tempi avevi un ottimo aspetto. Fai sempre gli esercizi per la schiena?» «Sì. Tiro avanti, Guy. Tiro avanti come sempre.» Un profondo sospiro. «E cercherò di avere la forza di ascoltare qualunque cosa tu abbia da dirmi dell'esame sul corpo di Roger. Però, meno particolari mi dai, meglio è.» «Sono andato stamattina nel luogo dov'è conservato il corpo. Ho portato Piers...» Il pensiero di Guy che sezionava Roger, esaminandone le interiora, era già abbastanza orribile; ma un estraneo, un ragazzo...

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«Lo sto istruendo, Matthew. La mia autorizzazione a sezionare cadaveri offre una possibilità più unica che rara di studiare l'anatomia umana. In avvenire potrebbe diventare capace di aiutare altri.» L'idea continuava a non andarmi a genio. «Che cosa hai scoperto?» chiesi. «Per quanto ho potuto vedere, al momento della morte la salute di mastro Elliard era buona.» «Era sempre buona. Finché qualcuno non gli ha dato un colpo in testa e gli ha tagliato la gola.» «Non credo che sia stato stordito», disse Guy nel medesimo tono grave e misurato. «Non nel senso in cui intendiamo quest'espressione.» Lo squadrai impressionato. «Vuoi dire che era cosciente quando gli è successo?» «Neppure questo. Hai mai sentito parlare degli 'specifici'?» Scossi il capo. «Non c'è motivo perché avresti dovuto. Sono composti liquidi, in questo caso di oppio e di altri elementi, come aceto e bile di maiale, che fanno perdere i sensi. A seconda della quantità usata, possono indurre rilassamento, incoscienza... o morte. Vengono impiegati sporadicamente da secoli, per addormentare prima di un intervento chirurgico.» «Allora perché non ne ho mai sentito parlare? Dovrebbero risparmiare un dolore terribile.» Guy scosse il capo. «Presentano un problema grave. È molto difficile stabilire la giusta dose, davvero molto difficile. Dipende da svariati fattori: la freschezza degli ingredienti, la corporatura, l'età e la salute del paziente. E facilissimo eccedere nella dose, e allora il medico si ritrova con un cadavere. Per questo oggigiorno pochissimi li usano. Ma credo che l'assassino di mastro Elliard l'abbia fatto.» «Perché?» «Lascia che ti mostri una cosa.» Uscì dalla stanza, facendo ritorno un momento dopo. Avevo paura che tornasse con un reperto atroce, ma era solo uno degli stivali di Roger. Se lo depose sul ginocchio e vi accostò una candela, rischiarando una larga macchia scura. «Questo stivale era asciutto, doveva essere sulla gamba che spuntava fuori dell'acqua. Quando notai la macchia l'annusai, poi la toccai con un dito e l'assaggiai. Il sapore del narcotico è assolutamente

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inconfondibile.» Mi guardò. «La prima fase dopo averlo assunto è quasi sempre una sensazione di euforia, poi vi è la perdita di coscienza. Questo spiega l'aspetto sereno del tuo povero amico.» «Hai detto che adesso non vengono più adoperati. Chi potrebbe usarli?» «Pochissimi chirurghi e medici, a causa dei rischi. Qualche guaritore abusivo.» Ebbe un'esitazione. «E venivano tradizionalmente impiegati in certi monasteri.» Vi fu un istante di silenzio. Poi dissi: «Tu li usavi, vero?» Guy annuì lentamente. «Solo quando ritenevo che il dolore di un grave intervento chirurgico potesse uccidere il paziente. E io ho una lunga esperienza nel dosaggio. Tuttavia, anche se adesso non è in uso, la formula è ben conosciuta fra i medici. Non è un segreto.» «Però somministrarli richiede una grande abilità.» Annuì. «L'assassino può non avere voluto dare a Roger una dose fatale. Intendeva offrire quello spettacolo orribile nella fontana. Lo ha drogato, in modo che non si risvegliasse quando gli è stata tagliata la gola.» «Sì.» «Il corpo rivelava altro?» «No. Gli organi erano altrimenti del tutto sani. Potevano essere quelli di un uomo più giovane.» «La fai sembrare una cosa molto impersonale, Guy.» «Debbo essere distaccato, Matthew. Altrimenti, come potrei sopportare le cose che vedo?» «Io non riesco a rimanere indifferente. Non a questo.» «Allora sarebbe forse meglio lasciare che siano altri a indagare.» «Ho fatto una promessa a Dorothy. Sono coinvolto.» «Molto bene.» Per un attimo sul volto di Guy fece la sua comparsa quell'aria stanca e tesa che gli avevo visto quando avevo portato Roger da lui. «C'è soltanto una cosa, un gonfiore alla nuca. Io credo che chiunque il tuo amico abbia incontrato quella notte lo abbia stordito. Quando rinvenne fu costretto in qualche modo a bere lo specifico. Perse conoscenza, e l'assassino lo trasportò nel Lincoln's Inn.» «Attraverso i campi e per la porta del frutteto.» Gli dissi delle orme seguite da Barak. «Roger era un uomo minuto, ma questo bruto deve comunque essere molto forte.» «E risoluto. E malvagio.» Scossi la testa. «E anche istruito. Da ciò che hai detto, ha esperienza di pratica medica. E magari anche dell'ambiente legale, se è stato capace

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di falsificare la lettera di un avvocato abbastanza bene da ingannare Roger, come sembra abbia fatto. Ma perché? A che scopo uccidere un uomo che non aveva fatto del male a nessuno, e inscenare quello spettacolo orribile?» «Non aveva nemici?» «Nessuno.» Guardai nuovamente lo stivale di Roger, e d'un tratto per me fu troppo. Lo stomaco mi si ribellò con violenza. «La latrina, Guy...» boccheggiai. «Conosci la strada.» Corsi alla latrina sul retro della casa, il solito sgabuzzino di legno sopra un pozzo nero, meno fetido di tanti altri dato che qualcosa aromatizzava l'aria per diminuire il tanfo. Vomitai con forza. Quando rientrai in casa mi sentivo debole e le gambe mi tremavano. Dal gabinetto di visita provenivano voci basse. La porta era aperta e vidi Guy e il ragazzo, Piers, seduti l'uno accanto all'altro presso il tavolo. Avevano preso una candela e osservavano con profonda attenzione un libro aperto. Riconobbi il libro di anatomia di Vesalio, illustrato in quel modo ripugnante. Piers si scostò dalla fronte una ciocca di capelli scuri, indicando l'incisione. «Guardate», disse con fervore. «Questa illustrazione è proprio come il cuore di Elliard.» Quando mi vide, Piers s'interruppe di colpo, arrossendo. «Mastro Shardlake! Non... non sapevo che foste ancora qui. Ho portato questo libro...» «Ho visto», dissi asciutto. «Povero Roger. Mi domando che mai avrebbe detto se avesse saputo che i particolari più intimi del suo corpo sarebbero divenuti motivo di ciance per gli apprendisti. Be', lui forse ne sarebbe stato divertito, ma non posso dire di esserlo io.» Guardai disgustato l'illustrazione, un addome umano aperto, con tutti gli organi esposti. «È solo per acquisirne una migliore conoscenza, signore», bofonchiò Piers. Lo squadrai freddamente, dicendomi che Guy gli concedeva troppa libertà. «No, Piers, è colpa mia.» Una volta tanto Guy mi parve contrariato. «Presenterai queste prove all'inchiesta di domattina?» chiesi. «Sì, certamente.» «E Adam? Sai quando ti sarà possibile andarlo a visitare? Dovrei venirci anch'io. Venerdì mattina non ci sono udienze in tribunale, se ti facesse comodo.»

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Trasse di tasca un taccuino dalla copertina di pelle, esaminandolo. «Sì. Venerdì a mezzogiorno?» «Allora vi lascio», dissi, gettando uno sguardo adirato sul volume, ancora aperto sullo scrittoio, e a Piers, che rimaneva in silenzio di fianco al padrone. Guy alzò una mano. «No, Matthew, rimani, per favore.» Esitai. Guy chiuse il libro di Vesalio, porgendolo a Piers. «Prendilo, ragazzo mio, e portaci un po' di vino. Poi continua a studiarlo, se desideri.» «Sì, signore.» Guy batté affettuosamente su una spalla di Piers, mentre usciva dalla stanza. «Sono desolato, Matthew», disse. «Non intendevamo mancare di rispetto a Roger Elliard. È solo che... l'importanza di Vesalio per la pratica medica è così grande... Ma sappi che, pur indagando su come è morto il tuo amico, come mi avevi chiesto di fare, ho pregato per la sua anima.» Sorrisi. Conoscevo troppo bene Guy e la sua bontà per rimanere a lungo in collera. «Dunque Vesalio è così importante?» domandai. «Oh sì, sì. Si tratta di un cambiamento di cui c'è molto bisogno, uno studio basato sull'osservazione, non su una pura e semplice accettazione cieca di una dottrina.» «Allora non sarà granché popolare fra i medici.» «No, perché è una sfida al loro monopolio delle conoscenze arcane. E chissà dove si potrebbe andare a finire?» Guardò il grafico appeso al muro. «La stessa dottrina degli umori potrebbe venire messa in discussione e sottoposta a verifica sperimentale.» Seguii il suo sguardo sul grafico, con le sue complesse equazioni e i suoi simboli. Il concetto che il corpo umano fosse composto da quattro umori, bile nera, bile gialla, flegma e sangue, corrispondenti ai quattro elementi di terra, fuoco, acqua e aria che formavano ogni cosa esistente al mondo era così universalmente accettata che non riuscivo neppure a immaginare che la si potesse contestare, come pure la dottrina secondo la quale ogni disturbo dell'uomo era provocato da squilibri fra i quattro elementi all'interno di ogni singolo corpo. Ricordavo di avere discusso sui rispettivi umori con Roger, l'ultima sera che lo avevo visto. «Allora non sarebbe consigliabile che mangiassi insalata quando mi sento depresso», dissi. «Per inumidire la secchezza della bile nera. Sarebbe un giovamento.»

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Guy sorrise tristemente. «Raccomanderei piuttosto di assistere a una serata di musica, oppure fare una lunga passeggiata nei Lincoln's Inn Fields.» «Non nei Lincoln's Inn Fields, Guy. Sembra probabile che Roger vi abbia incontrato il suo aggressore.» Piers bussò alla porta, portando una capace brocca di vino e due bicchieri. Quando fu uscito dissi: «Ho promesso a Dorothy che avrei trovato l'assassino, ma non so come lo si possa catturare». «Hai già risolto prima casi del genere, come so meglio di chiunque altro. Ti sottovaluti, e so anche questo.» «Sarei uno sciocco a sottovalutare le difficoltà di questo caso. E, per via della Pasqua e delle sciagurate politiche del coroner, l'inchiesta inizierà quattro giorni dopo il crimine. Quattro giorni senza indagini ufficiali. Credevo che il regio coroner potesse affrettare le cose, ma non l'ha fatto. Dieci contro uno che l'assassino ormai non è più a Londra, anche se, con le possibilità che abbiamo di scoprirlo, potrebbe benissimo trovarsi ancora in città, a ridersela dei coroner, delle guardie e della loro idiozia.» Scossi la testa. «Dato che la lettera spedita a Roger era apparentemente credibile, pensavo che fosse un uomo in possesso di nozioni giuridiche; ora, però, sembra che ne abbia anche di mediche.» «Questo dovrebbe restringere il numero. Sai bene quanto me che l'ambiente legale e quello medico sono mondi chiusi, i cui praticanti cercano di tenere per sé i loro segreti.» «Forse. Tuttavia molti della nostra categoria hanno qualche nozione in entrambi i campi. La conoscenza degli specifici, però, è fuori del comune.» «E anche il modo di somministrarli. Aspetta le indagini di domani, vediamo se si scopre qualche altra cosa.» Annuii, bevendo un sorso di vino dal mio bicchiere. Notai che Guy aveva già vuotato il suo, e ne fui sorpreso, perché era un convinto assertore della moderazione in ogni cosa. «Grazie per occuparti di Adam Kite», dissi. Fece un lento cenno del capo. «Panico da salvezza. Un'ossessione strana. Com'è incline l'umanità a infatuarsi delle idee, o della religione, o di persone. E, beninteso, il fanatismo religioso è ovunque. Forse a stupire è che non ci sia più gente come Adam.» Rigirava pensieroso il bicchiere fra le mani.

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«Oggi un barcaiolo m'ha detto che quei grossi pesci trovati nel fiume sono il Leviatano, e preannunciano la seconda venuta di Cristo, la fine del mondo.» Guy scrollò il capo. «C'era un Leviatano solo.» «L'ho pensato anch'io.» «È diventato un mondo soltanto bianco e nero, Matthew, un mondo manicheo in cui i predicatori incitano a scatenare un conflitto tra il bene e il male. E ognuno, è naturale, crede di essere dalla parte giusta.» Sorrisi, chinando il capo. «Protestanti e cattolici nello stesso modo?» «Sì. Non dimenticare che i miei genitori erano moriscos, musulmani spagnoli costretti a lasciare la Spagna dall'Inquisizione. Anch'io ho assistito alla follia che si scatena quando s'impadroniscono del potere fanatici privi di dubbi.» Mi fissò gravemente. «Nota questo, però. Per quanti errori abbia commesso, la Chiesa cattolica ha sempre creduto nel libero arbitrio, cioè che gli uomini hanno la facoltà di scegliere di andare verso Dio con le loro azioni quanto con la loro fede. Questo nuovo radicalismo protestante non lo ammette, ognuno è salvo o dannato a seconda del volere divino, non del libero arbitrio. Possono pregare di essere salvi una volta per sempre, possono sentirsi salvi una volta per sempre, ma si tratta di una scelta di Dio, non dell'uomo. E così abbiamo un Adam Kite, che pensa che Iddio non lo salverà.» «E quel disgraziato del suo vicario, non riuscendo a guarirlo, crede che sia posseduto dal demonio.» «E un modo per giustificare un fallimento.» «Non ho mai tollerato la dottrina di Lutero sulla predestinazione, Guy. Nel dibattito sul libero arbitrio stavo dalla parte di Erasmo.» Lo fissai con gravità. «Stamattina ho visto un predicatore abusivo portato a St Paul vestito di sacco e con il capo cosparso di cenere. Bonner usa la mano pesante con i protestanti, ma loro non la prenderanno bene. Non si annunciano tempi fausti per chi rimane ai margini.» «Sì, hai ragione. Con la mia faccia scura e il mio passato di ex monaco, è meglio che me ne stia tranquillo e resti in casa, quando posso. E che non parli troppo in giro delle scoperte di Vesalio, e meno ancora di quello studioso polacco che ha pubblicato un'opera che sostiene che la Terra gira intorno al Sole. Ma quale tranquillità di spirito ci rimane?» aggiunse, così piano che l'udii a stento. Il suo volto s'era fatto improvvisamente colmo di sofferenza e di tristezza.

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«Ti senti bene, Guy?» gli chiesi piano. «Hai qualche problema?» «No», rispose con un sorriso. «Solo gli acciacchi e i dolori della vecchiaia. E ho bevuto abbastanza vino, dovrei andare a letto.» Si alzò. «Buona notte.» «Dirò ai genitori di Adam Kite che li vedrai. Per loro sarà un sollievo.» Ci stringemmo la mano e uscii. Ero lieto che, dopo tutto, ci fossimo lasciati in buoni termini; tuttavia non gli credevo quando diceva che andava tutto bene. *** Capitolo Ottavo. Il mattino successivo andai a prendere Dorothy per accompagnarla all'inchiesta. Da quando Roger era morto non era più uscita di casa, e non ero sicuro che avrebbe retto. Attraversando Gatehouse Court vidi che, come a Westminster, la valvola sotterranea della fontana era stata riaperta e l'acqua era tornata a scorrere, scrosciando allegramente nell'ampia vasca. Il tempo era di nuovo mite, gli uccelli cinguettavano e cantavano sugli alberi. La natura era rinata, ma non riuscivo a rallegrarmene. Dorothy sedeva in poltrona vicino al fuoco, con accanto la fedele Margaret. Erano entrambe vestite completamente di nero e portavano copricapi da cui pendevano lunghi veli neri, fra i quali il pallido ovale del volto di Dorothy spiccava vivido; rammentai l'altra vedova in lutto che avevo veduto di recente, Catherine Parr. Dorothy mi rivolse un sorriso eroico. «È ora? Sì, lo vedo dalla tua espressione.» Sospirò, osservando il fregio sopra il caminetto. Seguii il suo sguardo: una donnola sbirciava verso di me in mezzo all'intrico dei tralci di legno. «Sembra proprio vero», commentai. «Sì, piaceva tanto a Roger. Non era soddisfatto della riparazione di quell'angolo dopo che era stato rovinato.» «Sei sicura di poterlo sopportare?» le chiesi, guardando il suo viso esangue e le guance incavate. «Sì», rispose, con un pizzico dell'antica risolutezza. «Voglio vedere catturato l'assassino di Roger.» «Farò io l'identificazione del corpo, se desideri.» «Ti ringrazio: quello... sarebbe troppo.» «Prenderemo una barca fino alla Guildhall.»

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«Bene.» Esitò, poi d'un tratto chiese: «Che cosa si dice in giro?» «Solo che qui è avvenuto un feroce delitto.» «Se sento qualcuno parlare male di Roger, gli salto agli occhi.» «È così che si fa, padrona», disse Margaret in tono d'approvazione, aiutando Dorothy ad alzarsi. L'ampio atrio a colonne della London Guildhall era affollato come sempre. A differenza del solito, però, due guardie nella livrea cittadina montavano di sentinella al portone. All'interno, funzionari del consiglio comunale si affrettavano avanti e indietro. Alcuni osservavano incuriositi il nutrito gruppo di avvocati in toga nera raccolti in un angolo. Riconobbi la faccia arcigna del tesoriere Rowland; gli altri erano legali del Lincoln's Inn, la giuria. Mi stupì che, salvo il tesoriere Rowland, fossero tutti molto giovani. Certuni apparivano palesemente a disagio, al pari dei due studenti che avevano trovato il corpo, e si tenevano ai margini del gruppo. Guy, un po' in disparte, parlava con Barak. Dorothy guardò la calca, esitò, poi si diresse verso una panca presso il muro, sulla quale si accomodò, accennando a Margaret di raggiungerla. «Noi aspettiamo qui», mi disse. «Non me la sento di vedere nessuno. Entrerò in aula quando ci chiameranno.» «Molto bene.» Raggiunsi Barak e Guy. «Buon giorno, Matthew», disse Guy. Guardò in direzione di Dorothy. «È quella la povera vedova? È pallidissima.» «Venire qui oggi le è costato molto. Ma è in gamba.» «Sì, sotto il dolore si avverte la sua forza.» Accennò a Barak. «Jack ha notato qualcosa di strano.» «Che cosa?» Barak aveva gli occhi arrossati, un po' infiammati. Aveva passato un'altra notte in giro per taverne? Si fece più vicino; aveva l'alito cattivo. «Con una morte spettacolare come questa», disse, «la galleria del pubblico dovrebbe essere strapiena. Quelle guardie, però, fanno andare via la gente.» «Davvero?» Sarebbe stato un bene per Dorothy, ma era strano: il tribunale del coroner, come tutte le aule giudiziarie, era aperto al pubblico. «Fratello Shardlake, permettete una parola.» Mi comparve accanto il tesoriere Rowland. Lo seguii l'ontano dal gruppo.

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«Il mio assistente mi ha detto che non sono permessi spettatori», dissi. «L'usciere dice che i coroner hanno deciso di tenere l'udienza a porte chiuse, per prevenire sciocche dicerie. Mai sentita una cosa del genere.» Fummo interrotti dall'usciere in abiti neri che ci convocava dalla soglia dell'aula. Tornai da Dorothy, che si levò in piedi; aveva le labbra serrate e una chiazza rossa su entrambe le guance. «Tienimi la mano, Margaret», disse a bassa voce. I giurati le fecero ala per consentirle l'ingresso in aula. Ci era stata assegnata una delle sale riunione. File di panche fronteggiavano il tavolo al quale erano già assisi i due coroner. L'usciere mi guidò, insieme con gli altri testimoni, sino alla prima fila, mentre i giurati prendevano posto nelle due file di panche alle nostre spalle. I posti riservati al pubblico erano vuoti. Studiai i due coroner seduti al tavolo di fronte a noi. Browne era stravaccato con una mano grassa ripiegata sull'ampio ventre; accanto a lui sedeva un uomo molto diverso: sulla quarantina, basso ma robusto, con la faccia quadrata. Folti capelli castani gli si arricciavano sotto il cappello nero e aveva una corta barba ben curata, che accennava appena a diventare brizzolata. Incontrò il mio sguardo: i suoi vivaci occhi azzurri erano taglienti e penetranti. «Quello è Sir Gregory Harsnet», bisbigliò Barak. «Coroner aggiunto del re. Una volta stava dalla parte di Lord Cromwell, è uno dei pochi riformisti ad avere mantenuto il proprio posto.» Browne emise un piccolo rutto; Harsnet lo squadrò accigliato, e quello trasformò un altro rutto in un colpo di tosse, sedendosi più eretto. Non c'erano dubbi su chi fosse a comandare. Le porte furono chiuse. «Veniamo al dunque, prego.» Harsnet parlava a voce chiara e calma, con un accento dell'ovest, mentre i suoi occhi erravano qua e là per la sala. «Oggi siamo qui riuniti per giudicare sull'improvvisa e raccapricciante morte di Roger Elliard, avvocato del Lincoln's Inn. Dal momento che i giurati sono tutti uomini di legge, non occorre specificare che oggi vedremo il corpo, ascolteremo le testimonianze e decideremo se sarà possibile pronunciare un verdetto.» La giuria prestò giuramento, e i giovani avvocati si alzarono per prendere la Bibbia dalle mani dell'usciere. Quindi Harsnet si rivolse nuovamente a noi. «Prima di vedere il corpo chiamerei il dottor Guy Malton, che è stato incaricato di esaminarlo, perché ci dica che cosa ha scoperto.»

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Guy si alzò ed enumerò le sue impressionanti qualifiche professionali; i giurati guardavano incuriositi la sua pelle bruna. Disse di ritenere che Roger fosse stato reso incosciente per mezzo di un narcotico, quindi trasportato sino alla fontana nella quale gli era stata tagliata la gola. «Quando vi fu gettato era vivo », disse. «Morì in seguito a una forte perdita di sangue, non per annegamento. Ciò significa...» esitò un attimo, «ciò significa che gli fu tagliata la gola, poi venne tenuto sopra la fontana sinché morì, quindi gettato nell'acqua.» Per un momento nell'aula regnò il silenzio, mentre si percepiva appieno tutto l'orrore della scena descritta da Guy. Poi Harsnet domandò: «Da quanto tempo era morto, quando fu trovato?» «Da qualche ora. Il rigor mortis potrebbe essere stato ritardato dal freddo.» Mi guardò. «E credo che ci sia stato il tempo perché sulla fontana si riformasse una pellicola di ghiaccio.» «Esatto», dissi io. Guardai oltre Barak, in direzione di Dorothy, seduta con Margaret sull'altro lato. Era immobile, il volto privo di espressione. Sembrava in un certo senso più piccola, come se si fosse ristretta in quei pesanti abiti neri. Harsnet guardò corrucciato Guy. «Quale oggetto potrebbe essere stato usato per produrre uno spettacolo così tremendo? Un uomo morto in una fontana di sangue.» Guy allargò le braccia. «Non sono in grado di dirlo.» Ancora una volta, pensai, quella frase non m'era nuova: una fontana di sangue. Ma dove l'avevo già sentita? «Una cosa atroce.» Harsnet scosse il capo con aria turbata. Quindi si alzò lentamente. «Signori giurati», disse calmo, «ora mi accompagnerete a vedere il corpo. Per cortesia, dottor Malton, venga anche lei, nel caso ci siano domande. Leggo qui che il corpo sarà identificato da un certo fratello Shardlake.» Mi squadrò. «Siete voi?» «Sì, mastro coroner.» Mi lanciò un lungo sguardo indagatore. «Da quanto tempo conoscevate il defunto?» «Vent'anni. Intendevo risparmiare quest'esperienza alla vedova.» Harsnet guardò Dorothy. «Molto bene», disse rapido, e si alzò per condurci fuori dall'aula. I giurati non ebbero molto da dire quando il lenzuolo venne sollevato dal corpo di Roger. L'incenso che qualcuno aveva acceso nella stanza

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non riusciva a coprire il penetrante odore di decomposizione. Chiusi gli occhi alla vista del povero volto di Roger, e, sebbene non pregassi di frequente, in quel momento implorai che il colpevole venisse preso, che potessi trovare la forza di fare la mia parte e che almeno questa volta Iddio ascoltasse la mia supplica. Aprii gli occhi e vidi che uno o due dei giurati erano verdastri in faccia. Guy ci mostrò le terribili ferite, spiegando nuovamente le modalità della morte. Nessuno fece domande, e rientrammo in gruppo nell'aula. Harsnet ci scrutò con gravità. «Ciò che dobbiamo stabilire oggi è in che modo morì Roger Elliard. Chiaramente un omicidio, ma a opera di chi? Vorrei chiamare Jack Barak.» Pose a Barak una serie di domande sulle orme che aveva seguito. «Le orme conducevano alla fontana, poi tornavano nella direzione opposta», disse Barak. «All'andata trasportava qualcosa, al ritorno no. La neve si scioglieva in fretta, ma le impronte erano chiarissime.» Harsnet lo osservò. «Di sicuro nessun uomo comune avrebbe potuto trasportare un corpo inerte per un tragitto come quello da voi suggerito, e oltre un muro.» «Un uomo molto forte e risoluto ci sarebbe riuscito.» «Voi non lavoravate per Lord Cromwell, mi pare?» Mi meravigliai: come faceva Harsnet a saperlo? «Sì. Prima di diventare scrivano in uno studio legale.» «Con quali mansioni?» «Questo e quello», rispose serenamente Barak. «Secondo gli ordini del mio padrone.» «Sedete», disse freddamente Harsnet, che chiaramente non gradiva i modi di Barak. Accanto a lui, il coroner Browne fece un sorrisetto. Non prendeva parte al dibattito: era evidente che la sua presenza non era che una pura formalità. Furono chiamati altri testimoni: i due giovani, poi me, per attestare il momento e le circostanze della scoperta del corpo, quindi il tesoriere Rowland. A una domanda sullo stato d'animo di Roger, rispose con chiarezza e precisione che era un uomo felice e sereno, rispettato nella sua professione, con molti amici e nessun nemico di cui si fosse a conoscenza. «Un nemico l'aveva», disse Harsnet. «Un nemico malvagio e intelligente. Questo delitto fu premeditato con pazienza e

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astuzia.» Lo guardai: non era uno sciocco. «Qualcuno odiava Roger Elliard», proseguì. Quindi tornò a rivolgersi a Rowland. «E l'avvocato che scrisse a mastro Elliard?» «Inesistente, signore. Nessuno sa nulla di un legale dall'inconsueto nome di Nantwich. Ho fatto ricerche presso tutti i collegi di avvocati, cosa che nessun altro sembra avere fatto», aggiunse di proposito. Harsnet sembrava perplesso, ma quel collerico vecchio era duro come il ferro e il suo sguardo non mostrò segni di debolezza. «Posso ricordare qualcosa alla corte?» chiese con compostezza Guy, alzandosi in piedi. «Sì», rispose asciutto Harsnet. Ero stupito: potevo capire che testimoni che parlavano con franchezza infastidissero il coroner, ma l'affermazione di Rowland non era fuori luogo, e difficilmente lo sarebbe stata quella di Guy. «Signore, anche il medico più abile potrebbe trovare difficoltà a dosare quella droga. Quell'uomo aveva come minimo un certo grado di esperienza professionale.» «Potrebbe averla», disse Harsnet. «Sfortunatamente, però, questo non ci permette di compiere alcun passo avanti. In un caso di brutale vendetta come questo, mi aspetterei che ci fosse un colpevole manifesto, eppure sembra non essercene nessuno. Con i ritardi causati dalla Pasqua, mi pare difficile immaginare in che modo l'assassino possa essere catturato.» Lo fissai sbalordito. Non era compito di un coroner scoraggiare un'inchiesta del genere. Intuii che le sue stesse parole lo mettevano a disagio. Browne sogghignò sotto i baffi, come se avesse previsto quella conclusione. «Dobbiamo essere realistici», proseguì Harsnet. «Mi aspetto un verdetto di omicidio commesso da persona o persone ignote, e temo che tali possano rimanere.» Ero esterrefatto: questo significava influenzare clamorosamente la giuria. Nessuno dei giovani prescelti osò aprire bocca. Udii allora un fruscio di gonne. Dorothy s'era levata in piedi di fronte al regio coroner. «Non mi è stato richiesto di parlare, signore, ma se qui v'è qualcuno che ne ha il diritto, sono io. Vedrò catturato l'assassino di mio marito, anche se potesse costarmi tutto. Con l'aiuto di amici fedeli, lo farò.» Tremava da capo a piedi, ma la sua voce, sebbene calma,

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tagliava l'aria come una lama. Dopo le ultime parole si volse verso di me. Le feci un cenno energico, e lei tornò a sedersi. M'aspettavo qualche reazione violenta da parte di Harsnet, ma si limitò a rimanere immobile, con le labbra strette in una linea sottile. Il suo volto s'era fatto di porpora. Browne ghignava per lo smacco che aveva subito il collega, e io avrei avuto voglia di alzarmi e togliergli quel ghigno dalla faccia da ranocchio a suon di schiaffoni. Infine Harsnet parlò. «Avrò comprensione per lo stato d'animo della signora Elliard, e non la biasimerò. Mi pare tuttavia che occorrano maggiori prove prima che la giuria possa emettere il verdetto. Non chiederò dunque che venga pronunciato subito; il caso rimarrà aperto mentre intraprenderò io stesso indagini...» Mi alzai. «Suppongo con l'assistenza della giuria, signore, come di prammatica?» «Un coroner può indagare senza giuria, se lo ritiene opportuno; così farò io. I giurati, al pari del deceduto, sono tutti avvocati. Se agirò da solo si creeranno meno confusione e maggior chiarezza. Ora sedete, signore.» Obbedii, ma lo squadrai truce. «E adesso ognuno prenda attentamente nota di una cosa.» Harsnet si guardò attorno nell'aula. Parlava lentamente, con un forte accento. «Non voglio che i particolari di questo caso vengano diffusi in giro per Londra. Oggi è giunto un ordine del re che proibisce la pubblicazione di qualunque opuscolo argomento. Tutti i presenti hanno l'ordine di mantenere il segreto e di scoraggiare chiunque proverà a curiosare. Attualmente girano per Londra troppe chiacchiere. Questo è il mio ordine, e chiunque non obbedirà sarà punito.» Quindi si alzò, mentre Browne si tirava in piedi accanto a lui. «L'inchiesta è aggiornata sine die. Verrà ripresa quando sarò in possesso di maggiori prove. Buon giorno, signori.» L'usciere aprì la porta e il coroner se ne andò. Immediatamente si levò un brusio. «Questa è opera del demonio. Uno spettacolo orribile, e proprio di domenica. Quell'assassino era un indemoniato...» Guardai quel giovane imbecille di giurato che aveva parlato. A vanvera, naturalmente. «La sua forza soprannaturale. E ciò che si nota sempre nei casi di possessione diabolica...»

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Margaret si volse verso di me. «Dovremmo portare fuori la mia padrona.» In effetti Dorothy sembrava sul punto di svenire. Mi alzai, aiutando Margaret a condurla fuori dalla sala. Il suo braccio era leggero come l'ala di un uccellino. Mi domandai se mangiasse. La sorreggemmo fino a una panca, sulla quale sedette. Barak e Guy ci seguirono. Spuntò il tesoriere Rowland, con l'aria adirata. Speravo che venisse a offrire qualche parola di conforto a Dorothy, ma si limitò a un cenno del capo e se ne andò svelto, facendo echeggiare le scarpe sulle piastrelle: la sua preoccupazione erano il prestigio e il potere dell'Inn, non una vedova affranta. Tornato a volgermi verso di lei, mi dissi che fra non molto l'Inn l'avrebbe indotta a lasciare la sua abitazione. Dorothy aveva chiuso gli occhi, ma li riaprì, raddrizzandosi. Ci fissò tutti, l'uno dopo l'altro: me, Margaret, Barak e Guy. «Grazie per il vostro aiuto, grazie a voi tutti, e per avere rifiutato di lasciarvi sviare dalla verità.» Si rivolse a me. «Non faranno nessuna indagine, vero? Pensano che l'assassino sia fuggito, e che sia tutto solo un gran fastidio.» «C'è qualcosa in aria. Harsnet voleva tenere la faccenda tutta per sé.» «Chi è quell'uomo»? «Non so nulla di lui.» «Vogliono insabbiare tutto, non è vero?», chiese con amarezza. «Be'...» «Andiamo, Matthew, non sono stata sposata per vent'anni con Roger senza imparare qualcosa di legge. Quelli vogliono insabbiare e dimenticare.» «Si direbbe proprio di sì.» Scossi il capo. «Se perdiamo ancora del tempo, l'assassino potrebbe non essere trovato.» «Ti prego, mi aiuterai, Matthew? Sono una donna, non mi daranno retta.» «Ti do la mia parola. Incomincerò parlando con il coroner Harsnet. Guy, vuoi attendere qui con Dorothy?» Sentivo che si reggeva a stento. Guy annuì. «Venite con me, Barak.» «Vi siete assunto un bell'impegno con lei», disse Barak mentre mi seguiva verso i gradini della Guildhall. «A me sembra che trovare l'assassino sia tutto ciò cui resta aggrappata. Non so che cosa potrebbe accadere, se facessimo fiasco.» «Non faremo fiasco», ribattei con fermezza.

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Fuori, nel cortile selciato, scorsi la sagoma in toga nera di Harsnet. Parlava a un uomo alto e robusto, sulla trentina, con una lunga barba color rame, riccamente vestito con un giustacuore verde ricamato in oro su una camicia dai fitti pizzi spagnoli, e un cappello rosso dalla piuma bianca spavaldamente sulle ventitré. Il fodero della spada che portava alla cintura era di cuoio, decorato in oro. Indossava un pesante mantello. Di norma avrei esitato a interpellare in pubblico un funzionario del re, specie quando era impegnato con un uomo palesemente di alto rango, ma ardevo di collera come poche altre volte in vita mia. Quando ci avvicinammo, i due uomini si girarono verso di noi. Il barbuto, il cui viso lungo era gradevole, pur possedendo un qualcosa di duro, rivolse un sorriso ad Harsnet. «Aveva ragione lui», disse. «Eccolo.» Li guardai prima l'uno, poi l'altro, notando che il più giovane era abbronzato. «Che intendete dire, signore?» domandai. «Non capisco.» Harsnet respirò profondamente. Visto da vicino appariva teso, affaticato. «Mi era stato detto che potevate non approvare il verdetto, fratello Shardlake.» «Detto? E da chi?» Il giovane accennò a Barak. «Allontanate il vostro servitore e ve lo diremo.» Barak gli lanciò un'occhiataccia, ma io annuii. «Jack, dite a Dorothy che potrei averne per un po', e che farebbe meglio ad andare a casa. Passerò da lei più tardi. Rientrate con loro.» Non senza riluttanza, Barak si diresse di nuovo verso la Guildhall. Mi rivolsi ancora ad Harsnet, che mi squadrava con attenzione, come pure il suo amico; incominciavo a sentirmi a disagio. «Giurerei che siete venuto a chiedere perché ho aggiornato la seduta», disse calmo Harsnet. «Sì.» Trassi un profondo sospiro. «Si direbbe che non vogliate che si scopra il colpevole.» L'uomo alto scoppiò in una risata secca. «Oh, su questo v'ingannate, avvocato.» Parlava con voce profonda e musicale. «Non c'è nulla al mondo che vogliamo di più.» «Allora perché... ?» «Perché quest'affare ha risvolti politici», disse Harsnet. Si guardò attorno per accertarsi che non vi fosse nessuno a portata d'orecchio.

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«Avete chiesto chi mi ha detto che avreste contestato il verdetto. E stato l'arcivescovo Cranmer.» «Che cosa?» Mi fissò con quei suoi duri occhi azzurri. «Davvero cercherete di scoprire chi ha ucciso mastro Elliard, più di qualunque altra cosa?» Al nome di Cranmer un brivido m'era corso lungo la schiena. Qualcosa, nella morte di Roger, aveva dunque a che fare con la politica, nella quale avevo giurato di non rimanere mai più coinvolto. Poi, però, rammentai il corpo straziato del mio amico, la disperazione sul volto di Dorothy. «Sì», risposi. L'uomo dai ricchi abiti scoppiò a ridere. «Be', Gregory, dopo tutto il coraggio non gli manca.» «Chi siete, signore?» gli chiesi arditamente. Alla mia insolenza si fece serio. «Questo è Sir Thomas Seymour», disse Harsnet. «Fratello della defunta regina Jane.» «Perciò badate a come parlate, zoticone», brontolò Seymour. Per un attimo rimasi senza parola. «Se aveste messo in discussione il verdetto», continuò quasi come scusandosi Harsnet, «le mie istruzioni erano di condurvi dall'arcivescovo Cranmer.» «Di che si tratta?» «Molto di più che la morte di mastro Elliard.» Mi fissò negli occhi. «Si tratta di qualcosa di veramente oscuro e terribile. Ma venite, c'è una barca che ci aspetta per andare a Lambeth Palace.» *** Capitolo nove. Una delle imbarcazioni private dell'arcivescovo Cranmer ci attendeva a Three Cranes Stairs, con ai banchi quattro rematori che indossavano la livrea bianca dell'arcivescovo. Harsnet ordinò agli uomini di vogare rapidi alla volta di Lambeth Palace. Dopo il disgelo il fiume era affollato di vele bianche, mentre le barche a remi portavano avanti e indietro i loro clienti; pesanti natanti risalivano la corrente, suonando il corno per far scostare i legni più piccoli, il tutto sotto un cielo azzurro chiaro, solcato dalla brezza fluviale lieve e fresca. Io però pensavo alle profondità sotto di noi che avevano vomitato quei pesci giganteschi.

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Alle nostre spalle vedevo il Ponte di Londra carico di case e di botteghe, e oltre ancora la gran mole incombente della Torre. In cima all'arcata all'estremità meridionale del Ponte si levavano verso il cielo lunghi pali, sui quali, per fortuna indistinte, erano conficcate le teste di coloro che avevano sfidato o causato la collera del re. C'erano ancora quella del mio vecchio padrone, Thomas Cromwell, e quelle di Dereham e Culpeper, presunti amanti della decapitata regina Catherine Howard. Ricordavo Thomas Culpeper a York, in tutta la sua bellezza e la sua boria, e rabbrividii al pensiero che mi stavo nuovamente dirigendo verso il mondo della corte reale. «Già, fa ancora freddo», disse Seymour, equivocando la ragione del mio tremito. S'era avvolto nel pesante mantello. Lo studiai di nascosto. Sapevo che era il fratello minore della terza regina di Enrico, Jane Seymour, morta dando alla luce l'erede al trono, il principe Edoardo. Si diceva che fosse l'unica delle cinque mogli per la quale Enrico avesse provato dolore. Il fratello maggiore di Seymour, Edward, Lord Hertford, occupava un'alta carica a corte, ed era stato nominato Lord Ammiraglio della marina. Barak mi aveva detto che Sir Thomas era un avventuriero: non gli avrebbero mai affidato un posto nel Consiglio Privato, ma gli erano stati conferiti diversi lucrosi monopoli e di recente era stato ambasciatore in Austria, dove l'imperatore combatteva contro i turchi. Hertford, insieme con Cranmer, era uno dei pochi autentici riformatori sopravvissuti nel Consiglio Privato dopo la caduta di Cromwell, avvenuta tre anni prima. Edward era noto come politico serio e capace, ed era anche un generale vittorioso, che aveva condotto la campagna contro la Scozia dell'autunno precedente; si diceva invece che Thomas fosse un donnaiolo irresponsabile. Ci credevo, guardandone il bel viso: il modo di avvolgersi nel mantello, accarezzandone dolcemente l'ampio collo di pelliccia mentre i suoi occhi vagavano qua e là sul fiume, le labbra carnose atteggiate a un mezzo sorriso sotto la folta barba scura tagliata alla moda, tutto in lui parlava di sensualità. Harsnet, con i suoi tratti rudi, gli occhi seri e l'aria preoccupata, faceva un contrasto stridente. Mentre la barca ballonzolava sulle acque increspate al centro del fiume mi domandai, non senza timore, che cosa mai avesse a che fare Thomas Seymour con il povero Roger. Raggiungemmo in silenzio l'altra sponda, avvicinandoci rapidi a Lambeth Palace. Sfilammo davanti alla nicchia vuota nella quale una

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volta c'era la statua di Thomas Becket, alla quale tutti i barcaioli di Londra s'inchinavano: ora l'effigie di un arcivescovo che aveva sfidato un re era stata rimossa e distrutta. Passammo oltre la Lollards' Tower, dove venivano rinchiusi gli eretici. Ricordai il brutale carceriere di Cranmer, da me incontrato a York, e rabbrividii di nuovo. Cranmer, sapendo che ( Tomwell aveva fiducia in me, mi aveva costretto ad accettare una missione pericolosa; dopo, tuttavia, aveva avuto un rimorso di coscienza e mi aveva procurato la carica alle Suppliche. Adesso sembrava che avrei di nuovo incontrato quell'uomo ardente e tormentato, al quale Iddio non concedeva tregua. Dalla visita precedente rammentavo ancora la disadorna porta di quercia dello studio di Cranmer. Harsnet bussò ed entrò, e io seguii all'interno lui e Seymour. L'arcivescovo di Canterbury sedeva a un ampio scrittoio. Indossava una veste bianca con una stola nera, senza nulla sul capo, su cui i capelli scuri ormai ingrigivano. Appariva teso e preoccupato, e i due solchi paralleli nelle guance s'erano approfonditi, piegandogli all'ingiù gli angoli della bocca carnosa. Era ben lungi dall'essere un riformatore estremista, ma a corte era sempre insidiato dai conservatori, molti dei quali l'avrebbero condannato al rogo, se solo avessero potuto. L'affetto che da molto tempo il re nutriva per lui era tutto ciò che lo manteneva al sicuro. I suoi grandi occhi azzurri erano come li ricordavo, colmi di ardore e di tormento. Accanto a lui v'era un altro uomo, che indossava un abito scuro, sobrio ma costoso. Il naso a becco, il viso allungato e la corporatura aitante erano talmente simili a quelli di Thomas Seymour che poteva essere soltanto suo fratello. Tuttavia, laddove Thomas era bello, i medesimi tratti, sebbene di poco diversi, rendevano brutto Edward. Aveva occhi grossi e sporgenti, il viso troppo scarno e affilato, la lunga barba in disordine. Eppure nell'austero Hertford avvertivo una forza di carattere e una determinazione che mancavano al fratello. Ricordai che era stato lui, insieme con Cranmer, a mandare a Bedlam Adam Kite, quando Richard Rich voleva riservargli un destino peggiore. Sir Thomas si tolse il cappello con un gesto plateale e strinse la mano del fratello. «Lieto di vederti, Edward.» Si rivolse a Cranmer con un inchino. «Mio signore. Come vedete, l'abbiamo portato.»

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«Sì, Thomas.» La voce di Cranmer era fiacca, e c'era antipatia nello sguardo che gettò sul più giovane dei Seymour. Si volse quindi verso di me, dedicandomi uno dei suoi caratteristici sorrisi tristi. «Bene, Matthew Shardlake, c'incontriamo di nuovo per un affare strano. Avvocato superiore Shardlake», aggiunse, rammentandomi che avevo ottenuto quella carica grazie al suo appoggio. Si rivolse ad Harsnet. «E come temevamo?» Harsnet annuì. «Sì, mio signore. Esattamente come l'altro.» Cranmer scambiò un'occhiata con Edward Seymour, poi per un attimo fissò le fiamme danzare sulla legna che ardeva nel caminetto. Quelli, mi resi conto, erano uomini preoccupati. Mi domandai chi di loro comandava, oppure se lavoravano insieme. Cranmer si volse nella mia direzione, inducendosi a sorridere. «E allora, Matthew, come va la Corte delle Suppliche?» «Ottimamente, mio signore. Vi ringrazio ancora una volta per avermi aiutato a ottenere quel posto.» «Eravamo in debito con voi.» Tornò a fissarmi. Sentivo che mi guardavano tutti: Cranmer, Harsnet ed Edward Seymour seri, Sir Thomas con un sorriso cinico. Strisciai i piedi per terra, a disagio. Fu Sir Thomas a rompere il silenzio. «Be', ci possiamo fidare del gobbo?» «Non chiamatelo così!» Cranmer parve sinceramente in collera. «Mi spiace, Matthew.» Si rivolse a Sir Thomas. «Sì, ritengo che ci si possa fidare.» «Si è precipitato su di noi come un cane arrabbiato, quando il coroner ha aggiornato la seduta.» Cranmer mi fissò intensamente. «Matthew», disse calmo, «voi avete trovato il cadavere, e credo che foste grande amico dell'avvocato Elliard e di sua moglie. Fino a che punto siete coinvolto in questa vicenda?» «Ho promesso alla signora Elliard di trovare l'assassino di suo marito», risposi. «Lo fareste per voi, oppure per lei?» La domanda era di Hertford. Mi voltai a sostenere il suo sguardo. «Per entrambi, mio signore. Ma la promessa fatta alla signora Elliard è un debito d'onore.» «E vi impegnereste ancora a onorare quel debito, anche se si rivelasse un affare politico?» chiese Cranmer. «Riflettete attentamente prima di rispondere, Matthew, perché una volta mi diceste di non volervi più far

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coinvolgere in simili faccende. I ppure lo dovrete essere, se ci aiuterete a venire a capo di questa storia.» Esitai. Thomas Seymour abbaiò una risata. «Non ne ha il fegato! E avete detto che vi ha deluso già una volta, non ritrovò più quelle carte.» Chinai il capo, non volendo che notasse la mia espressione. Quella volta, in realtà, non avevo sbagliato: avevo solo deciso di mantenere segreto ciò che avevo scoperto. Il cuore mi batteva più rapido, ricordando che cosa potevano farmi quegli uomini. «Avete una mente acuta e molta esperienza», disse Cranmer. «E discrezione.» Respirai a fondo. Per un attimo mi parve di vedermi di fronte il viso di Roger: sorridente, vivace, pieno di vita. Mi volsi verso l'arcivescovo. «Se posso aiutarvi in questo caso, mio signore, sono al vostro servizio.» Ebbi la sensazione che un ponte crollasse in fiamme alle mie spalle. Cranmer guardò gli altri tre. Harsnet ed Edward Seymour annuirono, mentre Thomas Seymour alzava le spalle. L'arcivescovo lo fissò corrucciato. «Voi siete qui, Thomas, soltanto perché la vostra casata potrebbe essere utile, e per via del vostro particolare legame con... lei.» Seymour si fece paonazzo, e per un istante parve ai limiti di uno scoppio di collera. Guardò il fratello. «L'arcivescovo ha ragione, Thomas», disse gravemente Lord Hertford. Sir Thomas serrò le labbra, ma annuì. Cranmer tornò a dedicarmi la sua attenzione. «Vi stupirà, Matthew, che l'assassinio del vostro amico abbia implicazioni politiche.» «Sì, mio signore.» Trasse un profondo respiro, serbando i suoi segreti per un attimo ancora; infine disse: «Il vostro amico non è stato il primo a essere ucciso in quel modo terribile». Rimasi a bocca aperta. «Un altro? Nello stesso modo?» «In ogni atroce particolare. La cosa fu tenuta segreta a causa dell'identità della vittima.» L'arcivescovo fece un cenno ad Harsnet. «Glielo dica, Gregory.» Harsnet mi fissò. «Un giorno, un mese fa, alla fine di febbraio, un bracciante stava andando a lavorare lungo il fiume, verso i banchi di fango sulla sponda di Lambeth.» Fece una pausa. «Allora sulle rive c'era ancora la neve, e sul fiume c'era una crosta di ghiaccio spessa una iarda; tuttavia la marea si abbassava e si alzava ancora nei bassifondi

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della riva meridionale. Quel mattino il bracciante vide che una di quelle pozze era rossa, e qualcosa vi galleggiava sopra.» Spalancai gli occhi. Harsnet annuì con gravità. «Sì. Vi trovò un uomo che giaceva con la gola tagliata. Esattamente come Elliard nella fontana, e ancora una volta in un luogo pubblico, dove sarebbe stato sicuramente trovato.» «Dio mio.» «Il bracciante andò da un gendarme, che chiamò il coroner.» Ora lo sguardo di Harsnet fisso su di me era acuto e scrutatore. «Il mio collega, il coroner del Surrey, è un buon riformatore e si tiene informato sulle novità della corte. Quando si accorse di chi si trattava, venne da me, conoscendo i miei rapporti con l'arcivescovo.» «Ci fu un'indagine?» domandai. Fu Lord Hertford a rispondere. «No. Era di vitale importanza mantenere il segreto.» Mi fissò con quei suoi occhi sporgenti. «E lo è ancora.» Harsnet riprese la parola. «L'uomo era un medico, il dottor Paul Gurney. Una personalità di spicco.» Fece una pausa. «Nonché medico di Lord Latimer, defunto marito di Lady Catherine Parr. Il dottor Gurney aveva curato Lord Latimer fin da quando s'era ammalato, lo scorso autunno, e lo visitava costantemente in casa sua, a Charterhouse.» Ecco dunque il nesso. «Si dice che il re corteggi Lady Latimer», arrischiai. «Si dice il vero», convenne Cranmer. «Non possiamo dirgli tutto», sbottò Thomas Seymour. «Se la cosa trapela quella brava signora potrebbe essere in grave pericolo.» «Matthew non tradirà la nostra fiducia», disse Cranmer. «Se mi dà la sua parola di serbare il segreto su tutto ciò che gli diremo, non verrà meno al giuramento. E credo che avrà anche una certa simpatia per la nostra posizione. Voi giurerete, Matthew, di non dire nulla di quest'affare, eccetto a noi. Ricordate: se l'assassino verrà trovato non potrete rivelarne le circostanze alla vedova del vostro amico.» Esitai, poi domandai: «Posso dirle che l'assassino è stato catturato e punito?» «Sì, e lo sarà», disse cupamente Edward Seymour. Avvertii la forza di quell'uomo tetro, e anche la sua spietatezza. «Allora lo giuro, mio signore.»

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Cranmer si appoggiò allo schienale della poltrona, soddisfatto. «Bene, proseguite, Gregory. Ditegli ogni cosa. Tutto.» «Ho svolto indagini riservate», disse Harsnet, «senza però trovare tracce. Come nel caso di mastro Elliard, il dottor Gurney era un uomo che nella sua professione godeva di rispetto, con molti amici e nessun nemico. Era vedovo, senza figli, e facemmo dire ai suoi amici che era morto improvvisamente nel sonno. Un'attenta indagine non ha fornito ipotesi su chi l'avesse ucciso, né perché. Niente. Secondo accertamenti discreti, la sera prima aveva lasciato a tarda ora la casa di Lord Latimer. Vi si era trattenuto perché Latimer era prossimo a morire: aveva un grosso gonfiore alla schiena. Gurney disse al maggiordomo di avere un urgente 'impegno di carità' da qualche parte in città.» «Gli fu recapitato un biglietto? Come a Roger?» «No, che si sappia, anche se può esserci stato. Anche il dottor Gurney aiutava i poveri che avevano bisogno della sua assistenza. E forse per questo è morto.» «Il corpo fu esaminato?» «No. Forse avrei dovuto farlo esaminare.» Harsnet corrugò la fronte. «Oggi quel moro ci ha fornito una traccia importante, a proposito del narcotico. Ciò significa che dovremmo cercare una persona con legami nell'ambiente medico.» «E anche legale. Un uomo dotato di ampie conoscenze.» Riprese la parola Cranmer. «Mi sono consultato con Lord Hertford e abbiamo deciso che è di vitale importanza che la cosa sia nota al minor numero possibile di persone. Catherine Parr era sposata con Lord Latimer da dieci anni. Entrambi erano ben conosciuti a corte, e da tempo il re aveva messo gli occhi su di lei. Quando, a gennaio, si venne a sapere che Lord Latimer sarebbe morto presto, il re lasciò che il suo interesse divenisse notorio. Ora le ha chiesto di sposarlo.» «Un altro marito più anziano.» Thomas Seymour parlava con voce amara. Rammentai qualcosa che aveva detto Barak. Poteva essere Seymour? Lui e lei parevano essere della medesima età. «Latimer aveva passato i quaranta.» Cranmer giunse le mani. «Questo potrebbe essere un matrimonio ragionevole e sicuro, e Jesù sa se ce ne sono stati pochi.» Esitò prima di chiarire il suo commento, poi proseguì, guardando direttamente me. «Lady Catherine nutriva anche interesse per la riforma religiosa. Lo teneva per sé, essendo Lord Latimer un conservatore. E Dio sa se

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adesso non abbiamo bisogno di un'alleata. Fra i consiglieri del re il vescovo di Winchester, Gardiner, è tornato a lavorare con il vescovo di Londra, Bonner, per schiacciare i riformatori.» Mi fissò. «Neppure io potrei essere al sicuro.» Hertford fece un rapido cenno del capo a Cranmer, ma l'arcivescovo sollevò la mano adorna di anelli. «No, Edward, se bisogna metterlo al corrente dovremo metterlo al corrente di tutto. E abbastanza presto la cosa diverrà di pubblico dominio, lo sa il Cielo. Matthew, i conservatori si stanno muovendo su svariati fronti. La campagna del vescovo Bonner contro i predicatori non autorizzati di Londra verrà presto inasprita. Tra non molto in Parlamento sarà presentato un decreto che concede la lettura della Bibbia soltanto ai nobili e ai gentiluomini: non più alla gente comune, né alle donne.» Ebbe una breve esitazione. Harsnet commentò, calmo ma amaro: «Strapperanno al popolo la sacra parola di Cristo». Lo sbirciai: le sue erano le parole di un radicale. Cranmer s'accigliò un poco. «E infine tentano di attaccare me», continuò. «Forse anche lord Hertford, ma in primo luogo me. Ci sono già stati alcuni arresti fra i radicali del mio personale a Canterbury e tra i cortigiani minori a Windsor. Verranno accusati di eresia. Giovani con lingue imprudenti, che potrebbero finire con il farmi cadere.» Una guancia gli si contraeva in modo incontrollato, e compresi che l'arcivescovo aveva paura. Si ricompose, tornando a fissarmi. Lord Hertford disse, calmo e grave: «Ciò che ci protegge più d'ogni altra cosa è che nel suo seguito il re mantiene tuttora riformatori moderati, uomini in cui ha fiducia. Il suo medico, il dottor Butts. Il suo nuovo segretario, William Paget. Quando quelli come Gardiner e Norfolk gli istillano veleno nell'orecchio, la possibilità di questi riformatori di accedere direttamente al re permette di contrastarli. Una regina con simpatie per la Riforma potrebbe aiutarci più di chiunque altro». «Ma questo matrimonio potrebbe essere sicuro per lei» s'intromise Thomas Seymour. «Anna Bolena esercitò sul re troppe pressioni religiose e venne giustiziata. E Catherine Howard fu decapitata non molto più di un anno fa.» Ricordai di avere intravisto Catherine Parr al funerale, e la sua aria impaurita. Cranmer annuì. «Sì. Non stupisce che non abbia ancora accettato. Per la prima volta, Matthew, una possibile moglie ha rifiutato la proposta di

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matrimonio del re. Lui, però, desidera una compagna per la vecchiaia. So che Lady Catherine ha rimesso la decisione nelle mani di Dio. La situazione non potrebbe essere più delicata. Un omicidio eccezionalmente feroce vicino a lei, e ancor più adesso che ce n'è stato un secondo, potrebbe inquietare il re, che è superstizioso. Due morti sconvolgenti, prive di scopo. La gente incomincerà a dire che l'assassino è posseduto dal demonio.» «Lo dice già», disse Harsnet. «Sulle prime si temeva che lo scopo dell'omicida fosse provocare uno scandalo che mettesse a rischio le trattative per il matrimonio. Ma allora, perché colpire di nuovo?» «Per fornire uno spettacolo da collegare saldamente alla morte del dottore?» suggerii io. «Finora non è avvenuto», disse Cranmer, «e non deve avvenire. Per questo motivo abbiamo voluto stendere un velo di silenzio ufficiale sulla morte di mastro Elliard; ma ufficiosamente non risparmieremo alcuno sforzo per trovare l'assassino. E Catherine Parr, come tutti, crede che il dottor Gurney abbia avuto un improvviso colpo apoplettico.» Comprendevo adesso la tensione sui loro volti. Il re non era tenero con coloro che gli nascondevano qualcosa. Mi resi conto di essere di nuovo coinvolto in una faccenda capace di mettermi in cattiva luce agli occhi del sovrano. Qualcosa di pericoloso; per la seconda volta, potevo anche non sopravvivere. Eppure avevo giurato, e non rimaneva altro da fare che andare avanti. «Le circostanze di queste morti sono mostruose», disse Cranmer, giocherellando con la croce pettorale d'argento che gli pendeva dal collo. Thomas Seymour rise sprezzante. «Non più di ciò che ho visto in Ungheria.» Posò una mano sul fodero ageminato d'oro della spada. «Ho visto l'esercito dell'imperatore ritirarsi sconfitto da Budapest. Non s'era riusciti a toglierla ai turchi, ma ci si portava dietro come trofeo un grosso carro pieno di teste tagliate loro, con un unico turco vivo in cima, che scivolava e rotolava coperto di sangue e di brandelli dei turbanti dei morti. Tutti risero quando il carro fu aperto, e il turco ruzzolò giù urlando, in mezzo alle teste di tutti i suoi compagni.» Sir Thomas sorrideva: anche lui aveva riso. «Era guerra», disse suo fratello. «Crudele, ma onorevole.» Sbirciai Hertford, domandandomi che cosa avesse visto e fatto in Scozia.

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«Bene, Matthew», disse Cranmer, «voi arrivate nuovo in quest'affare, e conoscevate bene il povero Elliard. Che cosa pensate che dovremmo fare adesso?» Guardavano tutti me. Raddrizzai le spalle. «Suggerirei di scoprire se Roger e il dottor Gurney avessero in comune qualche conoscenza o qualche cliente, anche se sarebbe piuttosto strano se qualcuno odiasse due uomini con tanta furia.» «Ho steso un elenco completo dei pazienti e degli amici del dottor Gurney», disse Harsnet. «E io posso fare lo stesso per Roger.» Li guardai. «Con l'aiuto della vedova.» «Molto bene.» Cranmer annuì. «Però non deve saper nulla di Gurney.» Odiavo l'idea di non essere sincero con Dorothy, ma ne capivo la necessità. «Quanti anni aveva il dottor Gurney?» chiesi. «Era vecchio: oltre i cinquant'anni.» «E di corporatura?» «La sua corporatura?» Harsnet parve perplesso. «Era un uomo piccolo e magro, a giudicare dall'aspetto del cadavere.» «Come Roger. L'assassino doveva trasportare Roger fin nella fontana del Lincoln's Inn, e senza dubbio Gurney nelle paludi. Quasi come se scegliesse di uccidere uomini piccoli.» «Quali erano le opinioni di mastro Elliard in materia di religione?» chiese Harsnet. «Era un riformista.» «Anche il dottor Gurney. Però, in questi tempi, prudentemente moderato.» Pareva quasi disapprovare. «Come pure Roger. Si direbbe che fra loro ci siano sempre più cose in comune.» «Questo rafforza l'ipotesi che sia stata opera dei papisti, per mandare a monte le nozze del re», disse Harsnet. «Jesù, quelli sono capaci di tutto. Divorerebbero i poveri protestanti come le bestie mangiano l'erba.» «E voi, mastro Shardlake», chiese a bassa voce Hertford, «quali sono le vostre opinioni religiose? Si dice che siate un uomo dalla fede tiepida.» «Matthew non farà danno alla nostra causa», s'intromise Cranmer. «Purché ritenga giusti i nostri metodi, vero?» Ancora il suo sorriso triste. «Questo non sarà un problema.»

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«Chi è costui per venirci a dire che cosa è giusto?» sbottò sprezzante Thomas Seymour. «Un azzeccagarbugli gobbo.» Il fratello si girò verso di lui, d'un tratto in collera. «Per le piaghe di Cristo, Thomas, di' solo un'altra parola e ti sbatto fuori! Quest'uomo sarà di gran lunga più utile di te, te lo garantisco io!» Thomas Seymour parve mortificato che gli si rammentasse dove risiedeva il potere. Cranmer si rivolse a me. «Matthew, mi scuso nuovamente per Sir Thomas.» «Non importa, mio signore.» E invece importava. Perché mai era stato interessato quello sciocco villano? «Se possibile», proseguii, «vorrei parlare con il bracciante che trovò il cadavere e vide la scena. Le somiglianze con la morte di Roger sono così strette che potrebbero esserci d'aiuto.» Cranmer guardò Harsnet. «Dove si trova adesso quell'uomo, Gregory?» «L'ho fatto tenere qualche giorno sotto chiave, per cacciargli bene in testa la necessità di stare zitto. Ora è tornato a casa. Lo manderò a chiamare.» «Grazie, coroner.» «Voglio che voi e Gregory lavoriate insieme su questo caso», disse Cranmer. «Posso coinvolgere anche il mio aiutante, Barak? Potrebbe essere molto utile.» Cranmer sorrise. «Ah, già, lui. So che Lord Cromwell se ne fidava. Ma nessun altro. E non quel dottore ex monaco. Per il dottor Gurney non può servire, ormai è stato sepolto da settimane.» «Capisco.» «Mi terrete puntualmente informato. Cercatemi qui e unicamente tramite il mio segretario, Ralph Morice. Non mi fido di nessun altro.» «Sì, mio signore.» Cranmer si alzò. Harsnet e io lo imitammo, inchinandoci profondamente. «Gregory, Matthew, prego il Nostro Redentore che siate in grado di risolvere questo enigma.» «Amen, mio signore», rispose Harsnet non privo di commozione. «Se non erro, avete presentato il caso di Adam Kite alla Corte delle Suppliche, no?» chiese d'un tratto Cranmer.

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«Sì, mio signore. Ho presentato istanza affinché venga cancellata la retta e lui venga curato. E lo farò visitare da un medico ai fini di accertarne la salute mentale.» «Vedrò che il Consiglio Privato non vi ostacoli», rispose. «Se ne parlò ieri, della retta e delle cure di Kite, e il vostro nome fece andare in bestia Sir Richard Rich. Chi è il medico che avete incaricato... il dottor Malton?» «Sì, mio signore.» Cranmer annuì, riflettendo; quindi mi guardò nuovamente con serietà. «Né Lord Hertford né io desideriamo che quel ragazzo sia dimesso, a meno che non lo si curi finché non sia garantito che non vi saranno ulteriori pubbliche manifestazioni di follia. Dev'essere tenuto al sicuro.» «Nel tempo delle prove, i cristiani debbono essere prudenti come serpenti e innocenti come colombe», disse Hertford. Per un attimo parve triste. «Capisco, mio signore.» Cranmer sorrise. «Bene. State attento che quel vecchio ex monaco non lo faccia diventare un papista.» Lo squadrai: dunque conosceva il passato di Guy, probabilmente aveva indagato sul suo conto. Lord Hertford, che aveva udito, mi diede un'occhiata incuriosita mentre mi passava accanto. S'inchinò e filò via, lasciandomi solo in corridoio con Harsnet. Ce ne andammo insieme. Harsnet sembrava un po' a disagio nei miei confronti. Rifletté per un momento, poi disse: «Mi dispiace per il modo in cui ho dovuto condurre quest'indagine. Spero che ora comprenderete perché era necessario». «Capisco perché lo avete fatto, signore», risposi, senza compromettermi. Lo guardai, chiedendomi come sarebbe stato lavorare insieme con lui. Un uomo intelligente, ma forse un religioso radicale. Quando il re aveva sfidato il papa per sposare Anna Bolena, dieci anni prima, aveva permesso a Thomas Cromwell di mettere al servizio del sovrano riformisti di gran lunga più radicali di lui, persino dei luterani. Dopo la caduta di Cromwell, il re stava decisamente ritornando alle pratiche della vecchia religione, e la maggior parte dei riformisti s'erano adattati, perlomeno in pubblico. Rimanevano tuttavia alcuni radicali, con legami con i gruppi protestanti sempre più estremisti di Londra, che mantenevano le loro cariche ricorrendo all'abilità e all'astuzia.

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«Ho paura per Lady Catherine Parr», disse. «L'ho incontrata: è una buona e dolce signora. Spero che l'assassino non abbia colpito il medico con la complicità di qualcuno della sua casa.» «Non è il modo in cui è giunto a Roger.» «No. Ma allora, qual è il legame?» Mi fissò attentamente. «Dobbiamo scoprirlo, avvocato superiore Shardlake. Sono d'accordo che sarebbe utile che parlaste con l'uomo che trovò il dottor Gurney. Ci penserò io, e vi manderò un messaggio a casa. Voi preparate una lista di chiunque conoscesse mastro Elliard: clienti, amici, possibili nemici.» «Sì. Parlerò con il suo scrivano.» Trassi un profondo respiro. «E con la vedova.» Lo fissai. «E il corpo? Verrà autorizzato il funerale?» «Certo.» Harsnet parve nuovamente a disagio. «Grazie.» Da qualche parte un orologio batté l'una. Quel pomeriggio avevo appuntamento con i Kite al Lincoln's Inn e dovevo vedere Dorothy. Scendemmo nel cortile di Lambeth Palace, dove respirammo l'aroma dolce dell'erba umida, inconsueto dopo tutte quelle settimane di neve. Mi volsi verso Harsnet. «Non capisco il coinvolgimento di Sir Thomas Seymour. Mi pare...» «Inaffidabile? Uno stupido spaccone?» Il coroner fece un sorriso storto. «È tutto questo, e altro ancora. Un vanitoso, nato per combinare guai. Uno che sfrutta la posizione del fratello. Eppure siamo legati a lui.» «Perché?» «Thomas Seymour voleva sposare Catherine Parr, e lei era innamorata di lui. Lo sa il Cielo perché, ma persino le donne intelligenti possono perdere la testa. Fu costretto a lasciare campo libero al re, ma ha fatto sì che il fratello lo coinvolgesse in quest'affare. Per proteggere gli interessi di lei, dice. Se Lord Hertford ha una debolezza, è il suo affetto per Thomas. Ma Thomas è qualcosa di ancor peggio di un papista.» «Che cosa?» Lessi disgusto negli occhi di Harsnet. «Un ateo», rispose. «Un uomo che rinnega Iddio.» *** Capitolo dieci. arsnet mi lasciò al fiume, dove presi una barca per tornare a Tempie Stairs, e di qui mi diressi a piedi al Lincoln's Inn. La collera che avevo

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provato dopo l'inchiesta era stata sostituita da un oscuro timore: quando ripensavo agli uomini potenti in quella stanza, l'angoscia mi faceva torcere e annodare lo stomaco. Mi dissi tuttavia che perlomeno stavolta non c'erano ambiguità, stavamo chiaramente tutti dalla stessa parte nel voler catturare l'assassino. Fu un sollievo trovare Barak in studio, intento a lavorare al suo tavolo accanto al giovane Skelly. Feci un cenno del capo a Barak, perché mi seguisse nella mia stanza. Skelly ci guardò con aria triste attraverso gli occhiali che portava a causa della vista corta, e intuii che si sentiva escluso, tagliato fuori dai fatti che turbinavano intorno al Lincoln's Inn. Be', almeno rimaneva estraneo a tutto. Dissi a Barak tutto ciò che era avvenuto a Lambeth Palace. M'ero aspettato che si mostrasse lieto della prospettiva di un po' di emozioni, ma stette ad ascoltarmi in silenzio; quindi rimase immobile e corrucciato. «Quel Thomas Seymour è un personaggio pericoloso», disse. «Lord Cromwell non si fidava di lui e ostacolò la sua carriera, ma rispettava suo fratello.» «E il suo interesse amoroso per Catherine Parr a complicare le cose.»«È noto per essere uno sfrontato donnaiolo. Si direbbe che un uomo di poca discrezione sia l'ultima cosa che serva in questo affare, se Cranmer preferisce che non ne venga a conoscenza il re.» «Lo so. Ma sono costretto ad aiutarli, perché ho fatto una promessa a Dorothy.» Lo fissai. «Non è necessario, però, che vi facciate coinvolgere anche voi, se non vi va», dissi. «Non c'è motivo perché vi mettiate in pericolo.» «No», rispose. «Vi aiuterò.» Eppure sembrava ancora contrariato. «Ma non ci capisco niente. Un uomo ucciso come il vostro amico è già abbastanza strano, ma due?» «L'assassino potrebbe essere un pazzo? Qualcuno che nutriva un odio incurabile per Roger e quel medico, forse convinto che gli avessero fatto un torto?» «Un pazzo non avrebbe saputo organizzare e realizzare qualcosa come questi delitti.» «No. L'omicida ingannò abilmente Roger con quelle lettere. Magari fece una cosa simile con il dottore: portarli in un luogo isolato, narcotizzarli in qualche modo e quindi trascinarli nella fontana, o nel caso del dottor Gurney nella pozza lasciata dalla marea, e tagliare loro la gola.» Rabbrividii.

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«Quella volta che disturbaste un intruso presso l'abitazione degli Elliard, forse ispezionava Gatehouse Court? Preparava la strada.» «Ciò vorrebbe dire che non conosceva bene il Lincoln's Inn. Eppure aveva sufficienti nozioni giuridiche per falsificare la lettera di un avvocato per Roger, e ne sapeva abbastanza di medicina da potersi servire di uno specifico.» Scossi il capo. Mi venne da pensare che se quella notte fossi uscito appena un poco prima da casa di Roger e Dorothy mi sarei potuto imbattere nell'assassino. Avrebbe ucciso anche me, per timore che in seguito lo riconoscessi? «Non capisco come quella canaglia potesse conoscerli», argomentò Barak. «Eppure doveva essere così.» «Sì. E chi potrebbe avere odiato Roger al punto da mettere in scena quel ripugnante spettacolo nella fontana?» Lo squadrai cupo. «Perché era uno spettacolo, no? Era sua intenzione farlo apparire tale, in un luogo pubblico. E, a quanto pare, anche nel caso del dottor Gurney.» Barak annuì lentamente. «Quando lavoravo per Lord Cromwell ne ho viste di cose strane, e certe anche brutte. Ma non ho mai sentito niente come questa, mai.» Aggrottò la fronte, una volta tanto a disagio. «Nemmeno io.» Per un momento rimanemmo in silenzio, poi mi alzai. «Andiamo, non ne sappiamo ancora abbastanza per costruire delle ipotesi. Dobbiamo pensare a fare dei passi concreti.» «D'accordo. Da dove si comincia?» «In primo luogo preparerò un elenco dei clienti e delle conoscenze di Roger, per vedere se ne avesse qualcuno in comune con il dottor Gurney. Andrò a parlare con lo scrivano di Roger e con Dorothy. A proposito, com'è stata nel viaggio di ritorno?» «Tranquilla. Però si vedeva che era sconvolta per lo svolgimento dell'inchiesta.» «Sì.» Sospirai. «Devo stare attento a quanto le dico. Vorrei che veniste anche voi a incontrare l'uomo che trovò il corpo del dottore sul fiume. Se ne occuperà Harsnet.» «Com'è Harsnet, conosciuto più da vicino?» «Uno di quei fanatici della Bibbia, credo, ma con i piedi per terra. Intelligente, capace.» Qualcosa mi colpì. «Molti coroner non lo sono. E ci troviamo nel punto di contatto fra le giurisdizioni di quattro coroner: Surrey, Kent, Middlesex e Londra. Penso che Harsnet dovrebbe verificare che non ci siano stati altri omicidi del genere nelle giurisdizioni vicine. Glielo suggerirò.»

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«Gib Rooke aveva parlato di un contadino ucciso in un modo orribile.» «Non nello stesso modo di Roger, altrimenti l'avrebbe detto. Però varrebbe la pena fare quattro chiacchiere con lui. Buona idea: grazie, Barak», aggiunsi, per incoraggiarlo. «Vedete quanto mi siete utile?» «Mi fa piacere aiutare qualcuno», rispose tetramente. Esitai, poi chiesi: «Vi riferite a Tamasin?» «Si lamenta che sto troppo fuori casa. Ma non mi va che una donna mi dica dove posso o non posso andare.» «Forse si preoccupa di chi potreste incontrare», azzardai. «Farebbe meglio a piantarla con piagnistei e depressione. Allora varrebbe la pena farle compagnia.» «Soffre ancora per la perdita del bambino, Barak», dissi a voce bassa. «Come voi, credo. Non è forse una cosa che potreste condividere?» Dall'irritazione dipintasi d'un tratto sul suo viso intuii di essermi spinto troppo oltre. «Sono affari nostri», rispose bruscamente. «Se andate a trovare la signora Elliard, signore, non scordate che i genitori di Adam Kite saranno qui alle tre.» Ciò detto, girò sui tacchi e uscì. Mentre attraversavo Gatehouse Court, sentivo su di me le occhiate incuriosite di tutti quelli che incontravo. I giurati dovevano avere diffuso la notizia dell'aggiornamento delle indagini, e alcuni di loro mi avevano visto andarmene insieme con Harsnet e Seymour. Ebbene, la loro curiosità sarebbe rimasta insoddisfatta. Mi recai nello studio di Roger e salutai il suo scrivano. «Buon giorno, Bartlett», dissi. «Come vanno le cose?» «Si tira avanti, signore», rispose, arrotando la erre come fanno a Bristol. «La signora Elliard mi ha chiesto di occuparmi del funerale. Ora si può disporre del corpo?» «Sì, il coroner ha dato il permesso.» «E questa settimana ci sono due cause da discutere in tribunale.» Mi morsi un labbro. Mi restava poco tempo, adesso, per il mio stesso lavoro, per tacere di quello di Roger. «Credo che potremmo passare le sue cause ad altri », dissi. «Ad avvocati che possiamo sperare che paghino per il lavoro già fatto da Roger. Vi suggerirò qualche nome.» «Mi rivolgerò a loro e farò in modo che paghino, signore.» «Grazie», risposi con un sorriso riconoscente. «Mastro Elliard è sempre stato buono con me. Era un brav'uomo.» Lo scrivano lottava per ricacciare indietro le lacrime.

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«Sì, davvero.» Esitai. «Un avvocato, però, si fa sempre dei nemici. Potrebbe esserci stato qualcuno, magari un cliente, o persino un legale da lui battuto in tribunale, che poteva nutrire ostilità per lui?» «Non riesco a pensare a nessuno, signore. Assolutamente nessuno. Volevano tutti bene a mastro Elliard, signore.» «Lo so. Ma mi potreste fare una lista di tutti i clienti e avvocati con cui aveva contatti professionali, da quando era tornato da Bristol? Riuscireste a procurarmela per stasera?» «Ci penso io, signore.» Ebbe un'esitazione. «Se posso chiedervelo, che succede adesso? Si dice che l'inchiesta sia stata sospesa.» «Ci sarà un'indagine, alla quale prendo parte. Questo è tutto ciò che posso dire ora, Bartlett. Quell'elenco può essere utile.» Studiai la sua faccia onesta. «E voi che farete adesso, Bartlett? Tornerete a Bristol?» «Preferirei rimanere a Londra, ho qui tutta la mia famiglia.» «Allora vedrò di riuscire a trovarvi un impiego in un altro studio, quando il lavoro di Roger sarà terminato.» Gli s'illuminò il viso. «Grazie... voi siete buono, signore.» «Spero di sì, Bartlett, anche se non tutti sarebbero d'accordo con voi.» Salii la scala verso l'alloggio al piano superiore. Quando bussai il vecchio Elias aprì con un inchino. Appariva ancora scosso. Margaret uscì dal salotto. «Come sta la vostra padrona?» le chiesi in un sussurro. «È tranquilla, signore. Era così arrabbiata dopo quell'udienza che credevo che avesse una crisi, ma non è stato così. È seduta al suo solito posto, vicino al fuoco.» Esitò. «Spera che le porti notizie.» «Grazie, Margaret. Andrò da lei.» Notai che le guance pienotte della domestica erano pallide: anche la vita della servitù era stata sconvolta, e il suo avvenire s'era fatto improvvisamente incerto. Dorothy sedeva nella sua poltrona sotto il fregio. Alzò gli occhi e arrischiai un sorriso, ma il suo volto esangue era ancora teso dalla collera. «Che è successo?» domandò. «Perché sei andato via con quel coroner?» «Per discutere dell'inchiesta. Si faranno delle indagini, Dorothy, e io vi prenderò parte. Te lo prometto. Domani ti farò consegnare la salma, e potrai organizzare il funerale.» Mi guardò fisso. «Se sanno che è stato assassinato, perché queste... formalità?» «Politica. Non posso dire di più. Vorrei potere.»

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Dorothy mi guardò a occhi spalancati. «Mio Dio, Roger non aveva nulla a che fare con la politica. Disprezzava tutti i cortigiani.» «Lo so. Eppure dev'esserci qualche legame... con quest'altra faccenda. Mi sono impegnato a collaborare privatamente alle indagini.» «Impegnato con chi, Matthew?» «Cranmer. E ti ho già detto più di quanto avrei dovuto.» «Ma tu detesti la politica quanto Roger. Lo hai detto molto spesso.» «Lavorare con quella gente è l'unico modo per riuscire a fare sì che l'assassino di Roger venga catturato. Vogliamo la stessa cosa, loro e io.» Feci una pausa. «Lavorerò insieme con il coroner Harsnet.» «Quell'uomo... II... il modo in cui ha tentato di distorcere i fatti.» «Era per aggiornare l'udienza, sottrarla all'attenzione del pubblico. Per quanto possa valere, io non credo che si sia divertito a ingannarti.» Mi guardò con occhi stanchi e tristi. «E se ti sciogliessi dalla tua promessa di trovare l'assassino di Roger, Matthew? So che temi quegli uomini potenti e li odii, come dovrebbe fare chiunque dotato d'un briciolo di senno.» Sorrisi con amarezza. «Ho fatto una promessa a Cranmer, Dorothy. Ora la cosa non è più nelle nostre mani.» «Sono divenuta un peso», disse mestamente. «Come sempre avviene a una donna sola di mezz'età.» Mi sporsi in avanti, ed ebbi l'ardire di prenderle una mano. «No, Dorothy. Tu sei una donna forte. Per ora è un fardello troppo grande da portare, lo so, ma con il tempo ritroverai la tua energia.» «Ho sentito dire che quando muore una persona cara se ne avverte vicino lo spirito. Io sto qui seduta ad aspettare, sperando, ma... niente. Sento solo che Roger se n'è andato, è stato strappato alla sua esistenza.» «Ti occorre tempo, Dorothy: tempo per soffrire.» Guardò l'orologio. «Ho anni e anni di giornate vuote.» La sua sofferenza mi fece stringere il cuore. «Dorothy», dissi con dolcezza, «c'è una cosa che ti debbo chiedere. Non è il momento migliore, ma è urgente. Dobbiamo sapere se Roger e... un altro uomo che è stato ucciso... avessero qualche conoscenza in comune. Bartlett sta preparando un elenco dei contatti professionali; tu puoi farmene uno di chiunque altro conoscesse? Tutti gli amici non avvocati...» «Non ne avevamo nessuno. La legge era la vita di Roger.» «Allora i negozianti, il suo barbiere, il suo sarto. I vostri servitori... non ne avete licenziato nessuno di recente?»

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«No, nessuno.» «Comunque, una lista potrebbe servire.» «Allora te la farò subito», rispose. Mandai Margaret a prendere della carta; quindi Dorothy s'immerse nelle riflessioni e scrisse i nomi di chiunque Roger avesse conosciuto a Londra. Mi porse l'elenco. «Ci sono tutti», disse Dorothy. Vi detti un'occhiata. «Bene, sarà utile.» «Se posso aiutarti in qualche altra cosa, vieni in qualsiasi momento. Il funerale dovrà aspettare fino alla prossima settimana. Samuel arriverà da Bristol, ho ricevuto una sua lettera. E dopo, Matthew, vieni a mangiare da noi. Sediamoci a ricordare in pace Roger.» «Ne sarò felice.» Mi affrettai attraverso Gatehouse Court in direzione del mio studio, dato che ormai erano quasi le tre. Avevo fame, perché avevo saltato il pranzo. Tra quanti passavano avanti e indietro scorsi, poco lontano, Bealknap. Camminava lentamente, con il corpo lungo e magro curvo e rattrappito. Sentendosi osservato si volse, mi gettò uno sguardo furibondo e se ne andò per la sua strada. Pensai che Roger poteva non avere avuto un nemico, ma io sì, e adesso più che mai. Scacciai dalla mente quello sciagurato. Daniel e Minnie Kite attendevano nell'anticamera del mio studio. Meaphon sedeva accanto a loro nella sua tonaca, cupo in volto. Oggi teneva in grembo una copia del Nuovo Testamento. «Buon giorno», dissi a Daniel e Minnie, ignorando deliberatamente Meaphon. «Ho ricevuto una comunicazione dall'ufficio delle Suppliche», disse Skelly dal suo scrittoio. «L'udienza di padron Kite è fissata per il quattro di aprile.» Mi porse una carta, alla quale diedi un'occhiata mentre facevo entrare nel mio ufficio i Kite e Meaphon. «Buone notizie», dissi quando fummo seduti. «L'istanza che ho inoltrato per ottenere che le cure di Adam venissero poste sotto il controllo della corte, e le spese della retta cancellate, sarà discussa fra nove giorni. E mi sono accordato con il medico di cui vi ho parlato perché vada a visitarlo. Venerdì. Ci sarò anch'io.» «Abbiamo visto Adam ieri», disse Daniel Kite. «Non va meglio.» «Mi ha parlato», aggiunse Minnie. «E stata la prima volta che mio figlio m'ha parlato da quando l'hanno internato. E sapete che cosa ha detto? Ha detto di poter annusare il fuoco, di

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sentire l'acuta puntura dei servitori del diavolo che gli straziano le braccia. Erano solo i pidocchi, ne è pieno, ma lui ci crede.» Scosse il capo, serrando le labbra in una linea sottile, per sforzarsi di non piangere. «Minnie», disse Daniel. «Questo è il motivo per cui non voglio che sia dimesso da Bedlam finché non ci sarà qualche traccia di miglioramento», dissi con garbo. «Potrebbe trovarsi in guai mortali. Se ci si prende cura del suo benessere, per ora sta meglio dov'è. Non tutti i guardiani sono cattivi.» Ripensavo a quella donna gentile, Ellen, e alla sua singolare affermazione di non poter mai lasciare Bedlam. Sbirciai Meaphon aspettandomi di essere contraddetto, ma non senza mia sorpresa annuì, mentre si strofinava i folti capelli. «Forse, dopo tutto, è la cosa migliore. I lupi papisti sono di nuovo dappertutto. I predicatori onesti vengono arrestati: soltanto ieri uno è stato fatto sfilare per le vie come eretico.» «L'ho visto», dissi. «Se però mi fosse consentito passare un po' di tempo con Adam, se potessi provare di nuovo a convincerlo che potrà e sarà salvato...» «Vedremo che cosa dirà il medico», temporeggiai. «I medici», disse con disprezzo. «E se fosse posseduto dal demonio? Questo è sempre più il mio timore.» «E se riferissero al Consiglio Privato che siete stato da lui?» esclamò Minnie. «Oppure se avessero delle spie nel manicomio, e riportassero che predicate una dottrina che quelli non approvano?» Meaphon scrollò la testa. «Dovrei fare ciò che posso per salvare Adam.» Mi resi conto che il coraggio non gli faceva difetto. Stringeva forte tra le mani la Bibbia, come un'icona, un talismano. «No, signore.» Era stato Daniel a parlare. «Se questo dovesse mai accadere, avrebbe a soffrirne anche Adam. E non è nelle condizioni di scegliere il martirio.» Guardò me. «Vedremo che cosa dice il dottore. Questo è ciò che faremo.» «Debbo forse presentarmi alla mia congregazione con cuore timoroso?» chiese aspramente Meaphon. Stavolta, però, Daniel e Minnie sostennero il suo sguardo, pur arrossendo entrambi. «Vi farò sapere il responso del medico», gli dissi, alzandomi. Provavo un poco professionale senso di esultanza per la loro sfida a Meaphon,

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quantunque avesse di nuovo sollevato l'ipotesi di una possessione diabolica. Era una piccola vittoria, ma pur sempre una vittoria. *** Capitolo undici. Il giorno seguente arrivò una lettera di Harsnet. Giunse da Whitehall, portata da un messaggero veloce, il che mi rammentò che il coroner aveva a sua disposizione risorse rilevanti. Mi chiedeva di incontrarlo all'arena dei combattimenti degli orsi di Southwark, alle otto del mattino dopo. Il venerdì mi alzai presto, per entrare in città sul Ponte di Londra, dove avevo dato appuntamento a Barak. Pur avendo dormito mi sentivo stanco e appesantito, come mi capitava sempre da quando era morto Roger. Tirava una brezza fredda e alte nubi correvano rapide per il cielo azzurro. Notai che un ciuffo di fiori di croco in boccio era spuntato all'angolo di Newgate Market, sotto la grande ombra di St Paul. C'era ancora poca gente in giro, e mentre discendevo gli Shambles e scansavo il sangue delle frattaglie nel rigagnolo al centro della via, la mia attenzione venne attirata dai rumori di una zuffa. All'angolo con Bladder Lane un uomo robusto, con indosso un grembiule sporco di sangue, lottava contro tre gendarmi di Londra. Una donna grassa, in grembiule, ne tratteneva uno per il braccio, cercando di trascinarlo indietro. Tre bambini piccoli correvano urlando e strillando fra i piedi degli adulti. Mentre osservavo, la guardia si liberò a strattoni della massaia, che cadde in una sudicia pozzanghera, con le gonne all'aria e le ali della cuffia penzolanti. I bambini corsero da lei frignando. «E adesso vieni senza fare storie», urlò uno dei gendarmi all'uomo, che smise di dibattersi e si rassegnò a lasciarsi condurre via con malgarbo. Esitai, poi mi diressi verso la donna, che si stava lentamente rialzando tutta inzaccherata, mentre i bambini le correvano attorno. «Tutto bene, signora?» Mi gettò un'occhiata diffidente. «Non mi sono fatta male.» «Che è successo?» «Dicono che mio marito vendeva carne in Quaresima e lo portano dal vescovo Bonner.» Guardò la mia toga. «Un avvocato non servirà a niente se lo accuseranno e comunque non abbiamo soldi. Andate a cercarvi clienti da un'altra parte!» E barcollò fino a una bottega, seguita

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dai bambini. Uno di loro, incoraggiato dal tono della madre, si guardò attorno e mi gridò: «Gobbo!» mentre lei li sospingeva in casa. Ripresi la mia strada irritato, perché volevo soltanto aiutarli. Se tuttavia suo marito era colpevole, poteva assaggiare la corda. Ricordai ciò che aveva detto Cranmer a proposito dell'impegno di Bonner nella repressione dei riformatori. Barak mi attendeva al Ponte di Londra. Appariva sveglio e vigile, oggi niente postumi di sbornie, e mi accolse abbastanza cordialmente. Notai che aveva cinto la spada. «Bene, vediamo un po' che cosa ci aspetta oltre il fiume», disse con un pizzico dell'antica spavalderia. «Qualche risposta, mi auguro.» Attraversammo il ponte in direzione della banchina di Southwark, dove avevamo appuntamento con Harsnet. Era già arrivato, con un mantello foderato di martora sopra la toga da avvocato: aveva l'aspetto di un funzionario regio dalla testa ai piedi. Vidi anche che s'era infilato stivali pesanti, in previsione di camminare nella melma della bassa marea. Harsnet osservava la grossa struttura circolare dell'arena per la caccia agli orsi che si elevava al di sopra dei tetti. Si volse verso di noi con un'aria cupa. «Buon giorno, mastro Shardlake. Voi siete Barak, vero?» Barak s'inchinò. Harsnet guardò un'altra volta l'arena degli orsi e sospirò: «Non è deplorevole che ci si diverta a spargere il sangue di quelle povere bestie inoffensive?» «Inoffensive?» disse Barak, sbirciandomi. Si ricordava quella volta in cui ero stato assalito e quasi ucciso da un orso in fuga. Tuttavia, ero d'accordo con Harsnet. «Sì», risposi. «E un divertimento crudele. Io non ci vado mai.» Annuì approvando. «Avete portato l'elenco dei conoscenti di mastro Elliard?» Tirai fuori la lista dalla cappa. «M'hanno aiutato la moglie e lo scrivano di mastro Elliard. Non conoscevano nessuno che desiderasse fargli del male.» «Neppure il dottor Gurney aveva nemici. Ho l'elenco.» Estrasse una carta, che leggemmo insieme. Vidi che il dottor Gurney contava fra i suoi pazienti alcuni cortigiani e importanti mercanti londinesi. Comparivano i nomi di Lord e Lady Latimer. Era un elenco minuzioso quanto il mio, ma non c'erano nomi in comune.

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«Niente. Posso tenere il vostro elenco?» «Certo.» Arrotolò entrambi i documenti, riponendoli nella cappa. «Eppure quei due uomini avevano tante cose in comune... credo religioso, rango professionale, persino la corporatura. Che cosa ha indotto il mostro a sceglierli?» «Non lo so. Però mi chiedevo...» «Sì?» Si fece attento e ansioso. «Se possono esserci stati altri delitti. Qui siamo ai confini tra il Kent e il Surrey. I coroner non sempre si tengono in contatto fra di loro, né sono sempre efficienti come il coroner Browne.» Harsnet annuì, approvando. «Avete ragione, signore. Grazie.» Mi guardò non privo di apprezzamento. «Parlerò con gli altri coroner.» «So di almeno uno strano omicidio avvenuto di recente su questa riva del fiume. Me lo ha riferito uno dei miei clienti. Pensavo di chiedergli i particolari.» «Si, buona idea. Grazie.» Inarcò le sopracciglia, poi trasse un lungo sospiro. «Ora dobbiamo andare a Lambeth. L'uomo che ha trovato il cadavere ci incontrerà lì.» Costeggiammo la riva meridionale. Presto le case lasciarono il posto a larghi acquitrini, con alti giunchi verdi che ondeggiavano nella brezza tra profonde pozze d'acqua stagnante. Qua e là appezzamenti di terreno più elevato venivano coltivati e campicelli di ortaggi si stendevano accanto alle casette intonacate d'argilla costruite dagli abusivi. La loro doveva essere un'esistenza ben solitaria. «L'arcivescovo Cranmer dice un gran bene di voi», esordì Harsnet. «Ha detto che se non fosse stato per il tradimento di un servitore sareste riuscito a salvare Lord Cromwell dalla rovina, tre anni or sono.» «Gentile da parte sua. Io però attualmente preferisco evitare certe cose.» «Lo fate per un amico. Una questione d'onore.» Annuì. «Bene, è un'azione virtuosa. L'onore non è così presente negli ambienti di corte che frequento io.» Scoprii che cominciava a essermi simpatico, a dispetto del nostro inizio infelice. «Da quanto tempo siete coroner del re?» arrischiai. «Solo l'aggiunto. La maggior parte del mio lavoro riguarda i morti a Londra. Ho ottenuto questa carica sei anni fa.» Mi guardò con gravità.

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«Ai tempi di Lord Cromwell, Iddio gli dia pace. Questi sono momenti duri per i fautori della Riforma. Resistiamo per miracolo.» «Mentre venivo ho visto arrestare un macellaio. Sua moglie mi ha detto che era accusato di avere venduto carne in Quaresima.» Harsnet annuì lentamente e non mi sfuggì la sua aria preoccupata. «Stamattina i gendarmi hanno ricevuto l'ordine di arrestare tutti i macellai sospetti di vendere carne in Quaresima. Verranno interrogati, nessuno troppo gentilmente, per ottenere informazioni sui loro clienti. Così coloro che ripongono la loro fede nella parola di Dio, anziché nelle vecchie norme alimentari, finiranno in arresto. Questo è il modo in cui stavolta ci perseguiterà Bonner.» Sorrise in un modo amaro, che fece apparire sgradevole il suo volto. «Anche se troveranno nella loro rete qualche pesce, non riusciranno a inghiottirlo. Il conte del Surrey è accusato di avere violato la Quaresima. Il figlio del duca di Norfolk. Avete letto qualche sua poesia?» «Temo di no.» Sapevo tuttavia che il figlio di una personalità di primo piano della fazione dei conservatori era un poeta e un radicale religioso. «Ha scritto una nuova poesia in prigione. Su Londra.» Harsnet recitò: Oh, membra della falsa Babilonia! Bottega della menzogna! Dimora dell'ira! Presto con ferro e fuoco un orribil fato grondar farà su di te il sangue del martirio. Pensai a Roger che citava Roderick Mors e per un attimo mi apparve il suo volto. Guardai Harsnet con un sospiro. «Vede dunque Londra come la Babilonia cui fa riferimento il Libro dell'Apocalisse?» «Che sarà distrutta quando Dio verrà a giudicare il mondo.» Mi scrutò, in attesa della mia risposta. «Credevo che si parlasse di Roma. Ma non sono mai stato capace di capire granché dell'Apocalisse.» Harsnet chinò il capo. «Se la studiate con attenzione, vedrete che Iddio non si limita a predire come avverrà la fine del mondo, ma anche quando.» Non replicai e lui sorrise di nuovo, con tristezza. «Qui è tutto tranquillo», disse Barak, rompendo il silenzio che fece seguito a quelle parole. Annuii. Eccetto per noi, il sentiero era deserto: alla nostra sinistra il fiume era in bassa marea, e dalla fanghiglia salivano

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sporadicamente borbottii e gorgoglìi; alla nostra destra il vento sibilava, facendo frusciare i canneti. Sulla sponda opposta, si stagliavano i moli e le case di Londra, la «dimora dell'ira» del conte del Surrey. «Nei giorni lavorativi qui c'è parecchia animazione», commentò Harsnet. «La gente va e viene tutto il giorno, a piedi e a cavallo.» Si rivolse nuovamente a me. «L'arcivescovo ha detto che difendete Adam Kite. Come sta?» «La sua mente è molto turbata. Conoscete il suo caso?» «Ho incontrato una volta o due la famiglia, alle riunioni religiose. Il loro vicario e il mio sono amici. Sembrano gente seria e onesta.» «In effetti, lo sono.» «So che il reverendo Meaphon teme che possa essere indemoniato», disse gravemente Harsnet e io non replicai. «In ogni caso, credo che stia meglio dove si trova adesso. Se dovesse dare di nuovo spettacolo di sé, Bonner sarebbe capace di dare un altro spettacolo con lui. In cima a un rogo.» «Sono pienamente d'accordo, signore», risposi con calore. Eravamo giunti dove il fiume piegava verso sud in direzione di Westminster. Sulla corrente le barche dei traghettatori avevano iniziato il loro andirivieni, mentre le vele danzavano sulle acque grigie del Tamigi. Un banco di nuvole aveva coperto il sole. Sulla nostra riva i bassifondi fangosi erano sempre più di frequente punteggiati da specchi d'acqua lasciati dalla marea. Davanti a noi, nella melma presso un piccolo stagno, scorgemmo una sagoma stagliarsi solitaria contro il cielo: un anziano agricoltore in grembiule grigio, con un largo cappello di cuoio sulla testa. Mentre ci avvicinavamo ci scrutò, strizzando gli occhi impauriti nel volto segnato dagli elementi. Harsnet scese dal sentiero nel fango, che tremolò mentre i suoi stivali vi sprofondavano per quindici centimetri. «Attento, signore!» esclamò Barak. «Quel fango può risucchiarvi!» Lo seguimmo con precauzione fin dove si trovava il vecchio. Il vicino stagno era circolare, poco profondo, di sei metri circa di diametro. «E allora, Wheelows», disse il coroner. «Siete qui già da molto?» Il contadino s'inchinò profondamente, trasalendo nel raddrizzarsi. Problemi di schiena, pensai comprensivo. «Mezz'ora, signore. Non mi piace questo posto. Mi ricorda certe cose. E ho la sensazione di essere osservato.» Fece scorrere uno sguardo

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intimorito sui canneti tutto intorno a noi. Un luogo indubbiamente lugubre. «Be', dopo non avremo più bisogno di darvi dei fastidi», disse Harsnet. Mi indicò. «Questo signore mi aiuta nelle indagini. Voglio che gli diciate esattamente che cosa accadde quando trovaste il corpo del dottor Gurney.» Un'ombra di irritazione oscurò il volto di Wheelow. «Ho già raccontato la storia tante di quelle volte...» «E allora raccontatela un'altra», ribatté Harsnet, sorridente ma risoluto. «È stato tre settimane fa, quando la neve era ancora alta sul terreno. Andavo a lavorare a Southwark, dove costruiscono nuove case lungo Croydon Road...» «Dove abitate?» domandai. «Nel villaggio di Westminster. Facevo la strada alle prime luci dell'alba. Il fiume era gelato, ma la marea saliva ancora e filtrava sotto il ghiaccio, formando come sempre degli stagni. Mentre camminavo, qualcosa attrasse il mio sguardo: una delle pozze aveva un colore strano. Guardai e vidi che era rossa, d'un rosso vivo. Sulle prime non ci potevo credere. Poi vidi che vi galleggiava sopra una forma scura, e scesi a controllare.» «C'erano delle orme?» chiese Barak. «Sì.» «Com'erano? Grosse o piccole?» «Abbastanza grosse, direi.» scosse il capo. «Quello stagno rosso, che spiccava contro la neve bianca, era una roba da incubo. Mi rivoltò lo stomaco.» «Lo stagno è molto più grande della fontana», obiettai. «Eppure era tinto di rosso.» «Vi stupirebbe sapere quanto poco sangue basti per arrossare l'acqua», rispose Barak. Harsnet lo osservò meravigliato. «Strane conoscenze, per lo scrivano di un legale. Ma naturalmente, voi avete lavorato per Lord Cromwell.» «Infatti», rispose Barak. Vidi il vecchio Wheelows stringere gli occhi: il nome di Cromwell faceva ancora paura, persino adesso. «Dunque arrivò fin qui con il cadavere, lo gettò in acqua e tornò indietro», dissi io. Wheelows strizzò le palpebre: aveva un'aria spaventata. «Ho sentito raccontare che c'è stato un altro delitto simile, al Lincoln's Inn.»

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«Dovete tenere chiusa la bocca su quel fatto», disse seccamente Harsnet. «Lo so, mastro coroner», rispose risentito Wheelows. «O finisco alla prigione di Marshalsea. Me l'avete detto.» «E allora avanti con la vostra storia.» «In riva allo stagno c'era un punto dove tutta la neve era calpestata. C'era anche del sangue», disse Wheelows. Dove l'assassino aveva tagliato la gola al dottore, pensai. Guardai l'acquitrino: il vento produceva lievi increspature sulla sua superficie. «Poi cosa faceste?» domandai cortesemente al vecchio agricoltore. «Entrai nell'acqua e girai il corpo. Dagli abiti capii che era un gentiluomo. Aveva la faccia bianca come un osso, senza più una goccia di sangue. Vidi che cosa gli avevano fatto alla gola.» «Che espressione aveva il suo viso?» Wheelows mi squadrò acutamente. «Nessuno me lo ha mai chiesto prima. Ma era strano: sembrava tranquillo, come se dormisse.» Lo specifico, pensai. «Poi che faceste?» «Corsi a Southwark, a cercare un gendarme. So che cosa si deve fare quando si trova un cadavere.» Guardò Harsnet. «Da allora dei signori mi hanno interrogato, ordinandomi di tenere tutto segreto.» «C'è una buona ragione», commentai. «Allora badate a fare come vi è stato detto.» Harsnet cavò di tasca uno scellino, porgendolo a Wheelows. «Bene, potete andare.» Il vecchio ci fece un rapido inchino, gettò un'ultima occhiata impaurita alle paludi, poi, ansimando, arrancò faticosamente attraverso la fanghiglia sino al viottolo, e se la filò rapidamente alla volta di Westminster. Harsnet lo guardò allontanarsi. «Non mi ha fatto piacere tenerlo al fresco», disse, «ma bisognava spaventarlo per farlo stare zitto.» Annuii, poi guardai l'acquitrino. «Proprio come Roger. Il dottore fu attirato a un incontro, narcotizzato e trascinato fin qua. Gli fu tagliata la gola e venne gettato nello stagno. La gente passa ogni giorno per quel sentiero, anche più spesso quando il fiume è gelato e le barche non possono navigare. Se il vecchio non si fosse imbattuto così presto nel corpo, ci sarebbe stato un altro...» esitai «... spettacolo.» Harsnet osservava il viottolo. «Ma come ha fatto a trascinare il corpo fin qua? Di certo il dottor Gurney non si sarebbe incontrato con nessuno di notte su quel sentiero.»

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Accennai al fiume. «Allora si camminava sul ghiaccio, che era molto spesso. Giurerei che l'assassino incontrò il dottor Gurney sull'altra riva, lo drogò e lo trasportò fin quaggiù.» Scossi la testa. «Gli omicidi sono identici, le vittime molto simili sotto vari punti di vista. Che cosa le collega fra loro?» «Deve avere calcolato i tempi della bassa marea», disse Barak. «Come adesso. Quando la marea fosse salita sotto il ghiaccio, l'acqua insanguinata sarebbe sgorgata dal basso e avrebbe coperto la riva e lo stagno.» Marea. Acqua trasformata in sangue. Parole che mi rimasero impigliate nella mente, come quelle del tesoriere sulla fontana tramutatasi in sangue. Conoscevo quelle frasi: ma dove le avevo già udite? In quel momento Barak si accostò a noi. «Non guardate in giro, c'è qualcuno che ci osserva. Ho visto una testa stagliarsi contro il cielo su un pezzo di terreno asciutto alle nostre spalle, per un attimo solo. Aveva ragione il vecchio.» «Ne siete sicuro?» chiesi. «Vado a cercarlo.» Nei suoi occhi era ricomparso il bagliore dell'eccitazione. Gli posai una mano su una spalla. «E tutta palude. Non sapete quanto sono profondi fango e acqua.» «Rischierò.» Barak si voltò, corse verso il sentiero e si gettò in mezzo alle canne. Vi fu uno scroscio rumoroso e l'acqua gli arrivò alle cosce, ma lui prese a solcarla. Harsnet e io rimanemmo a guardare. A una cinquantina di metri di distanza una collinetta coperta di verzura emergeva dalle acque. Per un istante scorsi una testa profilarsi contro il cielo, poi scomparve. «Io lo seguo», disse Harsnet. Dovetti ammirare il modo in cui il coroner si gettò fra i giunchi sulle tracce di Barak, schizzando fango sul suo pregiato mantello. Mi spinsi nella sua scia, rimanendo senza fiato per il gelido morso dell'acqua fangosa intorno alle gambe. Più avanti vidi Barak mettere piede sul terreno asciutto, sul quale si stagliò contro il cielo, guardandosi attorno. «Merda!» esclamò ad alta voce. Tenni dietro ad Harsnet su per la collinetta. Barak scrutava le paludi: più lontano erano punteggiate dalle capanne dei contadini, ma fra noi e loro si stendeva un'ampia distesa deserta di canne ondeggianti.

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«Credevo che se fossi salito quassù e lui fosse scappato, avrei visto dove andava», disse Barak. «Ma è sparito.» «Ma dove?» Harsnet scandagliava con lo sguardo il paesaggio vasto e vuoto. «È passato solo qualche minuto, dovremmo vederlo scappare.» «Scommetto che s'è acquattato da qualche parte nel canneto», dissi. «E un nascondiglio perfetto.» «Allora aspettiamo», disse secco Harsnet. «Nessuno può rimanere a lungo disteso fra le canne. L'acqua è gelida.» «Guardate un po'.» Barak indicava qualcosa in terra. Un rudimentale giaciglio di paglia. Vi posò una mano sopra. «E ancora caldo», disse. «Stava disteso qui, a spiarci.» Harsnet corrugò la fronte. «Allora sapeva che saremmo venuti. Ma come? Come?» I suoi occhi frugavano la palude, in cerca d'un accenno di movimento. Nulla. Rabbrividii. L'assassino se ne stava lì disteso nella melma e nell'acqua gelide, a osservarci? Harsnet respirò a fondo. «Io non mi muovo di qua sinché non farà buio. Deve pur muoversi, prima o poi.» Guardò Barak. «Bene, avete portato la spada.» Barak studiò il cielo, ora di un grigio più cupo. «Credo che pioverà.» «Meglio ancora, ci aiuterà a stanarlo.» Aspettammo, fissando la palude sotto di noi. Di tanto in tanto un uccello acquatico si levava in volo con uno sbatter d'ali, ma, a parte ciò, non notammo alcun movimento, neppure quando dal cielo si rovesciò un violento acquazzone, che c'inzuppò da capo a piedi. Incominciavo a sentire la fatica e mi faceva male la schiena: per chi fosse steso al suolo là sotto, la scomodità doveva essere di gran lunga maggiore. Harsnet mi guardò, probabilmente pensando che in una rissa sarei stato di scarsa utilità. «Voi andate», disse. «Possiamo pensarci Barak e io.» Barak s'era seduto sul pagliericcio, ma il coroner rimaneva dritto e fermo come una roccia. «Volete che chiami altri uomini?» chiesi. «Per perlustrare il canneto?» «No, potrebbe essere ovunque. Ci vorrebbero ore. Aspetteremo finché non si muove, se Barak può rimanere qui.» «Certamente.» Li lasciai a montare la guardia e ritornai a guado fino al viottolo. Un paio di passanti mi squadrarono stupefatti quando feci la mia comparsa con mantello e stivali inzaccherati di fango. Gettai uno sguardo verso il monticello, dove Harsnet si stagliava dritto contro il cielo come un angelo vendicatore in attesa.

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*** Capitolo dodici. Un'ora dopo varcai le porte di Bedlam, dirigendomi verso l'edificio lungo. Stavolta, da qualche parte all'interno, udii due persone urlare parole incomprensibili. Non avevo voglia di entrare. Un assassino mostruoso e un ragazzo dalla mente alterata: era come se in quell'ultima quindicina di giorni mi fossi lasciato alle spalle il mondo dei comportamenti e delle passioni normali, per inoltrarmi in un nuovo, strano e terrificante territorio. Ricordavo il calore dell'ultima cena fra amici con Roger e Dorothy; adesso Roger era morto e Dorothy era ridotta all'ombra di se stessa, schiacciata dal dolore. Ero costantemente in pensiero per lei. Pensai a Barak e Harsnet in agguato laggiù, nelle paludi di Lambeth, e pregai che riuscissero a catturare l'assassino di Roger. Terrificante era stato, in un certo senso, il contrasto tra la violenza della seconda identica, orribile morte e la palude deserta e immota in cui si celava l'assassino... a meno che non fosse qualche forestiero che aveva deciso di accamparsi proprio lì; ma sembrava poco plausibile. Sulla soglia del manicomio trassi un profondo respiro, poi bussai. Aprì il custode Shawms in persona: magari mi aveva visto arrivare da una finestra. Aveva un'aria lugubre sulla faccia dura. Ora le grida erano più forti: «Lasciatemi andare, lasciatemi andare, villanzoni!» Un rumoreggiare di catene. «Oh, siete qua», disse Shawms. «Ho ricevuto una convocazione a un'udienza della Corte delle Suppliche, per la mia custodia di Adam Kite. E per la settimana prossima, il quattro.» «Bene», risposi. «Ve l'hanno comunicato: è per chiedervi di fare regolarmente rapporto sul suo conto.» «Io non ho mica il tempo di andare in tribunale. Voi avete detto che non mi prendo cura di lui.» Mi accostai a lui, avvertendo il tanfo del suo alito cattivo che sapeva di alcol. «Né l'avete fatto, canaglia. Ma l'ordinanza della corte vi obbligherà a farlo. Adesso lasciatemi entrare, debbo vedere il mio cliente.» L'uomo indietreggiò, impressionato dalla collera che trapelava dalla mia voce. Passai oltre, sentendomi meglio per la sfuriata. Adesso gli schiamazzi erano più forti ancora.

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«C'è un uomo che dice di essere un medico che vi aspetta», disse Shawms. «Con la pelle nera come il carbone. E come se già non bastasse quello svitato di ragazzo a mettere sottosopra tutti, adesso avete portato qui anche un negro a spaventare i cristiani. Il Sapiente in Catene l'ha visto passare, in toga, e ha creduto che fosse il professorone di Cambridge che gli negò la cattedra, carbonizzato all'inferno e tornato dalla tomba per tormentarlo.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Venite un po' a vedere, signore, con che roba devo avere a che fare!» Infilò il corridoio con passo pesante. Lo seguii non senza riluttanza, ma dovevo saperne il più possibile su ciò che avveniva in quel luogo. In una delle ultime stanze del corridoio era aperto uno spioncino. Attraverso di esso vidi Hob Gebons e un altro custode lottare per incatenare un uomo di mezz'età, con una camicia d'un bianco sporco e brache nere. Aveva un viso lungo e ascetico sotto capelli scuri che si stavano diradando. Adesso era tranquillo e ansimava stremato. I due guardiani gli avevano ammanettato le mani davanti, e un ceppo gli collegava una caviglia a una catena sul pavimento. Rabbrividii, perché lo spettacolo mi riportò alla breve, ma terrificante esperienza della Torre di Londra. «È proprio necessario?» chiesi. S'udì un tintinnio metallico quando l'uomo si volse a guardarci. Quando vide la mia toga da avvocato sotto il mantello sbarrò gli occhi, nel giro di un istante la follia s'impadronì del suo volto e tentò di liberarsi dei carcerieri per scagliarsi contro di me. «Adesso un avvocato», strillò. «Prima il fantasma di Peliman e ora il diavolo manda un avvocato a tormentarmi!» «Sta' zitto, matto!» grugnì Gebons. Si girò verso la porta. «Per favore, chiudete lo sportello, mastro Shawms.» Quest'ultimo annuì, chiuse il battente e si rivolse a me. «Lo vedete con che cosa ho a che fare? Se solo avesse potuto vi avrebbe cavato gli occhi. La sua famiglia paga perché venga tenuto qua dentro, altrimenti Dio sa cosa sarebbe capace di fare. Ora vi porto dal dottor Malton. L'ho messo nel parlatorio, così i pazienti possono dargli un'occhiata. Quelli che stanno bene», aggiunse, «non i violenti.» Lo seguii, ancora sconvolto dal selvaggio furore dello studioso. Quel giorno il parlatorio era pieno. La vecchia Cissy sedeva nel suo angolo a cucire, mentre a un tavolo un uomo e due donne giocavano a carte. Una scena abbastanza normale. La guardiana Ellen, che era stata

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in compagnia di Cissy la prima volta, non era presente. Ne fui contrariato, perché mi affascinava. Guy sedeva su uno sgabello presso il fuoco, ignorando gli sguardi incuriositi di Cissy e dei giocatori, con le mani brune raccolte in grembo. Come di tanto in tanto faceva quando si trovava in presenza di persone ostili, pareva essersi rinchiuso in se stesso. «Guy», dissi. «Molte grazie per essere venuto. Ti ho fatto aspettare?» Si alzò in piedi. «Sono arrivato in anticipo.» Sorrise con gentilezza. «I locali sembrano trovarmi interessante.» «Andiamo da Adam.» Mi diressi verso la porta, desideroso di sottrarre Guy a quegli sguardi indiscreti. Allora una delle giocatrici, una donna alta, sulla quarantina, balzò in piedi rovesciando con fracasso la seggiola e facendomi sobbalzare. «Jane...» La donna più anziana l'afferrò per un braccio, ma lei si liberò con uno strattone e si piantò davanti a noi. Con mio grande stupore si chinò, si prese l'orlo della gonna e la sollevò mostrando le parti intime, un cespuglio di peluria grigiastra che spiccava sulla pelle bianca. Ci rivolse un sorriso lascivo. «Non dovreste andarvene senza avere visto questo.» Scoppiò in un riso forsennato. «Oh, vergogna, che brutta vergogna!» strillò dal suo angolo Cissy. Gli altri giocatori presero Jane per le braccia, così la gonna le ricadde. Rideva istericamente. Guy mi posò una mano sul braccio. «Andiamo», disse, invitandomi a uscire. «Dio mio», commentai. Alle nostre spalle le risa dementi di Jane si tramutarono in pianto quando gli altri la rimproverarono, dandole della schifosa, della lurida puttana. Guy scosse il capo. «Mentre aspettavo percepivo la sofferenza in quella stanza, dietro gli occhi curiosi quelle persone.» «Stai per vedere di peggio. Shawms!» chiamai. Il custode non si mostrò, ma la donna, Ellen, uscì da una stanza vicina. Un mazzo di chiavi le tintinnava appeso alla cintura del grembiule grigio. Fissò per un istante Guy, poi si rivolse a me. «Che succede, signore? Che cos'è quel chiasso in parlatorio?» «Una delle donne si è...» Mi sentii arrossire. «... si è esibita...» «Jane. Me l'aspettavo.» Sospirò. «Siete qui per visitare Adam Kite? Vi farò entrare, poi devo andare in parlatorio.»

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Ci condusse alla cella di Adam, aprì lo spioncino e guardò dentro prima di aprire la porta. Udii, all'interno, il frettoloso sussurro delle preghiere. «È come al solito, signore», disse. «Ora devo andare dagli altri.» Con una rapida riverenza si volse, diretta in parlatorio, troncando il bailamme di voci quando chiuse la porta. Il Sapiente in Catene sembrava essersi quietato. «Una donna guardiana», commentò Guy. «Notevole.» «Almeno lei ha l'aria di essere gentile con i ricoverati. Mi ha allertato contro Shawms. Ora, però, bisogna entrare. Ti avverto, è... una brutta faccenda.» «Sono pronto», rispose calmo Guy. Feci strada. L'ordinanza del tribunale aveva ottenuto i suoi effetti: la stanza aveva un odore migliore, sul pavimento c'erano stuoie nuove e Adam indossava abiti puliti. Tuttavia era come prima, una povera creatura pelle e ossa accucciata in un angolo, con le spalle rivolte a noi, che pregava in fretta e disperatamente. «Dio Ti scongiuro dimmi che sono salvo, salvo per la Tua Grazia...» Guy guardò Adam per un attimo, poi si rimboccò la veste e si accovacciò accanto a lui con un'agilità non comune in un uomo della sua età. Guardò in viso Adam, il quale gli gettò una rapida occhiata in tralice. Le pupille gli si sgranarono un poco alla vista dell'inconsueto colore di Guy, ma solo per un attimo; poi distolse nuovamente il capo e ricominciò a pregare. Guy gli fece girare la testa, cercando di guardarlo negli occhi. Attese che Adam tacesse per riprendere fiato, e gli chiese pacatamente: «Adam, perché credi che Iddio ti abbia abbandonato?» Qualcosa tremolò negli occhi di Adam, e intravidi un abbozzo di pensiero. «No», sussurrò con rabbia. «Se prego, se mi umilio davanti a Lui, mi darà un segno che sono salvo.» «Non ti andrebbe di alzarti? Vorrei parlare con te, e sono troppo vecchio per starmene accovacciato così su un pavimento di pietra.» Tese con garbo una mano, per prendere il braccio di Adam. Subito la faccia del ragazzo s'irrigidì, Adam strinse i denti e si raggomitolò ancora di più su se stesso. Guy lo lasciò andare. «E va bene», disse piano. «Questo povero vecchio dovrà accucciarsi.» «Chi siete?» Un bisbiglio di Adam, le prime parole che avessi udito da lui al di fuori delle frenetiche suppliche alla Divinità.

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«Sono un medico. Voglio scoprire perché credi che Dio ti abbia abbandonato.» «Non mi ha abbandonato», rispose bruscamente Adam. «Ma non ti ha assicurato che sei salvo?» «Non ancora. Ho letto la Bibbia e prego, prego.» Gli occhi gli si gonfiarono di lacrime. «Ma la certezza non verrà.» «E difficile.» «Il reverendo Meaphon ha pregato con me per giorni interi, mi ha fatto digiunare come prescrive la Bibbia. Ma io sono solo svenuto.» «Preghi talmente forte che, se anche Iddio ti rispondesse, come potresti udirlo?» gli chiese dolcemente Guy. Adam sbirciò Guy non privo di diffidenza. «Come potrei non udirlo?» «Perché la tua paura è talmente grande da soffocare ogni cosa. È dell'inferno che hai paura?» «Del fuoco eterno», sussurrò Adam, così piano che Guy dovette chinarsi ancora più vicino a lui. «Ieri notte ho fatto un sogno.» «Di che si trattava?» «Ero su una carrozza, come quelle su cui vanno i ricchi. Una carrozza nera, tirata da quattro cavalli neri. Andavamo per una strada di campagna, tra campi scuri e alberi spogli. Mi chiedevo dove mi portavano. Poi passammo per un villaggio e la gente si affacciò sulla soglia delle case a dire: Lo portano nel più profondo dell'inferno. Giù, proprio in fondo in fondo. Oh, che dolori soffrirà, è talmente cattivo da dover essere seppellito nel più profondo degli abissi! Io guardai avanti e vidi un bagliore rosso all'orizzonte e sentii odore di zolfo.» «Chi guidava la carrozza?» chiese Guy. «Non riesco a ricordarlo.» D'improvviso Adam scoppiò in singhiozzi disperati, mentre le lacrime gli scorrevano lungo per la faccia sporca. Guy gli posò una mano sulla spalla. «Sì, piangi», disse e vidi una profonda tristezza anche nei suoi occhi: Guy, che era stato così freddamente razionale con Roger, che aveva discusso delle interiora del suo corpo con l'apprendista. Provai un irragionevole senso d'ira. Alla fine le lacrime di Adam si arrestarono. Guy tentò ancora una volta di farlo alzare, ma il ragazzo resistette. «Devo pregare», disse, nella voce una stanchezza disperata. «Per favore, ho perso tempo a parlare, devo pregare.»

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«Molto bene. Però lascia che ti faccia una domanda. Perché pensi che Dio scagli questa sofferenza su di te? Credi che abbia scelto proprio te?» «No.» Adam scosse energicamente la testa, però guardava il muro, non Guy. «Tutti dovrebbero avere paura dell'inferno come me. Bruciare in agonia, per i secoli dei secoli. Nella nostra chiesa conosciamo la verità, sappiamo che cosa aspetta coloro che non sono salvi, i peccatori.» «E gli altri credenti, la congregazione del reverendo Meaphon, sono peccatori anche loro?» «Sì, ma hanno tutti ricevuto da Dio la certezza di essere perdonati, di essere fra gli eletti, i salvati.» «Ma tu no?» «No.» Si volse a fronteggiare Guy. «So di non essere salvo. Il reverendo Meaphon dice che dentro di me c'è un diavolo. Devo supplicare Iddio, implorarLo di liberarmi. Di salvarmi. Adesso lasciatemi. Lasciatemi!» Il suo grido repentino mi fece sussultare. Adam si voltò di nuovo contro la parete, ricominciando la sua paurosa cantilena. «Dio ascolta la mia preghiera ti scongiuro di ascoltarmi...» Guy si alzò, facendomi un cenno con il capo. Lo seguii fuori dalla stanza. Aveva un'espressione fortemente adirata. «Faresti venire la guardiana?» mi chiese. «La donna, non quel pezzo di idiota che comanda?» «Benissimo.» Risalii il corridoio, verso il parlatorio. Era di nuovo tutto tranquillo, con Cissy che cuciva e gli altri che giocavano a carte. Ellen li aveva raggiunti intorno al tavolo. Notai che il viso di Jane era rosso e rigato di lacrime; quando mi scorse si nascose la faccia tra le mani. «Signorina Ellen, il dottor Malton vorrebbe dirvi una parola», dissi, a disagio. La guardiana si alzò, con le chiavi tintinnanti alla cintura, e mi seguì fuori. «Mi spiace per l'esibizione di Jane», disse, guardandomi accorata. «Ora ne è avvilita. Ma temo che i disturbi dei ricoverati siano una pena per i visitatori.» «Capisco.» «Oggi dovremo tenerla d'occhio, altrimenti potrebbe farsi del male.» Guy era in corridoio e osservava attraverso lo spioncino. Si volse verso Ellen con un sorriso. «Il mio amico dice che siete gentile con Adam.» Ellen arrossì. «Cerco di esserlo.» «È molto malato.»

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«Lo so, signore.» «È di importanza vitale che lo si tenga chiuso a chiave, non deve uscire, altrimenti potrebbe dare di nuovo spettacolo. Però è anche importantissimo che sia tenuto pulito e che gli si faccia mangiare un po' di cibo anche se si ribella. E provate, ma solo con molto garbo, a distrarlo con qualcosa di pratico, come la necessità di mangiare e stare caldo e via di seguito.» «Come se fosse depresso e malinconico, e bisognasse sollevarlo dai suoi guai? Ma con Adam è molto peggio, signore.» «Lo so. Ma potete farlo? Gli altri guardiani vi aiuteranno?» «Alcuni sì e altri no, signore. Ma dirò al custode Shawms che queste sono le vostre disposizioni.» Sorrise maliziosamente. «Ha paura dell'avvocato superiore Shardlake.» «Bene. Vi ringrazio.» Guy mi diede una pacca su una spalla. «E adesso vieni, Matthew, cerchiamo un posto dove parlare. Una volta tanto ho bisogno di qualcosa di forte da bere.» Trovammo una taverna poco distante. Andai al bancone e ne tornai con una bottiglia di vino e due boccali. Guy sedeva, preoccupato. «Quel ragazzo, Adam, ha notato il mio colore», disse d'un tratto. «Ha avuto un lampo di stupore negli occhi.» «Sì, me ne sono accorto.» «Questo mi dà qualche speranza: questo e averlo fatto parlare, anche se solo per un tempo brevissimo, perché dimostra che può essere distolto dalle preghiere.» «E terribile vederlo così. Quella storia di essere portato all'inferno...» «Soffre come tutti quelli che ho visto. Un'oscura notte dell'anima. No, non un'oscura notte dell'anima; questo è qualcosa di diverso, forse peggio.» «Quel posto...» scossi il capo. «Certi stanno meglio a Bedlam, se non hanno una famiglia che si prenda cura di loro. Altrimenti andrebbero in giro per la città a mendicare, o vagabonderebbero nei boschi come animali selvatici. E fuori Adam potrebbe essere in pericolo.» «Che cosa pensi di lui? Il suo sembra un caso disperato, senza rimedio.» Guy rifletteva ancora. Infine disse: «Lascia che ti faccia una domanda: come pensi che si senta Adam Kite, riguardo a se stesso?» «Si sente abbandonato da Dio.»

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«Questi sono i suoi sentimenti verso Dio; ma verso se stesso che cosa prova?» «Si crede indegno dell'amore di Dio.» «Sì. E uno che odia se stesso. Esistono persone che odiano se stesse fin dall'inizio del mondo: gente che crede di non poter essere amata.» «Dobbiamo contrastare convinzioni del genere facendo ricorso alla ragione», dissi. «Oh, via, Matthew», sorrise Guy. «Se solo fosse così semplice. La nostra mente è dominata dalle passioni, più che retta dalla ragione. E talvolta se ne perde il controllo.» Per un attimo i suoi occhi si scurirono come quando sedeva in parlatorio, quasi guardassero all'interno. Quindi proseguì: «E perché? A volte impariamo a odiare noi stessi fin dall'inizio». «Penso di sì.» Come avevo imparato, a forza di essere insultato e respinto da bambino, che a molti la mia schiena faceva paura e raccapriccio. «E quei religiosi radicali devono odiare se stessi più di chiunque altro. A dispetto dei loro schiamazzi, si sentono indegni: se vengono salvati dall'inferno, è solo tramite un'imperscrutabile grazia divina.» «Quando verrà la fine del mondo. Molti dicono da un momento all'altro.» «Ci sono sempre stati religiosi che prevedevano imminente l'Apocalisse. Ora però sono molto più numerosi, nelle congregazioni radicali. E Adam è stato allevato in un ambiente del genere. Come hanno spiegato i suoi genitori l'inizio della sua malattia?» Gli dissi ciò che mi avevano riferito i Kite, che Adam era stato un ragazzo allegro e vivace, finché, un po' di tempo addietro, s'era fatto sempre più cupo, fino a sprofondare nella condizione attuale. «Sono brava gente», conclusi. «Sono succubi del loro pastore, un fanatico baciapile di nome Meaphon, ma la preoccupazione per il figlio li sta rendendo più indipendenti, specie la madre.» «Mi piacerebbe incontrarli.» Guy si accarezzò il mento. «E successo qualcosa, è stato qualcosa di particolare a provocare questo, ne sono certo. Ne è un indizio il suo sogno. La gente che vedeva dalla carrozza diceva: 'È talmente cattivo che lo portano giù, negli abissi'. Io credo che sapesse chi guidava la carrozza del sogno. Se riesco a scoprire di chi si trattava, forse potrebbe aiutarci a portarlo sulla via della guarigione.»

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«Fai troppo affidamento sui sogni, Guy.» «Sono una guida per comprendere. Un mezzo.» Scosse il capo. «È curioso che quella povera creatura esangue fosse una volta un giovane forte e allegro. La pazzia, però, può alterare il corpo quanto la mente.» «Lo visiterai di nuovo?» chiesi. «Se i suoi genitori lo desiderano.» «Sì.» L'osservai incuriosito. «Non sapevo che avessi lavorato con i pazzi.» «Faceva parte delle incombenze di un infermiere, e i disturbi della mente mi hanno sempre interessato. Forse perché sono di tanti generi diversi, e non se ne comprende con chiarezza la natura. C'è chi dice che sono provocati da uno squilibrio degli umori, da un'irruzione di umori malsani nel cervello.» «Come la putrida bile nera che sale alla mente, causando la malinconia?» «Sì. Altri invece ritengono che la malattia mentale sia determinata da alterazioni fisiche del cervello, ma, che io sappia, nessuno ne ha mai trovate, a parte i tumori, che uccidono.» Respirò a fondo. «Poi ci sono quelli come il vostro amico Meaphon, che vedono nella pazzia una possessione diabolica, che dev'essere estirpata.» «E tu, verso quale scuola di pensiero sei orientato?» «Io appartengo a un'altra tradizione, Matthew. La tradizione di Vesalio, anche se ha avuto non pochi antesignani. Un approccio che non parte dalla teoria, ma dalla malattia: l'esamina, la studia, cerca di comprenderne la natura. Le parole e le azioni insensate dei pazzi possono racchiudere indizi segreti di ciò che avviene nelle loro menti. E persino con un pazzo è talvolta possibile usare la ragione, il buon senso.» «Ellen sembra usare questo sistema con la vecchia che abbiamo visto in parlatorio, Cissy: tenta di riportarla dal suo mondo interiore a quello di tutti i giorni dandole da sbrigare qualche semplice lavoro di cucito.» «Sì, può essere utile con i malinconici. Costringere la mente ad allontanarsi dai pensieri cupi, a restare nel quotidiano.» «Mi domando se l'assassino di Roger possa soffrire di qualche forma di pazzia», dissi. «Uccidere qualcuno in modo tanto brutale e in apparenza privo di scopo.» Due volte, pensai, ma non lo dissi, sapendo che sarebbe stato pericoloso per entrambi violare l'ingiunzione di Cranmer di non parlare con Guy del dottor Gurney.

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«E possibile», rispose Guy. «A meno che mastro Elliard non avesse dato motivo per una vendetta così terribile; ma, avendolo conosciuto, ne dubito.» «Impossibile.» C'era però qualcosa che potevo chiedergli in proposito, pensai. Bevvi un sorso di vino. «Guy, hai detto che gli infermieri di qualche monastero usavano uno specifico come quello che è stato utilizzato in questi omicidi. Conosci a Londra qualche infermiere che avrebbe potuto farlo?» «Non ne conosco, Matthew. Ricorda che venni a Londra dal Sussex quando il mio vecchio convento fu chiuso.» Mi guardò. «Pensi a quei monaci che smarrirono la ragione quando furono cacciati dai monasteri?» «Sì», confessai. «Allora dovrei dirti che l'uso degli specifici era limitato soprattutto ai benedettini. E l'unica fondazione benedettina che avesse un'infermeria a Londra era l'abbazia di Westminster. Però, come dicevo prima, il suo impiego non è un segreto.» «E il suo uso esperto?» «Potrebbero esserci molti guaritori che ancora l'adoperano.» Intuii che Guy riteneva tanto sgradevole quanto improbabile l'ipotesi che l'assassino di Roger potesse essere un ex monaco. «La sua base è l'oppio, vero? I papaveri debbono essere coltivati e fatti crescere. Chiunque fosse, avrebbe avuto bisogno di un giardino.» «Vero. Però molti coltivano i papaveri in giardino per il loro colore brillante, e anch'io li faccio crescere nel mio orto delle piante medicinali, per estrarne l'oppio.» Avrei voluto potergli dire che non si trattava solo di trovare qualcuno che avesse un motivo per uccidere Roger. Ancora una volta mi augurai vivamente che Barak e Harsnet l'avessero già catturato. «Come sta la signora Elliard?» chiese Guy. «Distrutta.» «Le sei affezionato.» «La ritengo una donna coraggiosa.» «Sì, lo è.» Pensai, non senza frustrazione, che non potevo raccontare per intero la storia neppure a Dorothy. Finii il mio vino. «Devo andare», dissi. «Grazie per essere venuto da Adam, Guy. Farò in modo che tu possa visitarlo di nuovo, e incontrare i genitori. Verrai la prossima settimana all'udienza in tribunale, a testimoniare sulle sue

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condizioni mentali e a chiedere che per ora venga trattenuto a Bedlam?» «Sì, verrò. Posso portare Piers?» Lo guardai stupito. «Voglio che quel ragazzo conosca tutti gli aspetti della professione di un medico. So che è solo apprendista speziale, ma ha una grande intelligenza. Mi propongo di pagargli gli studi di medicina.» «Te lo potresti permettere?» «Non sarà facile, ma da quando sono stato riconosciuto medico anch'io i miei introiti aumentano, e ho ancora la mia pensione di ex monaco. E i poveri dotati di capacità meritano di trovare chi li aiuta, di trovare dei protettori, non ti pare?» C'era una sfida nei suoi occhi. Rimasi sconcertato. Sarebbe stato un grosso investimento per Guy. Ressi il suo sguardo, rendendomi conto, non senza vergogna, di essere geloso: per molto tempo ero stato il solo amico di Guy. Mi affrettai verso casa per le strade affollate, visto che mancava poco al coprifuoco. Barak mi aspettava in studio. Si asciugava i capelli, fradici al pari dei suoi abiti. Skelly se n'era andato a casa. «Andata male?» domandai. «Abbiamo aspettato fino al tramonto, poi siamo venuti via. Quel bastardo è rimasto nascosto fra i canneti tutto il giorno.» Aggrottò la fronte. «Come fate a saperlo?» «Solo un'intuizione.» «Harsnet era furioso con se stesso, diceva che avrebbe dovuto lasciare noi di guardia e far venire qualche gendarme da Westminster per stanarlo. Non avrebbe mai creduto che qualcuno fosse capace di rimanersene nascosto tutto il giorno in quelle paludi gelate. Diceva che era come se quell'uomo fosse stato portato via da un diavolo.» «Proprio ciò di cui abbiamo bisogno.» «Ha ragione, mica era cosa da tutti stare lì disteso per un giorno intero. Io non ci sarei riuscito.» «Sappiamo quanto risoluto sia quell'individuo», risposi. «Ma come ha fatto a sapere che saremmo andati proprio in quel luogo, dov'era stato trovato il corpo? E questo che mi preoccupa.» «Anche me», disse con convinzione Barak. Rimanemmo in silenzio per un momento; poi Barak chiese: «Come sta Adam Kite?» «Non in sé. Mi auguro che Guy possa aiutarlo, ma non ci spero.»

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«Be', una novità perlomeno c'è. Ho mandato un messaggio a Gib Rooke, che ha risposto subito, per mezzo di uno dei suoi figli. Ci aspetta domani a casa sua per parlarci di quel delitto avvenuto a Lambeth quest'inverno.» Ancora in quelle paludi. La notizia, tuttavia, mi rincuorò: qualcosa di positivo dopo una giornata di orrori. «Grazie, Jack», risposi. «Dovreste andare a casa. Tamasin sarà preoccupata per voi.» «Stasera andrò a bere con qualche amico», ribatté brusco. Quando se ne fu andato entrai nella mia stanza. Povera Tamasin, pensai. E povera Dorothy: dovevo fare una scappata da lei prima di rincasare. Vidi sul mio scrittoio un fascio di incartamenti con il sigillo della Corte delle Suppliche: altro lavoro. Fuori la pioggia aveva ripreso a cadere, picchiettando contro le finestre. *** Capitolo tredici. Il giorno dopo Barak e io prendemmo di nuovo la via delle paludi. Eravamo a cavallo: il tempo era limpido e soleggiato, una vera giornata primaverile, e le bestie erano un po' ombrose; Sukey, la giumenta nera di Barak, fiutava l'aria agitando la bella testa. Mentre attraversavamo la città vidi crochi e bucaneve spuntare ovunque, persino fra le macerie del monastero in rovina di Blackfriars. Alla fontana di Cheapside guardai gli accattoni. C'era anche quello di Bedlam, che cantava tra sé una cantilena priva di senso, e portava bucaneve infilati tra i capelli arruffati; tuttavia scrutava la folla con occhio acuto, pronto a cogliere lo sguardo di qualcuno per indurlo a gettargli una moneta. Varcammo il Ponte di Londra e passammo per Southwark. Il figlio di Gib aveva dato le indicazioni a Barak: dovevamo prendere un viottolo all'estremità più lontana del sobborgo di Southwark, dove c'era una chiesa ai margini delle paludi, e seguirlo attraverso gli acquitrini fino alle capanne degli ortolani. Trovammo abbastanza facilmente la chiesa, un piccolo edificio normanno quadrato, appollaiato proprio in riva ai canneti. Lì accanto una larga strada s'inoltrava fra le paludi, snodandosi tutta curve per restare sul terreno più compatto. Oltrepassammo un gruppo di uomini intenti a rinforzare con ciocchi bruciati e rami un tratto di sentiero fangoso e franato; si fecero da parte, inchinandosi. Mi chiesi se i coloni avessero allargato e migliorato quella strada da soli, per portare al mercato i loro prodotti. Stavano

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sviluppando l'intera zona, e non c'era da stupirsi che i proprietari terrieri ambissero a mettere le mani sul frutto delle loro fatiche. «Il nostro macellaio è stato arrestato», mi disse Barak. «Anche lui?» Lo fissai allarmato. «Mica avrete comprato carne in Quaresima?» «No. Io per me l'avrei fatto, ma Tamasin è anche troppo prudente.» «Ha sempre avuto la testa sulle spalle.» «Se è vero che Catherine Parr ha simpatie riformiste», disse Barak cambiando discorso, «si metterà in una posizione rischiosa, se sposerà il re. Gardiner e Bonner la terranno d'occhio, controlleranno ogni parola che dice, nella speranza che si lasci scappare qualche affermazione riformista per correre a riferirla al re.» «Lo faranno. Ma ci vuole un bel coraggio a rifiutare una proposta del re.» Barak guardò verso le paludi. «E se quei due delitti avessero qualcosa a che fare con lei? Qualcuno che vuole impedire le nozze?» «Thomas Seymour potrebbe avere un motivo», dissi. «Non mi vedo Thomas Seymour starsene disteso sul ventre in una palude per la maggior parte di una giornata fredda: avrebbe rovinato i suoi bei vestiti.» Barak parlava disinvolto, eppure nella sua voce c'era una nota stonata mentre s'inoltrava fra i canneti che ci attorniavano. Presso il viottolo apparvero alcune capanne circondate da orticelli: quella di Gib era la quinta, una baracca intonacata d'argilla come le altre, con il fumo che si torceva fuori da un buco nel tetto di paglia. Gib era al lavoro nel suo appezzamento, stava dissodando il terreno pesante con la zappa. Una donna e parecchi bambini piccoli lavoravano anch'essi, sarchiando e seminando. Barak chiamò Gib per nome, e lui venne da noi, seguito da moglie e figli. Ci si raccolsero intorno mentre smontavamo di sella; i bambini mi guardavano a occhi sgranati. «Il mio avvocato», mi presentò tutto orgoglioso Gib. «Ha chiesto il mio aiuto per un certo affare.» Sua moglie, una donna smilza dall'aria stanca, mi fece una riverenza, sorridendomi con calore. «Vi siamo tanto riconoscenti, signore, per ciò che avete fatto. Non lo dimenticheremo mai.» «Vi ringrazio.» La gratitudine mi faceva piacere, come a tutti gli avvocati: capitava di rado.

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Gib batté le mani. «Via, Maisie, bambini, al lavoro! Mastro Shardlake e io dobbiamo discutere di faccende riservate.» Barak mi strizzò l'occhio. La famiglia tornò alle sue fatiche, mentre i bambini ci gettavano occhiate da sopra la spalla. «Non voglio che sentano di quel brutto affare», disse Gib, facendosi d'un tratto serio. «Legate i cavalli al palo, signore, e venite dentro.» Lo seguimmo nella capanna, che puzzava di umidità e di fumo. Nella stanza c'era qualche povera suppellettile, e un fuoco ardeva in terra al centro del pavimento, fornendo un poco di calore. L'unica finestra era priva di vetri, con le imposte di legno grezzo aperte. Guardai fuori, verso l'orto e le paludi che si stendevano oltre quello. «Già, è un posto triste», disse Gib. «Deve anche essere stato solitario quest'inverno, con tutta quella neve.» «Sì, e dannatamente freddo. Adesso almeno possiamo scaldarci seminando. Sedete su quella panca.» Ci offrì un po' di birra acquosa e si accomodò su uno sgabello di fronte a noi. «Allora», disse guardandoci gravemente, «avete qualche domanda sul povero Wilf Tupholme?» «Era l'uomo assassinato?» «Sì.» Fece una pausa, raccogliendo i propri ricordi. «Fu trovato a gennaio. Ricercano Elizabeth la Gallese, con cui viveva. Una puttana di Bankside.» Sputò nel fuoco. Barak e io ci scambiammo un'occhiata: sembrava proprio che fossimo sulla strada sbagliata. «È sicuro che sia stata lei?» chiesi. «Sicuro quanto basta da spiccare un mandato di cattura. Lei e Wilf vivevano insieme da qualche mese, ma litigavano sempre. A tutt'e due piaceva troppo bere. Lui la buttò fuori di casa a dicembre, e un mese dopo fu trovato morto. Il coroner cerca di rintracciarla, ma le altre puttane dicono che se n'è tornata nel Galles. Se è andata a cacciarsi lassù, non la troveranno mai.» «Ma non c'erano prove chiare?» «Be', chiunque l'abbia fatto doveva proprio odiarlo.» Ci guardò incuriosito. «Voi dite che è stato qualcun altro?» «Non lo sappiamo. A Westminster avete detto che probabilmente lo aveva ucciso il padrone del suo terreno.» «Era solo per fare arrabbiare Sir Geoffrey», ghignò Gib; ci osservava vivamente incuriosito, ma capiva che non gli avremmo detto altro.

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«E allora, che accadde?» chiese Barak. «Avete detto che fu ucciso nel modo più orribile.» «Sì. Ve lo racconterò mentre andiamo a casa sua. Ha la chiave il suo vicino, credo che vi andrebbe di dare un'occhiata.» Piegò il capo verso la finestra, e io notai che uno dei figli, una ragazzina di una decina d'anni, s'era accostata alla finestra mentre andava su e giù per l'orto, seminando. «I porcellini hanno orecchie grosse», disse a voce bassa Gib. Guardai Barak, che scrollò leggermente le spalle. Non sembrava che il delitto avesse qualcosa a che fare con le nostre indagini, ma potevamo comunque ascoltare la storia per intero. «Benone», dissi, «fateci strada.» Gib ci condusse lungo il viottolo, verso est. Le capanne si diradavano via via che il terreno si faceva più paludoso, e i nostri piedi sguazzavano nell'acqua, mentre fra i canneti si stendevano larghe pozze stagnanti. Una coppia di merli, i primi che vedessi quell'anno, svolazzava sopra le nostre teste. «E allora, che cosa accadde a Tupholme?» domandò Barak. «Wilf era un uomo strano», disse Gib. «Era sempre di cattivo umore, sempre tetro, sembrava che preferisse vivere solo nella sua capanna isolata. Lo vedevamo soltanto al mercato. Un paio di anni fa divenne un fanatico del Vangelo, ripeteva a tutti che la Fine dei Tempi era prossima: flagelli e terremoti e la venuta di Gesù per giudicarci tutti. Parlava delle gioie di essere salvi, ma in un certo modo soddisfatto, come se in segreto si compiacesse che noialtri poveri villani fossimo dannati. Andava oltre il fiume, in certe chiese di fanatici in città. Ma voi sapete com'è fatta 'sta gente, con loro spesso dura poco. L'autunno scorso si mise con Elizabeth la Gallese e lei venne ad abitare qui. Si ubriacavano e litigavano, come ho detto. Li si poteva sentire fin nelle paludi. Poi Wilf cacciò via Elizabeth. Dopo era di umore nero, lo trovavano a girare per i sentieri sbronzo perso. Poi scomparve e il suo vicino vide che la sua baracca era chiusa a chiave. Dopo un po' il vicino pensò: Se n'è andato e io mi piglio la terra prima che torni. Perciò ruppe un'imposta per dare un'occhiata dentro. Disse che la puzza per poco non lo stendeva.» Gib pareva cupo. «Wilf era dentro, sul pavimento, legato, morto. Era stato imbavagliato. Dicevano che i suoi occhi sbarrati erano qualcosa di terribile da vedere. Qualcuno l'aveva tagliuzzato tutto, poi legato.

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Aveva una grossa ulcera in una coscia, tutta nera e piena di vermi. Aveva uno straccio cacciato in bocca perché non gridasse. Se fosse morto per la gamba, o per il freddo o la fame nessuno lo sa, ma dissero che la faccia era spaventosa.» Rimanemmo in silenzio. Una morte, la sua, ancor peggiore di quella di Roger. Quell'uomo doveva essere perito dopo una lunga agonia. «Se la gamba gli s'infettò, probabilmente lo uccise», disse Barak. «Elizabeth la Gallese merita la forca», disse Gib con improvvisa violenza. Guardai Barak, che scosse significativamente il capo. Per quanto orripilante fosse quel delitto, non aveva nulla di simile a quelli di Roger e del dottor Gurney. Gib ci condusse per un sentiero laterale, dove sorgeva una capanna isolata, povera come le altre. Dal tetto non usciva fumo. Le imposte verdi erano chiuse e la porta aveva un grosso lucchetto. Il legno di una delle imposte era stato fracassato a un'estremità, dove il vicino l'aveva forzata. Gib guardò la casa, poi si fece un rapido segno di croce. «Vi porto la chiave», disse. «La tiene il vicino. Non ci vorrà molto.» Tornò sul viottolo principale, presto nascosto dalle canne. Osservai la terra coltivata intorno alla casupola. Incominciava già a germogliare, con l'erbetta nuova che spuntava a ciuffetti. «Un vicolo cieco», disse Barak. «Pare di sì. Eppure...» «Che cosa?» «Gib ha parlato di una grossa piaga. Conosco quella frase, o una simile. Ma da dove viene? La gente usa a volte frasi che non mi sono nuove. Il tesoriere Rowland parlava di una fontana di sangue. L'uomo che trovò il dottor Gurney disse qualcosa tipo. .. l'acqua tramutata in sangue, qualcosa circa il mare...» «Abbiamo già abbastanza da pensare senza i misteri delle parole», ribatté irritato Barak. «Sentite, quando Gib torna diciamogli soltanto che non c'è bisogno di entrare: sembra abbastanza chiaro che a farlo è stata quella puttana gallese, per spregio.» «Si tratterebbe di uno spregio enorme.» Gib fece ritorno pochi minuti dopo. «Pete Lammas mi ha dato la chiave, il coroner ha nominato lui responsabile della casa, ma non ha voglia di tornarci.» Esitò. «Signore», disse, «preferirei non entrare

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neppure io. Ho sentito già abbastanza racconti. Posso aspettare che mi riportiate la chiave?» «D'accordo», annuii. Gib porse la chiave a Barak, s'inchinò e se ne andò. «Sarò dunque io a occuparmene?» domandò Barak con una punta di sarcasmo. Aprì il lucchetto e spinse il battente. La porta era dura e nello spalancarsi raschiò sul pavimento. Barak e io facemmo un passo indietro per il puzzo che ci aggredì: l'odore di una macelleria misto a un tanfo di sudore e sporcizia. E un ronzio rumoroso, come emesso da uno sciame di mosche. «Jesù!» esclamò Barak. Ci inoltrammo cautamente nell'interno buio. Scorsi le sagome di alcune sedie, di un tavolo e di ciò che parevano cumuli di spazzatura sparsi tutto attorno. A dispetto della stagione era pieno di mosconi che ronzavano per la stanza, lenti e smarriti per il clima freddo. Li scacciammo dal viso. Il pavimento di terra battuta era costellato di mosconi morti. Barak andò alle imposte e le aprì. Nella luce che irruppe all'interno vedemmo che il locale era sudicio, con al suolo vecchie stuoie puzzolenti, un vaso da notte pieno in un angolo e stracci ovunque. I mosconi disturbati tornarono a posarsi sugli stracci e sul pitale; qualche altro volò via dalla finestra. «Gib ha detto che aveva la coscia brulicante di larve», disse Barak. «Devono essersene dischiuse le uova. Qui c'è abbastanza porcheria per nutrirle.» Sollevò uno degli stracci con la punta del piede, e ne volarono via un paio di mosche. «Una sua braca, immagino. Dentro c'è uno squarcio, ed è indurita di sangue rappreso. Jesu, ferire qualcuno e lasciarlo morire per le piaghe infette. Questa sì che è una vendetta.» Rimasi al centro della stanza maleodorante, guardandomi attorno. «Probabilmente gli uomini del coroner hanno tagliato via gli abiti dal corpo e li hanno lasciati qui», dissi. «Guardate, lì ci sono alcuni frammenti di corda.» «Questa stanza doveva essere già abbastanza lurida anche prima che quel poveraccio fosse ucciso.» Guardai il letto a rotelle nell'angolo, con le coltri grigie di sporcizia. Sopra c'era una croce di legno da due soldi, inchiodata alla parete d'argilla: un ricordo del passato di fanatico della Bibbia di quell'uomo?

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«Andiamocene da qui», disse Barak. «Non c'è altro che sporcizia e stracci.» «Non ancora.» Mi sarei voluto sedere, perché dopo essere rimasto tanto tempo in piedi la schiena mi faceva male, ma non osavo. «Questo è un luogo solitario e lui non era ben visto. Se l'assassino di Wilf Tupholme lo conosceva, avrà pensato che se l'avesse legato e lasciato morire nel cuore dell'inverno, sarebbero passate settimane prima che qualcuno entrasse in questo posto.» «Perché dite 'l'assassino'? E stata di sicuro la sua donna.» «Mi stupisce.» Osservai una larga chiazza di sangue sul pavimento, presso il focolare spento da molto tempo. «Fu sopraffatto, forse stordito, legato, gli fu cacciato uno straccio in bocca, poi venne disteso qua. Infine gli squarciarono la gamba. Di certo una puttana ubriaca che aveva cacciato di casa gli avrebbe più facilmente dato una botta in testa.» «Voleva procurargli una morte lenta», disse cupo Barak. «E se non fosse stata lei?» «E chi altro, allora?» «Qualcuno che uccide abilmente, con cura, per offrire uno spettacolo raccapricciante.» Alcuni scarafaggi avanzavano verso la macchia di sangue. «Jesu, quanto deve avere sofferto.» «Non c'è niente in comune con gli altri», disse impaziente Barak. Scostò gli stracci con un piede. «Ehi! E questo cos'è?» Qualcosa tra i rifiuti aveva prodotto un suono metallico. Barak si chinò e, torcendo il naso, frugò tra i brandelli di stoffa. Si rialzò con un grosso distintivo di stagno, raffigurante un'immagine dipinta di una struttura muraria ad arco. Lo presi dalla mano di Barak. «Il distintivo di un pellegrino. Proviene dal sepolcro di sant'Edoardo il Confessore a Westminster. Strano oggetto, in casa di un fanatico della Bibbia: non ritengono tutti i santuari un'idolatria papista?» «Magari è caduto a una delle guardie mentre portavano via il cadavere», suggerì Barak. «Difficile. Oggigiorno non si portano distintivi di pellegrinaggio, per non farsi prendere per papisti. Qualcuno, però, lo ha lasciato cadere qui. Guardate il resto di quella roba, Jack, vedete un po' che altro riuscite a trovare.» «Sempre io a fare i lavori comodi, eh?» Barak prese a rovistare fra gli abiti sporchi e l'immondizia. «Qui non c'è altro», disse alla fine. Guardò

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la croce sul muro, poi la macchia di sangue presso il focolare. «Povero bastardo», disse. «Mi chiedo se si sia pentito delle sue fornicazioni, mentre stava qui disteso a osservare i vermi che gli mangiavano la gamba.» Trasalii. «Che avete detto?» «Ho detto che mi chiedevo se si era pentito di avere passato il suo tempo con una puttana...» «No, no, avete detto 'si sia pentito delle sue fornicazioni'. Perché avete usato quella frase?» Mi squadrò come se avessi perduto il senno. «Non lo so, m'è venuta in mente e basta. Non è nella Bibbia?» Gli diedi una pacca su una spalla. «Sì, lo è. Frasi della Bibbia, ecco ciò che adesso si ascolta ovunque, non è così? Dal pulpito, nelle strade. Sono entrate a fare parte del linguaggio quotidiano. Ecco perché m'erano rimaste in mente quelle frasi.» Rimasi immobile in quel luogo orribile, immerso nelle mie riflessioni. «Ma è possibile?» «Possibile che cosa?» «Oh, Jesu», dissi piano. «Spero proprio di sbagliarmi. Venite.» «A proposito di che? Parlate per enigmi...» «Dobbiamo andare in una chiesa. Quella ai margini delle paludi andrà bene.» Lo precedetti fuori dalla capanna, percorrendo il sentiero a grandi passi. Barak chiuse la porta e mi seguì: una volta tanto doveva correre per tenermi dietro, tale era la mia velocità mentre mi precipitavo verso la casa di Gib, che era tornato al lavoro. Lasciai che Barak gli restituisse la chiave, e io slegai i cavalli e usai un tronco d'albero come montatoio. «Perché tanta fretta?» chiese Gib; Barak correva verso di me, tutto animato in volto per la curiosità. «Che cosa avete scoperto?» «Niente!» gli gridò Barak balzando in sella a Sukey. «Deve andare in chiesa, ecco tutto!» * * * La porta della chiesa era aperta, ed entrammo nel freddo dell'interno. Vidi che era ancora decorato nel vecchio stile, con le pareti dipinte a colori vivaci e consunte piastrelle che creavano un motivo ornamentale sul pavimento. Ovunque ardevano candele e c'era odore di incenso, benché le nicchie che un tempo avevano ospitato reliquiari e statue dei santi fossero vuote. Su un leggio, accanto a un altare riccamente

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decorato, c'era una Bibbia assicurata con una catena. La Bibbia Inglese, che Lord Cromwell aveva ordinato di porre in ogni chiesa un anno prima della sua caduta. Riflettei che quella chiesa in particolare era un'immagine fedele di ciò che il re desiderava vedere: niente santi e reliquie, ma a parte quello ogni cosa era rimasta come prima della rottura con Roma. Qui, perlomeno, tutto si atteneva all'ortodossia. «Perché siamo qui?» domandò Barak, seguendomi lungo la navata centrale. «Voglio consultare quella Bibbia. Sedetevi su un banco, mentre io cerco ciò di cui ho bisogno.» «Ma che cosa?» Mi volsi verso di lui. «Abbiamo parlato dei fanatici della Bibbia, dei fanatici millenaristi che dicono che presto verrà il tempo dell'Armageddon. In questi giorni vanno predicando il loro messaggio ovunque: per questo il vescovo Bonner è tanto impaziente di fermarli. Ma da dove traggono il loro messaggio, da quale parte della Bibbia?» «Dal Libro dell'Apocalisse, no?» «Sì, dall'Apocalisse di san Giovanni evangelista. È da lì che provengono la maggior parte delle loro citazioni. E l'ultimo libro della Bibbia, pieno di parole selvagge, feroci, crudeli, difficili da comprendere, a differenza di ogni altro del Nuovo Testamento. Sia Erasmo sia Lutero dubitavano che l'Apocalisse fosse realmente parola di Dio, quantunque adesso Lutero lo ritenga perlomeno un libro ispirato.» «Voi dite che da lì provengono le frasi che ricordate? Ma come...» «Credo che derivino da un punto ben preciso del Libro dell'Apocalisse. Ma, per cortesia, state zitto un momento, non mi distraete», dissi con una certa rudezza. Scuotendo la testa, Barak sedette sul banco dai soffici cuscini di una ricca famiglia, nella prima fila. Salii al leggio e aprii la grossa Bibbia dalla copertina blu. Indugiai sul frontespizio: il re in trono, sotto di lui Lord Cromwell e Cranmer che porgevano la Bibbia a signori in abiti sontuosi, i quali a loro volta la passavano ad altri di ceto meno elevato. Ne sfogliai quindi le spesse pagine, fino all'Apocalisse. Trovai la parte che cercavo e lessi lentamente, seguendone il testo con il dito. Alla fine mi alzai. «Barak», dissi con calma, «venite a vedere.»

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Barak mi raggiunse. «Guardate», dissi, «questo è il passo dell'Apocalisse nel quale vengono mostrati a san Giovanni i sette angeli che versano sulla Terra le sette coppe dell'ira.» «Ricordo che una volta il nostro vicario lo aveva letto. Non ci capii niente, mi sembrava il sogno di un pazzo.» «Il sogno di un pazzo. Sì, ben detto. Ecco, guardate qua, Capitolo 2.» Citai: «Le ho dato tempo affinché si ravvedesse, ma non vuole ravvedersi dalla sua fornicazione. Quando adoperaste quella frase, o una sua variante, capii da dove provenivano tutti quegli altri versetti rimastimi in mente. » Voltai diverse pagine, finché non giunsi a un capoverso: Gli angeli versano le coppe dell'ira. «Ora, ascoltate questo», dissi. «Capitolo 16: 'E udii una grande voce dal santuario che diceva ai sette angeli: "Andate e versate le sette coppe dell'ira di Dio sulla terra. E andò il primo e versò una coppa sulla terra; e vi fu un'ulcera cattiva e maligna sugli uomini che portavano il marchio della Bestia, e adoranti la sua immagine'". Un'ulcera cattiva e maligna. Gib parlava di una 'grossa ulcera'. Il povero Wilf Tupholme fu assassinato nello stesso modo delle vittime della prima coppa. Ed era un credente caduto nel peccato di fornicazione. Molti avrebbero detto che ciò significava che portava su di sé il marchio della Bestia.» Barak corrugò la fronte. «E voi pensate che quanto accaduto al contadino corrisponda a ciò che è scritto qui?» domandò, dubbioso. «Come i fanatici religiosi che cercano di adattare a quelle profezie tutto ciò che capita? Ma lui non aveva marchi su di sé, né della Bestia né di chiunque altro. E comunque, di che marchio si tratta?» «Il numero 666. Nell'Apocalisse, però, non è chiaro se sia un vero e proprio marchio sul corpo.» «Se tutti i fanatici religiosi che hanno cambiato idea dovessero essere uccisi, ci sarebbero morti per ulcere cattive in tutta Londra.» «Una sola morte potrebbe essere simbolica. Se questo fosse l'unico riferimento sarei d'accordo con voi, Barak. Ma ascoltate questo: E il secondo versò la sua coppa sul mare; e vi fu sangue come di un morto, e ogni essere vivente morì nel mare. Se Wilf Tupholme fu il primo a morire, ciò significa che il dottor Gurney fu il secondo. Morì nell'acqua salsa, in uno stagno formato dalla marea trasformatosi in sangue.» Barak era perplesso mentre leggeva i versetti per conto proprio: avevo fornito materia di riflessione persino alla sua mente scettica. «E

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continua», proseguii a bassa voce. «E il terzo versò la sua coppa sui fiumi e le sorgenti delle acque; e vi fu sangue. Roger Elliard morì in una fontana di sangue.» Improvvisamente sopraffatto dall'emozione, afferrai i bordi del leggio. «Povero Roger, che bestemmia.» «Però il dottor Gurney e mastro Elliard avevano fama di essere uomini dabbene», disse Barak. «Sì, certo. È come se avessero commesso un peccato; oppure il bruto che li ha uccisi credeva che lo avessero commesso.» Sospirai profondamente. «E Roger, al pari di Tupholme, un tempo era stato un radicale, ma aveva abbandonato quelle idee. Chissà se l'aveva fatto anche il dottor Gurney.» Guardai Barak. «Be', allora siete d'accordo con me? Che qualcuno uccide delle persone secondo la profezia delle coppe dell'ira?» «Affinché la profezia si adempia», rispose lentamente lui. «Sì, simbolicamente.» «Gesù.» Appariva sinceramente scosso. Rimase zitto per un momento, poi disse: «Ciò vuol dire altri quattro delitti». «Sì.» «Che succede dopo?» Lessi di nuovo l'Apocalisse. «E il quarto versò la sua coppa sopra il sole; e fu dato a questo di ardere gli uomini con fuoco.» «Maledizione», disse Barak. «Gente lasciata a marcire, morta nell'acqua; il prossimo sarà bruciato con il fuoco.» «Non credo che ciò abbia a che vedere con Catherine Parr», dissi. «Dopo tutto, non è questione di politica, Barak: qui si tratta di religione. Una religione folle, degenerata.» Barak fissò le pagine, sfogliandole. «Che succede dopo che le sette coppe o calici sono versati? Come va a finire?» Scoppiai a ridere, udendo risuonare nella vecchia chiesa un'eco mezza isterica. «Voi che ne pensate? Questo è il Libro dell'Apocalisse, Barak. Termina con la distruzione del mondo intero.» *** Capitolo quattordici. Ci recammo subito a Lambeth Palace, cavalcando rapidi per la strada che costeggiava il Tamigi, schizzando spruzzi di fango e attirandoci gli sguardi stupiti dei passanti. Quando arrivammo al palazzo chiesi immediatamente del segretario di Cranmer. Morice apparve in fretta:

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era un ometto pallido, vestito di nero, che ci squadrò dubbioso. Gli dissi chi ero e che avevo novità urgenti, e filò via svelto, lasciandoci soli nella Great Hall. Qualche momento dopo fu di ritorno e ci riferì frettolosamente che l'arcivescovo aveva mandato a chiamare a Whitehall gli altri che partecipavano alle indagini. Ci fece accomodare in una stanzetta confortevole, ad aspettare il loro arrivo. «Solo una cosa», gli chiesi. «Per cortesia, potreste procurarmi una copia del Nuovo Testamento?» «Lo farò portare.» Ci studiò perplesso, poi sorrise prima di uscire, con un inchino. «Siete proprio certo di quell'idea?» domandò Barak quando la porta fu richiusa. «A me sembra una fantasia. Non so come la prenderanno Cranmer e gli altri.» «Avete visto il capitolo. Parla da solo, non c'è che dire.» «Ma parla di migliaia uccisi da ciascuna coppa dell'ira, non di un uomo solo per volta.» «Ritengo che sia una specie di diabolica, perversa allegoria...» M'interruppi quando comparve un servitore con una copia della Bibbia. La posai sul tavolo, immergendomi nuovamente nelle parole dell'Apocalisse. Barak sbirciava sopra la mia spalla. Ero fin troppo consapevole che se avessi preso un abbaglio, o equivocato qualcosa, difficilmente la reazione degli altri sarebbe stata piacevole. «Questo libro non significa niente», disse alla fine Barak. «Racconta la medesima storia in modi diversi: differenti versioni di come avverrà la fine del mondo, angeli, guerre e calici. Non c'è...» «Una logica? Lo so. È l'unico libro del Nuovo Testamento a essere così oscuro.» «Però è un'allegoria potente. Bene o male ti resta conficcata nella testa.» Lesse: «E il fumo del loro tormento sale per i secoli dei secoli, e non hanno riposo giorno e notte coloro che adorano la Bestia e la sua immagine. La Bestia è il diavolo?» «Sì, anche se certuni sostengono che sia la Chiesa di Roma. Ci sono tante interpretazioni dell'Apocalisse quanti sono gli interpreti, e ognuno afferma che la sua spiegazione è quella vera. Perlopiù in realtà sono fanatici ignoranti. Questo libro sta creando molti problemi nel mondo.» «Conoscete bene la Bibbia», commentò Barak, studiandomi incuriosito.

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«Non in modo particolare l'Apocalisse, ma la Bibbia sì.» Sorrisi, non senza tristezza. «Fra i venti e i trent'anni fui un fervente fautore della Riforma.» «Non avete detto che Erasmo e Lutero dubitavano che l'Apocalisse fosse autentica? Perché?» «Anticamente circolavano parecchi vangeli, molti più dei quattro che adesso costituiscono la Bibbia, e un'infinità di Apocalissi, che profetizzavano in che modo sarebbe finito il mondo. Tuttavia gli antichi sapienti che stabilirono quali fossero gli autentici testi cristiani ispirati direttamente da Dio scartarono tutte le Apocalissi, tranne una, soprattutto perché ne era creduto autore san Giovanni. Erasmo e Lutero, però, formularono dei dubbi; era troppo diversa dal resto del Nuovo Testamento in quanto a violenza e crudeltà, e per la rappresentazione di Gesù come severo giudice divino, 'colui che ha le chiavi della morte e dell'inferno'.» «Adesso le tiene in mano qualcun altro», commentò Barak. Sbuffò e chinò il capo. Non s'era mai imbattuto in un orrore pari a questo, ed era turbato fin nel profondo. Anch'io lo ero; tuttavia dovevo agire, parlare con Cranmer e gli altri, concentrarmi su quello. Trasalimmo entrambi quando, poco dopo, la porta si riaprì e apparve il segretario di Cranmer, che s'inchinò. «Sua Eccellenza vi riceverà, mastro Shardlake», disse. «Solo voi, il vostro uomo deve rimanere qui.» Cranmer sedeva al suo scrittoio; Lord Hertford, Thomas Seymour e il coroner Harsnet erano in piedi intorno a lui. Quel giorno Thomas Seymour sfoggiava un farsetto di seta rossa, con le maniche aperte a mostrare una fodera giallo vivo; il fratello, invece, vestiva di scuro. Tutti mi squadravano gravemente, in attesa. «Che cosa avete scoperto, Matthew?» chiese calmo l'arcivescovo. Trassi un gran respiro. «Vostra eccellenza, credo di sapere perché il dottor Gurney e il mio amico furono uccisi. E a dicembre fu assassinato un terzo uomo.» Cranmer si sporse in avanti. «Un terzo?» La sua voce era colma di orrore. «Sì. E, se ho ragione, ci saranno altre quattro morti.» Lord Hertford mi fissò con uno sguardo penetrante. «Allora forza, uomo, sputate la vostra storia», disse Sir Thomas Seymour.

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Esposi in termini concisi come fossi venuto a conoscenza della morte di Tupholme, e come le circostanze in cui era avvenuta mi avessero portato a metterla in relazione con l'Apocalisse. Mi ascoltarono in silenzio. Guardai la libreria di Cranmer. «Se controllate il Capitolo 16 dell'Apocalisse, mio signore...» «Conosco il Nuovo Testamento a memoria, Matthew.» Rifletteva intensamente, corrucciato. Thomas Seymour scoppiò in una risata grassa, che risuonò fragorosamente, facendo trasalire Cranmer. «Mai sentita una storia come questa. La testa dell'avvocato gobbo s'è rimbecillita per il troppo studiare.» Edward Seymour guardò il fratello con irritazione. «Ricorda dove ti trovi, Thomas, e tieni a freno la lingua.» Cranmer pareva immerso nei suoi pensieri e le sue dita giocherellavano con la grossa croce d'argento che gli pendeva dal collo. Quando si raddrizzò, la sua espressione era colma di sofferenza. «Penso che Matthew possa avere ragione. Queste morti corrispondono perfettamente al Capitolo 16 dell'Apocalisse, persino nella loro sequenza. E in questi tempi, quando qualunque apprendista si presume un'autorità delle Sacre Scritture... sì, un uomo sufficientemente folle e perverso può credersi ispirato a compiere la profezia... perché l'Apocalisse è soprattutto una profezia di ciò che deve avverarsi.» Si lasciò sfuggire un sospiro che era quasi un gemito. Lo fissai: parlava nuovamente di possessione diabolica, di un'anima umana caduta in balia del demonio? Hertford prese una Bibbia dalla libreria di Cranmer e cominciò a leggere. Annuì lentamente. «Ha ragione lui, mio signore. Questi delitti si adattano troppo alle coppe dell'ira per essere una semplice coincidenza. Ma possiamo trarne un piccolo sollievo.» «Un sollievo? E come?» chiese incredulo Cranmer. «Se lo scopo dell'assassino è compiere queste profezie, il fatto che la seconda vittima fosse il medico di Lord Latimer sicuramente non ha alcuna importanza.» Guardò Cranmer. «Non mira alla proposta di matrimonio.» Cranmer annuì lentamente. «Sì, è verosimile. Il re, però, potrebbe rimanerne inorridito oltre misura, se ne venisse a conoscenza.» Si volse verso Harsnet. «Credo che anche lui potrebbe ritenere l'assassino ispirato dal demonio, ed evitare ogni possibile coinvolgimento.» Sorrise

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amaramente. «È talmente superstizioso... per anni ho provato a convincerlo che sono tutte falsità, ma senza successo.» «Sua Maestà avrebbe necessariamente torto nel pensare a un'ispirazione diabolica?» Gli occhi ansiosi di Harsnet saettavano qua e là per la stanza. «Considerate la condotta blasfema che l'assassino persegue, l'abilità con la quale ha progettato questi tre spettacoli terribili, la sua inquietante capacità di trasportare i cadaveri per lunghi tratti.» «L'uccisione dell'ortolano era pensata come una messa in scena, ma ne fu incolpata la donna che quegli aveva cacciato.» «Poteva non sapere che cosa sarebbe successo, signore. Questo non vi fa pensare a un indemoniato?» «Perché voialtri baciapile dovete essere sempre pronti a gridare all'indemoniato?» sbottò irritato Thomas Seymour. «Dovremmo acchiappare quest'uomo, non perdere tempo in assurde speculazioni. Fino ad allora non si potrà sapere che cos'è.» Una volta tanto mi trovai d'accordo con Seymour. «Sir Thomas ha ragione, mio signore», dissi. «La sua cattura rimane la nostra priorità.» Cranmer mi guardò. «Ebbene, Matthew, da qui come proseguireste?» «Bisogna scoprire se quel Tupholme aveva qualche conoscenza in comune con Roger e il dottore...» «Balle, uomo!» esclamò impaziente Sir Thomas. «Quello era un bifolco, un illustre nessuno, mentre gli altri erano gentiluomini.» «Tupholme e Roger avevano coltivato entrambi convinzioni di un riformismo radicale, e, per quanto in modi diversi, tutt'e due le avevano abbandonate. Fu così anche nel caso del dottor Gurney?» «Temo di sì. E c'è un luogo in cui s'incontrano estremisti di ogni ceto: in chiesa.» «I tre morti non abitavano vicini», osservò Cranmer. «Non avrebbero potuto frequentare le stesse parrocchie.» «A volte i radicali frequentano altre chiese oltre le rispettive parrocchie», disse Hertford. «Formano gruppi privati per pregare e leggere la Bibbia. E perché mai non dovrebbero, essendo perseguitati e costretti a nascondersi?» aggiunse con improvvisa vivacità. «Suggerite dunque che il colpevole sia una persona che frequenta gli ambienti devoti?» mi chiese Harsnet, fissandomi negli occhi. «Non necessariamente, ma di certo è qualcuno che conosce i riformisti.»

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L'arcivescovo Cranmer si prese il viso tra le mani. Tutti tacevano; Hertford osservava con fastidio Harsnet. Compresi che l'arcivescovo era tra l'incudine e il martello, preso fra le sue personali convinzioni riformiste e i pericoli che gli estremisti costituivano per l'essenza stessa della Riforma. Lord Hertford, pensai, lo capiva, ma per il momento Harsnet no, era troppo indignato. Sir Thomas non si curava né dell'una né dell'altra cosa. Cranmer abbassò nuovamente le mani e si raddrizzò sull'alta poltrona, con il viso irrigidito. Mi fissò. «Matthew, per me, per tutti coloro che si trovano in questa stanza, il pericolo cresce di ora in ora. Alcuni miei dipendenti vengono sottoposti a interrogatorio per eresia, anche se non si trova nulla contro di loro, dato che non sono eretici. Si arrestano altri macellai. Ora circolano voci di una purga di librai. Il conte del Surrey è chiuso nella prigione di Fleet per avere violato la Quaresima. E voi avrete notato che commedie e spettacoli che ostentano simpatie riformiste vengono presi di mira, le loro locandine stracciate.» «Sì, mio signore.» Hertford annuì. «Siamo appesi a un filo.» «Potete immaginare quale regalo sarebbe per Bonner e Gardiner se a Londra qualcuno trucidasse i radicali che hanno voltato gabbana? Quest'orribile empietà sarebbe la manna dal cielo per la loro causa.» «Ho trovato una traccia sulla scena del delitto di Tupholme», dissi, e tirai fuori di tasca il distintivo, posandolo sul tavolo di Cranmer. Lord Hertford si chinò a osservarlo più da vicino. «Un distintivo di pellegrinaggio. Chi lo portava andò al sepolcro di sant'Edoardo il Confessore a Westminster. Ne ho visti, di questi oggetti, sulle vesti della gente, prima che i santuari fossero soppressi.» «Non poteva appartenere a Tupholme, se era un riformista», disse Harsnet. «E neppure alla sua donna», aggiunse Thomas Seymour. «Mai saputo che una baldracca di Southwark ne portasse uno.» Cranmer prese il distintivo, rigirandolo fra le spesse dita. «Dunque è stato l'assassino a lasciarlo cadere. Forse gli è caduto dal mantello mentre lottava per legare quel povero disgraziato di un contadino...» «Oggi non si portano distintivi di pellegrinaggio», disse Harsnet. «Altrimenti si passa per simpatizzanti del papa.» «Sì, sarebbe un gesto di sfida», concordai.

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«Potrebbe essere stato lasciato cadere deliberatamente», suggerì Edward Seymour. «Sì, mio signore», convenni. «E possibile. Ma potrebbe anche essere un legame con la vecchia religione.» Respirai profondamente. «Io credo che probabilmente anche per ridurre all'impotenza il povero Tupholme fu usato uno specifico, e secondo il mio amico dottor Malton l'unico luogo in cui gli specifici sono stati sicuramente impiegati in tempi recenti sono le infermerie dei monasteri benedettini. Volevo chiedervi, mio signore, se posso fare una ricerca negli archivi della Corte delle Aumentazioni, per vedere che cosa ne è stato degli infermieri benedettini di Londra.» Cranmer si sporse in avanti. «Potrebbe essere una spiegazione», esclamò ansiosamente. «Un ex monaco? Un folle, esacerbato papista che dà un esempio colpendo uomini un tempo radicali...» «Ma non sono proprio i riformisti radicali a pretendere di conoscere i segreti dell'Apocalisse?» Ancora una volta Sir Thomas mi stupiva con la sua perspicacia. «E forse questi delitti mirano a prendersi perfidamente gioco proprio delle loro opinioni», disse Cranmer. «Anche la chiesa cattolica aveva i suoi studiosi dell'Apocalisse, come Gioacchino da Fiore.» Il suo viso si rischiarò al pensiero che il movente religioso dell'assassino potesse essere conservatore, non radicale. Si alzò, fissandoci a uno a uno. «Mastro Harsnet, voglio che indaghiate se il colono aveva qualche legame con le prime due vittime, in particolare riguardo alla loro appartenenza religiosa. Matthew, voi cercate negli archivi della Corte delle Aumentazioni. Edward», si volse verso Hertford, «voi siete molto vicino al re, perciò vi affido il compito di fare sì che neppure una parola di tutto ciò giunga al suo orecchio.» Hertford annuì. «Posso riuscirci, purché nessuno dei presenti parli.» «E io?» chiese Thomas Seymour. «Tu, Thomas, tieni la bocca chiusa», rispose il fratello. Seymour arrossì. Hertford si rivolse a Cranmer. «Bene, noi indaghiamo su ciò che è avvenuto. Ma in avvenire? Se l'avvocato ha ragione, e io credo di sì, presto ci sarà un quarto delitto.» Aprì la Bibbia, leggendo ad alta voce: «E il quarto angelo versò la sua coppa sopra il sole; e fu dato a questo di ardere gli uomini con fuoco; e furono arsi gli uomini da vampa grande, e bestemmiarono il nome di Dio che ha il potere su questi flagelli, e non si ravvidero».

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«Che cosa farà?» chiese piano Cranmer. «Dove, contro chi e quando?» «La vittima potrebbe essere chiunque», dissi. «Ovunque a Londra, un uomo devoto come Roger oppure un uomo ricaduto nel peccato come l'ortolano. Non possiamo sapere quando colpirà, né dove.» «Allora non possiamo fermarlo?» «Solo se lo acciuffiamo prima», risposi. «E credo che colpirà di nuovo fra non molto.» «Perché?» chiese Harsnet. «Pare che Tupholme sia stato trovato alla fine di gennaio. Il dottor Gurney morì a febbraio, un mese dopo. Roger una ventina di giorni più tardi, una settimana fa. Potrebbe essere ragionevole aspettarci il quarto delitto nei prossimi quindici giorni.» «E le tre ultime coppe dell'ira?» chiese Thomas Seymour. «Che succede?» Cranmer sospirò gravemente. «La quinta coppa provoca morte ai peccatori con oscurità e grande dolore, il che potrebbe voler dire morte in uno qualsiasi fra un centinaio di modi diversi. La sesta coppa prosciuga le acque dell'Eufrate, e non so come lo si potrebbe simulare. E quando il settimo angelo versa la sua coppa si scatenano tuoni e lampi e un tremendo terremoto.» «Mio signore», dissi, «c'è un'ultima cosa che vorrei chiedervi, se posso. Ci sarebbe d'aiuto.» «Sì?» «Il dottor Malton. Fu lui a dirmi che nelle vecchie infermerie conventuali si usavano gli specifici. Potrebbe magari conoscerle, anche se non di persona. Vorrei metterlo al corrente. Ci ha aiutati con il narcotico.» «Non è un ex monaco?» chiese seccamente Hertford. «Sì, ma se Matthew dice che saprà mantenere il segreto...» Cranmer mi scoccò una lunga occhiata indagatrice, «... sono d'accordo. Potete parlargli, Matthew.» Hertford mi squadrò poco convinto, e Harsnet anche, ma Cranmer annuì. Per un momento regnò il silenzio, mentre riflettevamo sugli orrori che potevano attenderci. Poi Sir Thomas scoppiò a ridere. «Per Jesu, questo assassino avrebbe bisogno dei poteri del diavolo per scatenare un terremoto.» «Sono stanco delle vostre ironie, Thomas!» esclamò Cranmer volgendosi verso di lui con improvvisa violenza. «Sappiamo tutti, o

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almeno dovremmo sapere, che in questa storia potrebbe agire il demonio, con tutta la sua potenza. Però dobbiamo condurre le indagini servendoci della ragione.» «Dimentichi che la tua presenza qui è consentita unicamente perché sei mio fratello», disse Sir Edward. «E il collegamento con Catherine Parr, del cui benessere ti preoccupi tanto cavallerescamente, sembra non essere più in gioco. Tu non servi. E stato un errore da parte mia coinvolgerti fino a questo punto.» Scosse il capo. «Un'idiozia.» Per un istante Thomas Seymour avvampò di collera, poi si ritirò bruscamente accanto alla finestra come un bambino imbronciato. Cranmer tornò a rivolgersi a noi. «Ognuno di voi sa che cosa fare», disse. «Fatelo, e alla svelta.» E ci congedò con un cenno. Fuori, nel corridoio, Sir Edward e suo fratello si allontanarono senza esitazioni in direzioni opposte, ma Harsnet si trattenne accanto a me. Barak attendeva seduto su una panca un po' più distante nel corridoio. Si avvicinò e rimase in silenzio al mio fianco. «Pare che dobbiamo cooperare», disse Harsnet. «Avete fatto un bel lavoro scoprendo il legame con il colono, signore, e con il Libro dell'Apocalisse. Tuttavia prego che possiate sbagliarvi.» «Certo, è un pensiero che fa paura.» «Sono spiacente di avere parlato bruscamente durante la riunione. Non avevate torto, ci occorre la ragione per risolvere questi crimini spaventosi. Eppure l'idea che qualcuno che abbia studiato la Bibbia possa commettere tali azioni...» S'interruppe, scuotendo il capo. «È l'intera faccenda a essere mostruosa. Non ho mai sentito nulla di simile.» «Nemmeno io.» Mi fissò con gravità. «Tuttavia penso che dovremmo dedicare più tempo a riflettere su che genere di uomo sia costui.» «Intendete dire che potrebbe essere posseduto dal demonio, che lo induce a commettere certe azioni? Be', signore, a me pare più probabile che sia un malato di mente, e che sia la pazzia ad averlo portato a picchi di fanatismo mai visto.» Parlavo in tono pacato, ma fermo, pensando ad Adam Kite che farfugliava in ginocchio a Bedlam. E, come aveva detto Guy, la follia può assumere molte forme. Harsnet pareva turbato. «E voi credete che possa uccidere persone che hanno abbandonato una concezione biblica della fede?» Scosse la testa. «Secondo me è possibile. Ritengo che possa essere un adepto del radicalismo religioso, impazzito.»

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«Ma avete mai sentito di un pazzo, rimasto nonostante ciò in grado di progettare ed eseguire un piano tanto ambizioso? Il demonio, però, lo potrebbe. E se avete ragione, questa è una bestemmia.» «Confesso di non sapere con che cosa siamo alle prese, signore, ma attualmente non vedo alcuna necessità di tante congetture.» Harsnet chinò il capo: intuii che non voleva farsi trascinare in una disputa, desiderando rimanere in buoni rapporti con me, e ammirai la sua professionalità. Cambiai discorso. «Si direbbe che ci siano screzi fra Thomas Seymour e suo fratello.» Harsnet annuì. «Lord Hertford è un uomo intelligente, un grand'uomo. In circostanze normali potrebbe essere un ottimo riformatore in campo religioso, e anche nel correggere le ingiustizie sociali. La devozione alla famiglia è il suo unico punto debole. Tenere a freno il fratello non è facile.» «Sì.» Pensai: Un uomo realmente forte di certo non sarebbe indulgente fino a quel punto con i propri affetti famigliari. «Mi farete sapere che cosa accade alle Aumentazioni?» domandò Harsnet. «Un messaggio urgente, indirizzato alla mia personale attenzione, mi verrà recapitato.» «D'accordo.» «Se vi mando un messaggero, dovrebbe venire in studio da voi?» «Sì, oppure a casa mia se non mi trovo lì. Abito non lontano dal Lincoln's Inn, in Chancery Lane.» «Allora ci risentiremo presto.» Harsnet salutò Barak con un cenno, s'inchinò e se ne andò. Guardai il mio aiutante: era pallido. «Ha ragione lui», disse. «Questa roba è... mostruosa.» Sentii il peso di tutto ciò abbattersi su di me: la terrificante fine di Tupholme, di Roger e del dottor Gurney, assassinati tutti e tre con tanta precisione e determinazione. «Ci sono già stati dei profeti pazzi...» risposi incerto. «Leggere l'Apocalisse m'ha fatto paura», disse Barak. «E così...» Si sforzò di cercare la parola giusta. «Inesorabile. Come questo assassino.» «Voi non credete che sia un indemoniato, come pensa Harsnet?» «Non so che cosa sia.» «Bene, tutto quello che so io è che troverò l'assassino del mio amico. Su, adesso andiamo a Westminster, alla Corte delle Aumentazioni.» Diedi una manata sull'ampio dorso di Barak e lo precedetti all'esterno,

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camminando con una sicurezza che non provavo affatto, perché, qualunque cosa fosse, colui al quale davamo la caccia era senza alcun dubbio un mostro in forma umana. *** Capitolo quindici. Il giorno dopo andai da Guy. Era domenica 1° aprile, un'altra giornata mite e soleggiata; gli uccelli volavano tenendo nel becco erbe e rametti verso gli alberi sui quali si diffondeva la prima spolverata di tenero verde. Era il giorno dei Pesci d'Aprile, ma fortunatamente, per quanto le strade fossero animate, nessuno mi gridò dietro che s'era incendiata la coda del mio cavallo, o roba del genere. Sembravano tutti preoccupati: avevo sentito che due cortigiani sospetti di nutrire opinioni eretiche erano stati rinchiusi nella Torre. Barak e io avevamo trascorso il giorno precedente negli uffici della Corte delle Aumentazioni, cercando le registrazioni relative agli infermieri delle fondazioni benedettine di Londra. Qualche funzionario aveva stabilito che tutti i fascicoli dei monaci che godevano di una pensione fossero riordinati, creando di conseguenza un gran caos. Era sera quando ne riemergemmo coperti di polvere, con tre nomi, benché i loro indirizzi si trovassero attualmente in un registro separato, e l'ufficio non avrebbe riaperto i battenti fino al lunedì mattina. Mentre mi avvicinavo all'abitazione di Guy scorsi, al di sopra dei tetti, la mole dell'Old Barge, e avvertii una fitta di colpa. Non avevo ancora affrontato con Barak il discorso sul suo modo di trattare Tamasin. Era uno specialista nello scansare argomenti indesiderati, e temevo anche che se avessi provato a usare l'autorità quando era in questione la sua vita privata, non avrei ottenuto altro che farlo andare nuovamente in collera. Scossi la testa, non sapendo trovare la maniera giusta di agire. Quando svoltai nella viuzza di Guy avvertii la sgradevole sensazione già provata una volta o due durante il tragitto di essere seguito. Mi voltai rapidamente sulla sella, ma nel vicolo non vidi nessuno. Mi dissi che dare la caccia all'assassino di Roger mi rendeva troppo nervoso. Ricordai a me stesso che quella sera dovevo andare a cena da Dorothy, una prospettiva che mi riempiva in egual misura di piacere e tristezza. Legai Genesis davanti alla bottega di Guy e bussai alla sua porta.

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Fui fatto entrare, e vidi che il mio amico aveva già un altro visitatore, un uomo alto, robusto e rubicondo con una lunga barba grigia. Al pari di Guy indossava una toga da medico, ma di un taglio migliore. Reggeva in mano una lunga bacchetta di legno, con la quale indicava i vasi da farmacia allineati sugli scaffali di Guy. Il giovane Piers ne aveva presi un paio, e misurava con cura su un bilancino porzioni del loro contenuto. L'estraneo mi squadrò da sopra un lungo naso a becco. «Forse mi consentirete di finire il mio lavoro prima di rivolgervi al vostro cliente», disse in tono sussiegoso a Guy, che mi accennò di sedere con un'occhiata di scusa. Sedetti, osservando l'altro medico indicare un nuovo vaso. «Uno scrupolo di assenzio, e prenderò anche un'oncia di antimonio. Non avete sangue di gallo macinato, signore?» «Non ne tengo.» «Peccato. E una mirabile cura per l'emicrania.» «Che sapienza», borbottò Piers. Il medico lo squadrò, sospettando un'insolenza, ma il volto liscio del giovane era impassibile. Notai tuttavia che Guy soffocava un risolino mentre scriveva su una lavagnetta le ordinazioni dell'uomo. Era evidente che il collega s'era rivolto a lui per la sua seconda attività, quella di farmacista. L'omone sembrava uno di quei medici la cui filosofia era intimidire la gente con l'arrogante sicumera che spesso nasconde l'ignoranza. Mi stupiva che Guy lo sopportasse. «Questo è tutto, signore», disse il cliente. «Farò venire a prendere la merce domani. Quanto vi devo?» «Uno scellino.» «Siete a buon mercato.» Cavò fuori una borsa ben fornita, estraendone una moneta d'argento. Quindi mi degnò di un'occhiata. «Siete avvocato, signore?» domandò. «Di quale Inn?» «Lincoln's Inn», risposi asciutto. «Ho un paziente laggiù. Mastro Bealknap, che forse conoscerete.» «Sì. In questo periodo sembra debole e ammalato», aggiunsi di proposito. «Oh, presto lo farò stare meglio.» Il dottore pareva ignaro della critica implicita nelle mie parole. «Gli occorrono altri salassi, che in breve lo rimetteranno in salute. A proposito, sono il dottor Archer. Ho molta esperienza nella cura dei mali degli avvocati.» Sorrise con degnazione,

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poi, con un affettato cenno di inchino a Guy, si rimise la borsa alla cintura e uscì dalla bottega. «Chi era quel tizio?» domandai. Guy fece un sorrisetto ironico. «Archer è un pezzo grosso del Collegio di Medicina. Il mio rango è modesto, devo sopportare quell'individuo. E un grande tradizionalista, crede che non ci sia stato più nulla di nuovo nella medicina da Galeno in poi, tranne per i suoi ridicoli ritrovati. Gli permetto di venire qui a procurarsi gli ingredienti che gli occorrono. Ha molta influenza, gli piace proteggermi e sto attento a fargli pagare cifre inferiori al dovuto.» D'un tratto la sua voce suonò stanca. Scosse una mano. «Lasciamo perdere Archer. Siediti.» Prese una sedia presso il suo tavolo. «In che posso esserti utile, Matthew? Dalla tua faccia capisco che non è una visita di cortesia.» Prima di rispondere feci una pausa. Visto da vicino appariva affaticato, teso, e provai una certa riluttanza a trascinarlo in quella terribile storia di omicidi; eppure avevo bisogno del suo consiglio. Giocherellavo con il distintivo di pellegrinaggio che tenevo in tasca. Guy si volse verso Piers. «Ci porteresti un po' di vino, ragazzo mio? Non avresti dovuto prendere in giro il dottor Archer», aggiunse indulgente. «Per stupido che sia, l'hai messo in sospetto.» «Mi spiace, maestro, ma era difficile resistere.» «Sì», rispose Guy, «lo so.» «Che cosa devo rispondere se tornano quegli uomini per vendere l'olio del pesce gigante pescato nel Tamigi?» chiese Piers. «So che molti farmacisti ne comprano.» «Senza dubbio proclamando che ha ogni genere di poteri magici. Di' loro di andarsene. E non farli entrare, quella roba puzza.» «Devono essere stati loro, poco fa», disse Guy dopo che Piers fu uscito. «Credevo che fossero i monelli che bussano alla mia porta e scappano. Lo trovano un bel Pesce d'Aprile.» «Sei troppo indulgente con quel ragazzo, sai. È pericoloso prendersi gioco di un uomo come il dottor Archer.» «Ah, ma è uno strano ragazzo.» Guy sorrise nuovamente, poi il suo volto tornò serio. «Che è successo, Matthew? Si tratta di mastro Elliard?» «Sì.» Esitai. Quale diritto avevo di coinvolgerlo? Poi pensai: Perché può aiutarci. Ressi il suo sguardo. «Succede che Roger è stata la terza

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persona a venire assassinata di recente in un modo orribile, complesso e apparentemente privo di scopo. Credo però di conoscerne la ragione, se così la si può definire.» Gli dissi di Tupholme e del dottor Gurney, del legame con il Libro dell'Apocalisse e della possibilità che l'assassino perseguisse apostati dalla religione radicale. I lineamenti scuri di Guy parvero quasi tendersi, poi farsi più marcati mentre parlavo. «Conoscevo Paul Gurney», disse, quando terminai la mia narrazione e gli ebbi fatto giurare il silenzio. «Non bene, ma ci siamo incontrati a qualche funzione. Sembrava un uomo tranquillo, uno studioso. Niente boria, a differenza di Archer.» Scosse il capo. «Capisco che possa avere iniziato come riformista, per poi disgustarsi di quei radicali ignoranti e bigotti del giorno d'oggi.» S'udì un colpetto alla porta, e Piers entrò con il vassoio del vino. Il bel viso era di nuovo impassibile, ma nello sguardo dei suoi grandi occhi azzurri c'era qualcosa di cauto, che m'indusse a chiedermi se non avesse ascoltato dietro l'uscio. Lo guardai deporre il vassoio e uscire dalla stanza, e lasciai che notasse che l'osservavo. «Abbiamo trovato questo sul luogo dell'assassinio di Tupholme», dissi quando Piers se ne fu andato. Tirai fuori il distintivo. Guy lo rigirò fra le lunghe dita, poi mi gettò uno sguardo penetrante. «Pensi ancora che l'assassino sia un infermiere benedettino? Per via di questo e dello specifico?» «Lo ritengo possibile.» Esaminò il distintivo, poi me lo restituì con un profondo sospiro. «Potresti avere ragione. Non sappiamo che cosa abbia fatto diventare quell'uomo ciò che è ora.» «Barak e io abbiamo passato l'intera giornata di ieri alla Corte delle Aumentazioni, per rintracciare gli infermieri benedettini di Londra al tempo della soppressione delle fondazioni religiose. Quello che curava le monache di St Helen è morto, e quello di St Saviour è tornato presso la propria famiglia nel Northumberland, dove riceve la pensione. Però l'infermiere di Westminster ed entrambi i suoi assistenti si trovano ancora a Londra. Non ne avremo gli indirizzi fino a lunedì, ma abbiamo i nomi. L'infermiere si chiama Goddard, Lancelot Goddard. Aveva due assistenti, Charles Cantrell, un monaco, e Francis Lockley, un converso laico. Guy, hai mai sentito questi nomi?» «Te l'ho già detto, non li conosco. Quando venni a Londra non ero più un monaco. E, Matthew, dopo la soppressione molti ex benedettini

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giunsero a Londra da ogni parte dell'Inghilterra. Ciò che dovettero subire fu abbastanza per fare impazzire degli uomini», aggiunse con improvvisa amarezza. «Strappati via dalle loro case, dalla loro vita. Sbattuti in un mondo diverso, in cui la Bibbia viene interpretata letteralmente, i suoi simboli e le sue metafore sono dimenticati, e i fanatici non si turbano per il sangue e la crudeltà dell'Apocalisse. Hai mai pensato che Dio sarebbe, quello che avesse effettivamente ordinato e praticato la ferocia che s'incontra in quel libro? Un olocausto per l'umanità. Eppure molti di quegli esaltati ne accettano l'idea senza pensarci due volte.» «Il vescovo Bonner li spazzerebbe via con altrettanta crudeltà.» «Credi che non lo sappia?» rispose adirato. «I miei famigliari furono costretti dall'Inquisizione a fuggire dalla Spagna, anche se eravamo cattolici sinceri, perché portavamo l'onta di un passato islamico.» «Lo so, mi spiace.» «Anche a me. Perdonami per il modo in cui le parole mi sono uscite di bocca.» Si sporse in avanti, reggendosi per un momento la testa fra le mani, poi sollevò lo sguardo. «Scusa, Matthew», disse stancamente. «Tu eri venuto qui a cercare il mio aiuto.» «No, ho parlato senza riflettere. Si tratta di questo... Guy, l'altro giorno abbiamo parlato di pazzia. Harsnet crede che l'omicida sia un indemoniato, ritiene che un pazzo non sia capace di organizzare i delitti con tanta cura, con tanta pazienza. Pensiamo che sia rimasto nascosto nelle paludi di Lambeth per quasi un'intera giornata.» «Tu che cosa credi, Matthew?» «La possessione diabolica è un argomento al quale è facile ricorrere contro l'inspiegabile. Questi delitti, però, sono così strani e terribili da non sapere proprio come giudicarli. Persino Barak è impressionato: neppure lui aveva mai sentito qualcosa di simile.» «Io sì», rispose Guy con voce quasi impercettibile. Lo fissai immobile. «L'ossessione», rispose, «è un genere di pazzia di cui non abbiamo parlato a Bedlam. Un uomo può avere una singolare, stravagante mania in un certo settore della sua vita, eppure sembrare normale, o passare per normale, in altri. L'ossessione è nota fin dai tempi dei greci e dei romani. Io stesso, lo scorso anno, seguii il caso di un mercante che fin dalla giovinezza aveva l'ossessione di collezionare scarpe. Scarpe da uomo, da donna, vecchie

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scarpe rotte che ripescava dalle discariche. Se n'era riempito la casa. Solo sua moglie lo sapeva, e quando lo rimproverava, lui si limitava a rispondere che le scarpe servivano. Quando lei si rivolse a me, quell'uomo girava tutta Londra in cerca di scarpe, trascurando il suo lavoro.» «Ma che cosa ha a che fare con l'assassino questa tua storia strana?» «Abbi pazienza, Matthew. Incontrai il mercante, e alla fine mi disse che da bambino non aveva le scarpe. In qualche parte della sua mente aveva paura che avvenisse di nuovo. Soffriva di quell'ossessione da così tanto tempo da essersi quasi scordato come fosse incominciata.» «Venirne a conoscenza gli giovò?» Guy scosse tristemente il capo. «No. Non volle smettere, o non potè. Fece bancarotta e finì senza un soldo, come aveva cominciato. Ora sarà probabilmente morto, non potendo sopportare la dura vita del mendicante. Così, per colpa della sua ossessione, ciò che maggiormente temeva si avverò.» «Che storia triste.» «L'ossessione può assumere svariate forme. La più comune è l'amore. Certi si convincono di dover possedere la persona amata anche se tale persona è assolutamente inadatta; ma ciò, per l'amante, non ha alcuna importanza.» «Abbiamo sentito tutti di casi del genere.» «E se una vita può essere dominata da un amore distorto e furibondo, non potrebbe esserlo anche da un odio distorto e furibondo?» Guy si appoggiò allo schienale della poltrona, rigirando fra le dita il bicchiere che aveva vuotato. «E già capitato prima», aggiunse lugubre. «Dove? Quando?» Guy esitò ancora, poi riprese a parlare a voce molto bassa. «Dovresti sapere perché i miei studi un tempo presero una certa direzione. Quand'ero giovane, a Parigi, studiavo medicina. M'innamorai.» Sorrise. «Ma sì, proprio questo vecchio rinsecchito e nero. Amavo la figlia di un mercante di vino, era bella e intelligente, e di origine spagnola come me. La creatura più dolce che abbia mai conosciuto. Eravamo innamorati, volevo sposarla, ma nello stesso tempo avvertivo in me la vocazione a farmi monaco.» Mi guardò con tristezza. «Fu Dio a decidere, o almeno fu ciò che pensai allora. Una sera d'inverno lei sedeva accanto al fuoco, quando volò una favilla, e le incendiò l'abito. Morì il giorno dopo, per le ustioni e il dolore.»

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«Non l'ho mai saputo», dissi. «Me ne duole...» «Accadde molto tempo fa. Ma per un certo tempo rinnegai Iddio e odiai ogni cosa buona al mondo. Ero una furia. Studiavo le malattie mentali, e sondavo le profondità più tenebrose di tale studio con una sorta di rabbiosa soddisfazione. Fu quella la notte oscura della mia anima, ma, come dice san Tommaso d'Aquino, ciò può essere un gradino nella scala dell'amore mistico; con il passare del tempo conobbi nuovamente l'amore di Dio e tornai alla Chiesa. Sebbene, in realtà, una parte di me trovi ancora difficile perdonarlo, da quel peccatore che sono.» Per la prima volta vidi lacrime nei suoi occhi, e compresi che Guy era turbato, profondamente turbato da qualcosa. Aprii la bocca, ma mi prevenne. «C'era un caso di cui parlavano a Parigi, quand'ero giovane. Benché allora fosse ormai morto da sessant'anni, si parlava ancora del maresciallo Gilles de Rais, quando s'aveva voglia di far gelare il sangue.» «Chi?» «Un cavaliere francese. Un capitano vittorioso, che aveva combattuto contro gli inglesi a fianco di Giovanna d'Arco; sotto ogni aspetto era un uomo normale. Quando però si ritirò nei suoi possedimenti in Bretagna, prese a rapire e uccidere bambini nel più sadico e terribile dei modi.» «Bambini?» «Sì. Fece cose di cui non voglio neppure parlare. La gente dei luoghi sapeva che cosa faceva, ma era un uomo potente, al di sopra della legge.» Mi guardò cupamente. «De Rais faceva venire il barbiere del posto ad acconciare i capelli sulle teste dei bambini massacrati, che aveva collocato sulle mensole del salone, invitandolo a giudicare quale sembrasse la migliore. Questo è il genere di cose che faceva.» «Jesu.» «Infine, dopo cinque anni, De Rais commise l'errore di ini micarsi la Chiesa in una disputa, e una buona volta il vescovo locale intervenne. De Rais fu processato e impiccato per i suoi crimini, che, quando furono conosciuti, provocarono un'ondata di orrore in tutto il Paese. E al processo affermò di avere commesso i suoi crimini per il puro e semplice motivo che ne traeva piacere.» «Dio mio.» Rammentai un caso di tre anni prima, di un giovane da me conosciuto, che poco prima di perire egli stesso di morte violenta aveva torturato degli animali e ucciso un piccolo mendicante, e mi sentii accapponare la pelle come se vi zampettasse sopra un insetto.

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Lo sguardo che Guy posava su di me era tetro. «Ritengo che ci siano stati più mostri simili a quell'individuo di quanti ne conosciamo.» «Qualcuno che uccide brutalmente senza motivo. Eppure non ho mai sentito di...» Esitai, aggrottando la fronte nel ricordare qualcosa che risaliva a molto tempo addietro. «No, aspetta. Credo che ci fosse un caso...» Guy si sporse in avanti. «Sì?» «Quando eravamo studenti, ci venivano assegnati quesiti legali che comportavano la ricerca di precedenti nella giurisprudenza. Passavamo metà del nostro tempo a frugare tra vecchi libroni polverosi nella biblioteca del Lincoln's Inn. Ricordo che uno studente s'imbattè nel caso di un omicida... oh, doveva risalire a un centinaio d'anni prima, un uomo giustiziato per avere ucciso parecchie giovani donne. Dov'era... a Norwich, mi pare.» Sorrisi ironicamente. «Il processo non presentava nulla che potesse costituire un precedente legale, ma certi ragazzi lo lessero da capo a fondo perché i verbali del dibattimento erano pieni di particolari macabri. Sai come sono capaci di essere gli studenti.» Guy sorrise. «Tu no?» «No. Arrivando a Londra da Lichfield, pensavo che ci fossero cose macabre più che a sufficienza da vedere in città, anche allora. M'interessava maggiormente scoprire nuovi precedenti per sbalordire i vecchi avvocati. Cercherò quel caso in biblioteca.» Corrugai la fronte. «Non sono sicuro, però, che quell'uomo fosse un assassino di quelli che descrivi tu. Anche se lo fosse stato, debbono essere certamente rari. Come potrebbero farla franca, come sarebbe possibile che l'intera zona dove avvengono fatti del genere non dedichi tutte le proprie risorse a scoprire il colpevole? Da ciò che dici, De Rais era un uomo potente, ma senza dubbio una persona qualsiasi verrebbe rapidamente catturata, persino in una grande città.» «Sai quant'è difficile scoprire un delitto, Matthew. In Inghilterra più che nella maggior parte dell'Europa. Ogni città, ogni parrocchia fa rispettare la legge per mezzo di giudici di pace e coroner non di rado corrotti, con l'aiuto di qualche gendarme solitamente stupido.» «E che indagano sui delitti con poca o nessuna cura di controllare che cosa può accadere nei distretti confinanti. Sì, ho parlato di queste cose con Harsnet e Barak. E la maggior parte dei colpevoli vengono catturati perché sciocchi e irrazionali...»

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«Mentre questo pianifica ogni mossa con l'ossessione di un amante, attento, meticoloso e paziente. Dedica tutto se stesso a questo terribile compito... che forse esprime una collera senza limiti.» «E ha scelto come vittime apostati del riformismo radicale.» «Sì. Se gli individui di cui abbiamo discusso hanno qualcosa in comune, è un'estrema dedizione alle loro passioni contorte, al di sopra di qualunque altra cosa al mondo. Possono non avere ombra di coscienza. Nel loro mondo soltanto loro hanno importanza, e forse non è un passo troppo lungo convincere se stessi che Iddio in persona ha affidato loro la missione di cui tanto si compiacciono: compiere l'opera virtuosa e santa specificata nel Libro dell'Apocalisse.» Il volto di Guy era teso. «Ossessione», disse piano. «Una cosa malvagia, perfida.» «Dunque è un pazzo?» «Non può essere sano nel senso che diamo noi al termine. E tuttavia possibile che la sua intelligenza significhi che sa mostrarsi normale, persino lavorare, benché io ritenga che qualche sintomo dovrebbe presentarlo: una perversione di tali proporzioni deve lasciar trasparire dei segni...» Scosse nuovamente il capo, poi mi fissò con ardenti occhi scuri, colmi di dolore. «Quel distintivo di pellegrinaggio», disse. Lo tirai fuori. «E allora?» «Se abbiamo appreso qualcosa sul conto di quell'uomo, è quanto sia prudente. Non avrebbe mai lasciato cadere un oggetto raro e compromettente come un distintivo di pellegrinaggio proveniente dall'abbazia di Westminster.» «Come ha detto Barak, potrebbe non essere stato lui. Una delle guardie...» «Molto difficilmente avrebbe portato su di sé un distintivo di pellegrinaggio.» «Se a lasciarlo cadere fu l'assassino, non potrebbe averlo fatto deliberatamente, per metterci fuori strada?» «O per offrirci una traccia. Forse anche questo fa parte della sua follia. Ma dallo studio dei casi precedenti, Matthew, uno studio che mi pento di avere fatto e che da allora mi perseguita, c'è una sola cosa di cui sono certo: quest'uomo non si fermerà a sette. Come potrebbe, se uccidere è divenuto il centro del suo universo, di una mente collassata su se stessa?» «Le coppe dell'ira sono solo sette...»

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Guy annuì. «Ma l'Apocalisse è un'intera serie di storie violente, l'una dopo l'altra, in quantità. Quando termina un ciclo, ne ha molti altri fra cui scegliere.» «Jesu.» Sedevo accasciato e fissavo Guy. Mi venne in mente un pensiero terribile: Dorothy, al pari di Roger e di me, era una radicale che aveva cambiato idea. Mi dissi di non essere sciocco: le vittime non erano connesse fra loro, e non c'era alcuna ragione perché l'assassino dovesse cambiare il proprio comportamento e prendere di mira Dorothy. Poi era una donna, le cui opinioni contavano poco. Però dovevo metterla in guardia. Allora spalancai gli occhi, perché avevo visto che, alle spalle di Guy, la porta che conduceva al suo alloggio privato era lievemente aperta, d'una fessura appena. Qualcosa che luccicava aveva catturato il mio sguardo, e ora seppi che era un altro occhio che mi fissava. Per un istante il terrore s'impadronì di me: ero forse stato seguito? Senza una parola, indicai la porta aperta. Guy si voltò, poi, prima che potessi fermarlo, balzò in piedi e spalancò la porta. Dall'altra parte c'era il ragazzo, Piers, con una grossa scodella fra le mani. «Piers.» La voce di Guy era costernata, mentre fronteggiava il giovane. «Che stai facendo? Ascolti i nostri discorsi?» «Mi spiace, maestro», rispose umilmente il ragazzo. «Vi stavo portando il giusquiamo in polvere. L'ho preparato.» Accennava al recipiente che aveva in mano. «Sapevo che vi serviva con urgenza. Vi ho sentiti parlare, non sapevo se bussare o no.» Ero certo che mentisse, e compresi che neppure Guy s'era fatto ingannare. In un attimo la sofferenza fattasi via via più profonda nel corso del nostro colloquio si trasformò in collera. «E questo il modo di ripagarmi per averti preso con me, quando non avevi più né casa né amici dopo la morte del tuo vecchio padrone...?» La sua voce si levò in una nota di autentico dolore; poi Guy d'un tratto tacque, guardando Piers, che aveva fatto un passo indietro con la scodella stretta fra le mani. Emise un sospiro, poi allungò un braccio, posando una mano sull'ampia spalla del giovane. «Devi imparare a tenere a freno la curiosità», disse dolcemente. «Tenere per sé le confidenze ricevute, persino i segreti, fa parte della nostra professione.» «Sono spiacente, maestro.» Il ragazzo teneva gli occhi bassi. Guy prese la scodella del giusquiamo. «Grazie, hai fatto il lavoro presto e bene.»

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Piers si volse per andarsene, ma io lo richiamai, alzandomi e fissandolo con uno sguardo duro. «Il tuo padrone e io discutevamo di un affare di Stato. Se ti lasci scappare fuori da queste mura anche solo un soffio di ciò che hai udito, finirai alla prigione di Fleet o alla Torre, e sarò io personalmente ad assicurarmi che tu ci vada.» «Non ho sentito nulla», rispose calmo Piers, si sarebbe detto allo stesso tempo umile e contrito. «Ma prometto di non dire niente, signore. Lo giuro.» «Bada di mantenere la promessa, ragazzo.» «Va', Piers», disse stancamente Guy. L'apprendista s'inchinò e chiuse la porta dietro di sé. «Te l'avevo detto, Guy: dai troppa corda a quel ragazzo.» «Questo è affar mio», rispose seccamente; poi scosse il capo. «Mi spiace, le cose terribili di cui abbiamo parlato mi turbano profondamente. Garantisco io che manterrà il segreto.» «Devi, Guy.» Rimase in silenzio. Ero corrucciato: quando aveva rimproverato Piers avevo notato che il ragazzo aveva retto il suo sguardo, non con umiltà ma con una sorta di fredda sfida. Mi pareva che, in un modo che non avrei saputo definire, Guy avesse paura di lui. *** Capitolo sedici. tornavo verso il Lincoln's Inn con il sole caldo sulla faccia, nella prima brezzolina gradevole di quell'anno. Di norma la primavera mi piaceva, specie dopo un inverno duro come quello appena passato, ma gli orrori con i quali ero alle prese ne rendevano l'allegria una beffa. Mi dissi che non dovevo lasciarmi abbattere da quel peso. Ritornai con il pensiero a Guy, alle storie terribili degli omicidi che aveva studiato e avevano angosciato il suo cuore. Ripensai anche a Piers e alla curiosa sensazione che Guy potesse temerlo. Era comprensibile che il mio amico medico cercasse in quel ragazzo una specie di successore, persino un erede, eppure avevo l'impressione che quell'individuo si servisse di Guy come un bambino viziato approfitta con freddezza di un genitore troppo indulgente. Varcai il grande portale del Lincoln's Inn, lasciando Genesis al mozzo di stalla. Andai subito a casa di Dorothy. Margaret, che aprì la porta, mi disse che Dorothy era uscita per occuparsi delle incombenze del

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funerale di Roger, accompagnata dal vecchio Elias. Chiesi a Margaret di mandare Elias a cercarmi al loro ritorno, in biblioteca oppure nel mio studio. Dicendomi che l'apprensione che sentivo crescermi dentro era del tutto ingiustificata, mi recai alla biblioteca dell'Inn. Dovevo rimettermi in pari con molto lavoro, il giorno dopo avevo altre udienze alla Corte delle Suppliche, ma c'era una ricerca che dovevo fare subito. Di domenica Gatehouse Court era silenziosa, non c'era nessuno in giro. Poi scorsi una figura nerovestita dirigersi verso di me. Era Bealknap, proveniente dal suo studio. Mentre si avvicinava notai che aveva un aspetto più brutto che mai: pallido e febbricitante, con gli occhi iniettati di sangue. Persino quel breve tragitto lo faceva ansimare pesantemente. «Come va, Bealknap?» Mi dispiaceva per lui che venisse curato solo da quell'imbecille presuntuoso del dottor Archer: alla fin fine, era pur sempre un uomo sofferente. «Mi avete rovinato», sibilò, cancellando in un attimo i miei sentimenti caritatevoli. «Che cosa?» «M'avreste potuto aiutare per quel documento che non avevo inoltrato. Lo sapete che ero stato malato, ma non avete voluto aiutare un collega, e adesso ho perso il mio cliente migliore. Sir Geoffrey Coleswyn sperava di trarre profitto da quell'appezzamento e farà circolare la voce fra i proprietari terrieri che conosce.» «Per l'amor di Dio», sbottai con impazienza, «è stata colpa vostra. Quel che dite è ridicolo.» «Mi sono costruito una reputazione con i miei successi nello sfrattare occupanti abusivi e inquilini morosi. Proprio la gentaglia che voi difendete: furfanti, ladri di terre, buoni a nulla. Sir Geoffrey me la farà perdere...» «Non ho tempo per simili sciocchezze», ribattei; la sua faccia pallida e contorta dall'ira non faceva che accrescere il mio disprezzo. «Vi pentirete di ciò che mi avete fatto, Shardlake!» Bealknap tremava, non avrei saputo dire se di rabbia o di debolezza. «Stavolta vi siete spinto troppo oltre. Ve ne pentirete, ve lo garantisco io!» «Bealknap, sembrate il diavolo di un mistero buffo.» Lo scansai, scacciando dalla mente le sue minacce assurde mentre mi dirigevo alla volta della biblioteca. «Aspetta, aspetta e vedrai, mastro schiena gobba!» mi gridò dietro.

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L'atmosfera della biblioteca era come di consueto ovattata, con avvocati seduti a sfogliare raccolte di giurisprudenza con aria grave e concentrata, mentre dovunque studenti accigliati rovistavano fra i casi. Andai a cercare sugli scaffali più alti. Le raccolte della giurisprudenza erano ordinate per annate, e per il secolo precedente non ce n'erano molte. Da allora s'era diffusa la stampa, ed erano state pubblicate sempre più collazioni di casi giuridici, ma i libri risalenti alla metà del quindicesimo secolo erano ancora pochi e manoscritti. Trovai il volume che volevo, un annuario del 1461. Era antico e malridotto, con le copertine di cuoio macchiate e lacere. Lo portai a un tavolo in una zona isolata della biblioteca, lontana dalle finestre e illuminata dalle candele. La relazione sul caso era lunga, dato che il suo estensore, al pari degli studenti miei compagni, s'era compiaciuto dei particolari macabri dei cadaveri sventrati. Era proprio capitato che a Norwich, nell'estate del 1461, un giovanotto di nome Paul Strodyr fosse accusato, processato e riconosciuto colpevole dell'uccisione di nove giovani donne durante i cinque anni precedenti. Sei erano prostitute, le ultime tre venivano descritte come «giovani donne rispettabili». Leggendo fra le righe, appariva chiaro che era stata la morte delle donne rispettabili ad avere messo in allarme la città. Sembrava che ci fossero stati gran chiasso e scompiglio, terminati con la denuncia di un cugino di Strodyr, che l'aveva visto coperto di sangue la notte dell'ultimo omicidio. Dopo che fu pronunciato un verdetto di colpevolezza quegli confessò di avere commesso i crimini e di essersi scagliato contro il flagello delle prostitute, dicendo che Dio desiderava che fossero distrutte. Mi colpirono svariate cose. La prima era che Strodyr non era un uomo potente, di condizione sociale elevata, ma un bracciante agricolo. Non c'era alcuna prova che presentasse palesi sintomi di pazzia... e il relatore riferiva che era un giovane allegro ed espansivo, che lavorava nelle fattorie locali. A parte ciò, la relazione taceva altri particolari sul conto di Strodyr: fu condannato all'impiccagione, ma, se aveva detto qualcosa salendo sul patibolo, questa non fu registrata. Posai il volume e rimasi a riflettere. Dunque Guy aveva ragione, già in precedenza c'erano stati casi di omicidi seriali apparentemente privi di scopo. In questo, l'assassino era stato catturato. Ma la normalità di Strodyr e il fatto che nessuno lo avesse ritenuto un eccentrico non facevano che aumentare le difficoltà che incontravamo nella ricerca del

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nostro colpevole; e in una città delle dimensioni di Londra, forse dieci volte più grande di Norwich allora, quanto sarebbe stato più arduo beccare un unico uomo? Ripensai al ragazzo assassino in cui m'ero imbattuto qualche anno prima: se fosse vissuto sarebbe diventato un altro Strodyr, un altro De Rais? Non avrei saputo dare una risposta. Tornai in studio e lavorai per qualche tempo. Sussultai quando la porta si aprì ed entrò Barak. Appariva stanco e puzzava di sudore, ma sorrideva. «Ho gli indirizzi», disse. «E anche qualche notizia.» Lasciai cadere la penna. «Di domenica?» «Stamattina sono andato alle Aumentazioni. C'erano parecchi scrivani che cercavano di mettere ordine nel pasticcio provocato dalla riorganizzazione. Ho provato a far cercare il registro di Westminster. Ho avuto gli indirizzi, e anche una registrazione di versamenti.» «Benone.» Mi dissi tuttavia che era strano che avesse deciso di lavorare di domenica, quando se ne sarebbe potuto stare a casa con Tamasin. Sedette di fronte a me. «L'infermiere non si presenta a riscuotere la pensione dal mese di dicembre. Proprio prima del primo delitto, quello del colono.» «Avete il suo indirizzo?» «Sì: una strada povera, vicino allo Steelyard. Ci sono andato...» «Non avrete cercato di vederlo da solo...» «Certo che no», rispose con impazienza. «Ho fatto domande ai vicini. Hanno detto che un ex monaco aveva affittato una casa in quel luogo dopo che l'abbazia di Westminster venne soppressa, tre anni or sono. Si teneva in disparte dalla gente del posto, ritenendosi superiore ai bottegai e agli altri residenti. Se ne andò a gennaio, dicendo di avere ereditato una casa dalla madre. Mi sono recato dove abitava: tutto inchiodato con assi. Quindi sono andato a cercare il padrone di casa, che sta nella strada accanto. Dice che il monaco era un buon inquilino, tranquillo e sempre puntuale nel pagare la pigione. Conferma la storia dell'eredità, dice che il monaco era venuto a dirgli che se ne andava, e gli aveva lasciato un mese d'affitto.» «Com'era questo Goddard?» «Un uomo sulla quarantina. Zigomi alti e un grosso neo su un lato del naso. Alto, ben piantato, capelli scuri.» «E i suoi aiutanti?»

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«Ho i loro indirizzi. Uno, Cantrell, vive ancora a Westminster, l'altro vicino alla vecchia Charterhouse. In una taverna chiamata The Green Man». «Una taverna», mi meravigliai. «Così pare. È Lockley, il converso laico.» Annuii. Non essendo monaco, non avrebbe percepito una pensione. Un'osteria, però, era ben diversa da un monastero. «Che cosa pensate che ne sia stato di Goddard? Strano che sia scomparso proprio a gennaio. Credete...» «Che possa essere lui l'assassino? Andiamo, Jack, la sua sparizione potrebbe avere altre ragioni.» Lo guardai serio. «Potrebbe anche essere un'altra vittima.» Barak scosse la testa. «Si direbbe che sia svanito di proposito, senza lasciare recapiti.» «Devo mandare un appunto ad Harsnet. Avete fatto un buon lavoro», aggiunsi. «Glielo dirò.» Si appoggiò all'indietro sulla sedia. «Ho bisogno di avere qualcosa da fare», disse, «di trovare qualcosa... qualcosa...» «Qualcosa di concreto? In mezzo a tutto questo orrore inspiegabile?» «Sì.» «Be', l'avete trovato.» Lo squadrai in viso: era stanco e teso. Non gli avrei parlato delle teorie di Guy o dei miei studi, non ancora, non stasera. «Dovreste andare a casa, avete l'aria di avere fatto fin troppo in una giornata sola.» «Sì.» Aveva un'aria colpevole. «Ho detto a Tamasin che sarei stato a casa per cena. Sarà meglio che vada.» Quando fu uscito scossi la testa. Se avessi avuto la sua età e Tamasin fosse stata mia moglie, non avrei passato la domenica pomeriggio a scocciare scrivani in archivi bui. Rivolsi il mio pensiero all'abbazia di Westminster. Ricordavo che era stata uno degli ultimi monasteri a venire soppressi. Il re non aveva voluto che gli edifici fossero demoliti, perché racchiudevano le sepolture di suo padre e di altri regali antenati; aveva ottenuto la quadratura del cerchio trasformando quindi l'abbazia in cattedrale. L'ex abate ne era stato nominato arciprete: era noto per essere stato uno degli uomini di Cromwell nei monasteri, che lavoravano per farli chiudere, e la sua successiva nomina regale aveva suscitato non poche ciniche risate.

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Stilai una lunga missiva per Harsnet e la diedi al portinaio, dicendogli di farla recapitare con urgenza. Guardai verso Chancery Lane, con i suoi rari passanti, ricordando l'acuta sensazione d'essere seguito che avevo provato prima. Mentre tornavo vidi il vecchio Elias venirmi incontro a passo svelto: Dorothy era rientrata. Riattraversai in sua compagnia Gatehouse Court, per andare da Dorothy, sforzandomi con determinazione di scacciare dalla mente il pensiero di Strodyr e degli altri assassini. Ma essendo Roger la vittima, non era facile. Mi fece entrare la domestica Margaret. Dorothy sedeva al suo solito posto davanti al caminetto, sotto il fregio ligneo, ancora in abiti neri. Fui lieto di vedere che era occupata a ricamare piccoli fiori su un abito. Alzò gli occhi con un sorriso, e notai con piacere che sulle gote le era tornato un po' di colore. «Come stai?» le domandai dolcemente. «La vita deve continuare, o no? L'orologio batte ancora le ore, anche se Roger non c'è più.» «Sì, infatti.» «Samuel arriverà domani, e ho fissato il funerale di Roger per martedì.» Mi guardò. «Oggi è passata una settimana dalla sua morte.» «Lo so.» «Cerco di tenermi occupata. Con il ricamo, come vedi. Ho pensato a far preparare una cena come si deve. Ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto.» «È abbastanza poco, Dorothy. Mi dispiace che gli impegni non mi consentano di assumermi nessuna delle cause di Roger. Bartlett mi ha portato un elenco di avvocati che potrebbero farlo, e sono tutti colleghi bravi.» «Bene. Avrò bisogno di denaro. Oggi è venuto da me il tesoriere, tutto condoglianze per la mia perdita, ma ha alluso al fatto che nomineranno un nuovo socio dell'Inn, e vorrà questo appartamento.» «Hai abbastanza denaro per comprarti una casa? Altrimenti posso...» Alzò una mano. «No, grazie, Matthew, ma Roger era un uomo previdente, e ha risparmiato abbastanza perché io possa vivere senza sprechi. Ma non so dove andrò. Nella sua lettera Samuel mi suggeriva di tornare a Bristol.» «Te ne andrai?» Al solo pensiero sentii il cuore venirmi meno. Dorothy esitò. «Non so ancora. Ci sono novità?»

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«Facciamo progressi. Temo che sia tutto ciò che posso dire al momento.» «Sai già perché Roger è stato ucciso?» La sua voce, adesso, non era più un sussurro. «No, però, Dorothy...» Feci una pausa. «Sappiamo che finora l'assassino ha ucciso tre uomini. Tutti vittime di un terribile rituale. Mentre è ancora libero, credo... credo che tu non debba uscire da sola.» «Tu pensi che potrei essere in pericolo», disse calma. «No. Solo che... è sempre meglio essere sicuri.» Dorothy mi fissò intensamente per un attimo, poi annuì. D'un tratto mi sentii ardere nuovamente dall'ira per ciò che era stato fatto a lei e a Roger. Comparve un servitore, che recava un grosso vassoio di carne, accompagnata da salse dall'aroma delizioso. Seguii Dorothy a tavola. «Ecco qua», disse. «Una sella d'agnello. Meno male che la Quaresima è passata. Dicono che arrestino i macellai che allora avevano venduto carne.» «Sì.» «Oggi non sono andata in chiesa. Confesso di non provare nel mio cuore altro che collera nei confronti di un Dio capace di lasciar accadere una così grande malvagità a un uomo tanto buono.» Mi guardò. «Credi che sia sbagliato?» «No, lo capisco. Neppure io ci sono andato», sospirai. «Suppongo però che si potrebbe rispondere che non è colpa di Dio se una delle sue creature fa uso del libero arbitrio per commettere un peccato nefando.» Dorothy stirò le labbra in un sorriso iroso. «Una risposta sensata. Ma il buon senso ha poco a che fare con quanto sto provando adesso io. Se pregassi proverei un po' di sollievo, ma sono troppo in collera.» Corrugò la fronte. «Forse, con il passar del tempo.» «Sì, quando sarai pronta.» Mi sentivo un ipocrita, perché io stesso ormai pregavo solo di rado, ma desideravo pronunciare le parole che potessero arrecarle più conforto. «Tu sei un uomo comprensivo, Matthew», rispose pacatamente. Per un po' mangiammo in silenzio, gustando la carne. Dorothy si pulì le labbra con un tovagliolo, poi mi guardò pensierosa. «Ho una richiesta da farti. Esito, perché hai già fatto tanto...» «Qualunque cosa sia in mio potere, la farò.» «Pensavo all'idea di Roger di un ospedale per i poveri. Ne aveva appena intrapreso la realizzazione quando fu ucciso, ma

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aveva un elenco di benefattori. Vorresti portare avanti tu il progetto? Era un'impresa che gli stava tanto a cuore, onorerebbe la sua memoria.» «Sì, Dorothy, ma non ancora. Non finché il caso non sarà risolto.» «Ti vedo stanco, e non voglio farti altre pressioni. Però... in qualche modo lo farebbe restare vivo.» «Un degno omaggio alla sua memoria», sorrisi. «Potremmo chiamarlo Roger Elliard Hospital.» «Sì.» Scosse il capo. «Sto qui seduta a guardare quel fregio, a studiare gli animali che si affacciano in mezzo agli alberi. Avevamo dato loro dei nomi, sai: Peter il cervo, Paul il coniglio e Simon il cavallo.» «E un bellissimo pezzo di arredamento.» «Mi piacerebbe che quell'angolo venisse restaurato come si deve. Me lo porterò via, se mi trasferirò a Bristol. C'è tanto di Roger in queste stanze...» D'un tratto la voce le si spezzò, chinò il capo e scoppiò a singhiozzare sommessamente. Mi alzai e le andai accanto, girando intorno al tavolo. Un po' esitante, le cinsi le spalle con un braccio. «Su, su», dissi con dolcezza. Mi venne in mente che quella era la prima volta che toccavo davvero Dorothy, una cosa che un tempo avevo desiderato più di qualunque altra. Lei mi prese la mano, mentre le tornava il sorriso sul volto rigato di lacrime. «Sei stato così buono, Matthew. Che farei senza di te?» Alle sue parole e al contatto con il suo corpo mi sentii pervadere da un'ondata di sensazioni, e mi dovetti trattenere dall'abbracciarla sul serio e baciarla. Qualcosa dovette apparirmi in viso, perché lei lasciò andare la mia mano. Arretrai. «Non sono in me», disse piano Dorothy. «D'un tratto mi sento stanca, oggi è stata una giornata troppo faticosa. Ti spiace se vado a letto?» «Certamente no.» «Farò attenzione.» «Bene. E probabile che io sia fin troppo prudente.» «Vieni a cena dopo il funerale. Ci sarà anche Samuel: non lo vedi da quand'era un ragazzino.» «Sì, verrò.» Dorothy si asciugò il volto. «Allora è tutto. Però mi è ancora difficile trovare la pace.» Mi guardò con serietà. «Ho bisogno di tempo.» Una volta uscito mi appoggiai al muro di pietra, respirando a fondo. M'era chiaro, ora, che cosa celavo a me stesso: il fatto che Dorothy fosse nuovamente libera aveva riattizzato la vecchia fiamma. Pensai

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ancora alle sue spalle tiepide, alla sua mano sulla mia. Poi ripensai a Roger, morto nella neve. «Dio mi perdoni», sussurrai fra me e me. Fu allora che dall'altro lato del cortile scorsi una figura presso la porta del mio studio, a quell'ora chiuso. Era una donna, una figuretta snella, e non senza un sussulto mi accorsi che si trattava di Tamasin. Attraversai il cortile di corsa, con la toga che mi svolazzava attorno alle gambe. Lei stava accasciata contro la porta. Vidi, inorridito, che aveva il viso gonfio e pesto, con un occhio quasi chiuso, l'abito strappato e la cuffia di traverso. Mi guardò tremante. «Tamasin!» esclamai. «Santo Dio, che cosa vi hanno fatto? È stato...» Per un orribile istante pensai che potesse essere stato Barak. «Ero venuta a cercare Jack.» La voce le usciva a stento dalle labbra enfiate. «Abbiamo litigato ed è uscito di nuovo. Non riuscivo a restare sola in quella casa: incominciai a credere che fuori ci fosse qualcuno, a immaginarmi di avere sentito qualcuno fuori della porta. Dovevo scappare, se Jack non fosse stato qui sarei venuta a casa vostra. Per tutta la strada, mentre venivo, avevo l'impressione di avere qualcuno alle spalle...» «Tamasin...» Mi diede un'occhiata di puro terrore. «Poi, quando stavo per entrare qui, qualcuno mi è saltato addosso, m'ha spinta in un angolo e mi ha picchiata...» S'interruppe, con il respiro affannoso, ma senza piangere. «Chi?» le chiesi. «Chi?» «Aveva una voce strana... non come una voce normale. Disse di sapere che voi e Jack gli davate la caccia, ma che non sareste riusciti a fermare la sua missione. Mastro Shardlake, conosce il vostro nome e quello di Jack. Sa dove abitiamo. Chi è?» *** Capitolo diciassette. Aprii la porta del mio studio e aiutai Tamasin a entrare. Le feci da guida nell'oscurità fino a una sedia nella mia stanza, poi tornai in anticamera. Chiusi la porta a chiave, dopodiché, con mani tremanti, accesi un moccolo dalle braci del focolare. Lo portai in giro, accendendo le candele nello studio. Alla luce gialla che tremolava negli angoli vidi Tamasin seduta dove l'avevo lasciata, con la testa china sul petto. S'era tolta la cuffia sporca di sangue e la teneva in grembo.

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Versai un calice di vino forte e glielo portai alle labbra. Batteva i denti. Provai un vero furore contro chiunque le avesse devastato il viso grazioso, ma anche orrore per la sorte ancor peggiore che si sarebbe potuta abbattere su di lei. Le sedetti di fronte. Bevve un paio di sorsi di vino, poi d'un tratto tossì, portandosi una mano alla bocca, dalla quale cadde sul palmo un mezzo dente bianco. Lo fissò attonita, ancora sconvolta. Il suo viso era tutto un livido, e aveva anche un brutto taglio su una guancia. «Tamasin», mormorai, «mi dispiace tantissimo.» Mi guardò tra le palpebre gonfie. «Perché? Mica è colpa vostra.» La sua voce risuonava sorda e alterata. Esitai. «Quanto vi ha confidato Jack del lavoro in cui siamo impegnati?» «Niente, solo che era roba segreta. Temevo che si trattasse di nuovo di politica.» «Qualcosa di ancora peggio.» Mi alzai. «Tamasin, sapete dove si trovi Jack?» Sospirò stancamente. «Nei posti dove va di solito, suppongo. Al Turk's Head a Newgate, o al Red Dog vicino all'Old Barge. Non è tornato a pranzo, è rientrato tardi e... e abbiamo litigato. Se n'è andato di nuovo, con un diavolo per capello.» Accidenti a lui, pensai. «Andrò dal custode per mandare qualcuno a cercarlo e a chiamare Guy. Avete bisogno di cure.» Tamasin annuì. «La mia faccia... mi fa tanto male.» Mi guardò. «Voi sapete chi è l'uomo che m'ha aggredita?» «Temo che possa essere quello che cerchiamo. Vi ha assalita appena fuori dell'ingresso?» «Sì. E saltato fuori tra due case. Quando mi ha lasciato andare, ho cercato di tirarmi su. Sarei andata dal portiere, ma la guardiola era buia; sono entrata, pensando di essere al sicuro nell'Inn, e che magari voi lavoravate fino a tardi...» «Ero dalla signora Elliard», risposi. «Siete sicura che abbia detto che Jack e io gli davamo la caccia?» «Sì.» Mentre stavo lì seduto mi sentii rizzare i capelli: l'assassino sapeva chi eravamo Barak e io, e che eravamo sulle sue tracce. Ma come? «Avete detto che aveva una voce strana.» «Sì, aspra, gutturale. Come se la alterasse.»

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«Grazie a Dio ero qui stasera. Sentite, Tamasin, ora esco a svegliare il portiere. Chiuderò a chiave la porta.» «State attento, signore, potrebbe essere ancora qui.» Presi il pugnale che tenevo nello scrittoio, facendomelo scivolare in una manica. Nell'ufficio principale spensi le candele e per un momento sbirciai Gatehouse Court dalla finestra a colonnine. Poche finestre ai piani superiori erano ancora accese; quelle di Dorothy adesso erano tutte buie. Il cortile era deserto. Trassi un profondo respiro, strinsi ben saldo nella mano il pugnale e uscii. Attraversai rapido il cortile. Di fronte a me, la guardiola del custode era immersa nell'oscurità. Si presumeva che lui o il suo sostituto vegliassero tutta la notte, ma sapevo che spesso bevevano fino a cadere addormentati. Mi presi la soddisfazione di bussare alla porta più rumorosamente possibile. Dopo un minuto il portiere aprì. Era un vecchio soldato, un omone dalla faccia paonazza con il fiato puzzolente di birra. Gli dissi in fretta che una donna era stata aggredita e che il suo assalitore poteva ancora essere nei dintorni, e gli ordinai di darsi una mossa e mandare il suo aiutante a cercare Barak e Guy. Di ritorno in studio feci ciò che potevo per aiutare Tamasin, andando a prendere dell'acqua e un panno perché si lavasse il povero viso devastato. «Jack sarebbe dovuto restare con me», disse. «Non avrebbe dovuto lasciarmi sola e impaurita.» Il terrore veniva ora rimpiazzato dalla collera. «Tamasin, avete detto di temere che ci fosse qualcuno fuori del vostro alloggio.» «In questi ultimi giorni, quando Jack era fuori casa, non poche volte ho udito dei passi all'esterno. Stanotte andai a origliare alla porta, e... udii un respiro, come se qualcuno tenesse la testa appoggiata al battente, dalla parte opposta.» «Lo avete detto a Jack?» «Mi ha risposto che ero piena di fantasie. Stasera, però, udii i passi di qualcuno che se ne andava. La porta d'ingresso cigolò; poi fu tutto silenzio, ma io non ce la facevo più a restare lì, perciò corsi fuori casa. Una sciocchezza.» Tornai a sedermi. Doveva avere aspettato fuori, forse aspettava tutte le notti. Provai daccapo quel terrore strisciante. Doveva avere seguito Tamasin al Lincoln's Inn. E aveva seguito me, ero stato proprio lì.

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Tamasin si mise a piangere sommessamente, e io le posai una mano sul braccio. Sembrava che quella sera il mio compito fosse confortare donne innocenti perseguitate da quell'individuo. * * * Barak arrivò mezz'ora dopo, scovato nell'osteria di Newgate dall'aiutante del portinaio. Si precipitò dentro a occhi sgranati. «Che è successo? M'hanno detto che Tammy è stata ferita!» Si affrettò verso la moglie, ma si arrestò quando lei sollevò il capo, volgendo verso di lui il viso pesto e infuriato. «Sì, Jack», disse. «Da quel tipo che immaginavo fuori della porta, dalla mia fantasia, dal mio fantasma.» Barak si volse verso di me. Fu una delle poche volte che lo vidi confuso, senza sapere che cosa dire. Gli offrii un po' di vino, lo feci sedere e gli raccontai che cosa era avvenuto. Mantenne sempre lo sguardo fisso su Tamasin, che lo fissava bellicosamente, oltremodo infuriata. «Non avrei mai creduto che sapesse dove abitiamo», disse a Tamasin. «O addirittura chi fossimo. Come avrei potuto?» Si girò verso di me. «E perché, poi, fare questo? Quasi come se si prendesse gioco di noi!» «Sapete, anch'io pensavo di essere seguito», risposi a bassa voce. «Credete che possa essere una persona che conosciamo?» chiese Barak. «Non so proprio che pensare. Tamasin, non avete veduto nulla di lui?» «No, mi saltò addosso da dietro, e quando prese a colpirmi chiusi gli occhi. Era molto forte. Quando caddi a terra mi diede un calcio, poi mi disse ciò che vi ho riferito, che sapeva che gli davate la caccia, ma non avreste fermato la sua missione.» «Questo toglie ogni dubbio: era lui.» Il viso di Barak era cinereo. «Chi?» La voce di Tamasin si levò improvvisamente in un acuto. «A chi date la caccia? Chi ha ucciso costui?» Barak e io ci scambiammo uno sguardo. Lui annuì, e narrai a Tamasin la vicenda dei tre delitti, il loro legame con il Libro dell'Apocalisse, la missione affidataci da Cranmer. Tuttavia non parlai a nessuno dei due della teoria di Guy sugli assassini compulsivi, e neppure delle mie ricerche sul caso di Strodyr. «Oh, Dio mio», esclamò lei quando terminai. «Allora perché non mi ha dato il colpo di grazia, se sta cercando altri da uccidere?»

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«Credo che non vi adattaste a ciò che lui chiama la sua missione. L'Apocalisse parla della quarta coppa dell'ira, che fa ardere gli uomini con il fuoco.» «Allora voleva minacciarci?» disse Barak. «Darci un avvertimento?» «Penso di sì. Jack, voi e Tamasin dovreste trasferirvi in casa mia. Stanotte stessa: in questi casi il numero è sicurezza. E chiederò ad Harsnet se può mandarci un uomo a fare la guardia. Gli spedirò un altro messaggio.» «Buona idea, Tammy», disse con dolcezza Barak. «Sì», rispose amaramente lei. «Lascia che a proteggermi sia il tuo padrone.» Scoppiò nuovamente a piangere, cosa inconsueta per lei: doveva proprio essere ridotta allo stremo. Feci un cenno impaziente a Barak, mormorando: «Confortatela». Barak, tuttavia, era di nuovo in collera per quell'affronto alla sua virilità. «Non è giusto», disse. «Se solo avessi saputo che quell'uomo esisteva sul serio, ma tu avevi avuto tante di quelle fantasie...» Era la cosa peggiore che potesse dire. Tamasin si levò a mezzo, e, per quanto malconcia, credetti che gli sarebbe saltata agli occhi, se un colpetto alla porta non ci avesse fatti tutti trasalire e voltare di botto. Andai ad aprire. Era Guy con gli occhi sgranati. «Matthew», disse, «è venuto a chiamarmi un uomo, recava un messaggio confuso a proposito di una donna che è stata aggredita qui.» «Entra, Guy», sospirai dolorosamente. «Sei arrivato proprio al momento giusto.» Guy si prese cura di Tamasin. Aveva brutte contusioni al viso e una costola incrinata. Non sarebbe stata in grado di uscire per settimane, ma appresi con sollievo che non avrebbe riportato danni permanenti, eccetto due denti rotti, per fortuna due molari e non due incisivi. Guy disse che le avrebbe mandato un cavadenti per estrarre i monconi. «Un uomo delicato», aggiunse, quando Tamasin spalancò gli occhi per la paura. «Vado a prendere un po' di roba al Barge», disse Barak, mentre Guy applicava della lozione lenitiva sul viso di Tamasin. «Potete portare a casa voi Tamasin, signore?» «Sì.» Lo seguii in anticamera, prendendolo per un braccio. «Se non la consolerete», gli dissi in un sussurro irritato, «se non riconoscerete la vostra parte di responsabilità in ciò che è accaduto fra voi, la perderete.»

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Barak liberò il braccio con uno sguardo torvo. «Lasciate che a mia moglie ci pensi io», ribatté sgarbatamente. «Che ne sapete, voi, di vita matrimoniale?» «Quanto basta per essere certo che, con Tamasin, avete trovato una perla rara.» «Baderò io a lei», rispose. «Faremo meglio a prendere quell'uomo. Che sia uno che conosciamo, che sapeva che quel giorno saremmo andati nelle paludi, e ha scoperto dove abitiamo, oppure...» «Oppure?» «O forse, dopo tutto, è posseduto dal demonio.» Mi volse le spalle, spalancò la porta e uscì. Passò parecchio tempo prima che, quella notte, andassimo a letto. Quando Guy se ne andò ebbi con lui una conversazione sottovoce sull'uscio e gli riferii del caso Strodyr. Annuì con tristezza. «Era ciò che mi aspettavo», commentò. Portai Tamasin a casa mia. Barak arrivò dal Barge con i bagagli, e insediai lui e Tamasin nella camera che quest'ultima aveva occupato quando aveva aiutato a curarmi durante la mia malattia dell'anno precedente. La mia governante, Joan, che le era affezionata, rimase inorridita nel vedere il suo volto. Quando si furono sistemati al piano superiore mi prese da parte. «Quella povera ragazza», disse. «Lo so. Mi spiace coinvolgervi di nuovo nei miei problemi.» Avevo detto a Joan che Tamasin era stata aggredita da qualcuno su cui indagavamo e che avevo mandato il custode a chiedere protezione per noi ad Harsnet. «Però sembra che Tamasin e mastro Jack si parlino appena. Dopo ciò che ha passato...» «Lo so, Joan. Tra il suo risentimento e l'orgoglio di Jack, hanno litigato. Dobbiamo cercare di rappacificarli.» «Ma dovremmo intrometterci, signore? Mettere il dito fra moglie e marito?» «Credo che se non si farà qualcosa non saranno più moglie e marito per molto.» Guardai Joan: appariva spaventata e stanca, e d'un tratto invecchiata. Le posai una mano su un braccio. «Andrà tutto bene.» Parlavo, tuttavia, con una sicurezza che non provavo. Harsnet rispose alla mia richiesta con ammirevole prontezza. Poco dopo l'alba del giorno sucessivo arrivò un uomo, un tipo robusto, sulla

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trentina, con la faccia dura e occhi acuti. Mi disse di essere Philip Orr, uno dei gendarmi di Westminster, e di avere accettato di assumersi la sorveglianza della casa per riguardo al coroner, «un uomo virtuoso, e molto devoto», come sottolineò. Un altro patito del Vangelo, pensai, ma ero comunque grato ad Harsnet per avere trovato così in fretta un uomo in gamba. Tramite Orr il coroner mi aveva anche inviato un messaggio: desiderava interrogare subito l'arciprete della cattedrale di Westminster, Benson, sul conto del suo ex infermiere e dei suoi assistenti. Chiedeva perciò a Barak e a me di accompagnarlo, e di incontrarlo all'ingresso dell'abbazia alle otto e trenta. La lettera aggiungeva inoltre che avrei avuto il tempo di andare a Westminster Palace per la sessione di quel mattino della Corte delle Suppliche, e gli fui riconoscente per non averlo trascurato. «Non perde tempo», commentai con Barak mentre scendevamo al fiume per prendere una barca. Il tempo era ancora mite, ma piovigginava, e il vento ci spediva in faccia la pioggerella. L'occhiata datami da Barak quando, quel mattino, era sceso per colazione non mi aveva lasciato dubbi sul fatto che non avesse intenzione di ascoltare nuovi commenti sul suo matrimonio; Tamasin, ancora sofferente per le ferite, era rimasta a letto. «Lord Cromwell addestrava bene i suoi uomini.» «E un radicale religioso. Spero che ciò non offuschi le sue capacità investigative.» «A me sembra abbastanza sveglio», replicò Barak. Non approfondii il discorso, essendo Barak dell'umore di trasformare una discussione in lite. Andammo nuovamente da Whitehall Stairs a Westminster, sotto una pioggia sempre più forte; ero lieto che i fascicoli delle cause della giornata fossero al sicuro nelle borse di cuoio portate da Barak. Anziché svoltare come al solito a sinistra in New Palace Yard, passammo sotto il portone dell'ex prigione dell'abate, in Thieving Lane. Era smesso di piovere e chiazze di nuvolaglia bianca attraversavano il cielo azzurro, gettando ombre che si rincorrevano sul terreno sottostante. Le vie di Westminster formicolavano di gente: deputati vestiti riccamente si dirigevano verso il Parlamento, incalzati senza tregua da accattoni e venditori ambulanti. Certi parlamentari frequentavano il luogo da abbastanza tempo da avere trovato il sistema di allontanarli

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agitando una mano senza guardare chi si accostava, ma un gruppo di venditori girovaghi molestava un uomo dal sontuoso mantello rosso, con un berretto ingioiellato: aveva commesso l'errore di cercare di discutere con uno di loro, e, colta l'occasione, l'intero gruppo gli si era stretto intorno come storni su una focaccia caduta al suolo. «No, no, ho detto che non voglio niente della vostra roba!» esclamava lamentandosi, mentre qualcuno gli si aggrappava alla manica; persa infine la pazienza, si mise a urlare: «No! No! Via, dannazione, voi e le vostre cianfrusaglie!» Un merciaio gli tirò in faccia una collana di rame. Barak scoppiò a ridere. «Un campagnolo. Se lo mangeranno vivo.» Feci un salto indietro quando un lungo coltello mi si parò davanti al viso. Era un altro venditore, con una collezione di ferramenta appesa al collo: un uomo alto, dalla barba grigia, che puzzava in modo insopportabile. «Fa' attenzione!» sbottai. «Bei coltelli d'acciaio, proprio il meglio, signore!» Lo scansai con una spallata e proseguimmo. Harsnet era già in attesa presso l'antico portone; indossava la toga da avvocato fregiata all'altezza del cuore dallo stemma reale, e osservava Thieving Lane con le mani dietro la schiena. Ci fece un cenno mentre ci avvicinavamo. Esordii ringraziandolo per avere mandato Orr a casa mia. «Le donne devono essere protette. E se quella canaglia cerca di entrare, avremo un'occasione per beccarlo. Orr è un tipo in gamba.» Il viso gli si addolcì in ciò che pareva sincera premura. «Spero che vostra moglie non sia ferita gravemente, padron Barak.» «Un po' di riposo e starà benone.» «Ma che è successo, esattamente?» Riferii ad Harsnet dell'aggressione a Tamasin. Serrò le labbra. «Come può essere accaduto? Ne dobbiamo riparlare dopo avere visto l'arciprete.» «E voi, signore?» domandai. «I coroner del circondario hanno riferito di nessun... nessun delitto orribile come i nostri tre?» «Nessuno. E siamo ancora all'oscuro di come l'assassino conoscesse quegli uomini, del perché li abbia scelti.» Sospirò, poi tentò stancamente di sorridere. «Bene, andiamo un po' a vedere che cosa ha da dirci l'arciprete Benson. Gli ho chiesto di aspettarci. Lo troveremo

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nella casa dell'ex priore, dove s'è insediato.» Harsnet si corrucciò: a un riformista non garbava che un ex monaco traesse vantaggio dalla soppressione dei monasteri. «Un'altra cosa», dissi. «La settimana scorsa avete avuto la sensazione che qualcuno potesse seguirvi?» Il coroner scosse il capo. «No.» «Io temo di sì. Credo che dovreste fare attenzione, signore.» «Ci penserò. Vi ringrazio.» Trasse un profondo respiro mentre faceva strada sotto il portone, verso il vecchio perimetro conventuale. Le corti esterne di molti monasteri benedettini erano state a lungo sedi di mercato, ma Westminster era rimasta un caso isolato, in parte per via delle sue enormi dimensioni, ma anche per i suoi antichi privilegi di santuario. Chi era ricercato dalla giustizia poteva trovarvi asilo, ponendosi fuori della portata della legge; perciò la casa di Dio era stata circondata da malviventi ricercati. Il perimetro era fiancheggiato da un misto di belle case e misere catapecchie abitate da ogni sorta di delinquenti che pagavano lauti affitti ai monaci. I vecchi privilegi del santuario erano stati per la maggior parte aboliti da re Enrico - una delle sue iniziative migliori -, ma il santuario in sé era sopravvissuto alla soppressione, e potevano ancora trovarvi asilo debitori insolventi e ladruncoli. Certi fuggiaschi avevano trascorso una vita intera nel santuario di Westminster, non di rado comodamente sistemati, facendo affari a Londra con il ricorso a intermediari, come l'avvocato Bealknap, e andando ogni domenica nella chiesa di St Margaret, un bell'edificio recentemente restaurato che dominava la parte settentrionale del perimetro. Mentre passavamo di fronte alla chiesa, vi notai davanti un gruppetto di persone, due delle quali ecclesiastici in vesti bianche. «Bonner», sputò Harsnet. Riconobbi il temuto vescovo di Londra, un individuo tozzo e tarchiato, con la faccia tonda, che rideva con l'altro religioso, forse il vicario di St Margaret. Scrutai il vescovo che voleva purgare Londra dai radicali. «Sembra piuttosto allegro», osservai. «Il vicario Brown è tagliato nella medesima stoffa», commentò lugubre Harsnet. «St Margaret è ancora piena d'oro, candele e statue. Fu già una bell'impresa strappargli la reliquia del dito di santa Margherita. Quel maiale del papa ci vorrebbe di nuovo tutti sotto Roma.» «Eppure una volta Bonner era un uomo di Cromwell», dissi.

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«Ora che Cromwell è morto i lupi gettano la pelle degli agnelli di cui s'erano coperti per rimanere nelle sue grazie.» Guardò il vescovo con odio. «Dio mi perdoni, vorrei che il nostro assassino prendesse di mira Bonner, anziché onesti riformisti. Ma il diavolo protegge i suoi devoti.» Sbirciai Barak, che scrollò le spalle. Superammo il massiccio, antico campanile, ora trasformato in decrepiti alloggi, quindi svoltammo a est, nell'ombra incombente della chiesa abbaziale, nel perimetro meridionale, cinto dalle massicce mura del monastero. *** Capitolo diciotto. Intorno al perimetro meridionale c'erano più case, in gran parte misere dimore di venditori ambulanti e manovali. Gli uomini erano fuori a caricare i carretti con le loro merci, o a prepararsi alla giornata. Aleggiava nell'aria odore di resina, perché a Westminster c'erano molte botteghe di falegnami che lavoravano per l'abbazia e per Westminster Palace. Alla nostra sinistra un alto muro separava la zona più interna, che racchiudeva gli edifici monastici: i cancelli che avevano un tempo protetto dal mondo esterno le comode esistenze dei monaci erano aperti, anche se fuori montava di sentinella una guardia armata di picca. Harsnet gli disse chi era, e venimmo fatti entrare in un cortile pieno di edifici religiosi in via di demolizione o di modifica. Tutto intorno i manovali scaricavano dai carri martelli e picconi, prima di cominciare la giornata lavorativa. Ci dirigemmo verso una grande, apprezzabile casa al centro delle rovine, circondata da un giardinetto fiorito di crochi. Harsnet bussò alla porta. Un servitore aprì e ci fece accomodare. Al pari del segretario di Cranmer, chiese a Barak di attendere in anticamera e fece passare Harsnet e me in uno studio arredato con ricchi arazzi e dominato da un enorme tavolo di quercia, coperto di carte. Mi domandai se fosse roba proveniente dagli edifici conventuali; gli stalli da coro imbottiti di cuscini, contro una parete, certamente lo erano. All'esterno ebbe inizio un concerto di martellate. La porta si aprì ed entrò un uomo basso, in veste bianca da religioso. Ci scambiammo brevi inchini, mentre lui andava a prendere posto dietro il tavolo. «Prego, signori, sedete», disse con voce melliflua, indicandoci gli stalli.

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Studiai William Benson: l'ultimo abate del monastero, un monaco passato dalla parte di Cromwell, che era stato insignito della carica di abate per affrettare la soppressione. La nomina ad arciprete della nuova cattedrale era stata parte della sua ricompensa. Un uomo robusto, sulla cinquantina, con un viso pieno e ingannevolmente apatico, e l'aria compiaciuta di chi ha soddisfatto la propria ambizione. «In che cosa posso servire l'arcivescovo?» domandò. Harsnet parlò per primo. «Si tratta di una questione della massima segretezza, signore. L'arcivescovo si raccomanda che nulla trapeli fuori da queste mura.» «Né trapelerà. Il mio dovere è obbedire al mio superiore», sorrise Benson, lasciando scorrere su di noi lo sguardo dei suoi occhi indifferenti. «Voi m'incuriosite.» «Temo che sia una vicenda molto inquietante», aggiunsi io, ritenendo di dover fare un certo appello all'autorità. Benson ridacchiò con un suono gutturale. «Per molti anni ho lavorato la vigna inglese del Signore. Ora più nulla m'inquieta. Tranne queste martellate», aggiunse. «Ci mettono un'eternità a demolire il refettorio.» Un pezzo di ciò che hai diretto per anni e anni, pensai. L'osservavo per vedere se la sua espressione distaccata si alterava mentre Harsnet gli esponeva per sommi capi la vicenda dei delitti e delle profezie dell'Apocalisse, ma Benson non fece una piega, benché giocherellasse con un anello d'oro che portava alla mano grassoccia, girandolo e rigirandolo. «E voi ritenete che quell'uomo possa essere un ex monaco?» Benson scosse la testa. «Non credo che sia possibile. La maggior parte dei confratelli fu lieta di accettare la soppressione. Sei sono divenuti canonici prebendari qui, sotto di me.» «Quanti monaci si trovavano qui all'epoca della soppressione?» chiesi. «Ventiquattro. Non tutti i confratelli più anziani furono felici di ciò che accadde, ma perlopiù furono realistici. Tutti firmarono volentieri la dedizione, tranne il vecchio fratello Elfryd, che pose come condizione di essere seppellito con il vecchio rito. Il suo desiderio fu soddisfatto», aggiunse con un sorrisetto. «Morì poco dopo essersene andato e ora riposa qui. Cinque o sei fratelli morirono poco tempo dopo avere lasciato il convento.» «E l'infermiere, Lancelot Goddard?» chiese Harsnet. «E i suoi assistenti? Ce n'erano due registrati alle Aumentazioni.»

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«E sapete se il dottor Goddard faceva uso di specifici?» aggiunsi io. «Uso di che cosa?» Ebbi l'impressione che rispondesse un pochino troppo in fretta, e per un attimo una scintilla balenò nei suoi occhi apatici. Spiegai che cos'erano quei narcotici. «Molto inquietante», rispose senza scomporsi. Rimase qualche istante a riflettere, giocherellando senza posa con l'anello. Infine sollevò lo sguardo, per fissarci negli occhi. «Non so se il dottor Goddard usasse alcuno specifico. Lasciavo a lui la responsabilità dell'infermeria. Era un uomo di grande competenza, non ho mai ricevuto lagnanze.» Fece una pausa. «Vi fornirò tutto l'aiuto possibile, signori, ma penso che vi sbagliate. Chiunque sia questo... questo mostro, non ritengo che provenga da qui.» «Conoscevate bene il dottor Goddard?» chiesi. «Non bene.» Si concesse un sorrisetto cinico. «Non è un segreto che fui nominato abate con l'ordine di condurre Westminster a uno scioglimento senza scosse, cosa che feci. I monaci ai quali prestavo più attenzione erano quelli che occorreva persuadere, o costringere. Il dottor Goddard non era uno di questi. Era responsabile dell'infermeria conventuale: si occupava di malattie comuni, e si prendeva cura dei monaci anziani... e assisteva anche gli abitanti del luogo che ricorrevano al nostro piccolo ambulatorio.» «Con i suoi aiutanti?» «Sì. Charles Cantrell nell'infermeria dei religiosi, Francis Lockley in quella dei laici, per i poveri di Westminster.» «Erano entrambi qualificati?» «No: Cantrell era un monaco, Lockley un fratello laico che lavorava per noi e viveva qui. Li istruì tutt'e due Goddard.» «Che tipo era Goddard?» Benson piegò il capo di lato. «Non un uomo amante della compagnia. La gente lo riteneva freddo. Era di elevata condizione sociale, e tendeva a trattare con sufficienza chi aveva origini inferiori. Accettò la soppressione senza fare difficoltà, come gli altri. In capitolo parlava poco.» «È scomparso dalla sua abitazione», gli disse Harsnet. «Avete qualche idea di dove possa essere andato?» Benson scosse la testa. «Temo di no. Era qui da molto tempo, non mi ricordo della sua famiglia. E la maggior parte del nostro archivio è andata distrutta.»

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«Sì.» Sapevo che era la verità: durante la soppressione gran parte degli archivi conventuali erano stati bruciati, insieme con i loro codici miniati. «Qualunque cosa possiate sapere, signore...» «Quando arrivai, era già infermiere. Ricordo di avere sentito che fu novizio da giovanissimo, e aveva una quarantina d'anni quando il monastero chiuse i battenti.» «Era uno snob», dissi pensieroso. «Così lo hanno definito dove abitava. Dunque non abbandonò mai del tutto i costumi del mondo.» Benson rise. «Niente affatto raro, tra i monaci. La loro mondanità fu una delle ragioni per cui i monasteri dovettero essere soppressi.» «Sapete dove studiò medicina?» chiesi. «Non aveva studiato medicina. Doveva avere imparato con la pratica, sotto la guida del vecchio infermiere, come quasi tutti. Temo che 'dottore' fosse un titolo di cortesia. Però deve avere goduto di una buona formazione, durata molti anni. Conoscenze discese da generazioni di infermieri.» «Come gli specifici.» L'arciprete Benson piegò il capo. «Forse.» «C'era un orto delle erbe medicinali?» «Sì. Adesso è andato in malora.» «Chissà se coltivava i papaveri?» Benson allargò le braccia, facendo frusciare la veste di seta. «Non lo so, signore. Potrebbe averlo fatto.» «Che genere di uomo era il dottor Goddard, nei rapporti con i confratelli?» «Non era sgarbato. Corretto, riservato.» Sorrise. «Aveva una malformazione, un neo grossissimo su un lato del naso. Credo che ne fosse consapevole e pensasse che sminuisse la sua dignità. Sembrava che s'irritasse, se glielo si guardava. Magari fu quello a modificare il suo carattere. Qualcuno diceva che non aveva calore con i malati; ma forse un medico deve rimanere distaccato.» Come te, pensai. Il tuo, però, è il distacco del politicante. Non s'era curato di nessun monaco, non essendo altro che pedine nel gioco della soppressione. Benson tuttavia nascondeva qualcosa, ne ero certo. Di nuovo quel suo sorrisetto. «Ricordo che il suo assistente nell'ambulatorio dei laici, fratello Lockley, aveva l'abitudine di farsi beffe di Goddard, imitando il suo modo di parlare freddo e preciso. Non

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di rado Lockley ha avuto noie per la sua leggerezza, però nell'ambulatorio dei laici svolgeva abbastanza bene i suoi compiti.» «E l'altro assistente, Cantrell?» domandai. «Ah, sì, il giovane fratello Cantrell. Goddard lo istruiva, ma non parve mai soddisfatto di lui, se ben ricordo.» «I vecchi vicini di Goddard dissero che aveva ricevuto un'eredità», intervenne Harsnet. Benson sporse le labbra. «Avevo l'impressione che la sua famiglia fosse ricca, e vivesse presso Londra. Da qualche parte nel nord, credo. Forse riuscirete a scoprire qualcosa.» Ne dubitavo; si diceva che ormai ci fossero sessantamila anime, tra Londra e dintorni. «Non è proprio rimasto nessun documento?» «Tutto sparito», disse Benson, scuotendo la testa. «Quando l'abbazia fu chiusa, quelli delle Aumentazioni ci dissero di bruciare tutte le nostre carte, i nostri archivi e i nostri spartiti musicali, persino i libri. Lord Cromwell voleva che il monachesimo venisse estirpato completamente, signore.» «E avete perso ogni contatto con i vostri sottoposti?» «Sì, tranne quelli che adesso lavorano sotto di me.» «Quei tre uomini», chiesi, «che corporatura avevano, erano forti? Il nostro uomo è robusto, e anche furbo.» L'arciprete scoppiò a ridere. «Allora penso che potrete scartare tutt'e due gli assistenti. Nessuno di loro diede mai prova di possedere un gran cervello, e meno ancora muscoli. Lockley è un ometto piccolo e rotondo, sulla cinquantina, con un debole per la bottiglia. Il giovane Cantrell era un tipo alto e magro come uno stecco. Ricordo che il suo collo sottile aveva un grosso pomo d'Adamo, che era difficile non notare. Rammento anche che aveva problemi di vista: faceva cadere gli oggetti in infermeria, e Goddard, accertato che era miope, gli diede degli occhiali, in modo che potesse svolgere il proprio lavoro.» Alzò un dito. «Adesso ricordo: Cantrell abita qui, nel perimetro esterno, suo padre era falegname. L'ho veduto poco tempo fa in strada, con i suoi occhiali spessi, e rammento di avere pensato che avrebbe avuto difficoltà a continuare il mestiere del padre. Più facile che si tagliasse le dita», rise. E tu giudicavi freddo il dottore, pensai. Harsnet mi guardò. «Dovremmo vedere quei due uomini, mastro Shardlake. Barak ha i loro recapiti?» «Sì.»

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«Bene. Allora vi lasciamo, però potremmo avere bisogno di farvi ancora qualche domanda.» «Certamente.» Benson annuì con un sorriso dubbioso. «Credete davvero che quell'uomo commetterà sette omicidi? Per portare a compimento la profezia delle sette coppe dell'Apocalisse?» «Sì», risposi con serietà. «È solo alla terza coppa. Temo che presto arrivi la quarta.» Benson scosse nuovamente il capo, poi si alzò. «Allora pregherò che lo catturiate presto.» Ci riunimmo a Barak e uscimmo. Il fracasso delle martellate era assordante. Mi rivolsi ad Harsnet. «Quello nasconde qualcosa», dissi. Il coroner annuì. «E anche la mia impressione. Ma che cosa?» «Ci osserva», sussurrò Barak. Harsnet e io ci voltammo: l'arciprete ci guardava dalla finestra. Si ritrasse, scomparendo nell'ombra del suo studio. «Potrebbe essere interessante dare un'occhiata in giro», suggerii. «Nella sala capitolare, magari nell'orto dell'infermeria.» Harsnet annuì. «Benissimo.» Ci facemmo strada con precauzione tra macerie e materiali edilizi, diretti al chiostro. Passammo accanto a un grosso cumulo di materassi, forse provenienti dal dormitorio. «Che ne pensate di Benson?» chiesi ad Harsnet. «Un avido arrivista.» Harsnet era corrucciato. «È triste che Lord Cromwell dovesse servirsi di gente del genere per la causa della Riforma.» Mi guardò attentamente. «E stata una delusione per molti.» Mi domandai se Cranmer gli avesse detto che aveva deluso anche me. Proseguimmo oltre il vecchio dormitorio dei monaci in via di demolizione; gli uomini sul tetto asportavano le lastre di ardesia e le gettavano nell'interno sventrato del pregevole edificio antico. Alla nostra destra, abbandonato e pieno di erbacce, vi era ciò che un tempo doveva essere stato il giardino dell'abate; accanto, un'area dove le piante erano cresciute disordinatamente, poiché da tre anni più nessuno vi badava. Riconobbi gli inconfondibili gambi e boccioli dei papaveri. «Dunque coltivava papaveri», disse Harsnet. Guardai quella desolazione. «Sì, e Dio solo sa che cos'altro.» Tornammo indietro, in mezzo al baccano dei lavori di demolizione, ed entrammo nel vecchio chiostro fra gli edifici conventuali e la chiesa.

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Sulle prime fu tutto tranquillo; poi venne giù un altro acquazzone, che si mise a scrosciare sul tetto del portico e sulle lastre di pavimentazione del chiostro sottostante. Harsnet scrutava il chiostro, dove un tempo passeggiavano i monaci, tormentandosi la corta barbetta grigia. Mi domandai che cosa stesse pensando. Poi si voltò verso di me con un sorriso inatteso. «Laggiù c'è una panca», disse. «Sarebbe una buona occasione per parlare un po' in pace, prima di andare a visitare la sala capitolare.» «Sì. Dopo tutto ciò che è successo, sento proprio la testa ronzarmi.» Andammo a sederci tutti e tre. «Secondo me l'arciprete Benson ne sa più di quanto ha ammesso», esordii. Harsnet annuì. «Sono d'accordo. Lo interrogheremo di nuovo, e presto. Non credo, però, che sappia dove si trova Goddard: ha capito che non sarebbe saggio nasconderlo.» Scosse la testa, con un profondo sospiro. «E che cos'è Goddard? L'uomo che cerchiamo, o un'altra vittima, o tutt'e due le cose?» Il suo accento occidentale era più forte, come sempre ogni volta che parlava con enfasi. «Sono passati più di due mesi da quando è scomparso. Se fosse stato una vittima a quest'ora sarebbe stato trovato.» Harsnet corrugò la fronte. «Ma dov'è andato? L'arciprete avrebbe dovuto saperlo. Non si preoccupava dei monaci che erano stati suoi sottoposti?» «La sua era solo una funzione politica», azzardò Barak. «Il mio vecchio padrone ne aveva un sacco.» Harsnet lo guardò e annuì. Ero lieto che sembrasse nutrire rispetto per Barak, senza cercare di trattarlo dall'alto al basso escludendolo dai nostri discorsi come avrebbero fatto tanti. «Sì», approvò, «questo è vero. Però in qualche modo dobbiamo trovarlo.» «Chiunque sia l'assassino, ha trovato noi», aggiunse cupo Barak. «E mia moglie.» Abbassò lo sguardo, serrando i pugni. «Penso che ci abbia individuati quel giorno nella palude», dissi. «Dopo è riuscito a scoprire chi eravamo, perlomeno Barak e me, e da allora ci segue.» «Se mi ha seguito senza che me ne accorgessi, è molto più in gamba di me», osservò bieco Barak. «Ma è impossibile.» Si strofinò rabbiosamente il viso con le mani.

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«Credo che sapesse che il corpo del dottor Gurney era stato trovato e che la cosa veniva tenuta segreta», dissi. «Perciò uccise Roger in un modo che non passasse assolutamente inosservato a nessuno. Poi trascorse le sue giornate nella palude, ad aspettare che gli investigatori ispezionassero il luogo dell'assassinio di Gurney, con il quale la morte di Roger sarebbe stata sicuramente collegata, per scoprire chi gli avrebbe dato la caccia.» Harsnet scrollò la testa. «Ma che razza di uomo sarebbe stato capace di starsene lì per giorni e giorni? Una pazienza, una resistenza del genere sembra... non umana.» Sapevo che pensava alla possessione diabolica. Esitai per un lungo momento, quindi parlai ai miei due compagni della teoria di Guy sulla pazzia ossessiva, dei casi da lui citati e di Strodyr. Harsnet ascoltava con attenzione, fissandomi con i suoi occhi azzurri e penetranti. Alla fine scosse il capo con decisione. «A me quelli, il francese e Strodyr, sembrano proprio degli indemoniati. E anche quest'uomo. Mi spiace, avvocato superiore Shardlake, ma io non mi fido del dottor Malton. Sento che rimane fedele alle sue vecchie convinzioni. E con il vescovo Bonner che dimostra con i protestanti la stessa indulgenza di un macellaio di Eastcheap con i poveri agnelli, mi dovete perdonare se rimango in dubbio su quest'ipotesi.» Barak si volse verso di noi, con gli occhi d'un tratto in fiamme. «Che sia un indemoniato o un pazzo, questo non spiega perché quel bastardo lo stia facendo, e perché sembra che adesso sia lui a dare la caccia a noi, anziché noi a lui.» «Oh, ma noi gliela daremo», rispose Harsnet con feroce risolutezza, «e lo troveremo.» «Mi domando se dovremmo cercarlo tra le sette protestanti radicali», dissi, guardando fisso negli occhi Harsnet. «Come pure nelle chiese che hanno predicatori radicali e nelle congregazioni religiose in cui si tengono gruppi di studio e assemblee private. Certune hanno sviluppato dottrine estremiste... gli adamiti, che credono di avere riacquistato la primitiva innocenza di Adamo, gli ariani che negano la Trinità...» M'aspettavo che Harsnet disapprovasse con decisione, invece annuì. «Già, la persecuzione induce gli uomini a rinchiudersi in se stessi. Quando persino un uomo di fede che scrive in versi su argomenti di

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devozione, per invogliare i bambini a leggere la parola di Dio, come un mio amico, può finire nella prigione di Fleet...» «E quest'uomo sembra credere di avere ricevuto da Dio la missione di uccidere i radicali apostati.» «Oppure vuole che noi lo pensiamo», rispose Harsnet. Mi squadrò con gravità. «Forse l'assassino è davvero un sostenitore della persecuzione del vescovo Bonner. Se la cosa continua, non può che incoraggiarla.» «In ogni caso, conosceva il passato religioso del dottor Gurney, di Tupholme e del mio povero amico Roger», insistetti. «Tre uomini che non avevano altro in comune.» Harsnet sospirò prima di annuire. «Molto bene, provvederò affinché venga fatta qualche indagine.» Parve esitare, poi aggiunse: «Avete pensato, signore, che voi pure potreste essere una potenziale vittima? Anche voi un tempo foste un radicale, come mastro Elliard.» «Mai stato radicale quanto lui.» Eppure sapevo che Harsnet aveva ragione: in teoria ero una potenziale vittima, mentre né Harsnet né Barak lo erano. Pensai nuovamente, con un improvviso brivido, che lo era anche Dorothy. «A Londra sono in migliaia a rientrare in quella categoria», aggiunsi. «Migliaia.» Harsnet mi osservò come se intuisse la mia paura e valutasse il mio coraggio. Fece un cenno lievissimo, poi disse: «Una cosa alla quale dobbiamo pensare sono i mezzi. Se dobbiamo cercare Goddard, indagare nelle sette e proteggere chi ne ha necessità, abbiamo bisogno di un gruppo di uomini capaci di mantenere il segreto. Io dispongo di alcuni mezzi, ma sono limitati». Trasse un profondo respiro. «Tuttavia, un altro ha offerto il suo aiuto all'arcivescovo Cranmer.» «Chi?» «Sir Thomas Seymour.» Chinò il capo. «Sì, è stata una sorpresa anche per me. Voi sapete per quale motivo fu inizialmente coinvolto Seymour?» «Il suo legame con Catherine Parr?» «Sì. Disse di voler proteggere cavallerescamente i suoi interessi, ma c'era di più. Quando il dottor Gurney fu trovato morto temeva di poter essere sospettato come membro di un complotto mirante ad allontanare il re da Lady Catherine. L'arcivescovo Cranmer mi disse di avere provato sollievo quando fu trovato Tupholme, e l'interesse per lei venne meno. Ora, però, si è offerto di aiutarci con uomini fidati del suo seguito.»

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«Perché?» Harsnet diede in una risata senza allegria. «Sir Thomas ama l'avventura e ha un seguito pieno di giovanotti come lui.» «Si direbbe possibile, da quanto ho sentito sul suo conto», convenne Barak. «È un furfante detestabile, ma dobbiamo trovare aiuto dove si riesce. L'arcivescovo e Lord Hertford sono talmente vicini alla corte che se avvenisse qualcosa nel loro seguito verrebbe notato; viceversa nessuno presterebbe attenzione, e meno ancora se ne preoccuperebbe, di un andirivieni di gente di Sir Thomas Seymour.» «Ci possiamo fidare?» chiesi, dubbioso. «Ha i suoi motivi per tenere la bocca chiusa: la cosa potrebbe essere venuta a conoscenza del re, è già coinvolto nel segreto. Credo che sia sicuro.» «Bene, signore, voi ne sapete molto di più di me su quanto riguarda la corte. Mi fiderò del vostro giudizio.» Harsnet chinò il capo in atto di assenso. «Grazie.» Esitò. «Quali siano le nostre divergenze in materia di fede, sono certo che potremo lavorare bene insieme.» «Senza dubbio lo spero, signore», risposi, con un pizzico di imbarazzo. «Magari una sera potreste venire a cena con mia moglie e me», aggiunse. «Sarebbe un'occasione per conoscerci meglio.» Il coroner arrossì, e mi resi conto che, in realtà, era un timido. «Ne sarei lieto.» «Bene.» Si alzò. «E adesso andiamo a dare un'occhiata alla sala capitolare. Mi aspetto che sia piena di idolatrie papiste.» Chiedemmo a uno scrivano di passaggio dove si trovasse la sala capitolare. C'indicò una pesante porta di quercia socchiusa che si trovava a poca distanza. Attraverso uno stretto varco entrammo in una delle sale più straordinarie che avessi mai visitato. Era enorme, di pianta ottagonale e rischiarata da ampi finestroni dai vetri colorati. Il pavimento era lastricato di ammirevoli piastrelle. All'ingresso, come per custodirne l'entrata, vi erano artistiche statue a vivaci colori della Vergine e di san Pietro. A lasciarci tutti e tre senza fiato, tuttavia, tanto da rimanere a guardare a bocca aperta, fu che, sotto le finestre, ogni parete era suddivisa in pannelli, su ognuno dei quali era affrescata, a colori brillanti e sbalzata in foglia d'oro, una scena dell'Apocalisse. Ce n'erano una quantità,

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l'intera storia, a tinte forti e spietate: san Giovanni, il Cristo giudicante, l'abisso di fuoco dell'inferno, la bestia con sette teste e dieci corna, e i sette angeli, che versavano i calici dell'ira sul mondo infiammato dai tormenti. *** Capitolo diciannove. Rimanemmo in silenzio, girando su noi stessi per osservare il grande panorama di distruzione. Le storie che si sviluppavano sui pannelli erano interrotte, su una parete, da un Giudizio Universale raffigurante i giusti che salivano al Cielo, mentre i dannati pallidi e nudi venivano precipitati all'inferno; persino a quell'immagine, però, non erano sufficienti i colori violenti e le scene drammatiche per rendere appieno le visioni dell'Apocalisse. Per la prima volta ne avvertii davvero la potenza. Barak si avvicinò ai pannelli per esaminarli più da vicino; i suoi passi echeggiarono sulle mattonelle. Si arrestò sotto un dipinto della grande bestia con sette colli da serpente che uscivano dalle spalle massicce: all'estremità di ciascuna c'era una ringhiosa testa coronata, ornata di una o due corna. Prima, con il capo circondato da un'aureola di foglia d'oro, spiccava una rappresentazione di san Giovanni, il testimone di ciò che sarebbe avvenuto, che aveva un'espressione colma di timore. Lo raggiunsi. «Così dunque era l'aspetto della bestia con sette teste e dieci corna», dissi. «Non riuscivo a immaginarla.» Lo stile dei dipinti era quello di duecento anni prima, con le figure prive della realistica fluidità acquisita in tempi più recenti; nonostante ciò erano impressionanti e terribili. «I monaci di Westminster vedevano queste cose», dissi piano. «Goddard, Lockley, Cantrell. Ogni giorno, in capitolo. Sì, questa è roba capace di divorarsi lo spirito di un uomo.» «Ma Lockley, il converso laico, non avrebbe preso parte al capitolo, no?» chiese Barak. «Nella sala capitolare si svolgevano molte altre attività. Dovette vedere spesso gli affreschi.» Ci raggiunse Harsnet. «I papisti dicono che abbiamo messo la Bibbia nelle mani di chi non sa comprenderne il messaggio e viene indotto a darne interpretazioni dissennate. Ma guardate, mastro Shardlake: le

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immagini possono avere il medesimo effetto. Se questa sala fosse stata intonacata con una mano di calce, come in una buona chiesa riformata, non avrebbe mai potuto sconvolgere la mente di Goddard. Credo che il demonio sia entrato in lui per mezzo di questi dipinti.» «Se è Goddard.» «Già, se è lui. Ma sembra molto probabile che lo sia.» Lo guardai. «E questo che l'arciprete ci teneva nascosto? Ricordava certamente questa scena, magari gli effetti che aveva avuto su qualcuno?» Harsnet serrò le labbra. «È ciò che scopriremo. Avvocato superiore Shardlake, domani tornerò dall'arciprete. Potete parlare voi con quegli altri due ex monaci, scoprire che cosa sanno? Dobbiamo accrescere le nostre cognizioni prima di vedercela di nuovo con Benson.» «Sì», risposi, «oggi, dopo le udienze, se posso.» Annuì, soddisfatto. «Io mi informerò presso il consiglio comunale di Londra, lì magari qualcuno conosce la famiglia di Goddard.» «Prima di andare via, mi piacerebbe dare un'occhiata a ciò che rimane degli edifici dell'infermeria.» «Sì, bisognerebbe.» Harsnet gettò un'occhiata di disgusto tutto intorno alla sala, poi ci precedette all'uscita. Mi soffermai presso una scena raffigurante un angelo dalla faccia feroce, alato e in vesti bianche, che versava un liquido sul terreno che si tramuta in fuoco. Tra le fiamme spuntavano facce bianche agonizzanti. «La quarta coppa», mormorai a Barak. «Dio mio, spero che lo prendiamo prima che massacri qualcun altro.» Fuori, nel chiostro, chiedemmo a un altro religioso dove fossero gli edifici della vecchia infermeria. Ci rispose che l'infermeria dei monaci era stata demolita, ma l'ambulatorio dei laici, che aveva assistito i poveri della parrocchia, si trovava a poca distanza, oltre il vecchio cimitero conventuale. La pioggia cessò quando lasciammo il chiostro e tagliammo per un sentiero che attraversava un'area quadrata, punteggiata di pietre tombali, alcune delle quali vecchie di secoli. Come in tutti i monasteri soppressi, presto le lapidi sarebbero state divelte, le bare dissotterrate e le ossa gettate in una fossa comune. L'infermeria era un fabbricato basso e lungo, separato dagli edifici principali per precauzione contro i contagi. La pesante porta di legno non era chiusa a chiave. Dentro c'era una stanza nuda, scarsamente illuminata da finestre alte e polverose, nella quale non era rimasto nulla

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eccetto qualche straccio negli angoli, alle pareti i segni di dove erano stati appesi quadri e una grossa croce, e un camino spento con escrementi di topo sparsi tutto intorno. «Dove vanno adesso i malati di Westminster?» chiesi a bassa voce, pensando ai progetti di Roger per un ospedale. Mi sembrò che il suo volto mi riapparisse davanti con un sorriso lieto, per salutarmi. «Non hanno più nessun posto dove andare», rispose tristemente Harsnet. Ci voltammo tutti di scatto quando la porta cigolò. Qualcuno tentava di aprirla, pian piano e furtivamente. Barak mise mano alla spada quando una figura sbalorditiva scivolò nella stanza: un vecchio con una zazzera di capelli chiari e arruffati come il nido di un uccello, sparuto e cencioso, le guance incavate. Non ci aveva visti, e mentre lo fissavamo prese un lungo stecco trovato da qualche parte, e cominciò a frugare in un angolo tra le immondizie. «Che fai qui?» Echeggiando nella stanza, la voce sonora di Harsnet fece sobbalzare violentemente l'intruso, che lasciò cadere il bastoncino, congiunse le mani davanti al petto e ci squadrò impaurito. «E allora?» chiese Harsnet. L'uomo si spaventò. «Io... io non facevo niente di male, signore.» Aveva una voce impastata, poco comprensibile, e sulle prime credetti che fosse ubriaco, ma poi mi accorsi che era senza denti. Mi accorsi altresì che in realtà era più giovane che all'apparenza: erano le guance incavate a farlo sembrare così vecchio. «Sei venuto per qualche motivo», proseguì Harsnet. «Sei nel bel mezzo del perimetro dell'abbazia, non te ne andavi a zonzo per caso.» «Cercavo i miei denti», rispose l'uomo, torcendosi le mani e indietreggiando. «Speravo di trovarli in un angolo. Da qualche parte dove non ho guardato. Da qualche parte a Westminster.» C'era una costernata impotenza nei suoi grandi occhi azzurri, e mi chiesi se fosse un deficiente. «Va bene, ma vattene», disse meno duro Harsnet, evidentemente giunto alla mia medesima conclusione. L'uomo sgattaiolò fuori, chiudendosi la porta alle spalle sempre lentamente, con un cigolio, come timoroso di disturbarci ancora con il rumore. «Nel nome di Jesu, che cos'era?» chiese Barak. «Un povero mendicante fuor di senno», rispose Harsnet. «Ce ne sono dovunque a Westminster, evidentemente riescono a insinuarsi persino

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qua dentro. Bisognerebbe avvertire le guardie. E vi sarei grato se non nominaste invano il nome del Signore.» Gli occhi di Barak scintillarono. Udii in lontananza il campanile battere le dieci. «Devo andare in tribunale», dissi. «Presto, venite, Barak. Mi spiace, mastro coroner, ma dobbiamo lasciarvi. Vi aggiornerò, dopo avere visto quei due ex monaci.» Tornammo verso l'ingresso principale in compagnia di Harsnet, poi uscimmo fuori nell'animato perimetro. Ora era pieno di vita, le botteghe affollate, la gente si accalcava da ogni parte. Scorgendoci, un paio di venditori ambulanti si affrettarono verso di noi. Uno portava un vassoio carico di vecchi vasi, il cui tanfo ci raggiunse precedendoli di parecchio. «Olio del grande pesce, padroni», vociferò. «Pieno di poteri magici!» Barak lo allontanò con un gesto. Una mano ossuta mi afferrò per il mantello, e voltandomi a mezzo vidi una donna stracciata, con in braccio un bambino pallido e macilento. «Da mangiare per mio figlio», disse. Mi voltai dall'altra parte prima che potesse incontrare il mio sguardo, ricordando che si diceva che le mendicanti facevano fare la fame ai loro bambini per muovere a compassione. Oppure quella era solo un'altra fandonia che raccontavamo a noi stessi per tranquillizzarci la coscienza mentre fingevamo di non vedere quella gente? Nel dirigerci alla volta del portone che immetteva in Thieving Lane, scorsi un parapiglia davanti a una bottega. Un uomo di mezz'età e sua moglie, entrambi in apparenza spaventati, fronteggiavano due guardie della parrocchia, mentre altri due gendarmi trascinavano fuori dalla bottega casse malandate, e un altro rovistava in un terzo baule, posato sul suolo fangoso. La folla radunatasi assisteva cupa e ostile, e notai i grembiuli blu di numerosi apprendisti. S'era accostata alla ressa anche una piccola banda di accattoni, malridotti e coperti di croste, alcuni senza brache, con indosso sottane di stoffa. Fra di essi c'era un paio di donne, forse giovani ma con facce coriacee e segnate dagli elementi, che ridevano passandosi fra loro una borraccia di cuoio. «Ancora niente libri», disse il gendarme che frugava nel cofano. «Non abbiamo libri proibiti», si lagnava il bottegaio. «Tutto ciò che facciamo è fornire costumi teatrali. Ci guadagniamo da vivere così. Per favore...» «Già», disse il gendarme accanto a loro, «alle compagnie che recitano i lavori di John Baie, e altra robaccia eretica.» Tra

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la folla corse un mormorio minaccioso. Il suo collega sollevò dal baule una barba finta, facendo ridere come una pazza una delle ubriache. «Hanno portato l'epurazione anche a Westminster», sussurrò rabbiosamente Harsnet. «Ecco che cosa faceva quaggiù Bonner.» «Devo andare in tribunale», risposi. Non volevo farmi coin volgere in ciò che poteva trasformarsi in una brutta rissa. «Fatemi passare», dissi, nel tentativo di aprirmi una strada; tuttavia la folla, sempre più numerosa, non faceva che infittirsi, mentre la gente si spingeva e si schiacciava per assistere meglio alla scena, impedendo il passaggio verso il portone. Barak mi si parò davanti, facendosi largo a spintoni. Ai margini dello scompiglio s'erano raccolti altri mendicanti, con le mani tese. Un giovane cencioso mi si piazzò di fronte. «Fuori dai piedi!» gridai innervosito, sospingendolo via per uscire dalla calca. «Corvo gobbo!» urlò. Proprio quando fummo ai margini della folla avvertii un acuto dolore alla parte alta del braccio sinistro. Nello stesso momento udii il mio nome pronunciato a bassa voce, in un bisbiglio: «Shardlake». Mi portai l'altra mano al braccio, con un grido, ritraendola coperta di sangue. Al mio urlo Harsnet e Barak si voltarono. Sollevai la manica lacerata della toga, scoprendo nel farsetto un lungo squarcio da cui sgorgava sangue. «Sono stato pugnalato», dissi, sentendomi di colpo debole. «Toglietevi la toga», esclamò pronto Barak. I suoi occhi saettarono sulla folla, ma non fu possibile scoprire, fra la ressa, chi mi avesse colpito. Feci ciò che mi era stato ordinato. I passanti guardavano incuriositi mentre Barak apriva il taglio nella parte superiore della manica; poi fischiò. «Un taglio. Per fortuna ha mancato l'arteria.» Estrasse il pugnale e fece a strisce la mia toga stracciata, poi mi arrotolò le strisce intorno al braccio, improvvisando una legatura emostatica. Per un attimo il sangue sgorgò più rapido, poi rallentò. «Bisogna ricucire», disse Harsnet, pallido in volto. «Lo porterò in tribunale, poi manderò a chiamare il dottor Malton», disse Barak. «Potete aiutarmi?» «Era lui», boccheggiai. «Ho sentito... pronunciare il mio nome... proprio mentre mi colpiva.» Mi sentivo svenire.

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Barcollammo attraverso New Palace Yard, fino in Westminster Hall. Il braccio mi pulsava dolorosamente, avevo gli abiti rossi di sangue. Harsnet parlò con la sentinella, e mi aiutarono a entrare in una stanzetta laterale, dove sedetti su una panca, tenendo il braccio sollevato secondo le istruzioni di Barak. «Vado a chiamare il vecchio moro», disse quest'ultimo. «Prima andate dal Cancelliere delle Suppliche», consigliai, «e ditegli che sono stato ferito, chiedete di rimandare le cause di oggi. Poi andate da Guy. Va tutto bene, sanguina molto meno», aggiunsi, mentre lui mi osservava dubbioso. «Su, fate presto.» «Starò io con lui», disse Harsnet; Barak annuì e se ne andò. «Avete visto chi era?» chiesi ansiosamente ad Harsnet, che tuttavia scosse la testa. «No, la ressa era troppa, può essere stato uno qualunque di quei mascalzoni accorsi a guardare quei poveri negozianti.» «Era lui.» Strinsi i denti provando un'acuta fitta. «È andato da Tamasin, e adesso è venuto da me. Mi ha squarciato il braccio sinistro: questo è un altro avvertimento.» «Ma come faceva a sapere dove saremmo stati oggi? Nessuno ne era certo, tranne me e Barak.» «Non avevate detto a Cranmer che vi sareste incontrato con me? O ai Seymour?» «No, ieri sera non ce ne fu il tempo.» D'un tratto parve atterrito. «Mio Dio, ma quali poteri ha mai concesso il demonio a quest'essere?» Il mio cervello stanco non trovava una risposta razionale da dargli; non sapevamo capacitarci dell'abilità di quell'uomo di braccarci non visto, di conoscere ogni nostra mossa. D'un tratto ebbi un capogiro. Chiusi gli occhi e dovetti svenire, perché la cosa successiva di cui mi resi conto fu che qualcuno mi toccava la spalla, e quando aprii gli occhi vidi quel ragazzo, Piers, in piedi presso di me, che mi fissava la spalla con un'aria di interesse professionale. Guy e Barak gli stavano accanto; quest'ultimo sembrava piuttosto preoccupato. «Sei svenuto», disse Guy. «E stato lo choc. Sei rimasto privo di sensi per mezz'ora.» Mi accorsi di giacere sulla panca nella stanzetta; attraverso la porta chiusa udivo i rumori e il vociare del tribunale; più lontano qualcuno chiamava in aula i convenuti di una causa. «Vedermi ti farà stare male, Guy.»

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«Sciocchezze. Fammi dare un'occhiata.» Disfece la legatura. Una profonda incisione, lunga otto centimetri, mi solcava la spalla. La ferita rossa, che spiccava sulla carne bianca per essere stata stretta nella fasciatura, mi ricordò atrocemente il corpo di Roger, e la testa mi si annebbiò di nuovo. «Stenditi», disse con garbo Guy, mentre le sue dita esploravano la ferita. «Vi applicherò un unguento che impedisce l'infezione», disse. «Poi bisognerà che ti ricuciamo. Sarà doloroso, temo.» «Fa' ciò che occorre», risposi, benché mi si sconvolgesse lo stomaco. «Barak, siete andato in tribunale?» «Ho detto che eravate malato. Gli impiegati sono andati dal giudice, che ha accettato di sospendere le vostre cause.» Barak esitò, quindi proseguì: «Harsnet dice che forse dovreste rinunciare a tutte le vostre cause, finché questa faccenda non sarà conclusa. Cranmer e Lord Hertford possono facilitare la cosa». «Potrebbe essere una buona idea, almeno per alcune. Però il 4 debbo essere presente all'udienza di Adam Kite: è una questione troppo delicata perché io la passi a qualcun altro.» Guy mi spalmava sul braccio uno spesso unguento, che bruciava. «Dobbiamo pulire bene la ferita prima di cucirla. Sentirai male per un po'», disse. «Sarai anche stanco, perché il tuo corpo lavora per ricostruirsi.» Mi diede una pacca sull'altra spalla. «Adesso cuciamo. Lo farà Piers. Non ti preoccupare, lo ha già fatto molte volte. Io controllerò.» Il ragazzo si avvicinò, frugò nel suo fagotto e ne trasse un ago sottile e acuminato, nel quale era già stato infilato del filo nero. «Ricorda», gli disse Guy, «piano e con cura.» Il ragazzo posò l'involto, inginocchiandosi accanto a me. «Farò piano, signore», disse tranquillo con un sorriso; poi mi conficcò l'ago nella carne. Due ore dopo ero già a casa, adagiato sui cuscini in salotto. Entrò Barak. «Tutto a posto?» chiesi. «Sì. Gli altri avvocati delle Suppliche si occuperanno di alcune cause. I cancellieri però hanno fatto storie, e credo che una parola al giudice da parte di Cranmer o di Lord Hertford non farebbe male.» «Scriverò un biglietto ad Harsnet. E stato buono ad aiutarvi a trasportarmi a Westminster Hall, non molti coroner l'avrebbero fatto.»

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«Troppo fissato con la sua religione per i miei gusti. Si direbbe che creda sul serio che l'assassino è posseduto dal demonio.» Scosse la testa. «Quasi quasi comincio a chiedermi anch'io se non abbia ragione.» «Voi, Jack, avete paura del diavolo?» «No, ma non riesco a farmi una ragione di questo giochetto a mosca cieca che quel bastardo sta facendo con noi: aggredire Tamasin, e ora voi, svanendo ogni volta nell'aria come uno spettro. E come fa a seguirci ovunque senza essere visto?» «Ci ho pensato, mentre ero qui seduto.» Mi tirai su, trasalendo a una fitta. «L'assassino prima ha ucciso l'ortolano, e sono pronto a scommettere che pensava che quando l'avessero scoperto si sarebbe scatenato un gran baccano; viceversa tutti hanno incolpato la puttana gallese.» «Già.» «Quindi uccise il dottor Gurney e lo lasciò nello stagno. Il clamoroso omicidio di un uomo in vista avrebbe facilmente causato un'ampia sensazione. Forse pensava anche che qualcuno avrebbe stabilito un legame con l'Apocalisse, dal modo in cui fu assassinato il dottor Gurney. Cranmer, invece, mise tutto a tacere.» «Quindi non ha ottenuto di scatenare lo scompiglio che voleva.» «No. Allora uccise Roger, in un modo ancora più plateale. Poi ci attese nella palude.» «Dovrebbe essere furbo e calcolatore come una volpe, e paziente come un gatto.» «Nonché assolutamente votato a ciò che sta facendo. Ricordate come rimase nascosto nella palude quando gli davamo la caccia? Allora però ci ha visti e individuati. Ha pedinato voi fino a casa vostra, e me fino alla mia.» «Senza essere scoperto? Andiamo, io ho già pedinato gente per conto di Lord Cromwell. Non è mica facile, specie se si è soli. E se è Goddard, si dice che abbia un grosso neo su un lato del naso.» «Lo so. Non ho ancora capito in che modo lo faccia.» «E mentre noi lo bracchiamo, lui bracca noi. Oggi, in mezzo alla folla, ha colto al volo un'occasione.» «Sì.» «Come diavolo può avere saputo che oggi saremmo stati a Westminster?» sbottò Barak.

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Scossi il capo. «Forse sapeva che saremmo dovuti andare in tribunale. Ma come poteva sapere in quale sezione lavoravo, con quale calendario?» Mi morsi un lato del dito. «A meno che...» «Che cosa?» «A meno che qualcuno non lo aiuti, comunicandogli i nostri spostamenti.» «Thomas Seymour?» chiese Barak, stringendo le palpebre. «Non mi fido di lui.» «No. Seymour vuole che l'assassino venga catturato. Credo però che qualcun altro possa aiutarlo: a me sembra più sensato questo, che credere che il diavolo gli conferisca poteri sovrumani... sospirai. «Penso che passi la sua intera esistenza a fare piani, ad aspettare. Senza fine, ossessivamente, avvicinandosi alla volta successiva in cui si scatenerà e ucciderà selvaggiamente. E darà spettacolo, perché è questo che ama.» «Questa è l'opinione del vecchio moro», obiettò acutamente Barak. «In ogni caso, c'è un'altra questione: assalendovi così, in pubblico, ha corso un rischio pazzesco. Però in quella ressa avrebbe potuto uccidervi. E avrebbe anche potuto uccidere Tamasin.» La voce gli si ruppe in un singhiozzo, e compresi quanto profondamente la cosa l'avesse tormentato. «Perché non l'ha fatto?» «Vuole che io abbandoni il caso?» «Potrebbero sempre rivolgersi a un altro.» «Sì, è vero.» «E quasi come se quel farabutto si prendesse gioco di noi. Una cosa è certa: voi e io dovremo fare attenzione a ogni passo che muoviamo all'esterno. Siate contento che abbiamo in cucina quell'uomo di Harsnet.» Strinse i pugni. «Voglio trovare quel bastardo e ammazzarlo con le mie stesse mani!» «No, ci serve vivo.» Scossi la testa. «È Goddard, Barak?» «Non lo so.» «Siamo talmente prigionieri del mistero e del terrore che è una tentazione aggrapparci a qualunque possibilità», sospirai. «Chiunque sia, prego di beccarlo prima che qualcun altro faccia una morte orribile. Prima che ci mostri di nuovo quant'è bravo, perché di sicuro questo fa parte del suo piano.» Incertezza e timore oscuravano ancora il volto di Barak. Per distrarlo, dissi: «Sembrava che quella folla potesse diventare cattiva».

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«Dunque Bonner se la prende anche con le compagnie teatrali», osservò, ma senza grande interesse. «Come s'è visto stamattina, potrebbe finire per disturbare un nido di vespe, e della grandezza di una città.» «Già. Potrebbe arrivare il momento in cui gli estremisti si ribellano. Oh, peste a tutt'e due le parti», aggiunse, non senza irritazione. «Certo», convenni. «A proposito, ditemi un po', che ne pensate dell'assistente di Guy? Del giovane Piers?» «Non mi va granché a genio. Un po' strisciante e servile, con quelle belle maniere e quella bella faccia. E in gamba, vi ha cucito bene il braccio. Il guaio è che sembrava che per lui fosse un divertimento.» «Guy direbbe che sta imparando il distacco di chi pratica la medicina.» Risi di malavoglia. «Ricordate un anno e mezzo fa, quando vi feriste in una caduta a York e vi ritrovaste invalido? Adesso tocca a me.» Barak sorrise. «Abbiamo avuto qualche guaio.» «Effettivamente.» Barak appariva ancora preoccupato. «Come sta Tamasin?» provai a chiedergli. «Dorme», rispose. «Ha bisogno di riposo. Io...» Fummo interrotti da un bussare frenetico alla porta, poi dalle voci allarmate di Joan e di un uomo. Passi risuonarono nell'ingresso. Barak e io ci scambiammo un'occhiata. «Ha colpito di nuovo», ansimai. Quando tuttavia la porta si spalancò comparve Daniel Kite, con i capelli in disordine e il respiro affannoso. «Signore!» esclamò. «Dovete venire! Per l'amor di Dio, venite!» «Che...» «Adam, signore. È scappato. S'è arrampicato in cima al Muro di Londra, fuori Bishopgate, e grida alla gente di pentirsi, di abbandonare i preti e tornare a Dio! Questa è la volta che finisce sul rogo!» *** Capitolo venti. Il Muro di Londra distava due chilometri da Bishopgate, un doloroso tragitto in mezzo alla calca, con il braccio che a ogni sussulto mi doleva nel bendaggio. Daniel e Minnie marciavano più svelti che potevano, Daniel aveva la faccia tesa, Minnie l'aria di crollare da un momento

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all'altro. Una raffica di vento portò con sé un altro violento scroscio di pioggia, e mi gettò quasi a terra il cappello. Avevo indossato la mia toga migliore e il cappello, prevedendo di avere bisogno di esercitare una certa autorità a Bishopgate. Daniel mi aveva detto che un'ora prima era arrivato nella sua bottega un amico, ad avvertirlo che Adam stava in cima al Muro di Londra e urlava alla folla che per salvarsi doveva tornare a Dio. Era accorso e aveva visto il figlio arringare una massa sempre più folta di gente; a quel punto erano venuti a cercarmi perché non sapevano a chi altro rivolgersi. Mi domandai, non senza irritazione, come avesse fatto Adam a fuggire da Bedlam e mi colpì il pensiero che la sua forsennata predicazione era una novità. Avevo mandato Barak a chiamare Guy, con una fitta di rimorso per il disturbo che gli avrei nuovamente arrecato; eppure era stato lui ad arrivare più vicino di chiunque altro a comunicare con Adam, e se non si riusciva a far scendere il ragazzo da quel muro, stavolta ci sarebbe stato il rogo. Mentre percorrevamo All Hallow Street udimmo il brusio di una folla e scoppi di risate. Un momento dopo comparve Adam. Si trovava in cima alle antiche e fatiscenti mura della città, e gridava, rivolto alla gente radunatasi nove metri più in basso. Vestito di luridi stracci, con i capelli arruffati e gli occhi spiritati, sembrava uno di quei mentecatti che in campagna sfuggivano alle loro famiglie, per andare vagando nelle foreste inaccessibili finché non morivano di fame. Incombeva su Wormwood Street, a forse una cinquantina di metri dalla Torre di Bishopgate: in qualche modo doveva avere raggiunto il tetto dell'edificio e vi si era arrampicato. L'antico muro della cinta urbana era largo, ma in molti punti pericolante: mentre lo osservavo, Adam divelse con i piedi una grossa pietra, che precipitò sulla folla. «Ehi, lassù, sta' attento!» gridò qualcuno. Il ragazzo per poco non scivolò, ma riuscì a mantenere l'equilibrio. «Dovete venire a Cristo!» strepitava. «Dovete, dovete garantirvi di fare parte del numero degli eletti! Prossima è la fine, l'Anticristo è fra noi! Per carità, dovete pregare!» Scorsi nella folla il reverendo Meaphon, con una faccia più rossa che mai. Ci facemmo strada a spallate fino a lui. Aveva accanto a sé un altro ecclesiastico, un vecchio alto e smilzo, con una faccia dal naso a

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becco e folti capelli bianchi, ben pettinati e puliti: sembrava che quei predicatori radicali avessero molta cura per le loro capigliature, un tocco di vanità sui loro abiti severi. Minnie afferrò un braccio di Meaphon. «Oh, signore, siete venuto!» Meaphon si rivolse a me, e notai che era spaventato. «Bisogna farlo scendere», mi disse con urgenza. «Se lo prendono, io finirò sotto inchiesta, come pure l'intera congregazione!» «Anche la mia!» disse l'altro religioso. «Sono William Yarington, rettore della chiesa accanto a quella del reverendo Meaphon.» Mi parlava in un tono di gravità solenne, evidentemente ritenendomi un simpatizzante dei radicali. «La nostra verità, la nostra fede autentica, è minacciata da papisti e apostati come mai prima d'ora. Quel matto d'un ragazzo doveva essere tenuto rinchiuso al sicuro, con qualcuno che pregasse con lui senza sosta.» E guardava Meaphon. «Pensa già abbastanza a pregare per conto suo», ribattei asciutto. Yarington mi squadrò freddamente dall'alto al basso, poi mi volse le spalle bofonchiando qualcosa tipo: «Un altro agnostico». Mi volsi in direzione di Meaphon. «Avete cercato di parlargli?» gli chiesi. «Sì, sì! Gli ho ordinato di scendere, gli ho intimato di smettere di gridare. Gli ho detto che avrebbe messo in pericolo i suoi genitori... Ma non vuole ascoltare.» «Se ci trovano qui, se mi mettono in relazione con lui...» borbottò il pastore dai capelli bianchi, guardandosi attorno come in cerca di una scappatoia; poi fissò nuovamente Adam, che gridava di soffrire per tutti loro come Gesù in croce. Meaphon scosse la testa. «Presto avvertiranno Bonner. Verrà qui!» «Sarebbe meglio per tutti se cadesse e si rompesse l'osso del collo», disse l'altro pastore. Minnie era di nuovo scoppiata a piangere e singhiozzava sul petto del marito. «Fate qualcosa, signore», m'implorò Daniel. «Vi prego!» Dalla folla si levò un nuovo scoppio di risa. Qualche balordo aveva portato un orso ammaestrato per divertire la gente, e il piccolo animale, incatenato, con la museruola e strisce di stoffa colorata cucite alle orecchie, guardava la calca impaurito. Il suo padrone lo percosse sul naso, gridandogli: «Balla!» e la povera creatura prese a dondolare da una zampa all'altra. Il guardiano posò in terra il berretto, perché gli spettatori vi gettassero qualche moneta.

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«Dai!» gridò qualcuno ad Adam. «Balla anche tu! Forza, facci un ballo!» Avevo accanto due uomini di mezz'età, nella tenuta della corporazione dei fabbricanti di coltelli. «Questa è una bestemmia», disse uno, irritato. «Bisognerebbe far venire il consiglio comunale, lo si dovrebbe mettere in prigione e punire per questa pagliacciata.» «Qualcuno è andato al palazzo di Bonner», disse il compagno non senza bieca soddisfazione. «Sarà punito di sicuro.» «Hai ragione tu, fratello!» gridò ad Adam qualcuno in mezzo alla ressa. «Lo Spirito è in te!» La gente, lo vedevo, era perlopiù benevola, ma, com'era accaduto quando avevano arrestato i venditori di costumi, poteva diventare cattiva. Mi feci avanti, giungendo subito sotto Adam, e guardai in su verso di lui. S'era concesso una pausa e ansimava con affanno. Notai che tremava: se fosse svenuto... «Adam», lo chiamai. «Scendi, per favore! Tua madre è sconvolta dalla paura!» Lui mi guardò dall'alto, poi rivolse gli occhi alla folla. «Il mondo sta per finire!» strillò. «L'Anticristo è qui! Se non rinunciate a Satana e venite a Gesù, brucerete tutti! Tutti!» «Parla, pappagallo, parla!» lo derise uno. «Guarisci il braccio del gobbo, come Gesù guariva i malati! Facci un miracolo!» Provavo sconforto e ira. Non c'erano possibilità di comunicare con Adam: era come tentare di parlare al muro. Nessuno di quei fanatici ascoltava, non facevano altro che baccano, sia che prendeste per parola di Dio ciò che dicevano sia che in nome di Dio vi condannassero con noncuranza all'eterno tormento. Adam era pazzo, ma la sua follia era nata da qui. E forse anche quella dell'assassino, che non soltanto proclamava la sanguinosa sentenza di Dio, ma addirittura la rendeva ancor più spietata. Mi stringevo il braccio che pulsava, sentendomi del tutto impotente. Vi fu un mormorio alle mie spalle. Alcuni uomini si aprivano una via a spintoni in mezzo alla calca. Con il gelo nel cuore colsi una visione di picche sollevate. Un attimo dopo fece la sua comparsa il vescovo Bonner, in veste e cappello neri, circondato dalle sue guardie. La folla arretrò mentre lui la solcava, basso, tozzo e potente, lasciando isolati me, i Kite e Meaphon. L'altro pastore s'era dileguato nella ressa. Sopra

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di noi, Adam s'era messo a declamare la Scrittura, e riconobbi un'ingarbugliata parafrasi dell'Apocalisse: «I pavidi, gli increduli, i puttanieri e gli stregoni finiranno nel lago ardente di fuoco e zolfo...» «Basta con queste bestemmie!» Il ruggito tonante di Bonner impose il silenzio alla folla, costringendo persino Adam a tacere e a sbattere le palpebre. Vista da vicino, la faccia sotto il copricapo scuro era tonda e massiccia, con grandi occhi neri fiammeggianti di collera. «Papista!» gridò qualcuno in mezzo alla folla. Bonner si guardò in giro infuriato, ma nella massa non c'era modo di dire chi avesse parlato. Il vescovo volse allora su me il suo sguardo furibondo. «Chi siete, avvocato? Siete della sua famiglia? E voi...» I suoi occhi caddero su Meaphon, che si fece piccolo piccolo. «Oh, io vi conosco, pastore Meaphon! Siete il capo della folle e dissennata schiera degli scismatici.» Avevo udito delle collere di Bonner: la sua ira era sfrenata, e una volta scatenatasi non si placava. «Eretico!» urlò in faccia a Meaphon. Il vicario, persosi visibilmente d'animo, fece un passo indietro. «Non è colpa sua, eccellenza», disse coraggiosamente Daniel Kite. «Cercava di convincere Adam a scendere. E nostro figlio. E matto, signore, matto da legare.» «Dio è il giudice di tutti, e Gesù verrà con la spada in pugno.» Adam aveva ricominciato. Bonner si volse verso i soldati. «Voi! Salite sulla torre e portatelo giù. Se cade, non sarà una gran perdita.» I soldati si avvicinarono al muro, poi si arrestarono guardando in su. Un mormorio percorse la folla quando tre uomini uscirono sul muro, passando dalla finestra della torre: Guy, Barak e Piers. Avanzavano lentamente verso Adam: Barak e Piers tenevano aperte le braccia per mantenere l'equilibrio, ma Guy, dietro di loro, camminava sicuro, sollevando la toga sui piedi per non inciampare. La calca rimase in silenzio; persino il furibondo Bonner taceva. «Vieni, Adam», disse Guy. «Ti ricordi di me? Ricordi che abbiamo parlato?» Il ragazzo lo fissò attonito, quasi chiedendosi come fosse comparso. Barak e Piers lo avevano quasi raggiunto: lo guardavano incerti, e vidi la paura sulle loro facce tese. Se avessero provato ad afferrarlo, Adam avrebbe potuto trascinarli tutti e tre nel vuoto. «Perché fai questo?» chiese Guy.

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Con mio stupore, Adam gli rispose. «Pensavo di portare gli altri a Dio: sarebbe stata la prova che ero salvo.» «Ma non tutti coloro che sono salvi possono essere messaggeri per il mondo.» Guy accennò alla folla. «Guarda questa gente: tu non sei abbastanza forte per convertire questi pagani. Non c'è da vergognarsene.» Allora Adam scoppiò a piangere, e lentamente si piegò sulle ginocchia. Qualche vecchio calcinaccio sbriciolato piovve sulla folla. Barak e Piers s'inginocchiarono cautamente presso di lui, lo fecero rialzare e, non senza difficoltà, lo ricondussero indietro sul muro. Aiutarono il ragazzo a ripassare attraverso la finestra della torre, e Guy li seguì. Bonner fece schioccare le dita, e si diresse verso l'edificio seguito dalle guardie. Daniel e Minnie, esitanti, gli tennero dietro. Meaphon rimase un momento incerto, poi retrocesse e scomparve in mezzo alla calca. Lo guardai andarsene: era un vigliacco, oppure sapeva che la sua presenza avrebbe potuto soltanto incollerire Bonner? Poi mi irrigidii: avevo avuto la sensazione che qualcuno mi osservasse, appena un accenno colto con la coda dell'occhio. Qualcuno con la barba. Mi girai di scatto, scorgendo una figura voltarsi e sparire tra la gente, l'immagine fulminea di un farsetto marrone. Il cuore mi diede un balzo. Era lui, che mi seguiva di nuovo? Rimasi come paralizzato, accorgendomi che l'ansia per Adam mi aveva reso imprudente. «Mastro Shardlake, per favore, aiutateci!» Era la voce di Minnie. Mi voltai verso di lei. * * * Adam era uscito in strada dalla torre. Guy e Barak lo sorreggevano ognuno per un braccio perché tentava di lasciarsi cadere di nuovo al suolo; aveva gli occhi chiusi e le labbra sussurravano una silenziosa preghiera. Li seguiva il custode, che guardava ansiosamente il vescovo. Bonner si piantò di fronte ad Adam con le braccia sui fianchi. «Proprio un bello spettacolo», tuonò. «Che cosa credevi di fare, ragazzo?» Adam lo ignorò, tenendo sempre gli occhi a terra; persino in quel momento pregava. Bonner si fece paonazzo. «Faresti meglio a rispondere, predicatore, o ti ritroverai sul rogo come Mekins.» «Non so come sia salito lassù», disse il custode. «Dev'essere sgattaiolato su per la torre. Lo giuro, signore, non so proprio come abbia fatto, a meno che sia uno stregone e sappia rendersi invisibile.»

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Bonner sbuffò. «Servo della cortigiana di Roma!» gridò qualcuno nella folla. Bonner si volse nuovamente, con formidabile corruccio. «Traditore!» urlò un altro. Stavolta dalla folla si levò un brusio di approvazione. I soldati strinsero più forte le picche: il clima si stava scaldando. Daniel e Minnie si guardavano attorno impotenti, Daniel aveva un'espressione mista di paura e disgusto quando i suoi occhi si posavano su Bonner. Minnie, tuttavia, fece un passo avanti, cadde in ginocchio davanti al vescovo, e lo prese per la tonaca. «Vi scongiuro, signore», disse, «mio figlio è pazzo. Malato di mente. Il Consiglio Privato lo mandò a Bedlam. Dev'esserne scappato: è capace di essere terribilmente furbo, malgrado il suo cervello alterato.» Bonner rimase irremovibile. «Ho sentito di quella decisione. Me l'ha riferita il vescovo Gardiner. Il Consiglio Privato ha avuto torto. Questa scenata dimostra che vostro figlio può essere un eretico scatenato.» Gettò attorno a sé uno sguardo fiammeggiante. «Presto vi aggiusterò io a tal punto, gente, che desidererete rifugiarvi tra le braccia di Dio.» Guardò Adam con la faccia contorta dalla ripugnanza. «Comincerò da quest'essere bavoso.» Rivolse alla folla uno sguardo di sfida: se non altro, il vescovo Bonner non mancava di coraggio. Trassi un profondo respiro e feci un passo avanti. «Signore, è pazzo», dissi con fervore e accennai a Guy. «Quest'uomo è il suo medico, lo certificherà. Non ho avuto successo con la custodia del ragazzo e le sue cure a Bedlam. La causa è stata sottoposta alla Corte delle Suppliche.» Parlai a voce abbastanza alta perché la folla mi udisse: il brusio s'era ormai fatto incessante. Bonner squadrò incuriosito Guy. «Dunque voi sareste il dottor Malton», disse. «Ho sentito parlare di voi. L'ex monaco.» «Sì, vostra eccellenza.» «Ho udito che, tra i medici, godete reputazione d'essere un uomo integro», disse Bonner. «Perché allora lavorate con questi eretici?» Guy espresse il meglio delle sue doti diplomatiche. «Il Consiglio Privato ha stabilito che era pazzo, eccellenza, non eretico. Io credo che sia effettivamente pazzo e spero che possa essere curato. Ricondotto a un retto sentire», aggiunse in maniera significativa. Una delle guardie studiò la folla che rumoreggiava, poi si sporse a bisbigliare qualcosa a Bonner. Quest'ultimo squadrò la calca, poi nuovamente Guy e me. «Molto bene», disse. «Ma mi terrò informato

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sui suoi progressi.» Si rivolse a me. «In quanto a voi, avvocato, assicuratevi che sia tenuto sotto chiave. Potrei non essere altrettanto clemente, la prossima volta.» Mi rivolse un cenno altezzoso e se ne andò, seguito dai soldati. «Bravo», mormorai a Guy, che mi restituì un'occhiata tetra. «Credo che si sia accorto che, se avesse tentato di bruciare sul rogo un ragazzo che un medico aveva dichiarato pazzo, Londra gli sarebbe divenuta ancora più ostile che per Mekins. Ma non lo dimenticherà. Matthew, Adam deve essere messo al sicuro.» «Lo riportiamo a Bedlam?» chiese Barak. «Sì. Andiamo, non è lontano. Vediamo che cos'ha da dire il custode Shawms», aggiunsi minaccioso. Piers, che s'era tenuto in disparte durante il colloquio con Bonner, si fece avanti e prese Adam per un braccio, mentre Barak lo teneva per l'altro. Ce la filammo, con la gente che ci seguiva con lo sguardo, scontenta perché le era stato sottratto un divertimento. Daniel e Minnie ci tennero dietro. Non fecero alcun tentativo di parlare con il figlio: sapevano che sarebbe stato inutile. Il lungo, basso edificio che ospitava Bedlam offriva al mondo il suo consueto aspetto squallido. Bussai alla porta, che venne aperta da Ellen. S'era tolta la cuffia e i capelli scuri erano in disordine; aveva l'aria spaventata. Quando vide Adam il volto le s'illuminò di sollievo. «Oh, sia ringraziato Iddio, l'avete trovato! Dov'era?» «Predicava alle masse dal Muro di Londra.» Un gruppetto di facce ansiose sbirciava dalla soglia del parlatorio, compresa la donna che s'era esibita durante la mia ultima visita. «Oh, Jesu.» Ellen si lasciò andare contro la parete. «Sapevo che Adam avrebbe dato un altro dei suoi spettacoli.» «Dov'è Shawms?» «Uscito, signore. Sono qui sola con i ricoverati. Uno dei sottoguardiani è malato, signore, l'altro è andato a trovare la sua famiglia nel Kent. Mastro Shawms ha detto che doveva uscire, e s'è portato dietro il terzo, Leaman. Ho trenta persone da sorvegliare. Credevo che Adam fosse al sicuro, pensavo che fosse incatenato. Dev'essere uscito dalla finestra: sono entrata nella sua cella e lui se n'era andato...» «Riportiamolo nella sua stanza.» Guidati da Ellen, Barak e Piers trascinarono Adam, tuttora un balbettante peso morto, verso la porta

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aperta della sua camera. Daniel e Minnie li seguirono, in compagnia di Guy. Io mi volsi verso Ellen. «Dunque Shawms vi ha lasciata qui da sola?» «Sì, signore.» Ebbe un'esitazione, poi aggiunse in fretta: «Penso che l'abbia fatto di proposito. Secondo me ha liberato Adam dalla catena, in modo che potesse uscire: è l'unico ad avere le chiavi». «Quando avete scoperto che Adam era fuggito?» «Un'ora fa.» «Ma non avete dato l'allarme?» Perché una persona coscienziosa come Ellen non aveva fatto nulla? Lei arrossì e abbassò la voce in un sussurro. «Io non posso uscire.» Si torse le mani in un gesto che esprimeva l'ansia più terribile. «Non sapevo che cosa fare. Gli altri pazienti erano spaventati. Credo che Shawms volesse che Adam venisse arrestato e trattato da eretico. Voleva levarselo di torno, e sarei stata incolpata io per averlo lasciato scappare. Oh, è un uomo crudele, un bruto...» «Ma perché, Ellen? Quando, prima, mi avevate detto di non poter lasciare Bedlam, non avevo capito che intendevate di non poter uscire da questo edificio. Perché?» «Non me lo domandate, signore.» Mi guardò con aria disperata e implorante. Mi domandai se quella donna avesse commesso qualcosa di terribile, se magari le fosse stato proibito di uscire per ordine di un tribunale. Ma allora perché le era stata affidata la cura dei ricoverati? La porta principale si aprì ed entrò Shawms, con al fianco un altro guardiano. Quando mi vide sorrise malignamente. «Buon giorno, mastro avvocato. Come sta oggi il vostro protetto?» «Sano e salvo nella sua cella», risposi con fermezza. «Con i suoi genitori e il suo medico.» La faccia di Shawms si fece delusa. «Oh.» «È scappato, secondo i vostri piani, ma l'abbiamo riportato indietro, al sicuro.» Mi accostai a lui. «E adesso ascoltatemi bene, signore: il vostro piano spietato di farlo fuggire e gettarne la responsabilità su questa povera donna è stato scoperto. Se capiterà un'altra volta, porterò il vostro operato a conoscenza dell'arcivescovo Cranmer.» Sbarrò gli occhi. «Sì, sono al servizio dell'arcivescovo. Capito?» Mi gettò uno sguardo furioso. «Non so come sia uscito», borbottò. Nel frattempo l'altro guardiano aveva fatto marcia indietro e s'era dileguato.

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«Siete un bruto, un bruto!» Era la voce di Minnie. Lei e Daniel si affacciavano sulla soglia della cella di Adam. Alle loro spalle vidi Barak con una faccia torva, ma Piers, dietro di lui, sorrideva: si divertiva. «Badate bene, mastro custode.» Guardai Ellen. «E non ve la prendete con lei. Non so quale potere abbiate su di lei, né perché non possa uscire, ma non ne farete il vostro capro espiatorio.» Shawms scoppiò allora in una risata gutturale. «Io avere un potere su di lei? È quello che vi ha detto?» «Lei non mi ha detto niente.» «Scommetto di no.» Rise nuovamente, gettando su Ellen uno sguardo di crudele divertimento, poi si volse verso la porta del parlatorio. «Voialtri via, c'è già stato abbastanza spettacolo per un giorno solo.» I pazienti si ritrassero, ed Ellen mi passò accanto come un fulmine, scomparendo su per la scala. Con un sospiro mi girai verso Daniel e Minnie, che erano sempre sull'uscio della stanza di Adam. «Il dottore ci ha chiesto di uscire, mentre lui parlava con Adam», spiegò Daniel. «Non ci sono speranze, vero?, adesso che Bonner ce l'ha con lui.» L'intero corpo dell'omone pareva essersi insaccato. «Iddio m'aiuti, ma là fuori quasi quasi ho desiderato che Adam cadesse, per mettere fine alle sue sofferenze.» «No, Daniel, no», disse vivacemente Minnie. «E nostro figlio.» «Persino il reverendo Meaphon ci ha abbandonati.» «Io non lo farò», dissi. Il massiccio scalpellino annuì, ma il suo corpo appariva disperatamente accasciato. Ricomparve Shawms, facendo tintinnare il grosso mazzo di chiavi. «Meglio incatenarlo di nuovo», disse bieco. «Dovete proprio, signore?» mi chiese Minnie. «Temo di sì, altrimenti scapperà di nuovo.» Shawms entrò nella cella. S'udì uno sferragliare, poi Barak e Piers uscirono insieme con il custode. «Ce ne andiamo», disse Barak. «Dovreste tornare a casa, con quel braccio.» «Sì. Potremo cercare quei... quelle persone... domani.» Scelsi con cura le parole sotto lo sguardo incuriosito di Piers. D'un tratto fui colto dal pensiero che assomigliava a un uccello: un curioso predatore opportunista dalle piume sgargianti. Se ne andarono, con Barak che camminava risoluto a grandi passi, scansando la compagnia dell'apprendista.

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Nella cella Guy era in ginocchio faccia a faccia con Adam, accucciatosi daccapo in un angolo. In qualche modo era di nuovo riuscito a conquistarsi l'attenzione del giovane e gli parlava con un bisbiglio affettuoso. Rimasi a guardarli. «Pensavi davvero che, se avessi convertito della gente, saresti stato salvo?» gli chiedeva Guy. «Sì.» Un sussurro. «Ma m'ero sbagliato. Come avrei potuto salvarli, se non sono salvo io stesso?» «L'angelo nero ti disse che non eri salvo. Quando?» «In un sogno. Dopo che avevo peccato.» «In che modo peccasti?» Adam serrò gli occhi. «No. No, ho peccato in tutti i modi. No.» «Sta bene.» Guy gli posò una mano su una spalla, mentre il ragazzo si lasciava sfuggire uno dei suoi terribili gemiti laceranti. «Devi essere stanco, Adam. Dopo tutto quel correre e arrampicarti.» «La stanchezza non ha importanza», borbottò lui. «Devo pregare.» «Ma la stanchezza indebolisce la concentrazione. Come puoi pregare bene o ascoltare la voce di Dio? Talvolta è faticoso ascoltarlo. E se fossi caduto dal muro? Non avresti più avuto la possibilità di pregare.» «Avevo paura. Sentivo di poter cadere. Un volo così lungo.» E con quelle tre frasi, le prime che gli avessi udito riferire al mondo reale, il volto di Adam parve rischiararsi, riscivolare nelle apparenze di un ragazzo normale, per quanto atterrito. «Ho avuto paura anch'io, quando sono salito», disse Guy. «Camminare sul muro ti fa girare la testa.» Con mio stupore Adam sorrise, per quanto fosse ancora spaurito. «Già, è vero.» Poi riprese il controllo di sé. «Devo pregare», disse. «No, non adesso. Sei troppo stanco. Dormi un poco e, più tardi, dopo avere mangiato qualcosa, pregherai meglio. Non ti presentare a Dio troppo stanco e debole per prestarGli ascolto.» Guy si sporse, con gli occhi scuri che fissavano quelli di Adam. «C'è ancora tempo, ancora tempo per essere salvati. Ma ora dormi, dormi. Ecco, ti si chiudono gli occhi.» Le palpebre del ragazzo vacillavano. «Si chiudono. Dormi, dormi.» Prese per le spalle Adam e lo adagiò con dolcezza sul pavimento. Il giovane non oppose resistenza: dormiva già. Guy si alzò, trasalendo quando le sue giunture scricchiolarono. Adam non si mosse. «Straordinario», dissi a Guy.

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«È stato facile. Era completamente esausto.» Mi guardò. «Anche tu hai l'aria d'essere stanco morto, Matthew, e anche pallido. Come va il tuo braccio?» «Fa male. Dovresti andare da Daniel e Minnie...» Guy mi posò una mano sul braccio. «Mi preoccupi, Matthew. Tutto ciò non ti fa bene... quest'altra cosa.» «Oggi c'era anche lui, Guy, in mezzo alla folla. L'assassino. L'ho colto soltanto con un'occhiata, un lampo, ma era lui. Lo so. Mi perseguita. Sono troppo debole», sbottai furiosamente. «No, terrai duro. Ti conosco.» Parlava con un tono mezzo di incoraggiamento e mezzo di sconforto. Appariva triste. «Domani pomeriggio ci sarà il funerale di Roger. Dorothy mi ha mandato un biglietto per comunicarmi l'ora.» «Adesso dovresti andare a casa e riposarti il braccio.» «Lo so. Eppure ho paura che presto l'assassino colpisca ancora.» Feci una pausa, quindi proseguii: «È questo a farmi male, Guy, non come Harsnet, che crede che s'abbia a che fare con un indemoniato, e neppure come Barak, che in vita sua non s'è mai imbattuto in una faccenda come questa e ha paura, e si dibatte in cerca di una risposta. E l'orrore di tutto ciò, che a volte sembra insinuarmisi fin nelle ossa. Oh, ero sereno, prima che Roger venisse ucciso: sereno, per la prima volta dopo anni. E adesso...» Scossi il capo. «Credo che tu abbia ragione sul conto di quell'uomo, Guy: questa è una strana e terribile forma di pazzia.» Lo guardai. «Devi avere sofferto moltissimo, tanti anni fa, per essere indotto a studiare cose tanto singolari e spaventose.» «Sì, te l'ho detto. Tuttavia ogni genere di studio è meritevole: osservare i fenomeni e tentare di comprendere la loro natura segreta. Da soli, i testi di medicina possono diventare intralci e vincoli, come la Bibbia in mani sbagliate.» «Tu credi di intuire che genere di mente è quella dell'assassino?» Guy scosse la testa. «No, è una cosa troppo oscura, troppo enigmatica. Nel caso di Adam Kite ho buone speranze di giungere a comprenderlo, ma con quest'uomo... no.» Ancora una volta notai una tensione dolorosa sui lineamenti affilati del suo volto. «Soffri nuovamente anche tu, vero?» «Soffriamo tutti, Matthew. Dobbiamo trovare ognuno il proprio cammino, con l'aiuto di Dio.» Fece un sorriso forzato. «Ritengo che oggi il giovane Piers si sia comportato con coraggio: s'è offerto

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volontariamente di venire con me, come volontariamente s'è offerto di salire sul muro con Barak. Vedi, lo avevi giudicato male.» «L'ho veduto sorridere mentre Minnie inveiva contro Shawms. Non è una persona sulla quale dovresti fare così grande affidamento.» «Imparerà anche ad avere compassione.» Non mi misi a discutere con lui; tuttavia dubitavo che ciò che diceva fosse possibile. Eppure mi sembrava anche che nel mondo ci fosse così poca speranza, e non bisognava rimproverare a un uomo di aggrapparsi a ciò che poteva ottenere. *** Capitolo ventuno. Lasciai Bedlam nel tardo pomeriggio. Ero esausto, mi faceva male il braccio, e non avevo mangiato nulla dalla colazione del mattino. Quando arrivai a casa il sole stava tramontando. Barak mi aspettava in salotto; mi occorse un momento per rammentare che lui e Tamasin s'erano trasferiti da me. «Un messaggio da Harsnet», disse. «Sta ancora cercando di rintracciare Goddard. Vuole incontrarci domani sera per riferire su quei due ex monaci. Sembra che sarà presente alla riapertura di una chiesa alla quale era crollata la guglia. St Agatha, giù lungo il fiume.» «Una chiesa radicale, senza dubbio.» «Sì. Ci andava uno con il quale lavoravo per conto di Lord Cromwell. Il vicario è un uomo di nome Thomas William Yarington. Lo abbiamo già incontrato.» «Davvero?» «Era quel pastore con i capelli bianchi assieme a Meaphon. Quello che se l'è svignata in mezzo alla folla quando è comparso Bonner.» «Oh, lui.» «Il biglietto dice che ci sarà pure Sir Thomas Seymour.» Me lo porse. «Harsnet vi invita anche a cena.» Era un breve scritto. «D'accordo», dissi. «Andremo a fare visita agli ex monaci domani, dopo l'udienza in tribunale. In mattinata c'è una causa della quale mi debbo occupare personalmente, ma ho il pomeriggio libero fino alle cinque, quando verrà sepolto Roger.» «Dove si terrà il funerale?»

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«A St Bride. Una cerimonia privata, solo per amici e parenti. A quest'ora Samuel sarà arrivato.» Mi massaggiai il braccio. «Possiamo vedere prima l'ex monaco che abita a Westminster, poi andare dall'altro... dove sta?» «A Charterhouse, oltre Smithfield. Lockley, il converso laico.» «Vado a mangiare qualcosa, poi a letto. Come sta Tamasin questa sera?» «Dorme anche lei. Il dente rotto le fa male. Domani vedrà il cavadenti.» «Andate da lei. Ci vediamo domattina.» Mi recai in cucina a cercare qualcosa da mangiare. Joan preparava un po' di minestra, e mi parve più stanca che mai. Avrei dovuto procurarle qualche aiuto. Il mio braccio cucito e fasciato era nascosto sotto il farsetto, e non volevo preoccuparla ancora più di quanto già fosse. «Vi porterò qualcosa di freddo, signore», disse. Guardando oltre le sue spalle, attraverso la porta della cucina, scorsi l'uomo di Harsnet, Orr, seduto a tavola con lo sguattero, Peter. Avevano davanti un piccolo libro. «Insegna a leggere a Peter», dissi. «Sì, ma è tutta roba da fanatici della Bibbia», rispose con disapprovazione Joan. «Farà venire gli incubi al ragazzo.» Andai a letto. Giunto in camera, guardai dalla finestra: una bella serata di primavera, con una graziosa fioritura di crochi e giunchiglie che accennavano a spuntare nel prato. Un mondo lontano dallo scompiglio e dall'oscurità che mi circondava. Nella notte feci un sogno strano: qualcuno piagnucolava e mi tirava per il braccio offeso. Quando mi voltai, vidi che era Bealknap, con un'aria debole e malandata. «Avreste dovuto aiutarmi», diceva lamentosamente, «avreste dovuto aiutarmi.» * * * Il mattino dopo Barak e io andammo a cavallo a Westminster. In sella mi sentivo più sicuro, al di sopra della folla e in grado di sorvegliarla meglio dall'alto. Il braccio mi pulsava, ma molto meno del giorno precedente. Dovevo riconoscere che Piers aveva fatto un buon lavoro. A colazione Barak era rimasto taciturno, cosa non normale, e Tamasin non si era mostrata. «Ieri avete avuto del coraggio a salire sul Muro di Londra», dissi.

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«Temevo che il giovane Kite potesse prendersela con noi, scaraventarci giù in strada.» «Non è il suo genere di pazzia.» «Chi può sapere di che cosa sono capaci i matti?» Lo guardai. «C'era anche lui, sapete, il nostro assassino. L'ho intravisto di sfuggita, in mezzo alla ressa, quando voi eravate nella torre della porta.» «Che cosa avete visto?» «A malapena un farsetto marrone. Era alto, m'è parso.» «Poteva essere solo qualcuno che se ne andava tra la folla.» «Non credo. Io... l'ho sentito. Sento che mi tiene gli occhi addosso.» Barak rimase in silenzio per un po'. Quindi chiese: «Credete che si faccia passare per membro di qualche setta, confondendosi con gli altri radicali?» «Sì, e che raccolga nomi di persone da ammazzare: è probabile che nelle sette si passi metà del tempo a maledire e biasimare gli apostati.» Passai la mattinata in tribunale, poi riattraversammo Westminster, cavalcando lentamente per le viuzze strette e affollate. Un mendicante puntò dritto su di me, e io mi scansai. «Gira al largo!» urlò Barak. «Tutto bene», disse poi, «l'avevo visto.» «Adesso devo guardare i pitocchi, invece di sfuggire di continuo i loro sguardi. Giusta ironia», risi amaramente. Fendemmo quel formicaio affaccendato che era il perimetro meridionale. Barak studiava gli edifici. «Nel registro era scritto che abita nella medesima via della White Oak Inn. Guardate, è laggiù.» Indicò una casetta a due piani, in cattivo stato, con la tinta che si scrostava dalla facciata. Sull'altro lato della casa c'era un'ampia porta doppia, chiusa con un lucchetto. «Adrian Cantrell, falegname» vi era scritto sopra, a lettere sbiadite. La osservammo. «Credevo che a tutti gli ex monaci fossero state offerte sistemazioni in sedi religiose, oltre alla pensione», disse Barak. «Eppure sembra che nessuno di questi due, Cantrell e Lockley, ne abbia usufruito.» «Lockley era soltanto un converso laico, non gli avrebbero offerto un beneficio ecclesiastico, ma a Cantrell sì. Non furono molti, però, quelli che non accettarono la proposta.» «Magari s'è sposato.» Attraversammo la strada fangosa.

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Bussai alla porta. Non ebbi risposta, e stavo per bussare di nuovo quando udii all'interno un fruscio di passi. L'uscio si aprì, rivelando un giovane sparuto, sulla trentina. Indossava un malconcio giustacuore di pelle su una camicia che aveva urgente bisogno di essere lavata. Aveva una faccia sottile, incorniciata da una zazzera di capelli color paglia, e portava un paio di occhiali dalla montatura di legno con le lenti talmente spesse da far apparire gli occhi due confuse pozze azzurrognole. «Siete Charles Cantrell?» domandai. «Sì.» Cercai di metterlo a suo agio con un sorriso. «Sono venuto per conto del coroner aggiunto del re. Ci auguriamo che siate in grado di esserci utile rispondendo a qualche domanda. Possiamo entrare?» «Se volete.» Il giovane ci fece entrare in casa, dove regnava un pungente odor di sporco, lungo un corridoio buio, fino a un salotto che conteneva soltanto una tavola di rozze assi e qualche sgabello duro. Attraverso una finestra polverosa vidi un cortile con un orticello invaso dalle erbacce, e un capanno che doveva essere stato usato da suo padre come ripostiglio. Notai anche che, camminando, Cantrell teneva due dita contro la parete, come per guidarsi. Con un gesto ci indicò gli sgabelli, sedendo su uno di fronte a noi. Stava curvo, accasciato. «So che eravate assistente nell'infermeria conventuale di Westminster», dissi. «Prima della soppressione. Cerchiamo informazioni sul vostro maestro, il dottor Goddard.» Il giovane torse il viso in una smorfia di disgusto. «E morto?» chiese, mostrandosi per la prima volta interessato. «No, ma ci occorre rintracciarlo, dobbiamo svolgere alcune indagini. Ci siamo detti se magari sapevate dove si trova.» Cantrell scoppiò in un'aspra risata. «Come se fosse rimasto in contatto con me. Mi trattava come un pidocchio. Quando chiusero il convento, tre anni fa, io volevo rimanere monaco, ma fui contento di non vederlo più.» Fece una pausa. «Ha ammazzato qualche paziente? Non sarebbe la prima volta.» Lo fissai sbalordito. «Che cosa? Che intendete dire?» «Ce ne furono uno o due spediti prima del tempo all'eterno riposo, a causa di cure sbagliate.» Fece poi una pausa. «Goddard era una canaglia.» «Lo sapete con certezza?» chiesi.

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«Non potevo farci niente. L'abate Benson non mi avrebbe dato ascolto. Poi... era meglio non farsi nemico Goddard.» «Avevate paura di lui?» domandò Barak. «Era meglio non averlo come nemico.» Il giovane inghiottì, facendo ballonzolare la sporgenza del pomo d'Adamo di cui aveva parlato l'arciprete Benson. Si leccò nervosamente le labbra, e colsi la visione di una chiostra di denti grigi. «Abbiamo parlato con l'abate Benson», dissi. «Ci ha detto che fu Goddard a darvi gli occhiali. Avete disturbi di vista?» «Sì. Mi diede gli occhiali perché servivo.» Avvertii una nota di amarezza nella voce di Cantrell, ma. non riuscii a comprendere chiaramente la sua espressione: quelle pozze azzurrognole dietro le lenti mi sconcertavano. «Non aveva voglia di prendersi la briga di istruire qualcun altro», continuò il giovane. «Non quando l'abbazia sarebbe stata soppressa di lì a poco.» «Per quanto tempo siete stato monaco?» «Entrai nel noviziato a sedici anni. Mi ci mise mio padre, che faceva il falegname per l'abbazia. Non voleva che lavorassi per lui, diceva che ero goffo. Ma era a causa dei miei occhi, capite?» La voce di Cantrell s'era ridotta a un mormorio monotono e triste. «Come finiste a lavorare in infermeria?» «Goddard voleva una persona da istruire, e io ero l'unico monaco giovane. A me non importava, pensavo che fosse meglio che copiare vecchi testi, come avevo fatto prima.» Scoppiò in un'amara risata. «Li bruciarono tutti, quando il convento fu chiuso.» «Sentite la mancanza di quella vita?» «La consuetudine mi piaceva, e dopo un po' credetti a tutto ciò che dicevano sul servizio di Dio. Ma... be'... era tutto sbagliato, come dicono adesso, cantare messe per i defunti era inutile come tirare un sasso contro il vento.» Tacque un momento. «Il mondo è finito tutto alla rovescia. Non lo pensate anche voi, signore?» «Parlatemi del dottor Goddard», dissi. «Che cosa fece per provocare la morte dei pazienti?» «Non ho voglia di mettermi nei guai», rispose lui, nervoso. «Ci finirete, se non rispondete», disse Barak. Cantrell rifletté. «Il dottor Goddard era un uomo impaziente. A volte prescriveva un medicamento che a me sembrava eccessivo, e temevo che la persona ne sarebbe morta. Ci fu anche un vecchio monaco che

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cadde dalle scale, fracassandosi malamente un braccio. Glielo si dovette amputare. Goddard eseguiva personalmente le operazioni perché far venire il barbiere-cerusico costava troppo, perciò diede al monaco una grossa dose di quella roba che fa dormire; lui dormì benissimo per tutta l'operazione, ma dopo non si svegliò più. Goddard disse che doveva avergliene data troppa. Aggiunse che, almeno, non avrebbe più dovuto ascoltare i suoi gemiti laceranti.» «Quel farmaco era uno specifico?» «Sì, signore.» Parve sorpreso che conoscessimo quel nome. «Certo, se aveste pensato che il medico spediva la gente all'altro mondo avreste dovuto parlare.» Cantrell si agitò a disagio. «Non ne ero sicuro, signore, mica sono un dottore, io. Lui se la sarebbe saputa cavare, e io mi sarei cacciato in un bel guaio. E voi non sapete che razza di uomo era.» Esitò. «Certe volte mi guardava come si guarda uno scarafaggio sul tavolo.» Poi scoppiò a ridere di malavoglia. «A volte dovevo lavorare in infermeria senza dire niente, perché a lui non piaceva parlare con gli inferiori come me. Poi, d'un tratto, mi rimproverava aspramente per qualche piccolo errore, per un nonnulla.» Un sorrisetto stentato e amaro gli fece capolino sul viso affilato. «Credo che lo facesse solo per spaventarmi.» Fece una pausa. «Che cosa ha fatto, signore?» chiese di nuovo. «Temo di non potervelo dire. I vostri occhi sono sempre deboli?» «Anche con gli occhiali, ci vedo a malapena. Dicono che adesso anche il re porta gli occhiali.» Di nuovo la sua risata amara. «Scommetto che riesce a vederci meglio di me.» Parve accasciarsi ancora di più sullo sgabello. «Quando lasciai il monastero tornai a lavorare per mio padre, ma non ero bravo. Dopo la sua morte cedetti l'attività.» Guardò verso una porta interna. «Quello era il suo laboratorio. Volete vederlo?» Guardai Barak, che alzò le spalle. Mi levai in piedi. «No, grazie, ma vi siamo grati per il vostro aiuto», dissi. «Se ricordate qualsiasi altra cosa che pensate possa esserci utile, proprio qualunque cosa, posso essere rintracciato al Lincoln's Inn.» Dopo un attimo di esitazione aggiunsi: «Sono dolente per i vostri occhi. Vi siete mai rivolto a un medico?» «Nessuno può farci qualcosa», rispose apatico. «Finirò per diventare cieco.» «Conosco uno...»

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«Ho poca fiducia nei dottori, signore.» Torse la bocca in un sorriso sarcastico. «Dopo essere stato con il dottor Goddard.» Fuori, Barak scosse la testa. «Voi mandereste dal vecchio moro ogni passero che cade da un albero.» Risi. Poi Barak mi toccò un braccio. «Guardate laggiù, quella vecchia ci fa dei segni.» Seguii il suo sguardo. Un'anziana, rispettabile massaia in cuffia bianca, che portava una cesta in cui ballonzolavano un paio di conigli morti, ci faceva cenni di richiamo dall'altro lato della strada. L'attraversammo, diretti verso di lei. Ci fissava con due occhi acuti. «Siete andati da Charlie Cantrell?» domandò. «La cosa vi riguarda?» chiese Barak. «Non sarà mica nei guai, vero?» «No. Aiuta alcune indagini giudiziarie, tutto lì.» «E un poveretto. Non credo che metta molto il naso fuori casa. Suo padre è morto lo scorso anno, e Charlie ne ereditò casa e mestiere. Ero amica di suo padre. Adrian con il legno ci sapeva fare, doveva sempre rinunciare al troppo lavoro. Charlie non può fare il falegname, ci vede male, e adesso tutto ciò che gli resta è la sua pensione da monaco.» Ci sbirciò in attesa di una replica, desiderosa di spettegolare. «Abitate qui vicino, padrona?» le chiesi. «Cinque case più giù. Avevo chiesto a Charlie se gli fosse andato di avere un po' di aiuto per le pulizie, la sua casa è lurida e con la sua pensione potrebbe anche permettersi qualcuno che gliele faccia, ma non vuole averci dentro nessuno. Credo che si vergogni.» «Poveraccio.» La squadrai flemmatico; comprendendo allora che da noi non avrebbe cavato nulla, la vecchia mi fece una smorfia grinzosa, poi si volse e se ne andò, con le teste dei conigli che ballonzolavano su e giù fuori dalla cesta. «Vecchia pettegola ficcanaso», disse Barak. «Il giovane Cantrell non è di quelli che hanno trovato una vita migliore dopo la soppressione.» «Povero idiota. Non direi che sarebbe mai stato capace di combinare granché, neanche ci avesse visto bene.» «No. Però maledice più che mai Goddard.» «Già. Ora tutto ciò che dobbiamo fare è trovarlo.» Sospirai: «Vediamo che cosa può dirci l'altro aiutante.» ***

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Capitolo ventidue. Ci dirigemmo alla volta di Smithfield attraversando una campagna che tornava nuovamente alla vita dopo l'inverno, con i bovini ancora una volta nei pascoli dopo i mesi passati nelle stalle. Nei campi gli uomini aravano, mentre le donne camminavano dietro pariglie di cavalli dalle zampe pelose, gettando sementi da bisacce appese in vita. Mi chiedevo che aspetto avesse Lockley. Un ex monaco che viveva in una taverna, magari pure la gestiva, non era una cosa usuale, ma migliaia di religiosi erano stati buttati fuori dai monasteri, e c'erano storie anche più singolari della sua. Giungemmo nella vasta piazza di Smithfield. Non era giorno di mercato, e i vasti recinti del bestiame erano smontati, con il legname accatastato contro i muri all'estremità settentrionale. Su un lato vi era la grossa chiesa di St Bartholomew, dove, tre anni prima, Barak mi aveva salvato la vita durante la prima missione che ci era stata affidata insieme. Dietro gli alti muri notai che ormai tutti gli edifici conventuali erano stati demoliti. Accanto sorgeva il grande ospedale vuoto, che mi rammentò nuovamente la promessa fatta a Roger. Al suo funerale mancavano soltanto poche ore. Barak si volse verso di me, accennando alla chiesa. «Ricordate?» chiese. «Sì», sospirai. «Erano tempi pericolosi come questi.» Scosse la testa. «No, allora eravamo alle prese con i politicanti, che quando commettono qualche nefandezza hanno le loro ragioni. Mica ammazzano perché sono matti da legare.» «Il più delle volte lo fanno solo per il potere e la ricchezza.» «Almeno sono cose comprensibili.» Proseguimmo lungo Charterhouse Lane e sotto un arco di pietra che immetteva in Charterhouse Square. Era una vasta area erbosa, punteggiata di alberi che coprivano le fosse comuni della Grande Peste di duecento anni prima. Al centro sorgeva una vetusta cappella, fuori della quale s'era raccolto un lacero gruppetto di mendicanti. A nord, oltre un basso muro di mattoni rossi, vi erano gli edifici della Charterhouse, i cui monaci avevano sfidato il re al tempo dello scisma da Roma. Di conseguenza erano stati perlopiù brutalmente massacrati; Cromwell era stato il cervello della repressione, come pure di tante altre cose. Attualmente gli edifici venivano usati come magazzini, tranne

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quelli che, avevo udito, erano stati trasformati in alloggi per i musici italiani del re, da lui di recente ingaggiati con una grossa spesa. Come in tutte le fondazioni conventuali, i monaci avevano affittato terreni all'interno del perimetro. Da questo lato della piazza le abitazioni erano piccole e di aspetto misero, edifici di legno a un piano o due, ma su quello opposto sorgeva una fila di belle case di pietra e mattoni. Avevo sentito che la migliore apparteneva a Lord Latimer, e adesso, di conseguenza, alla sua vedova, Catherine Parr. Osservai una grande dimora di mattoni rossi, con alti comignoli, l'unica ad affacciarsi su un vialetto privato. Mentre guardavo, un uomo a cavallo in livrea rossa percorse al galoppo la strada che fiancheggiava le case, svoltando nel vialetto in una nuvola di polvere. Nuove pressioni da parte del re? Barak mi riportò con i piedi per terra indicandomi un'insegna che dondolava su una stretta, decrepita costruzione poco distante. «Quello è il posto che cerchiamo, The Green Man.» L'insegna rappresentava un uomo vestito di tralci rampicanti, dipinto di verde vivo. Appena smontammo di sella davanti alla taverna ci arrivarono addosso gli accattoni. Forse la cappella era stata abbandonata quando l'abbazia di Charterhouse era stata soppressa, e loro vi avevano trovato rifugio. Mani scheletrite e sudicie conversero su di noi mentre legavamo i cavalli alla sbarra di fronte all'osteria. «Via, filare!» disse Barak, allontanando un paio di mani mentre legava le redini. Dopo quanto accaduto tra la calca di Westminster guardavamo entrambi con ostilità facce sparute e vesti cenciose e puzzolenti. Parecchi i bambini. «Ehi», gridai a un famelico ragazzino di una decina d'anni dalla testa mezza calva e scorticata, con i capelli smangiati da qualche malattia. «Bada ai nostri cavalli, e quando torno ti darò un soldo.» «Lo farò meglio io!» Altre mani mi tiravano per la manica. «Harry il Pelato! Quello mica sa fare un accidente», vociferò un altro. «No», risposi, scuotendomeli di dosso. «Lui.» Bussammo alla porta della taverna e aspettammo, ignorando rinnovate richieste dei mendicanti. Risuonarono dei passi e una donna venne ad aprire la porta. Indossava un grembiule pieno di macchie su un abito spiegazzato, e una cuffia bianca dalla quale sfuggivano ciocche di capelli neri. Era robusta, bassa e tozza, ma il volto mostrava ancora qualche traccia di una bellezza ormai passata. I suoi occhi grigi erano penetranti e intelligenti.

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«Non apriamo fino alle cinque», disse. «Non vogliamo bere», risposi. «Cerchiamo Francis Lockley.» Ci diede un'occhiata acuta, sospettosa. «Che volete da lui?» «Questioni private.» Le sorrisi. «Non è nei guai.» La donna esitò, poi disse: «Credo che fareste meglio a entrare». Guardò i nostri stivali, inzaccherati dal fango del piazzale meridionale. «Pulitevi i piedi, non voglio 'sta roba su tutto il pavimento. L'ho appena lavato.» Ci ritrovammo in una taverna di media ampiezza, con pareti imbiancate a calce e sedie sparse sul pavimento cosparso di giunchi. La donna si piantò davanti a noi con le mani sui fianchi. «Avete dato soldi ai mendicanti?» chiese. «Così staranno a girarci attorno per mezza giornata. A quest'ora di solito scocciano dalle parti di Smithfield. Io mica discuto che quei poveri bastardi si riparino nella vecchia cappella, ma non mi va che diano noia ai miei clienti.» Ne avevo abbastanza delle sue rampogne. «Lavorate qui?» le chiesi di proposito. «Questo posto è mio. Ethel Bunce, vedova e concessionaria di questa parrocchia, per servirvi», aggiunse ironicamente. «Oh.» «Francis!» chiamò a gran voce. Nella parete si aprì uno sportello, e un uomo basso e grasso sbirciò fuori; aveva la testa calva e una faccia tonda da porcello. Anche lui portava un grembiule, e alle sue spalle vidi un mastello con boccali di legno che galleggiavano nell'acqua schiumosa. «Sì, tesoro?» Scorgendoci, strinse immediatamente le palpebre con aria inquieta. «Questi signori vogliono dirti una parola. Che hai combinato?» Lo disse ridendo, ma il suo modo di guardarci rivelava lo stesso disagio che pareva provare l'uomo. Lockley emerse da una porta laterale. Era un barilotto d'uomo, con un corpo possente anche se ormai infiacchito, ma di aspetto ancor solido. Mi domandai se per caso fosse quello il motivo per cui se l'era preso in casa la signora Bunce: una vedova poteva ereditare la licenza di gestione di una taverna, ma aveva bisogno di un uomo per vedersela con i clienti piantagrane. C'era tuttavia un che di affettuoso nel suo modo di guardare Lockley quando quest'ultimo si accomodò su uno sgabello accanto a lei: scommisi che il motivo per cui apparivano preoccupati era perché vivevano insieme nel peccato.

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«A noi la vostra vita domestica non interessa», dissi benevolmente. «Siamo venuti per conto del coroner aggiunto del re. Cerchiamo dove trovare l'ex fratello Goddard, dell'abbazia di Westminster.» Le reazioni della coppia alla notizia furono oltremodo differenti. La signora Bunce parve sollevata che nessuno ce l'avesse con loro per le loro faccende di letto; Lockley, tuttavia, strinse nuovamente le palpebre, serrando forte le labbra. Dal modo in cui il suo petto si alzava e si abbassava notai che aveva il respiro affrettato. «Quella vecchia canaglia di Goddard?» chiese. «Non vi andava a genio?» «Mi trattava come una pezza da piedi perché mio padre era uno sguattero. Come me adesso», aggiunse, gettando sulla vedova un'occhiata difficile da interpretare. Lei gli posò una mano robusta sulla sua. «Per me tu sei di più, caro.» Mi chiesi se non fosse il caso di chiederle di lasciarci soli, ma intuii che Lockley non ci avrebbe detto nulla che più tardi lei non gli avrebbe cavato di bocca. «Voi lavoraste sotto Goddard nell'ambulatorio dei laici, se non erro», gli dissi. «Lo aiutavate nella cura dei poveri di Westminster che si rivolgevano a voi per assistenza.» Gli occhi della signora Bunce si ridussero a due fessure. «Sembra che sappiate parecchio sul conto di Francis.» «Interroghiamo gli ex monaci che lavoravano con Goddard. Abbiamo parlato con il giovane mastro Cantrell, e con l'arciprete.» L'uomo si fece d'un tratto inquieto. «Che cosa hanno detto?» domandò. «Si tratta di cose riservate», risposi. Lockley scoppiò in una risata nervosa. «Il giovane Cantrell, eh? Se la passava male con Goddard.» «Avete qualche idea di dove possa attualmente trovarsi il dottor Goddard?» Lockley scosse la testa. «Non l'ho più visto dal giorno in cui lasciammo tutti quanti l'abbazia. Né avevo voglia di vederlo.» «Indaghiamo su una morte.» «Di chi?» chiese. Il suo corpo parve nuovamente irrigidirsi. «Non posso rivelarlo. Ma ditemi, sapete niente sull'uso che il dottor Goddard faceva dei narcotici?» La mano che Lockley posava sul tavolo, si serrò a pugno.

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«Sapevo che il dottor Goddard usava qualcosa per far dormire i pazienti, se doveva operarli nell'infermeria dei monaci. Però non avrebbe sciupato niente del genere per i malati dell'ambulatorio dei laici.» Scrollò le spalle. «A lui ciò che capitava lì interessava poco. Veniva, dava un'occhiata alla gente e dava un consiglio o prescriveva qualche erba, aggiustava un osso rotto. Ma perlopiù lasciava che fossi io a occuparmi di loro.» Mentre parlava mi guardava negli occhi, avendo ormai riacquistato il dominio di sé. Annuii lentamente. «Ditemi qualcosa di più sul dottor Goddard.» «Aveva un'alta opinione di sé. Però oserei dire che tutti i dottori sono come lui. Era capace di essere molto duro e sgarbato.» Si sporse in avanti, con un sorriso confidenziale. «Aveva un grossissimo neo su un lato del naso. Il più grosso che abbia mai visto. Se qualcuno lo guardava, arrossiva e lo copriva con una mano. Era un modo per pigliarlo in giro, se si aveva il coraggio, ma dopo era sempre di pessimo umore.» Guardò Barak sogghignando nervosamente; sapevo che ci taceva qualcosa, ma non avevo prove, nulla che potessi sbattergli davanti. «Quali erano i vostri precedenti?» chiese Barak. «Prima di andare a Westminster ero apprendista da un barbiere-cerusico. Ci stetti dieci anni, e dopo lavorai di nuovo da un barbiere-cerusico.» «Capisco», dissi. «Goddard non piaceva neppure al giovane Cantrell.» Lo fissai, rammentando la sua inquietudine quando avevo detto che avevamo parlato con Cantrell e l'arciprete Benson. Ora, però, aveva ripreso un po' di sicurezza di sé. «Già, Goddard trattava male quel ragazzo. Aveva una linguaccia tagliente. Cantrell, però fu sempre un inetto.» «Ieri ho visto l'infermeria. Ora è vuota, naturalmente. Sembrava un posto lugubre.» «Lo era. Le sue condizioni peggiorarono molto, mentre lavoravo lì. L'abate Benson voleva che l'abbazia andasse in malora, venisse chiusa. Cromwell lo pagava bene. La vecchia chiesa papista era corrotta», disse con una repentina asprezza. «Dunque non siete uno di quelli che rimangono legati alla vecchia fede?» «No. Però il barbiere-cerusico per il quale lavorai dopo che me n'ero andato era uno di quei fanatici della Bibbia. Sono peggio ancora, tutti

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pieni di prosopopea perché credono di possedere le chiavi dell'inferno e della morte.» «Così sei venuto da me, a cercare pace», disse la signora Bunce stringendogli una mano. Lockley non rispose a quel gesto, rivolgendomi piuttosto uno sguardo colmo d'ira. «Forse non hanno ragione né i radicali né i papisti, magari ce l'avranno i turchi pagani», rise con amarezza. Avvertii allora in lui qualcosa di disperato, quasi di feroce. Nel suo intimo non era un uomo sereno. La signora Bunce gli posò daccapo una mano sulla sua. «Caro», disse come per ammonirlo, gettando su di noi un'occhiata nervosa. «Talvolta parla senza riflettere. Non intendevi quello, vero?» Un improvviso boato echeggiò sotto la taverna e sentii vibrare le lastre di pietra. Alzai gli occhi stupefatto. Da qualche parte, molto più in basso, proveniva un frastuono di acqua corrente. «Che c'è?» chiese Barak. Lockley sorrise debolmente. «Fa sempre paura ai nuovi clienti, che credono che il diavolo salga dall'inferno a prenderli. Siamo collegati con la vecchia fognatura costruita per il drenaggio della Charterhouse. Passa sotto la cantina. I monaci furono sempre dei veri maestri nei lavori di idraulica. Molti edifici attorno al perimetro sono collegati alla loro vecchia rete fognaria, e l'acqua arriva dalle sorgenti nei campi di Islington.» «Sì.» La vedova colse l'occasione per allontanare il discorso dalla religione. «Abbiamo il nostro piccolo luogo comodo che scarica direttamente nella fogna, e, attraverso un condotto in cantina, tutti i rifiuti della taverna vi finiscono dentro. L'unica cosa è che bisogna ricordare al sorvegliante di Charterhouse di aprire le chiuse sotto il vecchio convento, altrimenti l'acqua sale, poi si scarica come adesso. Ma è un ubriacone. Però non c'è nessun altro che ci abiti, tranne quei musici italiani del re, che sono solo degli stupidi stranieri.» Lockley mi guardò di nuovo con aria di sfida. «Ethel era qui quando Charterhouse sfidò Cromwell, rifiutandosi di accettare la supremazia del re. Il priore Houghton venne trascinato fuori, impiccato e squartato a Tyburn, e un suo braccio fu inchiodato sul battente della porta. Te lo ricordi, vero, Ethel?» «E stato molto tempo fa», disse a disagio la signora Bunce.

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«La gente di chiesa.» L'uomo torse il viso per il disprezzo, e anche per un sentimento più profondo: dolore. A suo modo, al pari di Cantrell, era anche lui uno di coloro che avevano sofferto a causa dei cambiamenti. Si alzò. «Bene, signore, dobbiamo metterci al lavoro. Sono spiacente di non potervi aiutare ancora.» Esitai, poi mi alzai a mia volta. «Grazie, signore. Se vi viene in mente qualcos'altro, vi prego di mettervi in contatto con me: mastro Shardlake, al Lincoln's Inn.» «D'accordo.» Sembrava soddisfatto che il colloquio fosse terminato. «Potremmo dover tornare», aggiunsi in tono casuale. Il viso gli si afflosciò: ci nascondeva qualcosa, ne ero certo. «Vi accompagno.» La signora Bunce si alzò, facendoci strada fino alla porta. Sulla soglia si diede un'occhiata attorno per accertarsi che Lockley non sentisse, poi abbassò la voce. «Mi spiace per quello che ha detto sulla religione, signore», disse piano. «Francis ha avuto momenti difficili. Era abituato all'esistenza nell'abbazia, e trovò difficile viverne fuori, specie con quel barbiere-cerusico fanatico delle Scritture che lo tempestava perché adottasse la sua fede. Incominciò a bere, ogni sera veniva qui a ubriacarsi. Fu allora che lo presi in casa. Conosco quelli che bevono, e sapevo che affetto, premure e una qualche occupazione potevano aiutare Francis.» Mi guardò senza più quel suo fare autoritario: solo una donna stanca e vulnerabile. «Adesso non beve più, ma dice cose brutte.» «Non vi preoccupate, padrona», le dissi benevolmente. «Non m'interessano le convinzioni di padron Lockley.» «Triste che sia finito a fare di nuovo lo sguattero come suo padre.» Mi fissò, sfinita. «Strano come gira il mondo, vero, signore?» Ci allontanammo dall'osteria immersi nei nostri pensieri. Fu Barak a rompere il silenzio. «Ci nascondeva qualcosa, non è così?» «Penso di sì. Qualcosa sul conto di Goddard.» «Potevo costringerlo a sputarla fuori.» «No, è compito di Harsnet. Glielo dirò stasera.» «Credo che la donna non sappia niente.» «No. Poveretta. Non mi pare che le sue premure ricevano molta gratitudine.» «Magari Harsnet lo interrogherà con mano un po' pesante.»

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«Sì.» Non mi andava l'idea che quell'ometto amareggiato e deluso venisse trattato con durezza, ma se nascondeva qualcosa dovevamo scoprire di che si trattava. Rientrammo a casa. Ero stanco, a ogni movimento il braccio mi faceva male. Avrei avuto bisogno di trascorrere una serata tranquilla in casa, di riposare, ma ero atteso alla cappella per il funerale. Mi domandavo come sarebbe stato Samuel: non l'avevo più visto da quand'era un bimbetto. Quando entrammo, Tamasin giaceva in salotto su un mucchio di cuscini. Aveva gli occhi meno gonfi, ma i lineamenti erano ancora una massa di lividi vistosi, e la bocca era enfiata. Appariva totalmente stremata. «Come va, tesoro?» le chiese Barak, con ciò che mi parve un'euforia forzata. «Male. Mi fa male la bocca.» La sua voce era un borbottio, e quando dischiuse le labbra notai che aveva le guance imbottite di cotone insanguinato. Rabbrividii, e la lingua mi corse al vuoto nella mia, dove due anni prima un boia della Torre m'aveva strappato un dente. «Santa Maria, che male fa», disse. Barak si avvicinò, cingendola con un braccio. «Poteva andare peggio», disse. «Erano dei molari. Riavrai di nuovo il tuo bel sorriso.» «Oh, allora va tutto bene», rispose lei, sarcastica. «Non intendevo...» Tamasin mi fissò. «Lo sapete che ha detto quel bastardo d'un cavadenti? Quando mi disse che avrei dovuto pagare cinque scellini, gli risposi che era troppo. Lui allora disse che avrebbe rinunciato al suo onorario e avrebbe dato dieci scellini a me se gli avessi permesso di cavarmi tutti i denti. Diceva che avevo una bella dentatura, e che si poteva fare una buona dentiera per i ricchi.» Mi squadrò. «Tirò fuori quei pezzi di legno a forma di gengiva, voleva misurarli con le dimensioni della mia bocca. Diceva che la mia bocca aveva una buona misura media. Gli risposi di scordarselo e di fare il suo lavoro, che non aveva cuore a farmi vedere certe cose mentre stavo male. M'ha stupita che il dottor Malton lo avesse raccomandato.» «Ha avuto fortuna che non ci fossi anch'io, quel delinquente», disse Barak.

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«Credo però che abbia fatto il suo lavoro più in fretta e meno dolorosamente di quanto m'aspettavo», balbettò Tamasin. «Era un uomo orribile, con il grembiule sporco di sangue e una collana di denti appesa all'insegna della bottega.» «Dovreste andare a letto, Tamasin», dissi. «Riposarvi.» «Andrete al funerale di mastro Elliard, signore?» chiese lei. «Sì. Debbo cambiarmi. Andrò da Dorothy e accompagnerò la sua famiglia. Quando tornerò, Barak, mangeremo un boccone in fretta e andremo all'incontro con Harsnet.» «Pensavo a quella chiesa», disse lui. «St Agatha, in Irish Lane. Non è quella la cui guglia crollò un paio d'anni fa?» «Sì. Una chiesa riformista. Non c'è bisogno che veniate anche voi», aggiunsi, con un'occhiata significativa a Tamasin. Barak scrollò le spalle. «Nella sua lettera Harsnet parlava di tutt'e due. Potrebbe avere qualcosa da farmi fare.» Aprii la bocca per protestare, poi la richiusi. Se l'avessi contraddetto di fronte a Tamasin avrei solo ottenuto di farlo andare in collera. «Starò bene», osservò lei, con fermezza. «Ottimo», disse Barak. «Riposati.» Incontrai lo sguardo di Tamasin: era furiosa. Per la prima volta dopo la morte di Roger, Dorothy aveva indossato le sue vesti migliori. Accanto a lei c'era uno snello giovane bruno, di diciotto anni, bello nel suo farsetto nero: la somiglianza con il padre era tale da lasciarmi quasi senza respiro. Era come se Roger fosse tornato. «Samuel», disse Dorothy. «Tu non ricorderai mastro Shardlake. Eri solo un bambino quando ci trasferimmo a Bristol.» Il ragazzo mi fece un inchino. «Mi ricordo di voi, signore. Mi regalaste una girandola per il mio compleanno, coloratissima. M'era parsa una meraviglia.» Aveva una voce come quella di Roger, chiara e un po' acuta; Samuel tuttavia parlava con le vocali piatte dell'ovest. «Sì», risposi con una risata. «Adesso ricordo. Avevi cinque anni. Hai buona memoria.» «Sì, per le gentilezze. Devo ringraziarvi per tutto ciò che avete fatto per mia madre.» Posò una mano su quella di Dorothy. «E stata molto coraggiosa.» «Samuel non è forse Roger fatto e finito?» C'erano lacrime negli occhi di Dorothy. ? «Sì.»

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«Mi consola. Roger vive in suo figlio. Matthew, tieni il braccio in modo strano: ti sei fatto qualcosa?» Che osservatrice! «Un incidente, per sbadataggine. Niente di serio. Ti tratterrai a Londra per molto tempo, Samuel?» Scosse il capo. «Devo rientrare a Bristol la settimana prossima, c'è una fiera dei tessuti di cui mi debbo occupare. Spero che quando le cose si... saranno sistemate, mia madre possa raggiungermi.» «Oh.» Non avevo pensato che potesse andarsene così presto. La notizia mi lasciò sconcertato. «Più tardi avremo tempo per pensare a queste cose», disse Dorothy. «Ci sono faccende da sistemare, mica posso lasciare che faccia tutto Matthew. Si occupa di me, è stato il mio sostegno.» Mi rivolse un sorriso pieno di calore. «Faccio quello che posso», commentai, non senza un lieve imbarazzo. «Mio figlio è fidanzato, Matthew», disse con calma lei. «Che ne pensi? Con la figlia di un mercante di Bristol.» Samuel arrossì. «Congratulazioni», dissi. «Grazie, signore. Speriamo di sposarci l'anno prossimo.» Bussarono alla porta, ed entrò Margaret. «E arrivata la bara», sussurrò. Dorothy rabbrividì, nuovamente affranta. «Andrò a vedere», disse. «Lascia, faccio io», ribatté Samuel. «No, no. Per favore, lascia che vada da sola.» Gli strinse un braccio, poi uscì dalla stanza, lasciando soli Samuel e me. Per un momento regnò un silenzio imbarazzato. L'orologio ticchettava. Guardai il fregio ligneo, il cui angolo maldestramente riparato attrasse il mio sguardo, poi sorrisi a Samuel. «Ci sono novità, signore? Nell'indagine?» chiese esitante il ragazzo. Compresi che doveva essere duro, per lui, venire bruscamente proiettato nei panni di un uomo da quella tragedia. «Ciò che consuma mia madre», proseguì, «è non sapere perché mio padre è stato ucciso in quel modo orribile. Se fosse stato aggredito per rapina sarebbe già stato abbastanza, ma quel terribile... spettacolo.» Mi fissò ansioso. «E avete detto che potrebbe essere in pericolo anche lei.» Pensai che Dorothy aveva mantenuto la sua parola di non raccontare a nessuno degli altri omicidi; neppure a suo figlio. «È solo una misura precauzionale», risposi. «Facciamo progressi, Samuel. Per ora non sono in grado di dire molto, ma se ti può essere utile... riteniamo che tuo

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padre non sia stato ucciso per malvagità nei suoi confronti. Penso che avesse attirato l'attenzione di... diciamo di un pazzo. Credo che tu possa dire questo a tua madre.» «Ma perché tanta segretezza?» esclamò il giovane. «È questo a preoccupare mia madre, anche se non lo ammetterà.» Esitai, quindi risposi con cautela: «Ci sono risvolti politici. C'è stato un altro delitto simile a quello di tuo padre. La vittima era un uomo di una certa importanza, ma non fu quella la ragione per la quale fu assassinato: semplicemente, il pazzo scelse anche lui». «Un demente.» Samuel corrugò la fronte. «Sì, chiunque abbia ucciso un uomo buono come mio padre non può essere che un pazzo.» «Roger era un uomo buono e un buon amico. Ora però non insistere, Samuel: ti ho già detto più di quanto avrei dovuto.» Annuì lentamente. «Povera mamma. Quanto si volevano bene.» Rise, non senza nervosismo. «Qualche volta mi sentivo come se mi tagliassero fuori: per questo rimasi a Bristol per farmi una vita mia. Eppure amavo mio padre, aveva fatto tanto per me.» D'un tratto Samuel fu nuovamente un bambino e arrossì, con gli occhi pieni di lacrime. «Prendetevi cura di mia madre, signore. Dice che voi e Margaret siete i suoi unici veri amici.» «Sì», risposi. «Lo farò.» «Vorrei che venisse a Bristol con me, ma è ostinata.» Dorothy ricomparve sulla soglia, era pallida ma si sforzava di controllarsi. «Gli altri si sono radunati fuori: amici e domestici. Dobbiamo andare.» Trassi un profondo sospiro e seguii Samuel. *** Capitolo ventitré. Roger fu sepolto in un angolo tranquillo del vecchio cimitero della chiesa di St Bride. Per tutta la funzione, mentre il prete di ceva che Roger s'era riunito con il Signore, tutto ciò che riuscivo a pensare era che non avrebbe dovuto trovarsi lì sottoterra prima di altri venti o trent'anni. Dopo, lasciai che Dorothy e Samuel stessero un poco insieme da soli. Andai a prendere Barak a casa mia e ci dirigemmo al nostro appuntamento con Harsnet. La chiesa di St Agatha sorgeva in una piccola strada che correva da Thames Street sino al fiume. Era una zona di vecchi e fatiscenti edifici

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dalle strutture di legno gradualmente rimpiazzati da case di pietra più nuove e moderne. La chiesa stessa era piccola e vecchissima, ma quando alzai gli occhi vidi che aveva un nuovo tetto di piombo e una guglia appuntita. Adesso rammentavo la storia del crollo della guglia, avvenuto due anni prima durante un temporale: due famiglie delle case vicine erano rimaste uccise. Quando arrivammo era quasi il tramonto, e il sole calava con un angolo basso, proiettando lunghe ombre sulla via. In fondo al vicolo scorreva grigio il fiume; le barche a remi accendevano le loro lanterne. C'era bassa marea, e un tanfo di marcio saliva dalle sponde cosparse di rifiuti. Svariati cavalli erano legati a una sbarra fuori del vecchio portico di legno, sotto il quale sostava un gruppetto di uomini in severi abiti neri. Al nostro arrivo si volsero, e uno venne a portarsi di fronte a noi. «Posso esservi utile, signori?» Era piccolo, con la barba brizzolata, e indossava vesti austere ma di buon taglio. Aveva l'aria di essere un mercante o un artigiano. «Ci è stato chiesto di incontrare qui il coroner Harsnet», gli dissi. Subito la sua espressione cambiò, facendosi amichevole, quasi servile. «Ah, sì, è qui. Con Sir Thomas Seymour. E anche Lord Hertford, che ci ha onorati della sua presenza.» Sprizzava orgoglio da tutti i pori. «Ci hanno fatto un grande onore, presenziando alla riapertura della nostra chiesa. Sono Walter Finch, il fabbriciere, per servirvi.» Finch ci condusse al portico. «Amici del coroner», mormorò agli altri, che subito eseguirono un profondo inchino. Lo seguimmo attraverso il cimitero, dove altra gente, uomini e donne, si raccoglieva intorno a un fuoco acceso contro il muro più distante. Uno spiedo era stato posto sulle fiamme, e vi arrostiva un piccolo cinghiale. Il manico veniva fatto girare a ogni estremità da due bambini, con grembiuli bianchi sugli abiti della festa. Il grasso colava in un largo vassoio sottostante, e l'aroma della carne arrostita riempiva l'aria. «Brucia, papà, brucia», disse uno dei bambini, e l'altro rise. Guardai la chiesa: solo uno dei tre ampi finestroni era di vetri colorati; gli altri avevano vetrate trasparenti. Finch ci sorrise. «Quando la guglia crollò, due anni fa, fu una tragedia, perché danneggiò sia l'interno sia il tetto. Dovemmo ridecorarlo da cima a fondo. A volte, però, tramite una disgrazia il Signore ci offre un'opportunità: ci liberammo infatti di tutte le statue e degli altri idoli, vuotammo le cappelle laterali e sostituimmo i finestroni rotti con vetri

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comuni.» Sorrideva tutto contento. «Così è come Iddio intende che sia la casa in cui Lo si onora, non ingombra di ori e incenso. A me piacerebbe buttare giù anche il crocifisso, ma potrebbe crearci dei problemi. Vi farei visitare l'interno, ma ne tiene la chiave il reverendo Yarington, che non è ancora arrivato.» «Capisco.» Pensavo alle famiglie rimaste vittime del crollo. Finch mi strizzò l'occhio. «E se gli uomini di Bonner dicono che assomiglia troppo a una chiesa luterana, noi potremo sempre rispondere di non avere raccolto abbastanza offerte in denaro per gli ornamenti. I servitori del Signore debbono essere prudenti come serpenti, come dice la Scrittura.» Volsi attorno lo sguardo sulla gente nel camposanto. Immaginai che per qualche tempo fosse stata una chiesa riformista: era il genere di persone che frequentavano la chiesa di Meaphon, dove andavano i Kite. Mercanti, artigiani e un po' di lavoratori, che si tenevano in disparte contro il muro con l'aria di sentirsi a disagio. C'erano parecchi religiosi, fra i quali notai Meaphon in persona, occupato in un'animata conversazione con un altro mercante. Mi scorse, mi fece un breve cenno e distolse lo sguardo. Immaginai che provasse imbarazzo per il modo in cui il giorno prima s'era eclissato davanti al vescovo Bonner, e mi chiesi se la prudenza del serpente praticata da costoro li avrebbe salvati da Bonner, quando avrebbe marciato contro di loro. Ricordai la sua sagoma tozza e vigorosa che mi fronteggiava sotto il Muro di Londra, e repressi un brivido. Sir Thomas Seymour e Lord Hertford si trovavano presso il cinghiale che arrostiva, in compagnia di Harsnet, che parlava accalorato a Lord Hertford. Sir Thomas osservava i presenti con occhio annoiato. Nel vederci sollevò un sopracciglio, dando di gomito al fratello. «Arriva il gobbo», disse, senza curarsi di abbassare la voce. Lord Hertford ci fece un cenno mentre ci accostavamo. «Mastro Shardlake. E questo dev'essere Jack Barak.» «Sì, mio signore», rispose Barak, con un inchino. «Ricordo che il mio povero amico Thomas Cromwell parlava assai bene di voi», disse Lord Hertford, con una nota di tristezza nella voce. Lui e il fratello erano abbigliati con solennità, Lord Hertford in farsetto cremisi sotto una cappa scura,

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con una catena d'oro al collo; Thomas indossava un farsetto giallo dalle maniche fessurate per mettere in mostra la fodera verde, e un cappello nero con sopra appuntata una spilla di smeraldo. «Novità, Shardlake?» chiese Harsnet. Gli riferii dei miei colloqui con Cantrell e Lockley, e la mia impressione che Lockley nascondesse qualcosa. Lui annuì. «Parleremo ancora con lui. E anche con l'arciprete Benson.» Mi gettò una delle sue fiere occhiate. «Allora sembrerebbe che il nostro uomo sia Goddard, no?» «Penso che sia ancora troppo presto per dirlo.» «Sì, forse. Non sono ancora riuscito a trovare tracce della famiglia di Goddard. Sto facendo indagini nelle corporazioni e sui proprietari terrieri intorno alla città.» «Ma è stato monaco per anni», disse Sir Thomas. «Se la sua famiglia è originaria dei dintorni di Londra non dovrebbe essere difficile trovarla.» «Può essere venuta qui da qualche altra zona mentre era monaco», rispose Lord Hertford. «Molta gente facoltosa viene attratta da Londra, specie se ha già un parente in città, per accrescere la propria fortuna. O per perderla», aggiunse. «Come va il vostro braccio, avvocato superiore Shardlake? Il coroner Harsnet mi ha detto che siete stato assalito.» Guardò Barak. «E anche vostra moglie?» «Sì, mio signore», rispose Barak. «Ne è uscita con qualche livido e un dente rotto.» Sir Thomas diede una pacca sulla spalla di Barak. «Non vi avrei preso per un uomo sposato: credevo che foste un altro giovane scapestrato.» «Ora non più, Sir Thomas.» «Questa faccenda non poteva giungere in un momento peggiore», disse Lord Hertford. «Quei macellai sono ancora sotto interrogatorio per le infrazioni alla Quaresima. Però non forniscono nomi al vescovo Bonner: uomini in gamba.» «Credo che quell'uomo sia posseduto dal demonio», disse Harsnet. «Qualunque cosa sia», ribatté Hertford, «dobbiamo prenderlo.» Un servitore comparve al nostro fianco, offrendoci vassoi di cinghiale arrosto. Guardai il fuoco. Ormai la carne era cotta e i servi si asciugavano la fronte e si allontanavano dal fuoco che ardeva ancora gagliardamente, sprizzando vivaci faville gialle quando il grasso del cinghiale sfrigolava. Il crepuscolo cadeva rapido; oltre le case, verso

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sud, il Tamigi riluceva ora d'una tinta chiara, mentre il sole si coricava all'orizzonte. «Sento da qualche parte un cattivo odor di pesce», disse Barak. «Anch'io. Deve venire dal fiume.» In effetti l'odore della carne arrosto si mescolava sgradevolmente a un tanfo di salmastro e di pesce. «Dov'è il reverendo Yarington?» chiese qualcuno. «Ormai dovrebbe essere qui.» Trasalii quando Sir Thomas mi prese per il braccio ferito. «Harsnet ci ha detto che uno di quegli ex monaci abita in Charterhouse Square.» «Sì, il converso laico, Lockley. Vive in una taverna.» Corrugò la fronte. «Conosco quelle case e quelle osterie costruite sui lati del vecchio perimetro. Nella casa più grande abita Lady Catherine Parr. Ci sono stato a farle visita.» «Piano, Thomas», disse il fratello. «Ormai è sicuro che non ci sono legami fra lei e gli omicidi.» «Vorrei che non fosse vicina ad alcun pericolo.» Sir Thomas aveva l'aria preoccupata: mi domandai se fosse perché amava quella signora, o piuttosto perché era una ricca vedova che poteva ancora respingere le proposte del re. «A proposito delle nozze, ci sono novità?» domandai a Lord Hertford con l'aria indifferente: dopo tutto, era ciò che inizialmente aveva coinvolto in quell'affare gente come loro. Infilzò un pezzo di cinghiale, portandoselo alla bocca. Sbirciò suo fratello, quindi rispose: «La signora rifiuta ancora di rispondere al re, dice di avere bisogno di più tempo». «La tattica usata da Anna Bolena e Jane Seymour», grugnì Harsnet. «Tenerlo sulla corda non fa altro che rendere il re più risoluto a ottenere ciò che vuole.» «No», sorrise Sir Thomas con un lampo di denti bianchi in mezzo alla barba scura. «Lady Catherine rifiuta perché non vuole sposarlo. E chi lo vorrebbe?» «Parla piano», sbottò Hertford. «Thomas, confido che tu non abbia fatto nuove visite a quella signora. Se venisse a saperlo il re...» «No», ribatté seccamente Thomas. «Vorrei andarmene», dissi a bassa voce ad Harsnet. «Mi fa male il braccio, ho bisogno di riposare un po'.»

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Annuì. «Certo. Rimarrò io.» Si guardò attorno. «Strano che il reverendo Yarington non sia ancora qui. Mi spiace che non stiate bene.» «Andrà meglio.» Sorrise. «Bene. Mia moglie e io siamo ansiosi di avervi a cena domani. Così conoscerete i miei figli.» «Grazie, signore. Quanti ne avete?» «Quattro. Tutti sani e rispettosi. E una buona moglie. Dovreste sposarvi, signore.» «Non credo di essere tagliato per il matrimonio.» «Non avete dunque nessuno?» Pensai a Dorothy. «Si può sperare», risposi sorridendo, ma non senza tristezza. «E allora datevi da fare, fratello Shardlake. Stringete il nodo, come il giovane Barak.» «Nodo è proprio la parola adatta», bofonchiò quest'ultimo. «Buona notte, signore.» Strinsi la mano di Harsnet e mi volsi per andarmene, seguito da Barak. Gli diedi un'occhiataccia. «Avete detto una scempiaggine. Un nodo, per la verità...» Improvvisamente risuonò un grido di donna: «La chiesa! La chiesa va a fuoco!» Di botto tutti smisero di mangiare e parlare. Attraverso un finestrone, quello in cui erano rimasti i vetri colorati, era visibile un chiarore palpitante, che proiettava ombre bizzarre sul cimitero immerso nel buio. Il reverendo Meaphon fu il primo a farsi avanti, afferrando la maniglia del portone della chiesa. «E chiuso a chiave!» urlò. «Chi ha la chiave?» «Il reverendo Yarington!» Tutti si guardarono attorno, ma ancora nessuna traccia del pastore dai capelli bianchi. «Andate in canonica!» gridò qualcuno. «Non vuole visitatori in canonica», rispose nervosamente il fabbriciere. «Ha talmente paura che qualcuno scopra i suoi libri di Lutero e Calvino...» «Non c'è tempo da perdere. Dobbiamo entrare e spegnere l'incendio.» «Abbattete la porta!» urlò qualcuno. Sir Thomas guardò la solida porta di quercia e scoppiò a ridere. «Avreste bisogno di un ariete per buttare giù una porta come quella!» «C'è una porta laterale», disse un uomo. Un paio degli astanti corsero sul lato della chiesa, ma dopo un momento ricomparvero dicendo che

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anche quella era chiusa a chiave. Guardai la finestra: ora le fiamme sembravano più alte e vivaci. Si fece avanti il fabbriciere Finch. «Ho io una chiave! L'ho lasciata a casa!» «Allora andate a prenderla, imbecille!» esclamò Harsnet, dando uno spintone al tremebondo fabbriciere. Finch gettò un'altra occhiata inorridita ai riflessi che balenavano attraverso il finestrone della chiesa, poi filò via. Alcuni s'inginocchiarono sul terreno, pregando Iddio di risparmiare la loro chiesa e di non infliggerle un nuovo oltraggio. Comparve al nostro fianco Lord Hertford, che si chinò a parlare sottovoce ad Harsnet. «Credo di dovermene andare. Qui non c'è nulla che possa fare, e se la chiesa va a fuoco potrebbe esserci uno scandalo.» Harsnet annuì. «Sì, mio signore, sarebbe la cosa migliore.» «Io resto», disse Sir Thomas. «Voglio godermi lo spettacolo.» Il suo viso era pieno di eccitazione. Il fratello gli lanciò uno sguardo corrucciato, poi alzò le spalle e se ne andò senza porre tempo in mezzo. Harsnet fissava il finestrone. «Guardate! Il fuoco sembra localizzato in un solo punto preciso», disse a bassa voce. «E non sento odor di fumo.» «E che cos'è questo rumore?» chiese piano Barak. Sopra le parole dell'uomo che pregava e il mormorio atterrito del resto della congregazione, s'udiva provenire dalla chiesa un debole suono: una serie di grugniti soffocati, più bestiali che umani. «Gesù santo, che succede qui?» chiese Harsnet, visibilmente spaventato nel pallido chiarore. Finch tornò di corsa nel camposanto, con in mano una grossa chiave. Ci fu un fermento intorno alla porta; l'aprì, spalancandola. Alcune persone si lanciarono all'interno, per poi arrestarsi appena entrate. Qualcuno levò un grido di orrore. Sir Thomas Seymour si fece strada in mezzo alla ressa, seguito da Barak, Harsnet e me. Fummo colpiti da un orribile puzzo di carne bruciata, e anche da qualcos'altro: l'odore di pesce marcio già notato da Barak. Rimanemmo tutti paralizzati sulla soglia, davanti a una visione straordinaria e terrificante. Un uomo in bianchi paramenti sacri era incatenato a una colonna di pietra della navata, e bruciava, ardendo nell'oscurità come una torcia umana, anche se attorno a lui non c'era combustibile, né la causa visibile del suo ardere. Sull'uscio qualcuno svenne, altri caddero in ginocchio invocando a gran voce il Signore. Barak e Sir Thomas Seymour si fecero avanti; Harsnet e io li seguimmo. Il calore del falò

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era così intenso che fummo costretti ad arrestarci a sette o otto piedi di distanza. Non dimenticherò mai quella visione atroce. A bruciare vivo era il reverendo Yarington, con gli abiti già carbonizzati che lasciavano intravedere la carne scorticata e rossa, mentre il sangue gocciolava sfrigolando sulle fiamme. Ci guardava in preda a un'agonia tremenda, e vidi che era stato imbavagliato con un panno legato sulla bocca con un laccio. I rumori che avevamo udito erano le sue urla soffocate. L'infelice fissava con occhi fuori delle orbite il grosso della sua congregazione paralizzata dall'orrore, finché qualcuno urlò: «Acqua! Portate dell'acqua!» Tre uomini corsero fuori dalla chiesa, e vidi gli occhi sbarrati di Yarington volgersi a guardarli. Era troppo tardi, però, era già troppo tardi prima ancora che entrassimo in chiesa. Sotto i nostri occhi le fiamme avvolsero il capo di Yarington. Inorridito, fissai quella nobile capigliatura canuta prendere fuoco, trasformarsi per un istante in un'aureola gialla e infine spegnersi con un sibilo. Mentre le fiamme iniziavano a divorargli il volto la testa crollò di lato, e il terribile gemito ebbe termine. «Niente fumo», disse accanto a me Harsnet, con voce rotta. «Niente fumo e niente combustibile. Questa è opera del demonio.» Gli uomini corsi fuori rientrarono con secchi d'acqua e torce, che rischiararono lo spoglio interno della chiesa, imbiancato a calce, e quella cosa nera incatenata alla colonna. Gettarono acqua su Yarington, e le fiamme si spensero tra sfrigolìi e sibili. Sottili fili di fumo presero a levarsi da varie parti del suo corpo. Sir Thomas Seymour avanzò, scrutando il viso bruciato. «È morto», disse. Poi fece un passo indietro. «Come puzza!» Guardai il corpo di Yarington accasciato tra le catene. Le vesti bianche s'erano confuse con la carne. Qualcuno si girò dall'altra parte per vomitare. Persino Barak, che aveva uno stomaco di ferro, appariva pallido. Non era solo lo spettacolo, ma anche la puzza, un misto di carne arrostita e di pesce marcio. Guardai in terra: c'erano chiazze d'un liquido denso. Mi chinai a posare, non senza riluttanza, un dito su una; quindi lo sollevai, annusandolo con qualche esitazione. «Olio di pesce», dissi con calma. «Era inzuppato d'olio di pesce, probabilmente l'olio di quei grandi pesci che si vende ovunque.» Mi volsi verso Harsnet. «Era questo il combustibile.» Tornai a osservarlo in volto, benché mi si rivoltasse lo stomaco. Ora il bavaglio era bruciato. L'ortolano Tupholme era stato imbavagliato. Immaginai che

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Yarington fosse stato narcotizzato e portato in chiesa privo di sensi, quindi incatenato alla colonna. Doveva essere rinvenuto di colpo, ritrovandosi avvolto dalle fiamme. Intorno a noi tutti parlottavano con sussurri pieni di orrore, stringendosi gli uni agli altri; le donne piangevano. Harsnet guardava il corpo del vicario, respirando affannosamente. Citò sottovoce il Libro dell'Apocalisse: «E il quarto angelo versò la sua coppa sopra il sole; e fu dato a questo di ardere gli uomini con fuoco?» Barak si diresse alla porta laterale, saggiò la maniglia e confermò che era chiusa a chiave. Già mi figuravo la scena: Yarington sopraffatto altrove, privo di conoscenza, l'assassino che si serviva delle sue stesse chiavi per chiudersi in chiesa, poi fuggiva dalla porta laterale mentre il povero Yarington prendeva fuoco e aveva cura di chiudere a chiave l'uscio dietro di sé. «L'assassino era informato che saremmo stati presenti», dissi. «Come faceva a saperlo?» «Jesu, è vero», osservò Harsnet. «Questo spettacolo era dedicato a noi quanto ai fedeli della parrocchia, ma non può essere una coincidenza che ci fossimo anche noi. Il mio pastore. Il mio povero pastore.» Gli occhi gli si riempirono di lacrime. «Si prende di nuovo gioco di noi», risposi amaramente. «Si diverte con noi, dimostrandoci che siamo impotenti.» Qualcuno si avvicinò per cercare di sciogliere le catene, ma quando toccò il metallo ritrasse di scatto la mano con uno strillo. Erano ancora roventi. Venne avanti Meaphon, che si tolse la tonaca e la posò delicatamente sul capo devastato di Yarington. Harsnet guardò attorno a sé la congregazione sconvolta. «Ascoltatemi, tutti quanti!» esclamò. «Io indagherò su quest'abominio, il colpevole verrà catturato ! Fino a quel momento, però, non dite nulla... nulla!... su ciò che è avvenuto qui stanotte. Non farebbe che inorgoglire i nostri nemici.» Dalla folla si levò un mormorio. «Nulla, aprite bene le orecchie! Se la notizia si diffonde, potrebbe causare panico. Già abbastanza minacce gravano su di noi!» L'accento occidentale di Harsnet era fortissimo. «Finch, vi ritengo responsabile del fatto che la gente mantenga il silenzio fino al mio ritorno. Portate via il corpo del povero pastore, appena le catene si saranno abbastanza raffreddate.» Harsnet si volse quindi verso Sir

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Thomas, Barak e me. «Andiamo», disse rapido. «Tutti voi. Dobbiamo vedere immediatamente l'arcivescovo.» *** Capitolo ventiquattro. Quando giungemmo a Lambeth Palace l'arcivescovo Cranmer si trovava con Lord Hertford. Fummo fatti accomodare, ma anche stavolta Barak dovette attendere fuori. L'arcivescovo aveva un'aria distrutta. Non era rasato, e la barba nera gli ombreggiava le guance olivastre. Lord Hertford era in piedi al suo fianco. Il prelato ci fece cenno di sedere. «Dunque ce n'è stato un altro?» chiese Hertford. Notai che sembrava impaurito. «Sì, mio signore», rispose Harsnet. Riferì quanto era accaduto nella chiesa. Cranmer rimase un momento in silenzio, poi disse: «Poveruomo. Prego che dopo le sue terribili sofferenze sia adesso in paradiso». Si volse verso Hertford. «Ogni omicidio è più spettacolare del precedente. Se si va avanti così, l'intera storia non potrà non divenire di pubblico dominio.» «Possiamo mantenerla segreta?» chiese Hertford in tono brusco, con una faccia tesa; sembrava tuttavia più padrone di sé di Cranmer. «Ho parlato alla congregazione di Yarington», disse Harsnet. «Ho fatto loro giurare il silenzio. Ho affidato la responsabilità al reverendo Meaphon. Vi tornerò quando uscirò di qua, farò portare via il corpo e ribadirò ancora una volta che, se si viene a sapere dell'assassinio di Yarington, Bonner non potrà che avvantaggiarsene.» «Ancora niente indagini pubbliche», disse Hertford. «Stiamo interferendo con il corso della giustizia», ribattè Cranmer. «Tuttavia non abbiamo alternative, se vogliamo mantenere il segreto. Dove colpirà la prossima volta?» esclamò, preso da una collera repentina. «E come è riuscito a portare Yarington dentro la chiesa e a montare quella spaventosa messinscena senza che nessuno lo vedesse?» Guardò verso di me. «Credo che l'assassino abbia agito come con il dottor Gurney e mastro Elliard», dissi. «Durante il giorno invitò Yarington a qualche incontro, lo narcotizzò, si servì delle sue chiavi per aprire la chiesa e lo legò; poi

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chiuse la porta e attese che la gente incominciasse a radunarsi all'esterno, prima di appiccare fuoco all'olio di pesce che s'era procurato.» «C'eravamo anche noi», disse Harsnet. «La visione del povero Yarington che bruciava vivo in chiesa, senza apparente combustibile o fumo, mi fece pensare che fosse opera diabolica. Se non fossimo riusciti a calmare in qualche modo la congregazione, credo che si sarebbero messi tutti a correre per le strade gridando che era stato il diavolo. Nemmeno io, però, sono troppo sicuro che avessero torto», aggiunse piano. Hertford mi rivolse uno sguardo penetrante. «Dobbiamo fermarlo», disse. «Bonner e Gardiner interrogano ancora i cortigiani e i dipendenti dell'arcivescovo arrestati la settimana scorsa. Non hanno trovato niente, ma le loro pressioni continuano.» «Non sarà sufficiente al re per agire contro di noi», disse il fratello. «E ho sentito che i macellai di Londra rispondono tutti di non ricordare a chi avevano venduto carne in Quaresima.» Una volta tanto Hertford annuì, d'accordo con Sir Thomas. «È vero, e credo che Bonner esiti a fare troppi arresti: ieri al Muro di Londra lo hanno insultato.» Lo fissai: dunque lo sapevano. Hertford proseguì: «Al re non basteranno prove fabbricate artificiosamente con mezze verità e dicerie per mettervi in collegamento con i radicali. È affezionato a voi più che a chiunque altro. Fate conto su questo, mio signore». Cranmer sospirò profondamente. «Era quello che dicevano di Cromwell e Wolsey. Tenete d'occhio il re per me, Edward, osservate chi va e e chi viene nel Consiglio Privato, chi gli sussurra all'orecchio.» «Lo farò.» Ci fu un momento di silenzio. «Posso, mio signore?» Allungai un braccio, prendendo un foglio di carta bianca dallo scrittoio dell'arcivescovo. Dovevo provare a fare un po' d'ordine in quel caos. Cranmer mi fece un cenno di assenso. Scrissi in fretta, mentre gli altri mi osservavano muti. Quindi posai il foglio sul tavolo. Si sporsero tutti a guardare ciò che avevo annotato: Coppa 1: Una piaga purulenta Tupholme - ortolano - radicale riformista divenuto peccatore - gennaio (ucciso a dicembre?) Coppa 2: Morte nell'acqua salata

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Dottor Gurney - medico - radicale riformista divenuto moderato - 20 febbraio Coppa 3: Morte nell'acqua gelida Roger Elliard - avvocato - radicale riformista divenuto moderato - 25 marzo Coppa 4: Morte per fuoco Rev. Yarington - religioso - radicale riformista - 3 aprile Coppa 5: Morte nell'oscurità e grande sofferenza Coppa 6: Il fiume s'inaridisce Coppa 7: Grande terremoto «Sta stringendo i tempi», disse sottovoce Hertford. «Credo che sia Goddard», disse Harsnet. «L'arciprete Ben son e quell'uomo, Lockley, ci nascondono qualcosa su di lui, ne sono certo. Domani li interrogherò. Dovremmo farli portare nella vostra prigione e sottoporli a tortura, mio signore.» «No», rispose con fermezza Cranmer. «Non svolgiamo interrogatori su una questione religiosa. Non possiamo arrestare gente nelle strade di Londra con il clima che si sta diffondendo proprio ora.» «E non siamo neppure certi che sia Goddard», dissi io. «Non ancora.» «Che idea vi siete fatto di lui?» chiese Cranmer. «In base a tutte le testimonianze, Goddard era un uomo freddo. Un buon medico, ma si curava poco dei pazienti. Era ossessionato dalla sua deformità, un grosso neo sul naso. Eppure, da come ne parla chi lo ha conosciuto, non riesco a vedere in lui la furia selvaggia di quest'assassino.» «A meno che non sia posseduto dal demonio», disse Harsnet. Per qualche istante rimasero tutti zitti; poi Cranmer commentò: «Se Yarington era ancora un riformista radicale, non si adatterebbe allo schema che avete steso». «Per quanto ne sappiamo», risposi. «Potrebbe non essere così semplice. Dobbiamo andare a casa sua. Se Yarington era un uomo pio come sembra, allora la mia ipotesi che l'assassino punisca chi ha tradito il radicalismo viene a cadere. Ma in caso contrario, restringe il campo delle potenziali vittime.» «A ogni radicale di Londra che ha tradito», grugnì Thomas Seymour. «Quante centinaia saranno?» «Molte», riconobbi. Mi strofinai il braccio: i punti tiravano. Lord Hertford guardò il mio foglio. «Secondo l'Apocalisse, il versamento della prossima coppa avrà come conseguenza gente che si

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morde la lingua nelle tenebre, con grande tormento. Potrebbe non significare niente.» Si tormentava la lunga barba preoccupato. «Mi piacerebbe ancora sapere in che modo prosciugherà un fiume, come si suppone che faccia la sesta coppa», disse ironicamente Thomas Seymour. «O provocherà un grande terremoto come la settima.» «Troverà qualcosa», risposi. «Qualcosa che s'adatti.» Cranmer si girò verso Harsnet. «Qualche progresso nel rintracciare Goddard?» «Non ancora, mio signore. Sto facendo ricerche presso le autorità del Surrey, del Kent e del Sussex. Con discrezione.» L'arcivescovo approvò, quindi guardò me. «Matthew, voi vi occupate di quel ragazzo a Bedlam. Il vicino di Yarington, il reverendo Meaphon, è il suo parroco, no?» «Sì. C'era anche ieri, quando il giovane Kite si arrampicò sul Muro di Londra. E anche Yarington.» «Assicuratevi che il ragazzo sia tenuto al sicuro, e fuori vista.» «Sì, mio signore. Pare che il guardiano di Bedlam l'abbia lasciato scappare di proposito, per liberarsi della seccatura. Non lo rifarà. Domani abbiamo un'udienza alle Suppliche, per garantire che venga curato.» Cranmer annuì, poi osservò il mio braccio. «E pensate che l'assassino vi segua, vi sfidi.» «Sì.» «Soltanto voi?» «Pare di sì. Anche la moglie di Barak è stata ferita, ma temo che sia stato perché è collegata con me. Quello vuole che abbandoni il caso.» Thomas Seymour scoppiò a ridere. «Vi state preoccupando troppo. Perché dovreste avere importanza per lui?» «Non lo so», risposi. Mi volsi verso Harsnet. «Con voi tutto liscio?» «Sì. Però, lavorando a Whitehall Palace, sarebbe difficile il contrario.» Cranmer si passò una mano sul viso. «Non resta altro da fare che continuare la nostra caccia. Incontrate domani l'arciprete Benson e Lockley. Dove abita Lockley?» «Dalle parti di Charterhouse.» Sir Thomas si accigliò. «Mio signore, ho già detto che non mi garba che Lady Catherine Parr si trovi così vicino a qualcuno che potrebbe avere a che fare con i delitti.»

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«E circondata dalla servitù», ribatté il fratello con un accenno di stanchezza nella voce. «E non coincide affatto con il modello delle vittime. Una donna di fede tranquilla e sincera.» «Neppure Yarington coincideva, eppure stanotte questo non gli ha impedito di fare la fine di un cero natalizio.» «Mio signore», disse Harsnet, «penso che dovremmo andare subito a casa del reverendo Yarington. Il fabbriciere mi ha riferito che abitava in canonica, a un paio di vie di distanza dalla chiesa, solo, tranne che per i servitori. Gli ho detto di non fare parola di ciò che è accaduto.» Cranmer rifletté un momento. «Molto bene. Matthew, Gregory, andate a casa del povero Yarington, parlate con i domestici, scoprite ciò che potete sulla sua vita. Prendete un paio delle mie guardie, e se ritenete che sia il caso di trattenere qualcuno della servitù, fatelo portare qui con discrezione. Prima di andare, Matthew, vorrei parlarvi da solo un minuto.» Gli altri uscirono, lasciandomi in compagnia dell'arcivescovo. «Questa storia terribile vi colpisce, vero, Matthew?» Mi sentii gli occhi pieni di lacrime. L'arcivescovo doveva essersene accorto. «Sì», risposi. «Perché un vostro buon amico era una delle vittime? E perché il colpevole vi perseguita e si prende gioco di voi?» «Sì. E perché non ho mai veduto una tale...» esitai, «perversità prima d'ora.» «È quello che tormenta anche me. Ho visto molti uomini... troppi uomini... uccisi per motivi politici. Questo, però, è un caso differente. Sento che quell'uomo prova piacere commettendo i suoi crimini.» «Credo di sì.» «Com'è possibile che qualcuno faccia cose del genere, nella convinzione di compiere la volontà di Dio?» esclamò Cranmer con un'improvvisa enfasi. «È forse una forma di blasfema parodia della religione, ispirata direttamente dal demonio? È quanto crede Gregory Harsnet.» «Non lo so, mio signore. Cerco di non pensare troppo a queste cose.» «Il fuoco», disse a bassa voce. «Una morte orribile. Gli eretici in favore dei quali sono intervenuto, supplicandoli di ritrattare, li spaventavo descrivendo loro la pelle che si accartoccia, il grasso che si scioglie, il sibilo e il crepitio.» Chiuse gli occhi con un sospiro. «Se avessi potuto li avrei salvati, ma il re è sempre irremovibile sui castighi più duri. Una

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volta erano i cattolici che voleva perseguitare, ma ora sta tornando al vecchio modo di concepire la religione: un cattolicesimo senza papa. E ogni anno diventa più difficile convincerlo.» Scosse il capo, chiuse un attimo gli occhi, poi, d'un tratto, mi gettò un'occhiata penetrante. «Riuscite a tollerarlo?» mi chiese. «Sì, mio signore. Ho giurato di vendicare il mio sventurato amico. Terrò duro, troverò il coraggio.» Sorrise ironicamente. «Allora devo farlo anch'io. Catherine Parr resiste ancora, sapete, non darà una risposta al re. Ha paura, povera donna, cosa che non può certo stupire, essendo passato a malapena un anno da quando Catherine Howard salì al patibolo. Eppure devo sollecitare i suoi amici perché la persuadano a cedere, per via dell'influenza che potrebbe esercitare sul re.» «Si troverà in pericolo.» «Sì», ammise lui senza reticenze. «È ciò che dobbiamo affrontare tutti, per amore di Cristo che per noi soffrì i tormenti peggiori.» L'arcivescovo rimase in silenzio un poco più a lungo: intimorito, rattristato, impietosito, e tuttavia implacabile. Quindi mi congedò. «Risolvete questo mistero. Trovatelo.» Barak e Harsnet mi aspettavano in corridoio. Harsnet passeggiava cupo su e giù; Barak sedeva invece su una sedia, dondolando nervosamente una gamba: appariva impaziente, irritato e impaurito. Harsnet mi guardò curioso. «Voleva dire qualche parola sui delitti», spiegai. «Lo turbano.» «Li ritiene opera del diavolo?» «Non lo sa, e neppure io. Non è una congettura che ci possa tornare utile», aggiunsi seccamente. Quindi mi rivolsi a Barak. «Forza, si va a casa di Yarington.» Uscimmo, e fuori un paio di guardie del palazzo si unirono a noi: uomini massicci, con elmi e spade alla cintola, perché il palazzo dell'arcivescovo doveva essere presidiato quanto quello di qualunque altro importante uomo di Stato. Scendemmo all'imbarcadero e prendemmo la scialuppa dell'arcivescovo per tornare in città; quindi attraversammo a piedi Londra fino alla chiesa di Yarington: tutto era buio e silenzio, essendo ormai scoccato il coprifuoco, e i gendarmi sollevavano le lanterne per guardare in faccia i passanti ritardatari. Vedendo però i nostri abiti eleganti e le guardie in uniforme s'inchinavano.

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«Mi sono spaventato a morte, per quell'uomo che ardeva vivo», disse Barak. «Quel povero bastardo bruciava come una candela, e per un momento ho creduto sul serio che gli fosse stato appiccato fuoco da qualche potenza sovrannaturale.» «Era olio di pesce», ribattei brusco. «Queste storie di diavolerie non ci aiutano.» Giungemmo alla chiesa, ora vuota e silenziosa, con i finestroni opachi e oscuri. Percorremmo un altro po' di strada finché non trovammo un'elegante canonica, con un giardinetto ben tenuto. Harsnet bussò rumorosamente alla porta. Bagliori di luce apparvero a una finestra quando qualcuno accese una candela, e una voce maschile chiese attraverso l'uscio, in tono spaventato: «Chi è?» «Veniamo per ordine dell'arcivescovo Cranmer», rispose Harsnet. S'udì un rumore di chiavistelli fatti scorrere e la porta si aprì, rivelando un omino anzianotto, dai radi capelli grigi in disordine e la camicia da notte cacciata in fretta nelle brache. I suoi occhi si spalancarono per la paura alla vista delle guardie. «È per il padrone?» chiese. «Oh, Dio, mica sarà stato arrestato?» «Non si tratta di questo. Voi, rimanete fuori», disse Harsnet alle guardie, poi passò oltre il vecchio, entrando in un piccolo atrio, su cui si affacciavano alcune porte e da cui partiva una scala che saliva. Lo seguii. «Siete il suo domestico?» «Il suo maggiordomo, signore. Toby White. Che cosa...» «Perché l'avrebbero dovuto arrestare?» chiese seccamente Harsnet. «Dicono che Bonner arresterà tutti gli uomini timorati di Dio», rispose. Un pochino troppo prontamente, pensai. Non mi piaceva quel domestico, aveva un'aria equivoca. «Chi altro abita qui?» Il servitore esitò, poi, con gli occhi che saettavano da me ad Harsnet, rispose: «Solo lo stalliere e dorme nella scuderia». «Temo di avere cattive notizie per voi, White», disse Harsnet. «Stasera il vostro padrone è morto.» Gli occhi del vecchio si sbarrarono. «Morto? Non sapevo dove fosse, incominciavo a preoccuparmi, ma... morto?» Ci fissava incredulo. «E stato assassinato», disse Harsnet. Gli occhi del maggiordomo uscivano delle orbite. «Quando l'avete visto per l'ultima volta?»

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«Ieri pomeriggio sul tardi ricevette un messaggio. Una lettera. Disse di dover uscire per incontrarsi con un confratello. Non disse dove. Ho pensato che si sarebbe trattenuto fuori per la notte.» «Dov'è finita quella lettera?» «Il padrone l'ha portata con sé.» Harsnet mi guardò. «Come il dottor Gurney e il vostro amico.» Tornò a volgersi verso il domestico tremante. «Sapevate che stanotte sarebbe andato alla riapertura della chiesa?» «Sì, signore. Ho creduto che forse vi sarebbe andato direttamente.» Harsnet rimase un momento in silenzio, riflettendo. Notai il servitore gettare un'occhiata fugace alla scala, poi distoglierne nuovamente lo sguardo. «Forse dovremmo esaminare la casa», dissi. «Non c'è nessuno», rispose il maggiordomo, troppo in fretta. «Solo io.» «A noi non importa se il vostro padrone aveva libri proibìti», dissi. «No, ma...» Harsnet lo squadrò insospettito. «Datemi quella candela», disse con decisione. Il vecchio esitò, ma alla fine gliela porse. «Voi rimanete qui», gli ordinò Harsnet. «Barak, tenetelo d'occhio.» Il coroner mi fece un cenno con il capo e io lo seguii su per le scale. La prima stanza che vedemmo era uno studio, con libri visibilmente usati che giacevano su un ampio scrittoio fra carte e penne. Ne presi uno, esaminandolo per leggerne il titolo. Istituzioni della religione cristiana, di Giovanni Calvino. Avevo sentito parlare di lui: uno tra i più radicali e intransigenti della nuova generazione di riformatori del continente. Harsnet alzò una mano. «Ho sentito qualcosa», sussurrò. Indicò una camera sul lato opposto del corridoio, poi vi si diresse e ne spalancò la porta. Ne venne uno strillo acuto. Era una stanza dominata da un comodo letto di piume, in cui giaceva una donna nuda: o piuttosto una fanciulla che non aveva più di una ventina d'anni, con la pelle delicata e i capelli biondi. Afferrò le coltri, tirandosele fino al collo. «Aiuto!» urlò. «Al ladro!» «Silenzio!» esclamò Harsnet. «Sono il coroner aggiunto del re. Tu chi sei?» La giovane ci fissò a occhi sbarrati, ma non rispose. «Sei la sgualdrina di Yarington?» Si avvertiva la collera nella sua voce. «Qual è il tuo nome, ragazza?» le domandai con calma.

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«Abigail, signore, Abigail Day.» «Sei la donna del pastore? Non serve negarlo.» Lei arrossì mentre annuiva. Il volto di Harsnet si contorse per il disgusto. «Hai sedotto un uomo di Dio.» Un lampo di sfida comparve sul volto della fanciulla. «Non fui io a sedurre.» «Non alzare la voce con me! Una come te nel letto di un pastore: non hai paura per la tua anima? E per la sua?» Harsnet adesso urlava, il volto in preda all'ira. In quegli ultimi giorni avevo imparato a rispettare il coroner, quasi a nutrire simpatia per lui, ma i fatti terribili di quella sera mettevano in evidenza un altro suo lato: il duro e inflessibile uomo di fede. La ragazza ribatté non senza vivacità; la sua paura si era trasformata in rabbia. «Tenere insieme corpo e anima è stato ciò cui mi sono dedicata da quando mio padre fu impiccato per avere rubato la borsa a un gentiluomo», rispose arditamente. «E mia madre ne morì.» Harsnet non si lasciò impressionare. «Da quanto tempo sei qui?» domandò bruscamente. «Quattro mesi.» «Dove ti ha pescata Yarington?» Lei ebbe un'esitazione prima di rispondere. «Ero in un bordello giù a Southwark, dove lui si recava di solito. Da noi venivano parecchi pastori», aggiunse spavalda. «Uomini deboli, che tu tenti per farli cadere nel peccato.» La voce di Harsnet fremeva d'ira e di disprezzo. Stava perdendo tempo. «Hai mai sentito parlare di una prostituta di nome Elizabeth la Gallese?» le domandai. «No, signore.» Il suo sguardo andava dall'uno all'altro, nuovamente spaventato. «Perché, signore? Perché?» «Il tuo padrone è morto», rispose rude Harsnet. «È stato ucciso stasera, dopo il tramonto.» La bocca di Abigail si spalancò. «Ucciso?» Il coroner annuì. «Mettiti qualcosa addosso. Ti porto nella prigione dell'arcivescovo. Ci saranno altre domande. Nessuno sentirà la tua mancanza», aggiunse con brutalità. «E dopo verrai frustata come puttana, anche se non è affar mio.»

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«Solo qualche domanda sul conto del tuo padrone», dissi, mentre la disgraziata scoppiava in lacrime. «Su, calmati e vestiti. Noi saremo al piano terreno.» Presi Harsnet per un braccio e lo condussi fuori. Fuori, Harsnet scosse il capo costernato. «Le trappole posate dal demonio per farci cadere», disse. «Gli uomini sono quello che sono», risposi, non senza impazienza. «E sempre lo saranno.» «Siete un cinico, mastro Shardlake. Un uomo dalla fede tiepida, come i fedeli della chiesa di Laodicea.» Lo guardai meravigliato. «Questa è una citazione dell'Apocalisse.» Harsnet sbatté le palpebre, corrugando la fronte, poi alzò una mano. «Mi spiace. Sono... turbato da ciò che abbiamo visto stasera. Ma vi rendete conto che se Yarington non si fosse tenuto in casa quella sgualdrina, stanotte non sarebbe morto? E stato ucciso a causa della sua ipocrisia, non è così?» «Sì, credo di sì.» Harsnet socchiuse stancamente gli occhi, poi mi guardò. «Perché avete chiesto di Elizabeth la Gallese?» «Così era chiamata la donna di Tupholme, quel contadino. Mi domandavo se per caso l'assassino avesse ottenuto quest'informazione tramite un bordello. Due peccatori della carne puniti con la morte», aggiunsi. «Adesso è chiaro che Yarington rientrava nello schema.» «Sì, vi rientrava.» Il viso di Harsnet era duro. «Scoprirò in che postribolo lavorava costei.» «Non siate duro con lei, per favore. Qui le maniere forti non serviranno a niente.» «Vedremo», brontolò. Il maggiordomo, Toby, sedeva in cucina in compagnia di un ragazzino sui dieci anni dall'aria spaventata, lacero e puzzolente di stalla, con i piedi neri di sporcizia. Ci fissava sbarrando gli occhi sotto un ciuffo di capelli scuri. «Questo chi è?» domandò Harsnet. «Timothy, signore, il garzone di stalla», rispose Toby. «In piedi davanti a chi vale più di te, stupido idiota.» Il bambino si alzò con le gambe tremanti. «Esci, ragazzo», disse Harsnet. Il garzone si volse e sgattaiolò via. «Bene», disse Harsnet sarcastico. «Parecchia gente, per non esserci nessuno in casa.»

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«Mi pagava bene, per passare sotto silenzio la presenza di quella», borbottò cupo Toby. «Eravate complice del peccato.» «Tutti sono peccatori.» «Chi altro lo sapeva?» domandai. «Nessuno.» «Eppure la gente avrà pur visto la ragazza andare e venire», ribattei. Toby scosse la testa. «La lasciava uscire di casa solo quand'era buio. D'inverno fu abbastanza facile, perché lei non aveva comunque voglia di uscire con la neve e il ghiaccio. Non so come l'avrebbe tenuta nascosta adesso che le giornate si fanno più lunghe, e arriva la primavera. Probabilmente l'avrebbe presto sbattuta fuori.» Sogghignò beffardo, mostrando spuntoni di denti giallastri. «Aveva una buona scusa per tenere alla larga la gente: i suoi preziosi libri di Lutero e di quello nuovo, Calvino.» «Da quanto tempo eravate con il vostro padrone?» chiese Barak. «Cinque anni.» Le sue palpebre si restrinsero. «Ero pagato per essere un servitore onesto, non per discutere le necessità del mio padrone. L'ho sempre fatto.» Tacque un attimo. «Come è morto? E stato rapinato? Oggigiorno non si può più girare per Londra, per via di certi manigoldi di mendicanti.» «No», rispose indifferente Harsnet, «non si può proprio.» Toby scosse la testa con amarezza; ebbi tuttavia l'impressione che non fosse granché affezionato al suo padrone. «Dunque trovò la ragazza in un bordello?» domandai. «Credo che ci andasse spesso. La cosa buffa è che dopo essersi portato qui Abigail avreste pensato che fosse più contento; e invece non faceva che tuonare in maniera maggiore contro il peccato. Credo che fosse la sua cattiva coscienza. La gente di chiesa è un bel po' strana, dico io. Io vado solo alle funzioni, come ordina il re.» «E il ragazzo? Doveva ben sapere che Abigail stava qui.» «Gli dissi di tenere la bocca chiusa, o avrebbe perso il lavoro. Non avrebbe osato fare nulla... è orfano, se fosse stato sbattuto fuori sarebbe finito in mezzo a una strada. Il padrone teneva ben nascosta quella donna: se i fabbricieri l'avessero scoperta, sarebbe stato cacciato dalla chiesa.» «Abbiamo motivo di credere che chiunque l'abbia ucciso sapesse della presenza della ragazza», dissi.

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Toby s'irrigidì, allarmato. «Ve l'ho detto, non ho riferito niente a nessuno...» «Allora chi altro avrebbe potuto saperlo?» domandò Harsnet. «Chi veniva qui?» «Se il pastore doveva sbrigare qualche faccenda incontrava la gente in chiesa. Tranne me, nessuno entrava in casa; facevo io tutte le pulizie. Se uscivo, incaricavo Timothy di dire a chi passava di tornare più tardi. È abbastanza sveglio, sapeva che cosa doveva fare.» Harsnet si alzò in piedi. «Voi verrete con me, padron White. Voi e la ragazza passerete una notte nella Lollards' Tower, e vedremo se ricorderete qualcos'altro. Jacobs!» chiamò. Entrò una delle guardie. Toby lo fissò atterrito. «Non ho fatto niente!» disse, alzando la voce. «Allora non avete nulla da temere», ribatté Harsnet, mentre il gendarme faceva alzare l'uomo. Mi alzai anch'io. «Interrogherò il ragazzo di stalla», dissi. «Buona idea», approvò Harsnet. Uscii nel cortiletto sul fianco della casa. La luce vacillante di una candela che usciva da una porta aperta m'indirizzò alla stalla. Il ragazzino sedeva su un secchio capovolto accanto a un pagliericcio, appoggiato al fianco di una grossa giumenta grigia che accarezzava. In un angolo vidi un rozzo giaciglio di paglia. Alzò gli occhi terrorizzato, con la faccia sporca rigata di lacrime. Avvertii quella dolcezza che sempre provavo davanti ai bambini soli e infelici. ; «Tu sei Timothy?» gli chiesi gentilmente. «Sì, signore», sussurrò. «Signore, Toby dice che Padrone è morto. Lo ha ammazzato un uomo cattivo?» «Ho paura di sì.» «Che cosa capiterà a mastro Toby?» «Andrà con il coroner. Vorrei farti qualche domanda.» «Sì, signore?» Per quanto avessi parlato con dolcezza, appariva ancora spaventato: non c'era da meravigliarsene, eravamo una banda di estranei che avevano fatto irruzione quasi a mezzanotte. «Tu sai di Abigail, la donna che vive qui?» chiesi. Non rispose. «Ti è stato detto di mantenere il segreto? Adesso non ha più importanza.»

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«Toby disse che Padrone mi avrebbe picchiato se avessi anche solo pronunciato il suo nome. Padrone una volta me le diede, perché avevo imprecato. Ma io non l'avrei detto, signore, perché era buona con me, anche se Toby diceva che era una grande peccatrice. Signore, che cosa capiterà a Abby? Andrà tutto bene?» No, se Harsnet avesse fatto ciò che voleva, pensai. Trassi un profondo respiro. «Hai mai parlato di lei con nessuno? Non sarai punito per dire la verità.» «No, no, lo giuro. Sulla Bibbia, signore. Sulla Bibbia, se volete. Non ho mai parlato di lei con nessuno. Mi piaceva che stesse qui. Era gentile, a volte quest'inverno mi dava qualche soldo, mi lasciava sedere in casa vicino al fuoco quando Padrone e Toby erano usciti, diceva di sapere che cosa voleva dire avere freddo e fame.» Gli occhi gli si riempirono nuovamente di lacrime. Immaginai che non fosse trattato con affetto né da Yarington né da Toby; solo dalla puttana. Intuii però che c'era qualcos'altro, qualcosa che si teneva dentro per paura; ma se avessi comunicato quella mia impressione ad Harsnet, il bambino sarebbe stato trascinato insieme con gli altri nel carcere dell'arcivescovo, e qualcosa dentro di me si ribellava, non potevo tollerarlo. «Mastro Shardlake!» chiamò da fuori la voce di Harsnet, facendo sobbalzare il ragazzo. «Debbo andare, Timothy», dissi. «Ma domani tornerò a trovarti. Adesso che il tuo padrone è morto sei rimasto senza un posto dove andare, e Toby ha detto che non hai una famiglia.» «No, signore», rispose, tirando su dal naso. «Dovrò andare a chiedere l'elemosina.» «Be', cercherò di trovarti un lavoro io. Per ora, chiudi la porta della stalla e va' a dormire.» «Ho detto la verità, signore», disse. «Non ho parlato a nessuno di Abigail.» «Sì, ti credo.» «I gendarmi hanno preso l'uomo che ha ucciso Padrone?» «No, non ancora. Ma lo prenderanno.» Uscii dalla stalla. Fuori, mi morsi un labbro: e se fosse scappato? Ma non l'avrebbe fatto, non con la speranza di un altro posto. Sapeva qualcosa, e sarebbe stato più facile scoprirlo una volta che si fosse riavuto dallo sgomento iniziale.

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«Mastro Shardlake!» chiamò nuovamente Harsnet dalla soglia della casa. «Sì, arrivo!» Sopporta i bambini, mi dissi amaramente. Raggiunsi Harsnet, che era uscito in strada e osservava la chiesa in compagnia di Barak. «Come faceva l'assassino a sapere della baldracca di Yarington?» gemette. «Farò mettere alla tortura la ragazza e il servo, ma non credo che sappiano niente. E il bambino?» «Non ha mai parlato con nessuno di Abigail. Gli ho detto che sarei tornato a trovarlo di nuovo domani, quando sarà più tranquillo. Adesso è senza casa. Gli ho anche detto che cercherò di trovargliene una.» Harsnet mi guardò incuriosito. «Dove?» «Non lo so ancora.» «Spero che ci riusciate. Altrimenti, se sopravvive diventerà un altro pitocco che crepa di fame per la strada e mette in pericolo la pace.» Scosse la testa. «Vorrei che ci si prendesse cura di loro, e li si riportasse a Dio.» La sua ira sembrava essersi placata. «Il mio povero amico Roger aveva dato inizio a una sottoscrizione tra i colleghi avvocati, per costruire un ospedale per i poveri.» «Ottimo», commentò. «E ciò che occorre. E servono anche predicatori. Gli accattoni sono completamente privi di timor di Dio: l'ho visto nel mio lavoro.» «Sono degli emarginati.» «Lo erano anche nostro Signore e i suoi discepoli. Loro, però, avevano la fede.» «Erano convinti che stesse per cominciare un mondo migliore.» «Arriverà», rispose sottovoce Harsnet, e mi sorrise. «Sono dolente per essere andato in collera, prima. Verrete ancora a pranzo domani?» «Naturalmente.» «Chissà se Yarington aveva una famiglia: lo scoprirò dai suoi domestici.» Si volse alla comparsa sulla soglia delle guardie. Abigail e Toby barcollavano, con l'aria terrorizzata. «Devo accompagnarli.» Harsnet fece un rapido inchino e si avviò. «Non li invidio», disse Barak mentre i due infelici venivano portati via. *** Capitolo venticinque.

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Barak e io tornammo in Chancery Lane. Ero stravolto dalla stanchezza, i punti al braccio mi pizzicavano e tiravano. «Dovremmo riposare qualche ora, quando torniamo a casa», disse Barak. Al chiar di luna appariva anche lui esausto. «Domani ci sono la causa di Adam Kite, poi Smithfield e Harsnet, e infine l'arciprete.» Gemette al pensiero di tutte quelle fatiche. Per un po' camminammo in silenzio; poi Barak disse: «Dunque quella canaglia di Yarington era un libertino, eh?» Sembrava quasi tornato il vecchio, beffardo Barak, forse lieto di avere nuovamente a che fare con una normale debolezza umana, dopo l'orrore cui avevamo assistito nella chiesa. «Sì, e l'assassino in un modo o nell'altro lo sapeva.» «Ma come?» «Non lo so. Di certo, se riusciamo a scoprirlo, potremmo acciuffarlo.» «Che cosa farà adesso?» «Impossibile dirlo. Come ha osservato Hertford, la quinta profezia è vaga.» «Che cosa pensate che tengano nascosto, quelli... Lockley e l'arciprete? Qualcosa lo nascondono di sicuro.» «Sì e domani dobbiamo scoprirlo.» «Credete che facciano parte di qualche conventicola di sodomiti? I monasteri erano pieni di quei luridi esseri.» «Non lo so. Di sicuro Lockley non mi ha dato l'idea di avere quel genere di inclinazioni.» «Non si può mai dire.» «Sembrate feroce contro il peccato quanto Harsnet.» Barak sogghignò. «Solo contro i peccati dai quali non mi sento attirato», rispose con uno sprazzo del vecchio umorismo. «Quelli sono sempre facili da condannare.» Arrivammo in Chancery Lane. «Per prima cosa, devo andare a trovare quel ragazzo, Timothy», dissi stancamente. Dietro una finestra vidi una lanterna accesa: l'uomo di Harsnet, Orr, era di guardia. «E se stanotte taglia la corda?» «Non lo farà. Ve l'ho già detto, sa di avere bisogno di una nuova casa.» «E come ne farete spuntare una dal nulla per lui?» «Ho un'idea. Non lo abbandonerò. Ora andiamo, sono troppo stanco per parlare ancora. Abbiamo bisogno di dormire almeno qualche ora, altrimenti domani vedremo doppio.»

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Quando fummo a casa chiesi a Barak di svegliarmi non più tardi dell'alba, e salii faticosamente le scale per andare a letto. Pur esausto com'ero, non riuscii a prendere sonno: mentre giacevo a letto nell'oscurità, continuavo a pensare e ripensare alla terribile morte di Yarington, sforzandomi di adattarla allo schema delle altre. Alla fine mi alzai, mi gettai il mantello sulla camicia da notte e accesi una candela di cera vergine. Il lume giallo che si diffondeva nella stanza dal mio scrittoio mi rassicurava. Sedetti al tavolo, riflettendo. Ero certo che l'assassino fosse presente quando avevamo fatto scendere Adam dal Muro di Londra; e c'era anche Yarington. Fu allora che l'assassino decise che sarebbe stato lui la sua prossima vittima? No, quella scena era stata pensata da tempo, e la fornicazione di Yarington con quella povera ragazza era già nota all'assassino. Ma in che modo, dato che il pastore aveva mantenuto un segreto così rigoroso? Non era una cosa risaputa come l'allontanamento di Roger e del dottor Gurney dal riformismo radicale, o la vistosa relazione dell'infelice Tupholme con Elizabeth la Gallese. Era importante incontrare Timothy il giorno dopo e scoprire se sapeva qualcosa. Non vedevo ancora prove sufficienti a persuadermi che l'assassino fosse Goddard. Ma allora, se non Goddard, chi era quest'uomo che conosceva la medicina e la legge, e frequentava, o aveva frequentato in tempi recenti, le sette estremiste? Mi domandai, non senza un certo fastidio, se nella ricerca di informazioni Harsnet esercitasse sufficienti pressioni sui riformisti radicali: avrebbe avuto una mano molto più leggera con i suoi correligionari che con Abigail. La vetusta raccolta di giurisprudenza era sul mio scrittoio. L'avevo presa in prestito dalla biblioteca. L'aprii nuovamente al caso di Strodyr, annusando ancora una volta l'odore della polvere e dell'inchiostro vecchio. Anche Strodyr doveva avere progettato con cura i suoi delitti, dato che era rimasto impunito per anni. Rilessi che al processo non volle dire una parola, ma che di frequente si scagliava «nel modo più osceno» contro la perversità della prostituzione. Forse anche il nostro assassino credeva di compiere l'opera di Dio, oppure non era altro che un gioco terribile? O entrambe le cose erano la stessa nell'insondabile profondità della sua mente? Ricordai che a Munster gli anabattisti tedeschi, capovolgendo i fondamenti della società, credevano di anticipare con la loro violenza la volontà di Dio, di affrettare l'Armageddon. Magari l'assassino credeva che ogni passo fosse un

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simbolico avverarsi delle profezie dell'Apocalisse, che potesse affrettare la fine del mondo. Decisi di riparlarne con Guy. E finalmente mi addormentai. Dormivo ancora profondamente quando Joan bussò con delicatezza alla porta. Mi alzai lentamente, con la schiena ancora rigida e dolorante; il braccio, tuttavia, mi faceva meno male. Decisi di fare a meno di portarlo sospeso al collo. Andai alla finestra e guardai fuori. Il cielo schiariva, luminoso e azzurro, solcato solo da qualche nuvoletta vaporosa. Per la prima volta dopo parecchi giorni feci i miei esercizi per la schiena, non senza brontolare mentre mi torcevo e mi stiravo. Poi mi vestii e scesi al piano terreno. Mi strofinai le guance irte di barba, consapevole di avere bisogno di una visitina dal barbiere. In salotto Barak, in camicia e brache, faceva già colazione con pane, formaggio e mele avvizzite. «Il raccolto delle mele dello scorso anno si è rinsecchito in fretta», disse. «Ne farò aprire un nuovo barile da Peter: saranno più fresche.» «Va meglio il vostro braccio?» «Oggi sì.» «Allora il giovane Piers ha fatto un buon lavoro.» Tirai il pane verso di me. «Tamasin non s'è ancora alzata?» «Solo adesso. Diventa pigra.» Lo guardai e lui arrossì. «I lividi si stanno riducendo, la bocca guarisce, ma non le va ancora di essere vista. Ancora un giorno o due, se tutto funziona come si deve. Ce l'ha sempre a morte con quel cavadenti.» «Quella notte potevano ucciderla», obiettai severamente. «E la causa è il nostro lavoro. Il mio lavoro.» Barak posò i resti della mela. Rimase un momento in silenzio, poi disse: «Odio questa faccenda, dare la caccia a un matto o a un indemoniato o a qualunque cosa sia. Credo di farlo ricadere anche su Tamasin». Si agitava a disagio sulla sedia. «Perché?» gli domandai con delicatezza. «Perché è qui, penso. Non è il modo di far stare una moglie, lo so.» Gli domandai pacatamente: «Desiderate ancora che sia vostra moglie?» «Certo che sì.» Mi guardò storto, e mi domandai se non mi fossi spinto un po' troppo oltre, ma poi Barak sospirò, scuotendo la testa. «So di essermi comportato da zotico, ma...» Si passò le dita in mezzo ai folti,

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disordinati capelli scuri. «In un modo o nell'altro si finisce per comportarsi in una certa maniera, poi non è facile cavarsene fuori.» Sospirò nuovamente. «Quando però sarà tutto finito, ho deciso di lasciare l'Old Barge e cercare una casetta in affitto più vicino al Lincoln's Inn.» «Questa sì che è una magnifica notizia», sorrisi. «Tamasin ne sarà felicissima.» «E io starò di più in casa. Perderò meno tempo nelle... ehm... bettole.» La sua esitazione mi indusse a chiedermi se i sospetti di Tamasin non fossero per caso fondati, e se frequentasse altre donne. «Glielo avete detto?» domandai. «No. Aspetterò finché le cose non si saranno un poco assestate.» «Ma dovreste dirglielo adesso.» Barak corrugò la fronte, e mi accorsi di essermi spinto troppo in là. «Glielo dirò quando lo riterrò giusto», rispose bruscamente. «Vado a vestirmi, poi dirò a Peter di preparare e sellare Sukey e Genesis.» Si alzò e uscì. Nominando Peter, mi aveva rammentato la promessa fatta a Timothy. Mangiai un po' di pane e formaggio, mi cacciai in tasca una delle mele avvizzite e andai in cucina, dove trovai Joan e Tamasin. Quest'ultima sedeva a tavola e puliva la verdura per la cena. Ora i suoi lividi erano meno pronunciati, ma avevano sempre un colore orribile, così viola e neri, e aveva ancora il viso gonfio. Joan alzò gli occhi con un sorriso, ma Tamasin sollevò una mano a nascondere il volto. Joan faceva il bucato, curva su un mastello di legno. Il suo viso, incorniciato dalla cuffia bianca, era rosso mentre strofinava la stoffa inzuppata. Non senza una punta di rimorso, mi dissi che ormai andava per i sessant'anni; un tempo il suo defunto marito era stato il mio maggiordomo, e quand'era morto, quindici anni prima, avevo tenuto lei in qualità di governante. Era una condizione poco usuale per uno scapolo, nonostante la differenza di età, ma avevo sempre apprezzato i suoi modi tranquilli e materni. Avevo avuto intenzione di chiederle se sapesse che occorreva qualche aiuto nelle case dei vicini, ma quella notte m'era venuta una nuova idea. «Mi domandavo, Joan», dissi, «se vi facesse comodo l'aiuto di un altro ragazzo qui in cucina.» Ci pensò su un momento. «Peter ha un sacco da fare, tra la scuderia e aiutare me.» Sorrise stancamente. «Però non so come la prenderebbe, con un secondo ragazzo in casa.»

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Sorrisi. «Questo sarebbe più piccolo di Peter, e chiariremmo bene che lui è il più anziano. Debbo parlare un po' con quest'altro ragazzo, però.» «Sarebbe bello avere qualcun altro, signore.» «Allora oggi vedrò che cosa posso fare.» «Grazie», rispose, riconoscente. Sollevò il secchio del bucato, con l'acqua sporca, e si diresse verso il cortile. Tamasin si alzò per aprirle la porta, poi tornò al tavolo. «I vostri lividi hanno un aspetto migliore, Tamasin.» «Fanno ancora spavento, signore. Ma credo che presto se ne andranno.» «Come va la vostra bocca?» «Adesso non mi fa più molto male. Dopo tutto, quel cavadenti era in gamba.» «Guy non avrebbe raccomandato uno che non sa fare il suo mestiere.» «Non mi faccio ancora una ragione che m'avesse proposto di comprarmi i denti, di farmeli togliere tutti. Sarei stata uno spettacolo orripilante.» Parlava in tono mesto, privo di emozione. Mi guardò. «Che è successo stanotte? Quando è tornato, Jack non mi ha detto niente: solo di tornare a dormire.» «Non voleva inquietarvi, Tamasin. Temo che ci sia stato un altro delitto.» Sgranò gli occhi. «Voi e Jack siete stati in pericolo?» «No, no, abbiamo solo trovato il corpo.» «Non finirà dunque mai?» chiese. «Ha un effetto negativo su Jack, e anche su di voi, signore: lo vedo.» Poi fece un sorrisetto ironico, che la fece apparire più vecchia di qualche anno. «O forse mi confondo, è Jack che è stanco di me, e io m'illudo che sia solo una conseguenza della caccia a quel mostro.» «Lo amate ancora?» le chiesi con schiettezza. «Sì», si affrettò a rispondere, «ma non resisterò per sempre, non mi lascerò mettere sotto i piedi come certe donne.» Sorrisi. «Fu il vostro spirito ad attrarlo a York, lo so bene.» S'arrischiò a rispondere con un sorriso, ma sempre con quella piega un po' sarcastica. «Non il mio bel visino? Non che sia carino, adesso.» «Anche il vostro bel visino. E guarirà. Tamasin, forse non ve lo dovrei dire, ma voglio farlo. Barak sa di non comportarsi con voi come dovrebbe. Mi ha detto che quando tutto sarà finito vi porterà via dall'Old Barge, in una casa come si deve.»

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«Ha detto questo?» «Sì, parola d'onore. Ma è una confidenza, non gli dovete dire che ve l'ho riferito.» Tamasin aggrottò la fronte. «Perché allora non lo dice anche a me!» «Me l'ha detto soltanto perché lo sollecitavo. Sapete com'è fatto.» «Io? Credevo di conoscerlo...» «Dategli tempo, Tamasin. So che può essere un uomo difficile, ma... dategli tempo.» Mi fissò gravemente. «Lo farò, ma non per sempre», rispose a bassa voce. «Non per sempre.» La porta del cortile si aprì e rientrò Joan, reggendosi contro il fianco il secchio del bucato. «Farei meglio ad andare alla stalla», dissi. «Jack si chiederà che cosa mi è successo. Stamattina dobbiamo fare alcune visite. Riflettete su ciò che vi ho detto, Tamasin.» Annuì con un sorriso. Mi recai alla scuderia, dove Barak stava parlando con l'uomo di Harsnet, Orr, il quale al mio arrivo si raddrizzò il cappello. Mi piaceva: calmo e attento, si faceva i fatti suoi. «Notte tranquilla?» gli chiesi. «Sì, signore.» Guardai Barak, con un'improvvisa irritazione: come faceva un uomo a essere tanto stupido da tenere a lungo il broncio - in effetti così sembrava - a una donna dalle doti di Tamasin? Se si fosse trattato di me e Dorothy... repressi un tal pensiero. «Pronto?» domandai brusco. «Allora andiamo.» Scendemmo di nuovo in città, a casa di Yarington. I cavalli procedevano di buon passo. Quando fummo a destinazione legammo fuori Sukey e Genesis, e per un momento temetti che, alla fine, il ragazzo se la fosse data a gambe. In tal caso, la mia delicatezza ci avrebbe potuto far perdere una prova di vitale importanza. Invece Timothy era nella stalla, seduto sul secchio accanto alla cavalla. Aveva pianto ancora, e da una narice gli pendeva una goccia di moccio. «Buon giorno, Timothy», dissi con gentilezza. «Questo è il mio assistente, Barak.» Ci osservò con occhi impauriti. «Fa freddo, in questa stalla» disse scontrosamente Barak: Timothy doveva rammentargli la sua infanzia di monello di strada. «Ho una proposta da farti», dissi al bambino. «Lavorare in casa mia. Lavoro di stalla e cucina. Ti piacerebbe?»

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«Grazie, signore», rispose, illuminandosi. «Io... io farò del mio meglio.» Tirai un gran respiro. «A una condizione, però.» «Quale, signore?» «Devi fare una cosa per me. Devi dirmi una cosa. Ieri non hai sostenuto di non avere mai parlato con nessuno di Abigail?» «No, signore, mai. Mai fatto.» Invece arrossì, agitandosi a disagio sul secchio. La cavalla, sensibile ai mutamenti di umore, si volse a guardarlo. «Ma c'è qualcos'altro, no?» Il bimbo esitò, evitando di guardarci. «Avanti, ragazzo», lo incalzò Barak. «Ti prometto che non verrà fatto del male ad Abigail», aggiunsi. «Credo però che ci sia ancora qualcos'altro che non mi hai detto.» Timothy respirava affannosamente, con il muco che gli tremolava al naso. «Parla, ragazzo», disse Barak. «La casa di mastro Shardlake è bella calda. Ti piacerà starci.» «Io guardo la gente», sbottò d'un tratto il bambino, indicando il foro di un nodo nel legno della porta della stalla. «Di lì. Mi stufo a starmene qui tutto il giorno.» «Mastro Toby non ti lascia uscire molto?» «Solo per aiutarlo a pulire casa. Mi spiace, spiare è una cosa brutta.» «Chi hai visto?» domandai, calmo. «Fornitori che venivano. Quello che vende le uova. Lo spazzacamino e il falegname, per riparare il paravento di legno quando Toby lo ruppe. Ma fu prima che venisse Abigail.» «E dopo?» «A volte veniva un uomo, a trovare Abigail. Quando Padrone era fuori casa e Toby aveva il suo giorno libero. Toby non lo sapeva.» Chinò la testa. «Chi era?» chiesi. «Non lo so», rispose, scuotendo il capo. «Veniva spesso?» «Qualche volta, quest'inverno, quando in terra c'era tanta neve.» «Un uomo alto, un gentiluomo?» chiesi, pensando a Goddard. Timothy fece nuovamente cenno di no con la testa. «No, signore, era giovane.»

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«Quanto giovane?» Rifletté un momento. «Non so... forse vent'anni.» «Che aspetto aveva?» «Più alto di voi due. Robusto, come lui.» Indicò Barak. «Biondo o bruno?» «Bruno. Bello: Abigail diceva sempre che aveva una bella faccia.» Mi sforzai di reprimere un tremito di eccitazione nella voce. «Ti parlava di lui?» «Non molto, signore. Le dissi che l'avevo visto, e lei rispose che meno ne sapevo, meno avrei parlato. Non le andava che io lo sapessi.» «Dunque le faceva visita in segreto.» «Sì.» «Lo conosceva da prima di venire qui?» «Non lo so», disse ancora Timothy. «Davvero, signore, non lo so.» «Faceva parte della congregazione del reverendo?» domandai ancora. «Non so, signore. Lo vedevo solo perché passava dalla porta posteriore, quando il padrone era via. Vi prego...» cominciava ad agitarsi. «Vi prego, signore, vi ho detto tutto quello che so.» «D'accordo», dissi. «Grazie, Timothy. Ora vieni, torni con me. Barak, portate i miei fascicoli in tribunale. Vi raggiungerò dopo avere accompagnato a casa Timothy.» Barak pareva dubbioso. «Non dovreste chiarire la cosa con Harsnet, prima di portarlo via?» «No. Il padrone di Timothy è morto, e lo assumo io.» Mi feci più vicino a Barak. «E voglio che stia al sicuro in casa mia. Potrebbe essere l'unico ad avere visto l'assassino ed essere rimasto vivo.» «Chiunque cercasse di descrivere, non assomiglia a Goddard.» «No.» Annuii, guardandolo. «No, eh?» Timothy s'era alzato. Posò una mano sul fianco dell'animale. «Per favore, signore, posso portare anche Dinah?» «No, ragazzo, mi spiace. Abbiamo già due cavalli.» Si morse un labbro. Mi dissi che la giumenta e Abigail erano probabilmente gli unici amici che avesse mai avuto; ma non potevo prendermi un altro cavallo, di cui non avevo bisogno. Barak gli porse una mano. «Dai, piagnucolone», disse allegramente, «andiamo a casa, al sicuro.» *** Capitolo ventisei.

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Ritornai a passo lento verso Chancery Lane, con il ragazzino che mi trotterellava a fianco aggrappandosi con una mano alla bardatura di Genesis, per non rimanere separato da me nelle vie affollate. Pensavo che Harsnet non sarebbe stato lieto di apprendere le novità, sicuro com'era che l'assassino fosse Goddard. Di certo poteva ancora esserlo, ma dovevamo scoprire l'identità dell'uomo che aveva fatto visita alla prostituta. Era presto, i bottegai riaprivano i loro negozi sbattendo fuori gli accattoni che trovavano sulla soglia. Uno, un giovane, s'era accasciato in mezzo alla strada e veniva sorretto da altri due. Timothy guardò la scena, poi alzò gli occhi verso di me, con un'aria spaventata. D'impulso mi arrestai, dicendogli di montare in groppa dietro di me. Giungemmo a casa e dall'espressione dei suoi occhi sgranati intuii che Timothy era rimasto sbalordito dalle dimensioni. Lo feci entrare, conducendolo in cucina, dove Joan era al lavoro. Fui contento di vedere che l'uomo di Harsnet, Orr, la aiutava a pulire le verdure. Joan levò esclamazioni di disappunto vedendo quant'era sporco Timothy, gli diede un secchio d'acqua e gli ordinò di andare nella stalla a lavarsi. Il bambino le obbedì. Il giovane Peter, che era in cucina, accolse Timothy con un cenno sgarbato. Joan gli diede un'occhiataccia. «Farai meglio a trattare bene Timothy, che è più piccolo di te ed è nuovo del posto. Dovresti essere contento che farà certi lavori che a te non piacciono. Adesso portagli quei tuoi vecchi abiti che ho tagliato, visto che a te sono diventati troppo stretti.» «Sì, signora Joan.» Peter sgattaiolò fuori, e Joan mi sorrise. Le resi il sorriso. «Le gerarchie contano per tutti, no? Persino per i ragazzi di cucina.» «Tanto quanto la paura di perdere il lavoro. Oggigiorno, con tanti ragazzi a chiedere l'elemosina per le strade di Londra, se ne può sempre trovare qualcuno che costa meno di quello che si ha.» «Sì. Una competizione del genere mette paura.» Quando quella storia si fosse conclusa, decisi che avrei assunto un uomo per aiutare Joan: me lo potevo permettere senza problemi. Salii al piano superiore per cambiarmi e indossai i miei abiti migliori. Benché fino ad allora la giornata fosse stata tiepida, sentivo freddo, e mentre mi vestivo i punti al braccio mi facevano male. Ripassai le argomentazioni che avevo preparato per la causa di Adam, affinché la corte ricevesse con regolarità rapporti sulle cure a lui praticate, e per ottenere che la retta venisse pagata con i fondi di Bedlam. Avevo fatto

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in modo che fosse presente anche Guy, per testimoniare che Adam era ammalato così gravemente da richiedere la protezione della corte. In quanto al suo rilascio, sapevo che per ora era fuori discussione e che per lui era più sicuro il luogo in cui adesso si trovava. Mi domandavo se sarebbe mai stato possibile guarirlo, o se invece sarebbe rimasto per sempre prigioniero del terribile dramma del suo spirito. E l'assassino al quale davamo la caccia? Forse anche lui soffriva? Avevo la sensazione che provasse piacere per ciò che faceva, per la meticolosa pianificazione e la crudele esecuzione. Da qualche parte stava già pensando al prossimo delitto. Ormai sapevo a memoria quel passo del Libro dell'Apocalisse che parlava dei sette angeli: «E il quinto angelo versò la sua coppa sopra il trono della fiera. E il suo regno divenne tenebroso, e si mordevano la lingua per il dolore». Sapevo che il trono della fiera era ritenuto essere il covo del demonio. «Si mordevano la lingua per il dolore.» Rabbrividii. Barak mi attendeva nell'atrio affollato della Corte delle Suppliche. Guardai il familiare spettacolo: i convenuti che sedevano lungo le pareti e fissavano gli avvocati impegnati a discutere al centro della sala. Riconobbi l'anziana coppia seduta con il mio collega patrocinatore delle Suppliche, fratello Ervin, il quale mi rivolse un cenno di saluto piuttosto secco: rinunciando a gran parte delle mie cause avevo accresciuto di molto il suo carico di lavoro. Per tale motivo avrei perduto del denaro, supponevo, ma quella era l'ultima delle mie preoccupazioni: ne avevo già più che a sufficienza. I due vecchi, che avevano intentato causa al padrone della loro terra ed erano venuti fin dal Lancashire per avere giustizia, mi guardavano offesi. Daniel e Minnie Kite si stringevano l'uno all'altra sulla soglia, in compagnia di Guy, abbigliato in toga e tocco da medico. Barak e io li raggiungemmo. «Non c'è Adam», disse Daniel, impensierito. «Siamo un po' in anticipo. Lo porteranno.» «Lo tratteranno bene?» chiese ansiosamente Minnie. «Il giudice è un brav'uomo. Oggi non è con voi il reverendo Meaphon?» «E stato trattenuto in una parrocchia vicina, il cui vicario è ammalato.» Venni interrotto da un colpetto secco sul braccio ferito, che mi fece trasalire. Mi voltai, trovandomi di fronte un uomo basso e asciutto, sulla quarantina, che indossava un costoso abito foderato di pelliccia e

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portava in capo un berretto di velluto di seta. Il viso affilato aveva il colorito paonazzo e le vene gonfie dell'ubriacone. «Siete voi che rappresentate il ragazzo, Kite?» chiese, con fare perentorio. M'inchinai. «Sì, signore.» «Sono Sir George Metwys, sovrintendente di Bedlam. Sono qui su richiesta dell'arcivescovo Cranmer.» Squadrò con ostilità i Kite e Guy. «Non so proprio perché l'arcivescovo si sia interessato a certa gente.» «Vi sono grato per la vostra presenza, signore», risposi conciliante. «Potrete magari dichiarare se vi opporrete alle mie richieste che la corte sia informata con regolarità sullo stato di salute di mastro Kite, e che le spese del suo mantenimento siano a carico del bilancio di Bedlam.» Pagate da te con i profitti che ti metti in tasca grazie ai ricoverati paganti, pensai. Avrai un po' meno quattrini per sbronzarti. «Non mi opporrò», grugnì Metwys. «Ho ricevuto un certo avviso da parte di Cranmer. Se però dipendesse da me...» S'interruppe quando uno stridore di catene, seguito da un gemito, echeggiarono nel salone affollato. Tutti si voltarono a guardare. Il custode Shawms, con l'aiuto di due robusti sottoguardiani, trascinava nell'atrio Adam. Il giovane aveva le gambe incatenate insieme, e i guardiani lo sorreggevano per le braccia simili a due bastoni. Adam tentava di lasciarsi cadere in terra per pregare, gemendo quando non glielo consentivano. Shawms era rosso per l'imbarazzo. Daniel Kite si mordeva un labbro, e sua moglie si lasciò sfuggire un singhiozzo. Il figlio non ci guardò neppure quando passò, a testa china. Puzzava. Guardai i guardiani ammanettare Adam a una panca e sedersi accanto a lui. Da entrambi i lati la gente si ritrasse; un uomo si fece il segno della croce. In un certo senso la vista delle condizioni di Adam appariva più impressionante in quel contesto familiare che non a Bedlam, o persino quando urlava in cima al Muro di Londra. Minnie accennò un movimento verso di lui, ma Guy la trattenne posandole una mano sul braccio. «Non ora», le sussurrò. «Che spettacolo», disse Metwys, squadrando Adam e i suoi custodi. Shawms, visto il sovrintendente, si alzò per fargli un profondo inchino. Aspettammo a disagio per oltre mezz'ora. Da dove sedeva Adam proveniva di tanto in tanto uno sferragliare di catene, quando il ragazzo tentava di gettarsi in ginocchio. Guy si awicinò per cercare di parlargli, ma oggi non ebbe successo, e indietreggiò sconfitto.

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Barak assisteva alla scena a occhi sbarrati. «Jesu», borbottò quando Adam si sforzò nuovamente di scivolare in ginocchio. «Questo è un incubo.» Finalmente comparve l'usciere, che fece entrare tutti in aula. Andai a prendere posto al banco frontale degli avvocati, deponendovi le mie carte. Metwys si mise in fondo all'aula, lontano da Adam e dai suoi custodi; Barak, Guy e i Kite sedettero con Adam su una panca quasi in prima fila. Il giudice Ainsworth fece la sua comparsa dalla porta di fondo, e si assise sul suo scranno. Quando posò gli occhi sull'aula Adam emise un lamento ed Ainsworth guardò me. «Credo che discuteremo per prima la causa di Adam Kite», disse. «Fratello Shardlake?» Esposi le mie argomentazioni. Ainsworth annuiva lentamente, poi gettò un duro sguardo su Shawms. «Quest'infelice creatura sembra prossima alle soglie della morte», disse. «Lo nutrite?» Shawms si alzò, rosso e a disagio. «A volte non vuol mangiare, vostro onore. Bisogna imboccarlo con il cucchiaio come un bambino piccolo, e ci sono volte in cui sputa tutto addosso ai guardiani.» «Allora dovete raddoppiare i vostri sforzi.» Si rivolse a Metwys. «Sir George, voi siete il sovrintendente. Che avete da dire su queste istanze?» Metwys si alzò in piedi. «Intendo consentire alla richiesta, vostro onore. Desidero fare del mio meglio per non avere responsabilità. Tuttavia è nostra prassi ricoverare a Bedlam soltanto chi può essere curato, e per un tempo limitato.» «Ma senza dubbio ce ne saranno molti rinchiusi da parecchi anni, per il cui mantenimento i parenti pagano, non è così?» Pensai alla guardiana Ellen, che aveva detto che non sarebbe mai potuta uscire. Metwys parve sul punto di strozzarsi. «Solo quando i loro famigliari non possono prendersene cura.» «E sono abbastanza ricchi da pagare per sbarazzarsene.» Ainsworth picchiettò sullo scrittoio con la penna. «Intendo consentire a questa richiesta, quantunque di norma sarebbe di competenza della Corte delle Tutele. Mi preoccupa, tuttavia, quanto potrebbe durare tale situazione.» Si volse verso Guy. «Dottor Malton, voi avete in cura questo giovane. Che potete dirmi?»

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Guy si levò in piedi. «Adam Kite è molto malato, vostro onore. S'è convinto di essere stato escluso dalla grazia di Dio, per ragioni che non comprendo pienamente. Tuttavia credo di poterlo aiutare.» «Allora non è una specie di pazzo eretico?» «No, vostro onore. Capisco però come certe sue azioni possano essere interpretate in tal senso.» Fece una pausa. «Dal punto di vista dell'ordine pubblico, è meglio che venga tenuto dove si trova ora, ma neppure vorrei che fosse lasciato a Bedlam a tempo indefinito.» «Cosa che sarebbe un po' scomoda per la borsa di Sir George Metwys», commentò Ainsworth concedendosi un sorrisetto; poi tornò a osservare Adam. «Avrebbe senso che lo interrogassi?» mi chiese il giudice. «Nessuno, vostro onore. Credo che mastro Kite non si renda neppure ben conto di dove si trova.» «Eppure ritenete che possa essere aiutato? Quanto tempo pensate che occorrerà?» Guy ebbe un'esitazione. «Non lo so. Però sono disposto a curarlo senza farmi pagare.» «Allora disporrò in tal senso. Ogni due settimane mi verrà presentata una relazione. I pagamenti a carico del bilancio di Bedlam saranno soggetti alla mia revisione. Un'udienza di ricapitolazione ogni due mesi.» Guardò nuovamente Adam. «Questo ragazzo è molto giovane, troppo per lasciarlo marcire all'infinito a Bedlam perché, nella sua pazzia, dice cose pericolose.» Si rivolse ancora a me. «A termini di legge, se è pazzo gli si dovrebbe nominare un tutore giudiziario; tuttavia il Consiglio Privato non glielo ha ancora procurato, perciò, allo stato attuale, si trova in una condizione di non esistenza legale.» «Esattamente, vostro onore.» «A discrezione del Consiglio Privato. Ma credo che questi siano i tempi in cui viviamo.» Mi squadrò. «Accertatevi che venga curato, avvocato superiore Shardlake.» «Sì, vostro onore.» Ainsworth abbassò gli occhi sulle sue carte, e io feci un cenno a Barak. Quest'ultimo diede di gomito a Shawms, che ammanettò Adam, mentre io uscivo in compagnia di Daniel e Minnie. Metwys ci seguì a una certa distanza. Fuori, Daniel e Minnie mi ringraziarono. Guy si offrì di fare con loro parte della strada. Accettarono, volgendo sguardi pieni di dolore in

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direzione di Adam, che veniva trascinato fuori seguito da molte occhiate curiose. Barak e io ci separammo da loro sui gradini del tribunale. La pioggia era cessata, ma il cielo era ancora coperto. «Nessuna traccia di Harsnet», disse Barak. «Dovremo aspettarlo.» Seguii con gli occhi Guy e i Kite allontanarsi: l'alta figura di Guy era china ad ascoltare qualcosa che Minnie gli diceva. «Per Dio, il vecchio moro avrà bisogno di tutte le sue capacità.» La voce di Barak risuonò d'un tratto piena di un'irosa commozione. Mi girai verso di lui. «L'udienza di oggi vi ha turbato?» «Non avrebbe turbato qualunque essere umano? Certe volte...» esitò. «Che cosa?» «Certe volte, in questi giorni, mi sembra che da qualunque parte guardi altro non ci sia che follia, tenebre e diavoli.» «Adesso pensiamo a catturare l'assassino, come ci siamo impegnati ad aiutare Adam Kite», risposi con calma, a me stesso quanto a lui. «Già, ed ecco arrivare l'uomo di fede salda e sicura che ci dirà che fare adesso.» Barak accennò ad Harsnet, che si avvicinava con la toga svolazzante, facendosi largo a spintoni nella calca del cortile. Appariva stremato. «La ragazza è scappata!» sbottò senza preamboli. «Abigail?» domandai. «La prostituta? E come?» «Aveva chiesto di andare alla latrina, e se l'è svignata da una finestra. E al primo piano, una fortuna se non si è rotta l'osso del collo.» «E il maggiordomo di Yarington?» «Oh, quello è al sicuro nella Lollards' Tower. Un piagnucolone, ma non c'è niente da cavare, da lui.» «Finalmente qualche novità ce l'ho», dissi, riferendogli ciò che mi aveva rivelato Timothy. Per un momento Harsnet rifletté attentamente, poi scosse la testa. «Potrebbe non voler dire nulla. Il visitatore di Abigail non è necessariamente l'assassino.» «Ma chi altro poteva sapere che Yarington si teneva in casa una prostituta? A meno che non glielo avesse spifferato qualcuno.» Harsnet scrollò la testa. «No. Ho parlato con tutti i membri della congregazione. Per quanto a loro conoscenza, Yarington era un uomo dedito al celibato. Solo in questi ultimi mesi incominciò a essere prudente con chi frequentava la sua casa.»

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«Nessun passo avanti nella ricerca di Goddard?» «Ho chiesto al consiglio comunale di Londra e ai coroner e agli sceriffi del Kent, del Surrey e del Middlesex di cercare una famiglia agiata con quel nome, il cui figlio si fosse fatto monaco. Niente. Ho anche fatto circolare la voce, in modo che queste domande venissero poste in tutte le chiese radicali e i gruppi religiosi.» Mi fissò con gravità. «E una questione delicata, è una fortuna che io goda di fiducia nell'ambiente. Però finora nessuno conosce un uomo che risponda alla descrizione di Goddard.» «Si potrebbe magari chiedere di un uomo giovane e bello, dai capelli scuri, come descritto da Timothy?» «Ce ne saranno centinaia», rispose Harsnet, non senza irritazione. «Comunque, chiederò», aggiunse poi, con più calma. Mi guardò. «Debbo cambiare i nostri accordi per oggi. Sono atteso a un incontro con Lord Hertford. Bonner sta estendendo la sua ricerca di macellai e attori di commedie proibite anche a Westminster, che non è nella sua giurisdizione. Cercheremo di fermarlo.» Guardò attraverso il cortile in direzione della Painted Tower, dov'era in seduta il Parlamento; due armigeri nelle vesti rosse della livrea reale montavano di guardia, armati di picche, ai piedi della scalinata. «Stanno per votare una legge che proibisce a tutti, eccetto ai gentiluomini, di leggere la Bibbia», disse a bassa voce. «Il re l'ha approvata. Abbiamo le spalle al muro», sospirò. «Debbo lasciare a voi Lockley, avvocato superiore Shardlake, ma dite pure di avere la mia autorità, e che se non collaborerà sarà arrestato. Fatemi sapere che succede. Possiamo incontrarci nuovamente fra tre ore?» «Sì. Potrebbe valere la pena fare nuovamente visita al giovane Cantrell», suggerii. «Anche se non credo che sappia altro.» «Sì. Qualunque cosa. Qualunque cosa possa esserci utile, mastro Shardlake.» Mi diede un'occhiata tormentata e disperata, poi fece per andarsene. «Dobbiamo rinunciare alla nostra cena di stasera?» gli chiesi. Harsnet scosse una mano. «No, no, abbiamo tempo.» Poi si allontanò a passo rapido. Rientrammo in Chancery Lane. Adesso le vie erano piene di gente, e, mentre cavalcavo, mi sentivo nervoso e vulnerabile. Anche il braccio mi faceva male. Quando arrivammo a casa, Philip Orr sedeva in cucina

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a riparare una scatola rotta. «Nessuna traccia, nei dintorni, di qualcuno che non dovrebbe esserci?» domandai. «No, signore», rispose, tutto serio. «Grazie a Dio, soltanto i soliti mendicanti di Chancery Lane.» «Che gironzolano senza combinare niente di buono, come gli avvocati?» Mi squadrò perplesso: al pari di molti radicali, aveva scarso senso dell'umorismo. «Immagino che sarete contento, quando tutto sarà finito, di poter tornare al vostro consueto lavoro», dissi, rendendomi conto di non sapere quale fosse. Lui sorrise senza allegria. «Passare le mie giornate in cucina è una vacanza, a confronto con i miei compiti normali, signore. Aiuto mastro Harsnet a raccogliere i corpi dei morti. Li porto in magazzino, mantengo l'ordine in tribunale e qualche volta vado a prendere i testimoni che non hanno voglia di presentarsi alle udienze.» «Allora il vostro padrone sentirà la vostra mancanza.» Compresi che Harsnet aveva rinunciato a lui per garantire la nostra sicurezza. «Ho un assistente, lo aiuterà lui come può.» Partimmo nuovamente alla volta di Smithfield. «Non sembra che Harsnet abbia avuto molta fortuna nella sua ricerca», disse Barak. Avevamo ormai raggiunto le strade di campagna e la nostra circospezione s'era un po' allentata. «Londra e le contee confinanti sono un'area ampia da frugare. Si dice che a Londra ci siano sessantamila persone, e che aumentino ogni anno.» «Già. E le domande renderanno sospettosi i radicali, anche se è Harsnet a farle.» «È su questo che fa affidamento il nostro uomo: l'anonimato di una città sovraffollata. Non potrebbe fare ciò che fa in una parrocchia di campagna, o anche solo in una piccola città, senza correre rischi molto maggiori di farsi prendere.» «Pazzo e indemoniato, l'ha chiamato Harsnet.» «Non è un indemoniato.» Decisi allora di parlare a Barak della conversazione che avevo avuto con Guy. Mentre svoltavamo in Holborn, passando davanti alle grandi dimore dei ricchi che ne fiancheggiavano il lato settentrionale, gli narrai di De Rais e Strodyr.

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«Fecero ciò che fecero per un piacere perverso, non c'entravano né Dio né il diavolo.» Barak annuì lentamente. «Be', questo è vero anche per la maggior parte degli impulsi più forti cui sono soggetti gli uomini. Se a certuni piace picchiare le puttane o sodomizzare i ragazzi, il desiderio s'impadronisce di loro e devono soddisfarlo. A volte sono uomini altrimenti del tutto normali.» Mi lanciò un'occhiata storta. «Lord Cromwell lo sapeva, e ne traeva un vantaggio grazie alle sue spie nei bordelli di Southwark che soddisfano certi gusti speciali.» «Lo so. Ossessione», risposi a bassa voce. «Una segreta, divorante ossessione di uccidere.» A Smithfield ci facemmo strada attraverso una moltitudine affaccendata, visto che era giorno di mercato, e giungemmo in Charterhouse Square. C'erano solo alcuni accattoni seduti sui gradini dell'antica cappella, due vecchi e una vecchia che avevano l'aria di non potersi allontanare di molto; supposi che gli altri mendicassero a Smithfield. Mi domandai anche se aiutassero quei vecchi, dividendo con loro le magre elemosine che ricevevano. C'erano altri due cavalli alla sbarra quando vi legammo Sukey e Genesis, e la porta della taverna era aperta. Dentro era animata, c'era un gruppo che pareva composto da mercanti di bestiame di Smithfield, seduti assieme. Tre uomini cenciosi, male in arnese, che ritenni fare parte della comunità dei mendicanti, sedevano a un tavolo a tracannare birra. La signora Bunce e Lockley erano indaffarati: quest'ultimo girava qua e là in mezzo ai tavoli e la prima serviva allo sportello di mescita. Al nostro ingresso gli avventori alzarono gli occhi incuriositi. Lockley ci scorse e scambiò un'occhiata con la vedova. «Vorremmo parlare ancora un po', signore», dissi a voce alta. «Venite nel retro.» La sua voce era bassa e incollerita. I clienti guardarono con curiosità mentre seguivo Lockley in una stanza nella parte posteriore, dove un momento dopo ci raggiunse la signora Bunce. Un luogo squallido, con un tavolo malconcio e qualche sgabello per unico mobilio. Decisi che non sarebbe stato male se la signora Bunce fosse rimasta: si sarebbe potuta lasciar sfuggire qualcosa.

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«Che c'è?» ci chiese Lockley. Oggi i suoi modi malcelavano un'irritata ostilità: si piantò a pugni chiusi, fissandoci con i suoi occhi acuti e profondamente infossati. «Ehi, sciacquapiatti», esclamò secco Barak, «non è questo il modo di parlare a un uomo che viene per conto del coroner di Sua Maestà.» Lockley gemette e sedette al tavolo. La signora Bunce rimase in piedi al suo fianco. «Che volete?» chiese lui, più calmo. «Non abbiamo ancora trovato l'infermiere Goddard.» «Il diavolo se lo porti.» «Siete sicuro di non saper nulla sul suo conto che possa aiutarci?» «L'altra volta vi ho detto tutto ciò che sapevo. A Goddard l'ambulatorio dei laici non interessava. Mi disprezzava per la mia ignoranza, ma lasciava che me la sbrigassi io con i pazienti. Dovevo fare tutto io. Per quel che gli importava, i malati dell'ambulatorio dei laici erano solo una seccatura.» «E quelli dell'infermeria dei monaci? Quelli ai quali badava il giovane Cantrell?» «Goddard doveva prendersene cura meglio, altrimenti avrebbe dovuto risponderne alla comunità. Teneva d'occhio con attenzione Cantrell, e quando fu chiaro che non ci vedeva bene gli fece portare gli occhiali.» «Prima vi ho detto che stiamo indagando su una morte. Riteniamo possibile che Goddard abbia ucciso qualcuno.» «Come?» «Non posso dirlo. Sappiate solo che fu un atto di violenza.» Avrei giurato che Lockley apparisse sollevato. Scoppiò in una risata sprezzante. «Goddard non avrebbe fatto violenza a nessuno. Era un uomo freddo e pigro, sempre assente quando c'era bisogno di lui. E so che aveva anche un sacco di soldi. Perché avrebbe dovuto uccidere qualcuno?» Annuii lentamente. «Sì, capisco che lo crediate», dissi con calma; poi lo fissai negli occhi. «Eppure ho idea che voi mi nascondiate qualcosa. Qualcos'altro che ha a che vedere con Goddard. Vi consiglio di dirmi di che si tratta.» Lockley serrò più forte i pugni sul tavolo: pugni robusti, solidi, resi callosi da anni e anni di duro lavoro. Si fece paonazzo. «Lasciatemi in pace!» La sua improvvisa esclamazione mi fece trasalire, e vidi la mano di Barak scendere sull'elsa della spada. «Non so niente... niente! Lasciatemi stare! Tutta la mia vita altro non è stata che

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grane, grane e grane. I pazienti, Goddard, quel dannato barbiere-cerusico e quella sua chiesa, a dire che ero dannato. E voi!» Si volse a fissare la signora Bunce; poi si prese il capo fra le mani, con un lamento. «Non so più dove sbattere la testa.» Guardai Barak, stupefatto dal suo sfogo infantile. La bocca di Ethel Bunce era stretta in una linea sottile, ma aveva gli occhi pieni di lacrime. «Che cosa nascondete, mastro Lockley?» chiesi pacatamente. «Ditecelo, e forse ciò risolverà il vostro smarrimento.» «Non sa nulla, signore, ne sono certa», disse la signora Bunce. «Dovevate vedere in che stato era quando lo conobbi, dedito al bere e a spendere anche l'ultimo soldo che aveva. Francis non è forte come sembra...» Lockley balzò improvvisamente in piedi, rovesciando al suolo con uno schianto la seggiola dietro di sé. «Fuori dai piedi, tutt'e due, fuori!» «Potreste essere arrestato e sottoposto a interrogatorio in qualche brutto posto, se non mi volete rispondere», ribattei senza scompormi. «E allora fatelo, fatelo! Me ne infischio! All'inferno tutti voi! Io torno ai miei clienti!» Fece per dirigersi verso la porta e Barak gli sbarrò il passo, ma io scossi la testa. Lockley se ne andò, svelto per uno grasso come lui. La signora Bunce esitò, poi ci guardò implorante. «Francis non ha la testa a posto, signore», disse. «Ha ragione, è tutta la vita che viene tormentato da gente che si crede migliore di lui.» «Come molti», osservò Barak, senza simpatia. «Ma Francis non lo tollera, gli fa male. Ho cercato di aiutarlo, ma credo che abbia finito per vedere in me un altro dei suoi... persecutori. Io però non lo sono, gli voglio bene.» Ci guardava desolata. «D'accordo, signora. Lasciateci soli.» Quando fu uscita, Barak disse: «Dovremmo arrestarlo». «Non ne abbiamo l'autorità», sospirai. «Diremo ad Harsnet che cosa è accaduto. Secondo me manderà qualche uomo stasera, quando la taverna è chiusa.» «Potrebbe essere il nostro uomo?» chiese Barak. «Molti sarebbero terrorizzati dalla minaccia di essere arrestati, eppure sembrava che a lui non importasse niente. Persino la sua donna ha detto che non ha la testa del tutto a posto.» Scossi il capo. «Gestire una taverna è un lavoro a tempo pieno. Non potrebbe avere fatto ciò che ha fatto l'assassino senza che la signora

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Bunce venisse a saperlo. E non me lo vedo uccidere Roger e gli altri, non riesco proprio a vedermelo.» «Non potete esserne sicuro.» Lo squadrai gravemente. «Se Lockley fosse l'assassino, credete proprio che si lascerebbe prendere vivo? No, lasciamo che se ne occupi Harsnet.» *** Capitolo ventisette. Decidemmo di tornare a Westminster da Smithfield: avremmo impiegato meno tempo che riportando a casa i cavalli e prendendo una barca. Cavalcammo oltre Holborn, in aperta campagna, tagliando attraverso i campi verso Drury Lane. Un paio di lepri che giocavano nel prato saltellavano vivacemente da ogni parte. «E proprio arrivata la primavera», disse Barak. «Già, eppure in questi giorni ho sempre freddo, come se l'inverno mi fosse rimasto dentro.» Mi sentivo inquieto mentre c'inoltravamo in Westminster, con il suo chiasso, gli odori e i pericoli. Vedemmo che sotto il vecchio campanile del santuario un gruppo di zingari aveva montato un palco, un pezzo di tela a colori vivaci che rappresentava la luna e le stelle, con davanti un tavolo. Due suonavano il flauto per attirare l'attenzione, mentre al tavolo una vecchia leggeva il futuro nelle carte. Barak si fermò a guardare: indubbiamente, con i loro volti scuri quasi come quello di Guy e il loro fantasioso abbigliamento di turbanti ricamati e vistose sciarpe fluttuanti, gli zingari erano uno spettacolo che induceva a fermarsi. Quei pittoreschi nuovi venuti erano stati espulsi dal re qualche anno prima, ma molti erano sfuggiti al bando e alcuni erano stati attratti dal santuario. Avevano l'aria di fare buoni affari, sebbene ai margini della folla un uomo nerovestito agitasse una Bibbia, accusandoli di pratiche pagane. La gente lo ignorava: il santuario non era luogo per spiriti devoti. «Andiamo», dissi, scrutando nervosamente la calca. «Non mi va di stare fermo qui, a fare da bersaglio.» Barak annuì e tirò le redini di Sukey. Passammo oltre il predicatore schiamazzante. «Guai a coloro che percorrono le vie del demonio!» sbraitava.

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Entrammo nel perimetro meridionale. Dall'orologio posto sulla torre in Palace Yard avevamo visto di essere in anticipo di almeno un'ora e mezzo all'appuntamento con Harsnet. Svoltammo verso l'abitazione di Cantrell. Non lontano, un branco di cani inselvatichiti annusava e frugava tra un mucchio di immondizie in un angolo. Bussai rumorosamente alla porta sotto la sbiadita insegna della falegnameria, mentre Barak legava i cavalli alla sbarra. Non mi garbava di lasciarli lì, ma non avevamo scelta, e almeno Sukey avrebbe nitrito e scalciato se qualche estraneo avesse cercato di scioglierla. Ancora una volta all'interno si avvicinarono lenti dei passi; ora, però, si arrestarono prima di giungere alla porta, e la voce di Cantrell domandò, intimorita e chioccia: «Chi è? Sono armato!» «Sono mastro Shardlake», risposi. «L'avvocato. Che succede?» Vi fu una breve pausa, poi il chiavistello venne fatto scorrere e la porta si aprì d'uno stretto spiraglio. La faccia sottile di Cantrell sbirciò fuori, osservandoci da vicino attraverso quei suoi occhiali spessi che gli ingrandivano gli occhi. «Oh, signore», disse, non senza sollievo. «Siete voi.» Aprì maggiormente la porta. Guardai un lungo pezzo di legno che reggeva in mano: all'estremità c'era una grossa chiazza di ciò che pareva sangue rappreso. «Qualcuno mi ha aggredito», disse. «Possiamo entrare?» chiesi cortesemente. Lui esitò, poi spalancò il battente per farci passare. Fummo nuovamente colpiti dall'acido tanfo di sporcizia. Ci fece accomodare nello squallido salotto. Sulla tavola giaceva un piatto di legno con gli avanzi di un pasto untuoso, e accanto un cucchiaio di peltro nero di sudiciume. Notai che la finestra sporca che s'affacciava sul cortile era rotta, e in terra c'erano dei vetri. Cantrell sedette di fronte a noi su una delle scomode seggiole. Noi ci accomodammo al tavolo; evitai di guardare il piatto lurido. In un angolo vidi escrementi di topo. Il viso di Cantrell appariva teso e avvilito, con parecchi foruncoli che gli spuntavano sulla fronte sotto i capelli biondi e unti. Posò il bastone sul pavimento. «Che volete, signore?» chiese stancamente. «Avete trovato l'infermiere Goddard?» «Non ancora.» «Vi ho detto tutto ciò che sapevo.»

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«Solo qualche altra domanda. Ma che è successo, qui? E sangue quella roba sul vostro bastone?» «È stato due notti fa. Non riuscivo a dormire. Udii rompersi un vetro, al piano di sotto. Tengo sempre un legno accanto al letto, per via dei ladri.» «Che cosa potrebbero rubare?» domandò Barak. «I ladri non sanno che qui non c'è niente. Scesi dabbasso. Era buio, ma vidi che la finestra era spalancata, e c'era una sagoma, un uomo. Quando entrai nella stanza rimase fermo: non credo che avesse visto il bastone. Disse qualcosa, permettendomi di capire dove aveva la testa, e lo colpii.» «Il bordo di quel legno è aguzzo», notò Barak. «Si direbbe che l'abbiate ferito.» «Sì, gli diedi una botta in testa. Lui gemette e barcollò, e io lo colpii di nuovo. Poi uscì dalla finestra e scappò via zoppicando.» «Che cosa vi disse?» Cantrell era perplesso. «Una cosa strana, per un ladro.» «Che cosa?» «Disse: Adesso è il tuo momento. Perché avrebbe dovuto dirlo?» Lo squadrai sbigottito: Charles Cantrell era forse scampato dal divenire la quinta vittima dell'assassino? «Avete chiamato i gendarmi?» domandai. Cantrell scrollò le spalle. «A che scopo? Ci sono sempre furfanti in Dean's Yard. Però quello non ci riproverà: spero di averlo pestato bene, e che sia cascato in un fosso da qualche parte», aggiunse, non senza cattiveria. Scelsi le parole con cura. «Avete riconosciuto qualcosa, in quell'uomo? Un che di familiare nella voce?» Mi fissò con quegli occhi da pesce, semiciechi. «Era solo una sagoma nel buio, una forma. Io non vedo niente, a meno che non sia vicino. Da qui, il vostro viso non è che una macchia, anche con gli occhiali.» «Era alto o basso?» «Doveva essere di una certa statura: ho mirato alto.» Rifletté un momento. «Eppure quella voce aveva qualcosa di familiare, era una voce acuta.» «Poteva essere quella del vostro vecchio maestro?» domandai prudentemente. «L'infermiere Goddard?»

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Per un lungo momento rimase a guardarmi in silenzio. «Io... io suppongo che potesse esserlo. Ma perché... perché quel vecchio bastardo avrebbe dovuto aggredirmi in casa mia? Non lo vedo da tre anni.» «Potrebbe avere saputo che la casa di vostro padre era vicina all'abbazia.» «Ma perché... che cosa ha fatto, signore? L'altra volta non me lo avete detto.» Ora nella voce di Cantrell c'era un'acuta punta di panico. Esitai. «Potrei vedere quel pezzo di legno?» «Mica finirò nei guai per questo, signore? Mi sono soltanto difeso.» «Lo so. Volevo solo vederlo.» Me lo porse, non senza riluttanza. Avevo notato, tra il sangue, qualche capello: nero, come quelli di Goddard; e come quelli dello sconosciuto visitatore di Abigail. «Gli avete assestato un paio di bei colpi, a giudicare da quanto si vede. Però le ferite al cuoio capelluto sanguinano molto: potrebbe essere stato più stordito e scosso che avere subito danni seri.» Porsi il bastone a Cantrell. Aveva polsi scarni, come spuntoni di ossa. Pensai ad Adam. «Non avete risposto alla mia domanda, signore», disse Cantrell. «L'infermiere Goddard potrebbe essere... impazzito», sospirai. «Ma perché aggredire me?» Guardai il vetro rotto, sul pavimento. Sì, qualcuno l'aveva rotto dall'esterno. Cantrell non ne aveva raccolto i frammenti: chissà, forse temeva di tagliarsi a causa della vista corta. «Avete mai avuto a che fare con riformisti religiosi radicali? Gli uomini di Dio.» Rimase zitto per qualche istante, poi chinò il capo. «E importante», dissi. «Potrebbe spiegare il motivo per cui siete stato assalito.» «Quand'ero monaco», disse a voce bassa e a testa china, come se se ne vergognasse, «mio padre divenne riformista. Entrò a fare parte di un gruppo che si riuniva in casa di un predicatore non autorizzato, nel santuario. Quando lasciai l'abbazia e tornai a casa, non faceva altro che ripetere: Voialtri monaci avete avuto ciò che vi meritate, finirete all'inferno, a meno che non seguiate l'autentica strada della Parola.» Avvertii l'irritazione nella voce di Cantrell mentre imitava le aspre rampogne del padre. «Allora avevo perso la vecchia fede. Lasciai che mi trascinasse ad alcuni di quegli incontri in casa. Nel gruppo c'erano

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solo cinque o sei persone, che credevano di doversi preparare per la Fine dei Tempi, di avere la missione, affidata loro da Dio, di trovare coloro che erano stati da Lui prescelti per la salvezza e convertirli. Erano degli stupidi, conoscevano solo qualche frammento della Bibbia che s'adattava alle loro tesi, e non capivano neppure quello. Certuni non sapevano nemmeno leggere. Io ho letto la Bibbia per anni, intuivo che non sapevano niente.» «Ce ne sono tanti così», dissi. «Le loro erano solo tutte ciance inutili e balbettii frenetici.» Ora la voce di Cantrell s'era fatta più forte, piena d'una collera amara. «Ci andavo solo per far stare zitto mio padre. Quelli dicevano di dovermi salvare, che mi avrebbero battezzato nella vera fede.» Scosse la testa. «Quando tornai a casa mio padre era già malato, e dopo la sua morte smisi di andarci.» Cantrell alzò nuovamente gli occhi, guardandosi attorno nella stanza. «Aveva un tumore.» La voce di Cantrell era tornata sommessa. «Quando morì, avevo paura che potesse tornare, a rimproverarmi e inveirmi contro. Ma non accadde: da allora in questa casa non c'è stato che silenzio.» Emise un sospiro affranto, poi rimase nuovamente zitto, perso in un mondo tutto suo. Io guardavo in giro nella stanza, dalla tavola sporca al vetro rotto. Cantrell poteva vivacchiare con la pensione di monaco, ma aveva bisogno di aiuto, di qualcuno che si prendesse cura di lui. «Come farete a riparare la finestra?» domandai. Lui scrollò le spalle. «Magari potrebbero aiutarvi i vicini», suggerii. Scosse la testa stizzito. «Sono un branco di ficcanaso. Di solito veniva quella vecchia comare che abita più su: metteva in ordine, s'impicciava dei fatti miei, mi diceva che dovevo sposarmi.» Scoppiò in una risata irosa. «Forse potrei trovare una cieca, e potremmo barcollare insieme per casa. A stento m'azzardo a uscire per la spesa, a rischio di farmi investire da un carro.» «Che accadde a quel piccolo gruppo religioso? Sono ancora attivi, dalle parti di Westminster?» Scosse di nuovo la testa. «Il vicario di St Margaret venne a sapere che si tenevano riunioni radicali, fece arrestare il capo e gli altri si dispersero. Accadde l'anno passato.» Di nuovo la sua risata stizzosa. «Altro che tenersi stretti la Vera Parola! Scapparono come topi.»

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Dunque la distruzione del gruppo era di pubblico dominio. Chissà che ne era stato di loro. I membri s'erano probabilmente uniti ad altri gruppi, ad altre chiese. Forse l'assassino s'era mescolato a loro da qualche parte, dove aveva udito fare il nome di Cantrell come apostata. Se l'assassino era Goddard, avrebbe riconosciuto quel nome. «Potreste ricordare i nomi dei membri del gruppo?» chiesi. Me ne fornì qualcuno: a me non dicevano nulla, ma potevano essere noti ad Harsnet. «Ma signore, che ha a che fare tutto questo con mastro Goddard?» chiese Cantrell, contemplandomi sconcertato. Non osavo rivelargli l'intera storia. «Non ne sono sicuro, mastro Cantrell, ma penso che abbia te bisogno di protezione. Potrei fare in modo che venga una guardia e che resti qui con voi.» Cantrell scosse energicamente la testa. «No. Non voglio nessuno in casa, a criticare e a dire che è sporca.» Mi fissò nuo vamente con i suoi occhi indefiniti. «Se viene di nuovo da me Goddard, faccia pure. Voi non mi avete detto perché ce l'ha con me, ma a me vivere o morire importa poco.» Diedi un'occhiata a Barak, che alzò le spalle. Avrei fatto in modo che si mettesse egualmente qualcuno di guardia. «Mi ritenete un grande peccatore», disse d'un tratto Cantrell, «perché non m'interessa se muoio?» «Credo che sia una grande vergogna.» «Ma che cos'è la morte, dopo tutto? Dopo ci sarà eterna beatitudine oppure eterno tormento, l'una o l'altro, chi può saperlo oggi?» Diede in una risata chioccia, priva di allegria. «C'è un'ultima cosa che vorrei domandarvi», ripresi. «Da poco ho rivisto Francis Lockley. Mi sono fatto l'idea che tenesse nascosto qualcosa sul conto dell'infermiere Goddard. Qualcosa di quell'uomo che non vuole farci sapere. Di che pensate possa trattarsi?» «Non so, signore, non avevo nulla a che fare con l'ambulatorio dei laici. Vedevo Francis solo quando veniva da mastro Goddard, magari per prendere a prestito qualche strumento.» Scrollò le spalle, e pensai che non gliene importava davvero nulla di nulla, neppure di vivere o morire. Ce ne andammo, tornando nella puzza e nel fracasso di Dean's Yard. «Ridotto male», commentò Barak.

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«Uno stato di depressione profonda, direi. Non mi meraviglia, dato quel che è divenuta la sua esistenza, e considerate le condizioni della sua vista.» «Potrebbe tenersi un po' meglio, accettare qualche aiuto. Pensa che non gli importi di vivere o morire, ma si preoccupa se qualcuno giudica la sua casa sporca.» «Quando vedremo Harsnet, cercherò di fargli assegnare una guardia. Non potrei sopportare di vedere Cantrell torturato come gli altri.» Non pensavo che l'assassino si sarebbe rifatto vivo con Cantrell, adesso che la vittima era in allarme, ma non potevo esserne certo. «Abbiamo però un altro brandello di informazione», dissi. «Adesso cerchiamo un uomo con una ferita alla testa.» Spingemmo i cavalli in direzione della porta nel muro di cinta dell'abbazia. Barak fece un gesto alla sentinella. Mancava ancora un'ora all'appuntamento con Harsnet. Sentii di avere bisogno di restare un po' da solo. «Barak», dissi, «cercate uno stallaggio per i cavalli. Vado a fare una passeggiata nel perimetro. Ci troviamo qui fra un'ora.» «Siete sicuro che sia prudente?» «Rimarrò nel perimetro: è sorvegliato. Ci vediamo presto.» Per evitare discussioni gli voltai le spalle, facendo un cenno alla guardia, che, riconoscendomi, aprì la porta per lasciarmi entrare. Feci nuovamente il mio ingresso nel recinto dell'abbazia di Westminster. Una volta all'interno, m'inoltrai in mezzo al labirinto di macerie del vecchio chiostro. Tutto era tranquillo e silenzioso. Camminavo sulle antiche lastre di pietra, guardando pensieroso il cortile interno deserto. Avevo raccolto degli indizi, ma parevano soltanto infittire il mistero. Era Goddard che cercavamo, oppure il giovane visitatore di Abigail? E per quale motivo l'assassino, a quel che sembrava, aveva scelto Cantrell come quinta vittima? Se fosse stato Goddard, avrebbe saputo che il giovane difficilmente sarebbe stato capace di badare a se stesso. Provai un'inusitata soddisfazione al pensiero di Cantrell che dava una bastonata in testa al suo aggressore. Pensai che Cantrell, come Meaphon, aveva un legame marginale con me, ma poi scossi il capo: era sciocco e pericoloso supporre che l'assassino mi avesse scelto come spettatore. Forse non aveva ancora rinunciato a cercare di terrorizzarmi per farmi abbandonare il caso? Nonostante tutto, non potei impedirmi di provare una stretta al cuore, riconoscendo di rientrare anch'io nella condizione di un uomo allontanatosi dal radicalismo religioso.

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Mi resi conto di quanto fossi stanco. Decisi allora di fare un giro attraverso l'antica chiesa dell'abbazia di Westminster per calmarmi. Mentre camminavo a passi lenti vidi semiaperta la porta della sala capitolare, e udii alcune voci provenire dall'interno. Con qualche esitazione, deviai da quella parte. Stupito, sentii un rumore di martellate, ed entrai nel vestibolo. Un gruppo di impiegati in abito nero estraeva con cura da vecchi cofani spessi rotoli di pergamena ingiallita, e li deponeva sul pavimento di mattonelle. Alcuni manovali, arrampicati su scale a pioli, issavano contro le pareti pesanti scaffali di legno. A una a una, le scene dell'Apocalisse, nella loro cornice marrone, venivano celate alla vista. Mentre guardavo, si piantava un chiodo nel corpo della bestia dalle sette teste. Uno degli scrivani, un tipo giovane e alto, mi squadrò con fare indagatore. «Siete della Rolls House, signore?» «No... passavo soltanto di qua, ho sentito rumore di martellate. Ma sì, adesso ricordo, la sala capitolare è destinata a diventare un archivio per i documenti di Stato.» Annuì con aria grave. «Le carte di Stato crescono di continuo, dobbiamo mettere i documenti antichi ovunque.» Guardai le pareti. «Quindi gli antichi affreschi vengono ricoperti.» «E anche le finestre, ho sentito dire. Be', era tutta vecchia roba dei monaci. Che sono, poi, tutte quelle figurine? Non sono neanche tanto belle.» «Quella è l'Apocalisse di san Giovanni. La storia della fine del mondo.» Alle mie parole uno degli scrivani alzò gli occhi e un manovale smise di martellare. L'impiegato che aveva parlato con me si avvicinò alla parete ed esaminò a disagio la Grande Prostituta. «Davvero?» chiese. Rifletté un momento. «Be', la Fine dei Tempi non dovrebbe essere rappresentata con figure brutte come queste.» Un altro fanatico del Vangelo, pensai. Li lasciai, seguendo il porticato del chiostro in direzione della chiesa abbaziale. L'edificio era deserto, tranne per qualche servitore nerovestito che andava lentamente avanti e indietro, facendo echeggiare i suoi passi sulle lastre di pietra. Il vasto e tacito ambiente, ora privato di tutte le sue statue e tutti i suoi ornamenti, era fiocamente rischiarato da una luce grigiastra che proveniva dagli alti finestroni. Qui i monaci avevano pregato per secoli, e adesso tutto era immobile e silenzioso.

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Non c'era che un'unica guardia alla porta, addormentata. Non era rimasto nulla di valore da rubare: s'era preso tutto il re. Mi diressi verso la cappella di Enrico VII, dove riposava il padre del sovrano. Il grande altare a volta era ancora intatto, con la pietra chiara che brillava nella luce delle ampie vetrate, in contrasto con la penombra dell'abbazia. Tornai nella navata camminando fra le antiche sepolture reali. Mi trovai davanti al sarcofago di Edoardo il Confessore, ora nuda pietra. L'avevo visto nei giorni precedenti alla soppressione, magnificamente attorniato di statue d'oro e d'argento che riflettevano il bagliore di migliaia di candele. C'erano anche state stampelle e bastoni accatastati, perché si credeva che la tomba avesse il potere di guarire gli storpi. Rammentai che si riteneva che uno dei primi guariti dal sepolcro fosse un gobbo. Tutte sciocchezze, ma sciocchezze non prive di suggestione. Mi avvidi di un gruppo di persone a poca distanza, riunite davanti a un nudo altare di pietra, adorno unicamente d'una croce: quattro uomini robusti in livrea, con i cappelli in una mano, che tenevano l'altra posata sull'elsa delle spade. Davanti a loro una donna era in ginocchio sul pavimento di pietra, a testa china. Il suo era un abbigliamento ricco, una veste di seta rossa con polsi neri ricamati di foglia d'oro; le mani che teneva di fronte a sé, con i palmi congiunti in atto di pregare, portavano a ogni dito anelli ingioiellati. Il copricapo nero era adorno di perle. Una delle guardie, nel vedermi osservare, mi gettò un'occhiata ammonitrice, che mi diffidava dall'avvicinarmi. Poi la donna abbassò le mani con un sospiro e vidi che si trattava di Lady Catherine Parr. Si levò in piedi con un fruscio di vesti. L'espressione del suo volto era simile a quella che aveva avuto al funerale del marito, grave e chiusa in se stessa, ma quando si alzò parve rilassarsi, mentre la piccola bocca si faceva mite e gentile quando sorrise alle guardie. Annuì, e i due presero ad allontanarsi. Erano a metà strada dal portale quando vi fu uno scompiglio improvviso. Vidi un ometto cencioso pregare davanti a una delle tombe; avevo appena notato la sua presenza che quello balzò in piedi, precipitandosi davanti a Lady Catherine e gettandosi in ginocchio di fronte a lei. Scattai istintivamente in avanti per proteggerla, ma le sue guardie mi precedettero: una puntò la spada alla gola dell'uomo. Lady

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Catherine rimase con una mano sul petto, sconvolta e spaventata. L'uomo alzò la testa, e vidi che si trattava del mendicante pazzo incontrato da Barak e me nell'infermeria, quello che diceva di essere in cerca dei suoi denti. Poi un'altra sagoma sbucò dall'oscurità, con la spada sguainata. Era Sir Thomas Seymour, in farsetto blu scuro e gioielli intonati. Lady Catherine impallidì. «State bene, mia signora?» chiese Seymour. «Sana e salva, Thomas», rispose Lady Catherine; poi corrugò la fronte. «Per favore, mettete via la spada, sciocco.» Abbassò lo sguardo sull'accattone. «Buona signora», esclamò l'infelice, «non riesco più a trovare i miei denti, non posso mangiare, vi supplico, mia signora, dite che me li restituiscano!» «Razza di scimunito», disse la guardia, sempre con la spada alla gola del pitocco. «Che credevi di fare, avvicinandoti a Lady Catherine?» «I miei denti... solo i miei denti...» «Lasciatelo andare», disse Lady Catherine. «È fuori di senno. Non so niente dei tuoi denti, buon uomo. Lo vedi che non li ho. Ma se li hai perduti, li hai perduti. Un giorno anch'io perderò i miei.» «No, buona signora, voi non capite...» «Dovremmo farlo rinchiudere, mia signora», suggerì la guardia. «No», rispose lei con fermezza. «Non può badare a se stesso. Datemi uno scellino.» La guardia sollevò la spada, si frugò nella borsa e ne cavò una moneta d'argento. Lady Catherine la prese, poi si chinò, porgendola all'uomo che ancora la fissava di sotto in su con occhi imploranti. Lei gli sorrise, un sorriso dolce che mi rammentò quello di Dorothy, anche se i loro volti non erano affatto simili. «Ecco, buon uomo, va' a comprarti un po' di minestra.» Lo sguardo del mendicante andò da Lady Catherine alle facce dure delle guardie, poi si alzò, s'inchinò e se la diede a gambe. Sir Thomas era ancora lì, con un'aria lievemente divertita sul viso. Le guardie distolsero lo sguardo quando Lady Catherine fece un passo verso di lui. «Thomas», disse con voce tremante, «vi era stato detto...» «Un servitore della vostra casata m'ha riferito che oggi sareste venuta all'abbazia», rispose lui. «Volevo soltanto guardarvi, osservarvi da lontano.» Sembrava serio. «Quando però ho visto che potevate essere minacciata, ho dovuto estrarre la spada.» Si mise una mano sul cuore: a

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me parve il gesto di un attore, ma per un attimo il volto di Lady Catherine s'illuminò di emozione. Poi disse, sottovoce: «Sapete che non dovete cercare di vedermi. E crudele, da parte vostra, e anche pericoloso». Gettò attorno a sé uno sguardo preoccupato, posando gli occhi su di me, ancora immobile a una certa distanza. Sir Thomas scoppiò a ridere. «Il gobbo non dirà nulla, lo conosco. E ho dato una mancia ai servitori perché girassero per un po' alla larga da questa parte della chiesa.» Lady Catherine ebbe un attimo di esitazione, poi fece un cenno alle guardie e si allontanò rapidamente, seguita dalla sua scorta. Sir Thomas alzò leggermente le spalle; quindi si volse verso di me. «Voi non direte nulla, vero?» La sua voce era tranquilla, ma aveva una sfumatura di minaccia. «Né a mio fratello, né a Cranmer?» «No. Perché dovrei avere voglia d'essere coinvolto?» Seymour sorrise, con un lampo di denti bianchi nella barba rossiccia. «Buona idea, gobbo.» Si voltò e se ne andò, con passi sonori e sicuri di sé. *** Capitolo ventotto. Raggiunsi Barak al portale di Dean's Yard. Stava presso i cavalli e scrutava vigile la folla che andava e veniva. Gli dissi del mio incontro con Catherine Parr e Thomas Seymour. Barak fece una faccia meravigliata. «Corre un bel rischio a incontrarla nell'abbazia di Westminster, se il re gli ha detto di lasciarla perdere.» «Non credo che Seymour avesse intenzione di parlarle: secondo me, voleva solo vederla nell'ombra, sapere se non lo aveva dimenticato.» «Quell'uomo non mi dà l'idea di essere il tipo che soffre di pene d'amore.» «No, ma lei forse sì. Almeno, per quanto riguarda lui.» Scossi la testa. «Ho avuto l'impressione di una donna intelligente, di buon cuore... che mai ci trova in uno come Seymour?» «Uno con cui andare a letto? Ha già avuto un marito più vecchio, e ne ha in prospettiva un secondo, se sposa il re.» Scossi nuovamente la testa. «Mentre pregava aveva un'aria spaventata, disperata...»

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«Si direbbe che Lady Catherine abbia fatto davvero colpo su di voi», ghignò ironico Barak. «Non fate lo sciocco. Era solo che... sembrava esserci in lei qualcosa di buono, di onesto, che non si nota spesso nelle dame di corte.» «E neppure in nessun'altra, se è solo per questo...» sbuffò Barak. «Guardate, arriva Harsnet. Immagino che non gli si dica che Seymour era in chiesa.» «No, non sono fatti nostri. Sappiamo che i delitti non hanno niente a che fare con Catherine Parr.» Guardai Harsnet attraversare Dean's Yard con il suo passo sicuro, senza guardare né a destra né a sinistra. Accattoni e venditori ambulanti non gli si accostavano: forse sapevano chi era e che poteva arrestarli su due piedi. «Buon pomeriggio», disse Harsnet. Sembrava più espansivo di prima. «L'incontro è stato positivo?» domandai. Annuì. «Siamo in grado di impedire a Bonner di estendere fin qua la sua persecuzione. Westminster è decisamente fuori della sua giurisdizione.» Mi fissò con il suo sguardo attento. «Novità da Lockley?» Lo informai dei miei sospetti che continuasse a celarci qualcosa e dell'aggressione a Charles Cantrell. «Farò prelevare e interrogare Lockley dopo che avremo parlato con l'arciprete», rispose. «E la sua donna? Dobbiamo prendere anche lei?» «No, non credo che sappia niente.» «E il giovane Cantrell è stato assalito?» Guardò sull'altro lato del piazzale la malconcia bottega di falegname e corrugò la fronte. «Ma perché, in nome di Dio, Cantrell non vuole nessuno di guardia davanti a casa sua?» «Dice che non gl'importa se viene di nuovo aggredito. Non sono sicuro che abbia la testa del tutto a posto.» «Come mai?» «È mezzo cieco, è stato cacciato dall'abbazia di Westminster, poi ha visto morire il padre. Ha sofferto molto.» Harsnet mi guardò con fervore. «Eppure il padre e gli altri gli avevano offerto la salvezza. So che alcuni di quei gruppi hanno più entusiasmo eccessivo che fede profonda; eppure sono sulla via giusta.»

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«Che lo siano o no, mastro Cantrell s'era unito a quella conventicola, poi si è tirato indietro: al nostro assassino basterebbe, per ritenere che merita la morte.» «Farò in modo di mettere una guardia, gli piaccia o no», sospirò, «ma sono a corto di uomini. Debbo parlarne con Lord Hertford, vedere se può procurarne qualcuno lui. Quali sono i nomi che vi ha dato Cantrell?» Gli riferii i nomi del gruppo di cui faceva parte il padre di Cantrell. Harsnet si strofinò una guancia. «Ne ho già sentiti uno o due. Chiederò ai miei informatori.» Trasse un profondo respiro. «E ora, vediamo che cosa possiamo cavare dall'arciprete Benson.» L'arciprete era di nuovo nel suo studio, nella bella casa in mezzo al dedalo degli edifici conventuali in parte demoliti e in parte ristrutturati, a lavorare alle sue carte. Oggi il rumore dei martelli e delle seghe era più forte ancora, e la sua faccia pienotta era irritata. Quando ci fummo accomodati ci gettò un'occhiata indagatrice e ostile, invitandoci a sedere con un aristocratico cenno della mano. «Vedo dalle vostre espressioni che la questione non s'è ancora risolta», disse. «Confesso di avere ritenuto sgradevole l'insinuazione di un possibile coinvolgimento di ex monaci di Westminster.» «È più che sgradevole», ribatté asciutto Harsnet, facendo sollevare le sopracciglia a Benson. «C'è stato un altro delitto, e non riusciamo a trovare né Goddard né la sua famiglia. Nessuna traccia.» Il suo tono era gelido, e fissava negli occhi l'arciprete. Benson corrugò la fronte. «E voi credete che vi sia qualche legame diretto fra Goddard e gli omicidi?» domandò pacatamente. «Oltre un sospetto impiego del medesimo narcotico e il distintivo di pellegrinaggio? È poco.» «Forse. Però dobbiamo trovarlo.» «Vi ho già detto tutto ciò che so. Non ho idea di dove si trovi Goddard.» «Mastro Shardlake, qui presente, ha parlato con il converso laico che lavorava nell'ambulatorio pubblico, Francis Lockley.» L'arciprete emise un grugnito. «Dov'è adesso Lockley? Dove c'è una bottiglia, ve lo garantisco io.» «Questo non ha importanza», ribatté seccamente Harsnet. «Il fatto è che noi riteniamo che sia al corrente di qualcosa sul conto di Goddard e lo tenga nascosto.»

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«Non credo che sappia dove si trova Goddard», interloquii io. «Ma qualcosa sa.» «Be', io no.» «Farò arrestare Lockley e lo interrogherò», disse Harsnet. «E questo che c'entra con me?» Lo sguardo di Benson non mutò, ma una mano grassoccia scivolò attraverso lo scrittoio, verso una penna. La prese e si mise a giocherellare. «State bene attento a come vi comportate con me», proseguì. «Ho conoscenze importanti. Ho la gratitudine del re in persona per il modo in cui ho condotto l'abbazia di Westminster a uno scioglimento pacifico. Ora sono l'arciprete, responsabile di questa grande chiesa e delle sue sepolture reali.» «Diamo la caccia a un assassino», rispose Harsnet. «Uno che ha brutalmente ucciso quattro persone e ha già cercato di ucciderne una quinta.» «E io ve lo ripeto, ciò non ha niente a che vedere con l'abbazia.» L'impazienza faceva capolino nella sua voce. «Per le ossa di Dio, conoscevo Goddard. Parlavo spesso con lui, era uno dei pochi monaci di questo posto capace di reggere una conversazione intelligente. Però l'unica cosa che gli sia mai stata a cuore era la sua comodità e la sua condizione sociale. L'idea di lui che uccide della gente per adempiere a qualche profezia dell'Apocalisse è... grottesca.» «Se un uomo è posseduto dal demonio», rispose calmo Harsnet, «non ha importanza com'era prima. Verrà divorato dal desiderio di obbedire agli ordini del diavolo.» Benson smise di giocare con la penna. «Possessione diabolica!» Scoppiò in una risata cinica. «È a questo che pensate? Un'idea del genere non vi porterà da nessuna parte.» «Ho visto gli affreschi sulle pareti della sala capitolare che narrano le storie dell'Apocalisse», dissi io. «Ora vengono coperti da scaffali e documenti.» «Sì, è stata un'idea mia usare la sala capitolare per archiviare i documenti in eccesso. Adesso abbiamo molto spazio nel perimetro. E con ciò?» «I monaci devono avere visto quegli affreschi centinaia di volte, come pure voi. Non credo che si possano avere sotto gli occhi quelle immagini tutti i giorni senza riflettere su ciò che rappresentano.» Benson fece spallucce. «Io gli ho sempre prestato ben poca attenzione, se non per pensare quanto fossero brutti quei dipinti.»

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«Potrebbero però esercitare una suggestione su un certo genere di uomo.» Ressi lo sguardo di Benson, che per un attimo mi fissò immobile; quindi mi puntò contro la penna. «Adesso so chi siete. Mi sforzavo di trovare la ragione per cui il vostro nome non mi fosse nuovo. Siete l'avvocato di cui si fece beffe il re a York, due anni fa. Come vi chiamò? Un ragno contorto? Udii raccontare la storia quando tornò a Londra. La gente diceva che vi paragonò a un tizio dello Yorkshire, grande e grosso, con cui vi trovavate. La cosa divertì molto quelli di York.» Non risposi. «Signore, voi non siete un uomo di Dio», disse pacatamente Harsnet. Benson si volse verso di lui, d'un tratto adirato. «Sono un realista. In fin dei conti, sono quelli come me a combinare meno guai, a questo mondo. Quand'ero un giovane monaco, vidi che il sistema era marcio e corrotto, perciò mi feci conoscere da Lord Cromwell - un realista, se mai ce ne fu uno - e lui mi procurò la carica di abate. E io garantii che questo monastero si adattasse tranquillamente alla soppressione, senza contrasti né scandali, perché il re non ne desiderava nel luogo di sepoltura dei sovrani. Un giorno ha intenzione di farsi seppellire qui, e andrà in collera se ne provocherete uno adesso. Perciò, state attento: la prossima volta, potreste ricevervi da lui qualcosa di più d'un insulto.» Benson si levò in piedi, facendoci capire che il colloquio era terminato. Dall'espressione di Harsnet compresi che nulla gli sarebbe piaciuto maggiormente che arrestare l'arciprete per torturarlo lui stesso; tuttavia Benson aveva ragione, era un uomo potente, e in mancanza di qualunque prova Harsnet doveva procedere con cautela. Mi dissi che rendendo così palese la propria ostilità non si era comportato con accortezza. Appena fuori, Harsnet mi rivolse una domanda: «Voi gli credete?». Intuii che lottava ancora con l'ira. «Penso che anche lui nasconda qualcosa. Però non la ritiene pertinente alla nostra indagine, oppure si crede al sicuro grazie alle sue potenti protezioni.» «I suoi appoggi non lo proteggeranno, se nasconde un'informazione relativa a un quadruplice assassino.» «No.» Feci una pausa. «Perlomeno, non dovrebbero.» Harsnet serrò le labbra. «Vediamo un po' se Lockley ha da dirci qualcosa che possa aiutarci a mettere un tantino sotto pressione Benson.

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Ora devo trovare un paio di gendarmi e far prelevare Lockley. Ci vediamo stasera alle sei, avvocato superiore Shardlake.» S'inchinò e se ne andò. «Non invidio Lockley», disse Barak. «No.» Mi voltai indietro verso la dimora dell'arciprete. «Benson s'è definito un realista. Be', lo è. Dovrei dire: al pari di molti monaci che aiutarono Cromwell, le sue motivazioni sono il denaro e il potere. Chissà se ha mai pensato ai monaci che furono sbattuti fuori, chissà se la coscienza non gli rimorde mai.» «A me non sembra che ne abbia una.» Barak trasalì leggermente quando un grosso blocco di pietra precipitò giù dal refettorio. Osservò i lavori di demolizione, poi scoppiò a ridere. «Che c'è di tanto buffo?» «Che quella canaglia di Benson si dia delle arie per essere diventato arciprete di questo posto. Ma guardate: è il padrone di un mucchio di macerie.» «Eppure dirige ancora l'abbazia di Westminster per volontà del re», dissi cupamente. Barak fissò la grande chiesa. «Dunque Enrico vuol farsi seppellire qui», commentò sottovoce. «Prima è, meglio è», risposi io, ancora più piano. Harsnet abitava all'estremità superiore di Westminster, in una fila di belle, vecchie case di King Street, a poca distanza dall'ingresso di Whitehall Palace, dove sventolavano le bandiere, stagliate contro il luminoso cielo azzurro, mentre il sole al tramonto rifletteva i suoi raggi negli alti finestroni della porta. Svoltai verso la porta d'ingresso di Harsnet, ornata d'un batacchio tutto lustro, a forma di testa di leone. Mi chiedevo come sarebbe stata la cena con la sua famiglia, ma più ancora ero curioso di sapere che cosa gli aveva detto Lockley. Bussai all'uscio e un servitore mi fece accomodare in uno spazioso salotto. Stoviglie d'oro scintillavano su un'alta credenza di legno, e su una parete campeggiava un quadro raffigurante il viaggio dei Magi a Betlemme, con cammelli e carovane dipinti a colori morbidi e piacevoli. Harsnet era in salotto con la moglie. Il coroner appariva lindo ed elegante in un farsetto di velluto nero, con la barba spuntata di fresco che mostrava ciocche grigie in contrasto con i capelli scuri. Aveva tuttavia un'aria preoccupata e scontenta. La moglie era una donna

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piccola, dal viso tondo, con capelli biondi e occhi vivaci, colmi di curiosità, che indossava un abito marrone di buona qualità. Sedeva su una pila di cuscini, intenta a ricamare; si alzò per farmi una riverenza. «Elizabeth», disse Harsnet, «permetti che ti presenti l'avvocato superiore Matthew Shardlake, che lavora con me in un caso... di una certa complessità. Vi sono alcune cose di cui dovremmo parlare dopo cena», aggiunse. Mi lanciò un'occhiata di avvertimento, e compresi che sua moglie non sapeva nulla dei delitti; perciò avrei dovuto aspettare le novità sul conto di Lockley. Elizabeth rispose, con una voce alta e gradevole: «In questi giorni ho visto a stento Gregory, e quelle poche volte appari' stanco. Spero che non siate responsabile voi, signore, di tutto il lavoro che sta facendo». «Certamente no, signora. Non sono altro che il suo compagno di fatiche.» «Gregory parla bene di voi.» Guardai Harsnet un po' sorpreso perché m'ero fatto l'idea che nutrisse scarsa considerazione per chi non condivideva la sua fede rigorosa. Sorrise alquanto a disagio, e ancora una volta mi resi conto che era un timido. «Non vi ho ancora adeguatamente ringraziato per avere mandato quel vostro uomo a casa mia», dissi. «È in gamba, dà una sensazione di sicurezza alle donne.» Harsnet parve soddisfatto. «Sapevo che avrebbe fatto un buon lavoro: è un membro della mia chiesa.» Elizabeth m'invitò a sedere a una tavola coperta da una tovaglia vivacemente ricamata. «Mi auguro che vi piaccia il montone arrosto, signore», disse. «È uno dei miei piatti preferiti», risposi con sincerità. Suonò un campanellino, e i domestici portarono un ampio vassoio di montone e scodelle di verdura. Mi accorsi che era la prima volta che cenavo fuori, da quell'ultima serata a casa di Roger e Dorothy. Probabilmente Samuel era ormai partito, e lei sarebbe stata di nuovo sola. Le avrei fatto visita l'indomani. La porta si aprì nuovamente e una governante fece entrare quattro bambini, due maschi e due femmine, di età variabile tra i quattro e i dieci anni, con i capelli ben pettinati; i due più piccoli erano in camicia da notte. «Venite, bambini», disse Harsnet. «Salutate mastro Shardlake.» I bimbi si avvicinarono, accostandosi obbedienti al padre: i due maschi mi fecero un inchino, le due bimbe una riverenza. Harsnet

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sorrise. «I ragazzi sono Absalom e Zealous, le ragazze Rachel e Beulah.» Tutti nomi del Vecchio Testamento, tranne Zealous: uno di quei nomi strani che i riformisti radicali davano adesso ai propri figli, come Fear-God, Perseverance, Salvation. Le due bimbette sbirciavano la mia schiena con malcelata curiosità; il più piccolo teneva la testa bassa, ma il più grande, Zealous, faceva una faccia scura, come fosse di malumore. Suo padre gli posò una mano sul capo. «Spero che tu abbia imparato una buona lezione dalle percosse», disse con gravità. «Pronunciare invano il nome del Nostro Salvatore è un grave peccato.» «Sì, padre», disse il ragazzino, abbastanza docile; i suoi occhi, tuttavia, tradivano ancora la collera. Harsnet licenziò i piccoli, osservandoli mentre uscivano dalla stanza; quindi scosse il capo con tristezza. «Ho dovuto battere Zealous con la verga perché ha imprecato quando sono entrato», disse. «Una sgradevole componente dei doveri di un padre. Ma bisognava farlo. Non credevo che conoscesse certe parole.» Rimase per un momento in silenzio, con di nuovo sul volto quell'espressione accorata. «I figli possono essere una prova», disse Elizabeth, «ma sono anche un grande conforto e sono il nostro avvenire.» Mi sorrise. «Mio marito dice che non siete sposato.» «No», risposi in fretta, infilzando con il coltello un'altra fetta di montone. «Il matrimonio è la condizione alla quale l'uomo è chiamato da Dio», disse lei, senza staccare gli occhi da me. «Così ha detto vostro marito», risposi conciliante. «Avete detto di essere coroner aggiunto da sei anni. Dove avete studiato legge, signore?» «Al Middle Tempie. Poi per alcuni anni lavorai nel Lincoln-shire, di cui erano originari i miei genitori. Quindi, sei anni fa, ci fu la ribellione del nord. Arruolai una compagnia di uomini contro i papisti, ma non dovemmo combattere, perché si arresero subito.» «Nello Yorkshire fu un'altra storia», dissi. «Grazie a Dio la rivolta fu domata anche là. Dopo, però, ricevetti un messaggio che mi convocava da Thomas Cromwell: penso che l'abbiate conosciuto anche voi.» Harsnet mi fissò con uno dei suoi sguardi penetranti.

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«Sì, nei giorni in cui era un giovane radicale.» «Allora era ai tempi del suo massimo potere. Mi disse di avermi notato come un uomo capace, e mi chiese di assumere la carica di coroner aggiunto del re, dato che era appena morto quello vecchio.» Sospirò. «Stavamo bene nel Lincolnshire, non desideravamo trasferirci, e, per quanto il posto comporti un buon salario, come tutte le cariche reali, il denaro non è mai stata la nostra principale preoccupazione nella vita.» «Lord Cromwell non era un uomo al quale si potesse facilmente dire di no.» «Oh, ma io non intendevo rifiutare. Mi disse che quel posto significava un uomo di fede in più a corte.» «Lavora da ammazzarsi, mastro Shardlake», disse Elizabeth. «Ma dobbiamo tutti svolgere la nostra parte nella vita secondo il volere di Dio.» Sorrise e mi chiesi se fosse un'allusione indiretta al mio stato di scapolo. «Avete detto di avere intenzione di fondare un ospedale per i poveri», disse Harsnet. Fui lieto del cambiamento di discorso. «Sì, era un'idea di Roger Elliard. Cercava sottoscrizioni tra i soci del Lincoln's Inn, forse presso tutti i collegi di avvocati, per finanziare un ospedale per i poveri e i malati. Quando avrò abbastanza tempo intendo cominciare a lavorare su questo progetto.» Annuì, approvando. «Sarebbe un'ottima cosa. Detto fra queste quattro mura, il re non si cura di spendere il denaro guadagnato con la soppressione dei monasteri sostituendo i loro ospizi con qualcosa di meglio.» «No», convenni anch'io. «Tutto ciò che gli interessa è costruire palazzi e la guerra con la Francia, ora che gli scozzesi sono stati sconfitti.» Harsnet approvò nuovamente. «Già, e tutto per vanagloria.» «Gregory...» disse sua moglie, non senza imbarazzo. «Lo so, amore, dobbiamo essere prudenti. Ma per tornare all'ospedale, mastro Shardlake, mi farebbe piacere aiutarvi quando il vostro progetto sarà avviato. Ho ancora contatti con il Middle Tempie. Dove lo costruireste?» «Confesso di non averci ancora pensato. Tuttavia a Londra non c'è scarsità di terreni, da quando i monasteri sono stati aboliti.» «Da qualche parte in centro», disse, con un cenno di approvazione. «Dove tutti si radunano a mendicare. Vediamo quanto soffrono, ogni

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giorno. E, sofferenti e ignoranti come sono, subiscono una forte tentazione di dubitare della provvidenza e della misericordia divine.» «Nell'ospizio si potrebbe insegnare loro la Bibbia», aggiunse Elizabeth. «Sì», commentò pensoso Harsnet, «dopo che i loro corpi sono stati curati.» Ormai avevamo terminato il pasto; Harsnet colse il mio sguardo. «Se ci vuoi scusare, mia cara», disse alla moglie, «l'avvocato superiore Shardlake e io dobbiamo parlare. Vogliamo andare nel mio studio, signore?» Mi alzai, inchinandomi alla signora Harsnet. «Vi ringrazio per l'eccellente pranzo, signora.» Chinò il capo, riconoscente. «Sono lieta che l'abbiate apprezzato. Pensate, signore, che se aveste anche voi una buona moglie, godreste ogni sera di un desco come questo.» Harsnet mi condusse nel suo studio, una piccola stanza il cui mobile più imponente era uno scrittoio ingombro di carte. A una parete c'era un grosso frammento di vetro colorato, in cornice, con un motivo di rose rosse e bianche con foglie d'oro su uno sfondo scuro. Faceva un bell'effetto e rischiarava la stanza. «Proveniva dal vecchio convento delle monache di Bishopgate», disse lui. «Mi pareva un bel disegno, non guastato da nessuna raffigurazione idolatrica di santi.» «Senza dubbio pregevole. Ma, signore... e Lockley?» La sua postura eretta e fiera parve afflosciarsi mentre si lasciava cadere sulla poltrona, indicandomene una di fronte a lui. Mi sentii mancare il cuore, intuendo che erano in arrivo altre cattive notizie. «Sparito», disse desolato Harsnet. «Ha tagliato la corda. Quando i miei uomini sono arrivati alla taverna, hanno trovato quella donna, la Bunce, fuori di sé per la disperazione. Lockley era uscito tre ore prima per fare un'ordinazione al birraio, e non era più tornato. Ha detto che era rimasto sulle spine dopo che aveva visto voi.» «Be', questo dimostra che aveva qualcosa da nascondere.» Harsnet posò una mano sul tavolo, serrandola improvvisamente a pugno. «Lockley è fuggito. Potrebbe essere lui l'assassino.» «Non credo. Non lo ritengo abbastanza intelligente, a parte ogni altra considerazione. No, c'è qualche segreto che ha a che vedere con quanti erano legati alle infermerie dell'abbazia. Barak supponeva che potessero esserci dei sodomiti, ma io ne dubito.»

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«Io farei subito mettere in carcere l'arciprete Benson, ma non è cosa facile. Domani ho appuntamento con Lord Hertford, vedrò che può fare. Non ne sarà soddisfatto», aggiunse pensieroso. «Non abbiamo una gran fortuna.» «L'assassino invece sì. Non dovremmo stupirci: con il diavolo in corpo, qualunque cosa faccia gli arride il successo. Sembra invisibile, irraggiungibile.» Mi guardò smarrito, con occhi spiritati. «Con Cantrell ha fatto fiasco», osservai. «Il demonio lo avrebbe permesso?» Harsnet mi fissò nuovamente, più energico e duro. «So che voi non credete che l'assassino sia un indemoniato, signore. Ma in quale altro modo spieghereste il perché qualcuno compia azioni tanto perverse e malvagie? Per nessun utile personale.» «Qualcosa deve pur ottenere, secondo la sua mente alterata. Credo che provi un folle bisogno compulsivo di uccidere. Non sarebbe neanche il primo.» «Pazzia? Se intendete giustificare tale definizione, signore, se è qualcosa di più d'una semplice parola, mi dovete dire in che modo la sua mente è sconvolta, come e perché quell'uomo è pazzo.» «Non so farlo», riconobbi. «Posso solo dirvi che in passato ci sono stati casi analoghi.» «Quando?» domandò Harsnet, sorpreso. Gli narrai di Strodyr e De Rais. Quando finii, allargò le mani con un sorriso triste. «Ma senza dubbio, signore, questi non sono che altri esempi di possessione diabolica, piuttosto che di pazzia come la conosciamo noi. Qualunque cosa possa dire l'ex monaco, il dottor Malton.» «Forse per uomini come quelli non sarà mai possibile trovare una spiegazione.» «La possessione diabolica è certo una spiegazione», rispose Harsnet. Si sporse in avanti. «Azioni che hanno un senso soltanto come perversa parodia della vera religione.» «Vera religione?» chiesi pacatamente. «E così che voi definireste il Libro dell'Apocalisse?» «In quale altro modo?» Harsnet allargò nuovamente le braccia. «È un libro della Bibbia, e l'intera Bibbia è la parola di Dio, che ci dice come vivere e trovare la salvezza, come ebbe inizio il mondo e come avrà

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fine. Non possiamo scegliere e decidere a quali parti della Bibbia credere.» «Molti hanno espresso dubbi che il Libro dell'Apocalisse sia ispirato da Dio, dai primi Padri della Chiesa a Erasmo da Rotterdam ai giorni nostri.» «Ma i Padri della Chiesa l'accettarono, ed Erasmo rimase un papista, non un autentico fedele della Bibbia. Il Libro è Spirito Santo, e il diavolo è entrato in quell'uomo per farlo bestemmiare.» Non replicai: Harsnet e io non ci saremmo mai trovati d'accordo. Con mia sorpresa, d'un tratto sorrise. «Vedo che non vi convincerò», disse. Gli restituii il sorriso. «Temo di no. E neppure io voi.» Mi guardava senza ostilità, piuttosto con compatimento. «Sono spiacente che mia moglie abbia insistito in quel modo sui vantaggi dello stato coniugale. In questi tempi le donne dicono sempre ciò che vogliono, però ha ragione. Matthew, posso chiamarvi Matthew...» «Naturalmente.» «In quest'ultima settimana vi ho osservato. Lavorare insieme offre la possibilità di valutare un uomo. Voi siete intelligente e dotato di alti valori morali.» «Grazie.» Mi squadrò con aria accorata. «Siete stato un avvocato di successo, che agli inizi fu vicino a Thomas Cromwell. Penso che sareste potuto diventare uno dei commissari incaricati della soppressione dei monasteri.» «Non volli assumermi quel compito. Richiedeva uomini ben più spietati di me.» Harsnet annuì. «Sì, un uomo di principi. Però, senza dubbio, a un uomo di principi non dovrebbe mancare la fede.» «Una volta dividevo lo studio legale con un brav'uomo, un uomo della nuova fede. Lasciò la professione per farsi predicatore nelle strade. Credo che sia ancora da qualche parte. Ripenso spesso a lui. Ma poi ho conosciuto anche uomini buoni rimasti fedeli alla vecchia fede.» Lo fissai. «E uomini malvagi di entrambe.» «Penso che voi siate un incerto, sicuramente colui che la Bibbia definisce uno di Laodiceo.» «Laodicea. Una delle chiese biasimate nell'Apocalisse da san Giovanni a Patmos. Sì, sono un incerto.» Avvertii una freddezza insinuarsi nella mia voce. Non desideravo quella conversazione: non volevo che

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Harsnet tentasse di convertirmi con quel suo fare condiscendente, ma neppure intendevo essere sgarbato. La sua compassione era sincera e dovevo lavorare con lui. «Perdonatemi», proseguì lui, «ma non pensate che la vostra schiena forse vi amareggi e vi induca a ribellarvi a Dio? Ho notato quanto vi siete risentito quando l'arciprete Benson accennò che il re vi aveva schernito a York. Purtroppo sono cose come queste che certi uomini ricordano, per rinfacciarvele.» Adesso ero in collera: s'era spinto troppo oltre. «Ero gobbo anche quando avevo la fede», risposi risoluto. «Se adesso nutro dei dubbi, se come dite voi sono un laodiceo, è perché per dieci anni ho visto che uomini di entrambe le parti parlavano della gloria di Dio, eppure tormentavano, perseguitavano e uccidevano i loro fratelli. Li riconoscerai dai loro frutti, non dice forse così la Bibbia? Guardate i frutti della religione in questi ultimi dieci anni: quest'assassino ha molti esempi di crudeltà e di violenza a ispirarlo.» Harsnet corrugò la fronte. «I seguaci del papa non hanno pietà per la vera religione, e noi dobbiamo tenere duro. Sapete che cosa sta facendo Bonner. Non mi piacciono le misure estreme, anzi le odio, ma talvolta sono necessarie.» Per un attimo un tic gli contrasse la guancia. «Che cosa credete, Gregory?» gli domandai con calma. «Come Cranmer, che il re sia stato investito da Dio del compito di sovrintendere alla dottrina della Chiesa, che tutto dovrebbe essere in accordo con la sua volontà?» «No, credo che un'autentica chiesa cristiana dovrebbe autogovernarsi. Niente vescovi, niente cerimonie. Così era nella chiesa primitiva, così dovrà essere in quella della fine. Io credo che la fine dei tempi sia prossima», concluse. «Sì, mi aspettavo che lo credeste.» «Io vedo i segni, cose inaudite che appaiono ovunque nel mondo, come quei grossi pesci rigettati dalle acque, e la persecuzione dei cristiani. L'Anticristo è arrivato ed è il papa. Non è, questo, il tempo delle mezze misure.» «Credo che il Libro dell'Apocalisse sia stato scritto da un falso profeta, che ripeteva i propri sogni e i propri fantasmi», dissi. Pensai che Harsnet esplodesse per la rabbia, ma sul volto gli rimase l'espressione di compatimento. Sospirò profondamente. «Vedo che siete

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convinto di ciò che dite, Matthew, e so guardare le cose dal vostro punto di vista. Credetemi, non mi piace ciò che a volte devo fare, come il modo in cui ho dovuto condurre quest'indagine.» Il tic tornò a contrargli un paio di volte la guancia. «Quel giorno ho pregato con fervore, e credo che Iddio m'abbia risposto, confermandomi che devo mantenere segreta la verità sulla morte del povero Elliard. Non agisco mai senza pregare, e Dio risponde, e allora so di avere imboccato la strada giusta», sorrise. «E alla fine è a Lui che rispondo, non agli uomini mortali.» Mi guardò con appassionata serietà. «Anch'io da giovane dubitai, credo che a quell'età tutti dubitino. Ma un giorno, mentre pregavo per essere illuminato, sentii Iddio venire a me, e fu come se mi fossi destato da un sogno. L'amore di Dio per me mi apparve chiaro, come se la mia mente fosse stata lavata.» Parlava con entusiasmo. «Una volta credetti di provare la stessa cosa», risposi, non senza malinconia. «E non fu sufficiente?» «No.» Harsnet sorrise. «Forse quel momento verrà ancora, dopo che quest'orrore avrà termine.» Esitò, mentre faceva nuovamente la sua comparsa la timidezza. «Vorrei essere vostro amico, Matthew», disse. «Sono un amico leale.» Sorrisi a mia volta. «Persino dei laodicei?» «Persino di loro.» Gli strinsi la mano, domandandomi se alla fine di quella folle strada io avrei riconquistato la mia fede, oppure lui avrebbe perso la sua. *** Capitolo ventinove. Era buio quando, esausto dopo una lunga giornata, percorsi a cavallo lo Strand costeggiando le case dei ricchi allineate sulla strada da Westminster a Londra. Tenui lumi gialli di candela palpitavano alle finestre, rischiarando fiocamente la via. Dopo il coprifuoco a Londra c'era poca gente in giro, ma, come sempre in quei giorni, stavo all'erta. L'aria restava mite ma umida, e guardando il cielo vidi che le nubi nascondevano le stelle. Sarebbe piovuto di nuovo. I punti mi tiravano dolorosamente. Domani, tempo permettendo, sarei andato a trovare Guy, per chiedergli quando me li avrebbe tolti. Volevo anche parlare

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nuovamente con lui di Adam Kite, e di quale potesse essere il carattere dell'assassino. M'era rimasta in mente la conversazione con Harsnet: non credevo che l'assassino fosse indemoniato, ma non era certo se in realtà avessi idee migliori su che cosa fosse; né sapevo quando avrebbe colpito ancora, o dove. Rincasando trovai l'uomo di Harsnet seduto nell'atrio a leggere la Bibbia. «Tutto tranquillo, Philip?» gli chiesi. «Sì, signore. Sono andato un po' di volte su e giù per la via, per farmi vedere. Il solito movimento: parecchi avvocati, un venditore ambulante con il carretto che ha vantato la sua mercanzia per quasi tutto il mattino.» «Un bel po' fuori strada: non credo proprio che da queste parti abbia fatto molti affari.» «Oggigiorno tanti disoccupati sono diventati venditori ambulanti, vanno dappertutto.» «E vero.» Entrai, lieto che ci fosse Orr: apprezzavo il suo zelo. La sua presenza avrebbe scoraggiato il nostro terribile visitatore dal nuocerci ancora. Dentro, tutto era tranquillo. Mi diressi alle scale, poi mi arrestai sul primo gradino, udendo un lieve rumore provenire da dietro la porta chiusa della cucina: era una donna che piangeva. Mi avvicinai lentamente e aprii la porta. Tamasin sedeva al tavolo, in lacrime. Un singhiozzare aspro, disperato, colmo di profonda infelicità. Joan era seduta accanto a lei e le teneva un braccio intorno alle spalle. Passando davanti alla finestra scorsi in cortile i due ragazzi, Peter e Timothy, con il naso schiacciato contro il vetro; feci loro un gesto e se la diedero a gambe. «Che cosa è successo?» domandai. Tamasin sollevò il capo e mi guardò. I lividi erano quasi scomparsi, ma aveva il viso rosso e rigato di lacrime. Mi resi conto che molto tempo era passato da quando l'avevo visto normale. «Non è nulla», rispose. «Invece sarà pure qualcosa.» Avvertii irritazione nella mia voce. «Solo un litigio fra lei e Jack», disse Joan. «È tornato ubriaco, un'ora fa», spiegò stancamente Tamasin. «È piombato nella nostra camera, e, quando gli ho chiesto che cosa non

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andava, per tutta risposta mi ha presa a male parole. Non lo sopporterò più a lungo», disse con improvvisa risolutezza. Corrugai la fronte. «Penserò io a lui. Non voglio averlo ubriaco in questa casa.» Uscii e salii le scale, infuriato con Barak, e con me stesso: avevo offerto il mio aiuto a Tamasin, e non avevo ancora concluso nulla. Trovai Barak in camera sua, seduto su uno sgabello presso il letto. Quando alzò gli occhi il suo viso era rosso, ma non per avere bevuto. «Non incominciate», disse. «In casa mia incomincio come mi pare. E questo il modo di mantenere la promessa di rappacificarvi con Tamasin?» «Non sono affari vostri», borbottò. «Sono affari miei, se la lasciate sconvolta. Dove siete stato?» «A bere con qualche vecchio amico, in città.» «Non avete mai bevuto così. Perché adesso? Ancora a causa del figlio che avete perso?» aggiunsi, più dolcemente. Barak non rispose. «Allora?» «Sono stanco di questa faccenda», disse. «Stufo marcio, se proprio volete saperlo. Quello può colpire anche stanotte. E noi non abbiamo in mano niente, niente se non qualche frammento di informazione.» «Lo so», ribattei con più calma. «Provo lo stesso anch'io. Ma voi non avete il diritto di sfogare il vostro malumore su Tamasin.» «Non l'ho fatto!» La sua voce si alzò di nuovo, rabbiosa. «Sono venuto qui e lei ha cominciato a farmi una testa così perché ero sbronzo. Le ho risposto di lasciarmi in pace, e quando non l'ha fatto le ho detto delle brutte parole. Non capisce quando deve lasciarmi stare.» «Avreste dovuto dirle ciò che vi angustia.» Mi squadrò, scuotendo la testa. «Che cosa? Dirle che l'uomo che l'ha assalita è ancora libero, che non sappiamo assolutamente niente e aspettiamo che uccida di nuovo? Magari che aggredisca di nuovo noi? Odio sentirmi così impotente. Vorrei che lo beccassimo.» «Credo che dovreste dormirci sopra», risposi. «E quando vi sveglierete, scusatevi con Tamasin. Altrimenti la perderete.» «Forse uno dei demoni di Harsnet s'è impadronito di me», disse con amarezza. «Già, uscendo da una bottiglia.» Chiusi la porta e lo piantai in asso.

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«Prego perché mi dia la forza di accettare ciò che è successo. E tuttavia non vorrei chiedere a Dio di liberarmi dal mio dolore, che dev'essere invece tollerato; non capisco però per quale motivo Iddio abbia consentito che un uomo buono possa essere stato ucciso in quel modo. Per questo dico che essere stato una vittima casuale lo rende peggiore.» «Suppongo che si potrebbe rispondere che l'assassino è un malvagio, che ha voltato le spalle a Dio e a tutto ciò che è bontà. E Dio ci concede il libero arbitrio per farlo.» Dorothy scosse il capo. «In questi giorni non ho cuore per riflessioni del genere.» Per un po' passeggiammo in silenzio; quindi lei disse: «Hai molto coraggio, Matthew, a fare questo lavoro odioso». Mi sorrise. «Per chiunque sarebbe una maledizione, ma per te... tu ti fai coinvolgere dalle cose.» «Ha coinvolto anche Barak. E Guy, credo.» «Sei sicuro di non potervi rinunciare?» «No. Non ora.» Eravamo giunti all'estremità di una piccola scarpata, dove rimanemmo a osservare i Lincoln's Inn Fields in direzione dei campi più lontani di Long Acre. Nuvole di svariate sfumature di grigio si rincorrevano nel cielo, promettendo altra pioggia. «Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?» mi chiese d'un tratto Dorothy. «La faccenda della carta di mastro Thornley?» «Me lo ricordo come se fosse ieri», sorrisi. Thornley era stato uno studente compagno di Roger e mio, vent'anni prima. Noi tre dividevamo un buco di ufficio all'Inn. Era una serata d'estate. Sedevo a lavorare in compagnia di Roger quando arrivò Dorothy con un messaggio da parte del padre, il mio capo, riguardo a una causa del giorno successivo, per la quale si richiedeva la mia presenza. Mi aveva a malapena parlato quando era piombato dentro Thornley. «Era un ometto grasso», rammentò Dorothy. «Te lo ricordi? Aveva una faccia tonda, ma quella sera era bianco.» Ricordavo. Thornley era impegnato in un problema maledettamente complesso di diritto immobiliare, su cui doveva presentare una relazione il giorno seguente. «Che storia ci raccontò!» rise forte Dorothy, a quel ricordo. «Non sarebbe stato in grado di presentare il suo documento perché gliel'aveva mangiato il cane. L'ultima scusa di questo mondo, eppure quella volta era vera. Hai mai visto quel cane?»

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«No. Lo teneva nel suo alloggio, vero?» «Un bastardone grande e grosso che s'era portato dalla campagna. Lo teneva in un buco di stanza in affitto a Nuns Alley. La bestia gli aveva fatto a pezzi tutti i mobili a furia di rosicchiarli, poi aveva cominciato con il contenuto della sua borsa da lavoro, che lui aveva inavvertitamente lasciato aperta. Thornley ne tirò fuori i brandelli mezzo masticati, certuni ancora zuppi di saliva del cane, e con l'inchiostro che s'era tutto sciolto e sbavato.» «E noi lo aiutammo: tu rimettevi insieme tutti quei pezzi di carta straccia, mentre Thornley, Roger e io ricopiavamo daccapo l'intera pratica. Certi erano illeggibili, e Thornley dovette spremersi il cervello per ricordare che cosa aveva scritto.» «Roger riempì certe lacune per conto suo.» «Il giorno dopo Thornley lo presentò, e fu lodato per la precisione della sua risposta.» «Che ne è stato di Thornley? Non l'ho più visto, dopo che ci siamo diplomati.» La guardai. «Fu quella la prima volta che tu e Roger v'incontraste?» «Sì. Ma quel giorno era te che ero venuta a cercare.» «Me?» Sorrise con dolcezza. «Non pensi che mio padre avrebbe potuto mandare un domestico a recapitare il messaggio? Mi offrii di portarlo io, per poterti vedere.» «Non me n'ero accorto», risposi. «Però ricordo di avere notato che tu e Roger vi trovaste bene insieme e ne fui geloso.» «Credevo che non avessi interesse per me. Perciò, quando incontrai Roger...» «Allora eri venuta per vedere me», sussurrai. Qualcosa parve stringermi il cuore. Guardavo i verdi e i marroni del paesaggio pianeggiante. «Quanto poco comprendiamo l'uno dell'altro», dissi finalmente. «Com'è facile commettere degli errori.» «Sì», convenne lei, con un sorriso mesto. «Da qualche tempo... non sono neppure certo di conoscere Guy bene quanto credevo.» Esitai, pieno di emozioni confuse; quindi posai gli occhi su di lei. «Spero che tu non vada a Bristol, Dorothy. Mi mancheresti. Ma sei tu che devi prendere una decisione.» Lei abbassò lo sguardo. «Sento di essere un peso per i miei amici.» «Per me, mai.»

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Fissò i campi in lontananza; vi fu un momento di silenzio imbarazzato. «Dovremmo tornare», disse sottovoce. Si voltò e fece strada, con le gonne che frusciavano sull'erba umida. Temevo di averla messa a disagio; malgrado tutto il mio turbamento, però, sapevo che, se fosse rimasta, dopo un opportuno intervallo di tempo avrei potuto provare a chiedere la sua mano. Sentivo che, con il tempo, i suoi vecchi sentimenti per me potevano rinascere. Forse germogliavano già: altrimenti, a che scopo rievocare quella storia? E d'un tratto fui certo che Roger avrebbe approvato. Divenire consapevole dei miei sentimenti per Dorothy, sentimenti che forse non si erano mai veramente spenti in tutti quegli anni, e pensare che forse avrei avuto qualche speranza in futuro, mi rallegrò. Fra tutto il pericolo e la confusione avevo un briciolo di ottimismo al quale aggrapparmi. Poi, mentre attraversavo il cortile tornando al mio studio, rividi Bealknap. Camminava in Gatehouse Court curvo e malandato, e notai che adesso gli occorreva l'aiuto di un bastone. Teneva la testa bassa e l'avrei potuto scansare, ma non lo feci. Ricordai il mio incontro con il suo medico curante nella bottega di Guy, i pomposi discorsi di quell'uomo sui salassi. Quando mi avvicinai Bealknap alzò lo sguardo. La sua faccia, sempre affilata, appariva adesso scheletrica. Mi diede un'occhiataccia, con un'aria piena di disprezzo e cattiveria. Ricordai che, nei giorni in cui stava bene, non guardava mai nessuno dritto negli occhi. «Mi duole vedervi ammalato», dissi. «Lasciatemi in pace, levatevi dai piedi.» Bealknap strinse più forte il bastone, come se avesse voluto colpirmi. «Finirete con il pentirvi del modo in cui mi avete trattato.» «Alla Corte delle Suppliche? Fui obbligato a farlo. Ma, ci crediate o no, non mi rallegra vedere nessuno soffrire.» Esitai, lottando contro un improvviso impulso ad andarmene per la mia strada. «Qualche giorno fa ho incontrato il vostro medico, il dottor Archer», dissi. I suoi occhi si restrinsero, sospettosi. «Che cosa ha a che fare con voi il mio medico?» «Era nella bottega del mio amico, il dottor Malton. Disse che eravate un suo paziente. M'ha dato l'idea di essere un po' troppo incline alle purghe.» «Lo è. Mi salassa e mi purga di continuo, dicendo che il mio corpo è malamente disordinato e produce umori nocivi che debbono essere

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espulsi.» Si portò una mano al ventre, trasalendo. «Oggi mi ha fatto prendere un'altra purga. La diarrea arriva talmente in fretta da strapparmi via le budella.» «Certi medici non sanno pensare ad altro che a purgare. Avete mai riflettuto sull'idea di chiedere un secondo parere?» «Il dottor Archer è stato il medico di mio padre. A che servirebbe andare da un altro, tranne... fare confusione? E spese. Archer alla fine mi guarirà.» Mi guardò con aria di sfida. Mi stupiva che, fra tutti, proprio Bealknap dovesse riporre la sua fiducia in un medico che lo faceva stare palesemente peggio; tuttavia un uomo può essere astuto come una serpe in un certo ambito, e sprovveduto come uno scolaretto in un altro. Trassi un profondo sospiro, quindi domandai: «Bealknap, perché non vi rivolgete al mio amico, il dottor Malton, per chiedergli un altro consiglio?» «Quel moro? E se il dottor Archer lo scoprisse? Non mi curerebbe più.» «Non c'è bisogno che il dottor Archer lo sappia.» «Il dottor Malton vorrebbe essere pagato in anticipo, suppongo. Un nuovo onorario, per lui.» «No», risposi pacatamente. Se però Bealknap si fosse rivolto a Guy, l'avrei pagato di tasca mia piuttosto che lasciare a Guy la noia di sollecitargli la parcella. Gli occhi di Bealknap si restrinsero in uno sguardo calcolatore: intuii che si domandava se potesse ottenere un consulto gratuito, e di conseguenza, nel suo contorto modo di pensare, segnare un punto contro di me. «Molto bene.» Parlava in tono aggressivo, come se accettasse una sfida. «Ci andrò. Sentirò che cosa ha da dire.» «Bene. Lo troverete a Bucklersbury. Andrò da lui domani, debbo fissarvi un appuntamento»? I suoi occhi si restrinsero ancora di più. «Perché lo fate? Per procurare un guadagno al vostro amico?» «Non mi va di vedere nessuno peggiorare a causa di cattive cure mediche. Nemmeno voi, Bealknap.» «Che ne sanno gli avvocati di che cosa sia una cura buona o cattiva?» bofonchiò; poi girò sui tacchi e se ne andò senza neppure dire grazie. Lo guardai allontanarsi, con il bastone che picchiettava sulle lastre di pietra. Mi chiesi perché l'avessi fatto. Se Guy fosse stato in grado di aiutare Bealknap, mi dissi, cosa perlomeno possibile, sarei stato io a

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segnare in un certo senso un punto contro il mio vecchio nemico. E mi sarei anche sentito virtuoso. Chissà se in parte era per questo che m'ero offerto di aiutarlo; se tuttavia facessimo qualcosa soltanto quando siamo sicuri che le nostre motivazioni sono sincere, non faremmo mai nulla. *** Capitolo trenta. Per il resto della giornata lavorai sodo in studio. Pioveva di nuovo e diluviò per l'intero pomeriggio. C'era anche Barak: non era in vena di conversazione, e di tanto in tanto trasaliva, probabilmente per il mal di testa del doposbronza; non potei evitare di pensare che se lo meritava. Verso sera giunse un messo a cavallo da parte di Cranmer, che mi convocava a un incontro a Lambeth il pomeriggio successivo. Riflettei che non potevano esserci stati sviluppi di rilievo, altrimenti avrebbe voluto vedermi subito. Era probabilmente la nostra mancanza di progressi ciò di cui intendeva discutere. Andai a letto presto; piovve di nuovo forte per tutta la notte e mi svegliai un paio di volte, sentendo le gocce sferzare il tetto. Pensai all'assassino, da qualche parte là fuori. Magari in quel momento sorvegliava la casa, dato che pioggia e freddo per lui contavano poco; oppure se stava seduto in una stanza nella grande città, ad ascoltare la pioggia come facevo io, mentre Iddio solo sapeva quali pensieri gli passassero per la mente. Il mattino dopo era nuovamente bello e c'era il sole: la giornata più calda fino ad allora. La primavera avanzava. A colazione vidi Tamasin passeggiare da sola in giardino e fermarsi a osservare i crochi e le giunchiglie. Tornò verso casa e sedette su una panca presso la porta della cucina. Uscii per raggiungerla. I lividi erano pressoché scomparsi, e il suo viso era di nuovo straordinariamente grazioso; aveva tuttavia un'aria preoccupata. Quando mi avvicinai fece per alzarsi, ma le accennai di restare seduta. «Non è bagnata, quella panca?» chiesi. «Il cornicione l'ha tenuta all'asciutto. E bello, il vostro giardino», aggiunse, non senza malinconia. «Ho fatto fare molti lavori qui, per anni. Come sta Jack stamattina? Credo che ieri sera non sia più uscito.» «No, ha ancora mal di testa.» Respirò a fondo. «Però mi ha fatto le sue scuse. Mi ha detto ciò che aveva detto a voi, che quando questa

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faccenda sarà terminata ci trasferiremo in una casetta da qualche parte. Magari persino con un piccolo giardino. Ha detto che mi avrebbe dato qualcosa da fare. Io, però, vorrei che me l'avesse detto prima.» «Vi ha fatto piacere?» «Mi stupisce che non lo abbiate messo alla porta, dopo il modo in cui s'è comportato a casa vostra», disse, con fredda irritazione. «Siamo stati tutti sotto pressione, Tamasin.» «Lo so.» Mi guardò seria. «I problemi con Jack, però, erano cominciati già da parecchio tempo, lo sapete.» «Jack sa di essersi comportato male, Tamasin. Quando tutto sarà finito e voi vi sarete sistemati da qualche altra parte, le cose andranno meglio, vedrete.» Tamasin scosse il capo. «Sapete che lingua tagliente ha; mi ha già tenuto il muso, si è sbronzato e mi ha insultata altre volte; poi se ne pente e dice che mi ama; poi lo rifà di nuovo e dice daccapo che gli dispiace e avanti così. E il bambino che abbiamo perso ad averci separati.» «Ci sono mariti peggiori», risposi con calma. «Lui non vi picchia.» «Devo essergli grata per questo?» «Dategli tempo, Tamasin.» «A volte mi chiedo perché dovrei sopportare tutto questo. Penso addirittura di lasciarlo, solo che non ho nessun posto dove andare.» Si morse un labbro. «Non dovrei infastidirvi con queste cose, signore.» «E solo che non avete nessun altro.» La osservai con gravità. «Per quanto possa valere, penso che dovreste ricordare che in questo periodo Jack subisce una forte pressione.» «Ammiravo il suo spirito avventuroso e allo stesso tempo desideravo che si calmasse. Dopo tutto ciò, credo che sarà fin troppo felice di vivere una vita tranquilla; ma avrà voglia di viverla assieme a me?» «Credo di sì. Mi spiace, sono stato io a coinvolgerlo, perché era stato ucciso un mio amico.» Tamasin mi sbirciò. «Come sta la vedova?» «E una donna forte, però il dolore grava ancora su di lei con tutto il suo peso.» Tamasin mi guardava con aria indagatrice e mi domandai se avesse intuito qualcosa dei miei sentimenti per Dorothy. Mi alzai. «Ho del lavoro da fare, poi devo ancora andare a Lambeth Palace.»

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«Dall'arcivescovo?» «Sì.» «Fate attenzione, signore», disse. «E anche voi, Tamasin. Anche voi dovete stare attenta.» La lasciai e mi recai nella scuderia. Decisi di non portare con me Barak: lasciati insieme, forse lui e Tamasin sarebbero riusciti a parlare di più. Ero riluttante ad andare a Westminster da solo, ma a cavallo mi sentivo più sicuro, benché ultimamente non avessi più avuto la sensazione di essere seguito. Ero dispiaciuto per Tamasin e ora anche per Barak. Ripensai a Dorothy. Mi si affacciarono alla mente parecchi dubbi, i miei sentimenti per lei potevano essere rimasti latenti per anni, ma non c'era motivo perché lei mi ricambiasse con altrettanta intensità. Eppure, forse, con il passare del tempo... mi dissi che bisognava aspettare e vedere come si sarebbero evolute le cose nei mesi futuri. Il piccolo Timothy era nella stalla, a spazzare dentro un secchio vecchia paglia intrisa di letame. Accanto alla porta c'era un fascio di paglia pulita; Genesis era nel suo stallo, e lo guardava tranquillamente. Fui lieto che il cavallo si trovasse bene con il ragazzo. «Come te la passi, Timothy?» «Bene, signore.» Sorrise, con un lampo di denti bianchi sulla faccia sporca. Era la prima volta che lo vedevo sorridere. «Mastro Orr insegna l'alfabeto a me e a Peter.» «Ah sì, l'ho visto con Peter. E bello conoscerlo.» «Sì, signore, solo...» «Sì?» «Parla tutto il tempo di Dio.» E tu avrai poco tempo da dedicare a Dio, pensai, dopo le tue esperienze da Yarington. «Andate d'accordo, tu e Peter?» chiesi, cambiando discorso. «Sì, signore: basta lasciare che lui faccia il suo lavoro, e io il mio.» «Bene. Si direbbe che tu e Genesis abbiate fatto amicizia.» «È un bravo cavallo.» Esitò. «Sapete, signore, che cosa è avvenuto al cavallo di mastro Yarington?» «Ho paura di no. Qualcuno lo comprerà.» Timothy mi parve mortificato. «Non mi occorre un altro cavallo», dissi. «Su, adesso sellami Genesis.» Uscii, pensando quanto fosse triste che l'unico amico del bambino fosse stato il cavallo di Yarington; rinunciai tuttavia all'idea di acquistarlo per lui: la stalla non era abbastanza grande. Mi scansai in fretta per evitare un venditore ambulante dalla barba grigia che spingeva un carretto di

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abiti. Infanzia abbandonata, pensai. E vagabondi e venditori girovaghi ovunque: l'ospizio... quando tutto fosse finito dovevo mettermi all'opera per realizzarlo. La cavalcata alla volta di Westminster Stairs portò via più tempo del consueto, perché le strade erano piene d'acqua, un paio addirittura allagate. Udii gente dire che il Tyburn aveva superato gli argini, inondando i campi. Notai anche la bottega di un tipografo, chiusa e sprangata, e mi chiesi se il proprietario fosse stato portato via dagli uomini di Bonner. Quando giunsi nello studio di Cranmer l'atmosfera era carica di tensione. Vi erano riuniti tutti i potenti coinvolti in quella cupa indagine. Harsnet era vicino alla porta, con aria depressa; Lord Hertford stava dalla parte opposta e si accarezzava la lunga barba con gli occhi sporgenti colmi d'ira. Suo fratello, Sir Thomas, era in piedi accanto a lui a braccia conserte, con il viso corrucciato. Come al solito indossava abiti sgargianti e costosi: un farsetto d'un verde vivace, con le maniche a fessure che mostravano la fodera di seta vermiglia. Cranmer, severo in volto, sedeva al suo tavolo in veste bianca e stola. «Spero di non essere in ritardo, vostra eccellenza.» «Non posso trattenermi a lungo», disse lui. «Devo dedicarmi ad altri impegni.» Appariva teso e ansioso. «Fra questi, cercare di persuadere il Consiglio Privato a consentirmi di far imprigionare e interrogare l'arciprete Benson senza spiegarne il perché.» Rise amaramente. «Quando la maggior parte dei membri farebbe arrestare più volentieri me di lui.» Hertford mi guardò. «Abbiamo chiesto al coroner Harsnet per quale ragione non sia riuscito a trovare quel Goddard, nonostante tutti i mezzi messi a sua disposizione.» «A Londra è facile scomparire», dissi. Harsnet mi rivolse un breve cenno riconoscente. Hertford calò una violenta manata sul tavolo, con un gesto inatteso che ci fece trasalire tutti. «Quest'uomo, però, ha un passato! Deve pur essere arrivato da qualche parte, prima di entrare nell'abbazia: mica sarà spuntato dalla terra come un diavolo dall'inferno?» «Non credo che la sua famiglia sia originaria di Londra», disse Harsnet. «Penso piuttosto che provenisse dalle zone più vicine del Middlesex, del Surrey o del Kent. Doveva essere abbastanza vicino per poter venire

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a Londra a cavallo. Sto ancora facendo ricerche con i funzionari di queste contee, ma occorre tempo.» «Il tempo è ciò che non abbiamo», disse Cranmer. «Ci sono ancora tre coppe da vuotare, altri tre delitti da commettere, e ognuno rende più difficile tenere nascosto ciò che accade.» Cranmer mi fissò severamente. «Mastro Harsnet dice che ritenete che possa esserci un altro sospetto: un giovane che faceva visita alla prostituta di Yarington. Quella che è fuggita», aggiunse, con un'occhiata di traverso ad Harsnet. Per qualunque cosa c'erano rimbrotti per lui: la mancanza di progressi, la fuga della puttana e la sparizione di Lockley. «Il fatto di sapere che Yarington teneva una ragazza in casa propria rende questo visitatore un sospetto», dissi con prudenza, «ma non c'è nulla che lo colleghi agli altri delitti. Inoltre, anche tutti gli indizi contro Goddard sono indiretti.» Guardai nuovamente Harsnet, poi ancora l'arcivescovo. «L'uomo che cerchiamo è intelligente e sembra avere fatto dell'assassinio la missione della sua vita.» «Più come un uomo posseduto dal demonio che come un pazzo», commentò Lord Hertford. Mi domandai se fosse anche lui del medesimo parere di Harsnet. «Non sappiamo che cosa sia», risposi. «Che novità», disse Sir Thomas. «Be', il mondo è pieno di novità.» Fece un rapido sorrisetto cinico. Mi dissi: Questo, per lui, è solo un interessante rompicapo. «Magari dovremmo lasciare che quest'uomo adempia la propria profezia», continuò, «e concentrare le nostre forze nel nascondere i delitti. Quando li avrà commessi tutti e sette, di sicuro si fermerà. Forse crede che allora ci sarà la fine del mondo. Quando non accadrà, magari per lui sarà troppo e si ucciderà.» «Non penso che una persona tanto dedita all'omicidio possa fermarsi», risposi pacato. «Sono d'accordo», disse Cranmer. «E come potremmo permettere che questi abomini continuino?» Tornò a rivolgersi ad Harsnet. «Quanti uomini avete a disposizione, Gregory?» «Quattro.» «E avete fatto girare tra i fratelli radicali i nomi forniti da Cantrell?» «Sì.» «E adesso dobbiamo trovare sia Lockley sia quella ragazza, Abigail», rifletté Cranmer. «Avete bisogno di più uomini. Gente capace di

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condurre queste ricerche. Non oso impiegare uomini del mio personale, ora ci sono delle spie.» «Anch'io debbo essere prudente», convenne Lord Hertford. «Forse vi posso aiutare», disse Sir Thomas. «Ho un seguito pieno di giovanotti in gamba e un buon maggiordomo. Ve ne posso prestare una decina, se siete d'accordo.» Suo fratello e Cranmer si scambiarono un'occhiata. Intuivo che si domandavano fino a che punto ci si potesse fidare di lui, e mi chiesi il motivo di quella sua offerta: magari per lui era un'avventura, una guerra in miniatura contro i turchi. Hertford ebbe un attimo di esitazione, poi annuì. «Molto bene, Thomas», disse Cranmer. «Se poteste metterci, discretamente, a disposizione qualche uomo, ci sarebbe di grande aiuto. Però devono essere alle dirette dipendenze del coroner Harsnet.» Seymour squadrò il coroner. «I miei uomini agli ordini di un impiegato?» «Sì, se vuoi essere anche tu della partita», gli disse bruscamente Lord Hertford. Sir Thomas resse per attimo il suo sguardo, poi fece spallucce. «Ne farò buon uso», disse Harsnet. «Posso mandarli dai gendarmi di tutti i villaggi intorno a Londra... da Barnet a Enfield a Bromley e Surbiton, per sapere se il nome di Goddard è conosciuto.» L'arcivescovo guardò Harsnet. «Forse avrei dovuto organizzare questa squadra prima, darvi più mezzi.» L'osservai non senza rispetto: era inaudito, per chiunque disponesse del potere, ammettere uno sbaglio. Harsnet annuì riconoscente. «E voi, Matthew», aggiunse Cranmer, «continuate a pensare, a spremervi il cervello: è il vostro compito. E mantenete al sicuro voi e i vostri famigliari.» Si portò una mano alla bocca, massaggiandosi il labbro inferiore tra l'indice e il pollice. «Che farà, secondo voi, quando avrà versato le sette coppe?» «Troverà un nuovo tema per uccidere», risposi. «L'Apocalisse ne è piena.» Poco dopo Cranmer pose fine all'incontro, chiedendo ai fratelli Seymour di trattenersi. Harsnet e io percorremmo insieme i corridoi oscuri del palazzo dell'arcivescovo. «Quei nuovi uomini ci saranno molto utili», disse. «Sì», confermai.

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«Cranmer capisce quanto lavoriate duramente», aggiunse. «E sempre molto corretto con coloro che lo servono. Eppure ho l'impressione di averlo deluso, lasciandomi scappare quella cortigiana, e perdendo Lockley. A proposito, ho rilasciato il domestico. Non sapeva nient'altro.» «Commettiamo tutti degli errori, Gregory.» Lui scosse il capo. «Avrei dovuto servirlo meglio. Soprattutto ora, con le pressioni cui è soggetto. Avete visto quanto è turbato e intimorito.» «Nessuna traccia di eresia è stata scoperta fra i suoi dipendenti arrestati?» «No, non c'era niente da scoprire. L'arcivescovo è troppo prudente per assumere uomini che i papisti potrebbero definire eretici.» «Allora forse sarà al sicuro. Senza prove, i suoi nemici non possono andare dal re.» «Non rinunceranno con facilità. E in Parlamento le cose vanno male: la legge per vietare alle donne e ai plebei di leggere la Bibbia fa progressi rapidi. Nonostante ciò, Cristo e i suoi santi otterranno comunque la vittoria finale, come ci è stato detto.» Il suo tono si fece fervente. «La chiesa perseguitata è la vera chiesa.» D'un tratto mi lanciò uno sguardo acceso, da fanatico del Vangelo. «Che novità ci sono su Catherine Parr?» gli chiesi per cambiare discorso. «Non accetterà di sposare il re. Dicono che pensi alla sorte di Catherine Howard; sarebbe meglio che riflettesse sulla volontà di Dio, all'occasione offertale di esercitare un'influenza sul re.» «Come possiamo essere sempre sicuri di quale sia la volontà di Dio?» Harsnet sorrise: la sua severità s'era dissolta in fretta com'era venuta. «Oh, ma si può, Matthew: se si prega. Un giorno lo capirete anche voi, Matthew, ne sono sicuro.» Ritornai lungo la sponda del fiume sino al Ponte di Londra. Superai il punto in cui avevamo trovato il corpo del dottor Gurney. In lontananza vedevo le capanne degli abusivi, dove Tupholme era stato mutilato e lasciato morire. Quel giorno il fiume luccicava di riflessi primaverili, e i canneti dietro il viottolo frusciavano dolcemente alla brezza. Chissà se sarei mai riuscito ad apprezzare di nuovo quel paesaggio. Attraversai il Tamigi, inoltrandomi nelle vie affollate della città. Benché a cavallo mi sentissi molto più sicuro, mentre procedevo non cessavo di guardarmi attorno con circospezione. All'angolo fra Thames

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Street e New Fish Street un paio di mendicanti sedevano all'ombra del nuovo campanile in costruzione: due giovanotti robusti, in abiti cenciosi e cappelli malconci, che osservavano la folla. In mezzo a loro stava una donna, anche lei vestita di stracci, con la testa china. Quando passai sollevò lo sguardo, e vidi che era bella, una ragazza di non più di sedici anni. Incontrò i miei occhi con un'espressione sfiduciata. Pensai ai cavadenti, che avrebbero pagato per distruggerle il viso. Il più alto dei due giovani si accorse che la guardavo. Si alzò e fece un paio di passi verso di me. «Non guardare mia sorella!» urlò, con un accento della campagna. «Chi diavolo credi di essere, una meraviglia nel tuo bel vestito, maledetto gobbo? Dacci dei soldi, ché moriamo di fame!» Spinsi avanti il cavallo, più in fretta che si poteva in mezzo alla ressa. Il cuore mi diede un balzo quando udii il pitocco cercare di seguirmi nella calca, coprendomi di insulti e richieste di denaro. La gente si voltava a osservarlo. «Guardare la gente normale costa, schiena storta!» Sbirciai alle mie spalle: l'amico dell'accattone lo aveva preso per un braccio e lo tirava indietro verso il campanile, nel timore di attirare i gendarmi. Proseguii, rallegrandomi che quell'incontro non fosse avvenuto di notte. Il mattino dopo mi recai alla bottega di Guy. Legai fuori Genesis e bussai alla porta. Reggere in mano le briglie mi aveva fatto nuovamente tirare i punti e mi sarebbe piaciuto farmeli togliere. Fu Guy stesso ad aprire. Non senza mia sorpresa, portava un paio di occhiali dalla montatura di legno. Sorrise della mia meraviglia. «Adesso ne ho bisogno per leggere. Divento vecchio. Di solito me li toglievo quando venivano dei visitatori, ma ho deciso che è un peccato di vanità.» Lo seguii all'interno. Vedere i suoi occhi dilatati dietro le lenti mi rammentava Cantrell e mi domandai come se la stesse cavando a barcollare in giro per la sua miserabile baracca. Guy sedeva al suo tavolo. Il grosso volume di anatomia vi giaceva sopra aperto e rivelava nuove raccapriccianti illustrazioni. Accanto vi erano una penna e un calamaio: Guy prendeva appunti su un pezzo di carta. Mi invitò ad accomodarmi e io presi uno sgabello accanto al tavolo; lui era di fronte a me. Accennò al libro, che avevo evitato di guardare. «Quanto più studio questo testo, tanto più comprendo che cambia ogni cosa.» C'era dell'eccitazione nella voce di Guy. «Tutti i vecchi libri di

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medicina che abbiamo studiato per secoli, Galeno e Ippocrate e gli altri greci e romani, contengono tanti errori. E se sbagliano nell'anatomia, ogni altra cosa che sostengono non potrebbe allora essere messa in discussione?» «Fa' attenzione al Collegio di Medicina, se vai a dire in giro certe cose: per loro, quei libri sono lo Spirito Santo.» «Ma non sono lo Spirito Santo. Sono opera di uomini, nulla più. E sono divenuti lacci e catene, nessuno può discuterli. Perlomeno nel tuo campo ci sono degli sviluppi, dei cambiamenti. I progressi del diritto.» «A dire il vero, al passo di una vecchia lumaca stanca. Eppure sì, ci sono.» «Incomincio a guardare a quei vecchi testi di medicina come a un immenso guazzabuglio di oscurità.» «Si potrebbe dire lo stesso del diritto. Sì, anche noi accettiamo acriticamente gran parte delle conoscenze degli antichi», dissi. «Come il Libro dell'Apocalisse. Tuttavia il popolo ha più che mai bisogno di certezze in questi tempi di tumulto e smarrimento.» «Anche se alcune certezze nuocciono a loro e agli altri. Sai, l'altro giorno, alla sede del Collegio di Medicina, ho sentito di uno di quei fanatici dell'Apocalisse, di quelli che credono ormai imminente l'Armageddon, che s'era rotto una gamba e rifiutava di farsela curare, benché l'osso spuntasse dalla pelle e si stesse infettando. Diceva di essere sicuro che la Seconda Venuta avrebbe avuto luogo prima che lui morisse. Pensava che la sua gamba rotta fosse una prova mandatagli da Dio. Un paradosso, l'Apocalisse», disse. «Quanta influenza ha esercitato sull'immaginario cristiano. Ci credo che molti fossero convinti che l'anno 1000 segnasse la Fine dei Tempi, e stessero sulle colline ad aspettarla. Un libro perverso, perché dice che l'umanità non è nulla, che non vale nulla.» Sospirò, scosse il capo, poi si sforzò di sorridere con tristezza. «Come va il tuo braccio?» «I punti tirano. Vorrei che me li togliessi.» «Sono passati solo cinque giorni», rispose dubbioso. «Fammi vedere.» Sorrise soddisfatto quando mi tolsi toga e farsetto, mostrando il braccio: sembrava pressoché guarito. «Piers ha fatto un buon lavoro, la ferita si è richiusa bene: te la cavi in fretta, Matthew. Sì, credo che si possano togliere. Piers!» chiamò. Evidentemente il ragazzo avrebbe rimosso i punti come me li aveva dati. Il viso di Guy s'illuminò.

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«Sta andando benone: impara con grande rapidità.» Avrei avuto molte domande da fare, ma tenni a freno la lingua; raccontai invece a Guy di Bealknap. «Era andato dal dottor Archer lamentando debolezza e nausee, e lui lo ha purgato e salassato fino a ridurlo al lumicino. Secondo me, potrebbe morire.» Guy sembrava pensieroso. «Temo che potrebbe non essere il primo paziente fatto morire da Archer con certe cure: è il più tradizionalista dei tradizionalisti. Eppure io non dovrei prendere un paziente in cura da un altro dottore.» «Bealknap vuole un secondo parere. Incomincia a capire che Archer lo sta rovinando. Aveva cominciato con debolezze e mal di pancia, ma credo che adesso sia malato sul serio.» «Bealknap. Ricordo questo nome. Ti ha fatto del male in passato, non è vero?» «Sì, è il più gran furfante del Lincoln's Inn. In realtà salderò io la tua parcella, altrimenti dovrai battagliare non poco per farti pagare. Suppongo che faccia aspettare ad Archer il suo denaro.» «Aiuteresti un tuo nemico?» Sorrisi. «Così avrà un debito morale con me: voglio un po' vedere come se la caverà. Non credere che le mie motivazioni siano dovute alla più perfetta purezza.» «Quali lo sono?» Parve triste; poi però sorrise. «Ma credo anche che non ti piaccia assistere alla sofferenza.» «Forse.» Il sorriso mi si spense sul volto quando la porta si aprì ed entrò Piers, lindo nel suo camice blu da apprendista, con la solita, melensa espressione di rispetto stampata sul bel viso. Guy si alzò e gli sfiorò il braccio. «Piers, c'è il tuo paziente. Vuoi portarlo nell'altra stanza?» Piers s'inchinò. «Buon giorno, mastro Shardlake.» Mi levai in piedi non senza riluttanza e lo seguii. Speravo che Guy facesse da supervisore, ma rimase con il suo libro. Nella stanza delle cure, con gli scaffali su cui s'allineavano altri vasi da farmacia, il lungo tavolo e le rastrelliere di strumenti dall'aspetto temibile, Piers sorrise e m'indicò uno sgabello accanto al tavolo. «Vuole scoprirsi il braccio, signore, e sedere qui?» Arrotolai un'altra volta la manica. Piers si volse a studiare gli strumenti di Guy; io osservai la sua ampia schiena nel camice blu. Quando Guy lo

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aveva lodato, poco prima, gli avevo visto negli occhi un'ombra di tormento, come se cercasse di consolarsi con la bravura del ragazzo. Ma che cosa nascondeva? Piers scelse un paio di forbici, le aprì e le richiuse per provarle, poi si rivolse a me con un sorriso deferente; ebbi tuttavia l'impressione di vedergli negli occhi un freddo compiacimento. Lo guardai, apprensivo, mentre si chinava a tagliare i punti neri. Lo fece però con garbo, poi prese un paio di pinzette ed estrasse i fili recisi. Quando finì emisi un sospiro di sollievo: la continua sensazione che mi tirassero, che mi aveva infastidito negli ultimi giorni, era svanita. Piers mi guardò il braccio. «Tutto guarito. E meraviglioso come gli impiastri del dottor Malton impediscano alle ferite di infettarsi.» «Sì, davvero.» «Certo, rimarrà una cicatrice, era un brutto taglio.» «Impari molto dal dottor Malton?» Piers sorrise. «Di gran lunga più che dal mio vecchio maestro, uno di quegli speziali che credevano nelle erbe esotiche preparate dopo avere consultato i calcoli astrologici.» «Un tradizionalista?» «Se avessi l'ardire di dirlo, signore, secondo me non era per niente onesto. Nella sua bottega teneva il corpo mummificato di uno strano lucertolone dalla lunga coda: ne tagliava dei pezzi, li riduceva in polvere e faceva prendere quella polvere alla gente. Siccome quel lucertolone era così strano, i pazienti credevano che avesse grandi poteri.» Sorrise cinicamente, apparendo più vecchio della sua età. «La gente crede sempre nel potere di ciò che è strano e diverso. Ora, però, è bello lavorare con il dottor Malton, che è un uomo onesto, un uomo che ragiona.» «Penso che il tuo vecchio maestro sia morto.» «Si.» Piers tirò giù uno dei vasi, lo aprì e io avvertii l'odore nauseante dell'unguento usato in precedenza da Guy. Piers ne mise un po' sull'estremità di una spatola e con quella me lo spalmò delicatamente sul braccio. «Fu il vaiolo a ucciderlo. La cosa strana fu che non prese nessuno dei suoi medicamenti: penso che non ci credesse neppure lui. Si limitò a mettersi a letto, aspettando di vedere se il vaiolo lo avrebbe ucciso, cosa che in effetti avvenne. Ecco fatto, signore.»

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Trovavo sgradevole il modo freddo e indifferente con cui Piers aveva parlato della morte del suo maestro. «Aveva una famiglia?» «No, eravamo solo lui e io. Il dottor Malton venne e fece ciò che poteva per lui, ma il vaiolo fa il suo corso, no? A volte uccide, a volte lascia deturpati. I miei genitori ne morirono, quando ero bambino.» «Mi dispiace.» «Il dottor Malton è stato per me come un padre e una madre, da quando sono venuto qui.» «Ha detto che ti aiuterà a studiare per diventare medico.» Piers alzò bruscamente gli occhi, forse chiedendosi perché lo interrogassi con tanto interesse: sapeva di non andarmi a genio. «Sì.» Ebbe un'esitazione, poi disse: «Apprezzo tutta la bontà che mi ha dimostrato». «Sì, la sua è una bontà d'una specie rara.» Mi alzai. «Grazie per esserti occupato del mio braccio.» Piers s'inchinò. «Sono felice che vada meglio.» Uscii dalla stanza; lui non mi seguì. Ricordai che aveva ascoltato dietro la porta mentre parlavamo dei delitti, e mi dissi: Guy può essere buono, ma tu non lo sei. Tu sei freddo e calcolatore come un animale da preda. Tu eserciti qualche potere sul mio amico e io scoprirò di che si tratta. Guy leggeva ancora il suo libro vicino alla porta. Mi offrì un bicchiere di vino e mi chiese di vedere il braccio. «Piers ha fatto un buon lavoro», approvò compiaciuto. «Mi domando se possieda quella compassione umana che ci si augurerebbe di trovare in un medico.» «Ha avuto poche possibilità di svilupparla. I suoi genitori morirono quand'era piccolo. E il mio defunto vicino, lo speziale Hepden, lo faceva lavorare duro e gli insegnava poco.» «Mi ha parlato della sua morte. Si direbbe che avesse poca stima di lui.» «Sì, Piers è capace di esprimersi con durezza. Credo però che sia in grado di acquistare quella compassione, ritengo di sapergliela insegnare.» «Dice che per lui tu sei un padre e una madre.» «Dice questo?» Guy sorrise, poi la sua espressione tornò grave. «A che stai pensando?» gli chiesi con garbo.

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«A niente.» Cambiò discorso: «Sono di nuovo andato a visitare Adam Kite. Credo che ci sia un miglioramento: quella guardiana, Ellen, lavora molto con lui. Lo fa mangiare e lavarsi da sé, cerca di strapparlo alla sua ossessione di pregare continuamente». «Sai che è un'ex paziente e che non le è permesso uscire dal recinto?» «No.» Guy parve meravigliato. «Mi sorprende.» «Me lo ha detto lei stessa.» «E buona con Adam, ma molto ferma, e ciò ha avuto un certo effetto. L'altro giorno ha persino parlato, per un minuto, di normali cose quotidiane: ha detto che il tempo era più tiepido, di non avere più tanto freddo. Tuttavia non sono ancora riuscito a fargli spiegare perché avverta un tale senso di colpa. Mi chiedo che cosa gliel'abbia procurato.» «Che dicono i suoi genitori? Ho visto che dopo l'udienza in tribunale sei andato via con loro.» «Dicono di non averne idea e io ci credo.» «Grazie per ciò che fai. Non può essere... facile lavorare con Adam.» Guy sorrise mestamente. «Mi fa pena e insieme mi affascina. Come nel tuo caso con Bealknap, le mie motivazioni non sono del tutto pure.» «Dovrei fare ancora visita ad Adam.» «Andrò a visitarlo nuovamente domattina. Ti andrebbe di accompagnarmi?» «Certamente.» «Non hai l'aria di averne voglia.» «Lo trovo penoso. Soffre talmente tanto... e la mania religiosa mi fa pensare all'uomo cui diamo la caccia, e che dà la caccia a me.» Mi guardai il braccio. «Come fa a credere che le sue azioni sono ispirate da Dio?» «Non ne abbiamo già viste abbastanza, in questi ultimi anni, per sapere che gli uomini possono commettere crudeltà e cattiverie, e ritenersi in pace con Dio? Pensa al re.» «Sì. Credere in Dio e provare compassione per gli esseri umani possono anche essere cose molto diverse. Eppure l'assassino è qualcosa di ancora differente. Quella brutalità ossessiva.» Guardai Guy. «Gli restano ancora tre delitti da commettere, e se ci riesce, non credo che si fermerà. L'ho detto oggi a Cranmer.» «No, un impulso del genere continuerà a spingerlo a uccidere, finché non verrà catturato, o morrà.»

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«Che cosa proverà, se versa le sette coppe dell'ira e il mondo non finisce?» «In questi ultimi anni devono esserci stati molti che credevano di sapere che il mondo sarebbe giunto al termine. Quando ciò non avviene, tornano al Libro dell'Apocalisse in cerca di tracce che sono loro sfuggite. E facile, trattandosi di una storia non ordinata, ma di una serie di narrazioni violente, che offrono diverse alternative di come finirà il mondo. Perciò trovano una nuova formula.» Annuii lentamente. «Mi domando se è un uomo che soffre.» «L'assassino?» Guy scosse la testa. «Non lo so. La mia ipotesi è che l'atto di uccidere per lui rappresenti una specie di estasi, ma forse, a parte ciò, vive un'esistenza di dolore.» «Però lo tiene nascosto... è capace di vivere una vita normale, o simile alla normalità, senza farsi notare.» «Sì. Credo che, fra le varie cose, sia un buon attore.» «È Goddard?» Scossi la testa. «Non lo so. Harsnet continua a credere che sia un indemoniato.» Guy scrollò il capo. «No: è in preda a un'ossessione, e tutte le ossessioni derivano da un malfunzionamento del cervello, non dal demonio.» Serrò le labbra. Perché, mi domandai, ne sei tanto sicuro? Rimanemmo un momento in silenzio. Poi chiesi: «Che succede nell'Apocalisse dopo che sono state versate le coppe? Che cosa viene dopo?» Guy si alzò e andò a uno scaffale, dal quale prese una copia del Nuovo Testamento, che sfogliò fino all'Apocalisse. «Le sette coppe dell'ira si trovano nei capitoli 15 e 16. Già prima c'era stata un'altra versione della fine del mondo, con un succedersi di calamità quando i sette angeli suonano le trombe.» Girava le pagine con le lunghe dita brune. «Grandine e fuoco, una montagna che piomba nel mare; manca però una concentrazione di tormenti inflitti agli uomini come nella storia delle sette coppe. Forse è stato questo ad attrarre l'assassino.» Tacque, poi voltò pagina. «Poi viene il giudizio della Grande Prostituta.» Guy sorrise senza allegria. «Di solito si ritiene che raffiguri l'Impero romano, ma adesso gli estremisti radicali dicono che rappresenta la Chiesa di Roma. E dopo ancora, la guerra nei cieli e la vittoria finale di Gesù.»

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Mi passò il libro. Avevo studiato fino allo sfinimento i passi relativi alle sette coppe, ma ora proseguii la lettura a voce alta: «E vidi una donna seduta sopra una fiera scarlatta piena di nomi di bestemmia, con sette teste e dieci corna». Rammentai il dipinto di quell'essere nella sala capitolare di Westminster. «E la donna era ravvolta d'una veste purpurea e scarlatta [...] E sulla sua fronte era scritto un nome, un mistero: "Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra". [...] La fiera che era e non è, è essa stessa l'ottavo, ed è uno dei sette, e va in perdizione [...] i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio ha ricordato le sue iniquità'.» Posai il Vangelo con un sospiro. «Non ci capisco niente.» «Neppure io.» Sussultammo entrambi con violenza quando bussarono rumorosamente alla porta della bottega. Ci scambiammo un'occhiata. Quando Guy si alzò per andare ad aprire, la porta interna si socchiuse ed entrò Piers: mi chiesi se fosse stato di nuovo a origliare. «Chi è?» chiese Guy. «Sono io, Barak!» Guy spalancò l'uscio. Colsi una fugace immagine di Sukey, legata alla sbarra accanto a Genesis: ansimava, Barak doveva essere venuto al galoppo. Oggi nessuna traccia di ubriachezza in lui, era sobrio e guardingo, con un'espressione dura e seria. Entrò. «C'è stato un altro delitto», disse. «In questo, però, c'è qualche strano mistero. Dottor Malton, potete venire con noi?» *** Capitolo trentuno. «Chi?» domandai. Barak sbirciò Piers, e Guy si volse verso il ragazzo. «Vuoi portare il mio cavallo davanti a casa?» gli chiese. Piers esitò un attimo, poi uscì. Barak distolse lo sguardo da noi; aveva una faccia tesa. «La compagna di Lockley.» «Ha ucciso una donna?» ansimò Guy. «Sir Thomas aveva mandato un uomo a sorvegliare la taverna. E arrivato troppo tardi: l'ha trovata sul pavimento dell'osteria. E stata mutilata. Il messaggio diceva qualcosa di strano, qualcosa a proposito di aria avvelenata. Dobbiamo raggiungere subito Harsnet sul posto.» «E Lockley?»

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«Non so.» Dalla finestra vidi Piers condurre davanti a casa la vecchia cavalla bianca di Guy. Uscimmo. «Posso venire anch'io?» chiese Piers a Guy, mentre montavamo in sella. «No, Piers, devi studiare. Avresti dovuto farlo ieri sera.» L'apprendista mosse un passo indietro, il viso fugacemente percorso da un accenno di irritata contrarietà. «Quanto ne sa quel ragazzo di ciò che succede?» chiesi a Guy mentre percorrevamo speditamente le strade. «Solo che c'è stata una serie di omicidi. Questo dovrebbe vederlo», aggiunse Guy con una punta di asprezza, «mi ha già aiutato a fare delle autopsie. Sa di dover tenere la lingua a posto.» «E tu sai che origlia alla porta», risposi, e Guy non replicò. Cavalcammo rapidi fino a Smithfield e a Charterhouse Square. Il piazzale era deserto, eccetto per due uomini sulla porta della taverna, sotto l'insegna del Green Man. Il primo era Harsnet, l'altro un uomo alto, con la spada, che tossiva in un fazzoletto. Vidi alcuni mendicanti presso la cappella: guardavano da lontano, senza osare avvicinarsi. Ci accostammo e legammo i cavalli alla sbarra vicino a quello di Harsnet. Guy si avvicinò all'uomo alto. «Che avete?» chiese a bassa voce. L'uomo abbassò il fazzoletto. Era tra i venti e i trent'anni, con una barba nera e ben tagliata. Squadrò un momento la faccia bruna di Guy, poi rispose: «Non lo so. Sono venuto due ore fa. Ho bussato, ma non ho avuto risposta». Tossì di nuovo, con violenza. «Le imposte erano tutte chiuse, perciò sono entrato a forza. C'è una donna distesa sul pavimento... è mutilata.» Sputò rumorosamente. «Dentro c'è qualcosa nell'aria, è velenosa, mi brucia la gola.» «Fatemi vedere», disse Guy. Aprì con delicatezza la bocca dell'uomo, guardandovi dentro. «Qualcosa vi ha irritato la gola», disse. «Sedete sul gradino, cercate di respirare bene.» «Era orribile, come se qualcosa di appiccicoso cercasse di togliermi il fiato.» Guardai la porta: la serratura era stata forzata. Quando era uscita, la guardia aveva richiuso i battenti. «Siete entrato?» chiese ad Harsnet.

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«No. Ho solo guardato dentro... un solo respiro è stato sufficiente: è come dice lui, come se qualcosa cercasse di strapparvi la gola.» Guardò Guy. «Come mai siete qui, signore?» «Ero con il dottor Malton quando mi è giunto il messaggio», dissi io. «Il dottor Malton potrebbe essere in grado di aiutarci. Guy, che cosa pensi che sia successo nell'aria?» «C'è un unico modo per scoprirlo.» Trasse di tasca un fazzoletto, se lo portò al naso e spalancò l'uscio. Feci un passo indietro, mentre qualcosa di acido e irritante mi aggrediva le narici. Guy entrò. Con le imposte sprangate l'interno era buio; intravidi una grossa forma chiara, maculata di chiazze scure, giacere sotto lo sportello di servizio aperto. Un corpo. Rapido, Guy si diresse alle imposte e le spalancò. Una ventata d'aria fresca irruppe immediatamente nel locale, insieme con la luce. Guardammo dentro dalla soglia. Vidi che la taverna era tutta sottosopra, con sedie e tavoli rovesciati ovunque. La forma chiara sotto lo sportello di servizio era indubbiamente la signora Bunce, che giaceva a faccia in giù sul pavimento di pietra. Le era stata tolta la cuffia ed erano stati scoperti i lunghi capelli scuri; la veste le era stata sollevata fin sotto le ascelle e la sottoveste, strappata via, era appallottolata sotto uno dei tavoli. Il suo corpo pallido e grassoccio era seminudo, con le braccia legate dietro la schiena da una corda. «Maledizione», si lasciò sfuggire Barak. Vidi le piaghe rosse ai polsi; la povera donna doveva avere lottato per liberarsi; ma i nodi erano stretti. Accanto al viso c'era un altro pezzo di stoffa, con sopra qualcosa di rosso scuro. «Dio mio, che cosa le ha fatto?» boccheggiò Harsnet. Vidi le sue mani serrarsi strette. Guy si avvicinò al cadavere e lo osservò dall'alto. Si fece un rapido segno della croce. Harsnet, che guardava dalla soglia, a quel gesto accennò una smorfia. «Si può entrare, è sicuro», disse piano Guy. «I vapori si sono dispersi. Però tenetevi i fazzoletti su naso e bocca, e fate respiri brevi.» Harsnet, Barak e io tirammo fuori i fazzoletti, avventurandoci cautamente all'interno. «Che razza di roba era quella?» chiese Barak. «Vetriolo», rispose Guy, «in una concentrazione altissima.» Guardammo il corpo. La carne bianca del tronco e delle gambe presentava grossi segni rossi, simili a bruciature. Inorridito, notai che il posteriore della donna era stato per metà bruciato, lasciando una grossa,

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mostruosa ferita rossa. Eppure intorno a lei non c'era sangue: solo una pozza di liquido incolore. «Che cos'è il vetriolo?» chiese Harsnet a Guy. L'aria era molto più pulita, ma rimaneva ancora ad aleggiare un debole odore acido. La sua voce si fece acuta. «Per l'amor di Dio, che cosa le ha fatto»? «Il vetriolo è un liquido che brucia e dissolve qualunque cosa tocchi», rispose cupamente Guy. «È ben conosciuto, gli alchimisti lo fabbricano di frequente per sciogliere la pietra. Credono che possieda poteri speciali perché l'oro è una delle poche cose che non riesce a distruggere. Devono esserci volute ore per ottenere questo, con ripetute applicazioni.» Poi a Guy accadde una cosa che non gli era mai successa prima, per quanto orribile fosse ciò che aveva dovuto esaminare: venne scosso da un brivido violento. Harsnet si chinò sul liquido sotto il cadavere, allungando un dito. «Che cos'è?» «Non toccatelo!» gridò Guy, e Harsnet fece un balzo indietro. Guy estrasse una spatola dalla tasca della toga, servendosene per toccare il liquido. Vi fu un debole sibilo e la spatola prese a fumare. «Vetriolo», disse. «Guardate come corrode il legno. Ha persino intaccato le lastre di pietra.» «Se è velenoso», chiesi, «come ha fatto l'assassino a trattenersi qui per ore?» «Sospetto che fosse notte, e ha tenuto aperte quelle grosse imposte che danno sul cortile. Anche così, avrebbe avuto bisogno di passare dalla finestra.» Barak guardava attraverso lo sportello di servizio. Su un ripiano di scolo c'erano ciotole e boccali di peltro; altri erano nel mastello. Sembrava che l'assassino fosse arrivato subito dopo la chiusura dell'osteria; o magari era stato uno degli ultimi avventori. «Janley!» chiamò Harsnet. Restio, l'uomo entrò, fissando a occhi sbarrati il cadavere mutilato. «Frugate il resto della casa», ordinò Harsnet. «Avanti!» Con una mano alla spada, Janley aprì una porta che conduceva alle stanze interne, varcandola non senza riluttanza. «Dov'è Lockley?» balbettai. «E lui l'assassino?» «Forse Lockley è stato ucciso anche lui. Magari è in un'altra stanza», disse Barak. Sudava, e si asciugò la fronte. «E il quinto angelo versò la sua coppa sopra il trono della fiera», citai dal Libro dell'Apocalisse, dai capitoli che ormai conoscevamo tutti. «E

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il suo regno divenne tenebroso; e si mordevano la lingua per il dolore. E bestemmiavano il Dio del cielo per i loro dolori e le loro ulcere, e non si ravvidero delle loro opere.» Guy si chinò con cautela, rigirando il corpo martoriato, e si lasciò sfuggire un gemito. Mi forzai a guardare il volto della signora Bunce. La parte inferiore era coperta di sangue; non dimenticherò mai i suoi occhi sbarrati, sporgenti dalle orbite nell'orrore dell'estrema agonia. Guy le tastò la mandibola, poi prese la spatola e sfiorò delicatamente il pezzo di stoffa accanto al suo viso, con sopra quella cosa rossa. Prese un angolo della stoffa e la ricoprì. «Che...?» domandai. «La lingua. L'ha imbavagliata con questo pezzo di stoffa mentre la torturava. Poi, alla fine, gliel'ha tolto. Per adattarsi a quel versetto che parla di lingue morsicate, le ha tirato fuori la lingua e vi ha richiuso di scatto la mandibola sopra.» Tastò il viso flaccido. «Sì, nel farlo le ha spezzato la mascella. Poco dopo che era morta: il cuore, probabilmente, ha ceduto.» «Che razza di essere potrebbe fare una cosa del genere a una donna?» chiese Harsnet, incredulo. «Non è la prima persona che ha torturato a morte», disse Barak. «L'ortolano fu tagliato a pezzi e lasciato morire. Ma questo è anche peggio.» «Quando la Bibbia parla del trono della fiera», disse Harsnet, «intende un luogo dominato dal male, non un... un posteriore umano. Questo è uno scherzo ripugnante e blasfemo, una facezia del demonio.» Ci voltammo tutti quando dalla porta interna ricomparve Janley. «Non c'è niente», disse. «Il resto della casa sembra in ordine.» «E stato Lockley?» domandò Harsnet. Barak mi guardò. «Dopo tutto, sembra che l'assassino sia proprio lui.» «Non si può ancora dire. Ammettiamo pure che conosca gli specifici, ma le cognizioni giuridiche mostrate dalla lettera a Roger? Non avrei detto che Lockley fosse uno capace di scrivere una lettera corretta.» «E allora dov'è?» sbottò Harsnet, profondamente turbato dall'orribile spettacolo. «Lockley sparito e la signora Bunce morta», dissi con calma. «Goddard sparito e Cantrell aggredito. I tre che lavoravano all'infermeria di Westminster.» «È stato sicuramente Goddard ad assalire gli altri due», disse Harsnet.

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Scossi la testa. «Potrebbe egualmente essere stato Lockley ad assalire Goddard e Cantrell. Il corpo di Goddard potrebbe essere nascosto da qualche parte.» «Quella donna non aveva lavorato all'infermeria», disse Harsnet. «Non era neppure una donna devota, da quanto mi avete detto.» Gettò uno sguardo su quel cadavere raccapricciante, poi si rivolse a Janley. «Per l'amor di Dio, copritela!» Il giovane, verde in faccia, prese il fazzoletto, spiegandolo sul volto devastato di Ethel Bunce. Le atroci ferite sul corpo rimanevano però esposte. Guy andò a prendere la sottoveste dove era stata gettata dall'assassino e se ne servì per coprirla. «Fate parte della casa di Thomas Seymour?» chiesi a Janley. «Sì, sono il responsabile della sua scuderia.» «Di sicuro non vi aspettavate un orrore del genere.» «No, signore. Ero stato mandato a fare la guardia alla taverna.» Scoppiò in una risata un po' isterica. Mi girai verso Barak. «Penso che dovremmo perquisire a fondo la casa. Andiamo, cominciamo dalle stanze in cui abitavano.» * * * Salimmo la stretta scala di legno. Sopra c'erano due camere da letto. Quella dove Lockley e la signora Bunce dormivano insieme aveva un modesto letto a rotelle. Non c'era altro mobilio, tranne un grosso baule pieno di abiti femminili. «Povera disgraziata», disse Barak mentre vi frugavamo dentro. «Credo che l'abbia uccisa Lockley. Non può essere stato Goddard.» «Perché no?» «Perché avrebbe dovuto sorvegliare l'osteria, scoprire i loro orari abituali e se qualcun altro viveva qui. Non mi sembra che ci fosse un altro modo per farlo, se non venirci come cliente; ma se fosse stato Goddard Lockley l'avrebbe riconosciuto, e di sicuro ce l'avrebbe detto.» «Abbastanza logico», osservai. Guardai i modesti abiti logori e le larghe sottovesti che Barak aveva disteso sul letto. La violazione dell'intimità di quella povera donna che giaceva dabbasso pareva un'ulteriore umiliazione inflittale. «Su, mettete via quella roba. Vediamo che c'è nell'altra stanza.» La seconda camera da letto conteneva sedie rotte e altre cianfrusaglie, e un secondo baule, chiuso da un lucchetto. Lo feci forzare da Barak, con l'abilità che aveva acquisito nei giorni in cui lavorava per Cromwell.

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Dopo un paio di minuti ne sollevò il coperchio, rivelando stavolta abiti da uomo; in fondo, però, c'erano alcune scatole di legno. Barak le tirò fuori e le aprì. Una conteneva due sterline in monete assortite, l'altra qualche gioiellino da poco prezzo. Nella successiva, tuttavia, c'era qualcosa di molto diverso: un blocco di legno dotato di cerniera, a forma di mascella umana, con fori nei quali si potevano infilare dei denti. «Che diavolo è 'sta roba?» chiese Barak. «Un blocco di legno per metterci i denti», risposi tranquillamente, prendendolo. «Ricordate che Tamasin ci disse che il cavadenti gliene aveva mostrato uno? Incastrano i denti in quelle aperture, poi lo inseriscono in bocca alla gente. Al Lincoln's Inn c'è la moglie di un vecchio avvocato che ha i denti finti, ma la dentiera non le si adatta bene e continua a caderle.» «Magari potrebbe provare qualcuna di queste», disse Barak. Aveva aperto le rimanenti quattro scatole, tutte contenenti dentiere di differenti misure. «A che gli servivano?» chiese, incredulo. «Lockley non era un barbiere-cerusico, no? Aveva lavorato per uno di loro, ma se n'era andato.» Rigirai fra le mani quegli sgradevoli oggetti di legno. Non vi erano mai stati applicati i denti, non c'era traccia di colla nei fori. Nella mia mente alcune immagini si combinarono fra loro, qualche pezzo del rompicapo finì per adattarsi. «No», dissi a bassa voce, «non lo era. Credo che fosse qualcosa di diverso. Adesso capisco che cosa tenevano tanto segreto. Muoviamoci, dobbiamo andare dall'arciprete Benson. Portate le scatole.» Lo precedetti al piano inferiore. Guy e Harsnet erano entrambi seduti a un tavolo segnato dalle tracce circolari di un centinaio di boccali di birra. Harsnet appariva nervoso, Guy stanco e teso; Janley era alla finestra, a osservare il cortile della taverna. Harsnet alzò gli occhi. «Niente?» chiese. «Sì», risposi. «Bisogna andare dall'arciprete...» Fui interrotto da un improvviso, sordo fragore, mentre le lastre di pietra ci tremavano sotto i piedi. Harsnet spalancò gli occhi. «Che succede, in nome di Dio?» «Questo posto è collegato con il vecchio sistema fognario di Charterhouse», risposi. «Devono avere di nuovo aperto le chiuse.

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Capitò già quando venimmo la prima volta. Dovremmo ispezionare la cantina, da qualche parte potrebbe esserci un passaggio sotterraneo.» «Aiuterò padron Janley a dare un'occhiata», disse Barak, posando sul bancone le scatole dei denti. Diedi uno sguardo al cadavere. «Che ne farete?» chiesi ad Harsnet. «Lo farò mettere nelle mie cantine a Whitehall, con Yarington.» Mi guardò angosciato. «E farò passare la cosa sotto silenzio.» Annuii. «Perché avete detto che dobbiamo andare dall'arciprete?» «Credo di sapere che cosa ci tiene nascosto.» «Abbiamo trovato la cantina», disse Barak dall'interno della casa. «C'è una botola di metallo in corridoio.» «Vediamo che c'è là sotto», dissi. Andai nel corridoio lastricato di pietra, seguito da Harsnet. Barak aveva sollevato lo sportello e guardava giù. C'era una scala a pioli. Dal basso saliva aria fredda. Janley comparve con una lanterna contenente una candela accesa. Barak trasse un profondo respiro. «Bene, diamo un po' un'occhiata.» «Siate prudente», dissi. Nella cantina, tuttavia, non c'era nulla da vedere. Il lume della candela mostrava solo nude lastre di pietra e barili allineati contro la parete. Barak e Janley trovarono un'altra botola, che conduceva giù nelle fognature. Janley l'aprì, e avvertimmo una zaffata di odor di fogna. «Dobbiamo scendere?» chiese, sbirciando nervosamente nell'oscurità. «No», rispose Barak. «Ascoltate.» S'udiva un rumore d'acqua corrente, dapprima fioco, poi d'un tratto più forte quando a Charterhouse qualcuno aprì le chiuse, per scaricare altra acqua in eccesso. L'edificio venne nuovamente scosso, e una ventata d'aria puzzolente fu spinta su per la cantina e attraverso la botola presso la quale ci trovavamo. «C'è moltissima acqua», disse Barak da sotto. «Con tutta questa pioggia, è più che probabile che gli stagni di Islington siano talmente pieni da straripare», osservò Harsnet. Barak e Janley si arrampicarono fuori, e rientrammo nello stanzone. Guy, inginocchiato presso il cadavere, si levò in piedi con pagliuzze e polvere sulla toga. Aveva pregato. «Che cosa ci nasconde Benson?» chiese Harsnet. «Ve lo dirò per strada. Noi...»

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S'udì un colpetto alla porta d'ingresso, debole ed esitante. Ci scambiammo un'occhiata. «Avanti!» rispose Harsnet, e la porta si aprì. Entrò un'anziana coppia, non priva di nervosismo. Erano entrambi bassi e mingherlini, con i capelli grigi: povera gente. Fissarono noi, poi la cosa sul pavimento. La donna si lasciò sfuggire uno strillo e corse fuori. L'uomo si voltò per seguirla, ma Harsnet lo richiamò indietro. Attraverso l'uscio aperto si vedeva la donna tremare sui gradini. «Chi siete?» chiese bruscamente Harsnet. «Abitiamo nell'alloggio accanto», rispose l'uomo con voce esile. Si strofinò nervosamente le mani. «Abbiamo sentito un rumore, volevamo sapere che cosa succedeva.» «La signora Bunce è stata uccisa. Mastro Lockley è scomparso. Sono mastro Harsnet, coroner aggiunto del re.» «Oh.» «Per cortesia, riportate dentro vostra moglie. Desidero interrogarvi.» «E sconvolta», disse l'uomo, ma lo sguardo di Harsnet era inesorabile. Il vecchio uscì e fece rientrare la moglie, che si aggrappava a lui, distogliendo lo sguardo dal corpo. «Riteniamo che sia successo stanotte, dopo la chiusura della taverna», dissi. «Avete sentito qualcosa?» Il vecchio guardava Guy, con il suo volto bruno e la lunga toga da medico, quasi chiedendosi come fosse spuntato in quel luogo. «Stanotte?» ripetè impaziente Harsnet. «Ci fu un sacco di chiasso, all'ora di chiusura.» «Quando?» «Chiudono a mezzanotte. Eravamo a letto, il rumore ci ha svegliati. Sembrava che volassero i tavoli. Però adesso in questa bettola ci viene gentaglia, i pitocchi della cappella, quando hanno qualche soldo. Sapevamo che Francis se n'era andato. Ethel era fuori di testa, in piazza chiedeva a tutti se l'avevano visto. Le piaceva comandare lei, povera Ethel.» Diede un'occhiata intorno nello stanzone, quindi posò lo sguardo sul cadavere sotto il drappo. «L'ha ammazzata qualche ubriaco?» «Sì. Avete sentito niente più tardi, nella notte?» «No.» La donna prese a piangere. «Oh, vi prego, lasciateci andare via di qui...» «Tra un minuto. Conoscevate bene la signora Bunce e padron Lockley?»

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«Abitiamo accanto alla taverna da dieci anni. Conoscevamo mastro Bunce prima che morisse, con lui la casa era tranquilla. Era un uomo di Dio.» «Che intendete dire?» domandai. Il vicino evitò di guardarci, sembrava sulle spine. «Solo che faceva parte di una di quelle congregazioni radicali. Se gli parlavate per un po', finiva sempre con il tirare fuori la Bibbia e la salvezza.» Harsnet pareva incredulo. «Eppure teneva una taverna?» Il vecchio alzò le spalle. «Credo che si fosse convertito dopo averla comprata. Era questa che gli dava da vivere. E, come ho detto, la teneva in perfetto ordine. Niente bestemmie o risse.» «E di domenica chiudeva», aggiunse la moglie. Guardò il corpo sotto la stoffa e si fece il segno della croce. «Ethel passò tempi brutti: una donna che cerca di mandare avanti da sola un'osteria.» «Quando si mise con Lockley?» «Francis? Arrivò circa due anni fa. Prima lo assunse come sguattero, poi si misero insieme.» Scosse la testa. «Certe volte pensavo che Eddie Bunce doveva rivoltarsi nella tomba: Ethel che s'era messa con un ex monaco.» «Non tentò di portare mastro Lockley nella congregazione di suo marito?» La donna scrollò nuovamente la testa. «No, dopo la morte di Eddie non sentimmo mai più parlare di verità della Bibbia, e la taverna cominciò ad aprire di domenica. Lei deve avere abbandonato la chiesa.» «E ha cominciato ad accettare una clientela più chiassosa», aggiunse tetro il marito. Harsnet e io ci scambiammo uno sguardo: dunque la signora Bunce era un'apostata da una congregazione radicale, come le altre vittime. «Quale chiesa frequentava mastro Bunce?» chiese Harsnet. «Clerkenwell. Quei radicali farebbero bene a stare attenti, con il vescovo Bonner alle calcagna.» «La signora Bunce aveva dei parenti, che voi sappiate?» «No, signore. Non li conoscevamo bene.» Tornò a fissare il cadavere. «Era una brava donna, Ethel, anche se Francis era un po' orso. Per quanto vivessero nel peccato.» «Vorremmo venire al funerale», disse la moglie.

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Il vecchio ci guardò. «Per favore, signore, che cosa è successo? Lo chiediamo solo perché non sappiamo se siamo al sicuro. Ci sono parecchi malandrini in giro.» «Non correte alcun pericolo», rispose Harsnet, «ma è tutto ciò che posso dirvi finché non avremo svolto ulteriori indagini. Nel frattempo, ogni cosa deve restare sotto silenzio. Non dite a nessuno che la signora Bunce è morta: potrebbe intralciare la nostra inchiesta.» «Ma come...» «Manterrete il silenzio, ve lo ordino in nome del re. D'ora in poi qui sarà messa una guardia. Grazie per il vostro aiuto», concluse, con il tono di porre fine al colloquio. «Poveracci», disse Harsnet scuotendo il capo, dopo che il vecchio ebbe condotto fuori la moglie. «Muoviamoci, Matthew, se dobbiamo andare a Westminster. Voglio sapere che cosa avete scoperto. Janley, voi rimanete sul posto, chiudete la porta e tenete alla larga i ficcanaso. Disporrò che il corpo venga portato via.» «Posso andare a casa?» chiese Guy. «Sì», rispose asciutto Harsnet. Era chiaro che Guy continuava a non andargli a genio, e che non si fidava di lui: per molti sarebbe stato a causa del suo colore, ma per Harsnet ero certo che fosse per via della religione. Uscimmo tutti, e tutti avvertimmo un immediato sollievo nel trovarci fuori da quel luogo pauroso. Sostammo sui gradini, scrutando il piazzale vuoto. Lontano, sul lato opposto, vidi una carrozza scortata da quattro cavalieri fare il suo ingresso nel cortile di Catherine Parr. «Un visitatore per Lady Catherine», dissi. «Magari è l'arcivescovo.» «Se è lui, Iddio lo assista. La vera religione ha bisogno dell'aiuto di Lady Catherine», rispose Harsnet. Scese i gradini, slegando il proprio cavallo dalla sbarra. Feci per imitarlo, ma Barak mi toccò un braccio. «E adesso?» chiese. «Che cosa capita quando viene versata la sesta coppa?» Fu Guy a rispondere: «L'Apocalisse parla di grandi acque disseccate: l'Eufrate». «Come farà quell'assassino a commettere un delitto che ne sia simbolo? Asciugherà il Tamigi?» «Un modo lo troverà», risposi cupamente. «Comunque sia, troverà qualche sistema per torturare a morte un altro povero infelice. Jesu sa come.»

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*** Capitolo trentuno. Guy tornò a Smithfield insieme con noi; lì giunto, svoltò a sinistra e proseguì verso la città, con un arrivederci. «Ci vediamo domattina a Bedlam, Matthew? Sarò là alle nove.» Accettai l'appuntamento, poi rimasi un attimo a guardarlo, una sagoma solitaria sulla strada di campagna; mentre cavalcava, si notava quant'era curvo. «E adesso, Matthew» disse Harsnet, «Che avete trovato? Che c'è in quelle scatolette portate da Barak?» Gli dissi ciò che credevo. Lockley aveva dei segreti da mantenere, l'arciprete anche, e forse anche Cantrell. «Magari dovremmo parlare prima con Cantrell», suggerì Barak. «Vedere se conferma.» «Gli parleremo dopo», rispose di malumore Harsnet. «Voglio subito un confronto con l'arciprete.» «Voi potete tornare a casa, Jack», dissi. «Da Tamasin.» Lui scosse la testa. «No, voglio vedere come va a finire.» Mi guardò e mi avvidi che, al pari di Harsnet e me, era rimasto profondamente colpito da quanto era stato fatto alla signora Bunce. «Se solo avessimo potuto salvarla...» disse. Entrammo a Westminster. Era sabato, il Parlamento e i tribunali erano chiusi, e c'era poca gente in giro. Bottegai e venditori ambulanti ci guardavano passare, e uno o due ci chiamarono, ma li ignorammo. Nel santuario superammo un grosso carro carico di assi di legno tagliate da poco, ancora odorose di resina nell'aria fetida della città. I portali della cattedrale erano chiusi, ma dall'interno udimmo provenire un'eco di inni: senza dubbio il coro preparava una cerimonia. «Chissà dov'è l'arciprete», dissi. «Andiamo nel suo alloggio.» Entrammo in Dean's Yard, varcando il muro di cinta del cortile interno dell'abbazia, e ancora una volta legammo i cavalli di fronte alla bella casa antica in mezzo alla confusione dei cantieri edili. Interrogato il domestico, apprendemmo che l'arciprete sarebbe stato occupato nella cattedrale per l'intera giornata. Harsnet gli mandò un messaggio, chiedendogli di raggiungerci per una questione urgente, che poteva

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riguardare la sua incolumità personale. «Questo lo farà correre», disse, mentre il domestico filava via, lasciandoci a sedere nell'atrio. Poco dopo udimmo dei passi avvicinarsi lungo il vialetto del giardino. Entrò l'arciprete con il fiatone: doveva essersi precipitato appena ricevuto il messaggio. Ci guardò irritato. «Che succede adesso, in nome del Cielo?» domandò. «Perché dite che sono in pericolo?» «Possiamo parlare nel vostro studio?» «Molto bene», sospirò l'arciprete e ci precedette lungo il corridoio, con un fruscio della tonaca. Dopo qualche passo, però, si volse a squadrare contrariato Barak, che ci seguiva portando le scatole di Lockley. «E voi pretendereste di portare il vostro servo in un colloquio con me?» mi chiese con alterigia. «Stavolta viene anche Barak», rispose Harsnet, fissando l'arciprete con durezza: ci eravamo accordati in precedenza. «Ha qualcosa da mostrarvi.» L'arciprete guardò le scatole portate da Barak, fece spallucce e proseguì. Una volta nel suo studio, Harsnet informò l'arciprete dell'assassino di Ethel Bunce, della scomparsa di Lockley e dell'aggressione a Cantrell. «Vedete quindi», concluse, «che l'assassino sembra ora riservare le sue attenzioni a quanti avevano un legame con l'infermeria.» «E perché mai questo dovrebbe mettermi in pericolo?» L'arciprete guardò le scatole in grembo a Barak e d'un tratto si lasciò sfuggire un gemito: doveva avere intuito che cosa potevano essere, ci avrei scommesso. «C'è un nesso fra voi e loro», dissi io. «A mio avviso, qualcosa più del semplice fatto che voi esercitavate un'autorità sia sull'infermeria dei monaci sia sull'ambulatorio dei laici. Ritengo che sia questo ciò che nascondete.» Barak aprì le scatole, mostrando le dentiere. Dal modo in cui l'arciprete sgranò gli occhi e si accasciò nella poltrona seppi che i miei sospetti erano fondati. «Lasciate che vi dica io ciò che ritengo sia accaduto», esordii con calma. «Goddard era solito somministrare un narcotico per addormentare i pazienti da operare. Nel frattempo si diffuse, fra i ricchi, la moda di portare denti finti, applicati su basi di legno. Di solito i denti si ottenevano da persone giovani e sane, preferibilmente una chiostra completa. Di recente la moglie di mastro Barak dovette farsi estrarre un

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dente, e il cavadenti le propose di farseli togliere tutti, offrendosi di pagarglieli bene.» «C'è qualche senso in questa storia?» domandò con rabbia l'arciprete; i suoi occhi, tuttavia, non cessavano di fissare le scatole. «Non so quanto spesso vi spingete fin nelle parti del monastero ormai abbandonate, ma per due volte ho incontrato un vagabondo che gironzola per gli edifici, chiedendo a chiunque stia ad ascoltarlo se sa dove siano finiti i suoi denti... in bocca non ne ha uno. Certo, è uno squilibrato, ma mi domando che cosa lo abbia ridotto in quello stato. Forse qualcosa fattagli qui? Forse gli furono cavati i denti, dopo che gli fu somministrato un narcotico? Magari furono controllati perché le loro dimensioni corrispondessero a una delle scatole da noi trovate nel baule di Lockley. Uno dei motivi per i quali i cavadenti trovano tanto difficile convincere la gente a cedere volontariamente i propri denti, sia pure a caro prezzo, è il dolore dell'estrazione. Ma alla povera gente che veniva qui per far curare le sue malattie si poteva offrire una dose di narcotico per rendere indolore l'estrazione.» La stanza era immersa nel silenzio. Da qualche parte all'esterno ebbe inizio un fragoroso martellare, che fece sussultare l'arciprete. Trasse un gran respiro. «Se Goddard e Lockley, e per quanto ne so io anche Cantrell, facevano qualche traffico nell'infermeria, io non ne ero a conoscenza. E che cosa ha a che fare tutto ciò con la vostra caccia all'assassino?» «Ci occorre sapere tutto, arciprete. E dal modo in cui avete guardato quelle scatole, è chiaro che per voi non sono una novità.» Un secondo martello si aggiunse al primo. L'arciprete chiuse gli occhi. «Che rumore», sussurrò. «Quel rumore interminabile. Come potrei riuscire a pensare?» Riaprì gli occhi, senza però guardarci, e respirò a fondo. «Mi congratulo con voi, avvocato superiore Shardlake. Sì, avete ragione. Nel 1539, quattro anni or sono, appresi che Goddard invitava i pazienti dell'ambulatorio dei laici a vendere i denti. La moda dei denti falsi incominciava allora, e s'era accordato con il barbiere-cerusico di Westminster. Un uomo di nome Snethe, all'insegna del Bloody Growth. Compra denti, e a quanto ho sentito anche altre cose.» Respirò di nuovo con uno sforzo, quindi proseguì: «Lockley lavorava con Goddard. A quel tempo tutti sapevano che il futuro dei conventi era segnato, e molti monaci cercavano di mettersi economicamente al sicuro in svariati

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modi. Questo fu il modo scelto da Goddard, per conservare il suo tenore di vita anche se il monastero fosse stato chiuso. Immagino che Lockley si sia bevuto la sua parte». «Come lo veniste a sapere?» «Me lo disse il giovane Cantrell. Lavorava nell'infermeria dei monaci e aveva poco a che fare con l'ambulatorio dei laici, ma venne a sapere che cosa accadeva, avendone udito parlare un giorno Goddard e Lockley. Goddard gli ordinò di stare zitto o avrebbe passato dei guai, ma Cantrell sospettava che uno o due di quelli che Goddard e Lockley narcotizzavano per estrarre i loro denti non si fossero più svegliati.» «Bastava pronunciare il nome di Goddard per terrorizzare Cantrell», dissi. Benson proseguì: «Lord Cromwell mi aveva detto di scoprire qualunque scandalo avvenisse, per servircene nel caso avessimo bisogno di esercitare pressioni sui monaci per farli cedere». Ci fissò nuovamente. «Sì, anche voi tutti avete lavorato per lui, perciò non avete motivo di fare i virtuosi con me. Mi disse di permettere che ciò che facevano continuasse, in modo da poter tendere loro una trappola, se necessario, e far scoppiare uno scandalo. Tuttavia preferiva che il monastero venisse chiuso pacificamente e con discrezione, senza scandalo, perché tale era la volontà del re. E fu ciò che feci.» «Goddard sapeva che Cantrell vi aveva informato?» «No. Non gli dissi mai che ne ero al corrente.» «Dunque potrebbero essere morte altre persone?» chiese Harsnet. «Forse. Ero agli ordini di Lord Cromwell. Come voi tutti sapete, i suoi non erano ordini che si potessero trasgredire alla leggera.» Si sporse in avanti: aveva riguadagnato sicurezza in se stesso. «Il re non gradirebbe uno scandalo a Westminster, neppure adesso. Obbedivo a Lord Cromwell perché allora chi comandava era lui, ma non mi andava a genio il suo estremismo radicale in campo religioso. Sapevo però che avrebbe finito con lo spingersi troppo oltre e i suoi nemici nel Consiglio l'avrebbero fatto cadere. Cosa che avvenne. E ora si torna a una maggior moderazione.» «Dunque voi seguite il vento», disse Harsnet. «Meglio seguire il vento che tirare calci al vento.» Benson puntò un dito tozzo contro il coroner. «Il re non sa nulla di tutto ciò, vero? Dell'assassino che cercate? Ho udito certe dicerie. .. oh, molto discrete,

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non vi preoccupate. Il re non sarebbe lieto di sapere che l'arcivescovo Cranmer lo ha tenuto all'oscuro di qualcosa: non in questo momento, quando già tante sono le voci che si levano contro di lui.» Si voltò verso di me. «La vostra indagine non procede a dovere, eh? Si direbbe che siate andato a invischiarvi in una brutta faccenda, mastro schiena storta. Mica vorrete contrariare il re una seconda volta, no?» Harsnet si rivolse a me, ignorando Benson. «Questo dove ci porta? L'assassino è forse qualche pazzo tra i loro ex pazienti?» «Ne dubito», risposi. «Erano poveracci, gente da nulla. Eppure qualche legame c'è, ci dev'essere.» «E Goddard», disse Harsnet. «Sceglie vittime che conosce.» Guardò l'arciprete. «Ci avete detto tutto?» «Ora sì. Parola di arciprete di Westminster.» «So quanto valore abbia», ribatté Harsnet con voce piena di disprezzo. Benson lo fulminò con un'occhiata, poi si rivolse a me. «Sono al sicuro?» chiese. «Non credo che corriate rischi», risposi. «Finora, tutt'e cinque le vittime avevano avuto legami con il radicalismo religioso, per poi allontanarsene. Però voi, mi pare, avete sempre seguito la corrente», azzardai. «Sono un uomo pratico, come avete detto prima, mastro gobbo.» Quando fummo usciti, Harsnet scosse il capo. «Non abbiamo fatto passi avanti», dissi. «Almeno sappiamo quanto spietati, e indubbiamente crudeli, sapessero essere Lockley e Goddard. Ma perché Benson non ci aveva parlato prima di quel traffico? Sa di essere al sicuro», aggiunse con amarezza. Non risposi. Pensavo che il modo aggressivo con il quale fin da principio Harsnet aveva trattato l'arciprete non aveva giovato: si era lasciato dominare dalla propria avversione per quell'uomo. A volte, quando si ha a che fare con i politicanti, si deve dissimulare e fingere amicizia, come loro. «Perché non ce ne ha parlato neppure Cantrell?» chiese Harsnet. «Aveva troppa paura, direi. Parlarne con Benson non dovette giovargli molto. Faremmo meglio ad andare a sentire che cosa ci dice adesso. Possiamo lasciare qui i cavalli.» Indicai la porta nelle mura, che immetteva in Dean's Yard. «Ecco, vive laggiù. La parola più adatta, però, sarebbe 'vegeta'.»

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Uscimmo, attraversando la strada in direzione della bottega fatiscente. «Non vedo guardie», disse Harsnet. «Conoscendolo, potrebbe essersi rifiutato di averne.» «Allora bisogna fargliele accettare.» «Sono d'accordo.» Attraversata la strada, bussammo all'uscio. Dopo un momento Cantrell aprì. «Siete di nuovo voi, signore», disse, senza entusiasmo. Scrutò Harsnet attraverso gli occhiali. «E questo chi è?» «Sono il coroner aggiunto di Londra», rispose Harsnet, abbastanza cortesemente. «Mastro Shardlake lavora con me. Vogliamo vedere come state. Speravamo di trovare una guardia alla porta.» «È sul retro.» «Possiamo entrare?» Le spalle di Cantrell si afflosciarono stancamente mentre, Harsnet per primo, lo seguivamo lungo il corridoio ammuffito sino al salotto. La stanza puzzava ancora di sporco e di cibo scadente. Facemmo il nostro ingresso nella camera sudicia; vidi che la finestra sul cortile era stata riparata. Fuori un uomo robusto, armato di spada, sedeva su una vecchia scatola, mangiando pane e formaggio. Cantrell lo indicò con un gesto. «Insisteva. Non voglio un uomo in casa. Può starsene lì fuori.» Mi guardai attorno nel salotto. Sul pavimento accanto al tavolo c'era un piatto rotto, con la minestra che gocciolava sulle assi dell'impiantito. «Il mio pranzo», disse tetramente Cantrell. «L'ho fatto cadere quando avete bussato. Ho cercato di posarlo sul tavolo, ma ho sbagliato mira.» «Dovreste far vedere i vostri occhi», dissi. «Ricordo di avervi detto di conoscere un medico che vi avrebbe visitato senza farsi pagare.» Decisi di pensare io alla parcella di Guy: se lo facevo per Bealknap, potevo farlo anche per il povero Cantrell. Quest'ultimo mi squadrò. Mi chiesi come apparissero i suoi occhi senza gli occhiali, da quale disturbo fossero affetti. Rimase un momento in silenzio, poi disse: «Ho paura, signore. Ho paura che mi dica che diventerò cieco». «Oppure potrebbe dire che magari vi servono occhiali nuovi. Lasciate che vi fissi un appuntamento.» «Per quanto tempo dovrò avere quell'uomo qui, a farmi la guardia?» chiese di malumore. «Potrebbe esserci bisogno di lui ancora per qualche tempo», rispose Harsnet. «Debbo dirvi che Francis Lockley è scomparso, e la donna con

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la quale conviveva è stata uccisa. L'uomo che ha fatto irruzione in casa vostra... potrebbe essere stato Lockley?» Cantrell ci fissò a bocca aperta per lo sbalordimento. «No, non era Francis. Lui era basso, e l'uomo entrato qui era alto. Il dottor Goddard era alto.» «Con un grosso neo su un lato del naso, come ha detto l'avvocato superiore Shardlake?» «Sì.» «E con una ferita alla testa, dopo che voi lo colpiste con quel bastone», aggiunse non senza soddisfazione Barak. «Non lo so, non lo so», rispose Cantrell con un'improvvisa petulanza. «Perché dovete venire tutti qua, a farmi domande? Non capisco che cosa succede, voglio soltanto essere lasciato in pace.» Harsnet lo guardò per un momento senza parlare, attirando la sua attenzione. «Siamo appena stati dall'arciprete Benson», disse. «Ci ha rivelato il losco traffico di Goddard e Lockley. Ci ha detto che foste voi a denunciarli.» «Perché non ce lo avete riferito?» chiesi io. Cantrell si accasciò su uno sgabello, completamente stremato. «E per questo che il dottor Goddard ce l'ha con me?» domandò. «Perché l'avevo denunciato?» «L'arciprete Benson non lo disse mai a Goddard», dissi. «Ma voi perché non me ne avete parlato?» «Un gran bel vantaggio ebbi, la prima volta che glielo dissi. Ho sempre sospettato che Goddard avesse intuito ciò che avevo fatto, anche se non vi fece mai cenno; dopo, però, la sua lingua sembrava più tagliente che mai.» Il giovane sospirò profondamente. «Non è mica un vantaggio cercare di fare le cose giuste. Meglio essere lasciati in pace.» Levò su di noi quei suoi grossi occhi indistinti dietro le lenti. «Non era solo ai pazienti che strappavano i denti, sapete. Tra mendicanti e venditori ambulanti girava la voce che c'era da farsi dei soldi senza dolore, per i giovani che avevano denti buoni. Molti sani venivano in ambulatorio.» Pensai d'un tratto alla donna giovane e graziosa che avevo visto il giorno prima. «Il dottor Goddard aveva un'ampia scelta. Mi stupiva sempre che nessuno delle autorità ne fosse al corrente, dato che i poveri lo sapevano tutti. Ma ai pitocchi nessuno bada, no?» Ricadde nel silenzio, a fissare il pavimento. «Dirò due parole alla guardia.» Harsnet guardò Cantrell, scosse la testa e uscì dalla porta sul retro. Parlò brevemente con l'uomo, poi rientrò.

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«Non c'è stato nulla di sospetto, da quando è qui. Però non gli fa piacere essere costretto a restare fuori casa: deve persino dormire nel ripostiglio, pieno di vecchi rottami. Perché non lo fate entrare, padron Cantrell?» «Voglio stare da solo», ripetè quest'ultimo. Temetti che scoppiasse a piangere. Posai una mano sul braccio di Harsnet, che mi seguì fuori dal salotto. In corridoio mi voltai indietro verso Cantrell. «Parlerò con il mio amico medico, vi fisserò un appuntamento.» Non rispose, limitandosi a guardare in terra. Fuori, Harsnet scosse nuovamente il capo. «Che puzza, in quel posto. Avete notato quant'erano sporchi i suoi abiti?» «Sì, è ridotto male. Povero diavolo.» «Da ciò che sembra, è come Adam Kite», disse Barak. «Lo aiuterò, se possibile», risposi. «Voi aiutereste tutti i matti di Londra. Vi faranno diventare matto come loro.» «L'avvocato superiore Shardlake desidera soltanto aiutarli», ribatté Harsnet in tono di rimprovero. Mi strofinai il braccio, per un'improvvisa fitta alla ferita. «Come va il vostro braccio?» chiese Harsnet. «M'ero scordato di chiedervelo.» «Molto meglio, ma mi sono appena stati tolti i punti. Spero che quella guardia conosca il suo mestiere: non voglio perdere anche Cantrell.» Harsnet mi sbirciò. Intuii che, al pari di Barak, anche lui riteneva che mi lasciassi coinvolgere troppo nelle disgrazie del giovane ex monaco. «E abbastanza in gamba. È l'ultimo uomo che avevo a disposizione; se avremo bisogno di qualcun altro, dovremo fare affidamento su Sir Thomas Seymour», sospirò sonoramente. «Alla fine, sarà come Iddio vuole.» Harsnet tornò nel suo ufficio nella vicina Whitehall, mentre Barak e io rientravamo a cavallo lungo lo Strand. Era ormai tardo pomeriggio, e le ombre si allungavano. «Che è successo in quell'osteria la notte scorsa?» chiese Barak. «L'assassino è Lockley, e uccidere sua moglie fa parte del piano? Se è così, di sicuro l'avrebbe lasciata per ultima, come settima vittima, per non farsi scoprire fin d'ora.» «Non me lo vedo come colpevole. Non ha l'intelligenza fredda e spietata che deve avere l'assassino. A meno che non sia un buon attore. Guy dice che l'assassino deve recitare per la maggior parte del tempo,

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essere in grado di fingersi normale.» Scossi la testa. «Ma Lockley come potrebbe saperne abbastanza di legge da scrivere quella lettera per Roger?» «Non lo so. Però non ci vedo neppure Goddard: non suona giusto, in ogni caso.» «Sono d'accordo. Il dottor Goddard dà sempre più l'impressione di un uomo ossessionato dal denaro e dalla condizione sociale, non dal sentimento religioso.» Barak ghignò sinistramente. «A differenza del nostro puro fratello, il coroner Harsnet.» «Non è così malvagio: ha alcune buone qualità.» «Sembra che cerchi di convertirvi, di far diventare anche voi un uomo di Dio», sbuffò. «Come si fa a credere in un Dio misericordioso dopo quello che s'è visto in quella taverna?» «Suppongo che qualcuno sosterrebbe che Dio concede all'uomo il libero arbitrio, e se costui ne abusa è opera sua, non di Dio.» «Provate a dirlo alla signora Bunce.» Mentre svoltavamo in Chancery Lane ricordai di avere accettato di andare a vedere come stava Adam Kite. E dovevo chiedere a Guy di passare a dare un'occhiata a Cantrell. Capivo i timori del giovane: e se Guy gli avesse detto che avrebbe finito con il perdere del tutto la vista? Portammo i cavalli nella stalla, poi entrammo in casa. Appena aperta la porta, Joan discese frettolosamente la scala. «La domestica di Dorothy Elliard, Margaret, è venuta a portare un messaggio», disse. Il cuore mi balzò improvvisamente in gola. «Le è successo qualcosa?» «No, sta bene. Ma ha in casa sua mastro Bealknap, che è crollato sulla sua porta. Margaret dice che sta per morire.» «Bealknap?» domandai, incredulo. «Ma se conosce a malapena Dorothy.» «Così diceva il messaggio, signore. È arrivato mezz'ora fa. Margaret ha chiesto che andaste appena tornato.» «Ci vado subito.» Aprii la porta e ripercorsi svelto il vialetto, camminando a passo rapido intorno al Lincoln's Inn, dove, al cadere della sera, le candele si accendevano alle finestre. Margaret mi fece entrare, con la faccia tonda colma di ansietà. «Che succede?» chiesi.

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«Nel primo pomeriggio ho sentito bussare alla porta, signore, e quando ho aperto ho trovato quell'uomo, in toga da avvocato, accasciato sulla soglia. La padrona ha detto al cuoco di metterlo a letto. Diceva che voi lo conoscevate...» «Sono quassù», disse Dorothy, dall'alto del salotto. «E meglio che torni da lui, signore», disse Margaret. «Sta male, proprio male.» Si affrettò via in un frusciare di sottane. Salii nel salotto, dove Dorothy era accanto al caminetto, a studiare la parte scolorita del fregio ligneo. «Devo far rifare quel pezzo. L'avevano riparato così male che mi dà ai nervi, adesso che passo tanto tempo qui seduta.» Era pallida, e compresi che faceva uno sforzo per rimanere calma. «Grazie per essere venuto, Matthew.» «Che è successo? Perché Bealknap è qui?» «Margaret l'ha trovato accasciato sulla soglia di casa, che chiedeva aiuto. Mi ha chiamata. Giaceva lì bianco come uno straccio e rantolava.» Nella sua voce c'era un lieve tremito, e capii che quella vista doveva averle ricordato Roger disteso presso la fontana. Dannato Bealknap, pensai. «Margaret ha detto che lo hai messo a letto.» Dorothy allargò le braccia. «Che altro avrei potuto fare? Diceva che stava morendo, chiedeva aiuto. Anche se lo conoscevo poco e non mi andava a genio più di quanto piacesse a te.» «Conosceva una donna che non lo avrebbe respinto.» Aggrottai la fronte. «Penserò io a lui.» «Matthew», disse a bassa voce Dorothy, «non essere troppo duro con lui, sta molto male.» «Vedremo.» Avevano messo Bealknap in una stanza da letto: da una racchetta da tennis da scolaretto su un cofano di legno intuii che era la vecchia stanza di Samuel. Margaret era china sul letto, tentando di far bere qualcosa da una tazza a Bealknap, che giaceva in camicia. Rimasi colpito dal suo aspetto macilento: al lume della candela sul comodino la sua faccia sul cuscino era di un pallore mortale. Era tuttavia lucido e mi fissò a occhi sbarrati, atterrito.

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Margaret si volse verso di me, con aria costernata: anche lei aveva visto il corpo di Roger. «Cerco di fargli bere un po' di birra leggera», mi spiegò. «Lasciateci soli», dissi con gentilezza. Lei posò la tazza e uscì dalla stanza. Guardai Bealknap. Era curioso vederlo così rinchiuso in se stesso, e insieme così indifeso. I capelli giallastri, scompigliati, gli si diradavano, scoprendo una larga chiazza di calvizie sul cocuzzolo. Un po' di birra gli era colata intorno alla bocca. Appariva del tutto impotente, e i suoi occhi fuori delle orbite dimostravano che lo sapeva. «Perché siete venuto qui?» gli chiesi a bassa voce. «Sapete quanto ha già sofferto questa casa.» «Sapevo... che la signora Elliard... era ancora qui.» La sua voce era fioca, il respiro rantolante. «Sapevo che era buona. Non ho... nessun altro... che mi aiuti.» «Chiunque assisterebbe un collega avvocato che sta male.» «Non me. Mi odiano tutti.» Sospirò e per un attimo chiuse gli occhi. «Sono finito, Shardlake. Non posso più mangiare, il cibo non fa altro che passare attraverso di me. Il dottor Archer dice che l'ultima purga avrebbe esaurito i suoi effetti, ma non è stato così. E a volte perdo sangue, perdo sangue di sotto.» Sospirai: «Farò venire il dottor Malton a visitarvi qui». «Credo che sia troppo tardi. Mi si annebbia la vista, mi sento sempre debole.» Con uno sforzo gravoso sollevò dalle coltri una mano scarna, afferrandomi il polso. Cercai di non trasalire a quel gesto inatteso. «Non ho mai creduto in Dio», sussurrò, sempre fissandomi con uno sguardo agonizzante. «Non più, da quando ero piccolo. Il mondo è un campo di battaglia, non ci sono altro che predatori e prede. Le leggi e le convenzioni del diritto non fanno che dissimulare questo fatto. Ora, però, ho paura. I cattolici dicono che se alla fine si confessano i propri peccati e ci si pente, si verrà accolti da Dio in paradiso. Ho bisogno di un prete, uno di quelli vecchi.» Trassi un profondo respiro. «Farò subito chiamare il dottor Malton, magari conosce un sacerdote che vi confesserà. Io però credo, Bealknap, che una cura adeguata potrebbe guarirvi. Manderò Margaret.» Cercai di risollevarmi, ma lui mi stringeva ancora il polso, con una presa sorprendentemente forte. «Voi siete un credente, vero?» mi chiese.

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Esitai. «Io... non ho certezze. Non ne ho più, da qualche tempo.» Mi parve stupito. «Avevo sempre creduto che lo foste. Tutte le vostre preoccupazioni per le regole e la morale, il modo con cui mi guardavate dall'alto in basso, mi facevano pensare che foste uno di quei baciapile.» «No.» «Allora, perché aiutarmi adesso? Quando in realtà mi odiate. Io vi ho fatto delle cattiverie; mi guardavate come se fossi un pidocchio, anziché un uomo.» Un fugace lampo di collera gli balenò negli occhi smorti. «Siete pur sempre un altro essere umano.» Bealknap parve riflettere un momento. Si morse un labbro, scoprendo lunghi denti gialli. Poi disse: «Forse il prete non arriverà... in tempo. Posso confessare a voi almeno un unico peccato, dirvi che cosa ho fatto. Ma non so perché me lo chiese...» «Che intendete dire, Bealknap? Voi vaneggiate.» Chiuse gli occhi. «Fu circa due settimane fa. Dopo che mi faceste perdere la causa con quel contadino della palude. Il giorno seguente, venne da me in studio un uomo. Il suo nome è Colin Felday.» S'interruppe per rifiatare. «E un legale, gironzola dalle parti del santuario di Westminster in cerca di clientela, e io sono uno degli avvocati ai quali la procura. Non è un uomo rispettabile, uno di quelli che a voi non andrebbero a genio.» Si sforzò di ridere, ma quel suono gracchiante si trasformò in tosse. Aprì di nuovo gli occhi, colmi di paura e di dolore. «Disse di avere un cliente che avrebbe pagato una bella cifra per le informazioni che avrei potuto dargli sul vostro conto.» «Che genere di informazioni?» «Qualunque potessi fornire. Sulle vostre abitudini lavorative, la vostra abitazione. Persino su che tipo di uomo foste. Anche riguardo al vostro assistente, Barak. Gli dissi che eravate un rigido moralista, inacidito dalla sorte che vi aveva fatto gobbo. Dissi che eravate un avvocato testardo, come un dannato terrier. E non stupido.» Cercò nuovamente di ridere. «Oh no, quello mai.» Lo guardai fissamente. Era l'assassino, doveva essere lui. Ecco in che modo era venuto a sapere di me: il suo awocaticchio aveva probabilmente scritto a Roger per suo incarico. «Chi è il cliente di Felday?» chiesi bruscamente. «Qual è il suo nome?» «Disse di non poterlo rivelare, solo che era un vostro nemico. E questo per me bastava.» Adesso i suoi occhi ardevano di collera: la sua poteva

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anche essere una confessione, ma capivo che in lui non c'era autentico pentimento, solo una terribile paura di fronte alla morte imminente. «Credo che il cliente di Felday abbia ucciso cinque persone», dissi. «Gli sto dando la caccia, e lui dà la caccia a me. A me ha squarciato un braccio e ha conciato male la moglie di Barak.» Gli occhi di Bealknap si fecero sfuggenti. «Non lo sapevo. Nessuno può farne una colpa a me.» Sorrisi sarcastico, a quella ricomparsa del vecchio Bealknap: allora capii che se la sarebbe cavata. «Dove abita Felday?» chiesi. «In quegli alloggi da poco vicino alla cattedrale. Addle Hall.» «Manderò a chiamare Guy», dissi a bassa voce. «E cercherò un prete.» Bealknap annuì debolmente, senza riaprire gli occhi. La confessione lo aveva lasciato stremato, o forse adesso non poteva reggere il mio sguardo. Lo lasciai, chiudendomi silenziosamente la porta alle spalle. Dorothy sedeva nella poltrona accanto al fuoco, Margaret davanti a lei su uno sgabello. Apparivano entrambe esauste. «Margaret», dissi, «potreste tornare a sedervi da lui? Secondo me sarebbe bene che bevesse qualcosa.» «Morirà?» chiese Dorothy dopo che Margaret fu uscita. «Non lo so. Lui crede di sì. Farò venire qui Guy. Bealknap vuole anche un prete, uno che lo confessi.» Lei fece una risatina priva di allegria. «Bealknap non mi ha mai dato l'impressione di essere un credente alla vecchia maniera, o in qualunque altro modo, tranne che nel riempirsi le tasche.» «Direi che per lui sia una specie di assicurazione.» Scossi la testa. «È uno strano uomo. Si sa che nel suo studio tiene sotto chiave un grosso cofano pieno d'oro, ma niente moglie, niente amici, soltanto nemici. Che cosa lo ha ridotto così?» Anche Dorothy scosse il capo. «Chi può dirlo? Be', spero che viva, non desidero un'altra morte in questa casa. Grazie per essere venuto, Matthew», sorrise. «Margaret e io... non sapevamo che fare. Non riuscivamo neppure a pensare.» «Non mi meraviglia, date le circostanze.» Si alzò. «Lascia almeno che ti offra qualcosa. Scommetto che non hai ancora mangiato nulla.» «No, ho una cosa urgente da fare.» «A proposito di quei delitti?» «Sì, una possibile traccia.»

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Mi venne vicino, e mi prese una mano. La guardò. «Hai fatto tanto. Sembri più stanco che mai.» «Credo che potremmo essere prossimi al termine del cammino.» «Vedere quel Bealknap disteso sull'uscio di casa, bianco come un morto, mi ha fatto tornare alla mente tutto. Quando ho visto il corpo di Roger.» D'un tratto scoppiò in singhiozzi e si coprì il viso con le mani. Dimentico di me stesso, la presi fra le braccia. «Oh, Dorothy, mia povera Dorothy...» Levò verso il me il volto rigato di lacrime, guardandomi negli occhi. Ebbi la sensazione che se in quel momento l'avessi baciata, avrebbe risposto. Ma poi Dorothy sbatté le palpebre facendo un passo indietro, con un sorriso triste. «Povero Matthew», disse in fretta, «che per aiutarmi corri da Erode a Pilato.» «Qualunque cosa sia in mio potere, in qualsiasi momento.» «Lo so», rispose sottovoce. M'inchinai e me ne andai. Mi arrestai sul gradino della soglia, d'improvviso sopraffatto dall'emozione. Dorothy provava qualcosa per me, adesso lo sentivo. Guardai verso Gatehouse Court. Era buia, tranne poche luci alle finestre. Trassi un gran respiro, e mi avviai verso casa a passo svelto. Avrei mandato Peter a chiamare Guy. Adesso Barak e io avevamo un altro compito, trovare Felday. Il cuore, che già mi batteva rapido, pulsava più forte ancora e le gambe mi tremavano un po', al pensiero che forse, alla fine, avevamo trovato la strada per arrivare all'assassino. *** Capitolo trentatre. Mi recai a casa in fretta. Quando entrai mi sentii improvvisamente stanco. Per un momento rimasi appoggiato contro la porta, respirando affannosamente. Poi salii le scale, per andare in camera di Barak e Tamasin. Bussai, e la voce di Barak rispose di entrare. A prima vista la loro era una pacifica scenetta domestica: Tamasin cuciva seduta al tavolo, mentre Barak stava disteso sul letto. Pareva rilassato, ma poi notai una lieve ruga che gli attraversava la fronte, e faceva dondolare su e giù un piede. «Jack», dissi, «temo di avere bisogno di voi per un po'.» «Non un altro!» rispose, sgranando gli occhi.

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«No.» Tamasin ci guardava ansiosa. Feci un sorriso rassicurante. «Va tutto bene. Dobbiamo solo andare a sbrigare una faccenda.» «Che è successo?» chiese Barak mentre scendevamo le scale. Sembrava lieto di essere chiamato all'azione, ora che sapeva che non s'andava a contemplare un'altra vittima torturata. Gli narrai della confessione di Bealknap riguardo all'avvocato Felday. «Voi andate a bere con qualcuno di quegli awocatucoli intrallazzatori», dissi. «Lo conoscete?» «Me lo hanno indicato», rispose Barak. «Un tipo magro, con una faccia appuntita. Pesca la maggior parte dei suoi clienti dal santuario di Westminster, laggiù lo conoscono bene.» Mi guardò gravemente. «I miei amici dicevano che farebbe qualunque cosa per denaro. E non sono santi, quelli.» Mi arrestai in fondo alla scala. «Dobbiamo andare subito a cercarlo. Se quel suo cliente è l'assassino... e chi altro avrebbe fatto domande come quelle sul nostro conto?... finalmente possiamo beccarlo.» Sulla soglia esitai. «Ci dovremmo portare dietro anche Harsnet?» «Dovremmo andare subito da Felday», rispose Barak. «Cogliere l'occasione al volo.» «Sì, è l'opportunità migliore che ci sia stata offerta finora.» Il viso di Barak s'indurì. «Dunque è così che quel maledetto ha saputo dove abito, ed è stato informato che voi lavorate alla Corte delle Suppliche. Probabilmente ci ha seguiti ovunque.» «Eccoli, i poteri soprannaturali conferiti dal demonio. Niente di soprannaturale nel mandare un procuratore disonesto a cercare informazioni presso un avvocato disonesto. E deve avere denaro, se può permettersi di ingaggiare come spie un procuratore e un avvocato.» «Non sappiamo ancora come riesca a seguirci senza farsi individuare.» «Lo scopriremo presto.» «Che farete con Bealknap?» «Manderò Peter a cercare Guy.» «Io l'avrei lasciato marcire.» «Non in casa di Dorothy. Andiamo.» Passai in cucina. Philip Orr era seduto al tavolo, con un boccale di birra fra le mani e uno sgabello che scricchiolava sotto il suo peso mentre parlava ai due ragazzi, Timothy e Peter, seduti ai suoi piedi. «E quando il re entrò in città», diceva in tono drammatico, «non avreste visto nulla di simile a Sua Maestà. Un uomo grande e grosso, più alto di tutta la testa di ogni cortigiano e servitore che lo seguiva. I gioielli gli

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brillavano sul cappello e sul farsetto; accanto a lui c'era la regina Anna Bolena, che più tardi si scoprì ch'era una perfida baldracca...» Appena entrai si affrettò ad alzarsi; anche i due ragazzi saltarono in piedi. «Scusate, signore», disse Orr. «Gli stavo raccontando di quand'ero gendarme della città...» «Benissimo. Però ho un lavoro per Peter. Vieni», dissi al ragazzo più grande, «scriverò un biglietto. Voglio che lo porti a Bucklersbury più svelto che puoi.» Guardai Timothy. «Non sarebbe ora che tu fossi a letto?» «Sì, signore.» Ero lieto di vedere Peter e Timothy a fianco a fianco. Negli occhi di Timothy, prima così spenti, c'era adesso una luce nuova. «Allora buona notte», dissi. Peter ci seguì. Andai in salotto, scrissi in fretta un biglietto per Guy e lo affidai al ragazzo, che corse fuori. «Bene», dissi a Barak. «Andiamo un po' a vedere che cosa ha da dire per discolparsi mastro Felday. Addle Hill non è lontana. Portatevi la spada.» Percorremmo a passo rapido Fleet Street, in direzione delle mura urbane. La guardia, vedendo la mia toga da avvocato, ci fece passare. La massa imponente della cattedrale di St Paul altro non era che una grande forma scura davanti a noi; era notte fonda: le nubi nascondevano la luna, e annusavo nell'aria odore di altra pioggia. «Tu e Tamasin sembravate sereni, poco fa.» «Cerco di comportarmi bene. Però non è facile, con questa faccenda che mi ronza di continuo nella testa.» «Andrà tutto bene.» Quando svoltammo in Carter Lane scorgemmo dell'animazione di fronte a noi. Due gendarmi tenevano per il colletto un uomo in abiti cenciosi. «Voglio solo dormire sulla soglia», disse quest'ultimo, «sta per piovere di nuovo.» «E allora bagnati!» I gendarmi lo pungolarono con la punta dei bastoni, mandandolo a barcollare in mezzo alla strada. «Fuori dai piedi, cane rognoso!» Il vagabondo se ne andò e i gendarmi, udendo i nostri passi, si voltarono verso di noi. «Sono un avvocato, vado da un procuratore», dissi, quando sollevarono le lanterne. S'inchinarono e ci lasciarono passare. Addle Hill era una lunga strada che portava giù verso il fiume. All'inizio le case erano grossi fabbricati a quattro piani dai cornicioni

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sporgenti, di aspetto malandato. Costruite com'erano sul fango del Tamigi, con gli anni non poche s'erano spostate e inclinate, e alcune sembravano sul punto di crollare. Una donna ci sbirciò dalla soglia di una porta, poi tornò a confondersi con le tenebre. «Un bel po' di puttane, qua attorno», disse piano Barak. «Però nessun altro. Dovremo andare a bussare a parecchie porte, per trovarlo.» Un gruppetto di ombre si avvicinava lungo la strada, alcune con lanterne, parlando fra loro a bassa voce. Un uomo e una donna si staccarono dal gruppo, diedero la buona notte ed entrarono in una delle case. «Possiamo chiedere a quella gente», disse Barak. «Scusatemi», dissi, ponendomi di fronte al gruppo. Un vecchio sollevò la lanterna. Vidi che lui e quelli alle sue spalle indossavano vesti scure e avevano con sé copie della Bibbia: dovevano essere di ritorno da qualche assemblea. Gli chiesi se sapesse dove abitava un procuratore legale di nome Felday. Lui scosse la testa, ma si fece avanti un giovane. «Lo conosco», disse. Notò la mia toga da avvocato. «E un vostro informatore, signore?» «Faccio un certo lavoro con lui.» «Non gode di grande stima presso il vicinato», rispose con disapprovazione il giovanotto, che non doveva avere più di vent'anni. «È noto per essere disonesto e poco religioso.» Nel gruppo vi fu un mormorio di consenso. Scrutai corrucciato il giovane. «Il mio lavoro è affar mio», risposi seccamente. «Allora, avreste la carità cristiana di dirmi dove abita?» Il giovane annuì dispiaciuto, poi indicò giù per la collina. «Una mezza dozzina di case più in giù, a destra, la casa con la porta blu.» «Grazie», risposi brusco, andandomene per la mia strada. Il gruppo ripartì. «Ha parlato in modo poco religioso, Thomas» disse uno di loro, abbastanza forte perché sentissi. «Si è riferito alla carità cristiana con leggerezza.» Barak si volse a guardarli. «Ancora baciapile», disse. «Mai che si lascino scappare un'occasione di far pesare a qualcuno che i loro pensieri sono più puri dei suoi.» «Hanno del fegato a girare in gruppo a quel modo, di notte, con Bonner che dà loro la caccia.» «Magari sperano di diventare martiri, come la metà di quei baciapile.» «A destra, troviamo Felday», dissi, con un profondo sospiro.

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La casa che ci era stata indicata era meno squallida delle altre: la porta blu era stata verniciata di recente. Provai la maniglia, ma era chiusa a chiave. Bussai più volte prima che l'uscio venisse aperto da una donna sulla trentina. «Sì, signori?» chiese con un sorriso. «Cerchiamo mastro Felday.» Il suo sorriso si trasformò subito in cipiglio. «Voi e parecchi altri», disse. «Non c'è da giorni, e devo sempre aprire la porta a gente che lo cerca.» «Magari potremmo andare nel suo appartamento. Dove si trova?» «Primo piano, a sinistra. E ditegli, quando lo trovate, che prima di andarsene un'altra volta, lo faccia sapere. Non è compito dei vicini aprire la porta ogni cinque minuti», ci urlò dietro mentre ci affrettavamo a salire la scala. Al primo piano c'era un ampio pianerottolo, sul quale si affacciavano due porte. L'ambiente era simile all'Old Barge, dove abitavano Barak e Tamasin, ma più spazioso e pulito. Bussammo forte alla porta di sinistra. Nessuna risposta. Barak tentò la serratura, ma era chiusa a chiave. «Dove accidenti s'è cacciato quel maledetto?» chiese. «Credete che se la sia svignata?» «Non lo so.» Esitai un attimo, poi dissi: «Forzate la porta». Barak mi guardò perplesso. «Ne siete sicuro? Questa è violazione di domicilio.» «Abbiamo l'appoggio di Cranmer, se qualcuno ci crea delle noie.» «Prima ci serve un po' di luce. Vado a chiedere una candela a quella donna.» Ridiscese la scala, mentre io osservavo la porta chiusa, domandandomi se facesse parte degli accordi dell'assassino con Felday - ero certissimo che l'assassino era un suo cliente - rendersi irreperibile per qualche tempo, nel caso che cercassi di risalire fino a lui seguendone le tracce. Barak tornò con una candela. «Ho idea che quella donna di sotto sia una cortigiana d'alto bordo: ha chiesto se l'avvocato desiderava farle visita. Le ho risposto che ci avreste pensato», sogghignò, ma sotto lo scherzo avvertivo la tensione. «Allora rimarrà delusa. Datemi la candela, ed entriamo.» Barak fece un passo indietro, poi sferrò un calcio potente alla serratura. La porta si spalancò con fracasso, sbattendo contro il muro. Dentro,

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solo il buio, e un'inattesa corrente d'aria fredda. Posi la mano a coppa davanti alla candela, per proteggerne la fiamma. «Da qualche parte c'è una finestra aperta», dissi. «Se se n'è andato potrebbe avere lasciato aperta la finestra per dare aria all'alloggio, che puzza un po'.» Barak estrasse la spada e c'inoltrammo cautamente. Parecchie porte si affacciavano sull'ingresso: una era semiaperta, e la corrente d'aria proveniva da lì. Barak protese la spada, e l'aprì delicatamente con la punta dell'arma. Dentro intravidi una parete coperta di scaffali. Sotto la finestra aperta c'era un grande scrittoio, e la mia mano s'irrigidì sul pugnale quando scorsi la sagoma di un uomo giacervi accasciato sopra. Indossava una camicia bianca; un braccio era posato su un fascio di carte, e un angolo del primo foglio tremolava al soffio lieve della brezza. Entrammo. Barak punzecchiò leggermente con la punta della spada l'uomo riverso, che non reagì. Avvicinai la candela, facendogliene piovere sulla testa la luce. Era giovane, non più di trent'anni, con folti capelli scuri e un viso bello, affilato, dai lineamenti delicati. Aveva gli occhi chiusi e un'espressione serena: sembrava essersi addormentato. «È Felday», disse Barak. Vi fu un movimento nella stanza. Entrambi ci voltammo di scatto, e Barak puntò la spada verso un angolo; poi scoppiò in un'aspra risata nervosa, nell'accorgersi che era solo il margine di un arazzo a colori vivaci, scosso dalla brezza. «Jesu, il cuore m'è saltato fino in bocca», disse. «Anche il mio.» Si avvicinò alla finestra e la chiuse, poi si servì della candela per accendere la lampada sul tavolo. Prese quindi delicatamente l'uomo per le spalle, sollevandolo contro lo schienale della poltrona. Non fu impresa da poco, perché la parte frontale della camicia era una massa di sangue, sparsosi sul tavolo e coagulatosi. Barak posò la spada e lacerò la camicia aperta dell'uomo: trasalii alla vista di una larga ferita da pugnale nel petto, proprio all'altezza del cuore. «Perlomeno questo poveraccio è morto in fretta», disse sottovoce Barak. «Una pugnalata al cuore, non deve neppure essersi accorto di che cosa lo colpiva.» Mi guardò. «È la sesta vittima?»

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«No», risposi piano. «Questo è un delitto commesso alla svelta e semplicemente, non come gli altri. Non vedo legami simbolici con il prosciugamento delle acque.» «Intendete dire che Felday è stato ammazzato da qualcun altro?» chiese sbalordito Barak. «No, credo che sia stato il nostro assassino», risposi pacatamente. «Ma non come parte del progetto. Penso che Felday sia stato ucciso perché avevamo trovato una via che conduceva a lui, oppure perché aveva parlato», sospirai. «Bealknap aveva detto a Felday che sono ostinato.» Guardai l'infelice Felday. «Credo che l'assassino sia venuto da lui, come un cliente dal suo legale. Probabilmente stavano seduti al tavolo a chiacchierare, quando gli ha piantato il pugnale nel cuore.» In effetti, proprio di fronte a dove sedeva Felday si trovava una sedia vuota. Guardai nuovamente il viso curiosamente sereno del procuratore. «A quanto si dice, Felday non era un uomo devoto. Meglio per lui: se fosse stato un apostata, sarebbe senza dubbio entrato a fare parte del piano, e sarebbe morto in modo lento e spettacolare.» Mi aggirai cautamente nella stanza. «Non voleva che Felday fosse trovato presto: ecco perché ha lasciato la finestra aperta, per mantenere la stanza fredda ed evitare che l'odore della morte si diffondesse troppo rapidamente per la casa.» «Direi che è morto da qualche giorno», disse Barak. «Va già in putrefazione, da vicino si sente l'odore. Dio, se è furbo quel bastardo.» «Forza, aiutatemi», dissi. «Voglio frugare lo scrittoio ed esaminare tutte queste carte. Vedere se c'è qualche traccia: un appunto, una ricevuta, qualunque cosa.» Per un'ora rovistammo nello studio del legale, e nel rimanente del piccolo alloggio ben tenuto. Fuori era ricominciato a piovere forte, l'acqua scrosciava sui ciottoli e grondava dai cornicioni. Tuttavia in mezzo alle carte non trovammo nulla, solo un riquadro vuoto di polvere su uno scaffale da cui erano state asportate alcune carte, probabilmente gli appunti di Felday sul suo lavoro di spionaggio. La traccia s'era raffreddata. *** Capitolo trentaquattro. Tornammo a casa. Mandai un messaggio ad Harsnet, poi consumai una tetra cena per conto mio. Barak non volle prendere nulla. La morte di

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Felday, a così poca distanza da quella della signora Bunce, era troppo da sopportare. Fui quasi lieto di venire interrotto più tardi durante la serata, dall'arrivo di uno dei clienti di Roger, in preda a una grande agitazione. Era mastro Bartholomew, che aveva messo in scena la rappresentazione teatrale al Lincoln's Inn. Erano passate appena tre settimane, eppure sembrava già un'eternità. Due attori della sua compagnia erano stati arrestati una settimana prima, per detenzione di commedie proibite di John Baie. Mentre per conto proprio cercava di tenersi alla larga dalle controversie religiose, Bartholomew aveva scoperto che molti di coloro che lavoravano per lui adesso non avevano voglia di essere messi in relazione con lui: tale era il clima di paura che si stava diffondendo a Londra. «Il mio fornitore di costumi non vuole più procurarmeli per la prossima recita, e un falegname che doveva costruire gli scenari s'è tirato indietro. Si tratta di una rappresentazione del Castello della Perseveranza in casa del sindaco, giovedì prossimo. Quelli infrangono i contratti, non c'è nulla che possa fare? Di solito mi sarei rivolto a mastro Elliard, ma, dopo la sua morte...» Gli risposi che poteva fargli causa, ma non in tempo per salvare la recita. Poteva soltanto provare a persuaderli. Mastro Bartholomew se ne andò scuro in volto, ma meno agitato, per fare nuovi tentativi con i fornitori. Sulla soglia guardò fuori, nella pioggia che cadeva daccapo a dirotto, e si sollevò il cappuccio del mantello. Quindi si voltò verso di me. «Nessun progresso nelle indagini sull'assassinio di mastro Elliard, signore? Ho sentito dire che l'inchiesta è stata aggiornata, per permettere al coroner di indagare.» «Temo proprio che non ci siano ancora novità.» Scosse la testa. «E forse non ce ne saranno. Ecco che cosa succede, se non si acchiappa alla svelta un assassino: non lo si acchiappa più.» Se ne andò. Mi chiesi, se lui, o chiunque altro della cittadinanza avesse saputo la verità sulla storia, che razza di panico si sarebbe mai creato in una città così nervosa. Il mattino dopo mi recai a Bedlam di buon'ora. Avevo passato una notte agitata, svegliandomi di continuo per il rumore della pioggia, e cavalcavo stanco, di umore nero, mentre Genesis appoggiava con prudenza gli zoccoli sulle strade fangose. La morte di Felday non mi dava ancora pace: se non avessi attirato su di me l'attenzione

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dell'assassino, quell'uomo non sarebbe morto; tuttavia, non sarebbe morto neppure se non fosse stato quel furfante che era. Non avevo ancora ricevuto una risposta da Harsnet, al che gli avevo lasciato a casa un messaggio, nel quale gli dicevo dove andavo. Quel mattino mi era giunto un biglietto da Dorothy. Guy aveva visitato Bealknap, e riteneva che con cure e riposo si sarebbe ristabilito, però nuove purghe e salassi potevano ucciderlo. «Il tuo amico dottore consiglia che rimanga qualche giorno in casa mia, finché non si sentirà più forte», concludeva Dorothy. Leggendo tra le righe, capivo che preferiva che questo non avvenisse. Le porte di Bedlam che mi si pararono dinanzi mi ricondusse al presente. Mentre attraversavo il cortile, scorsi uscirne due figure familiari: Daniel e Minnie Kite. Daniel cingeva la moglie con il grosso braccio; appariva pensoso, ma Minnie sembrava più tranquilla. Alzarono gli occhi quando mi avvicinai, e fermai Genesis. «Buon giorno», dissi. «Siete andati a trovare Adam?» «Sì, signore», rispose Daniel. «Tra poco m'incontrerò con il dottor Malton, che verrà a visitarlo.» Il viso di Minnie s'illuminò. «E un brav'uomo. Credo che aiuti Adam. Dice che ci vorrà molto tempo, ma secondo me mio figlio sta un po' meglio.» Daniel annuì. «A volte ci presta un po' di attenzione. Smette di pregare, anche se solo per un momento. E mangia anche. Chissà... chissà se, dopo tutto, non potrà tornare al lavoro con me.» Mi guardava quasi implorante, perciò dovetti dargli una risposta. «Forse un giorno», dissi, senza compromettermi. Minnie mi guardò. «Ma non sono sicura che il lavoro fosse ciò che Adam voleva. Mi domando se mio figlio non abbia qualche motivo per essere in collera con noi. Il modo in cui continua a trattarci...» «Se aspettate un poco... il dottor Malton non tarderà. Potreste parlare con lui.» Si scambiarono uno sguardo incerto. «Magari noi...» disse Minnie, ma il marito scosse il capo. «No, cara. Bisogna andare alla funzione. In questi giorni dobbiamo dimostrare il nostro sostegno al pastore.» Tornò a fissarmi: nel suo volto qualcosa s'era indurito. «Come sta il reverendo Meaphon?» chiesi, indifferente.

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«È molto preoccupato, signore. Questi sono giorni di persecuzione.» Continuava a guardarmi. «Nella nostra chiesa si teme che un nostro vicino, il reverendo Yarington, sia stato arrestato. Non lo si vede da giorni. Nessuno della sua congregazione dice che cosa è accaduto, ma il reverendo Meaphon è costernato. Dice che in questi giorni i cristiani debbono essere uniti contro il demonio, e ha ragione.» «Allora vi lascio. Devo dire al dottor Malton di venire da voi?» «Sì, signore», rispose. «Sarebbe gentile.» Se ne andarono. Mi chiesi perché persino Minnie ora sembrasse porre la chiesa prima del figlio. Se in passato Adam si era adirato con lei, questo poteva esserne il motivo. Ogni cosa veniva esasperata: la settimana prima un prete tradizionalista era stato arrestato per essersi punto un dito e avere fatto cadere gocce di sangue nell'acqua benedetta, nel tentativo di dimostrare ai fedeli che, durante la Consacrazione, il pane si tramutava realmente nel corpo e nel sangue di Cristo. Legai Genesis fuori del lungo e basso edificio dell'ospizio e bussai alla porta. Aprì il custode Shawms, che vedendomi aggrottò la fronte, poi si forzò di atteggiare la faccia a un'espressione che assomigliava a un sorriso. «Mastro Shardlake», bofonchiò. «Buon giorno. Ho appuntamento qui con il dottor Malton.» Si fece da parte per lasciarmi entrare. «Non è ancora arrivato. Ma Ellen è da Kite. Riceve le cure migliori.» La voce di Shawms era rispettosa, ma c'era un brutto sguardo nei suoi occhi. «Bene. Il primo rapporto al tribunale è atteso fra una settimana. Voglio vederlo, prima che sia inoltrato. Come sta il ragazzo?» «Quel dottore nero dice che migliora, ma io non vedo niente. A lui e a Ellen piace farlo uscire dalla sua camera, farlo sedere in parlatorio, ma disturba gli altri pazienti.» «Sono certo che ve la sapete cavare.» Udii poco lontano delle grida soffocate, e una porta si aprì. Fece la sua comparsa il grasso guardiano Gebons, rosso in faccia. «Sua Maestà è agitato, signore», disse a Shawms. «Vuole che si ripari la sua corona. Potete metterlo a posto?» Shawms diede un gran sospiro, spinse da parte Gebons e spalancò la porta della stanza. Dentro vidi il vecchio che credeva di essere il re, seduto sul suo cesso nella veste fatta di stracci. La corona di carta che portava in testa aveva avuto un incidente, e parecchie punte s'erano

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appiattite. «Riparate la mia corona!» strepitò, agitando il pugno. «Siete i miei sudditi e mi obbedirete!» Shawms gli tolse la corona dalla testa, stritolandola nel suo pugno carnoso. «Questo per la tua corona!» berciò. «Un giorno resterai a farfugliare sinché non imparerai a tenere a posto la lingua. E adesso stattene tranquillo, se no rimani senza mangiare.» Il vecchio grassone si raggomitolò su se stesso, poi nascose la faccia tra le mani e scoppiò a piangere. Shawms lo piantò in asso, sbattendosi la porta alle spalle. «Ecco fatto, e chiudetelo dentro», disse soddisfatto a Gebons. «E adesso, mastro Shardlake, abbiamo da fare, come vedete. Andate pure nella stanza di Adam.» La porta della camera di Adam era aperta. Ellen sedeva di fronte a lui su uno sgabello. Adam era ancora incatenato: ciò che era accaduto al Muro di Londra non doveva ripetersi. «Su, Adam», diceva Ellen, «prendi il cucchiaio e mangia. Non ti imboccherò come un bambino piccolo. Dai, avanti.» Fece una vocina infantile: «Gu-gu, ga-ga». Con mia sorpresa, Adam rispose alla sua dolce presa in giro con un sorriso, subito represso. Sospirò, ma prese cucchiaio e scodella, e sotto l'occhio vigile di Ellen mangiò la minestra. «Bene, Ellen», dissi. «Prima non avevo mai visto Adam sorridere.» Lei si alzò e fece una piccola riverenza, arrossendo. «Non vi avevo notato, signore.» «Ho appuntamento qui con il dottor Malton.» «Sì, so che deve venire. Cerco di far ridere Adam. Non ci sono ancora riuscita, ma un sorriso l'ho ottenuto, come avete visto.» «Sì.» Adam mangiava più svelto che poteva, ignorandomi. «Ho sentito che il re ha proposto una legge che proibisce alle donne di leggere la Bibbia», disse Ellen. «Sì, è vero. Alle donne e alle persone non istruite.» Sorrise con tristezza. «Tutto sta tornando alla vecchia maniera. Be', forse è così che dev'essere, sono le novità ad avere ridotto il povero Adam in questo stato.» La guardai, domandandomi se fosse a causa di qualche tipo di anticonformismo religioso che Ellen non poteva uscire da Bedlam. Aveva tuttavia parlato con distacco. Guardai nuovamente la gamba incatenata di Adam. «Ellen», le sussurrai, «non so per che motivo non potete uscire da Bedlam, ma se potessi aiutarvi in qualche modo ne sarei lieto.»

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Di nuovo il suo sorriso triste. «Vi ringrazio, signore, ma sono abbastanza felice.» La sua espressione, però, era mesta. Mi chiesi come poteva sopportare, una donna così intelligente, di passare l'intera vita in quel luogo, ricevendo solo notizie di seconda mano dal mondo esterno? Adam, che aveva ingurgitato in fretta e furia la minestra, era nuovamente curvo a pregare. «Padre celeste», bisbigliava, «perdonami, ho peccato contro la luce. La luce...» «Lo lascerò pregare un poco, adesso che ha mangiato», disse Ellen. «Finché non verrà il dottor Malton. E un'altra delle sue idee: venire a patti con Adam, concedergli un certo tempo per pregare ma insistere che faccia anche altre cose.» «C'è qualche cambiamento in lui?» «Lieve ma c'è, secondo me. Però è un lavoro duro. Ieri s'è svegliato dicendo di credere che gli uccelli che cantano all'esterno lo accusino per i suoi peccati.» «È un lavoro estenuante per una donna, Ellen», commentai. «Io non saprei farlo. Dev'essere duro per voi passare tutto il vostro tempo con questa gente. Nessuno di loro è un caso semplice.» «Che cosa è semplice, a questo mondo?» Mi accorsi di averla offesa. Ci fu un momento di silenzio imbarazzato. «Ho visto i genitori di Adam», dissi. «Dicono che ha fatto qualche progresso.» «Sì. Credo che suo padre si senta impotente: è triste vedere un uomo grande e grosso come lui starsene lì senza sapere assolutamente che fare.» «Niente più problemi con il custode Shawms?» «No.» Sorrise di nuovo. «Grazie a voi, signore. Ora permette di portare Adam in parlatorio e di farlo stare con gli altri pazienti. Il dottor Malton dice che per Adam è importante avere intorno altre persone, che lo aiutino a distrarre la sua attenzione da quel mondo di sofferenza in cui s'è rinchiuso.» «Shawms dice che Adam disturba gli altri pazienti.» «Meno di prima. Gli gridano di stare tranquillo, di piantarla di pregare. Non è una cosa negativa, per lui.» Sorrise con tristezza. «Qui tutti sanno che cosa fare con i problemi degli altri, ma di solito non con i propri.» «No di certo», disse una voce dalla soglia. Entrò Guy. Con mia sorpresa, teneva sotto il braccio una copia del Vangelo. Appariva

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stanco, e mi sentii in colpa per averlo fatto correre al Lincoln's Inn la sera prima. «Come sta Bealknap?» gli chiesi. «Il dottor Archer dovrebbe essere denunciato per aggressione», rispose. «Sembra che mastro Bealknap si sia rivolto a lui per nient'altro che un persistente mal di stomaco. Non mangiava, perciò diveniva sempre più debole. Tutti i salassi e le purghe che Archer gli ha praticato lo hanno reso più debole ancora: non mi stupisce che si credesse in punto di morte. Gli ho prescritto un buon nutrimento e riposo a letto per una settimana; poi potrà tornare nel suo studio e, così spero, badare a se stesso.» «Bene. Grazie.» «Temo che la signora Elliard non fosse soddisfatta, quando le ho detto che Bealknap doveva essere curato.» «Per Dorothy tirare avanti è ancora duro. Trovare Bealknap svenuto sull'uscio di casa le ha ricordato la morte di Roger.» «E una donna caritatevole. Temo di essermi un poco servito di lei, ma ora Bealknap è un mio paziente, devo mettere lui al primo posto.» «Credo di sì.» Accidenti a quel farabutto. «Gli ho detto che tornerò a visitarlo domani sera, per vedere come sta.» «Gli hai trovato un sacerdote?» «No, non ne ha bisogno. Farne venire uno gli avrebbe solo fatto credere di essere di nuovo in punto di morte.» «Stasera vieni a cena al Lincoln's Inn, dopo essere stato da lui. Come ricompensa per il tuo disturbo. E ti pagherò l'onorario per conto di Bealknap.» Guy sorrise. «E un uomo strano. Ha risposto abbastanza volentieri a tutte le mie domande sui suoi sintomi, perché aveva una gran paura. Però, dopo che gli avevo detto che non sarebbe morto, a stento ha cacciato fuori un'altra parola. Non mi ha neppure ringraziato, e neanche te.» «Bealknap è fatto così. Più tardi ti dirò che cosa ha combinato», aggiunsi cupo. Guy fece una faccia perplessa. Rivoltosi a Ellen, le chiese: «Come sta Adam?» «Ha mangiato qualcosa per colazione. E ha persino stirato le labbra in una specie di sorriso.» «Allora facciamo progressi.» Guy si avvicinò ad Adam, sfiorandogli leggermente una spalla. Il ragazzo interruppe il suo frenetico

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bisbigliare, sospirò e sollevò la testa ossuta. «Ho bisogno di pregare, dottor Malton. Non ho ancora avuto il tempo di farlo.» Guy si accosciò davanti a lui. Invidiai la scioltezza delle sue articolazioni. «Ho portato di nuovo la Bibbia», disse tranquillamente. «Pensavo che potremmo studiarne qualche passo. Agli occhi d'Iddio leggere il Libro è importante quanto pregare, no?» «Andrò a controllare gli altri pazienti», disse Ellen. «Cissy è di nuovo depressa, non ha voglia di cucire.» «Vi ringrazio per tutto ciò che fate», disse Guy. Ellen fece una riverenza e uscì. La guardai andarsene, con i lunghi capelli scuri che le ondeggiavano sulle spalle sotto la cuffia. Tornai da Guy, il quale aveva aperto la Bibbia e si sforzava di coinvolgere Adam in un dialogo. «Se leggi i Vangeli, vedrai che Gesù non vuole che i suoi seguaci soffrano senza necessità. Vuole che vivano nel mondo, e più di ogni altra cosa che vivano insieme in armonia, non che si taglino fuori, come hai fatto tu.» Adam picchiò con il pugno scarno sul pavimento di pietra. «Ma Dio mette alla prova il Suo popolo, la sua fede. Guardate Giobbe: lo mise e rimise alla prova.» «E di questo che sei convinto? Che Iddio ti stia mettendo alla prova?» «Spero di sì. E meglio che essere respinti, soffrire per sempre all'inferno. Io ho paura dell'inferno, ho tanta paura. Ho letto nell'Apocalisse...» «Leggi i quattro Vangeli, Adam. Vedrai che nessuno che si penta viene respinto. Guarda Maria Maddalena...» A quel punto, però, Adam scosse il capo con violenza, si chinò in avanti e riprese a pregare, con le labbra che si muovevano senza emettere suoni. Le vertebre gli spuntavano dal collo ossuto. Guy sospirò, poi si rialzò. «Lo lascerò fare per qualche minuto», disse. «E il nostro patto.» «Guy, la tua pazienza è senza fine, come il mare.» «Seguo le tracce di un mistero: cercare di comprendere delle cose studiando le reazioni di Adam.» «Non gli lasci la Bibbia da leggere?» «Oh no. Lui cercherebbe solo tutti i passi sulla dannazione e il venire respinti a cagione del peccato, e se li terrebbe stretti nel cuore. Chissà mai che cosa ha dato inizio a quest'ossessione. Spesso è qualcosa di

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terribile avvenuto nel mondo reale a indurre i pazzi a rifugiarsi in un universo tutto loro.» «Sua madre crede ancora che sia in collera con lei e con Daniel.» «Secondo me potrebbe forse essere una parte della storia, ma non la sua totalità.» Guardò Adam ancora tutto raggomitolato, strofinandosi pensoso il mento. «Quale mondo interiore s'è costruito il nostro assassino? È ciò che mi domando.» Guardai Guy. «Ha ucciso ancora.» Gli narrai ciò che aveva fatto Bealknap e dell'omicidio di Felday. Parlai in un sussurro, perché Adam non potesse udire, ma il giovane era talmente assorto nella sua preghiera che dubitavo si sarebbe accorto di qualcosa, anche se avessi parlato con un tono di voce normale. Guy rimase un momento a riflettere. «Il mondo dell'assassino sarà molto diverso da quello del povero Adam. Credo che si trovi in uno stato di autoesaltazione ossessivo, talmente intenso da non poter mai essere guarito. Sai, Matthew, nella Bibbia ci sono alcuni personaggi affetti da ossessione; certo, però, non nel Nuovo Testamento.» «E san Giovanni? E il Libro dell'Apocalisse?» «Il cristianesimo sarebbe migliore senza quel libro, che non predica altro che crudeltà e distruzioni. Insegna che la soppressione di esseri umani non ha importanza, anzi, è addirittura motivo di soddisfazione. Questa è perversità. Non mi meraviglia che sia il libro prescelto dall'assassino», sospirò. «Matthew, devo passare un po' di tempo da solo con Adam. Parleremo di più questa sera.» Sorrise. «Credo che la sua assistenza sia garantita. Shawms e Metwys hanno paura del tribunale.» «Guy», domandai esitante, «posso chiederti un altro favore?» «Certo.» Gli parlai degli occhi di Charles Cantrell. «Sì, andrò a visitarlo», rispose. «Non posso dire quale sia il suo disturbo finché non l'avrò fatto.» Mi fissò gravemente. «Potrebbe essere una cosa semplice, o potrebbe anche diventare cieco.» «Allora, meglio che lo sappia.» Lasciai Guy al suo tentativo di dare consigli ad Adam. Non mi dispiaceva andarmene. Mentre uscivo gettai uno sguardo nel piccolo parlatorio. Ellen sedeva in compagnia di Cissy, cercando di farla cucire bene, come prima aveva tentato di far mangiare Adam. Cissy era accasciata sulla sedia, con lo sguardo vacuo. «Prendi l'ago», le diceva

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Ellen. «È una camicia così carina.» Pensai che la sua pazienza aveva un pizzico di santità; ero certo che mi avesse udito arrivare, ma non alzò gli occhi. * * * Quella sera feci cucinare da Joan un sostanzioso stufato di pollo. Guy arrivò alle sei, puntuale come sempre, e sedemmo a cenare. Tamasin mi aveva detto che Barak era di nuovo uscito a bere con i suoi amici. La sentii stanca e incollerita: cattivo segno. Mentre si mangiava parlai più ampiamente di Felday all'ex monaco. «Dunque ti sei imbattuto in un altro cadavere.» «Sì, e Barak ne è rimasto profondamente colpito.» «Come vanno le cose tra lui e sua moglie?» Avevo informato Guy di alcuni dei loro problemi. «Mi ripeto che, una volta finito quest'incubo, Barak tornerà a comportarsi bene con lei. Ma Dio sa se ciò non pesa su tutte le nostre vite», sbottai con improvvisa veemenza. «Questo pomeriggio volevo dedicare un po' di tempo a lavorare sulla lista delle sottoscrizioni per l'ospedale di Roger, ma ho trovato difficile concentrarmi.» «Lo farai.» Mi fissò. «Sarà un piacere per la sua vedova.» «Sì.» «Le occorrerà del tempo per rassegnarsi, Matthew», disse Guy. «Molto tempo, per quanto forte sia.» «Lo so.» Accennai un sorriso: aveva intuito i miei sentimenti. Lo guardai. «Quanto tempo occorre per guarire, a un'anima ferita. E Adam, potrà mai essere guarito?» «Io credo di sì. Con l'aiuto di Ellen, che dedica molti sforzi ad assisterlo, ritengo possibile riportarlo fra noi. Sono deciso a scoprire in che modo sia finito su questa terribile strada. Il tempo?» Allargò le braccia. «Sei mesi, forse un anno, ma lo riporterò nel mondo reale, dove dobbiamo vivere, se vogliamo rimanere sani di mente», disse, con un'improvvisa energia. «Si direbbe che quella ragazza ci metta il cuore.» Lui annuì, lentamente e con gravità. Poi mi guardò e disse: «Sono ben lontano dall'essere tanto sicuro che le cose siano effettivamente come appaiono, Matthew». «Hai detto di avere avuto, un tempo, un momento di sconforto.» «Sì.» «E ora? Sei di nuovo turbato?»

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«Sì. Sì, lo sono.» Fece una pausa, poi lasciò sfuggire un sospiro che era un mezzo gemito. «Non riguardo a Dio e alla Sua bontà, ma per ciò che sono io.» Respirai a fondo. «E forse qualcosa che ha a che fare con Piers?» Mi fissò con uno sguardo penetrante, ma non rispose. «Esercita qualche dominio su di te, Guy?» «No. O almeno, non nel senso che intendi tu.» Il suo viso parve d'un tratto angosciato. «Quando venne da me era così docile, faceva qualunque cosa per aiutarmi. Adesso, però, di sera se ne va in giro a suo piacimento. Sì, hai ragione, origlia alle porte quando visito i miei pazienti. E ho pensato...» S'interruppe, posando il capo su un pugno strettamente serrato. «Che cosa hai pensato?» Quando Guy riprese a parlare, fu con voce rotta, balbettante, a testa bassa. «Ho cinquantasette anni, Matthew, sono un vecchio. Sono stato monaco per trent'anni, e sono nuovamente tornato nel mondo da cinque. Quando ci si fa monaci si pronunciano i voti di povertà, castità e obbedienza. Se li si prende sul serio... e so che non tutti i monaci lo facevano, l'hai visto con i tuoi stessi occhi quando ci siamo conosciuti, a Scarnsea... ci si separa dalle passioni terrene. Ma non è una cosa facile. Ti parlai di una donna che amai, quand'ero giovane.» «E che morì.» «Sì. E ti dissi anche che ero in collera, una collera senza remissione, con Dio. Sentii che m'aveva tolto Eloise per farmi prendere la via del chiostro.» Scosse il capo. «A causa di quell'ira fui condotto a dubitare della bontà di Dio, a dubitare che l'immagine di Dio offerta dalla Chiesa fosse davvero autentica, che i selvaggi del Nuovo Mondo non avessero ragione a credere in un dio crudele e vendicativo che esigeva sacrifici umani. Avevo infatti l'impressione che Eloise fosse stata sacrificata. Negli studi di medicina presi a dedicare la mia attenzione ai disturbi mentali, che rispondevano alla mia concezione dell'uomo e di Dio come imperfetto e smarrito.» L'ardore che adesso colmava la sua voce non era simile a nulla che avessi mai udito da lui. Guy annuì, poi sorrise dolcemente. «Ma quello fu il nadir, Matthew, il punto più basso da me toccato, che forse Dio mi concesse di toccare, poiché fui molto prossimo alla disperazione. Continuai a pregare. Non ne avevo voglia, eppure sentivo che era importante; paradossalmente,

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fu un'altra àncora che mi mantenne legato al mondo reale, che mi stava sfuggendo di mano. E un giorno udii una voce amichevole, che sembrava dirmi: Non ho tolto dal mondo Eloise. Perché la tua vita dovrebbe essere più importante della sua? E quel rimprovero, il più tenero dei rimproveri, mi fece comprendere che fino ad allora, senza neppure riflettervi, avevo ritenuto che per il Signore la mia vita di studioso fosse più importante di quella di lei, che la sua scomparsa fosse un trucco per farmi entrare in convento.» Si appoggiò allo schienale della poltrona. «È quando Iddio rimprovera dolcemente la nostra arroganza, che possiamo avere più fiducia che ci stia realmente parlando, che non quando è la preghiera a renderci tronfi e vanagloriosi.» «Amen.» «In seguito l'amarezza pian piano mi abbandonò. Ora, tuttavia, mi sento nuovamente turbato e inquieto nell'animo. È curioso che proprio in questo momento diamo la caccia a un assassino affetto da un'ossessione. Quando mi sento di nuovo in preda a emozioni che mi turbano... e, sì, questa volta riguardano Piers.» Esitò, poi disse: «Mi sono domandato se i miei sentimenti per lui non siano poco onesti». Era dunque così. E Piers, lo sapevo, se ne serviva. «Tu che ne pensi?» gli chiesi garbatamente. Scosse il capo con tristezza. «Non sono sicuro. La prima volta che lo incontrai, quando morì il suo vecchio padrone... quel vecchio imbroglione, tra l'altro, non trattava neppure bene Piers... fu la sua intelligenza a colpirmi, un'intelligenza che andava sprecata. Però notai anche la sua bellezza, il suo viso, e quando venne in casa mia mi scoprii a provare certe sensazioni che mi riuscivano nuove ed estranee.» Non riuscivo a trovare nulla da dire. Egoisticamente, pensai che Guy era la mia roccia: non poteva crollare proprio adesso. «Oh, ci ho riflettuto a fondo», disse. «Ho anche pregato. E tu sai che cosa penso? Credo che ciò che desidero, che forse ho sempre desiderato, è un figlio. Per educarlo, per scambiare idee con lui, perché venga a farmi visita quando ho finito di lavorare. In convento c'era sempre compagnia, ma nel mondo esterno sono così spesso solo. Ecco perché molti ex monaci soffrono tanto.» Mi guardò con un volto pieno di tristezza. «Hai mai provato una cosa del genere, Matthew? Il bisogno di avere un figlio, o un qualche sostituto di un figlio?»

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«Oh, raccolgo trovatelli», risposi. «Credo di averlo sempre fatto. I ragazzi, Timothy e Peter, il giovane Cantrell. In un certo senso anche Barak e Tamasin sono i miei trovatelli. Poi ci fu il vecchio mastro Wrenne», sospirai. «E il mio assistente, Mark, che conoscesti a Scarnsea.» Lo guardai. «Anche se i sentimenti che si provano sono rispettabili, si può sempre scegliere le persone sbagliate come... non saprei definirli... come sostituti dei figli.» «Sì.» Guy rimase un attimo incerto, poi trasse un respiro profondo. «Piers... flirta con me.» Si morse un labbro. «Il suo modo di sorridere, a volte il suo modo di toccarmi delicatamente... m'invita a fare qualcosa. E una parte di me, temo, vorrebbe seguirlo. Lui lo sa, sa servirsene quando sono arrabbiato con lui. Ho paura che abbia destato in me qualcosa di cui ignoravo l'esistenza, qualcosa di più di un semplice desiderio di essere un padre per lui.» «Guy, in un certo senso quali siano i tuoi sentimenti non ha importanza. Importa di più che cosa è Piers: freddo, calcolatore, sfruttatore. Ho visto come origlia alle porte, ho notato le sue moine e la sua arroganza quando è con te.» Guy si prese la testa fra le mani. «Ora è accaduto dell'altro», disse. «Ho notato che manca del denaro. Piccole cifre dalla mia borsa, qua e là, ma sommate insieme ormai ammontano a parecchie sterline.» «Devi liberarti di lui», dissi con calma. «Buttarlo fuori, io che me lo sono portato in casa?» «Ti scaldi una serpe in seno.» «Io? O è Piers a essere squilibrato, ad avere turbe mentali, per arrivare a rubare del denaro? Non ne ha bisogno, lo pago abbastanza.» «Liberati di lui.» «Pensi che Piers sia di quelli che preferiscono gli uomini alle donne?» domandò d'un tratto. «Non lo so. Credo però che sia disposto a usare qualsiasi espediente pur di ottenere un vantaggio.» In quel momento Joan entrò con la portata successiva e smettemmo di parlare. Solo al momento di andare via Guy disse: «Pregherò per questo, Matthew. Non parlerò ancora con Piers». Scosse il capo. «Non posso credere che sia malvagio come pensi tu. Ha una buona mente.» «E un cattivo cuore.»

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Quando Guy fu uscito, tornai in salotto, a riflettere sulla solitudine patita da tanti uomini nei nostri tempi frammentati e pieni di divisioni, e sulla gente senza pietà che la sfruttava. Prese quindi forma un altro pensiero, un pensiero che mi fece correre un brivido lungo la schiena. Avevamo parlato di Piers come di un individuo freddo, intelligente e spietato. Era al corrente della nostra caccia all'assassino. Origliava alle porte e aveva visto i corpi delle vittime. Tuttavia scossi il capo: impossibile. Lavorava per Guy, mentre l'assassino era libero di andare e venire a suo piacimento. E non poteva essere Piers a seguirci. No, Piers non era l'assassino. Curiosamente, era troppo egoista, la sua mente era troppo freddamente equilibrata. Avevo la testa in fiamme. Adesso avrei sospettato persino di Joan o di Tamasin. Era davvero Goddard? E se non era lui, chi? Chi? *** Capitolo trentacinque. Un'altra notte agitata: un brutto sogno, nel quale mi ritrovavo in quella gelida, buia mattinata in cui ero entrato al Lincoln's Inn e avevo trovato i due studenti presso la fontana coperta di ghiaccio. Nel mio sogno, però, quando i due ragazzi si voltavano verso di me, uno scivolava via nell'oscurità, l'altro era Piers. Si sporgeva a girare il corpo, ed era Guy a giacere lì, con la gola tagliata. Mi svegliai ansimando, al ticchettare di una pioggia dirotta che flagellava la finestra, poi il cuore mi diede un balzo per il terrore, all'udire un rumore di passi salire la scala. Tirai un respiro di sollievo, riconoscendo Barak. Doveva avere fatto di nuovo tardi. Al mattino pioveva ancora, e vidi larghe pozzanghere estendersi nel mio prato. Mentre mi vestivo gettai un'occhiata oltre il muro che divideva la mia proprietà dal vecchio frutteto del Lincoln's Inn. Incominciava a infiltrarsi dell'acqua, com'era già accaduto due anni prima: il terreno si stava inzuppando. In salotto Barak sedeva a tavola, a fissare con aria incerta un piatto di pane e formaggio. «Vi ho sentito rientrare tardi, stanotte», dissi. «Ero andato a bere con alcuni amici.» Presi un po' di pane. «Di nuovo? Una sera non potreste portare un po' fuori Tamasin?»

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Mi sbirciò con lo sguardo annebbiato. «Avevo bisogno di uscire a bere qualcosa. Ne ho piene le tasche di gironzolare in attesa che capiti qualche nuovo orrore.» «Dov'è Tamasin?» «Ancora a letto che russa. Stanotte, quando sono rientrato, s'è svegliata ed è venuta da me, perciò adesso recupera il sonno.» Capii che la loro riconciliazione non funzionava: la sua faccia lasciava chiaramente intendere che non aveva voglia di parlarne. «Ieri sera è venuto a cena Guy», dissi. «Gli avete detto di noi, vero?» punzecchiò Barak, non senza irritazione. «Mi ha parlato di certi suoi problemi. Gli è sparito del denaro. Pensa che sia stato Piers, ma non sa risolversi a crederlo.» Barak mi gettò uno sguardo acuto. «Quando ho visto il vecchio moro con Piers, sembrava credere che gli splendesse il sole in fronte.» «Voleva una persona di cui prendersi cura, da istruire. Ora, però, comincia a vedere che cosa è in realtà Piers.» «Ne siete proprio sicuro?» Mi chiesi se avesse letto fra le righe, intuendo che i sentimenti di Guy non erano così lineari. «Sì. Ma non vuole ancora accusarlo. E Piers sa essere... convincente.» Barak accennò un sorriso duro. «Che ne direste se facessimo una visitina al giovane Piers, mettendolo un poco sotto pressione? Potremmo vedere come reagisce e tirargli fuori qualcosa.» «Volete dire quando non c'è Guy?» «Non ci permetterebbe di farlo in sua presenza, vero?» Esitai un attimo, poi risposi: «So che stasera Guy non ci sarà, deve andare di nuovo da Bealknap. Conoscendo le sue abitudini, uscirà dopo cena, probabilmente verso le sette». «Allora, si va a Bucklersbury?» Annuii. «Parliamo soltanto, però. Niente maniere forti.» «Anche se non è un ladro, è un ficcanaso e una canaglia. Non sarebbe male mettergli un po' di sale sulla coda.» «D'accordo.» Finii il mio pane e formaggio, e mi alzai. «Dobbiamo andare», dissi. «Ieri sera ho ricevuto un messaggio. Harsnet ha indetto una riunione per discutere gli ultimi sviluppi. Stavolta a Whitehall, non a Lambeth Palace.» Barak si alzò in fretta. «Sì, ho bisogno di avere qualcosa da fare, o diventerò matto come Adam Kite.»

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Quando giungemmo a Whitehall, apprendemmo che Lord Hertford e Sir Thomas Seymour si trovavano anch'essi con il coroner. A Barak non fu permesso di prendere parte alla riunione e gli venne di nuovo detto di aspettare su una panca fuori dello studio di Harsnet. «Comincio a farci l'abitudine, da quel povero diavolo che sono.» Barak mi fece uno dei suoi sorrisi beffardi, allungando le gambe negli stivali infangati dopo la cavalcata. La guardia aggrottò la fronte: a palazzo reale si esigeva un comportamento rispettoso. Dall'interno la voce di Harsnet mi invitò a entrare. Respirai a fondo e aprii la porta. Harsnet sedeva al suo scrittoio, Lord Hertford era in piedi vicino alla parete, e avevano entrambi la faccia scura. Sir Thomas Seymour si appoggiava pigramente al muro accanto al fratello, con un'aria irritata sul viso bello ed equivoco. Come sempre era vestito come un pavone, oggi con un farsetto azzurro sgargiante e un cappello dall'enorme piuma infilata nella fascia. «Chiudete la porta, Matthew, e venite avanti», disse Harsnet. «Non voglio che qualcuno ci senta.» «Barak è seduto fuori, ma è sicuro.» «Oggigiorno nessuno è sicuro a Whitehall», disse Hertford. «Anche i muri hanno orecchie.» Posò su di me il suo sguardo penetrante. «Dovevamo riunirci a Lambeth Palace, ma Sua Eccellenza l'arcivescovo oggi ha altre preoccupazioni.» «Non ci saranno mica altre cattive notizie, mio signore?» «Non dai cortigiani arrestati. Stanno per rilasciarli. Però Bonner aumenta la pressione sui radicali di Londra. Stamattina presto gli uomini del vescovo e i gendarmi della città hanno arrestato otto uomini per detenzione di libri proibiti, insieme con tre stampatori e un certo numero di apprendisti, e per avere rappresentato commedie messe al bando. Per Jesu, danno un gran lavoro ai gendarmi di Londra. L'arcivescovo cerca di scoprire se qualcuno degli arrestati ha dei legami con lui.» «In questo c'è qualche pericolo?» chiese Thomas Seymour. «Lui ritiene di no.» «Il re gli ha sempre voluto bene», disse piano Harsnet. «Il re era affezionato anche ad Anna Bolena, e a Cromwell, e a Wolsey», osservò con amarezza Thomas Seymour. «Eppure li ha fatti fuori tutti. Non si è mai fidato completamente di nessuno, né mai lo farà.»

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«Calma, Thomas», disse il fratello, severo. «Le cose non vanno così male.» Guardò prima Harsnet, poi me. «Se però la cosa dovesse saltare fuori proprio adesso... che l'arcivescovo ha lanciato in segreto una caccia a un pazzo che uccide i radicali apostati ispirato dal Libro dell'Apocalisse... sarebbe pericolosissimo. E più a lungo dura la cosa, più difficile diventa tenerla nascosta. Non avete scoperto altro, Gregory?» chiese ad Harsnet, con improvvisa ansietà. «Magari l'avessi. Ho lavorato giorno e notte. Nessuno nei gruppi di radicali sa niente di Goddard. Non ci sono tracce di lui a Londra o nelle contee vicine: come se quando se n'è andato da casa fosse svanito nell'aria.» Lord Hertford si voltò verso di me. «E voi avete scoperto che l'assassino si è servito come tramite di un avvocato, ma poi ha ucciso anche lui.» «Sì.» Riferii la storia di Bealknap e di Felday. Quando terminai, Hertford rimase a tormentarsi nervosamente la lunga barba, quasi strattonandola. Fuori, la pioggia sferzava la finestra. «Dunque ci sono stati cinque omicidi legati alle coppe dell'ira. Ne avverranno ancora due. E questo Felday ucciso nel frattempo. Bisogna prenderlo.» Hertford si rivolse al fratello. «A giudicare dalle tue fonti, il re è deciso a sposare Catherine Parr, non importa quanto lei lo faccia attendere.» La testa di Harsnet si levò di scatto. «Che notizie ci sono, mio signore?» «Mio fratello è stato nominato ambasciatore presso il reggente dei Paesi Bassi.» «Perché il re teme che Lady Catherine possa ancora pensare di sposare me», disse Sir Thomas. Per quanto irritato, raddrizzò un poco la postura, non senza un pizzico di vanità. «Non possiamo essere sicuri del motivo per cui ti ha scelto», disse il fratello. «Se è così, ritieniti fortunato che il re ti mandi a fare l'ambasciatore, e non ti spedisca alla Torre.» «Forse.» Sir Thomas mi guardò incuriosito. «Voi, signore: qualcuno ha detto che il re si prese gioco della vostra schiena, due anni fa, quand'era a York.» Mi lasciai sfuggire un profondo sospiro. «Sì, signore.» Mi domandai chi gli avesse raccontato quella storia.

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«Ormai non potrebbe più andare fino a York», disse Seymour. «E talmente grasso che riesce a stento a camminare. Adesso ha piaghe su tutt'e due le gambe, e quando gli fanno male devono portarlo in giro per il palazzo su una sedia a rotelle. Dicono che quando le ulcere trasudano, entrando nei suoi appartamenti privati si avverte una puzza che stordirebbe un toro. Quando uscirete di qua, mastro Shardlake, se udite un cigolio di ruote nei corridoi, al vostro posto scapperei più che in fretta nella direzione opposta», disse, con una risata amara. Harsnet si agitò a disagio sulla poltrona. Lord Hertford scosse la testa. «La tua mancanza di discrezione un giorno o l'altro ti porterà alla morte, Thomas. Però è vero che la salute del re peggiora ogni mese. Non può più vivere molti anni. E allora, se sul trono ci fosse una regina con simpatie per la Riforma, pronta ad assumere la reggenza per conto del giovane principe Edoardo...» Allargò le braccia. Pensai che avessero pianificato quel matrimonio in vista degli anni a venire. Quanto profondamente era coinvolta nella politica di corte la mia caccia all'assassino di Roger! «Quando andrete all'estero, Sir Thomas?» chiese Harsnet. «Non so. Forse tra qualche settimana.» Harsnet annuì con un viso privo di espressione; pensai tuttavia che, come me, avrebbe preferito che Sir Thomas e la sua lingua imprudente se ne fossero andati l'indomani. Eppure, nonostante ciò, avevamo bisogno dell'aiuto che poteva offrirci il suo seguito. Sussultai al rumore di un colpo battuto con forza alla porta; dopo le parole di Sir Thomas, un brivido di paura parve attraversare la stanza, ma Lord Hertford disse con voce ferma: «Avanti». Entrò Barak. Sapeva quando bisognava essere umile, e chinò il capo sotto lo sguardo corrucciato di Hertford. «Spiacente di disturbarvi, mio signore, ma c'è qui Janley, la guardia della taverna di Lockley. Lo hanno trovato.» Il volto di Harsnet s'illuminò di speranza. «Vivo?» «No, signore. Morto.» Barak guardò attorno a sé i presenti, con un profondo sospiro. «Nella vecchia Charterhouse. Le circostanze della morte dimostrano che è la sesta vittima.» Lord Hertford parve accasciarsi e si portò una mano alla fronte. «Chi altri lo sa?» «Nessuno che conti, mio signore. Non ancora.» «Shardlake, Harsnet, andateci subito.»

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«Vorrei venire anch'io», disse Sir Thomas. «Benissimo», acconsentì Lord Hertford, evitando di guardarci. «Ci ha fatto ballare tutti, no? E adesso di nuovo. Riusciremo mai a far ballare lui come dovrebbe, appeso all'estremità di una corda?» *** Capitolo trentasei. La pioggia continuò per tutta la nostra lunga cavalcata verso Charterhouse. Io non cessavo di asciugarmi gli occhi dall'acqua, mentre galoppavo insieme con Sir Thomas, Barak e Janley. Gli altri mi ascoltavano urlare domande a Janley su che cosa era accaduto. Cavalcavamo più rapidi che si poteva per le strade che si trasformavano in pantani, schizzando di fango cavalli e stivali. «Stamattina il custode della Charterhouse è arrivato di corsa al Green Man», ci raccontò Janley. «Quel posto è vuoto, non ci sono che lui e la famiglia Bassano, i musici italiani del re: hanno ristrutturato alcune vecchie celle dei monaci, trasformandole in alloggi per loro.» «Non ci abita nessun altro?» chiese Sir Thomas. «No, signore. Quei locali sono usati come deposito per gli equipaggiamenti da caccia del re, e le tende e i costumi per le feste in maschera. Il custode è famoso per essere un ubriacone. Sembra che avesse l'abitudine di passare la maggior parte delle sue serate a sbronzarsi al Green Man: non di rado Lockley e la signora Bunce dovevano sbatterlo fuori all'ora di chiusura. Uno dei suoi compiti è aprire e chiudere le chiuse delle vecchie condotte fognarie, per far defluire l'acqua attraverso gli scantinati delle case sulla piazza. Però se ne dimenticava spesso, e gli abitanti dovevano andare a ricordarglielo.» «La gente del posto sa che cosa è accaduto?» chiese Harsnet. «No, signore. Il custode è corso da me un'ora fa, balbettando di allagamenti e di un morto dentro la conduttura. Sapeva che ero una specie di guardia. Ha detto che il morto era Lockley. L'ho rimandato indietro e mi sono precipitato all'ufficio del coroner, come mi era stato detto di fare se fosse successo qualcosa.» Osservai Janley e notai che appariva stanco e teso. «Siete riuscito a mantenere segreta la verità su quanto successo alla signora Bunce?» «Sì. Ho detto a tutti quelli che venivano che sembrava che Lockley fosse tornato, l'avesse uccisa, poi fosse fuggito. Ho lasciato intendere che fosse questione di soldi. Sono venuti molti vicini e vecchi clienti.»

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«Ottimo. Avete fatto bene.» «Mi piacerebbe tornare a casa, dalla mia famiglia. Non faccio che pensare a quella povera donna là distesa. Specialmente di notte.» «Era solo la tenutaria di una bettola», bofonchiò Sir Thomas. «C'è da ringraziare che non fosse una persona più importante, altrimenti sarebbe stato più difficile tenerlo nascosto.» Arrivammo in Charterhouse Square seguendo il viottolo attraverso gli alberi che coprivano le antiche fosse comuni. Oltrepassammo la vecchia cappella abbandonata. La porta era chiusa: i mendicanti dovevano essere fuori, a chiedere l'elemosina in città. Ci dirigemmo alla piccola guardiola nel lungo muro del monastero soppresso. C'era una sbarra per i cavalli, alla quale legammo le nostre cavalcature. Sir Thomas si guardava corrucciato il fango sulle eleganti calzebrache. Janley bussò rumorosamente all'uscio. Risuonarono passi strascicati, e un ometto smilzo, di mezz'età, con la faccia rubizza e un naso a bulbo butterato dal vaiolo, aprì la porta, squadrandoci con occhi spaventati. «Ho portato alcune persone a vedere il corpo, Padge», disse cortesemente Janley. Il guardiano ci fissava incerto. «Dovranno scendere giù, nella fogna. Non so come lo tirerete fuori di lì. E attaccato in qualche modo alle chiuse, le ha bloccate. E nudo. E orribile. Perché lo hanno fatto? Perché?» La sua voce si fece stridula. «Lasciate che ci pensiamo noi, amico», rispose rassicurante Barak. Seguimmo il custode oltre i cancelli, superammo le rovine dell'antica chiesa abbaziale, con le finestre vuote e il tetto crollato, e ci ritrovammo in un ampio cortile quadrato, ricoperto d'erba. Al centro sorgeva una costruzione ottagonale dal tetto di rame, con rubinetti sui lati. Doveva essere il vecchio impianto idraulico del monastero, alimentato dai ruscelli di Islington, dei quali i monaci avevano deviato le acque, per poi scaricarle nelle fognature sotto gli edifici della piazza. Intorno al cortile si allineavano le celle dei monaci, casette quadrate di due stanze, ognuna con il proprio fazzoletto di giardino dietro, e l'acqua che gocciolava dalle grondaie. Un tempo doveva essere stato un luogo pieno di pace. I monaci della Charterhouse avevano vissuto in solitudine nelle loro celle intorno al chiostro centrale, uno schema architettonico unico fra le costruzioni monastiche. Le celle avevano robuste porte di legno, chiuse da lucchetti. Alla nostra sinistra sorgeva

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un edificio più grande, con le porte aperte, nel quale scorsi alcune persone. «Ho sistemato lì la famiglia Bassano», disse il custode. «Poco fa sono arrivati in portineria a farfugliare che i loro alloggi si erano allagati.» Indicò la conduttura, e notai l'acqua filtrare gorgogliando fra le lastre di pietra che la circondavano. Un riquadro erboso della piazza fra l'impianto e le celle su un lato era allagato. E continuava a piovere a dirotto. Il guardiano si deterse la faccia con una mano tremante. «Andai a guardare nella cabina delle condutture, dove si trovano le paratie degli scarichi, e ci vidi un corpo incastrato davanti. Mi sporsi sopra la ringhiera e gli vidi la faccia: era il povero Francis.» «Arrestare le acque dell'Eufrate», dissi a bassa voce. «Mastro Padge, non avete udito nulla stanotte?» «No. Un uomo deve dormire», aggiunse, bofonchiando risentito. «No, se è un guardiano», disse seccamente Sir Thomas. «Dove sono gli italiani?» Padge fece strada verso l'edificio con le porte aperte. Aveva evidentemente ospitato la sala capitolare dell'abbazia, perché tutto intorno alle pareti correvano panche, come a Westminster; anche se era un locale molto più piccolo e austero. La maggior parte dello spazio era occupato da bauli e armadi, che senza dubbio conservavano i costumi per le feste in maschera. Accanto vi erano due imponenti armature complete e una mezza dozzina di enormi lance da giostra sistemate in rastrelliere lungo la parete. Alcune persone avevano trovato posto sulle panche e sedevano stringendosi le une alle altre, con aria spaventata. Avevano capelli e carnagione scura: quattro uomini e tre donne con i bambini in grembo. Tutti tenevano fra le mani strumenti musicali, liuti e tamburelli, persino un'arpa. Notai che i farsetti degli uomini e le vesti delle donne erano bagnati. «Qualcuno parla inglese?» domandai. Si alzò uno degli uomini. «Io», rispose, con un marcato accento italiano. «Siete la famiglia Bassano, i musici del re?» «Sì, signore», disse con un inchino. «Io sono il loro domestico, messer Granzi.» «Che vi è successo?» chiese Sir Thomas. «Sembrate un branco di topi affogati.»

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«Stamattina ci siamo svegliati e sul pavimento dei nostri alloggi l'acqua ci arrivava più su dei piedi», disse l'italiano. «Il terreno è in discesa da quel condotto, e l'acqua finisce nelle nostre stanze. Abbiamo dovuto salvare i nostri strumenti. Siamo venuti qui, poi abbiamo avvertito il custode. Che succede, signore? Abbiamo udito il guardiano gridare.» «Niente di cui preoccuparvi.» «Avete sentito qualcosa di strano, stanotte?» chiesi. Messer Granzi si consultò con gli altri nel loro musicale idioma, poi scosse il capo. «No, signore, dormivamo tutti.» Sir Thomas grugnì. «Avanti, Padge, portateci dove avete trovato il corpo.» Con una spinta rimandò il custode fuori, sotto la pioggia: un villano fatto e finito. Mentre riattraversavamo il cortile Harsnet mi si accostò. «Quei musici suonano davanti al re. Se scoprono che qui è stato commesso un delitto, a corte ci saranno un bel po' di chiacchiere. Non devono venire a sapere che cosa è successo.» «Sono d'accordo.» Era quello l'intento dell'assassino? «Diremo che è stato un incidente.» «Padge è un ubriacone. Parlerà appena è sbronzo.» «Lo porteremo via con noi», rispose Harsnet. «Lo metteremo al sicuro da qualche parte, e d'ora in poi piazzeremo qui uno degli uomini di Sir Thomas. Sistemerò la cosa con la Corte delle Aumentazioni.» Padge ci riaccompagnò alla portineria. Aveva una stanza con un letto a ruote. Il locale puzzava di birra. Il fuoco ardeva in un focolare, e di lì accese tre lucerne, che passò a Barak, Janley e me. «Ne avremo bisogno, signori», disse, facendo strada nel cortile esterno. Lo seguimmo a testa china sotto la pioggia, in un edificio quadrato, basso e isolato. Al centro del pavimento di pietra era scavata una larga apertura quadra, protetta da una bassa ringhiera. Una scaletta di ferro fissata lateralmente scendeva in un pozzo di mattoni coperto da licheni verdastri. Su un lato vi era una grossa ruota. «Ieri notte avevo lasciato le paratie leggermente aperte», disse Padge. «Con tutta la pioggia che è caduta arriva un bel po' d'acqua, e bisogna farla defluire. Stamattina, quando sono venuto qui, pensavo di aprirle del tutto, ma erano bloccate. Ho guardato giù nel condotto e... vedrete voi stessi.» La mano che reggeva la lucerna prese a tremargli. Ci accostammo tutti alla ringhiera per guardare giù, sporgendo le lanterne sopra il pozzetto. Scendeva per sei metri. In fondo, su un lato,

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nella parete di mattoni vi era un paio di massicci battenti di legno, alti circa due metri e mezzo e aperti quanto bastava per lasciar scorrere un rivolo d'acqua. Sgranai gli occhi nello scorgere, ai piedi dei battenti, il corpo di un uomo nudo. Era in una posizione strana: aveva le membra distese, con le braccia e le gambe spalancate contro i battenti di legno. Il suo viso guardava in su: non era che una forma chiara nel buio, ma riuscii a riconoscere Lockley. «Il corpo è fissato alle paratie», disse Padge. «Siete sceso a controllare?» chiese Sir Thomas, e Padge scosse energicamente la testa. «Faremo meglio a dare un'occhiata. Barak, Harsnet, venite con me. Anche voi, Shardlake... se potete scendere le scale a pioli», aggiunse con un sorrisetto sprezzante, un lampo di denti bianchi nella penombra. «Certo che posso», ribattei asciutto, anche se la prospettiva non mi entusiasmava. Sir Thomas scavalcò agilmente la ringhiera e prese a scendere, seguito da Barak e Harsnet. Io chiudevo la fila, stringendo forte i pioli scivolosi. In fondo, ci ritrovammo su un ammattonato umido, inclinato verso un canale centrale, dove l'acqua si riversava nel buio sotto un'arcata. Guardammo le chiuse, rimanendo senza parole allo spettacolo che si offrì ai nostri occhi. Il corpo nudo di Francis Lockley era stato appiattito sulla parte inferiore dei battenti, quindi inchiodatovi come una terribile parodia della crocifissione, con le mani piantate su un battente e i piedi sull'altro. Chiodi grossi, dalla testa larga, conficcati sino in fondo. Le chiuse non potevano essere aperte senza estrarli, e ciò richiedeva più forza di quanta potessero esercitarne il peso dell'acqua e l'azione della ruota su in alto. Notai sulla nuca una massa di sangue rappreso, ma nessun segno di emorragia da quell'orribile ferita. Perlomeno Lockley era morto in fretta. Riflettei che se fosse stato narcotizzato e lasciato a ridestarsi nel buio, c'era il rischio che sopravvivesse abbastanza da parlare con qualche salvatore. L'assassino aveva dunque anteposto la sicurezza alla propria sadica crudeltà. Nonostante ciò, la brutalità era indicibile. Un sonoro scricchiolio ci fece fare un passo indietro. «Là dietro si sta fermando molta acqua», disse ansiosamente Barak. «Come diavolo ha fatto l'assassino a portarlo quaggiù?» domandò Sir Thomas. «L'avrà fatto cadere», rispose pronto Barak. «Poi ha disceso la scala.»

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Le chiuse scricchiolarono nuovamente. «Dovremmo risalire», disse Barak con improvvisa urgenza. «Con la pioggia, il livello dell'acqua dietro le chiuse cresce sempre. I chiodi sono stati piantati a fondo, ma a un certo punto cederanno.» «Avete ragione», convenne Sir Thomas. «Andiamocene.» Risalimmo daccapo la scaletta. Janley e Padge sedevano su sgabelli ai lati dello stanzino buio. Ci arrestammo un attimo, sconvolti e annichiliti dall'ultimo delitto. Quindi Harsnet disse: «Devo uscire di qua». Lo seguimmo nel cortile. La pioggia pareva diminuita. «Sarà un lavoro duro tirare fuori Lockley», disse a bassa voce Harsnet. «E, come avete detto voi, Barak, rischioso. Bisogna bloccare in qualche modo le chiuse mentre si rimuove il corpo e tirarlo su con delle corde.» «Ci penserò subito io», disse Sir Thomas. Persino lui sembrava turbato. «Con qualcuno dei miei uomini di cui mi fido. Terranno la bocca chiusa. Non si può aspettare.» «No», ammise Harsnet. «Non solo gli strumenti dei musici, ma anche tutte le proprietà del re qui immagazzinate verranno allagate. Non capisco, però, come abbia fatto a portare Lockley all'interno dell'abbazia e in che modo sapesse dove si trovava la garitta dell'impianto.» Mi guardai attorno. «Se gironzolava nei dintorni, sarebbe venuto a sapere che il guardiano è un beone», risposi piano. «Era abbastanza facile entrare qui di notte ed esplorare gli edifici per vedere se si adattavano ai suoi intenti, che, ci scommetterei, aveva già progettato.» «Se ha parlato con il custode, quella vecchia spugna potrebbe ricordarselo», disse Sir Thomas, con gli occhi che già brillavano per l'eccitazione. «Ne dubito.» «Perché?» «Perché Padge è ancora vivo. Certo, potrebbe essere posto sotto interrogatorio, ma ricordate che l'assassino ha già massacrato un uomo che poteva condurci alla sua identità.» Harsnet annuì. «Allora dovremo interrogare di nuovo i clienti della taverna, chiedere se qualche estraneo ha fatto domande sulla Charterhouse.» Accennai alla cappella. «Forse anche i mendicanti.» «Sì. Per un soldo, qualcuno potrebbe avere chiesto informazioni a loro. E possibile.»

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Sir Thomas mi guardò. «Credete che abbia qualche significato il fatto che gli ultimi due delitti siano avvenuti nei pressi della Charterhouse?» domandò. «Non dimenticate che Lady Catherine Parr abita dalla parte opposta della piazza, e l'assassino potrebbe saperne qualcosa. Il dottor Gurney era qui, quando fu ucciso. Ora sono tre su sei i delitti collegati con Charterhouse Square.» «Non penso. Credo che il nostro uomo abbia deliberatamente scelto Lockley e sua moglie perché conosceva il loro passato. La presenza del dottor Gurney sull'altro lato della piazza è di certo una coincidenza.» «Dev'essere forte, se ha trasportato fin qui il corpo dall'esterno», disse Barak. «Portò il corpo del mio amico Roger Elliard attraverso i Lincoln's Inn Fields fin dentro l'Inn. Presumendo che abbia ucciso Lockley prima di trascinarlo qui, immagino che abbia fatto lo stesso. Lockey era basso di statura, come Roger, però era grasso. Sì, dev'essere molto forte.» «Diamo un'occhiata in giro?» chiese Barak. «Per vedere se si riesce a scoprire da dove è entrato?» «Sì, non possiamo stare qui a bagnarci di più.» Ci voltammo, ma proprio in quel momento tre figure passarono sotto l'arcata d'ingresso, tutte infangate come noi dopo avere cavalcato. La mano di Barak corse alla spada, ma riconobbi che il primo dei nuovi venuti era l'arciprete Benson, avvolto in un pesante mantello. Accennò ai due servitori che l'accompagnavano di rimanere dov'erano. Si arrestarono nel cortile, con la pioggia che gocciolava dai cappelli, mentre Benson si dirigeva verso di noi. Il suo volto grassoccio era ansioso. Harsnet fece un passo avanti. «Che fate qui, signore?» domandò. L'arciprete si deterse il viso con una manica. «Ho attraversato mezza Londra sotto la pioggia in cerca di voi, signore. Sulle prime il vostro domestico a Whitehall non voleva dirmi dove eravate, ho avuto il mio daffare a farlo parlare. Per cortesia, non potremmo andare al coperto? Sono tutto infangato...» «Al diavolo il fango!» esclamò bruscamente Sir Thomas Seymour. «Chi siete e che volete?» Benson gonfiò il petto. «Sono William Benson, arciprete dell'abbazia di Westminster. E voi chi siete?» «Sir Thomas Seymour, fratello di Lord Hertford.»

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«Seymour?» L'arciprete aggrottò la fronte, e intuii che il suo cervello faceva dei collegamenti: Dunque la famiglia Seymour era coinvolta in questa... «Che volete, signore?» tornò a domandare Harsnet. «Bisognerebbe che ci mettessimo al riparo. Ciò che ho portato non deve bagnarsi.» Harsnet esitò un momento, poi rifece strada verso la garitta delle condutture. Janley e Padge s'inchinarono all'ingresso del prelato. L'arciprete si guardò attorno perplesso. «Che succede qui?» «Per ora non ve ne preoccupate», rispose Harsnet. «Per favore, diteci perché siete venuto.» Benson si frugò in tasca, estraendone un pezzo di carta. «Me l'hanno infilato sotto la porta d'ingresso poco prima dell'alba. Me lo ha portato il mio domestico.» Porse il foglio ad Harsnet, mentre noi ci assiepavamo intorno al coroner. La carta era piegata e recava una scritta con il nome dell'arciprete Benson e le parole MASSIMA URGENZA. Harsnet l'aprì. Dentro c'era scritto: LANCELOT GODDARD KINESWORTH VILLAGE TOTTERIDGE HERTFORDSHIRE Rimanemmo a fissare il semplice, nudo messaggio. «Hertfordshire», disse a bassa voce Harsnet. «Non credevo di dover cercare così lontano.» «Sono stato nel villaggio di Totteridge», disse Barak. «Si trova in fondo a una piccola appendice del territorio dell'Hertfordshire che si allunga verso Londra. E a un paio d'ore di cavallo.» «Voi dite che questo messaggio vi è stato infilato sotto la porta», disse Sir Thomas. «Non l'avrete mica scritto voi, per caso?» «Certamente no», ribatté offeso Benson. «L'assassino sapeva che stavamo per trovare la sesta vittima», dissi sottovoce. «E adesso ci dà il suo indirizzo?» si domandò Harsnet, incredulo. «Si arrende?» Presi il pezzo di carta, non privo di una certa riluttanza a toccare quello scritto, lo scritto dell'assassino. «No, equivarrebbe ad abbandonare la sua missione. E Goddard potrebbe essere la vittima, non l'assassino:

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non c'invita in quel villaggio per arrendersi. Potrebbe piuttosto volerci mostrare il settimo omicidio. L'ultimo. Il grande terremoto che annuncerà la fine del mondo.» Per un momento regnò il silenzio. Quindi l'arciprete ci squadrò sconcertato. «C'è stata una sesta morte? Chi? Qui?» Si guardava attorno freneticamente; infine i suoi occhi si fermarono sul pozzetto. «Lì sotto», mormorai. «Il vostro ex confratello laico, Francis Lockley.» L'arciprete guardò la botola, poi fece un passo indietro, sbiancandosi in volto. «Tornate a casa», disse Harsnet, «e rimanete dove potremmo avere nuovamente bisogno di voi. E non parlate con nessuno. Ora avete visto che è coinvolta anche la casata dei Seymour, quindi avrete capito quanto è importante questo caso.» «Che farete?» chiese Benson. «Prenderemo alcune iniziative», rispose Harsnet, senza compromettersi. «Andatevene, state perdendo tempo», disse Thomas Seymour. «Oppure volete che vi porti giù a dare una bella occhiata a quello che giace in fondo alla botola? Vi assicuro che non è uno spettacolo gradevole.» L'arciprete si ritrasse. Ci squadrò nuovamente, poi si voltò e uscì. Ordinò ai suoi accompagnatori di seguirlo, e udimmo i loro passi allontanarsi sulle lastre di pietra bagnate. Harsnet ci guardò. «Ora dovremmo correre a Totteridge», disse. «Sir Thomas, potete procurare qualche uomo...» «Non sono certo che dovremmo farlo» dissi in fretta. «È proprio ciò che lui si aspetta. Potremmo finire con il cadere in una trappola.» «Ma se Sir Thomas può mettere insieme degli uomini», osservò Barak, «e possiamo andarvi in forze...» «Il gobbo ha ragione», disse Seymour. «Laggiù quel tipo ha in serbo qualcosa per noi. Sarebbe meglio che mandassi nel villaggio un paio di uomini fidati, il mio maggiordomo e un altro, un ex soldato che era con me in Ungheria. Possono dare un'occhiata in giro, scoprire se Goddard abita lì, prendere contatto con il giudice locale. Possono tornare a riferire stasera. Coroner Harsnet, voi dovreste informare l'arcivescovo dell'accaduto, poi io riferirò personalmente, appena avrò notizie.» «Dovremmo fare irruzione in quel posto», insistette Barak. «Prima studiamo il terreno», rispose Seymour. «Domani potremo arrivare in paese in forze.» Guardò il coroner. «Però ci serve l'approvazione dell'arcivescovo.»

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A dispetto nel suo comportamento offensivo nei miei confronti, ora guardavo Sir Thomas con un rispetto nuovo: era stato ambasciatore presso un esercito che combatteva in Ungheria, aveva la mentalità dello stratega. «Potrei andare con i vostri uomini», disse Harsnet. «No, Gregory», dissi io. «Con tutta probabilità l'assassino vi riconoscerà, dato che ci ha seguiti. Agli uomini di Sir Thomas sarebbe invece possibile indagare senza far trapelare chi sono.» «Voi credete che quell'uomo sia posseduto dal demonio», disse Seymour. «Dobbiamo dimostrarci furbi quanto lui.» Harsnet corrugò la fronte. «Ci occorrono uomini affidabili», disse, dopo un momento di silenzio. Seymour scoppiò a ridere. «Non vi preoccupate, coroner, il mio maggiordomo è affidabile, e non beve. Va persino in chiesa la domenica, quando non ho bisogno che mi organizzi una caccia.» Harsnet guardò me, e annuii. «Molto bene», rispose, non senza riluttanza. Seymour scrutò il guardiano. «Manderò qualcuno a sostituirlo e a tenere lontana la gente. Sarà meglio che lo chiudiate in un posto sicuro per un po' di tempo, e lo facciate bere. Le sue grosse orecchie hanno ascoltato per tutto il tempo.» Il custode gli diede un'occhiataccia, ma non osò ribattere. «Janley tornerà alla taverna», concluse Seymour; poi d'un tratto sogghignò: «L'inseguimento ha avuto inizio, signori, la caccia sta per concludersi». Quando se ne fu andato, Harsnet ordinò a Janley e al custode di rimanere nella garitta dell'impianto fognario, e chiese a Barak e a me di uscire. Per fortuna la pioggia era cessata e un sole malaticcio cercava di insinuarsi fra le nuvole. «Voi suggerite che potrebbe esserci una traccia, Barak?» chiese il coroner. «Vogliamo cercare? Poi debbo andare a rapporto dall'arcivescovo.» Harsnet era silenzioso e meditabondo, mentre noi tre uscivamo dal portale principale, seguendo il muro di cinta intorno all'abbazia. Un cancello ci condusse in un frutteto, che mi richiamò daccapo alla mente i momenti immediatamente successivi alla morte di Roger. Barak apriva la fila in mezzo all'erba alta fra gli alberi. Le mie scarpe e le calzebrache s'inzupparono ancora di più. «Non vedo niente», disse.

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«Tutto fradicio. No, aspettate, guardate qua.» Indicò il terreno: un unico, lungo solco fra l'erba, che aveva lasciato un'impronta profonda. «Che cos'è?» domandai. «Una carriola», rispose Barak. «In qualunque posto tenesse nascosto Lockley, per portarlo dentro l'assassino deve avere percorso una certa distanza. Ecco come ha fatto.» «Ma un uomo che trasporta un cadavere su una carriola si farebbe notare.» «No, se lo avesse coperto. Chissà dove porta?» Prese a seguire la sottile linea attraverso il frutteto. La traccia ci condusse verso Aldersgate Street: passava per un varco in una siepe e scompariva nell'erba bassa di un viottolo che aggirava un campo. Barak guardò verso la strada in lontananza. «Quanto tempo e quanta prudenza usa», commentò Harsnet. «Deve avere ucciso Lockley, poi è tornato per la signora Bunce, dopo avere nascosto da qualche parte il corpo di lui prima di metterlo nella conduttura ieri.» «E ciò che ha fatto alla signora Bunce deve avergli portato via buona parte della notte», sussurrai. «Come può averli sopraffatti entrambi?» «Magari ha fatto loro prendere il narcotico. Forse è arrivato tardi, e li ha convinti a bere una birra con lui. E abbastanza astuto per fare qualunque cosa», aggiunsi con amarezza. «E adesso vuole che andiamo in quel villaggio», disse Barak. «Sì.» Harsnet mi guardò. «Penso che abbiate ragione. La settima coppa sarà versata in quel villaggio dell'Hertfordshire. Sarei dovuto andare con loro.» Ammiravo il suo coraggio, ma non ero d'accordo. «La possibilità di compiere qualche indagine in segreto potrebbe fare tutta la differenza.» Harsnet annuì, un po' riluttante. «Che farà?» chiese, con voce carica di tensione. «Chi sarà la settima vittima? Uno di noi, un estraneo, o qualcun altro dell'abbazia? Probabilmente è già morto, un altro cadavere che aspetta di essere scoperto.» «Oppure la vittima è Goddard stesso? Qualcuno dovrebbe verificare se il giovane Cantrell è al sicuro», dissi. «Già, non stordito e trasportato da qualche parte in carriola» La voce di Barak si fece d'un tratto irritata. Sul suo volto si notava nuovamente la tensione. Si voltò verso di me.

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«Che razza di roba da incubo sta per combinare, stavolta? Come provocherà il terremoto?» *** Capitolo trentasette. Ritornammo fuori, verso Sukey e Genesis, che masticavano l'erba cresciuta alta ai piedi del muro di cinta. Mi voltai a guardare il portone sul quale era stato inchiodato il braccio del priore Houghton, immaginando addirittura di distinguerne il profilo rossastro rimasto sul legno. «Quanta violenza, in questi ultimi dieci anni», dissi a bassa voce. «C'è da stupirsi, forse, che ancora più gente non sia rimasta vittima dell'ossessione di uccidere.» Mi tornò alla mente il primo sguardo che avevo dato al corpo nudo e crocifisso del povero Lockley, giù in fondo alla botola: ora mi pareva di rivedere sempre meno di frequente il viso di Roger, come se gli orrori successivi avessero finito per occupare troppo spazio. «E adesso, dove si va?» chiese Barak. «A casa, ad aspettare nuove istruzioni?» «No: adesso andiamo a fare visita a mastro Piers. Cerchiamo di scoprire se ha rubato. Potremo andare nell'Hertfordshire più tardi.» «E se il vecchio moro è in casa?» «Allora troveremo qualche scusa. E mi farebbe piacere se smetteste di chiamarlo in quel modo.» «Non intendevo offenderlo. Di certo è stato chiamato con nomi peggiori. Volete una mano per montare in sella?» Partimmo. Un gruppetto di cinque o sei mendicanti s'era radunato sui gradini della cappella: avevano tutti qualche infermità, due camminavano con le stampelle, gli altri mostravano facce pallide e sofferenti. C'era anche il ragazzino mezzo calvo che aveva badato ai nostri cavalli il giorno in cui eravamo venuti per la prima volta da Lockley e dalla signora Bunce. Forse erano nella cappella, e ne erano usciti richiamati dal movimento all'ingresso della Charterhouse; ora venivano verso di noi zoppicando e chiedendo l'elemosina. «Fuori dai piedi!» gridò Barak. «Andiamo di fretta!» Ci allontanammo. «Speriamo che Harsnet faccia in modo di interrogarli», disse Barak. «Potrebbero magari sapere se qualcuno faceva domande sulla Charterhouse.» «Lo farà: è scrupoloso.»

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«Un po' duro, però, eh?» «Non ha una gran fantasia, questo ve lo assicuro.» «Un devoto baciapile.» «Non v'è mai andato a genio, vero?» sorrisi. «Neppure a voi, almeno all'inizio. Ricordate quell'indagine che aveva bloccato?» «E migliore della maggior parte degli uomini che lavorano a corte. Ha dei principi, una certa umanità. A volte sarà magari un po' tardo, ma non si è mai trovato a che fare con un caso come questo.» Squadrai gravemente Barak. «Come nessuno di noi.» «In questo avete ragione. Sapete che cosa mi spaventa di più?» chiese d'un tratto. «Che cosa?» «Che ogni delitto si direbbe pensato per dimostrare che l'assassino è più intelligente di noi. Ce li offre come trofei. Yarington, la signora Bunce, Lockley: i tre delitti avvenuti da quando ce ne siamo interessati noi.» «Lo so. Ha tentato di impedirmi di agire, assalendo prima Tamasin, poi me. Quando però non c'è riuscito... s'è messo, come dite voi, a dimostrarci che è capace di essere più furbo di noi.» «Ma perché?» chiese Barak. «Perché?» «Non lo so. Forse fa parte della sua pazzia.» «E adesso ci dà il suo indirizzo», disse, incredulo. «Roba da matti.» «Ci ha dato un indirizzo. Non sono ancora convinto che sia Goddard. Senza dubbio sarebbe stato conosciuto nell'ambiente delle sette religiose, se non altro di vista, con quel neo in faccia», sospirai. «Continuo a domandarmi se l'assassino potrebbe essere qualcun altro.» Scoppiai a ridere, non senza cogliere un pizzico di isteria nella mia stessa voce. «Sapete, ho persino preso in considerazione la possibilità che sia Piers.» Barak scosse la testa. «Ciò che fa l'assassino richiede molto tempo e molta preparazione, come potrebbe riuscirci Piers, mentre lavora a tempo pieno per Guy? E Piers non ha nulla a che fare con i gruppi religiosi: dubito persino che abbia una religione.» «Lo so, è un'idea folle. Sono arrivato al punto di aggrapparmi anche alle pagliuzze.» «Perché non credete che sia Goddard?» «Non ne sono sicuro.» Trasalii, perché un altro lieve strattone alle redini mi fece dolere il braccio.

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«State bene?» «Sì, è solo il braccio. E ho freddo.» «Il sole s'è coperto.» «Lo so. Adesso, però sento freddo da molto tempo.» Barak e io ci recammo a casa di Guy poco dopo la cena. A Bucklersbury gli speziali erano al lavoro nelle loro botteghe, e nella vetrina accanto a quella di Guy si vedeva un uomo dalla lunga veste versare polvere in un grosso vaso da farmacia. Legammo i cavalli all'esterno. Barak mi chiese, a voce bassa: «Lascerete che sia io a interrogarlo?» «Pensate che sia troppo delicato per lui? Non lo sarò, ve l'assicuro.» Mi guardò con serietà. «Credo che un po' di interrogatorio duro da parte mia possa disorientarlo, fargli perdere la sua sicurezza.» Riflettei un momento, poi annuii. «D'accordo.» Bussammo forte alla porta. Udimmo dei passi, quindi Piers aprì l'uscio, con una candela in mano. Ci squadrò meravigliato. «Il dottor Malton è uscito, signore.» «Lo sappiamo. E te che siamo venuti a trovare, galletto», disse allegramente Barak, spingendosi dentro con una spallata. Lo seguii, con un sorrisetto a Piers. Vidi che Piers e Guy facevano esperimenti: il tavolo in fondo alla stanza era ingombro di fiale e recipienti. «Tagliato nessuno, oggi?» chiese Barak. «Non capisco, ero di sopra, a studiare.» La voce di Piers era tranquilla, la sua aria sottomessa, ma quando si volse verso di me c'era collera nei suoi occhi. «Perché permettete al vostro uomo di parlarmi con questo tono, signore?» «Ho qualche domanda per te. Barak può fartela come un leale servitore a un altro.» «Ho sentito che al dottor Malton è mancato del denaro», disse Barak. «Tu ne sai niente?» L'espressione di Piers non mutò. «Non ho sentito nulla. Senza dubbio, se al dottor Malton fosse mancato del denaro me ne avrebbe parlato lui stesso.» «Ah, mastro Shardlake qui presente, però, è il suo avvocato.» Gli occhi di Piers saettavano da Barak a me, pareva disorientato dalla rapidità delle domande. «Non posso credere che il dottor Malton vi abbia autorizzato a interrogarvi in questo modo», disse. «Ma siamo qui. Il furto è un crimine punito con la morte.»

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Gli occhi del giovane si restrinsero. «Non ho fatto niente. Lo dirò al dottor Malton, non ne sarà lieto.» «E stato lui a dirci che gli erano spariti dei soldi», risposi io. «Dov'è camera tua?» chiese Barak. «Al piano superiore. Ma non avete il permesso di entrarvi. Come apprendista, ho i miei diritti!» Adesso alzava la voce, rosso in faccia. «Un duro.» Barak si voltò verso di me. «Salgo a dare un'occhiata nella sua stanza?» «Ci andrò io. Voi restate qui, e tenetelo d'occhio.» Squadrai Piers: ora aveva paura. Il ragazzo fece un passo indietro, bloccando la porta con la sua corporatura robusta. «No! Non ne avete il diritto!» Barak estrasse la spada, servendosi della lama per scansarlo dalla porta. Piers rimase a guardare con le labbra serrate, ansimando, mentre passavo oltre. Salii una scaletta angusta e buia. Guy non si fidava di lasciare domestici in circolazione fra le sue attrezzature, e in casa non c'era nessun altro. Al piano superiore vidi una porta aperta. La preziosa edizione del Vesalio di Guy giaceva sullo scrittoio, aperta sull'illustrazione di uno scheletro che penzolava da una forca, come un impiccato. Piers era intento a fare una copia di quell'immagine ripugnante, e una penna era rimasta sul tavolo. Un lavoro assai ben fatto. Frugai la stanza. Tra i volumi sullo scaffale, che trattavano di medicina e di erbe, trovai una copia del Libro Nero, una raccolta dei più squallidi casi di sodomia e di fornicazione scoperti otto anni prima dagli agenti di Cromwell, nel corso delle loro indagini sui monasteri. Ne erano state vendute molte copie a lettori avidi di rivelazioni pruriginose. C'era un baule pieno di abiti, alcuni di qualità sorprendentemente fine. Esaminai il letto, rivoltando il materasso, e fu lì che trovai una piccola borsa di pelle. Dentro c'era una raccolta di monete d'argento, per un totale di oltre una sterlina: molto più denaro di quanto fosse normale che possedesse un apprendista. La presi, lasciai la stanza e ridiscesi la stretta scala. Piers era in piedi presso il tavolo, con di fronte Barak a spada snudata. Quando entrai nella stanza sollevai la borsa. «Soldi», dissi. «Dunque sei un ladro, bello mio», esclamò bieco Barak. Un mutamento si verificò sul viso di Piers, che assunse un'espressione dura e calcolatrice. Pensai: Adesso la maschera è caduta. «Potrei dire

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qualcosetta sul conto di quel vecchio muso nero, se volessi», disse, con voce d'un tratto tagliente come una lama. «Per esempio che si prostra davanti a una vecchia, grossa croce nella sua stanza da letto, adorando gli idoli. Che il prete che frequenta è noto come un papista clandestino. Che è un pederasta, che mi fa commettere con lui atti contrari alla morale.» «Questa è una menzogna!» gridai infuriato. Piers mi fissò torvo. «Forse. Ma una parte di lui lo desidererebbe. Ormai lo conosco abbastanza per sapere che, di fronte a un'accusa del genere, rimarrebbe imbarazzato e a disagio. Siete un avvocato, perciò immaginate come la prenderebbe una giuria, tanto più che è un ex monaco. La sodomia è punita con la forca quanto il furto: se vado in malora, farò in modo che vada in malora anche lui.» «Un brutto piccolo bastardo, eh?» disse Barak. Il successivo gesto di Piers fu talmente repentino da coglierci alla sprovvista. Allungò una mano dietro di sé sul tavolo, afferrò un flacone di liquido e ne gettò il contenuto in faccia a Barak, che lanciò un urlo, barcollando indietro e portandosi le mani al viso. Piers corse alla porta, l'aprì e fuggì nella notte. Udii i suoi passi svanire nel dedalo di viuzze che formavano Bucklersbury. Mi precipitai da Barak e gli allontanai delicatamente le mani dal viso, con il terrore di ciò che avrei trovato. I suoi occhi erano arrossati e lacrimanti, ma non c'erano altre lesioni, e avvertii un odore agrodolce di limone. «I miei occhi», gemette Barak. «Vi porterò un po' d'acqua dalla cucina. Credo che sia solo succo di limone, presto vi passerà.» Mi affrettai a portargli un secchio d'acqua e un panno. Gli strizzai l'acqua sugli occhi. «Sbattete le palpebre, idiota», dissi bruscamente. Dopo un buon lavaggio il bruciore agli occhi di Barak diminuì, benché rimanessero iniettati di sangue. «Che accidenti sta sperimentando Guy con i limoni?» chiese. «Non costano mica poco.» «Qualche cura, suppongo.» «A quest'ora quella piccola canaglia sarà già lontana mille miglia.» «Sì. Credo che la cosa migliore da fare sia rimanere qui finché non torna Guy», sospirai. Non ero affatto ansioso di vederlo rientrare.

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Guy arrivò un'ora dopo, e sgranò gli occhi stupito alla vista di noi due seduti nella sua bottega, con Barak che ancora si tamponava gli occhi con uno straccio. «Che è successo?» Glielo spiegai, tralasciando le minacce di Piers contro di lui. Quando terminai si accasciò su uno sgabello, costernato. Rimase seduto per svariati minuti, poi si levò in piedi con lentezza. Mi parve invecchiato di dieci anni. «Lasciatemi guardare i vostri occhi, Barak», disse stancamente. Prese una candela e li esaminò. «Li avete lavati. Bene. Era soltanto una cosa su cui lavoravo con i limoni, un cataplasma.» Si voltò quindi verso di me, e la sua voce risuonò al mio orecchio come mai l'avevo udita in precedenza, tremante di collera. «Saresti dovuto venire prima da me. Non avresti dovuto fare le cose alle mie spalle.» «Ho pensato che era meglio che fossimo noi ad affrontare Piers.» «Credevi che ti avrei ostacolato.» Non sapevo che cosa rispondere. «Sono stato a visitare Bealknap», disse. «Sta meglio, come prevedevo, e si lagna perché i domestici della signora Elliard non gli vuotano abbastanza spesso il pitale. Ho preso quel ridicolo individuo come paziente perché tu me lo avevi chiesto, così come mi ero lasciato coinvolgere nella tua caccia all'assassino. E questo è il modo in cui mi ripaghi! Credevo che avessi fiducia in me, Matthew.» «Avevo l'impressione che non sapessi giudicare con chiarezza Piers, ed era urgente. E un ladro, Guy.» «E adesso se n'è andato.» «Mi dispiace. Che posso dire?» «Niente.» Chinò il capo, stringendo fra le mani il panno bagnato. Ci fu un silenzio che durò solo qualche istante, ma parve lungo un'ora. Poi dissi: «C'è stato un altro omicidio». Gli parlai di Lockley, e del biglietto con l'indirizzo di Goddard. Guy mi guardò. «Non c'è nulla che possa fare, vero?» «No.» «Allora vi auguro buona fortuna nell'Hertfordshire.» Guy mi gettò un'occhiata gelida, quasi di disprezzo. «Non denuncerò Piers, se venisse preso», disse. «Non voglio vedere un ragazzo di diciotto anni impiccato per avere rubato qualche soldo, come prescrive la legge.» Prese la borsa di monete che avevo deposto sul tavolo, e se la fece scivolare nell'abito.

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«Ecco, la tua prova è scomparsa. E adesso vorrei che tu te ne andassi, Matthew. Spero che troviate Goddard.» Il suo sguardo diceva che il suo coinvolgimento nel caso era giunto al termine. «Guy...» Alzò una mano. «No. Vattene, per favore. Ho un appuntamento per andare a visitare Adam a Bedlam.» D'improvviso guardò duramente Barak, e compresi che si domandava se avessi informato il mio assistente dei suoi turbamenti per Piers. «Io non ho detto...» cominciai. «Va', per favore, Matthew.» Il suo tono freddo e furioso mi colpì al cuore. Barak e io uscimmo dalla bottega. Mentre slegavamo le redini dei cavalli Barak mi chiese, incuriosito: «Che cosa non avete detto?» «Niente. Cose private di Guy.» Cavalcavamo silenziosi. Quasi gemevo ad alta voce, al pensiero della ferita che avevo inferto alla nostra lunga amicizia. *** Capitolo trentotto. Tornammo a casa. Le strade erano affollate. Gran parte dei gendarmi cittadini sembravano di pattuglia, insieme con numerose guardie indossanti la livrea del vescovo Bonner. Molti li guardavano ostili o intimoriti. Pensai a quelli che erano stati arrestati, al pericolo che correva Cranmer. Mi domandavo altresì che cosa facessero i devoti: probabilmente non si facevano notare, in attesa che la tempesta si placasse. Quell'ultima persecuzione, tuttavia, non sarebbe servita ad altro che a incoraggiarli a credersi dei martiri. Mi venne da pensare che Harsnet, in quanto funzionario regio, nonché radicale, poteva essere anch'egli in pericolo. Oppure sarebbe bastata la protezione di Cranmer e di Lord Hertford? Ero esausto; arrivato a casa andai a letto e dormii per parecchie ore; quindi consumai una tetra cena da solo, perché Barak e Tamasin erano rimasti nella loro camera. A quell'ora gli uomini di Seymour dovevano avere raggiunto l'Hertfordshire. Mi coricai presto. Al mattino, ancora nessuna notizia. Barak mi raggiunse a colazione. «Che succede?» chiesi. «Forse gli uomini di Seymour se la stanno sbrigando in tutta segretezza con Goddard», rispose gravemente Barak.

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Scossi la testa. «Ci direbbero qualcosa», dissi. Fui colto da un pensiero. «Dov'è Tamasin? Di nuovo non è scesa a colazione?» «È ancora a letto.» Barak mi guardava privo di allegria. «Ha capito che c'è stato un altro delitto, ma ieri, quando sono rientrato, non le ho detto dove sono andato. Si deprime, se ne sta a letto e basta. Sembra così... così triste.» «Perché voi due non comunicate più, non vi pare?» «Non lo so.» Come spesso faceva, cambiò discorso. «Dunque non andrete a denunciare il giovane Piers?» «No.» Barak mi diede un'occhiata curiosa. «Che c'è fra lui e il vecchio moro?» «Credo che il bisogno di avere una persona di cui prendersi cura, alla quale trasmettere il proprio sapere, sia così forte da avere avuto il sopravvento su di lui. Ma, alla fin fine, non ha importanza. Perlomeno adesso è libero da quel ragazzo. Spero che sia fuggito, che se ne sia andato da qualche parte lontano da Londra.» «Lo farà, se ha un po' di buon senso. Sa che, se verrà processato per furto, sarà impiccato.» Mi alzai in fretta. «Vado a Bedlam», dissi. «Guy ha detto che sarebbe andato a visitare Adam. Cercherò di parlare con lui, di farlo ragionare.» Barak pareva dubbioso. «E piuttosto arrabbiato», disse. Fui sul punto di rispondere: Pensa a tua moglie, anche lei è arrabbiata, ma mi morsi la lingua. «Non posso permettere che le cose restino così.» «Volete che venga anch'io?» «No. No, andrò da solo.» Mi diede un'occhiata preoccupata e compresi che lo impensieriva che la tensione incominciasse a essere troppa, per me; anche il suo viso appariva piuttosto teso. Gli misi una mano su una spalla. «Andrò a cavallo», dissi. «Sarò al sicuro. Mandatemi subito ad avvertire, se per caso ci fosse qualche novità dall'Hertfordshire.» * * * Raggiunsi Bishopgate senza incidenti; quando però varcai l'ingresso del cortile di Bedlam udii un suono inatteso: una donna che gridava e singhiozzava terrorizzata. Per un orribile momento temetti che l'assassino ci avesse nuovamente messi sulla strada sbagliata, e che il settimo delitto avvenisse lì e ora; poi vidi una donna bussare e tempestare le porte chiuse del fabbricato di Bedlam, gridando perché la

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lasciassero entrare. S'era radunata una piccola folla di passanti, alcuni dei quali ridevano di quell'ultimo saggio delle mattane dei ricoverati. Mi chiesi perché nessuno venisse ad aprire. Poi, mentre mi dirigevo verso la calca, vidi che la donna era la guardiana Ellen. Smontai di sella, legando frettolosamente Genesis alla sbarra. Ellen non si curava della gente: premeva con tutto il corpo contro la porta, urlando, in preda a ciò che pareva un terrore straordinario: «Fatemi entrare, mastro Shawms! Vi prego, vi prego!» Mi feci largo a gomitate in mezzo alla ressa, posandole una mano su una spalla. «Ellen», le dissi a bassa voce. Lei non si voltò. S'irrigidì e parve schiacciarsi più forte ancora contro il battente. «Chi è?» sussurrò. «Sono io, mastro Shardlake. Che accidenti succede?» «Per pietà, mastro Shardlake, fate che mi lasci entrare.» Le ginocchia le cedettero e s'accasciò ai piedi della porta, contro la quale premeva ancora, singhiozzando disperatamente. Bussai all'uscio. «Shawms!» gridai. «Aprite questa porta! Che succede?» Udii un bisbigliare di voci, subito dentro. Dall'interno, un po' più distante, sentii altra gente gridare, e credetti di distinguere, fra le voci, anche quella di Adam. Una chiave girò e la porta si aprì, rivelando Shawms con alle spalle il grosso guardiano Gebons. Quest'ultimo era corrucciato, mentre Shawms appariva in collera. Appena il battente si socchiuse a sufficienza Ellen si precipitò dentro, correndo ad appiattirsi contro la parete opposta, dove rimase ad ansimare affannosamente. Un gruppo di pazienti era sulla porta aperta del parlatorio, con facce spaventate. La vecchia Cissy fece un paio di passi strascicati, allungando un braccio esitante. «Oh, Ellen», borbottò, «povera Ellen.» Vidi chiuse le porte di tutte le camere dei ricoverati. Udii l'uomo che credeva di essere il re esortare i suoi sudditi a comportarsi bene, mentre da più lontano nel corridoio l'ex studioso si scagliava contro il battente con tonfi rumorosi. Fra loro sentii la voce di Adam invocare che Iddio aiutasse Ellen, salvasse la buona Ellen. Shawms chiuse la porta d'ingresso in faccia ai ficcanaso che curiosavano. «Che state facendo a quella gente?» domandai. Mi guardò come se avesse voglia di tirarmi un pugno, ma mantenne calma la voce. «Ellen aveva bisogno di una lezione. Grazie a voi, si è accaparrata la cura di Adam Kite, ed è montata in superbia al punto da

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dire a me come dovrebbe essere trattato. E adesso pretende di pensare anche agli altri pazienti, chiede che quella vecchia imbecille svanita di Cissy venga affidata alle cure della sua famiglia.» Diede un'occhiataccia alla vecchia, la quale indietreggiò fino alla soglia del parlatorio. «Come se la sua famiglia avesse voglia di avere noie, più di quanto ne abbia la famiglia di Ellen.» Alzò la voce: «Ancora non avete afferrato bene che cos'è questo posto, mastro Shardlake? Questa è una pattumiera, dove chi ha soldi scarica i parenti fuori di testa. Qualcuno possiamo anche ricoverarlo per carità, e a volte certi sono persino curati, o si fa finta che siano guariti. Ma perlopiù è una discarica, che produce oro per il sovrintendente Metwys come l'immondizia genera topi». «Ellen fa parte del vostro personale, anche se un tempo è stata una paziente. Che diavolo le avete fatto?» Allora Shawms scoppiò a ridermi in faccia. «E questo che vi ha detto lei? Ellen è ancora una ricoverata, lo sarà sempre. Le ho affidato alcune mansioni da guardiano perché è brava con i malati, anche se troppo tenera con loro.» La squadrò. «Qualche volta, però, si monta un po' troppo la testa, e devo ricordarle chi e che cosa è, chiudendola fuori.» Si voltò verso Ellen, la quale, ancora irrigidita contro il muro, respirava con affanno, tenendo gli occhi lontani dalla porta chiusa. «Questa è la sua pazzia», proseguì brutalmente Shawms. «Non sopporta di stare fuori, dice che il mondo oscilla e traballa e che la ingoierà. È sempre stata così, da quando fu aggredita da una banda di giovinastri giù nel Sussex, da dove viene lei, che la fecero diventare donna prima del tempo. Non è così, Ellen?» Ellen si sforzò di scostarsi dalla parete. Si strinse le mani davanti al petto. «Sì, mastro Shawms», rispose calma. «Così ora, mastro Shardlake, sapete tutto di me.» Provavo una grande pietà per la poveretta, ma istintivamente compresi che darlo a vedere sarebbe stata la cosa peggiore per lei. «Non importa, Ellen», dissi tranquillo. «Ascoltate, il povero Adam è disperato. Volete venire con me ad aiutarlo? Siete quella che riesce meglio con lui. Se ve la sentite.» Lei mi rivolse uno sguardo di gratitudine. «Sì, certo», disse dolcemente, e percorse il corridoio a passo fermo, cercando il mazzo delle chiavi. Mi rivolsi a Shawms. «Spero che Adam non sia stato troppo turbato da questo incidente: dovrei farne menzione nel rapporto al tribunale.» Lui

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mi squadrò con occhio bieco. Quando mi voltai, Gebons mi guardava quasi con una punta di ammirazione. Raggiunsi Ellen alla porta chiusa della stanza di Adam. «Ellen!» gridava lui da dentro. «Che cosa vi hanno fatto?» «Va tutto bene», rispose lei. «Sono qui.» «Non è ancora arrivato il dottor Malton?» le chiesi. «No, signore, è atteso, ma non è ancora qui.» Adesso la voce e i modi di Ellen erano tornati quasi normali, sembrava solo un po' scossa, come se la crisi isterica di poc'anzi non fosse stata che un sogno. Aprì la porta. All'interno, Adam era in piedi, vicino alla porta quanto gli consentiva la catena alla caviglia. Era rosso in faccia, e all'ingresso di Ellen la sua espressione spiritata si mutò in sollievo. «State bene?» le chiese. «Gridavate.» «Sì, Adam. Non ti disturbare, siediti.» Vidi che nella stanza era stato posto uno sgabello; esitante, il ragazzo vi si sedette. «È stata un'idea del dottor Malton farlo portare», mi disse Ellen. «Farlo stare seduto, anziché accovacciato sul pavimento a pregare.» Mi resi conto che era la prima volta che Adam dimostrava interesse per qualcuno. Poi rivolse a me il viso contratto, e disse qualcosa che non compresi. «La mia preoccupazione per Ellen era onorevole, signore; per favore, dite di averlo visto, se ve lo chiedono. Non ho peccato di nuovo, neppure con il pensiero. Non era come quella donna del cattivo reverendo.» Quindi il suo volto affilato si contorse in una smorfia di sofferenza, e sarebbe caduto in ginocchio se Ellen non lo avesse sorretto per le spalle. «Su, Adam», disse. Il ragazzo si prese la testa fra le mani, scoppiando in lacrime. Fu allora che le connessioni mi divennero chiare. Il suo vicario, Meaphon, era amico del reverendo Yarington. Timothy aveva descritto il giovane che aveva fatto visita alla prostituta Abigail come alto e bruno, e Adam era alto e bruno, e sua madre mi aveva detto che una volta era anche bello, finché la sua disperata ossessione non l'aveva ridotto pelle e ossa. Feci un passo avanti. «Adam, il nome Abigail significa qualcosa per te?» Nell'udirlo, il ragazzo si divincolò dalla presa di Ellen, si accucciò daccapo contro il muro e mi fissò inorridito. «Il mio peccato è scoperto», mormorò. «Oh, Dio, perdonami, non punirmi di nuovo.»

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«Che fate, signore?» chiese indignata Ellen. «Giro una chiave che dev'essere girata», risposi. M'inginocchiai accanto a Adam, mantenendo calma la voce. «Adam, una volta tu andasti a casa del reverendo Yarington con un messaggio del vostro vicario, non è così?» Lui mi guardò con occhi terrorizzati. «Sì.» «Abigail ti vide e ti invitò a entrare. Aveva voglia di un uomo giovane. T'insegnò certe cose alle quali tu avevi pensato, ma non avevi ancora provato. Ho ragione?» «Come fate a saperlo?» sussurrò. «Dio ha forse fatto di voi lo strumento del mio castigo?» Sorrisi affettuosamente. «No, Adam. Il garzone di stalla di Yarington vide qualcuno, dalla scuderia. Ho semplicemente capito che dovevi essere tu, ecco tutto. Abigail è fuggita e ho bisogno di trovarla, per via di un certo caso.» Non dovevo dirgli che Yarington era stato assassinato. «Quello è il mio grande peccato», disse Adam. «Sapevo che se i miei genitori e la chiesa l'avessero scoperto mi avrebbero cacciato via, perché avevo perduto il mio posto fra gli eletti.» Mi guardò. «Voi non lo direte ai miei genitori, signore?» «No: promesso.» «Ero come cera nelle sue mani», disse. «Gesù, mia difesa, sembrava impotente. Dev'essere stata mandata dal diavolo.» «Era solo una povera donna. Anche lei priva di aiuto, nelle mani di quell'ipocrita di Yarington.» «Sì, è un ipocrita.» Annuì freneticamente. «Sapevo che avrei dovuto dirlo ai miei genitori, alla chiesa... mi rivolsi a Dio per essere guidato, ma non sentii nulla, nulla. Mi ha forse abbandonato?» «Non sono un teologo, Adam. Una cosa però è certa: tu non hai abbandonato Lui. Forse hai solo cercato di raggiungerlo nella maniera sbagliata.» Fu troppo per il ragazzo, che si nascose il volto tra le mani e ricominciò a piangere. Mi rialzai faticosamente, facendo scricchiolare le ginocchia. Mi rivolsi a Ellen. «Ora devo andare. L'informazione che mi ha dato Adam è importante, per... per un caso. Non so quando verrà il dottor Malton. Posso lasciare Adam con voi?» Un'ombra di amarezza le comparve sul viso. «Volete dire che sono innocua, se resto con lui?»

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«No... Io...» «Sono abbastanza innocua», rispose seccamente. «A meno che non mi facciano uscire.» Emise un lungo sospiro. «Per la maggior parte del tempo sono a posto di mente.» «So che, con voi, lo lascio in buone mani.» Arrossì. «Dite sul serio?» «Sì. Se viene il dottor Malton, per cortesia riferitegli ciò che ha detto Adam. E ditegli... ditegli che ho cercato di vederlo.» «Dal vostro viso capisco che è una cosa seria», disse Ellen. «Adam è in pericolo?» «No, vi assicuro che non lo è.» Le sorrisi. «Siete una donna in gamba, Ellen. Non lasciate che quel porco prepotente di Shawms vi faccia credere il contrario.» Lei annuì, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Uscii con la mente in subbuglio: era stato dunque Adam a fare visita ad Abigail. Era lui il giovane dai capelli scuri che avevo cercato. D'un tratto mi domandai se fosse davvero sicuro lasciare Ellen con lui, poiché il suo terribile attacco di panico mi aveva sconvolto. Ma no, pensai, a parte il suo strano disturbo era fin troppo equilibrata, più di molte migliaia di persone nelle vie di Londra. *** Capitolo trentanove. Cavalcai verso casa meditabondo. Non me la sentivo di affrontare l'affollamento mattutino delle strade, perciò presi le vie a nord delle mura cittadine. Era anche sicuro: non c'era nessuno in giro. La tranquillità rendeva accettabile passare accanto al puzzolente Houndsditch, dove a dispetto delle ordinanze del consiglio comunale si continuavano a gettare carogne di cani e cavalli morti. Pensavo ad Adam, alla facilità con la quale ci si dimenticava che chi aveva perduto la ragione una volta era stato una persona normale. Capivo adesso che un tempo il viso scheletrito e stravolto di Adam poteva essere stato bello, che, come diceva il padre, poteva essere stato un ragazzo spensierato e chiassoso. Un giovane del genere sarebbe stato ritenuto dai membri della sua chiesa uno da tenere sotto controllo, da disciplinare, da spaventare con l'inferno. E che successo avevano avuto! Pensai anche a Ellen, alla sua tragica storia, e a come poteva essere prima della sua terribile esperienza.

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Svoltai in Chancery Lane da nord; la via si fece subito animata. Ero ancora profondamente immerso nei miei pensieri, ma d'improvviso fui richiamato alla realtà da un grido: «Ehi, attento!» Vidi il venditore girovago proprio davanti a Genesis, con un carretto a tre ruote carico di cianfrusaglie. Mentre davo un brusco strattone alle redini intravidi un abito lacero, i cui brandelli si trascinavano nella polvere, e una faccia sporca incorniciata da fitti capelli grigi e da una barba incolta. «A momenti mi venivate addosso, e se mi rompevate la mercanzia me la pagavate!» borbottò sopra una spalla, mentre spingeva di lato il suo carretto. Richiamai Genesis, che era quasi inciampato, accarezzandogli il fianco per rassicurarlo mentre proseguivo. Quando riuscii a voltarmi, l'ambulante era quasi arrivato a Holborn. Passai davanti al Lincoln's Inn Gate, diretto a casa mia. Erano soltanto le quattro e mezzo. Mentre salivo al piano superiore per cambiarmi gli abiti che usavo per cavalcare, riflettevo che perlomeno un risvolto dell'enigma era svelato: il ragazzo che aveva frequentato la casa di Yarington era stato messo al sicuro sottochiave, a Bedlam, per tutte queste settimane. In fin dei conti sembrava che il colpevole fosse proprio Goddard. Ma perché ci aveva mandato il suo indirizzo? Presi la Bibbia, sfogliandola fino all'Apocalisse: E il settimo angelo versò la sua coppa sopra l'aria. E uscì una voce grande dal tempio, dal lato del trono, che diceva: «È fatto!» E vi furono lampi, voci e tuoni, e vi fu un gran terremoto, quale non vi era stato da quando gli uomini furono sulla terra, un tale terremoto, così grande. Sedetti nella mia poltrona. Ogni omicidio era stato un'imitazione, una crudele parodia di ciò che i sette angeli avevano fatto alle moltitudini peccatrici nell'Apocalisse. L'assassino si era servito del corpo del povero Lockley per sbarrare un corso d'acqua, per rappresentare il prosciugamento dell'Eufrate causato dalla sesta coppa. Ma, come aveva detto Barak, in che modo sarebbe riuscito a produrre il terremoto? Quando posai la Bibbia sullo scrittoio si aprì di nuovo, a una pagina precedente. Il mio occhio venne attratto da un passo della prima lettera di Paolo ai Corinzi: E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e se avessi tutta la fede al punto da trasportare le montagne, se non ho la carità io non sono

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nulla. Mi domandai se l'assassino avesse mai letto quel passo. Se l'avesse letto, non avrebbe avuto alcun effetto, non sarebbe stato in sintonia con il suo terribile impulso alla violenza; non ci avrebbe neppure fatto caso. Chiusi il volume, provando ancora più amarezza al pensiero di ciò che gli uomini avevano fatto del loro Dio. Scesi al piano terreno. Mentre passavo davanti al salotto notai Tamasin, che sistemava in un vaso qualche rametto punteggiato dalle prime gemme. Il suo viso aveva un'espressione di pensosa tristezza. Mi vide e mi sorrise. «Ho pensato che stessero bene. Li ho colti in giardino, spero che non vi dispiaccia.» «Ci ricorderanno che è primavera. Dov'è Jack?» «E andato al Lincoln's Inn a vedere come se la cava da solo Skelly.» «Dovrei andarci anch'io.» Esitai, fissandola gravemente. «Tamasin, potremmo essere quasi alla conclusione. Abbiamo individuato la casa dell'uomo che riteniamo sia dietro tutto ciò, nei pressi di Barnet. Sir Thomas Seymour ha organizzato una squadra di uomini per andare a prenderlo. Stasera potremmo doverci andare anche noi.» «Avete scoperto l'assassino?» chiese. «Siamo discretamente certi della sua identità.» «Allora Jack avrebbe di nuovo la sua avventura», disse Tamasin. «Tamasin, lui odia queste cose. E le detesto anch'io, che pur l'ho coinvolto.» «Avete ragione», convenne. «Ha paura dell'essere cui date la caccia.» Quindi allargò le braccia in un gesto di sconforto. «Ma io non so incoraggiarlo: quando provo a parlargli seriamente, lui mi dà della noiosa, della brontolona.» Sospirò stancamente. «E così di continuo, sempre la stessa storia, come un asino che fa girare la ruota del mulino.» «Tamasin...» Lei sollevò una mano. «No, signore. Le vostre intenzioni sono buone, e vi ringrazio. Ma mi sono già spiegata.» Fece una riverenza e uscì dalla stanza. Ancora inquieto, decisi di andare al Lincoln's Inn a trovare Dorothy. Se Bealknap stava meglio, forse avrei indotto quel furfante a tornarsene a casa sua. Quando però arrivai, Margaret mi disse che Dorothy era uscita per saldare alcuni conti.

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«È bello che adesso si dedichi di nuovo a qualche faccenda», disse. «Sì.» Sollevai le sopracciglia. «Come sta il mio collega, mastro Bealknap?» «È un gran piantagrane. Si direbbe che qui il padrone sia lui, e io la sua serva.» «Potrei magari dirgli due parole?» «Vado a vedere come sta.» Margaret rientrò, tornando un minuto dopo rossa in faccia. «Dice che non ha voglia di ricevervi, signore. Si sente troppo male. Sono molto spiacente, ma senza la padrona in casa non posso...» «Certamente. Credo che potrò sopportare di non vederlo.» Chissà se Bealknap si vergognava ancora di avere fornito a Felday informazioni sul mio conto; senza dubbio ignorava che Felday era morto. «Vorreste dire alla vostra padrona che mi duole che quell'uomo le procuri tanto disturbo?» «Sì, signore.» Me ne andai. Per la prima volta dopo quasi un mese mi fermai a guardare la fontana. L'acqua scrosciava tranquilla nell'ampia conca di pietra. Pensai: Come faceva l'assassino a sapere che un tempo, anni fa, Roger era stato un riformatore religioso? Mentre mi soffermavo a osservare l'acqua, nella mente mi si ridestò qualcosa, qualcosa che avevo udito il giorno in cui ero andato a casa di Yarington a parlare con Timothy. Di che si trattava? Mentre tornavo a casa il pensiero mi tormentava il cervello stanco, accrescendo il senso di disagio che già provavo. Feci una capatina nel mio studio, ma Barak se n'era appena andato. Lo seguii a casa: stava mangiando pane e formaggio in salotto. «Grazie per aver tenuto d'occhio il lavoro», dissi. «Come ve la siete cavata con il vecchio... con il dottor Malton?» «Non c'era.» «Volete qualcosa da mangiare?» «No, non ho appetito.» Lo squadrai con gravità. «Credo che fareste bene ad andare in camera vostra, a parlare con Tamasin. Non è di umore allegro.» Barak annuì, con un sospiro. Sulla porta si voltò. «A proposito, Orr ha detto che quel venditore ambulante che s'è messo a gironzolare per Chancery Lane incomincia a dare un po' fastidio. Negli ultimi due

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giorni è venuto un paio di volte a cercare di vendere cianfrusaglie, chiedendo di una delle donne di casa.» Lo guardai. «Aspettate», dissi sottovoce. «Chiudete la porta.» Un pensiero mi s'era affacciato alla mente, facendomi affrettare il respiro. «Questo venditore, è uno straccione dalla barba grigia?» «Sì. Quello che gira da queste parti da giorni.» «E porta la sua mercanzia su un carretto a tre ruote.» «Non penserete... ma è un vecchio barbone. E la metà dei venditori ambulanti di Londra spingono carretti a tre ruote.» «Ma quel modo di seguirci, di tenerci d'occhio senza farsi notare... Barak, è questo che ha fatto? È lui?» «Ma è nell'Hertfordshire.» «Ha richiamato la nostra attenzione là. Fate venire Orr», dissi, «poi andate nel giardino davanti a casa e controllate se il venditore è in vista. Non fatevi scorgere.» Barak mi guardò dubbioso, ma si affrettò a uscire. Orr comparve un momento dopo. «Che cosa vende quell'ambulante?» gli chiesi. «La solita roba: patacche da due soldi, spazzole, padelle. Gli ho detto di andarsene.» «Di solito gli ambulanti non sciupano tempo a tornare una seconda volta, se la prima non hanno avuto fortuna.» «Ha chiesto della donna di casa. Magari pensava di poter abbindolare Tamasin o Joan per farsi comprare qualcosa. Quando è venuto sbirciava dietro le mie spalle, in casa.» Rientrò Barak. «Viene giù per Chancery Lane, da Aldgate. Fra un minuto sarà qui.» Aggrottò la fronte. «Avete ragione, c'è qualcosa di strano: spinge il carretto per la strada senza fermarsi a nessuna casa o avvicinarsi ai passanti.» «Credo che possa essere l'assassino», dissi a bassa voce. «Quale modo migliore per aggirarsi senza dare nell'occhio, seguire le persone e ascoltare i loro discorsi, che farsi passare per un ambulante straccione che la gente nota solo per evitarlo, uno di quei rifiuti dell'umanità che nessuno di noi vuol vedere?» «Ma è un vecchio», protestò Orr. «Non ne sono mica sicuro», rispose Barak. «Cammina come un uomo più giovane. E da poco non è passata la Domenica delle Palme, quando ci si traveste da vecchi profeti, e dieci barbe finte costano quattro pence?»

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«Jesu, l'abbiamo trovato?» ansimò Orr. «Tentiamo di pigliarlo adesso, noi due?» gli chiese Barak. Orr annuì. «Sembra disarmato.» «Allora facciamolo subito», disse Barak. «Dobbiamo sbrigarci, o passerà oltre e sparirà nella ressa di Fleet Street.» Mi alzai. «Vengo anch'io.» Avevo parlato con più spavalderia di quanta realmente ne provassi. «E se quando lo acchiappiamo dimostrerà di essere un diavolo con le corna forcute sotto la barba, e prenderà il volo sopra Holborn, allora sapremo che Harsnet aveva ragione.» «Vado a cercare la mia spada. La vostra la tenete in camera da letto?» «Sì.» Era lassù da anni: gli avvocati non portano spade. «La mia è in cucina.» Orr uscì, il viso rudemente risoluto. Mi guardai attorno nel salotto: l'alta credenza con i piatti in bella mostra, il pregiato dipinto di una classica scena di caccia... Mi resi conto di quanto valore avesse per me tutto ciò, quella stanza che era al centro della mia vita. Serrai le labbra e andai a prendere la spada in camera. Quando uscii sul pianerottolo affibbiandomi il fodero, la porta di Barak si aprì e ne uscì lui. «È urgente, donna!» esclamò sopra una spalla. «Lo abbiamo!» Si precipitò rumorosamente giù per la scala. Orr era già pronto, accanto alla porta aperta. Tamasin sbucò in fretta e furia dalla sua stanza, furibonda. Mi prese per un braccio. «Che cosa succede, in nome del Cielo? Qualcuno vuol dirmelo?» «Crediamo che l'assassino sia qui fuori», risposi. «Pensiamo che sia travestito da venditore ambulante. È la nostra occasione, dobbiamo andare.» Scesi la scala di corsa. Orr e Barak erano già fuori. Con la coda dell'occhio scorsi di sfuggita Joan sulla porta di cucina, con i due ragazzi aggrappati alle sottane. Il sole era basso nel cielo, la casa proiettava lunghe ombre attraverso Chancery Lane. Dall'ingresso vidi che il venditore ambulante era passato oltre la mia casa, facendo rotolare il suo carretto giù per la via in leggera discesa. Gli corremmo affannosamente dietro. Avvocati e impiegati che passavano si fermavano a guardare. Mentre passavamo su una pozzanghera vidi uno schizzo di fanghiglia volare nell'aria, spiaccicandosi sull'abito del tesoriere Rowland, che s'era schiacciato contro il muro per evitare la nostra corsa. Provai una fugace punta di soddisfazione. «Faremo una figura ridicola, se è solo un ambulante», disse Orr. Mi mancava il fiato per rispondere.

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Mentre gli arrivavamo dietro, il venditore ci udì avvicinarci e si girò, tirando il freno su una delle ruote posteriori del carro. Come aveva detto Barak, si muoveva rapido per essere un vecchio. Colsi un'altra visione di una barba grigia, capelli arruffati e occhi accesi in una faccia sporca. Poi si voltò e se la diede a gambe. Barak gli saltò addosso, afferrandolo per il colletto a brandelli. Quasi tutti sarebbero caduti, ma il venditore rimase in piedi e agguantò il braccio di Barak, impedendogli di estrarre la spada. Orr lo prese per la barba grigia, che venne via dal viso con il rumore di uno strappo, aprendo un vuoto rosso sulla guancia dell'uomo e penzolandogli da un lato sulla bocca. Non ci badò. Poi il suo ginocchio scattò in mezzo alle gambe di Barak, il quale si piegò in due con un gemito strozzato. L'ambulante saltò verso il carretto, vi cacciò una mano in fondo e ne trasse una grossa spada, buttando all'aria un mucchio di scadenti braccialetti. Si pose con le spalle al carro; Orr e io, con le spade snudate, lo tenevamo a bada spingendolo contro il veicolo. Mi accorsi che eravamo circondati da un'intera folla di passanti, che ci osservavano da prudente distanza. Cercai di guardare in faccia il venditore. I capelli grigi e scompigliati gli coprivano la fronte, e da dove gli era stata strappata la barba il sangue colava dalla guancia sinistra fin nella parrucca. Il colore del lungo naso mi sembrò per qualche verso innaturale, e compresi che, al pari della barba, era finto, e ciò che avevo preso per una faccia sporca era, in realtà, imbrattata di trucco da attore. Soltanto gli occhi azzurri, scintillanti di odio e di eccitazione, erano veri. D'un tratto l'ambulante balzò avanti, e si lanciò in un affondo contro di me. Più per fortuna che per abilità riuscii a parare il colpo; poi Barak, bianco in faccia per il dolore, con un salto fu al mio fianco. Calò un fendente sul braccio armato del venditore, ma un grido improvviso da un lato della strada lo distrasse, e mancò il bersaglio. «Basta con questa rissa!» ci gridò il tesoriere Rowland come se fossimo un gruppo di studentelli che faceva baccano, e per un attimo ci disorientò. Il venditore colse al volo l'occasione e tirò un affondo su Barak, raggiungendolo all'avambraccio e facendogli cadere di mano la spada; poi saltò di lato e corse verso un uomo nella folla, uno studente di legge sceso da cavallo per guardare, che tratteneva il suo animale per le redini. L'ambulante gli squarciò la guancia con la spada, poi la lasciò cadere al suolo, mentre il ragazzo, urlando, si portava le mani al viso.

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L'uomo balzò in sella, spronò il cavallo e nel giro di un secondo già galoppava per Chancery Lane in direzione di Holborn. Il povero studente giaceva al suolo gemendo e piangendo, mentre Barak si reggeva il braccio ferito e imprecava. Pensai di chiedere un cavallo a qualcuno in strada e buttarmi all'inseguimento, ma quando ci fossi riuscito l'assassino sarebbe ormai svanito da un bel pezzo. Mi voltai stancamente verso la scena intorno al carretto. Barak aveva ricevuto solo una leggera ferita, ma lo sfortunato studente era conciato male, con uno squarcio tra naso e guancia che gli avrebbe lasciato uno sfregio per tutta la vita; miracolosamente il colpo aveva mancato gli occhi. Il tesoriere Rowland ordinò che fosse portato nel Lincoln's Inn, poi si girò furibondo verso di me, pretendendo di sapere per che motivo avessimo aggredito il venditore ambulante. Lo ridussi al silenzio dicendogli che era l'uomo che aveva ucciso Roger Elliard. La folla dei curiosi si disperse lentamente, e Barak, Orr e io fummo lasciati con il carro. Lo frugammo, ma non c'erano altro che chincaglieria scadente, qualche abito, strofinacci e flaconi di aceto per lustrare gli argenti. «Abbastanza grosso per nascondere un cadavere», fece notare Barak. Prese un panno e se lo avvolse intorno al braccio, per arrestare il sangue che gli gocciolava sulle dita. «Ecco il modo in cui ci seguiva, senza dubbio ascoltando i nostri discorsi. Non ricordo nessun venditore ambulante dalla barba grigia con un carretto quando fui ferito, ma poteva avere un altro travestimento.» «Era Goddard, signore?» chiese Orr. «Con quel naso finto, la parrucca e il sangue in faccia, chi può dirlo?» «Non ho visto nessuna traccia di un neo», disse Barak. «Se è grosso come dicono, sarebbe difficile nasconderlo.» «Perché era qui?» domandò Orr. «Forse per spiare chi andava e veniva. Forse per spaventarci di nuovo, o magari per fare qualcosa di male alle donne.» Riflettei un attimo, poi mi chinai sul carretto, tirandone fuori una mezza dozzina di flaconi di aceto. Li vuotai a uno a uno sul fondo del carro, e il contenuto del quarto produsse un suono sibilante, corrodendo il legno. «Ancora vetriolo», dissi. «Ecco perché s'era presentato in casa: aveva l'intenzione di gettare questa roba in faccia a Tamasin o a Joan.» Tornammo a passo lento verso casa. Il carretto fu lasciato dov'era, non ci avrebbe potuto dire altro. Vi gettai dentro la barba finta.

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Joan era sull'uscio, l'aria spaventata, e sgranò gli occhi alla vista del braccio di Barak. «Che è successo?» chiese con voce tremante. «L'uomo che ha assalito Tamasin e me era là fuori», risposi. «È fuggito.» Guardai il suo volto rugoso e preoccupato. Non ebbi cuore di dirle che cosa poteva succedere se ad aprire la porta all'ambulante fosse stata lei, anziché Orr. «Adesso va tutto bene. Dove sono i ragazzi?» «Ho detto loro di rimanere nella stalla.» Annuii stancamente. «Adesso possono uscire. Grazie per il vostro aiuto, padron Orr.» Rispose con un cenno del capo, seguendo Joan in cucina. Barak si appoggiò pallido alla ringhiera, mentre il contraccolpo dell'emozione si abbatteva su di lui. «L'avrei centrato, se non fosse stato per quel vecchio rompiscatole starnazzante di Rowland», disse furioso. «Sì, credo che l'avreste colpito.» «Non posso dire a Tammy del vetriolo. Non riesco neppure a pensarci», sospirò. «Non uscirà più di casa finché tutto non sarà finito. Glielo dirò io.» «Perché non dovrei uscire, se ne ho voglia?» Alzai gli occhi, scorgendo Tamasin che ci guardava dall'alto della scala. Doveva avere udito le ultime parole di Barak. Guardò il suo braccio. «Che diavolo ti sei fatto, adesso?» La sua voce era acuta per la collera e l'angoscia. Mi resi conto di non averla mai sentita imprecare prima. «L'assassino era qui fuori. L'abbiamo quasi acchiappato, ma è fuggito. Non è niente, solo un graffio. Andresti a prendere un po' D'acqua per lavarmelo?» «Ma perché dici che non posso uscire?» domandò Tamasin. «Potrebbe essere ancora nei pressi.» «Erano tre settimane che gironzolava qui attorno. Mi volete dire che cosa succede?» «Credo che dovreste dirglielo», dissi in un soffio a Barak. «Può sopportarlo.» Lasciò sfuggire un sospiro tremante. «Non posso. Non riesco a tollerare che potesse capitarle una cosa del genere perché è mia moglie.» «Di che state parlottando, adesso?» tornò a domandare Tamasin. «Vuoi fare ciò che ti ho detto, donna?» rispose Barak, ai piedi della scala. Stringendosi il braccio salì fin da Tamasin, che lo guardava con

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un misto d'ira e perplessità; le passò accanto ed entrò nella loro stanza. Lei lo seguì, sbattendosi la porta alle spalle. Mi preparavo per andare a letto, guardando dalla finestra la pioggia e chiedendomi se avessero riparato le chiuse della Charterhouse, quando bussarono alla porta. Aprii: era Barak. «Novità da Harsnet?» «No.» Era in camicia, con la manica destra arrotolata e l'avambraccio bendato. Sulla pelle nuda sopra la fasciatura vidi altre cicatrici, ricordi di vecchi duelli. Sembrava stanchissimo. «Posso entrare?» chiese. «Ho bisogno di parlare.» Annuii distrattamente, e lui si sedette sul letto. Per un lungo momento rimase in silenzio, poi scosse la testa. «È molto arrabbiata perché non le permetto di uscire di casa, e non le dico il perché.» «Dovreste parlarle del vetriolo.» Fece di no con la testa. «Non sarei capace di dirle che poteva succederle una cosa tanto orribile. Il solo pensiero di quell'uomo che glielo getta in viso...» La sua voce si ruppe e vidi le lacrime comparirgli all'angolo degli occhi. «Andiamo, lo sapete quant'è forte. Non fu questa la prima cosa che vi piacque in lei, a York? Ricordate?» «Ma adesso sono suo marito. Dovrei saperla proteggere.» Poi aggiunse: «Dovrei saperle dare un figlio». Rimase di nuovo zitto per qualche momento. «Lo so che si crede che sia colpa della donna quando un bambino muore subito dopo esserle uscito dal grembo, ma al giorno d'oggi, chi sa di più? E se la colpa fosse mia? Tutto ciò che desideravo era occuparmi di lei, proteggerla, offrirle una famiglia. Tramandare il vecchio nome ebreo di mio padre. E non sono stato capace di fare nulla di tutto ciò.» Fissò la porta con sguardo spento. «Io l'amo, non ho mai provato per nessun'altra donna ciò che provo per lei, e Dio sa se non ne ho conosciute un sacco.» «Forse questo è il problema», risposi pacatamente. «V'eravate fatto una certa idea della vita matrimoniale, e trovate difficile accettare la realtà di una coppia che, lo sa il Cielo, non ha goduto di una gran fortuna. Ma non è colpa di nessuno dei due. Se solo riusciste a parlare liberamente.» Mi guardò di traverso. «Essendo sempre vissuto solo, siete un vecchio uccellaccio bisbetico, no?»

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«Vedere i problemi delle esistenze altrui è abbastanza facile. Io con Dorothy ho commesso lo sbaglio opposto: le ho detto troppo, e troppo presto.» «Ah, ho immaginato che cosa stava succedendo.» «Non succede un bel niente. E se voi ne parlate con chiunque altro, vi sbatto fuori dal Lincoln's Inn più in fretta di quanto voli un corvo», aggiunsi scherzosamente, per allentare la tensione. Barak annuì, con un sorriso. «A proposito di corvi», disse, «non pensate che potreste avere un rivale in Bealknap? Magari non è affatto malato e cerca di ispirarle compassione.» «Bealknap s'interesserebbe di una donna soltanto se fosse d'oro e potesse essere fusa.» Trovammo un po' di sollievo in una breve risata, poi Barak proseguì, più serio: «Riuscirete ad aggiustare le cose con il vecchio moro?» «Non lo so, ci proverò. Come voi con Tamasin.» Si alzò con un sospiro. «Dovrei tornare da lei. Grazie», aggiunse. «Jack», dissi, «ricordate che una volta, a York, mi diceste di essere diviso tra la vostra vecchia vita avventurosa di libertino e la tranquillità? Voi decideste per la tranquillità con Tamasin: avete fatto la vostra scelta. Passare da una vita indipendente a una condivisa. Avete molto coraggio, ora dovete avere quello di aprirle il vostro cuore.» Indugiò sulla soglia. «Ci sono diversi generi di coraggio», disse tristemente. «Pochi li hanno tutti in egual misura.» Il messaggero arrivò da Lambeth Palace dopo mezzanotte, quando c'eravamo già coricati tutti. Io però non dormivo, perché mentre giacevo a letto avevo udito un alterco soffocato provenire dalla stanza di Barak e Tamasin: litigavano di nuovo. Il rumore s'interruppe di colpo quando bussarono forte alla porta d'ingresso. Barak e io eravamo convocati immediatamente a una riunione con l'arcivescovo Cranmer. Ci vestimmo in fretta, mandammo a prendere i cavalli e attraversammo la città immersa nelle tenebre fino a Whitehall Stairs, dove una grossa barca ci attendeva per traghettarci sull'altra sponda del Tamigi. Era smesso di piovere, e un vivido chiar di luna scintillava sul fiume argenteo e solitario. Fummo condotti allo studio di Cranmer. Quando Barak e io arrivammo, un altro segretario si stava avvicinando dalla direzione opposta, con

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accanto Harsnet: il coroner aveva l'aria di essere stato appena tirato giù dal letto. L'arcivescovo sedeva allo scrittoio. Aveva il volto tirato, e grosse borse sotto gli occhi. Lord Hertford non era presente, ma c'era Sir Thomas Seymour, tutto fronzoli come al solito, con le braccia conserte sul petto e un'aria eccitata sul viso. Riferii dell'incidente con il venditore ambulante. «Non siete riuscito a vedere chi era?» chiese calmo Harsnet, quando terminai. «No, era ben camuffato.» «Goddard aveva un grosso neo sulla faccia», disse Cranmer. «Io non l'ho visto. Però s'era coperto di trucco.» Cranmer rifletté un momento; quindi si volse verso Sir Thomas. «Ditegli le novità dell'Hertfordshire», disse. «Ho trovato Kinesworth abbastanza facilmente. E solo un piccolo villaggio, a un chilometro e mezzo da Totteridge. Il giudice locale sapeva tutto sul conto della famiglia Goddard. Abitavano in un maniero appena fuori del paese. Una volta erano ricchi, ma il padre di Goddard era sempre ubriaco e perse tutto. Alla sua morte, trent'anni fa, le loro proprietà furono vendute; a quel tempo Goddard era ancora un ragazzo. Lui e la madre si rintanarono in casa: pare che lei fosse una donna di buon lignaggio e si vergognasse di quanto accaduto alla famiglia. Quando fu abbastanza cresciuto Goddard si fece monaco nell'abbazia di Westminster. La vecchia visse nella loro dimora da sola, come una reclusa, finché morì, qualche mese fa, e Goddard ne ricevette l'eredità.» «Fu quando lasciò il suo alloggio di Londra», dissi. «Si trasferì a Kinesworth.» Trassi un profondo respiro. «E ancora lì?» «In apparenza, va e viene. Ieri è stato visto venire a Londra. Abbiamo aspettato tutto il giorno per vedere se tornava, ma non ci fu traccia di lui fino a un bel pezzo dopo la mezzanotte di ieri. Poi s'è visto uscire del fumo dal camino della casa.» «Allora è lì», disse Cranmer. «Con queste tempistiche, potrebbe essere stato lui il venditore ambulante», dissi io. «Il nostro scontro è avvenuto al tramonto.» «Sì.» «Allora lasciatecelo prendere», esclamò Sir Thomas con voce fremente di eccitazione. «Aspettate un momento. Che altro dice di lui la gente del posto?» chiese l'arcivescovo.

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«E conosciuto come un antipatico, che non si mescola con i locali. Non si reca in paese e si fa portare le provviste a domicilio. La casa è pressoché cadente.» «Allora ha del denaro?» chiese Harsnet. «Qualcosa, di sicuro.» Pensavo ai mendicanti che vendevano i denti. «Avete visto la casa?» chiese Cranmer. «Sono andato a dare un'occhiata da lontano. Una cosa abbastanza facile, dato che è circondata dagli alberi. E una dimora signorile, che probabilmente una volta faceva la sua figura, ma ora sembra in rovina. Tutte le imposte erano chiuse. È circondata da un giardino incolto, e tutto intorno ci sono boschi. E c'è una cosa interessante.» Seymour fece una pausa. «Dopo la morte della madre, Goddard licenziò i pochi vecchi dipendenti rimasti, causando parecchio malcontento in paese.» «Allora se ne sta lì tutto solo?» domandai. «Sì. Ho lasciato un uomo a sorvegliare di nascosto la casa, e sono rientrato al galoppo con il mio maggiordomo.» «Quel magistrato è persona di fiducia?» chiese Harsnet. «Credo di sì. Sembra abbastanza in gamba.» «Mica gli avrete detto che ero coinvolto io?» chiese seccamente Cranmer. «No, mio signore. Solo che era un affare coperto dal segreto di Stato.» Cranmer annuì. Poi si rivolse ad Harsnet. «Sir Thomas ha suggerito di mandare subito un gruppo di uomini armati, a fare irruzione nella casa.» «E allora facciamolo.» Il coroner scoppiò in una risata amara. «Dopo tutte le domande che ho fatto a Londra e nelle contee vicine, senza venire a capo di niente. Se solo mi fossi spinto un po' più in là.» «Avete fatto ciò che potevate», disse Cranmer. «Quanti uomini siete in grado di procurare?» domandò a Sir Thomas. «Una decina, vostra eccellenza», rispose, sicuro di sé. Capii che era contento di essere al centro dell'azione. «Al comando del mio maggiordomo, Russell. Tutti giovani, forti e in gamba: il tipo di uomo che mi piace avere al mio servizio», sorrise compiaciuto. «Che cosa verrà detto loro?» «Solo che alcuni uomini della corte danno la caccia a un mascalzone, e vogliamo aiutarli a prenderlo.» Cranmer fece scorrere lo sguardo intorno alla stanza. «Credo che sia ciò che dobbiamo fare», disse. «Concludere adesso la faccenda.»

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«Dopo quel messaggio», dissi, «è ciò che lui si aspetta che facciamo. E collegato all'uccisione della settima vittima.» «Lo so», disse a bassa voce Cranmer. «Ma che altro possiamo fare, se non andare là in forze?» Non seppi rispondere. «Voglio che andiate con la squadra di Sir Thomas, Matthew», proseguì l'arcivescovo. «Sembra che, per l'assassino, voi abbiate qualche legame con la sua missione: è più che palese, dopo l'aggressione del venditore ambulante.» Mi guardò con fermezza, forse attendendosi un'obiezione, ma mi limitai a rispondere: «Sì, vostra eccellenza». L'arcivescovo tornò a rivolgersi a Sir Thomas. «Tenete bene a mente una cosa, Thomas», disse risolutamente. «Questo non è un gioco. Se qualcosa va storto e il re scopre che cosa stiamo facendo, non sarò il solo a pagarla. Tenete a freno la vostra passione per l'avventura e ricordate che se Goddard viene catturato, non deve mai essere portato davanti a un tribunale. La questione verrà chiusa senza rumore, in segreto. Stanotte stessa.» Sir Thomas arrossì, ma annuì. «Ho ben presente l'importanza del caso, vostra eccellenza», rispose orgogliosamente. «Bene. Vi ringrazio per quanto avete fatto finora. E adesso, che è accaduto alla Charterhouse?» «I miei uomini hanno portato fuori il corpo di Lockley, ma le chiuse non si sono aperte. Sono bloccate. Mio fratello manderà un esperto per risolvere il problema.» «E abbiamo interrogato i mendicanti», disse Harsnet. «Ce n'è uno che è arrivato qualche settimana fa e si è sistemato nella cappella che usano come rifugio. Era ansioso di sapere tutto sulla Charterhouse e sulla taverna, però non ci è mai entrato.» Mi guardò. «Un vecchio dalla faccia sporca, con folti capelli grigi e la barba. Agli altri mendicanti non piaceva, credo che avessero capito che non era ciò che fingeva di essere.» «Quell'uomo è un genio», rise Seymour. «Il re dovrebbe prenderlo al suo servizio come spia.» «I suoi talenti provengono dal demonio», disse Harsnet. «Quando mai questo ha avuto importanza?» Cranmer si rivolse allora a Barak, che era rimasto zitto presso la porta. «Desidero che aiutiate Sir Thomas a organizzare i suoi uomini in una

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squadra armata», disse. «Avete lavorato per Lord Cromwell, vi siete fatto un'utile esperienza in certe cose.» Barak s'inchinò. «Sì, mio signore.» Mi chiesi se l'arcivescovo voleva da Barak una garanzia che Sir Thomas organizzasse adeguatamente l'impresa e non dicesse troppo ai suoi uomini. Dall'occhiataccia che gli lanciò Sir Thomas, intuii che avevamo pensato entrambi la stessa cosa. L'arcivescovo si alzò. «Prego che riusciate a porre fine a quest'orrore», disse. Quando ci voltammo per uscire mi guardò, e vidi compassione sul suo viso. Be', pensai, era una strada che m'ero scelto io, il mattino in cui avevo trovato il povero Roger. In corridoio mi ritrovai a camminare accanto ad Harsnet. «Saremo dunque davvero alla fine, Matthew?» mi chiese a bassa voce. «Non lo so.» «Avete ragione a essere prudente. Sento che andiamo a cacciarci in bocca al demonio.» «Avremo molti uomini.» «Non mi fido di Seymour, è un avventuriero.» «Sì, però s'è dimostrato abile. Si vede che ha un'esperienza militare.» «Forse.» Harsnet rimase zitto per un momento, poi disse: «Questo pomeriggio ho visto Lady Catherine Parr entrare nella sua residenza di Charterhouse Square, con il suo seguito. Possiede molte terre su nel nord, ma abita a Londra: probabilmente perché sta ancora riflettendo sulla proposta del re». «Non potrà andarsene senza il consenso del re. In un certo senso, è in trappola.» «Bisogna che sposi il re, se la Riforma deve sopravvivere», disse con improvviso fervore. «E noi dobbiamo fermare Goddard, con qualunque mezzo possibile», aggiunse. Uscimmo. Sir Thomas era sul pontile del traghetto, con alle spalle le luci delle torce fumose rette da tre battellieri in piedi sull'imbarcazione. «A casa mia», disse, «a prendere uomini e cavalli.» Mentre stava piantato lì con le mani sui fianchi, padrone della scena, il suo atteggiamento mi ricordò il re, ed ebbi un brivido. *** Capitolo quaranta. Poco più di un'ora dopo ero in sella davanti a casa mia. La luna si specchiava nelle pozzanghere di una Chancery Lane deserta. Essere

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fuori a un'ora tanto inconsueta innervosiva i cavalli; io ero stanco, e il braccio che era stato ferito mi doleva. Sir Thomas Seymour era andato a casa sua nello Strand, a prepararsi per il viaggio nell'Hertfordshire. Dato che Chancery Lane era sulla strada, eravamo rimasti d'accordo che avrei lasciato un messaggio per Tamasin e Joan, in cui dicevo che saremmo stati di ritorno solo il giorno successivo, sul tardi. Avevo chiesto a Barak se desiderava scrivere un suo biglietto per Tamasin, ma lui aveva scosso il capo. Un tintinnare di finimenti s'avvicinava dallo Strand. Un gruppo di una decina di uomini, tutti armati di spada, venne silenziosamente verso di me. La luna li rischiarava d'un debole riflesso: in testa cavalcava un uomo alto, sui trent'anni, con accanto Harsnet e Barak. Gli uomini che li accompagnavano erano tutti giovani, robusti e con un'aria di eccitazione repressa; tutti indossavano abiti scuri e poco vistosi. Notai l'assenza di Sir Thomas. «Pronto?» chiese Harsnet. «Sì.» Accennò all'uomo alto. «Questo è Edgar Russell, maggiordomo di Sir Thomas.» Feci un cenno all'uomo, che s'inchinò brevemente sulla sella. Fui lieto di constatare che aveva un aspetto serio e autorevole. Barak guardava le finestre buie di casa mia. «Dormono tutti?» chiese. «Sì. Ho lasciato un biglietto. Ho detto che vi dispiaceva di non vedere Tamasin fino a domani.» «Grazie.» «Dov'è Sir Thomas?» Barak sorrise. «E andato a tirare giù dal letto l'arciprete Benson, per portarlo nell'Hertfordshire. Ci raggiungerà là.» «Perché?» «Per poter identificare con certezza Goddard, se lo troviamo.» La cavalla di Barak, Sukey, raschiava il terreno con lo zoccolo. Barak mi guardò, con gli occhi pieni di trattenuta eccitazione. «Pronto?» «Sì.» «Bene, ragazza mia», disse alla giumenta, poi si volse verso il maggiordomo. «Allora partiamo, e andiamo a prendere quel maledetto assassino.» «Non c'è bisogno di imprecare», lo rimproverò Harsnet. «Maledetto assassino non è mica un'imprecazione: imprecare è nominare il nome di Dio invano.»

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Alcuni uomini del gruppo risero. Russell si girò sulla sella. «Silenzio!» sibilò, e il rumore cessò. Fui contento di notare che sembrava tenere in pugno i suoi uomini. «Dobbiamo partire adesso, se vogliamo arrivare prima dell'alba», mi disse. Annuii. Percorremmo Chancery Lane con gli zoccoli dei cavalli e il tintinnare dei finimenti che risuonavano rumorosi nel silenzio della notte. «Che succede quando arriviamo a Kinesworth?» chiesi ad Harsnet. «Proprio all'inizio del villaggio c'è una taverna che useremo come base. L'oste è un uomo devoto, e un buon amico di mastro Goodridge, il giudice. Prima dell'alba manderemo degli uomini a circondare la casa di Goddard, e al levar del sole si va a prenderlo.» Si chinò più vicino. «Il maggiordomo Russell è una persona in gamba. Tiene sotto stretto controllo i suoi uomini. È stato in Ungheria con Sir Thomas, conosce la guerra. E stato lui a insistere che portassero abiti scuri, per non attirare l'attenzione.» Cavalcammo per le strade buie e silenziose, senz'altro rumore che quello prodotto dagli uccelli disturbati dal nostro passaggio; nei pascoli s'intravedevano le sagome indistinte del bestiame. Era monotono, e rischiai quasi di appisolarmi sulla sella. Quando Russell alzò una mano per ordinare una sosta non s'era ancora fatto chiaro. Eravamo giunti a una piccola locanda di campagna, un po' discosta dalla strada. Dentro le luci erano accese. Smontammo in silenzio. «Il giudice Goodridge è dentro», disse Russell. «Signor coroner, mastro Shardlake, entrate. Qualcuno terrà i vostri cavalli. Anche voi, Barak», aggiunse con un sorriso. «C'è bisogno di tutte le menti pratiche a nostra disposizione.» All'interno vi era un lungo stanzone con parecchi tavoli, che senza dubbio di sera fungeva da taverna. Mi rammentò Lockley e la povera signora Bunce. Un fuoco ardeva in un focolare al centro del locale, alla vecchia maniera, e il suo tepore era gradevole dopo una lunga cavalcata al freddo. Un uomo sulla sessantina sedeva a uno dei tavoli, con davanti una mappa disegnata a mano. Si alzò per salutarci. La sua carnagione era scura e abbronzata e gli occhi tristi, ma penetranti. Un giudice di campagna esperto e competente, pensai. Si presentò come William Goodridge. «Qual è il piano?» chiese Harsnet.

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Il giudice c'invitò a sedere e, indicando la mappa, disse: «Questa è la casa. È a un chilometro e mezzo dal paese. C'è prato su tutt'e quattro i lati, con l'erba alta e incolta. Al di là, la casa è circondata da boschi». «Posto ideale per disporre degli osservatori», approvò Russell. «L'edificio sembra grosso», dissi io. «Quante stanze ci sono?» «All'incirca una dozzina, mi pare di ricordare. Il vecchio Neville Goddard era un uomo ospitale, rammento di avere partecipato a feste e ricevimenti, quand'ero più giovane. Però non sapeva moderarsi nel bere. Sua moglie lo trattava male, era una vera megera.» «Ricordate il giovane Goddard?» gli chiesi. L'uomo annuì. «Un giovanotto scontroso, sempre imbronciato. Intelligente, ma con qualcosa... non saprei... di fiacco. Si dava grandi arie di superiorità, per uno il cui padre s'era rovinato con i debiti a furia di bere. Non mi meravigliò che si facesse monaco dopo la morte di Neville Goddard, piuttosto che rimanere con quella bisbetica di sua madre. A quel tempo i loro terreni erano ormai finiti in mano ai creditori. Quando la vecchia morì e Lancelot Goddard ricomparve, sperammo che facesse qualcosa per la casa, perché la madre l'aveva lasciata andare in rovina. Lui, però, va e viene, senza parlare mai con nessuno.» «E a che ora è arrivato ieri?» «Non ne sono sicuro, ma quando mastro Russell e io andammo a dare un'occhiata, ieri sera, usciva fumo dal camino.» «Non viene mai in paese? Non frequenta le funzioni religiose?» «No. Qui siamo quasi tutti riformisti, e forse non trova le nostre cerimonie abbastanza papiste. Si fanno molti pettegolezzi sul suo conto, come potete immaginare, e alla gente non va a genio.» «L'uomo che cerchiamo ha una religione tutta sua», dissi, cupo. «Siete sicuro che si trovi ancora qui?» domandò Harsnet. «Oh, sì. L'uomo che ho messo di guardia ha mandato un messaggio mezz'ora fa, in cui diceva che c'era un lume a una finestra.» Russell si alzò. «Sento dei cavalli. Arriva qualcuno.» Ci voltammo tutti quando la porta si aprì, e Sir Thomas fece il suo ingresso seguito da altri quattro servitori armati. Assieme a lui c'era l'arciprete Benson, imbacuccato in un pesante mantello scuro per difendersi dal freddo, con una faccia miserevole e spaventata. Al pari

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degli uomini di Russell, i nuovi servi di Sir Thomas erano vestiti sobriamente, eccetto proprio il padrone, che sfoggiava un cappello con una piuma rossa, un farsetto ricamato di perle e guanti di seta. Sorrise ai presenti. «Bene», disse. «Ora ci siamo tutti. E stato necessario insistere per convincere l'arciprete, ma è venuto.» Fece un beffardo inchino a Benson. «Forse vi possiamo promettere un po' di emozioni.» Il prelato non rispose, limitandosi a squadrarlo infuriato. Sir Thomas rise e si diresse alla mappa, esaminandola con interesse professionale. Il maggiordomo spiegò la disposizione interna dell'edificio. Sir Thomas rifletté un momento, poi si volse verso la compagnia. «Andremo appena farà chiaro. Adesso abbiamo sedici uomini, un buon numero.» Si guardò attorno nel salone. «Pronti a dare l'assalto alla fortezza del cattivo?» chiese. «Sì, Sir Thomas!» risposero tutti in coro. Harsnet e io ci scambiammo un'occhiata: quegli uomini non sapevano che cosa potevano trovarsi di fronte. Il giudice chiamò l'oste, chiedendogli di preparare la colazione. C'erano solo pane e formaggio, ma dopo il lungo viaggio furono i benvenuti. Mentre mangiavamo, un uomo portò un messaggio: dal camino di Goddard usciva ancora fumo. «Tutta la notte?» domandai. «Sì, signore.» «Strano», osservò Russell. «Ci aspetta», dissi a bassa voce. Dopo avere mangiato non ci fu nulla da fare, se non attendere l'alba. Eravamo tutti silenziosi. L'arciprete Benson sedeva per conto proprio, fingendo di leggere un libro che gli tremava fra le mani grassocce. Alcuni tra gli uomini di Sir Thomas chiusero gli occhi per riposare finché potevano e Barak li imitò. Io ero troppo teso: sedevo e guardavo fuori della finestra. Finalmente la luce prese a cambiare, con il cielo che si delineava grigio scuro anziché nero. Udii gli uccelli iniziare a cantare, sulle prime solo qualche debole cinguettio, che si fece progressivamente più forte. Russell guardò interrogativo Sir Thomas, il quale annuì e si levò in piedi. Chi era sveglio destò con una gomitata i compagni che pisolavano. Avvertii la tensione crescere nella stanza. «E ora di andare», disse Sir Thomas. «Venite qui: questo è il piano.»

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Quando ci fummo raccolti tutti intorno al tavolo, Sir Thomas additò con la mano guantata lo schizzo approssimativo. «Metterò otto uomini intorno alla casa, nel bosco. Gli altri entreranno con me. Anche voi, giovane Barak.» Si girò dov'ero seduto io: era la prima volta che mi degnava di attenzione. «Anche voi, mastro gobbo. Voglio che veniate anche voi: Goddard ha dimostrato grande interesse per voi.» «Molto bene», risposi con calma; il mio cuore, però, galoppava. «Coroner Harsnet, verrete con noi, ma non voglio che entriate in casa. Giudice Goodridge, ci fareste da guida? Conoscete la strada. Arciprete Benson, voi manterrete il vostro culetto grasso qui, su quella sedia.» Le spalle dell'arciprete si rilassarono per il sollievo. Fuori, in cortile, c'era un paio di secchi pieni di fango. Russell ci chiese di annerirci la faccia con quella roba, che non avevamo visto quando eravamo entrati in casa. Mentre uscivamo udii il maggiordomo suggerire a sir Thomas che magari avrebbe fatto bene a coprirsi con un mantello gli abiti eleganti; quest'ultimo accondiscese non senza un sospiro, indossando un mantello prestato dal taverniere. Nell'annerirmi la faccia lo vidi guardare il fango con disgusto, e pensai quanti uomini d'alto lignaggio venivano protetti dalla propria stupidità dai loro servitori. Notando che lo osservavo, Sir Thomas si fece serio. Mi chiesi perché mai mi detestasse tanto: forse offendevo il suo ideale di come dovrebbe essere e sembrare un uomo, dato che una volta ero riuscito sgradito al re. Ci avviammo lungo i sentieri di campagna mentre il sole si levava sui campi, rivelando gli alberi spolverati dal verde chiaro delle foglie novelle. Una donna attraversò un pascolo con due secchi appesi a un bilanciere sulle spalle. Da una delle povere capanne che punteggiavano i sentieri saliva fumo di legna, ma nessuno ancora arava o seminava. La donna rimase a osservare stupefatta la nostra banda di armati. «Tra poco ci saranno chiacchiere in paese», commentò ad alta voce Barak. Giungemmo infine a una distesa boscosa. La casa sorgeva in una piccola radura: ne cogliemmo una breve visione prima di inoltrarci in mezzo agli alberi. Nella prima luce intravidi una vecchia dimora signorile di pietra bianca. Un pennacchio di fumo si levava da uno degli alti comignoli di mattoni. Russell bisbigliò ai suoi uomini di muoversi nella macchia quanto più silenziosamente possibile.

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Avanzammo con lentezza verso il limite degli alberi, ritrovandoci a guardare la casa al di qua di un vasto prato incolto, che un tempo era stato il giardino. Tutte le finestre erano sprangate. Eccetto per quel sottile filo di fumo che usciva dal camino, pareva abbandonata: i muri erano per metà coperti d'edera e chiazze di muschio verdastro. Russell dispose i propri uomini fra gli alberi con gesti e sussurri. Intorno a noi gli uccelli cantavano sonori. L'aria di efficienza militaresca di Russell e il numero degli uomini a nostra disposizione m'indussero ad arrischiare la speranza che, forse, saremmo riusciti ad avere la meglio. «Che sta facendo lì dentro Goddard?» sussurrò accanto a me Harsnet. «Qualunque cosa faccia, adesso lo teniamo in trappola, questo è certo», disse Barak. «Lo vedremo prima che finisca questa giornata», rispose cupo Harsnet. «Se lo prendiamo, Cranmer vuole che venga ucciso, vero?» domandai. «Era questo che intendeva, quando disse che la questione andava chiusa stanotte.» «Pensate che avesse torto?» «Va contro ciò in cui credo.» «Neanche a me garba; sono anch'io un uomo di legge.» Mi guardò. «Ma come potremmo mai portarlo in giudizio, rendere di pubblico dominio che l'arcivescovo e i Seymour avevano intrapreso una caccia privata? E costui è un essere impuro, da eliminare in silenzio, nell'oscurità.» Guardai dove Sir Thomas, Russell e il giudice Goodridge erano impegnati in una conversazione a bassa voce. «Siamo tutti pedine di un gioco politico, mastro Harsnet», commentai. «Ma chi muove i pezzi? Qualcuno potrebbe sostenere il re, ma io dico invece che è Dio a muovere i suoi servi, in vista dei suoi scopi superiori.» «Le astuzie di Dio», dissi. «Molti ne fanno un uso discutibile, Gregory.» *** Capitolo quarantuno. Ci voltammo quando Russell si diresse silenziosamente verso di noi. «Siamo pronti a entrare», disse. «Sir Thomas, io, Barak, l'avvocato Shardlake e altri sei. Dieci uomini. Correremo verso la casa, sfonderemo la porta, poi due gruppi frugheranno il piano superiore, altri

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due il piano terreno. Il resto degli uomini rimarrà nel bosco, pronti a prenderlo se fuggisse.» Si guardò attorno. Comparve Sir Thomas. «Avrò io il comando», disse. Tirò un gran respiro, poi uscì dagli alberi diretto verso la casa, camminando silenzioso e cauto. Lo seguimmo senza fare rumore. Sir Thomas raggiunse il prato, inoltrandosi tra l'erba fitta. Poi tutti sussultammo, all'erompere di un gran frastuono ai suoi piedi, e dall'erba sbucarono numerose forme bianche. Sir Thomas gettò un grido, mentre alle sue spalle s'udiva il rumore raschiante delle spade estratte dai foderi. Poi Barak scoppiò a ridere. «Sono oche!» esclamò. «Un branco di oche!» Scorsi una ventina di irritati pennuti sfrecciare sull'erba, schiamazzando rumorosamente. Sir Thomas era rimasto immobile a fissare la casa. Non accadde nulla, ma era bastato quello per far apparire d'un tratto vulnerabile il borioso cortigiano. «E pericoloso», dissi a Barak. «Quelle oche erano lì per segnalare gli intrusi, in campagna è abbastanza comune. Adesso sa che siamo qui.» Guardai le finestre vuote, sbarrate. «Abbiamo perduto il vantaggio della sorpresa.» Russell uscì dalla macchia per raggiungere il padrone, richiamandoci a gesti, e a lunghi passi attraversammo tutti lo spazio erboso, fino alla porta d'ingresso, coperta da un portico le cui assi erano marcite per l'umidità; l'uscio, però, sembrava abbastanza robusto. «Buttalo giù», ordinò bruscamente Sir Thomas, accennando a un giovanotto grande e grosso. Quest'ultimo si fece avanti, tirando indietro il piede per sferrare un calcio; prima che colpisse la porta, tuttavia, Barak si sporse rapido, impugnando la maniglia. La porta si aprì su cardini ben lubrificati. «Ci facilita le cose», disse. Ci radunammo sulla soglia e guardammo dentro. Con le imposte chiuse l'interno era buio. Scorsi assi nude e mobili massicci, coperti di polvere. Sir Thomas si fece largo con una spallata ed entrò. Pensai che il coraggio non gli mancava. Lo seguimmo, saettando tutto intorno sguardi impauriti. Ci ritrovammo in un vecchio vestibolo, con un grosso paravento di legno all'estremità più lontana; da entrambi i lati, due scale salivano a una balconata al primo piano, sulla quale si affacciavano le stanze. Oltre le due scale l'atrio conduceva ad altre camere del piano terreno.

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Sir Thomas si diresse verso il vecchio paravento di legno imponente, vi puntò la spada e lo tirò giù. Cadde al suolo con uno schianto, sollevando grosse nuvole di polvere. Dietro non c'era nulla, tranne un vecchio arazzo stracciato. Il baccano era risuonato fragorosamente in tutta la casa, ma quando i suoi echi si spensero ricadde daccapo un silenzio pesante, rotto soltanto dagli uomini che tossivano per la polvere. Russell ordinò brusco: «Voi due, su per quella scala. Voialtri due, dall'altra. Io prendo la porta di sinistra con Brown». «Mastro Shardlake e io prendiamo quella di destra», disse Barak. «Benissimo. Mastro Harsnet, Sir Thomas, per favore, tenetevi pronti a dare una mano a catturare chiunque spunti fuori.» Harsnet annuì sbrigativamente, mentre Sir Thomas sorrideva, posando una mano sul fodero della spada. «Pronto a vedermela con lui.» Compresi che intendeva ucciderlo: Goddard non ne sarebbe uscito vivo. Agli ordini del maggiordomo gli uomini partirono di corsa, con le spade in pugno. I loro passi rimbombarono su per i gradini. Io seguii Barak alla porta di destra. Barak parlava con un filo di voce. «Vedo un debole chiarore, laggiù», bisbigliò. «Ora lo prendo.» Strinse forte la spada con la mano sana. Aveva ragione. Entrammo in un corridoio polveroso dalle finestre chiuse e, all'estremità più lontana, scorsi una porta semiaperta. Dall'interno filtrava una fioca luce rossa dal tenue tremolio. Doveva essere la stanza dov'era acceso il fuoco: ne avvertivo diffondersi il tepore. Poi s'udì un tintinnio di vetri rotti, e percepimmo un altro rumore nella stanza: un sibilo sommesso e prolungato, simile a quello che emette una vipera quand'è disturbata. «Che cos'è, in nome di Dio?» sussurrai fissando Barak a occhi sgranati. «Che succede?» «Non lo so.» Barak esitò, poi avanzò risoluto, la spada tesa davanti a sé. Raggiunse la porta, rimanendo un attimo in ascolto: il sibilo adesso era più forte. Dopo avere dato un'occhiata verso di me, aprì la porta con una spallata. Guardammo dentro: una scena che poteva emergere dritta dall'inferno. La stanza era ampia, probabilmente la camera da letto padronale. In una parete c'era un grande caminetto, nel quale il fuoco ardeva vivace, surriscaldando l'ambiente. Direttamente di fronte a noi vi era l'unico mobile, una poltrona riccamente intagliata, dallo schienale alto, quale

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poteva essere quella usata da un alto funzionario. Vi sedeva un uomo con indosso l'abito nero del monaco benedettino, il cappuccio sollevato sul capo. Mostrava un viso di mezz'età, dagli zigomi alti. L'uomo ci fissava, il riflesso delle fiamme gli danzava sulle pupille; su un lato del lungo naso aveva un grosso neo, e uno sfregio rosso attraverso la guancia. Goddard ci guardava, con le labbra ritratte in un terribile ghigno di trionfo. Un braccio era posato sul bracciolo della poltrona, l'altro pendeva su un fianco; sotto di esso giaceva una lanterna in frantumi, che doveva avere prodotto il tintinnio da noi udito. La candela contenutavi bruciava ancora sul pavimento, all'inizio di un sottile tracciato d'una sostanza simile a cenere. Era quella a produrre una fiamma sibilante, che correva rapida lungo la traccia di polvere scura, in direzione di due grossi barili sotto la finestra chiusa. Erano all'estremità più lontana della stanza, e non saremmo riusciti a raggiungerli prima che vi arrivasse il fuoco. Notai che le imposte non erano del tutto sbarrate. Una volta tanto reagii più in fretta di Barak, il quale sembrava paralizzato dalla vista della scia di polvere da sparo. Lo afferrai per un braccio e lo feci piroettare su se stesso, gridando: «Via!» Volammo fuori dalla stanza, lungo il corridoio. Sir Thomas, Russell e Harsnet ci guardarono. «Fuori tutti, subito!» urlai. «C'è una carica di polvere, farà saltare la casa!» Udii passi precipitarsi verso di noi da ogni parte dell'edificio. Quelli nel vestibolo correvano già verso l'uscita. Barak e io li seguimmo a grandi falcate. Poi sentii contro la schiena un impatto ardente, che mi fece volare a terra come un pupazzo. Ogni cosa intorno a me parve tremare, sebbene, stranamente, non udissi alcun suono. Il mio ultimo pensiero prima di perdere i sensi fu: L'ha fatto, ha creato il terremoto. *** Capitolo quarantadue. (Quando mi svegliai, il mio primo, terribile pensiero fu che ero morto ed ero stato spedito all'inferno per la mia mancanza di fede, perché attorno a me non c'era che fumo. Poi vidi delle luci bianche, circolari, muoversi in mezzo al fumo. Una si avvicinò, e per un istante temetti di vedere un demonio, ma la sagoma si trasformò nella faccia di Harsnet, sconvolta e striata di fuliggine. S'inginocchiò accanto a me, e mi accorsi

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che giacevo su un fianco sull'erba umida; poi mi avvidi che avevo la schiena nuda, perché avvertii il soffio di una brezza vivace. «Rimanete fermo, mastro Shardlake», disse Harsnet cercando di tranquillizzarmi. «Avete la schiena bruciata, non gravemente, ma è venuto il guaritore del villaggio e vi ha spalmato un po' di lavanda.» Divenni allora consapevole del bruciore: contemporaneamente pareva rintronarmi nelle orecchie l'eco di una lontana, tremenda esplosione. Mi accorsi pure che la voce di Harsnet risuonava stranamente attutita. Mi tirai a sedere, scuotendo la testa. Una coperta mi copriva a metà, e me l'avvolsi sulla schiena nuda: il movimento mi fece male e mi procurò un sussulto. «Lo dicevo, io, che era la prima cosa che avreste fatto quando vi foste svegliato», disse una voce accanto a me. Vi voltai e mi vidi vicino Barak, anche lui con la parte inferiore del corpo sotto una coperta. Altri uomini giacevano tutto intorno in una posizione analoga, nell'erba alta del prato. Girai dolorosamente il collo. Dietro di me, all'estremità più lontana del giardino, la casa di Goddard bruciava da un capo all'altro, eruttando fiamme e fumo dalle finestre e dal tetto crollato. «Aveva la polvere da sparo», dissi, afferrando un braccio di Harsnet. «Era lì dentro, ha dato fuoco ai barili...» «Sì», disse garbatamente il coroner. «E tutto finito. Il retro della casa è crollato, e il resto brucia. Ci avete salvato la vita, signore, dando l'allarme.» «Sono usciti tutti?» «Sì. Molti però sono rimasti feriti dall'esplosione. Uno degli uomini di Sir Thomas è stato scagliato in aria ed è ricaduto sulla testa: rischia di morire. E stato chiamato un medico da Barnet. Ci avete preoccupato, signore, perché siete rimasto un'ora privo di conoscenza.» «Siete ferito?» chiesi a Barak. «Ho preso una botta, come voi. Credo di avere un paio di costole rotte.» «Perché avete una coperta sulle gambe?» «L'esplosione mi ha portato via le brache. Anche il vostro abito era a brandelli, e pure il farsetto.» Parlava con allegria, ma guardandolo negli occhi vi scorsi il medesimo orrore che probabilmente lui leggeva nei miei. «E tutto finito», disse con calma Harsnet. «Ha versato la settima coppa e ha fatto tremare la Terra. Nel farlo ha ucciso se stesso, magari

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credendo di andare in paradiso.» Serrò le labbra. «A quest'ora, però, sarà già all'inferno!» Esitò. «Pensavamo che la settima vittima foste voi.» «Come faceva a sapere che ci sarei stato anch'io?» «Sapeva che eravate al centro dell'indagine», rispose. Si strinse la spalla sinistra, trasalendo: anche lui era rimasto ferito. «Dicevate che avrebbe saputo che sarebbe venuto un nutrito gruppo di uomini, e probabilmente ci sareste stato anche voi. La miccia dev'essere stata un po' troppo lunga, altrimenti tutti, in questa parte della casa, sarebbero rimasti uccisi. A lui non importava quanti sarebbero morti», aggiunse con amarezza. «Ah, ecco il dottore.» Vidi Sir Thomas e Russell camminare tra i feriti sul prato, in compagnia di un uomo in toga da medico. «Agli uomini è stato detto che Goddard era un alchimista», proseguì Harsnet, «che lo si ricercava perché praticava esperimenti proibiti e che ha fatto saltare in aria la casa per sbaglio. Metà degli abitanti del paese si sono precipitati a vedere e gli uomini di Sir Thomas li trattengono dall'altra parte della macchia.» «Perché Goddard si sarebbe suicidato, proprio quand'era giunto al culmine del suo grande progetto?» domandai. «Di certo, se pensava di scatenare l'Armageddon avrebbe voluto assistere allo spettacolo.» «Chi sa che cosa gli è passato per la mente? Io credo che, dopo tutto, fosse posseduto dal demonio, Matthew, e adesso il diavolo ha raccattato la sua anima.» La voce di Harsnet risuonava ancora soffocata. Sperai che le mie orecchie non fossero rimaste danneggiate in permanenza. Mi adagiai su un gomito, esausto. «Mi portereste un po' d'acqua?» chiesi. «Sicuro.» Quando Harsnet mi lasciò, mi distesi sull'erba alta, trasalendo per il dolore che mi si diffondeva all'intero dorso. Poi mi raddrizzai nuovamente, avvolgendomi nella coperta, per guardare la casa in fiamme. Vi furono uno schianto e una nuvola di faville quando ciò che restava del tetto crollò. Mi volsi verso Barak. «Mica è finita così», dissi. «Ma l'abbiamo pur visto, era Goddard, con il neo sul naso e il taglio sulla guancia dove Orr gli aveva strappato la barba finta. Aveva teso una trappola, era stato ampiamente messo sull'avviso dalle oche, poi dalla nostra irruzione in casa, per poter accendere la miccia e spedirci tutti quanti nel mondo dei più.»

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«Ma non è successo, ce la siamo cavata tutti.» «Solo per il rotto della cuffia.» Mi rialzai lentamente, strofinandomi una mano sul viso, e per un attimo mi sentii girare la testa. «Avete visto la finestra sopra i barili di polvere? L'imposta era rimasta leggermente aperta. Là dentro poteva esserci qualcun altro, che ha acceso la miccia, e se l'è squagliata. E se la miccia fosse stata calcolata in modo che chi l'avesse scorta riuscisse a uscire dalla stanza per testimoniare che l'assassino era morto anche lui?» «Ma era seduto lì, a sogghignare: l'abbiamo visto. Rimettetevi giù, per favore.» «E se non fosse stato Goddard l'assassino? E se le sette coppe fossero soltanto una fase di una messinscena più ampia, al cui atto successivo potrebbe ora passare indisturbato, se creduto morto?» Mi alzai barcollando. Barak afferrò la coperta. «State giù. Siete rimasto privo di sensi per un'ora.» Io, invece, piantai bene i piedi sull'erba e chiamai il gruppo di Sir Thomas, con una voce che suonò al mio stesso orecchio come uscire da sott'acqua. Barak mi tirò nuovamente per la coperta. «Se direte a Sir Thomas che, alla fine, non abbiamo preso l'assassino, sarà furibondo. Già così è abbastanza di cattivo umore.» Ma io me ne andai, mentre Sir Thomas e Russell si avvicinavano con il medico. Sir Thomas sembrava abbattuto. «Be', Shardlake», disse, «che gran finale per la vostra caccia. Ci siete riuscito.» Mi gettò uno sguardo accusatore. «Uno dei miei uomini è in pericolo di vita.» «Ne sono dolente. Ma non sono sicuro che l'assassino fosse Goddard», risposi. «Credo che in quella stanza ci fosse qualcun altro, che può essere fuggito.» Mi rivolsi a Russell. «Nessuno dei vostri uomini ha visto o sentito nulla nel bosco, dopo lo scoppio?» «V'è andato in malora il cervello», disse irritato Sir Thomas, e il medico, un uomo anziano e sparuto, dalla lunga barba, mi squadrò con attenzione. Russell, però, annuì lentamente. «Sì: subito dopo, uno dei miei ha visto qualcosa muoversi nel bosco, e ha detto che pareva un uomo. Però c'era una gran confusione, era quasi buio, tutti erano scossi dall'esplosione e gli animali, presi dal panico, correvano avanti e indietro nella penombra.»

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«Un cervo», sbuffò Sir Thomas; tuttavia, dall'occhiata che mi diede Russell compresi che anche lui nutriva dei dubbi. Nelle stalle dietro la casa di Goddard era stato approntato un quartier generale. Russell mi aiutò a raggiungerlo, poi mandò a chiamare l'uomo che aveva visto qualcosa. Era un altro dei giovani servitori di Sir Thomas, sveglio e ardito. «Sono sicuro che fosse un uomo quello che mi è passato accanto di corsa», disse. «L'ho appena intravisto, una sagoma che sfrecciava in mezzo agli alberi, ma giurerei che si muoveva su due gambe, non su quattro.» Sedevo su una balla di fieno, con accanto Barak, che guardò prima il giovane, poi me. «Che Iddio ci aiuti. Se non è Goddard, allora chi accidente è l'assassino?» «Non so.» Mi girai verso Russell. «Il retro della casa non s'è incendiato?» «No, è crollato nell'esplosione. Qualunque cosa sia rimasta di Goddard, sarà sepolta lì sotto.» «Vorrei che le macerie fossero rimosse, e l'arciprete Benson fosse portato qui per identificare ogni resto di Goddard.» «Non ne avrà voglia», obiettò Barak. «E ancora qui, ma gli è stato detto che Goddard s'è fatto saltare in aria.» «Sir Thomas vuole che la faccenda sia chiusa, signore», disse ammonitore Russell. «Forse, se gli si dice che dobbiamo assicurarci che l'assassino non sia ancora in circolazione, e se lui rifiuta e qualcun altro viene ucciso, non farà una bella figura...» Sorrisi al maggiordomo. «Sono certo che siete abituato a dire cose spiacevoli al vostro padrone usando la diplomazia.» Il giovanotto si passò una mano sul ciuffo di capelli biondi: al pari di tutti, era sporco e arruffato. «Farò ciò che posso.» «E io me la vedrò con Harsnet», dissi. Avevo finito con il rispettare l'acume di Harsnet, ma quando venne nella scuderia, strofinandosi la spalla lesa, la mia ipotesi lo lasciò inorridito. «Non possiamo farlo», disse. «Tutto sulla parola di ciò che un servo ha creduto di vedere nel buio. Avremo dei problemi con l'arciprete Benson, e Sir Thomas sarà furioso. Già non gli piacete, Matthew, e non è uomo che sia consigliabile farsi nemico.» «Ho avuto nemici peggiori di lui.»

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Harsnet scosse il capo. «Il caso è chiuso. Goddard ha finito a modo suo, ma ha finito. Il nostro compito, adesso, è informarne l'arcivescovo, e con urgenza.» Lo guardai. «Lo so che tutti vorrebbero che fosse finita. Avrei anch'io una gran voglia di crederlo. Ma non sempre si può credere quello che ci fa comodo.» Il maggiordomo Russell si dimostrò un persuasore migliore di me, e un'ora dopo quanti fra gli uomini di Sir Thomas non erano rimasti feriti rimuovevano il cumulo di rovine che era tutto ciò che era rimasto dell'ala posteriore. Russell era al lavoro con i suoi. Lo scoppio aveva proiettato verso l'esterno molte pietre, ma parte del tetto era crollata all'interno dell'edificio. Rimasi a guardare mentre venivano sollevate le tegole di ardesia. Vicino a me c'era un corrucciato Sir Thomas. Harsnet si teneva a qualche distanza, scuotendo di tanto in tanto la testa; l'arciprete Benson sedeva presso di lui, su un frammento di muro. «Comunque vada», disse Barak, «quel vecchio odioso trova sempre qualcosa su cui sedersi.» Mi stava accanto, preoccupandosi delle proprie costole, che il dottore gli aveva bendato. Con mio sollievo, il mio udito pareva essersi schiarito. «Sì.» Osservavo quello scenario spaventoso. Della vecchia, grande casa non rimanevano che pochi muri scheletriti, fra i quali le macerie fumavano ancora. Chi lavorava gettava sguardi inquieti al muro più vicino, nel timore che crollasse. Sul prato, uomini ancora intontiti sedevano avvolti nelle coperte, a osservare la casa bruciata nella quale erano arrivati così vicino a morire. Da Barnet era arrivato un carro, e i feriti più gravi vi venivano caricati sotto la sorveglianza del medico e del giudice Goodridge. Un grido di Russell mi fece voltare. Sir Thomas e Harsnet si unirono a me, arrampicandosi sulle macerie. Il maggiordomo indicava qualcosa ai suoi piedi. Vidi che aveva scoperto un braccio asportato, ancora avvolto nei brandelli di un abito da monaco, con la mano intatta, orribilmente bianca. Un momento dopo un uomo sollevò una lastra di ardesia e fece un balzo indietro, con un grido. Sotto scorgemmo una testa mozza, a stento riconoscibile, coperta com'era da uno spesso strato di polvere. Per nulla turbato, Sir Thomas estrasse un fazzoletto e prese a ripulire quella cosa raccapricciante. Era l'uomo che era stato seduto sulla poltrona simile a un trono. Gli occhi erano schizzati via, lasciando le orbite rosse e vuote, ma

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riconobbi il neo sul naso, e la ferita sulla guancia. Era sbalorditivo che la testa sorridesse ancora; poi, lottando contro un conato di nausea, vidi perché: sottili chiodini erano stati conficcati nella mandibola, attraverso la carne, per tenergli aperta la bocca. Alzai lo sguardo su Harsnet. «Quest'uomo era già morto quando siamo entrati nella stanza», dissi. Seymour si chinò a raccogliere la testa, senza maggiore emozione che se fosse stata un pallone da calcio. Ricordai la storia ripugnante del carro pieno di teste di turchi, in Ungheria. La portò dove sedeva l'arciprete Benson, mentre un po' di sangue gocciolava ancora dal collo tranciato. Il prelato balzò in piedi, con gli occhi sbarrati per l'orrore. «È una...» «Sì, una testa». La sollevò. «Di chi?» «È Lancelot Goddard», disse Benson e si accasciò al suolo svenuto. Il giorno dopo, al mattino presto, Barak e io sedevamo a colazione. Il viaggio di ritorno da Kinesworth era stato poco piacevole per entrambi, eravamo andati a letto presto ma c'eravamo addormentati tardi; m'ero agitato e rigirato a disagio, perché premere sulla schiena mi faceva dolere le bruciature. Passandomi una mano sul dorso, sentivo gonfiare le vesciche. «Come vanno le costole?» chiesi. «Fanno male», rispose Barak con una smorfia. «Ma sono solo ammaccate, non rotte. Sono stato peggio.» «Tamasin non viene a colazione con noi?» «Non lo so. L'ho lasciata che si vestiva.» Sospirò. «A volte mi chiedo se pensi che mi sono fatto male per dispetto a lei.» «Siete ancora ai ferri corti?» «Probabilmente. Quando siamo tornati a casa ho provato a dirle che avevo solo voglia di dormire, ma lei voleva sapere tutto. Ero troppo stanco per parlare», aggiunse. «E anche preoccupato, perché 'sta faccenda non è finita.» Prima di lasciare i ruderi della casa di Goddard, Harsnet, Sir Thomas Seymour e io avevamo tenuto una riunione. Era ormai chiaro che Goddard era stato una vittima, non l'esecutore, dei delitti. Mi domandavo se anche lui, dopo avere abbandonato Westminster, avesse trescato in qualche modo con il protestantesimo radicale, ma se ne fosse allontanato, qualificandosi in tale maniera come settima vittima. L'assassino era ancora a piede libero, e non avevamo alcuna idea di chi fosse, o dove avrebbe colpito la volta successiva.

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«Ma chi è quel bastardo?» chiese Barak. «Come faceva a conoscere tutte quelle persone diverse, e le loro affinità religiose?» «Perlomeno sappiamo com'è giunto fino a noi: tenendoci d'occhio e spiandoci travestito da venditore ambulante. A proposito, il graffio sulla testa del povero Goddard era sul lato sbagliato della faccia. L'assassino glielo ha praticato per incoraggiarci a credere che, in quella stanza, ci trovassimo di fronte al colpevole.» «Qui ha preso una cantonata», disse Barak. «Il primo errore che ha commesso.» «Com'è arrivato a Goddard? Com'è riuscito a scoprire dove abitava?» «Lo sa il Cielo. Il giudice ha detto che Goddard non si vedeva da alcuni giorni. Scommetto che l'assassino è entrato in casa, l'ha legato, poi ha mandato il messaggio all'arciprete Benson. E ha preparato il suo spettacolo più grandioso.» Strinsi i pugni. «Chi è? Dov'è adesso?» «Siamo di nuovo al punto di partenza.» «E senza un'idea riguardo a dove colpirà la prossima volta. Di una cosa, però, sono sicuro: non finirà ora.» «Credete che se la prenderà con voi?» «Non so. Perché non far saltare la casa con tutti noi dentro?» sospirai. Avrei desiderato consigliarmi con Guy. Dal nostro litigio non avevo più saputo nulla di lui, e non mi sarei stupito se Piers fosse tornato, insinuandosi di nuovo nelle grazie del mio amico. Spinsi da parte il piatto e mi alzai, trasalendo per il dolore alla schiena. «Oggi andrò a Bedlam. Shawms dovrebbe avere pronto il suo rapporto per il tribunale, e voglio dargli un'occhiata, e vedere Adam. E più tardi anche Dorothy. Prevedo che Bealknap sia ancora lì.» «Siete abbastanza in forma per uscire?» chiese Barak. «Non posso restarmene qui seduto. Andrò in studio e cercherò di lavorare un po' dopo essere andato a fare visita a Dorothy. Io...» La porta si aprì ed entrò Tamasin. Indossava un abito disadorno e i capelli biondi le cadevano sciolti sulle spalle. Ci gettò un'occhiata ostile. «Siete stati tutt'e due in guerra, a quanto vedo», disse. «Dov'è la tua cuffia?» domandò Barak. «Porti i capelli sciolti come una donna non sposata.» Lei lo ignorò, rivolgendosi piuttosto a me. «Jack dice che non l'avete preso.» «No», risposi, aggiungendo a bassa voce: «Dobbiamo continuare a cercarlo».

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«Ha ucciso otto persone», disse con impazienza Barak. «Nove, se muore anche l'uomo di Sir Thomas rimasto ferito nell'esplosione. Sette di loro in maniere orribilmente lente.» «Dobbiamo continuare», dissi. Tamasin sedette di fronte al marito, fissandolo negli occhi con un'espressione insieme aggressiva e triste. «Non è ciò che fai adesso a farmi arrabbiare, ma come sei da quando è morto il nostro bambino.» Barak guardò me, poi riportò gli occhi su di lei. «Non dovresti parlare di queste cose in presenza di terzi. Non che tu non l'abbia già fatto, lo so.» «Io parlo di fronte a terzi perché tu non mi ascolti quando siamo soli.» La voce di Tamasin salì fino a diventare uno strillo e lei picchiò un pugno sul tavolo, facendoci sussultare entrambi. «Hai mai pensato come mi sono sentita io, dopo la morte del bambino? Credi forse che passi giorno senza che mi torni alla mente il momento della sua nascita? Tu non c'eri nemmeno, eri uscito a bere. Sì, fu allora che incominciò...» «Tamasin...» disse Barak alzando la voce, ma lei alzò ancora di più la sua. «Il dolore, quel dolore terribile... non ne avevo mai provato uno uguale. Tu non sai che cosa sopportano le donne. Poi la levatrice mi disse che il bambino era tutto storto nel mio grembo, che non riusciva a tirarlo fuori vivo e che sarei morta, a meno che non gli avesse rotto la testolina. Tu non hai sentito quel rumore: non fu molto forte, ma io continuo a udirlo riecheggiare nella mia mente. Poi lo tirò su e vidi che era morto... chiunque avrebbe potuto vedere che era morto... ma io volevo ancora disperatamente sentirlo piangere, sentirlo gridare.» Ora le lacrime le scorrevano sul volto. Barak s'era fatto pallidissimo e sedeva immobile. «Non me lo hai mai detto», mormorò. «Io volevo risparmiarti.» gridò lei. «Non che tu risparmiassi me: tornavi a casa ubriaco, sempre a parlare e riparlare di tuo figlio, del tuo povero figlio. Un figlio anche mio.» «Non avevo idea che fosse andata così», rispose Barak. «Sapevo soltanto che era nato morto.» «Nel nome di Dio, come credevi che fosse?» Barak inghiottì. «Ho sentito... che quando un bambino è contorto nel grembo in quel modo, può impedire che la donna ne abbia degli altri. Noi...»

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«Non so se è per questo che non ce ne sono stati altri!» urlò Tamasin. «Questo è tutto ciò che a te importa? E tutto ciò che sei capace di dirmi?» Barak alzò una mano. «No, no, Tammy, non intendevo...» Si sarebbe dovuto alzare, prenderla fra le braccia e confortarla, ma il suo sfogo l'aveva turbato troppo: alzare quella mano sembrava tutto ciò che sapesse fare. Tamasin si levò in piedi, ci voltò le spalle e lasciò la stanza. «Andate da lei», dissi. «Andate da lei subito.» Lui invece rimaneva lì seduto impotente e sconvolto. «Coraggio», lo esortai, più calmo. «Dopo tutto quello che abbiamo passato, saprete senza dubbio farvi forza e consolare vostra moglie.» Allora Barak annuì e si alzò, con una smorfia di dolore per le costole rotte. «Povera Tamasin», sussurrò. Si diresse verso la porta, ma in quel mentre l'uscio di casa sbatté. Joan era nell'ingresso. «Tamasin è uscita», disse. «Le ho detto che non dovevamo uscire da sole, ma non mi ha voluto dare ascolto.» Barak la rincorse rapido, seguito da me. Nessuna traccia di Tamasin all'esterno. Andammo al cancello, guardando in entrambi i sensi. Un momento dopo il cavallo di Barak, Sukey, passò al galoppo davanti al cancello, con Tamasin in sella all'amazzone. Doveva essere andata nella scuderia. Barak le gridò dietro, ma lei scomparve giù per Chancery Lane, cavalcando veloce in direzione di Fleet Street. Due ore dopo legavo Genesis davanti a Bedlam. Barak era corso in cerca di Tamasin, ma lei era sparita in mezzo alla folla. Non avevamo idea di dove potesse essere andata: era orfana, non aveva nessuno eccetto Barak. Ai tempi in cui era stata una servetta della regina Catherine Howard aveva avuto qualche amica, ma Barak diceva che ormai le frequentava molto di rado. Mi rendevo conto di quanto si fosse sentita sola, completamente e terribilmente sola, in quegli ultimi mesi. Barak era andato a vedere se poteva rintracciare qualcuna delle sue amiche. Sembrava che il suo scoppio d'ira lo avesse sconvolto, facendogli comprendere con chiarezza le conseguenze del suo comportamento e ne era profondamente pentito. Pregai che, se l'avesse trovata, non si rinchiudesse daccapo nella sua corazza difensiva; era tuttavia una cosa che doveva fare da solo, perciò ero venuto a trovare Adam.

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Hob Gebons mi fece entrare, conducendomi nella stanza di Shawms, dove il custode mi mostrò un foglio sul quale era scritto un rapporto per il tribunale, in cui si riferiva che Adam mangiava, era custodito con attenzione e riceveva visite regolari del suo medico curante. A stupirmi fu che era troppo ben scritto per essere opera di Shawms. «Vi ha aiutato il sovrintendente Metwys?» chiesi. Shawms mi squadrò torvo. «A scrivere non ci so fare. Mica vengo da qualche ricca famiglia istruita.» «Vedrò come sta oggi Adam. Se è ancora come dite voi, approverò il rapporto.» Feci una pausa. «Il dottor Malton è venuto a visitarlo?» «Non riesco a tenerlo fuori da questo posto.» «Oggi deve venire?» «Va e viene quando gli pare.» «Ed Ellen, come sta? Spero che non l'avrete tormentata di nuovo.» «Oh, adesso si comporta a dovere. Hob!» chiamò, e ricomparve il grasso custode. «Visite per Adam Kite. Ha avuto più visitatori lui in un mese che molti pazienti in cinque anni.» Gebons mi fece strada fino alla cella di Adam. Era solo, come sempre incatenato, ma, con mia sorpresa, era in piedi e guardava dalla finestra il cortile posteriore. «Adam», lo chiamai piano. Lui si voltò, poi, appena mi vide, scivolò giù lungo la parete e si piegò su se stesso, mettendosi a pregare. Entrai e lo raggiunsi, inginocchiandomi non senza qualche difficoltà perché la posizione mi faceva dolere la schiena bruciata. «Su, Adam», dissi. «Sono io. Non ti farò del male. Fino a ora non pregavi.» Fui colpito da un pensiero. «Lo fai per non dover parlare con la gente?» Lui esitò un attimo, poi mi sbirciò sottecchi. «Qualche volta. La gente mi fa paura. Cercano di scoprire i miei peccati.» Ancora un'esitazione. «Non direte ai miei genitori che cosa... che cosa facevo con quella Jezabel?» «Intendi quella ragazza, Abigail? No. Non dirò niente, e neppure Guy. E nostro dovere professionale mantenere il riserbo sulle tue confidenze. Però i tuoi genitori ti vogliono bene, Adam, io l'ho visto, ti amano.» Scosse la testa. «Mi criticavano sempre, mi dicevano di comportarmi con rispetto, di stare zitto. Mi parlavano dei pericoli del peccato. Lo sanno che sono un peccatore.»

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«Non fanno forse altro che ripetere ciò che dice loro il reverendo Meaphon?» gli chiesi. Adam emise un profondo sospiro. «Lui è un uomo di Dio. Tutto ciò che desidera è portare gli uomini alla salvezza...» «I tuoi genitori desiderano di più: che tu gli renda il loro affetto. So che tuo padre desidera che un giorno torni a lavorare con lui.» «Non so. Dicono che un figlio che intraprende il lavoro di suo padre può rovinare la sua reputazione.» Esitò, poi aggiunse, scuotendo la testa: «E io non ho voglia di fare lo scalpellino, non mi piace quel lavoro. Non mi è mai piaciuto. E questo è un altro peccato». «Mio padre era un agricoltore, ma a me non interessava coltivare la terra. Volevo fare l'avvocato. Non credo che fosse un peccato. Forse che Iddio non dà a ognuno di noi la sua vocazione?» «Ci chiama alla salvezza.» Adam chiuse gli occhi, stringendo con forza le palpebre. «Padre, abbassa il Tuo sguardo su di me, guardami e salvami, vedrai il mio pentimento...» Mi levai lentamente in piedi. Qualcosa detto da Adam aveva fatto squillare un campanello; feci allora un collegamento con ciò che aveva detto Timothy a proposito dei visitatori. Avevo passato talmente tanto tempo a riflettere sul ragazzo che aveva fatto visita ad Abigail da trascurare il resto di quanto aveva riferito il bambino. Mi scoprii a tremare, essendomi reso conto che Adam, casualmente, mi aveva dato la risposta. Se avevo ragione, ora sapevo chi era l'assassino; e ne ero sconvolto. Sussultai quando la porta si aprì ed entrò Ellen, con un vassoio. Quando mi vide nella stanza arrossì. «Portavo da mangiare ad Adam, signore», disse. «Come deve fare una buona domestica.» «Siete stata molto di più per il povero Adam, Ellen.» Respirai a fondo. «Vorrei parlarvi di nuovo, Ellen, ma adesso devo andare... ho un impegno urgente cui pensare. Ma vi ringrazio ancora per esservi presa cura di Adam. Ci vediamo presto.» Lei mi guardò perplessa. Uscii in fretta, con un rapido inchino, passando davanti alla porta dell'uomo che credeva di essere il re e mi gridò di camminare con compostezza alla sua regal presenza. Prima dovevo andare a casa e parlare con Timothy; poi recarmi da Dorothy, perché, se avevo ragione, era lei che poteva possedere l'ultima tessera del mosaico.

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Un'ora dopo bussavo alla sua porta. Prima avevo fatto tappa a casa mia. Timothy si era spaventato perché l'avevo nuovamente interrogato su Yarington, e sebbene non fosse in grado di dirmi il nome che cercavo, mi fornì una descrizione che, se non confermava i miei sospetti, perlomeno neppure li smentiva. Ce n'era abbastanza per spedirmi in tutta fretta da Dorothy, soffermandomi a malapena per apprendere da Joan che Barak non era ancora tornato. Margaret, la cameriera, aprì la porta. «C'è la signora Elliard?» chiesi. «È scesa al piano terreno per parlare con lo scrivano di mastro Elliard dei pagamenti ai suoi onorari. Certi clienti non hanno pagato perché hanno saputo che mastro Elliard è morto. Credono di poterla fare franca.» L'indignazione rendeva più stridente la cantilena irlandese della sua voce. «Poi dicono che gli avvocati sono cattivi!» Per quanto impaziente fossi, sorrisi a Margaret. Nelle ultime settimane era stata una colonna per Dorothy: probabilmente l'aveva aiutata più di chiunque altro. «Siete molto affezionata alla vostra padrona, vero?» le chiesi. «E sempre stata buona con me, paziente con la mia goffaggine in principio. E anche mastro Elliard. Mi faceva bene al cuore vedere quanto si volevano bene.» «Sì, se ne volevano.» Mi stupiva che una settimana prima Dorothy non fosse scesa a controllare i conti di Roger con lo scrivano, che avesse mandato me. Quel pensiero mi rattristò e mi rimproverai per il mio egoismo. «Sta tornando alla normalità», dissi. «Sì, signore. Piano piano. Però sarebbe meglio se non avesse quel dannato cuculo nel nido.» Abbassò la voce, piegando il capo in direzione della stanza di cui s'era appropriato Bealknap. «Fa ammattire la servitù con le sue pretese e adesso che ha riacquistato l'appetito si mangia viva la signora Elliard. È un ospite, ma il costo...» «Allora metterò fine io a questa faccenda», dissi con severità. Attraversai il vestibolo. La stoffa della camicia mi irritava la schiena offesa. Prima di quel fine settimana mi sarei rivolto a Guy per farmi curare, ma adesso non avevo più nessuno, perché detestavo che chiunque altro vedesse la mia schiena deforme. Respirai a fondo e spalancai la porta della camera nella quale giaceva Bealknap. Dormiva sdraiato sul dorso, beato come un bambino, un bambino dai capelli arruffati, con una lanugine di barba giallastra sulle guance.

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Notai che il suo viso aveva riacquistato carne e colorito. Sul pavimento c'era un vassoio con un piatto, vuoto salvo per qualche goccia di salsa e ossicini di pollo. Lo squadrai dall'alto in basso, poi tirai un calcio al letto. Bealknap si svegliò di soprassalto, fissandomi petulante con i suoi occhi d'un azzurro slavato, mentre le mani ossute afferravano il copriletto. «Che vi salta in mente, entrare e prendere a calci il letto?» chiese. «Sono un ospite, io.» «Un ospite che infastidisce di continuo la servitù, e che fa spendere un sacco di soldi per mangiare.» «Il dottor Malton ha detto che devo rimanere qui un'altra settimana», rispose indignato. «Sono stato gravemente ammalato, sono ancora convalescente.» «Balle. Guy non l'avrebbe mai detto senza prima consultarsi con la signora Elliard. Lui sa come comportarsi. Lui è un gentiluomo.» E tirai un altro calcio al letto. «Perché vi arrabbiate tanto?» Rifletté un momento, poi corrugò la fronte, distogliendo lo sguardo. «E per quel procuratore di cui vi ho parlato? Sono certo che svolgeva solo indagini per conto di qualche cliente, per una causa.» Si sforzò di sollevarsi. «Non potete denunciarmi per questo. Ve l'ho rivelato mentre temevo di morire, ero temporaneamente non compos mentis.» «Mi domando se siete mai stato altro.» Lo fissai. Con buona probabilità era talmente concentrato su di sé da non accorgersi neppure delle conseguenze che provocava in quella dimora in lutto. Mi chinai su di lui e gli dissi: «O vi vestite e ve ne tornate nel vostro studio questo pomeriggio stesso, o chiederò alla signora Elliard di venire domani a casa mia, e mentre lei non c'è manderò qui Barak a sbattervi fuori in camicia da notte. Margaret lo farà entrare e baderà a stare ben zitta, di questo non dubitate». Bealknap mi fece un sorrisetto odioso. «Oh sì, adesso capisco. Vorreste avere la signora Elliard tutta per voi. È dunque così la storia.» Ridacchiò rauco. «Non avrà mai nessun interesse per un brutto vecchio gobbo come voi.» «Dirò a Barak di farvi rotolare ben bene in qualche pozzanghera mentre vi sbatte fuori a calci. E badate che un po' di quattrini prendano la strada della signora Elliard, da quel grosso cofano pieno d'oro che avete.» A siffatte parole, Bealknap si mostrò oltraggiato. «Adesso è una

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povera vedova, razza di canaglia. Due mezzi angeli d'oro dovrebbero bastare. Più tardi le chiederò se li ha ricevuti.» La sua voce era adesso stridula di indignazione: «Sono un ospite, gli ospiti non pagano». All'esterno udii la porta aprirsi e richiudersi: Dorothy era tornata. «Fuori, Bealknap», dissi. «Questo pomeriggio. Oppure ne subirete le conseguenze.» Diedi un nuovo calcio al letto e uscii. Dorothy era in salotto, non presso il caminetto dal quale s'era allontanata così di rado da quando Roger era morto, ma alla finestra, a guardare la fontana. Dunque ora riusciva a farlo, pensai. Mi resi conto che non la vedevo da giorni, da quel quasi bacio che c'era stato fra noi. Temetti che fosse irritata con me, ma sembrava solo affaticata. «Bealknap se ne andrà stasera», dissi. Parve sollevata. «Grazie. Non vorrei mancare di carità, ma quell'uomo è insopportabile.» «Mi spiace che Guy gli abbia consigliato di rimanere qui. Mi sento responsabile...» «No, sono stata io a permettere che mastro Bealknap entrasse. Il dottor Malton è venuto a vederlo ieri. Bealknap ha riferito che gli era stato detto di rimanere per un'altra settimana...» «Bugie.» Cambiai leggermente posizione e una fitta di dolore mi trapassò la schiena. Trasalii. Dorothy fece un passo avanti. «Che succede, Matthew? Non stai bene?» «Non è niente. Una leggera bruciatura. S'è incendiata una casa, nell'Hertfordshire.» Trassi un profondo respiro. «Credevamo di avere preso l'assassino, pensavamo che fosse tutto finito, ma ci è scappato.» «Non finirà dunque mai?» chiese piano lei. «Oh, mi dispiace, ti vedo così stanco, e anche ferito. Sono talmente egoista, tutta presa dai miei problemi personali. Una donna sciocca e incostante. Puoi perdonarmi?» «Non c'è niente da perdonare.» Dorothy aveva assunto la sua posizione preferita, in piedi accanto al fuoco, con il fregio ligneo alle spalle. Lo esaminai mentre lei versava in due bicchieri del liquido da una bottiglia, e me ne porgeva uno. «Aqua vitae», disse con un sorriso. «Credo che tu ne abbia bisogno.» Sorseggiai il liquido bruciante, con riconoscenza. «Sei così buono con me», disse. Sorrise tristemente, con le belle guance che s'imporporavano. «Nel nostro ultimo incontro... mi spiace... avevo

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la mente tutta sottosopra, con gli umori in subbuglio.» Mi guardò. «Ho bisogno di tempo, Matthew, molto tempo prima di poter comprendere come sarà il mio futuro senza Roger.» «Capisco. Sono nelle tue mani, Dorothy. Non chiedo nulla.» «Non sei in collera con me?» «No», sorrisi. «Pensavo che tu lo fossi con me, a causa di Bealknap.» «Solo infastidita da lui oltre ogni limite. Noi donne possiamo diventare litigiose, se esasperate.» «Tu non lo sarai mai, neanche a ottant'anni.» Dorothy arrossì nuovamente. La luce proveniente dalla finestra cadeva sul fregio, rivelando il colore diverso della riparazione mal fatta. «E un peccato che quel punto scolorito attragga tanto lo sguardo», disse Dorothy, portando la conversazione su argomenti più leggeri. «A Roger dava un fastidio terribile.» «Sì.» «L'uomo che in origine lo aveva intagliato era abilissimo. Ci rivolgemmo di nuovo a lui dopo il danno all'angolo, ma era morto da poco. Al suo posto venne il figlio, che però fece un lavoro scadente.» Tirai un profondo respiro, stranamente riluttante a dire ciò che avevo in mente. «Il falegname e suo figlio. Tu... tu ricordi il loro nome?» Dorothy mi diede uno sguardo penetrante. «Ha importanza?» «Anche una delle vittime dell'assassino aveva fatto venire un falegname a riparare un paravento rovinato.» Dorothy impallidì, portandosi una mano alla gola. «Qual era il loro nome? Padre e figlio?» «Cantrell», rispose Dorothy. «Il loro nome era Cantrell.» *** Capitolo quarantatre. Corsi a casa a prendere Genesis, poi galoppai più veloce di quanto avessi fatto da anni giù per Fleet Street, oltre Charing Cross, fino a Whitehall. La mia schiena bruciata si contraeva e sussultava per il dolore, ma la ignorai. La gente si fermava a guardarmi, e una volta o due dovette scansarsi con un salto dalla mia strada. Mi sarei portato dietro Barak, ma Joan aveva detto che era ancora in giro per le strade, in cerca di Tamasin. Pareva sconvolta: sapevo che era affezionata a entrambi. Cercai di convincere le guardie di Whitehall Palace che avevo faccende urgenti da sbrigare. Harsnet era stato in ufficio la mattina, ma poi si era

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recato a Charterhouse. Qualcuno fu mandato ad avvertirlo, mentre io attendevo nel suo ufficio. Un servitore mi accese il fuoco e mi sbirciò incuriosito passeggiare nervosamente avanti e indietro. Mi parve di aspettare un secolo. Per tutto il tempo non feci altro che pensare a quali nuovi orrori poteva scatenare Cantrell. Il mio primo impulso era stato di andare io stesso da lui con Barak, ma anche se Barak fosse stato a casa era ancora troppo provato dalle ferite. Pensai per un momento di portare Philip Orr, ma non mi andava di lasciare Joan e i ragazzi privi di protezione. E occorreva più di un uomo. Finalmente, nel tardo pomeriggio, arrivò Harsnet. Aveva un'aria completamente esausta. Io stavo seduto sulla poltrona davanti al suo scrittoio, ma quando entrò mi alzai dolorosamente in piedi. «Che è successo, Matthew?» chiese, stremato. «Non un altro delitto?» «No.» Parve sollevato. «Mi dispiace di avervi fatto tornare...» aggiunsi. «Ci sono problemi alla Charterhouse», disse. «Il meccanico ha riparato l'ingranaggio della ruota che apre le chiuse: s'era bloccato quando il guardiano aveva tentato di aprirle con Lockley di sotto. Ora, però, si è raccolta talmente tanta acqua che teme che, se le apre, la potenza possa far scalzare i battenti dai cardini e inondare le cantine di Charterhouse Square, fino a casa di Catherine Parr.» Guardò dalla finestra: era un altro giorno di sole, ma io me n'ero a malapena accorto. «Perlomeno il livello dell'acqua nel cortile interno della Charterhouse non è più aumentato», sospirò. «Credo di sapere chi è l'assassino», dissi. Mi fissò. Gli parlai del lavoro fatto da Cantrell e dal padre in casa di Roger e di Yarington. Sgranò gli occhi, sporgendosi in avanti. Quando terminai, rimase pensieroso. «Dovremmo agire subito, coroner», esclamai. «Ma gli occhi di Cantrell?» obiettò lui. «E mezzo cieco, l'abbiamo pur visto. E, secondo la guardia, non esce mai.» «E se i suoi occhi non fossero così malati come sostiene? Si possono avere difficoltà a leggere che cosa sta scritto su un vaso, ma vederci abbastanza bene da uccidere. E dove nascondersi meglio, che dietro quelle spesse lenti, simulando la quasi totale cecità? E non ha mai

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permesso alla guardia di entrare in casa: potrebbe benissimo essere uscito senza che il nostro uomo se ne accorgesse.» «E conosceva Lockley», disse Harsnet. «E anche Goddard. E, adesso lo sappiamo, le case di Roger Elliard e del reverendo Yarington. Potrebbe avere sentito parlare di coloro che avevano abbandonato i gruppi riformisti mentre faceva parte di quello di suo padre.» «Westminster è qui a due passi», dissi. «So dove stanno i gendarmi», esclamò, ora più risoluto. «Potrei prenderne due o tre e andarci subito.» «Prima che colpisca di nuovo.» «Credete che lo farà?» «Io l'ho sempre pensato, Gregory.» «Sono d'accordo. Il demonio lo stringe ormai troppo forte nei suoi artigli per lasciarlo andare.» Ci dirigemmo a passo rapido alla volta di Westminster. Fremevo di impazienza mentre sostavo nella piazza animata sotto il grande campanile, in attesa che Harsnet andasse a cercare i gendarmi. Finalmente ricomparve in compagnia di tre giovanotti robusti, armati di bastoni e spade. Westminster era un posto poco raccomandabile, e di solito i gendarmi erano giovani e forti. Facemmo cerchio. Harsnet disse ai gendarmi che davamo la caccia a un sospetto omicida, e che era pericoloso. Quindi ci dirigemmo verso Dean's Yard. Un gruppetto di prostitute che chiacchierava in un portone se la squagliò alla comparsa dei gendarmi. Harsnet sollevò una mano per bussare alla porta di Cantrell, ma io lo fermai. «No, lasciate qui due uomini e giriamo sul retro, a parlare con la guardia.» «Molto bene.» Prendendo con noi un gendarme, c'infilammo in un vicoletto fetido che fiancheggiava la casa; i nostri passi echeggiavano fra i muri angusti. Il gendarme spinse il portone del cortile di Cantrell. Era vuoto e la porta del ripostiglio era chiusa. Mi avvicinai con Harsnet alla sudicia finestra posteriore della casa, per guardare dentro. Il malandato salotto era deserto. Nel frattempo il gendarme aprì la porta della rimessa, scoppiando a ridere. Lo raggiungemmo, e scorgemmo all'interno la guardia di Cantrell stravaccata su un mucchio di sacchi sporchi. Dormiva come un ghiro, e l'odore che emanava rivelava che era ubriaco. Il gendarme gli diede un calcio. «Sveglia!» esclamò

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allegramente. L'uomo si mosse, grugnì e aprì gli occhi, trovandosi davanti Harsnet che lo fissava con uno sguardo da incenerire. «E così che si fa la guardia?» latrò. «Ne saprà qualcosa l'arcivescovo!» L'uomo tentò di tirarsi su. I miei occhi si posarono su un rubinetto gocciolante, conficcato nel fianco di un capace barilotto. Ne alzai il coperchio, trovandolo mezzo pieno di birra. «Ha fatto in modo che incontrasse una tentazione sul suo cammino», dissi. «Dov'è?» domandò Harsnet all'infelice guardia. «Cantrell? È dentro?» «Non lo so», borbottò l'uomo. «Mi fa stare qua fuori. Non vuole che entri, signore. Il problema è che non è mica normale, quello», aggiunse imbronciato. «L'hai detta più giusta di quanto credi, tanghero.» Harsnet girò sui tacchi. «Avanti, entriamo in casa.» Non sprecammo tempo in convenevoli. A un cenno di Harsnet il gendarme ridusse in pezzi la finestra da poco riparata, e l'uno dopo l'altro entrammo nella stanza. La guardia ubriaca era uscita traballando in cortile e ci guardava, con la faccia pesta di chi si rende conto di avere con tutta probabilità perso il lavoro. Dentro, nient'altro che silenzio. «Di nuovo come a casa di Goddard», bisbigliò Harsnet. Notai, appoggiato al muro, il legno insanguinato che Cantrell aveva detto di avere usato per mettere in fuga il suo assalitore, e mi domandai quale delle sue vittime avesse colpito con quel bastone. «Facciamo entrare gli uomini, e perquisiamo la casa», dissi. I gendarmi furono mandati a ispezionare l'edificio. Ordinai loro di non toccare niente. Qualche minuto dopo fecero ritorno, confermando che era vuoto. «Vediamo che cosa riusciamo a trovare», dissi ad Harsnet. In salotto non c'era nulla, né vi era qualcosa nella cucina dall'aspetto miserabile: solo sporcizia e pezzi di cibo scadente in un armadio. Ci volgemmo verso la porta che conduceva fuori dal salotto, e che Cantrell aveva detto portava al laboratorio del padre. Era una robusta porta di quercia, chiusa saldamente a chiave: per sfondarla ci vollero due gendarmi. Dentro era buio, con le imposte serrate alle finestre. Nel chiarore proveniente dal salotto scorsi lastre di pietra, e una specie di carretto contro il muro. Per un momento esitammo tutti sulla soglia, poi entrai, diretto alla finestra. Tolsi la sbarra che bloccava le imposte e le aprii, facendo irrompere all'interno la luce e i rumori della strada.

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Contro la parete c'erano tre grossi cofani di legno, e riconobbi il carretto del venditore ambulante. Qui aveva portato i suoi gingilli travestito da merciaio, e anche i corpi, privi di conoscenza o già morti. Venni d'un tratto colto dall'ira, ira per ciò che Cantrell aveva fatto, e anche contro me stesso. «Sono stato uno stupido», dissi a bassa voce. «Perché?» domandò Harsnet. «Si è preso gioco di tutti noi.» «Stupido per essermi lasciato ingannare con tanta facilità, per vedere Cantrell come voleva essere visto, come un'altra vittima della vita.» «Dobbiamo guardare dentro questi cofani», disse calmo Harsnet. «Io prendo questo, voi quello.» Sollevai il coperchio del più vicino, temendo che cosa potesse contenere. C'era un mucchio di abiti per travestirsi, vesti lacere, barbe finte e persino parrucche... un guardaroba intero. «Devono essere costati parecchio denaro», disse Harsnet, guardando sopra la mia spalla. «Alcuni sembrano vecchi e piuttosto logori.» Tirai fuori un abito a toppe di svariati colori. «Questo è l'abito variopinto di Giuseppe. Ne ho visti altri simili, nelle mascherate di Carnevale. Non avrebbe avuto bisogno di tutta questa roba.» Il cofano aperto da Harsnet conteneva bottiglie e vasi di erbe e droghe, avvolte in stracci. Li aprii con cautela. In una bottiglia tappata c'era un liquido denso, giallastro, dall'odore amaro. La sollevai. «Credo che sia questo lo specifico.» «Dove se l'è procurato?» «L'ha preparato lui, direi, in base alla formula di mastro Goddard.» Presi un'altra bottiglia, ne annusai prudentemente il contenuto, poi ne lasciai cadere qualche goccia sul pavimento. Il vetriolo sibilò e scoppiettò. «Ora non può più esserci alcun dubbio», disse Harsnet. «No.» «Da dove gli sarà venuta una furia del genere?» mi chiesi. «Dal demonio», rispose con sicurezza Harsnet. Mi guardò. Io scossi la testa. «Questo renderebbe la cosa più semplice, suppongo. Più facilmente accettabile.» «Forse è semplice. Avete fatto troppi ragionamenti su quest'uomo.» «Ne avevo motivo: ha ucciso il mio amico.» Mi chinai ad aprire il terzo baule, e vi guardammo dentro. Sotto alcuni abiti, giaceva una grossa

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cassetta piatta di legno. Ricordai di averne vista una simile da Guy. L'aprii e feci un passo indietro, lasciandomi sfuggire un ansito. Dentro la scatola, ordinatamente disposti, c'erano coltelli di varie dimensioni, una piccola accetta e persino una mannaia. Dei vassoi contenevano minuscoli uncini e spilli, nonché pinze e pinzette di parecchie misure. La mannaia e alcuni coltelli mostravano tracce di sangue e dalla scatola saliva un odore fetido. «Strumenti chirurgici» dissi. Harsnet volse le spalle, torcendo la bocca in una smorfia di disgusto. «Come ho detto, una possessione diabolica.» Salimmo al piano superiore. C'erano due stanze da letto: una, sgomberata da ogni mobile tranne un letto antiquato, scommisi che fosse appartenuta al padre di Cantrell; l'altra era la sua. C'era un vecchio letto a rotelle, un altro baule, vetusto e malconcio, e un tavolo con sopra una grossa, pesante Bibbia in inglese. Il cofano conteneva alcuni dei miseri indumenti che avevamo visto indosso a Cantrell, un tavolino traballante e uno sgabello. Harsnet aveva aperto la Bibbia. «Guardate che cosa ha fatto qui», disse piano. Mi avvicinai. Aveva aperto la Bibbia al Libro dell'Apocalisse. I larghi margini erano pieni di annotazioni in inchiostro rosso, in una grafia così minuta da riuscire di fatto illeggibile, ma decifrai parole come «vendetta», «castigo», «fuoco», più marcate e sottolineate. Voltando le pagine vidi che parimenti sottolineati erano tutti i passi relativi alle conseguenze del rovesciamento delle sette coppe dell'ira da parte degli angeli: «Un'ulcera cattiva e maligna, i fiumi e le fontane delle acque [...] e vi fu sangue, e si mordevano la lingua per il dolore». «Che bestemmia.» La voce di Harsnet tremava come mai l'avevo udita fare in precedenza, neppure di fronte alle cose peggiori che avevamo visto. Presi la Bibbia e la sfogliai. Vi erano sottolineati anche altri passi qua e là, come la distruzione di Sodoma e Gomorra, ma in pratica nulla del Nuovo Testamento a eccezione dell'Apocalisse, e, notai, solo in parte: le sette coppe dell'ira, poi, immediatamente dopo, il capitolo sul giudizio della Grande Prostituta. «Guardate queste sottolineature», dissi. «Ancora più che nei passi sul rovesciamento delle coppe. Ci fornisce un indizio su ciò che intende fare in seguito?» «Quel libro è infetto», disse Harsnet. «Corrotto.» «La Grande Prostituta. Chi crede che sia?»

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«E il simbolo del papa e della Babilonia romana», rispose Harsnet. «Ora lo sappiamo.» «Quando scrisse questo libro, a Patmos, san Giovanni non lo sapeva.» «Lo profetizzava», asserì con fermezza Harsnet. «Appare del tutto chiaro, a coloro che studiano approfonditamente.» «Non è ciò che vi vedeva Cantrell. No, avrà in mente qualcun altro più vicino del papa.» Harsnet rimase un momento silenzioso, poi si volse verso di me. «Dov'è adesso, Matthew?» chiese a bassa voce. «Confesso di avere paura.» Sulla scala risuonarono dei passi, e comparve uno dei gendarmi. «Di sotto c'è una vecchia che dice di conoscere Cantrell», disse. Guardai Harsnet. «La vicina.» Scendemmo, trovando sulla soglia la vecchia comare che aveva parlato con me la prima volta che ero venuto a tróvare Cantrell; sbirciava dietro il grosso gendarme che le sbarrava la strada. Quando mi riconobbe mi rivolse un sorriso sdentato. «Ah, il mastro avvocato, signore. Abbiamo già parlato prima. Ho visto che succedeva qualcosa. Che è capitato a Charlie?» I suoi occhi brillavano di curiosità. «Non è qui. Lo stiamo cercando.» «In relazione a un delitto», aggiunse severo Harsnet. «Che cosa sapete di lui?» «Abito qualche porta più in giù. Eravamo amici, con il padre di Charlie, finché non si cacciò nella religione e divenne troppo puro per parlare con quelli come me. Che cosa dovrebbe avere fatto Charlie?» Scosse la testa. «Non è mica capace di combinare niente di grave, è un povero disgraziato.» «Il vostro nome?» «Jane Beckett.» «Venite, Jane.» dissi. «Voglio farvi un paio di domande.» «Stavolta avete voglia di parlare con me...» La vecchia arricciò il naso quando la feci entrare in salotto. Mi seguì nel vecchio laboratorio e il suo viso si rattristò. «Guardate questo posto, com'è ridotto adesso», disse. «Triste e vuoto. Adrian lo teneva così in ordine ed era sempre pieno: non gli mancava mai il lavoro.» Aprii il baule colmo di abiti. «Sapete da dove possa provenire questa roba? Ce n'è una grande quantità.» Sollevai il costume multicolore.

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La vecchia annuì. «Ah, sì, è roba di Adrian, ne aveva una collezione. Lavorava per le compagnie teatrali. Faceva contratti per costruire le scene per le rappresentazioni all'aperto. Una volta ne fece una a Hampton Court, per una festa in maschera davanti al re. Affittava anche i costumi.» Mi guardò. «Sapeva fare bene i suoi affari. Questa è roba di valore, non dovrebbe essere lasciata così.» «Adrian non portava mai il figlio alle rappresentazioni?» «Charlie? Sì, quand'era piccolo. Gli piacevano. Era l'unica volta che lo si vedeva felice. Se era qui nei dintorni ci andavano parecchi dei vicini. Credo che Charlie volesse fare l'attore, ma non aveva talento per quello, né per qualunque altra cosa, quindi si fece monaco.» Rise sprezzante, poi tornò a volgersi verso di me e disse con serietà: «Adrian sì che era in gamba, sapeva fare carrucole che muovevano attraverso il palcoscenico i draghi di legno che costruiva, proprio come se fossero vivi». Accarezzò l'abito con la mano rugosa, poi lo depose nuovamente nel cofano. Quando rialzò lo sguardo, i suoi occhi erano nuovamente pieni di curiosità. «Allora, che cosa ha combinato, quel buono a nulla di Charlie?» «Non ha importanza», rispose Harsnet. Mi venne in mente un pensiero. «Come morì Adrian Cantrell?» «Una notte cadde dalle scale, a quanto disse Charlie. Si ruppe l'osso del collo.» Fece una risata amara. «Secondo quella religione da fanatici in cui credeva, è andato dritto dritto in paradiso. Che cos'è quella roba in quel baule? Non è di Adrian.» La allontanai dagli strumenti chirurgici, conducendola fuori. Era palesemente contrariata che non le dicessi di più. Sull'uscio le chiesi: «E quel carretto in laboratorio? Era di Adrian Cantrell?» «Sì, ci consegnava la roba ai clienti.» Mi venne un'idea: per andare da Westminster fino all'Hertfordshire, Cantrell doveva avere un cavallo. «Che ne è stato del suo cavallo?» chiesi. «Charlie l'avrà venduto.» «Com'era?» La vecchia fece spallucce. «Marrone, con un triangolo bianco sul naso.» «Lo avete mai notato entrare o uscire di qua con un cavallo e un carretto?»

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«Lui che ci vedeva appena?» sbuffò. «No. Lo vedevo uscire una volta o due a comprare qualcosa, tenendosi accanto ai muri e tastandoli per trovare la strada.» «L'avete mai visto uscire di notte?» Scoppiò a ridere. «Non l'avrei proprio creduto possibile. Comunque, io vado a letto presto e chiudo tutto: non è un gran bel posto, questo. Signore, che cos'è tutto...» «Non importa. Vi ringrazio.» Le chiusi garbatamente la porta alle spalle e mi rivolsi ad Harsnet. «Dunque ha imparato a recitare», dissi piano. «Forse anche da ragazzo doveva recitare per sembrare un uomo normale. Chissà se ha ucciso il padre; mi chiedo se non sia stato quando comprese che cosa desiderava veramente essere.» «Queste ipotesi non ci portano da nessuna parte», obiettò Harsnet. «No, avete ragione.» «E quel cavallo?» chiese lui. «Deve averne uno.» «Ci vede tanto da cavalcare?» «Incomincio a pensare che abbia esagerato molto quel suo disturbo agli occhi. Doveva essere in grado di andare a cavallo per raggiungere la casa di Goddard.» Mi volsi verso la scala. «Voglio dare un'altra occhiata alla sua Bibbia, a quei passi sottolineati: vedere se riesco a spremere un senso dai suoi scarabocchi.» «Salgo con voi.» Harsnet, però, aveva una mentalità troppo ristretta per darmi un aiuto concreto. «No, grazie, Gregory. Lavoro meglio da solo.» Risalii la scala. Era strano sedermi al tavolo di Cantrell, accanto al suo letto, nella stanza silenziosa salvo per i rumori che salivano dalla strada. Sedetti, mi presi la testa fra le mani e mi curvai sul libro. Come un avvocato che si sforza di entrare nella mente della controparte studiando il testo di una deposizione, cercai che cosa potesse vedervi Cantrell, quale nemico finale dovesse essere distrutto. La mia mente girava e rigirava le parole del breve capitolo. «Ti mostrerò il giudizio della grande prostituta [...] con la quale fornicarono i re della terra...» Fino a dove l'angelo disse che avrebbe spiegato il suo mistero ai santi: «E la fiera che era e non è, è essa stessa l'ottavo, ed è uno dei sette, e va in perdizione». Pensai che, dopo le sette coppe, la prossima vittima sarebbe stata l'ottava: simile alle altre sette, ma d'un genere in qualche modo diverso.

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La vittima più importante, perché, dopo il suo giudizio, incomincia finalmente l'Armageddon. Riflettevo furiosamente. La sua vittima era una donna? Sarebbe dovuta essere una donna, per rappresentare la Prostituta. Fornicazione con i re della Terra. Secondo Cantrell, doveva di sicuro trattarsi di una protestante colpevole di apostasia, come la povera signora Bunce, che s'era messa con l'ex monaco Lockley. Pensai: fornicazione, un re, l'ottava. Una donna che non aveva ancora abbandonato la vera religione, ma che certamente sarebbe sembrata farlo se avesse sposato un conservatore in materia religiosa. «La fiera che era e non è, è essa stessa l'ottavo.» Re Enrico VIII, che era stato lui stesso un riformista, ma non lo era più. Non il re, bensì una donna che sarebbe divenuta sua moglie. Mi alzai e guardai in cortile dalla finestra. La guardia ubriaca sedeva su un secchio capovolto. Ridiscesi al piano terreno. Mi posi di fronte ad Harsnet, sforzandomi di parlare con voce ferma. «Credo...» dissi, «credo che intenda uccidere Catherine Parr.» *** Capitolo quarantaquattro. Ero in piedi di fronte allo scrittoio coperto di carte dell'arcivescovo Cranmer. Il prelato mi fissava con intensità, e dietro gli occhi azzurri avvertivo la forza del suo intelletto potente. Intorno alla tavola c'erano entrambi i fratelli Seymour, anche loro con lo sguardo fisso su di me. Harsnet e io avevamo appena terminato di riferire sulla nostra visita a casa di Cantrell. Eravamo andati immediatamente a Lambeth Palace, e i Seymour erano stati convocati per una riunione. «Allora pare proprio che l'assassino sia Cantrell», disse pacatamente Cranmer. «Avete lasciato degli uomini a casa sua?» «I tre gendarmi», rispose Harsnet. «Sono nascosti in casa e nel ripostiglio nel cortile sul retro. Se torna, lo coglieranno di sorpresa e lo arresteranno.» «E se non torna?» chiese Lord Hertford. Come sempre, andava dritto al nocciolo della questione. «E se è già fin d'ora sulle tracce della sua ottava vittima?» «Dobbiamo subito mandare una squadra di uomini a casa di Catherine Parr», disse Sir Thomas. «Correre in suo aiuto, garantirle una protezione. Ho già degli uomini alla Charterhouse...»

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«No.» La voce di Cranmer era risoluta. «Che cosa penserebbe il re, se venisse a sapere che c'è una banda di uomini in casa di Catherine Parr? Santo Dio, se le succede qualcosa... I cortigiani arrestati stanno per essere rilasciati, dato che non ci sono prove contro di loro. E Bonner ha paura di fare altri arresti a Londra, incomincia a temere un'opposizione popolare. Questo pomeriggio sono stato dal re, che mi ha confermato la sua fiducia. Ma se adesso succede qualcosa a Catherine Parr, dopo che gli ho tenuto nascoste tante cose?» «Non possiamo essere certi che Shardlake sia nel giusto», disse Hertford. «Cantrell potrebbe avere immaginato un'infinità di fantasie sulla Grande Prostituta.» «Si», convenne Cranmer, «potrebbe anche. Io, però, conosco l'Apocalisse, e credo che Matthew abbia ragione. Manderemo a casa sua uomini della mia guardia, raccontando qualche fandonia sulla minaccia di un pericoloso fuorilegge di cui sono venuto a conoscenza.» Chiamò il segretario con decisione. Parlando rapidamente, con urgenza, gli disse di chiamare a raccolta una decina dei migliori uomini della guardia del palazzo, e nello stesso tempo di far venire il traghetto per trasportare quindici cavalli sull'altra sponda del fiume. Il segretario parve rimanere un attimo disorientato. «Una decina di uomini, vostra eccellenza? Ma questo lascerà praticamente sguarnito il palazzo.» «Che m'importa? Eseguite!» Era la prima volta che vedevo Cranmer perdere veramente le staffe. «Fate scegliere gli uomini dal sergente, poi andate voi stesso all'imbarcadero e organizzate il traghetto dei cavalli. Voglio le bestie migliori, pronte a muovere nel giro di venti minuti!» Lord Hertford si sporse a sfiorargli lievemente una spalla. L'arcivescovo annuì, proseguendo con maggior calma: «La cosa più importante: voglio che un corriere veloce venga subito spedito da Lady Latimer, in Charterhouse Square. Deve dire che una banda di briganti intende assalire la sua casa. Il maggiordomo deve sbarrare tutte le porte e finestre, e tenere al sicuro Lady Catherine fino all'arrivo della mia guardia. Andate, presto!» Il segretario filò via. Cranmer si volse verso Harsnet. «Gregory, affido a voi il comando. Matthew, voi e Barak lo accompagnerete.» «Sì, vostra eccellenza.» Barak aspettava fuori. Avevo mandato un messaggio a casa prima di venire a Lambeth, ed era subito accorso. Aveva rintracciato Tamasin presso una delle amiche, ma lei s'era

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rifiutata di vederlo, e Barak era ancora tutto sottosopra per la collera e il rammarico. Sussultai per un'acuta fitta di dolore alla schiena. «Che c'è?» chiese Cranmer. «Mi sono bruciato, a casa di Goddard. Niente di grave.» Mi fissò con gravità. «Avete sofferto molto, Matthew, lo so. Spero che il maggiordomo di Lady Catherine abbia buon senso. Non è ancora finita», concluse. Ci avvolgemmo nei mantelli e ci affrettammo a scendere, poi attraversammo la Great Hall e uscimmo nei giardini del palazzo prendendo con noi Barak mentre passavamo. Era ormai sera; il sole calava dietro banchi di nuvole bianche, tingendole di rosa. Rabbrividii. «Dove sono quegli uomini?» chiese Harsnet con impazienza. «Li avrà radunati il sergente», rispose Barak. Harsnet si volse verso di me. «Siete in grado di andare a cavallo fino alla Charterhouse, Matthew? Con le vostre ustioni?» «Sono impegnato in quest'impresa fin da principio. Se questa è la fine, voglio essere presente.» S'udì un fragore di zoccoli e un tintinnio di finimenti, mentre una staffetta a cavallo usciva al galoppo dal palazzo. «Parte il messaggero», disse Barak. Un momento dopo una dozzina di uomini armati e muniti di elmi apparve dietro l'angolo dell'edificio, al comando di un sergente. Avevano rinunciato alle picche, tenendo le spade. Sembravano stupiti da quell'improvviso cambiamento delle consuetudini: erano abituati a fare la guardia all'area del palazzo, non ad agire nelle vie di Londra; avevano tuttavia l'aspetto di uomini robusti, e il sergente un'aria esperta. Era un uomo alto, sulla trentina, con il naso a becco e gli occhi penetranti. Si avvicinò ad Harsnet. «Mastro coroner?» «Sì.» «Sergente Keeble, signore.» «I vostri uomini sono pronti a partire?» «Sì, signore. Si va a Charterhouse Square, m'è stato detto.» «Sì. Venite, vi spiegherò mentre andiamo all'imbarcadero.» «Cantrell ha avuto un giorno intero a disposizione per penetrare in casa di Lady Parr», mi bisbigliò Barak. «E quanto ci scommettete che aveva già studiato attentamente il palazzo da prima?»

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«Senza dubbio Lady Catherine è ben protetta, data la sua attuale importanza.» Il segretario dell'arcivescovo aveva fatto il suo lavoro: quando giungemmo al fiume il traghetto ci attendeva e trovammo un gruppo di cavalli già pronti sulla sponda di Londra. Mentre galoppavamo di gran carriera alla volta della Charterhouse il crepuscolo scivolò nelle tenebre. Gli scossoni della cavalcata mi facevano ardere la schiena; la fangosa strada di campagna rendeva ancora più difficoltoso il tragitto. Nei campi ai lati della strada i bovini, spaventati, si allontanavano ondeggiando. Attraversammo al galoppo Smith field, entrando in Charterhouse Square. In un angolo c'era il Green Man, ora sprangato. Solcando l'erba dello spiazzo, ci fermammo davanti all'ingresso della Charterhouse. A breve distanza alcuni mendicanti indugiavano sulla soglia della vecchia cappella abbandonata. Rimasero dov'erano, a guardare: non si avvicinavano a un gruppo di uomini armati. Sir Thomas arrestò il suo cavallo. «Credo che in primo luogo dovremmo ispezionare la zona», disse. «Se facciamo irruzione e lui è qui nelle vicinanze, potrebbe fuggire. Stavolta lo voglio prendere», concluse dandomi un'occhiataccia, e spronò il cavallo verso il portale della Charterhouse. Il cancello era aperto e facemmo il nostro ingresso nel recinto dell'abbazia. Il maggiordomo di Sir Thomas, Russell, uscì dalla garitta dell'impianto idraulico. Seymour lo informò dell'accaduto. «Suggerisco di mandare tre o quattro uomini dell'arcivescovo a frugare la zona a piedi», disse Sir Thomas. «Se gironzola nei pressi, e mandiamo tutti nel cortile interno, potremmo allarmarlo, e se la filerebbe. Shardlake, Barak, per il momento rimanete fuori vista: vi conosce.» Ancora una volta la sua strategia era sensata. Tre degli uomini di Cranmer furono mandati in avanscoperta, mentre il resto di noi rimaneva in cortile. Un uomo con un camice macchiato uscì dalla garitta dell'impianto e si diresse verso di noi pulendosi le mani con uno straccio. «Ho fatto quello che potevo, Sir Thomas», disse. «Ho mandato un uomo a Islington Fields. Lassù i ruscelli sono straripati, è tutto un lago d'acqua. Il livello dietro le chiuse qui sotto è salito.» «Non possiamo lasciare le cose come stanno, mastro meccanico», disse Harsnet.

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«Se non pioverà più, a Islington l'acqua incomincerà a essere pian piano assorbita dal terreno e la pressione sulle chiuse diminuirà e fra qualche giorno potremo aprirle.» Sir Thomas grugnì: «Voglio andarmene da questo posto: e se qualcuno delle Aumentazioni dovesse fare una delle sue visite inaspettate e trovasse la Charterhouse piena di miei uomini, proprio dall'altro lato della strada rispetto a casa di Catherine Parr? Verrebbe riferito a Sir Richard Rich e lui lo direbbe al re. Andiamo, mastro meccanico, fatemi dare un'occhiata». Si diresse verso la garitta dell'impianto, seguito dal meccanico e da Russell. Sorrisi sardonico ad Harsnet. «Sir Thomas insegnerà il suo mestiere all'esperto», dissi. Il coroner sospirò: «Ha ragione: non vogliamo che Rich scopra qualcosa fuori posto e che venga a sapere che le chiuse erano rimaste bloccate dal corpo di uno sguattero crocifisso». «No.» Guardai verso la garitta, nella quale la luce di una candela rischiarava la porta semiaperta. «Già in precedenza mi sono trovato contro Rich. Farebbe qualunque cosa per la carriera. Come la maggior parte di quelli che stanno a corte.» «L'arcivescovo perlomeno è diverso», disse Harsnet. «E un uomo di saldi principi, un uomo buono. La speranza di noi tutti che auspichiamo di vedere salva la Riforma.» Lo osservai incuriosito. «Eppure crede che Iddio abbia scelto il re per essere il Suo rappresentante sulla Terra. La vostra scuola di pensiero, invece, non ammette intermediari fra l'uomo e Dio.» «Lui è tutto ciò che abbiamo. E Lord Hertford, naturalmente.» Harsnet sorrise fra sé e sé. «Se un giorno Lord Hertford venisse mai a governare questo Paese... ma per ora l'arcivescovo è la nostra guida e il nostro sostegno. Farei qualunque cosa per proteggerlo, qualunque», disse con enfasi e fierezza. Ci voltammo udendo un rumore di passi che si avvicinavano. Erano i tre uomini dell'arcivescovo di ritorno. Andarono alla garitta, e dopo un attimo Sir Thomas e Russell ne emersero, dirigendosi verso di noi. «Mastro Shardlake», disse Sir Thomas, «avete detto che il cavallo di Cantrell ha una caratteristica macchia bianca sul muso, a forma di triangolo.» «Sì, così ha detto quella vecchia. Per il resto è tutto marrone.» «C'è un cavallo che risponde alla descrizione legato nel piazzale dietro le case. Nessuna traccia del proprietario.»

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Harsnet trasse un lungo, fremente sospiro. «Dunque avevate ragione», disse. «Sono spiacente di avere dubitato di voi.» Si volse verso Sir Thomas. «Dobbiamo radunare gli uomini dell'arcivescovo. Non è più tempo di camuffamenti. Bisogna andare subito a casa di Catherine Parr.» «Li guiderò io», disse Sir Thomas. «Non credo che sia saggio, signore», ribatté Harsnet. «Voi qui non dovreste essere visto.» «Il coroner ha ragione, signore», disse calmo Russell. Sir Thomas esitò, poi annuì, gettando uno sguardo minaccioso su Harsnet e me. «Sarà meglio che non combiniate guai», disse freddamente. «Se succede qualcosa a Lady Catherine, farò in modo che paghiate con la testa.» Girò sui tacchi e se ne andò a grandi passi. «Maledetto», bofonchiò Barak quando fu fuori portata d'orecchio. «E solo una spacconata, signori», disse senza scomporsi Russell. «Non può fare niente senza il permesso del fratello.» Attraversammo rapidi lo spiazzo alberato, sbucando di fronte alle grandi case sul lato orientale. La dimora di Lord Latimer era imponente, a tre piani, separata dalla strada da un parco privato. Parecchie delle ampie finestre dai vetri a losanga erano illuminate. Quando ci inoltrammo sul vialetto coperto di ghiaia la porta d'ingresso si aprì e ne uscì un uomo con una lanterna, che si avvicinò ad Harsnet. Era di mezz'età, portava la barba e aveva l'aria apprensiva. Recava lo stemma di Lord Latimer, uno scudo grigio con una croce di sant'Andrea rossa, cucito in rilievo sul farsetto. «Mastro coroner?» chiese. «Sì. Tutto tranquillo?» Annuì. «Abbiamo frugato la casa, non c'è nessuno. Abbiamo detto a Lady Catherine che c'erano in giro dei banditi, per cercare di farla rimanere nella sua stanza, ma vuole essere lei a comandare.» «Non sa con chi ha a che fare», dissi. «È qui attorno, da qualche parte: lo sento», mormorò Barak. Scrutò nella fitta ombra proiettata dalla casa: a ridosso del muro interno c'erano alberi e cespugli, che offrivano a Cantrell abbondante spazio per nascondersi. «Che intendete dire?» Il maggiordomo mi guardò sconcertato. «Pensavo che si trattasse di briganti.»

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«Cerchiamo un uomo solo.» Harsnet fissò l'uomo negli occhi. «Un assassino, un pazzo. Occorre dire a Lady Catherine che è in pericolo sul serio.» Il maggiordomo sgranò gli occhi. «Quanti ingressi ha questa casa?» «Due: questo e quello di servizio, sul retro.» «Oggi ci sono stati dei visitatori?» chiesi. «Un messo da parte del re, venuto con un biglietto per Lady Catherine.» Il maggiordomo esitò. «Da allora è piuttosto in agitazione.» «Dove si trova?» chiese con calma Harsnet. «Nelle sue stanze, al primo piano.» «Bene», disse. «Adesso andate a dirle che deve rimanere qui. Due di voi, seguitelo, montate di guardia.» Due uomini si unirono al maggiordomo, entrando in casa di corsa; Harsnet si rivolse agli altri: «Voglio sei uomini a pattugliare l'esterno. Tutti gli altri, dentro con me». Mentre gli uomini si mettevano in movimento dovetti ammirare la sua capacità di comando, la sua risolutezza. Condusse in casa i rimanenti quattro, nonché Barak e me. Entrammo in un ingresso spazioso, dalle pareti coperte di pregiati arazzi raffiguranti divinità greche e romane in paesaggi frondosi. Di fronte a noi un'ampia scala conduceva al piano superiore, con ai piedi lo stemma dei Latimer sorretto da due leoni di legno dipinti a colori vivaci. Sul salone si affacciavano numerose porte; una, in fondo, era aperta, con un paio di paggi spaventati che sbirciavano. «Tornate dentro», ordinò Harsnet, e quelli si affrettarono a scomparire. Alzammo gli occhi quando i passi del maggiordomo risuonarono giù per la scala; fui lieto di notare che adesso appariva più tranquillo, con un'aria risoluta. «Lady Catherine ha detto che rimarrà nelle sue stanze, ma vorrebbe vedervi, mastro coroner.» Harsnet respirò a fondo. «Molto bene.» «Che cosa le direte?» chiesi. «Che ci è stato segnalato un assassino, niente di più.» Si rivolse al maggiordomo. «Accertatevi che tutti i domestici siano presenti.» L'uomo annuì, scomparendo in direzione dei quartieri della servitù. Harsnet trasse di nuovo un profondo respiro e salì la scala. Barak e io fummo lasciati in compagnia dei rimanenti quattro uomini, che giocherellavano a disagio con l'elsa delle spade.

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«Allora è vero, signore», chiese uno, «che c'è un pazzo che perseguita Lady Catherine?» «Sembra di sì.» Qualche minuto dopo Harsnet fece ritorno, scuro in volto. «Lady Catherine rimarrà nelle sue stanze.» disse calmo. «E una signora come si deve, mi ha ricevuto con la massima cortesia e tranquillità. Però ho capito che aveva paura.» La porta del quartiere della servitù si aprì e ricomparve il maggiordomo. «Tutti i servitori sono presenti, signore. Sono tutti in cucina, tranne le cameriere di Lady Catherine, che si trovano con lei. Abbiamo detto che ci sono dei briganti. Sono spaventati, signore.» «Oggi vi sono state consegnate delle forniture?» gli chiese Barak. «Quasi ogni giorno vengono dei fornitori. Lo saprà il cuoco.» «Allora lasciate che lo interroghiamo», disse Harsnet. «Buona idea, mastro Barak. Voi restate qui», disse, rivolto alle guardie. Poi guardò il maggiordomo. «Andate dalla vostra padrona: dovrete restare con lei.» Entrammo nei locali di servizio, seguendo un corridoio lastricato di pietra che conduceva a una vasta cucina. Mezzo cervo arrostiva sul fuoco, mentre uno sguattero faceva girare lo spiedo e un altro lo cospargeva di condimenti. Un nutrito gruppo di domestici dall'aria spaventata sedeva intorno a un grosso tavolo. «Chi è il cuoco?» chiese Harsnet. Un uomo grasso, con un grembiule macchiato, fece un passo avanti. «Sono io, signore: mastro Greaves.» «Quali forniture avete ricevuto oggi?» Il cuoco accennò allo spiedo. «George e Sam hanno portato quel cervo da Smithfield. E stamattina è venuto il carbonaio con un nuovo carico, che abbiamo messo in cantina.» «Chi vi porta il carbone?» chiesi. «Un uomo di Smithfield, padron Roberts. È nostro fornitore da anni.» Il ragazzotto lentigginoso che faceva girare lo spiedo alzò gli occhi. «Questa settimana ha mandato il suo nuovo garzone», azzardò. «E anche la settimana scorsa. L'ho fatto entrare io.» Scambiai uno sguardo con Barak. «Che aspetto ha?» chiesi al ragazzo. «Proprio in faccia non l'ho visto, signore, tant'era nero di polvere di carbone. Sembrava che ci si fosse rotolato dentro.» «Era alto o basso?»

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«Alto, signore, e magro. Ha portato giù il carbone in cantina, come al solito. Gli avevo detto dov'era la settimana scorsa.» «Lo hai visto uscire?» Il ragazzo scosse la testa. «Mastro Greaves mi aveva mandato in dispensa a pelare le rape.» Il cuoco aveva un'espressione preoccupata. «Mica posso stare qui a ricevere io tutti i fornitori...» «Nessuno ha visto uscire il garzone del carbonaio?» Intorno al tavolo le teste accennarono di no. Il cuoco rimproverò il ragazzo: «Dovevi andare in cantina con lui, James: in questa casa ci sono cose di valore...» «Portateci in cantina», lo interruppe Harsnet; poi, rivolgendosi a me, chiese: «Potrebbe essere lui?» «Dalla descrizione, sì.» «Ma come potrebbe essersi impadronito del carbone...» «Spiando le consegne a questa casa e regolandosi con padron Roberts come s'è regolato con quel procuratore», risposi cupamente. Poi mi volsi verso il cuoco. «Su, presto.» «Vado a chiamare gli uomini.» Il cuoco fece strada nel corridoio esterno, arrestandosi davanti a una botola di legno munita d'un anello di ferro. Harsnet andò a prendere gli uomini che aveva lasciato nell'atrio, e ritornò. «Che c'è esattamente lì sotto?» domandò. «Bottiglie di vino e barili di verdura, e carbone. E c'è un'altra botola, che conduce alle fognature.» «Parte del sistema fognario della Charterhouse?» «Sì, signore. Siamo l'ultima casa del sistema e, dopo essere passata per i nostri scarichi, l'acqua si vuota in un ruscello che scorre dietro la casa. Nella parete, all'uscita del condotto, c'è una grossa inferriata: da quella parte nessuno potrebbe entrare o uscire.» «Pensate che sia là sotto?» chiese Harsnet. «Ne dubito: sarebbe in trappola.» Annuii. «No, ho idea che, se si trova in casa, sarà nascosto in un punto che consenta una via di fuga.» «Dobbiamo frugare da cima a fondo» disse Harsnet. «Due di voi, a perquisire la casa; altri due, scendete e frugate cantina e fognatura.» «La fogna è asciutta», disse il cuoco. «C'è qualcosa che non funziona nell'impianto, alla Charterhouse.» «Lo so.»

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Furono portate delle torce, la botola venne aperta e gli uomini di Cranmer si calarono nella cantina. Intravidi un ampio locale pieno di barili, e un grosso mucchio di carbone. Gli uomini guardarono dietro i barili e sondarono il carbone con le spade, casomai qualcuno vi fosse nascosto sotto. Poi si volsero verso lo sportello. «E chiuso dall'esterno», disse uno. «Qui non può esserci nessuno.» «Guardate lo stesso.» Aprirono la botola: aria fredda e un puzzo fetido salirono fino a noi. «Andate giù», ordinò Harsnet. Vi discesero, e poco dopo udii i loro stivali rumoreggiare di nuovo sui pioli di ferro, mentre qualcuno gridava: «Nessuno!» Fece ritorno una delle guardie mandate da Harsnet a ispezionare la casa. «Qui non c'è nessuno, signore.» Harsnet e io ci squadrammo l'un l'altro. «Magari è uscito quando è arrivato il messaggero di Cranmer, ed è iniziata la ricerca», suggerì Barak. «Ha intuito che c'era qualcosa nell'aria.» Harsnet annuì gravemente. «Se è così, Lady Catherine dovrà essere attentamente protetta per qualche tempo. Voi quattro, tornate a frugare la casa, per favore: ogni angolo e ogni fessura.» Rientrammo nell'atrio. «Io torno a guardare nella fogna», disse Harsnet, lasciando Barak e me soli nell'ingresso. Barak si diresse verso la scala. «Dove andate?» gli chiesi. «Pensavo di unirmi alle ricerche.» Fece un sorriso amaro. «Per allontanare dalla mente altre cose.» «Vengo anch'io.» Salimmo l'ampia scalinata. Di sopra c'era un altro spazioso corridoio e di fronte a noi un paio di larghe porte semiaperte, con davanti due guardie. Una giovane donna bionda, con un elegante abito di velluto rosso, ci guardò nervosamente: doveva essere una delle dame di compagnia di Lady Catherine. Avvicinandoci, vidi un paio di porte interne aperte. Intravidi un letto dal ricco baldacchino e arazzi variopinti. Accanto al letto, Harsnet e il maggiordomo parlavano con una donna. Riconobbi l'alta, aggraziata persona e il volto singolare e un po' severo di Catherine Parr. Poi lei si voltò e mi guardò, mentre gli occhi scuri le si sbarravano per la paura: compresi che non si ricordava di me dal giorno in cui l'avevo veduta a

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Westminster, e pensava che quell'uomo dall'aspetto strano fosse l'assassino. «Non dovreste guardare dentro!» disse la cameriera, scandalizzata. «Io... Mi spiace», balbettai. «Non avevo intenzione di...» Mi sbatté la porta in faccia. Barak mi lanciò un'occhiata piena di compassione. «Non sapevate...» cominciò, ma fu interrotto da un improvviso grido dall'esterno della casa: «Al fuoco! Aiuto! Al fuoco!» *** Capitolo quarantacinque. arsnet si precipitò fuori dalle stanze di Lady Catherine. Per un istante mi fissò, poi corremmo entrambi alla finestra più vicina, attraverso la quale si vedeva il bagliore delle fiamme nell'oscurità. Gridò al maggiordomo di Lady Catherine, che esitava sulla soglia dell'appartamento, di rimanere con la padrona. Oltre il giardino bruciava un grosso gazebo estivo di legno, e il fumo si spandeva sull'erba in direzione della casa. Guardie e servitori correvano avanti e indietro con secchi d'acqua. Qualsiasi disciplina era svanita di fronte all'onnipresente terrore del fuoco. «Che sta facendo?» ansimò Harsnet. «Cerca di distrarci», risposi in fretta. «Chiamate il sergente, fate rientrare in casa quegli uomini!» Il coroner mi guardò per un attimo, poi si voltò e corse giù per la scala. Barak aprì una finestra, sporgendosi fuori. Il padiglione ardeva da cima a fondo, ma non c'era nulla da fare ed era abbastanza lontano dall'edificio perché le fiamme non si propagassero. Mentre guardavamo, Harsnet corse fuori, richiamando tutti indietro. Mi volsi verso le porte chiuse dell'appartamento di Lady Catherine. «Se cerca di allontanarci tutti da lei, ha fallito. Andiamo!» Scendemmo la scala a precipizio. Il movimento mi fece di nuovo dolere la schiena, e strinsi i denti per resistere alla sofferenza. Attraverso l'ingresso aperto vedemmo le guardie accorrere, mentre il sergente urlava di sorvegliare porte e finestre. Il tanfo acre del fumo riempiva la casa. «Questo è il caos», dissi. «Quando c'è fuoco c'è sempre panico, e Cantrell lo sa.» «E ancora fuori?» chiese Barak.

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«Potrebbe essere rientrato dopo avere appiccato il fuoco.» Barak non rispose. Mi voltai verso di lui: si portò un dito alle labbra, indicando la porta semiaperta di una stanza, alle nostre spalle. «Là dentro c'è una finestra aperta», sussurrò. «Sento una corrente d'aria.» Trasse la spada dal fodero e io feci altrettanto con il pugnale. Barak fece un passo indietro, attese un istante e spalancò la porta con un calcio. Ci lanciammo all'interno. Ci trovammo in un ripostiglio, ingombro di sedie e tavoli e un cumulo di grossi cuscini ammonticchiati contro la parete. La stanza era vuota, ma una delle tre finestre che si affacciavano sul prato era semiaperta. Barak diede uno strattone alla porta, casomai dietro vi fosse qualcuno nascosto, ma non c'era altro che il muro vuoto. La richiuse, poi prese a frugare con la spada fra le sedie e i tavoli impilati. Io mi diressi alla finestra, tossendo nell'aria piena di fumo. Al lume della luna vidi il padiglione estivo crollare in un gran vortice di faville, e obbligare a un salto indietro i pochi uomini che si erano trattenuti sul prato. Ricordai il fumo in casa di Goddard, quel terribile impatto sulla mia schiena. Allora udii, alle mie spalle, un rumore metallico e un tonfo. Mi volsi di scatto. Barak giaceva sul pavimento con la fronte rossa di sangue, accanto alla spada. Su di lui, in mezzo alla pila, ora sparsa al suolo, dei cuscini sotto i quali era rimasto disteso incombeva Cantrell, in uno dei suoi logori camici. Stringeva in pugno il bastone che m'aveva mostrato a casa sua. Non portava occhiali e adesso capivo che cosa aveva voluto dire la vecchia a proposito dei suoi occhi: erano grossi, azzurro pallido, con una scura pesantezza che mai avevo visto prima negli occhi di un uomo. Era come se, mentre mi fissava, scorgesse qualcosa alle mie spalle, una visione divorante e terribile. Aveva esagerato la sua miopia per ingannarci e aveva recitato con abilità. Misi mano al pugnale, ma Cantrell fu più svelto: con un unico, fluido movimento si chinò, raccolse la spada di Barak e me la puntò alla gola. La sua goffaggine era stata un'altra finzione. Guardai freneticamente Barak, ma era privo di sensi, o peggio. «L'ebreo non può aiutarvi.» La voce di Cantrell era bassa, colma di malvagio piacere, completamente diversa dal tono monotono di una volta. Gettò il bastone su un cuscino, impugnando con l'altra mano la

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spada di Barak e tenendomela alla gola, la punta acuminata che mi tormentava la pelle. «Adesso ti tengo», disse. «Dio ti ha messo nelle mie mani. Sapevo che dando fuoco al padiglione avrei fatto correre tutti come formiche!» sghignazzò con una risata infantile che mi fece rabbrividire fino alle ossa. «Catherine Parr è ben sorvegliata», dissi, tentando di controllare il respiro. Scosse la testa, ora serio. «Pensavo che credeste tutti che fosse finita con Goddard, l'ultima coppa versata. Ma certo il diavolo sa che Catherine Parr è la Grande Prostituta della profezia. Il diavolo ti ha detto la verità, no? Ora sarà ben protetta.» Aggrottò la fronte, apparendo per un attimo un bambino scontento; poi sorrise di nuovo. «Ma Dio mi ha concesso te, per eliminare un nemico e dare forza al mio braccio.» Guardò un attimo Barak, disteso al suolo, lo scosse con la punta del piede e sorrise della propria astuzia. Il viso di Barak era bianco, e io pregai che fosse ancora vivo. Udivo delle voci all'esterno, ma non osavo chiamare, perché Cantrell mi avrebbe tagliato la gola in un istante. «Inginocchiati», sibilò, allentando un poco la pressione della spada sulla gola. Esitai, poi m'inginocchiai sul pavimento di legno. Il movimento fece tendere la pelle ustionata della schiena, causandomi un dolore lancinante. Una scheggia mi si piantò nel ginocchio. Cantrell cavò qualcosa di tasca: una minuscola fiala di vetro, semipiena d'un liquido giallognolo. Sempre tenendomi la spada alla gola, la stappò e me la porse. «Bevi questo», disse. Guardai intimorito la fiala, sapendo che cos'era: lo specifico. Il preludio di Cantrell alla tortura e alla morte. «Non riuscirai mai a uscire da questa stanza», dissi. «L'intera casa è in allarme.» «Bevi! O taglio la gola prima a te, poi all'ebreo.» Mi premette la spada sulla gola, e avvertii un dolore acuto mentre il sangue mi gocciolava giù per il collo. «D'accordo!» Presi la fiala. Aveva odore di miele, poiché Cantrell aveva mescolato quella robaccia con il nettare. La guardai. Mi tremava la mano. Pensai: Se rifiuto e mi uccide adesso, perlomeno la mia morte sarà rapida. Ma sarebbe morto sicuramente anche Barak. Bevendo potevo sopravvivere un po' più a lungo, e l'istinto è sempre il più forte. Portai alla bocca la fiala. La gola parve restringersi e temetti di non

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riuscire a inghiottire, ma trangugiai una volta, e andò giù. Mi chiesi quanto tempo sarebbe occorso perché il narcotico facesse effetto: magari sarebbe entrato qualcuno, prima che ciò avvenisse. Tuttavia mi sentii subito strano, come se il mio corpo fosse divenuto enormemente pesante. Cercai di respirare, ma non ci riuscii; poi tutto scomparve. Mi svegliai nell'oscurità, con un puzzo di fogna che mi faceva boccheggiare, provocandomi conati di vomito. Mi sentivo tutto il corpo pesante e intorpidito. Una fitta di dolore mi trapassò la schiena. Mi resi conto di avere i polsi legati davanti, come pure le caviglie. Ero sorretto in posizione seduta, con il dorso contro un muro di mattoni e le gambe su un pavimento rozzo e scivoloso. Da un lato c'era una luce, verso la quale mi girai a fatica. Una lanterna con una grossa candela di cera mostrava il suolo cosparso di sporcizia di un basso e angusto cunicolo di mattoni. Cantrell sedeva accanto al lume a gambe incrociate e mi guardava con aria meditabonda; i suoi occhi scintillavano ogni volta che vi si specchiava la luce. La spada di Barak era posata al suo fianco. Mi accorsi che faceva un gran freddo, e tremavo: il movimento mi faceva pungere la piccola ferita al collo. «Sei sveglio?» mi chiese Cantrell, in tono casuale. «Dove siamo?» chiesi. Avevo la bocca terribilmente asciutta, e la voce mi usciva gracchiante. «Nella fogna. Sotto casa.» Mi guardai attorno. Nella muratura si aprivano nicchie lunghe e strette, che dovevano essere collegate con i gabinetti sovrastanti. Alle mie spalle, il cunicolo si perdeva nelle tenebre; in alto i miei occhi assuefatti al buio intravidero la forma di una grossa inferriata, e oltre uno spicchio di luna. Le spesse sbarre di ferro erano spezzate qua e là, con spuntoni metallici che sporgevano ad angoli bizzarri, ma lo spazio era appena sufficiente a farvi passare un braccio. Eravamo in trappola. Oltre l'inferriata udivo un rumore d'acqua corrente: doveva essere il ruscello in cui si svuotava la fognatura. «Ci siamo nascosti sotto i cuscini», disse Cantrell tranquillo, quasi facesse conversazione. Sorrise. «E entrata gente, ma hanno pensato che fossimo usciti dalla finestra. Erano tutti in preda al panico, senza pensare ad altro che a proteggere la Prostituta. Ti ho portato quaggiù quando la casa s'è fatta tranquilla.» «E Barak?» «È ancora nascosto sotto i cuscini. Lo troveranno.»

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«È morto?» «Non lo so. Non ha importanza.» «Perché sono ancora vivo?» azzardai, dopo qualche minuto di silenzio. Cantrell si corrucciò. «Non disturbarmi», ribatté irritato. «Mi distrai, dannazione.» Rimasi di nuovo zitto. La candela si consumava lentamente. Cantrell sedeva immerso in meditazione. Dopo un po' sospirò, poi si voltò di nuovo a fissarmi con il suo sguardo greve e senza pietà. «Tu hai intralciato il disegno di Dio», disse. «Non so che cosa fare. Non ho portato a termine la sequenza: per questo ho fallito.» «Non capisco.» Si portò le mani su entrambi i lati del viso. «Mi gira la testa. Ogni volta, da quando Iddio ha iniziato a parlarmi, mi ha inviato tanti messaggi, tanti pensieri.» Sospirò, con un lungo gemito. «Dio mi disse di fare la miccia lunga abbastanza da darti il tempo di fuggire, così avresti creduto che fosse stato Goddard a fare tutto, ma Goddard non era un apostata dalla vera religione, perciò le profezie non si adempirono... tu sei l'apostata della settima coppa da versare, e anche l'agente del demonio, tu devi morire in un grande terremoto.» Ora parlava in fretta, balbettando rivolto a se stesso più ancora che a me. «Perché le profezie debbono compiersi, perché debbo riuscire a uccidere la Grande Prostituta. Ora ci penserò.» Mi guardò. «Ma adesso non riesco a pensare come, e non posso farti uscire vivo di qui.» Mi puntò contro un dito ossuto. «Seppi che eri l'uomo del demonio quando venisti nel luogo dove avevo lasciato il dottor Gurney. Notai la tua schiena gobba, che è il segno di un'anima deforme. Scoprii che eri un apostata dalla vera Riforma. Avevi un'aria triste e sperduta. Te lo lessi in faccia quando ti vidi per la prima volta, sul fiume, e pensai: Sì, questo è l'aspetto di un uomo posseduto dal demonio.» Mi domandai, non senza rabbrividire, se avesse divagato in questo modo con Tupholme, o con la signora Bunce, mentre agonizzavano lentamente. Il brivido si trasformò in tremito, perché avevo freddo. Avevo avuto freddo per settimane, ma mai così. Cantrell pareva non accorgersi neppure di quanto facesse freddo. «Dovrò lasciarti vivo», disse. «Troverò più tardi qualche modo per ucciderti.» Provai un senso di sollievo. Dunque, perlomeno, non ci sarebbero state torture e morte lì sotto, a meno che nel suo cervello sconvolto qualcosa non gli suggerisse di ammazzarmi. Trasalii quando

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Cantrell si frugò in tasca, tirandone fuori un paio di lunghe pinze strette. Le sollevò con un sorriso. «Non credere che ti salvino. Non sanno che siamo quaggiù. Dopo che ti ho trascinato qua sotto ho usato queste per tirare di nuovo il chiavistello dal basso. C'era giusto lo spazio sufficiente, la botola lascia una fessura. La studiai quando venni qua la settimana scorsa, la prima volta che mi finsi il garzone del carbonaio.» Si guardò una mano, alla quale era rimasto appiccicato un po' di sudiciume del pavimento. Se la pulì sulla tunica, torcendo il naso. «Che posto schifoso.» Mi diede un'occhiata che mi gelò fino al midollo. «E colpa tua se sono bloccato qua sotto.» Rimase zitto per qualche momento, con la fronte corrugata dalla concentrazione. Era pazzo, lo sapevo bene. Nella sua ossessione c'era qualcosa che mi rammentava Adam Kite nel suo momento peggiore, ma anche qualcosa di molto diverso, qualcosa di selvaggio, di feroce, che non riuscivo a comprendere. Sapevo che da un momento all'altro sarebbe stato capace di saltarmi addosso e uccidermi; rimaneva invece tranquillo e pensieroso. Dopo un po' improvvisamente disse: «Goddard mi trattava male. Quella sua linguaccia. Ma se ne pentì, quando gli piantai dei chiodi nella mascella prima di narcotizzarlo». Sorrise. «Che faccia sbalordita aveva quando si svegliò, dopo che avevo fatto irruzione in casa sua e l'avevo stordito. Un altro che credeva che fossi uno stupido. Ha imparato che non era così.» La schiena mi bruciava e le corde mi irritavano polsi e caviglie mentre stavo ad ascoltarlo. Adesso parlava senza neppure guardarmi. «Quando chiusero il monastero e mi misero fuori, nel secolo, mi diede di volta il cervello. Smarrito come una barchetta in una gran tempesta. Eppure, tutto era volontà di Dio. E venne il giorno in cui udii la Sua voce, e seppi che era Lui, che mi aveva prescelto.» Allora mi guardò con un sorriso luminoso. Parve per la prima volta accorgersi di quanto fossi scomodo, e piegò un poco il capo. «Hai male?» chiese. «Ti duole la schiena?» «Sì.» «Pensa come sarà all'inferno. Sono già tutti là, il tuo amico Elliard e gli altri. Magari il diavolo deciderà di farti lavorare per sempre con il piccone tra le fiamme, a spaccare pietre, con la tua schiena storta a procurarti sofferenze atroci. Per tutta l'eternità», sorrise. «Per purificare i nemici del Signore.» Credetti di avere udito un rumore su nel cunicolo. Tesi l'orecchio. Se fossero arrivati in silenzio e l'avessero colto di sorpresa potevo essere

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salvato. Ma non era nulla. Il silenzio che seguì parve durare un'eternità, rotto soltanto dalle parole sconnesse del pazzo che avevo di fronte. «Il procuratore Felday disse che conoscevi Elliard», continuò infine Cantrell. «Sì, era mio amico.» Tirai un profondo respiro. «Fu allora che decisi che ti avrei trovato.» «No, no. Fu il diavolo.» Cantrell scosse la testa con forza, poi balzò improvvisamente in piedi, afferrando la spada. «Non m'inganni!» S'inginocchiò davanti a me, e ancora una volta la lama mi sfiorò la gola. «Confessa la verità», pretese. «Di' che sei posseduto dal demonio. Di' che è in te.» Allora lo udii, in lontananza: un sordo rumore metallico. Un cigolio. Un sordo scroscio. Compresi e il cuore mi venne meno: alla Charterhouse stavano aprendo le chiuse. Sapevano, o sospettavano, che fossimo lì sotto, e ci avrebbero affogati come topi. Ricordai che Harsnet aveva detto che avrebbe fatto qualunque cosa, pur di proteggere l'arcivescovo. «Confessa che il demonio è dentro di te.» Ora il volto di Cantrell era colmo d'ira. Io non sapevo che dire: ammettere l'accusa oppure negarla l'avrebbe indotto a uccidermi più facilmente? «Non riesco a pensare», risposi. «Sono confuso...» Riflettevo febbrilmente: se all'arrivo dell'acqua fossi riuscito a raggiungere la nicchia più vicina, a cacciarmici dentro... «Il demonio lotta dentro di te. Avanti, confessa. Te lo ordino, nel nome di Gesù!» Torse la punta della spada, aprendomi una nuova ferita nel collo. Poi arrivò impetuoso un soffio d'aria fredda, insieme con un rombo assordante. Cantrell girò su se stesso. Al lume della candela vidi un muro d'acqua e spuma riempire per intero il cunicolo, precipitando verso di noi. Mi lanciai di lato, nella nicchia. Cantrell non ebbe il tempo di emettere alcun suono e la corrente lo portò via facendolo roteare. Lo vidi sfrecciare a braccia aperte, come se volasse. Fu la violenza stessa dell'acqua a salvarmi: m'ero rotolato nella nicchia quanto bastava perché il risucchio mi sbattesse contro l'estremità più lontana. Mi contorsi nell'irrompere dell'acqua, premendo contemporaneamente i piedi legati contro una parete laterale e la schiena contro quella dirimpetto. Il dolore era lancinante, ma sapevo che non dovevo farmi portare via, altrimenti la corrente avrebbe

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spazzato anche me. L'acqua mi vorticava attorno, mi tirava gli abiti, quasi strappandomi dal mio riparo. Mi tremavano le gambe, la gobba sfregava dolorosamente contro i mattoni, la pelle bruciata si lacerava; ma tenni duro. L'acqua mi salì impetuosa fin sopra il collo e la faccia. I capelli mi si rizzarono quando qualcosa di sconosciuto e puzzolente mi sfiorò il naso. Mi bruciavano i polmoni, mi sentivo girare la testa. E questa la fine? pensai. Termina dunque tutto così? Una potente sensazione di risucchio per poco non mi strappò un'altra volta dal rifugio: era l'abbassarsi dell'acqua. La mia testa fu d'un tratto libera, e respirai una gran boccata d'aria. L'acqua mi si abbassò turbinando fino al petto, poi fuggì via, allontanandosi con un ultimo scroscio rombante. Non rimase che il suono d'uno stillicidio, mentre grosse gocce grondavano dal soffitto. Mi lasciai cadere al suolo, con un grido di agonia quando atterrai su una spalla, battendola violentemente. Ero tutto un dolore, tremavo di freddo, e mi sentivo bagnato e puzzolente. E avevo ancora mani e piedi legati. Mi rotolai fuori dalla nicchia nel cunicolo. E pensai che, se ero sopravvissuto, poteva essere rimasto vivo anche Cantrell. Un fioco riflesso che filtrava dalla griglia stillante rischiarava l'oscurità. Era l'alba: dovevamo essere rimasti lì tutta la notte. Mi guardai freneticamente attorno; dov'era Cantrell? Poi il cuore mi balzò in gola, quando lo vidi. Era appoggiato alla griglia, davanti a me. Gemetti. Ero troppo debole per lottare ancora, addirittura per pensare. Cantrell, però, rimase immobile. Aguzzai lo sguardo nel buio, cercando di scoprire se respirava. Una volta o due, nell'interminabile momento che seguì, parve muoversi. Udii quindi delle grida oltre l'inferriata e vidi muoversi dei lumi; molti uomini saltarono nel fosso davanti alla griglia, sguazzando nel rigagnolo. Sollevarono le torce, con esclamazioni di sorpresa quando videro lì seduto Cantrell, che dava loro le spalle. Al lume delle fiaccole, però, ora vedevo che era impalato, con uno degli spuntoni metallici conficcato attraverso il cranio e la faccia imbrattata di sangue e di cervello. Doveva esserci finito contro per la violenza dell'acqua. Aveva gli occhi aperti e appariva attonito e infuriato: nei suoi ultimi istanti doveva essersi reso conto del proprio fallimento. Una guardia si chinò sull'inferriata, con una chiave in mano. Non fu facile aprirla.

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«L'avvocato è qui!» gridò. «È vivo!» Una nuova figura si chinò per entrare nel cunicolo. Harsnet avanzò fino a me, illuminandomi il viso con la torcia. Incontrai il suo sguardo. «Barak è vivo?» gracchiai. «Sì.» «Potevate farmi annegare.» Ne sembrava rattristato, ma privo di imbarazzo. Il suo viso rimase impassibile. «Avevamo intuito che eravate qua sotto.» Harsnet parlava con lentezza, con il suo forte accento occidentale. «Sul chiavistello della botola erano rimaste delle tracce e ci siamo domandati se fosse riuscito a richiuderlo da sotto. Temevo che, con i poteri che aveva, sarebbe potuto fuggire attraverso questi cunicoli, anche se gli avessi mandato dietro una decina di uomini. Era l'unico modo per essere sicuri che morisse, l'unico modo. Sono veramente desolato, Matthew.» *** Capitolo quarantasei. Tre giorni dopo a casa mia giunse un visitatore inatteso. Ero ancora a letto, a riprendermi dalla dura prova, quando arrivò una Joan tutta agitata, annunciando che c'era Lord Hertford in persona. Le dissi di farlo entrare. Sapevo che avrei dovuto fare uno sforzo per alzarmi e riceverlo in salotto, ma ero troppo debole. Lord Hertford indossava un abito sobrio, foderato di pelliccia, con sotto un farsetto grigio. Ancora una volta pensai quanto fosse diverso dal suo sfrontato fratello; all'inizio mi aveva dato l'impressione di un uomo mortalmente serio, ma adesso pareva rilassato, e prima di sedersi su una poltrona accanto al letto mi rivolse un sorriso amichevole. Mi dissi: Oggi è il politico. «Sono dolente di ricevervi qui», esordii. Lui alzò una mano. «Mi ha rattristato apprendere che cosa avete dovuto subire in quella fogna, e prima ancora a casa di Goddard. Non saremmo mai riusciti a prendere Cantrell, se non vi foste accorto che l'uccisione di Goddard aveva lo scopo di sviarci. A quest'ora Catherine Parr sarebbe morta.» Sospirai: «Mi spiace che non si sia riusciti a catturarlo prima. Nove persone assassinate, compresi il procuratore legale e l'innocente carbonaio che abbiamo trovato morto».

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«Lady Catherine sa che l'avete salvata», disse calmo Lord Hertford. «Lo sa, e ve ne è grata.» «Le avete detto di Cantrell?» «Non l'intera storia, solo che c'era un assassino a piede libero e che voleva ucciderla. Harsnet dovette dirglielo per farla restare nel suo appartamento. Quella notte vi ha veduto per un attimo, sapete, e ha creduto che foste voi l'assassino.» «L'ho immaginato.» «Le ho detto che l'avevate salvata. Sarebbe lieta di ricevervi per ringraziarvi: è una signora che conserva a lungo il ricordo dei benefici.» «Ne sono onorato.» Certo che lo ero, ma nello stesso tempo m'impensieriva che adesso qualcun altro, ai più alti fastigi di corte, sapesse della mia esistenza. Guardai nuovamente Lord Hertford: sorrideva sereno. «Non so quando riuscirà a invitarvi. In questi mesi riceverà lei per prima molti inviti, dato che alla fine ha acconsentito a sposare il re.» «Davvero?» «Ha accettato la volontà di Dio.» «Quando avverrà la cerimonia?» chiesi. «Non prima di quest'estate. Il re ha intenzione di farsi sposare dal vescovo Gardiner.» Scoppiò in una risata. «Che rabbia gli farà, sposare il re con una riformista.» «Ma perché il re la sposa?» non potei fare a meno di domandare. «Quando le sue simpatie si orientano sempre più decisamente in senso contrario alla Riforma?» «Da qualche tempo lei lo attrae, dalla morte del marito a voler essere precisi. E lui è vecchio, malato e solo.» Non potei trattenere una domanda: «Le sue seste nozze. Pensate che lei gli soprawiverà?» «Sarà secondo il volere d'Iddio. Ora la famiglia Parr può aspirare ad alte cariche di corte. Sono tutti riformisti e il vescovo Cranmer non è più a rischio.» «Sul serio?» Finalmente ero lieto di apprenderlo. «Sì. Il re si è convinto che le accuse di Gardiner contro i membri del suo seguito erano infondate. Ha istituito una commissione d'inchiesta... nominandone a capo lo stesso arcivescovo Cranmer. Il complotto di Gardiner è sventato, e la campagna del vescovo Bonner contro i devoti di Londra ha parimenti scoperto ben poco che si possa definire eresia. Il

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popolo è soddisfatto. Dovranno stare attenti per un po' di tempo, ma la marea ha ricominciato a volgere in loro favore.» «E l'arciprete Benson?» «È di nuovo al suo posto, dopo che l'arcivescovo gli ha detto di tenere la bocca ben chiusa.» «Se avesse impedito a Lockley e Goddard di usare il narcotico per estrarre i denti ai poveri, si sarebbero salvate molte vite umane.» «Adesso non possiamo permetterci uno scandalo per questo. Pensate che cosa sarebbe potuto saltare fuori.» Per un attimo mi guardò fisso, giocherellando con la barba. «Avete dato prova del vostro valore, mastro Shardlake. Vi andrebbe di lavorare per me come un tempo per Lord Cromwell?» «Vi ringrazio, mio signore, ma tutto ciò che desidero è una vita tranquilla. Il mio lavoro alla Corte delle Suppliche. Cercare di fondare un ospedale per i poveri con le sottoscrizioni degli avvocati del Lincoln's Inn.» «Fra poco mio fratello Thomas lascerà l'Inghilterra, per assumere la sua carica di ambasciatore nei Paesi Bassi spagnoli. So che è stato sgarbato con voi. Me ne duole. Non dovrete più rivederlo.» «Posso sopportare gli scherni, ne ho uditi tanti nella mia vita. Non ha importanza.» Chinò il capo, annuendo. «Sono vivamente interessato anch'io a migliorare le condizioni dei poveri, che in questi ultimi anni sono state indubbiamente dure. Potrei essere in grado di favorire i vostri progetti: il mio appoggio sarebbe utile in molti modi, come potrebbero esserlo per me le vostre capacità.» «Mi spiace, mio signore, ma non sono tagliato per la vita pubblica, per le decisioni difficili che so che dovrei prendere.» Mi squadrò a lungo, con fermezza; poi annuì. «Bene», disse a bassa voce. «Da qualche tempo siete stato duramente impegnato, e vi occorre un periodo di riposo. Però riflettete su quanto vi ho detto.» «Il coroner Harsnet mi avrebbe affogato», dissi. «Credevo che mi facesse visita, ma non è venuto.» «Certo non decise alla leggera di aprire le chiuse.» «Non dubito che lo ritenesse volontà divina. Le case nella piazza sono state allagate?» «Alcune.»

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«Come faceva Harsnet a essere tanto sicuro che fossimo nel sotterraneo?» domandai incuriosito. «Il chiavistello della botola che conduceva nella fogna non era stato chiuso bene, a dispetto di ciò che credeva Cantrell, e capimmo che vi era disceso qualcuno. Ma, mastro Shardlake, se Harsnet e i suoi uomini vi avessero seguiti, Cantrell vi avrebbe senza dubbio ucciso prima di essere raggiunto.» «E una possibilità. Harsnet, però, doveva sapere che liberando quell'enorme flusso d'acqua avrebbe potuto ucciderci tutt'e due. Fu un puro e semplice caso se sono riuscito a rintanarmi in una nicchia, e che il livello dell'acqua sia calato prima che annegassi.» «Il coroner lo giudicò necessario.» «Mio signore, queste sono le cose necessarie che fanno quelli di Whitehall, perciò rimarrò un avvocato.» Si alzò rassegnato. Mi domandai se sarebbe tornato: era un uomo ambizioso, che stava creando una rete di uomini sotto il suo controllo. Magari anche un uomo di saldi principi, come lo era stato Cromwell. Ma Lord Hertford, per quanto grandi fossero le sue doti, non sarebbe mai stato un altro Cromwell, perché indulgeva a certe debolezze, come il suo affetto per il fratello. «Come sta quel vostro uomo, Barak?» «Bene. Ha preso una brutta botta, ma ha la testa dura.» «Prima di andarmene vorrei vederlo, per ringraziarlo anche da parte dell'arcivescovo.» Dissi a Joan di andare a chiamare Barak, il quale arrivò pallido, con gli occhi segnati da ombre scure. S'inchinò profondamente a Lord Hertford, il quale lo ringraziò per tutti i suoi sforzi. «Ho tentato di convincere il vostro padrone a lavorare per me», disse. «Ci sarebbe un posto anche per voi, come suo assistente. Vi garantirei una vita di emozioni. Vedete un po' se riuscite a persuaderlo voi.» Lord Hertford si alzò, inchinandosi profondamente ad ambedue, e uscì. Quando il rumore dei suoi passi si fu spento sulla scala, Barak si volse verso di me. «Persuadervi un accidente», disse. «Stavolta ci ho rimesso anche troppo.» «Lo so», risposi, con l'aria di chi la sa lunga. Al nostro ritorno dalla Charterhouse avevamo scoperto che gli effetti personali di Tamasin non c'erano più, e trovato un biglietto indirizzato a Barak. La vecchia amica dalla quale era andata a stare quando aveva

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lasciato casa mia aveva lavorato nella cucina privata dell'ex regina Catherine Howard. Tamasin lavorava con lei, collaborando alla confezione dei dolciumi preferiti della regina Catherine, quando Barak e io l'avevamo incontrata a York, due anni prima. Barak non aveva voluto mostrarmi il suo biglietto, ma mi aveva detto che a Tamasin era stato offerto il suo vecchio lavoro: ora che il re stava per sposare Catherine Parr, si stava organizzando la servitù per la nuova sovrana, e il ciambellano era in cerca di domestiche esperte. Tamasin aveva accettato l'impiego e la sistemazione a Whitehall che comportava. Diceva di sentire la necessità che lei e Barak rimanessero per un po' di tempo separati e gli chiedeva di non cercarla. Per Barak era stato un colpo al cuore, e c'era voluta una bella capacità di persuasione per impedirgli di correre a Whitehall. Aveva accettato di lasciar passare un certo periodo prima di mettersi in contatto con lei, però adesso che se n'era andata capiva di desiderare di averla con sé più di qualunque altra cosa al mondo. «Possiamo rimetterci presto al lavoro?» chiese. «Ho bisogno di qualcosa che mi tenga la mente occupata.» «Tra qualche giorno, Jack. Prima ci sono due persone che debbo vedere.» Alla fine della settimana ero di nuovo in piedi e in forma, quantunque tuttora rigido e dolorante. Mandai Barak a informare la Corte delle Suppliche che ero in grado di riprendere il mio lavoro a partire dal lunedì successivo, e lui rientrò con un fascio di nuove cause. Fu un piacere studiarle, assaporando la sensazione di essere tornato alla mia vecchia vita. Tuttavia la domenica prima di tornare al lavoro sellai Genesis e mi recai in città. Fu da Guy che andai per primo. Era il 22 di aprile, quattro settimane dal giorno in cui Roger era morto e tutto quell'orrore aveva avuto inizio. Attraversai Londra in una tranquilla, pacifica domenica di primavera; persino la tetra città appariva luminosa e linda, con i grigi e i marrone delle strade ravvivati dalle chiazze verdi degli alberi nei cimiteri delle chiese, dato che la combinazione fra temperatura tiepida e pioggia caduta di recente aveva prodotto ovunque un rapido rigoglio della vegetazione. Immaginavo che la domenica pomeriggio Guy sarebbe stato in casa, dopo essere andato in chiesa al mattino; magari studiava. Da dieci giorni non avevo sue notizie, benché quand'ero a letto gli avessi

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mandato un biglietto per comunicargli che l'assassino era stato scoperto ed era morto. Quando legai Genesis alla sbarra davanti alla bottega di Guy, avevo il cuore colmo di trepidazione: e se mi avesse respinto, dicendomi che la nostra lunga amicizia era finita? Giunto alla porta, mi meravigliai di trovarla socchiusa. Udii venire delle voci dal retro, voci che riconobbi. Entrai nella bottega senza fare rumore, spingendomi cautamente verso la porta interna, semiaperta. Vidi la copia del Vesalio di Guy, chiusa sul tavolo. La voce di Piers proveniente dal retrobottega era bassa, ma tagliente come una lama. «Vecchio bastardo nero, se quell'avvocato mi denuncia per furto potrei finire impiccato...» «Lui non...» «Come lo sai? E adesso sono ridotto a mendicare, a vivere in mezzo alla peggior feccia, a svignarmela alla vista di un gendarme...» «Nessuno ti dà la caccia, Piers.» La voce di Guy risuonava indicibilmente esausta. Quindi aggiunse: «Perché mi hai derubato?» «Perché non avrei dovuto? Gli apprendisti sono pagati una miseria e io mi ammazzavo di lavoro per te.» «Avresti dovuto chiedermi un aumento.» «Non avevo comunque voglia di restare con te. Mi sarei trovato un altro posto e i soldi m'avrebbero fatto comodo.» Rise sarcastico. «Ero stufo marcio del tuo patetico piagnucolare su come avrei dovuto avere più compassione per la gente.» Mi avvicinai pian piano alla porta interna, desiderando che Barak fosse con me. «Ho cercato di insegnarti un po' di senso morale», sentii dire Guy, con voce rotta. «A essere un uomo onesto.» «Mentre io facevo il lavoro sporco per te, pulivo la schifezza quando tu sezionavi cadaveri puzzolenti. E sapevo che ti sarebbe piaciuto aprire anche il mio, di corpo, magari il mio didietro...» «Mai...» Ora c'era disperazione nella voce di Guy. «Voglio dei soldi. Tutto quello che hai. Poi mi scriverai delle referenze, e me ne andrò su nel nord a cercarmi un altro impiego.» La risposta di Guy fu risoluta. «Ti darò il denaro, Piers; ma referenze, mai.» «E allora ti apro il cuore, per vedere se il tuo sangue è scuro come la tua faccia...»

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Trassi il pugnale dal fodero e spalancai la porta. «No, Piers», dissi in tono tranquillo. «Questo non lo farai.» Vidi Guy seduto su uno sgabello, con le spalle al muro. Piers gli puntava un lungo coltello al petto. Il volto del ragazzo, così spesso dolce e inespressivo, era paonazzo e contorto dall'ira. Era anche imbrattato di sudiciume delle strade: il bell'apprendista vestito con eleganza aveva adesso tutto un altro aspetto. Quando entrai sbarrò gli occhi per la paura, poi tornò a restringerli di nuovo nel momento in cui s'avvide che ero solo. «Oggi non ti sei portato dietro la guardia del corpo, gobbo?» chiese. «Sistemerò anche te e sarà un piacere.» «No. Se fai del male a Guy, giuro su Dio che di qua non uscirai vivo. Guy ha ragione, nessuno ti minaccia. Ha ripreso il denaro che gli avevi rubato e che io avevo trovato; non ci sono prove contro di te. Adesso fila, levati dai piedi e non tornare mai più. Ti garantisco che questa è la migliore offerta che ti verrà mai fatta da questo lato della tomba.» Mi sentivo pieno di una collera gelida. Dopo avere affrontato Cantrell, quello sgorbietto maligno mi sembrava un nonnulla. Il mio tono e il modo in cui lo fissavo in quei suoi occhi gelidi e privi di vita dovettero fare il loro effetto, perché Piers abbassò il coltello. «Allora allontanati dalla porta», disse. «Prima via il coltello.» Lui esitò, poi lo depose sul tavolo da lavoro di Guy. Mi scostai dalla soglia e lui mi sfilò accanto. Una volta nella bottega si chinò rapido, prese la copia del Vesalio e si precipitò fuori dalla porta. I suoi passi svanirono in strada. Guy si lasciò sfuggire un lungo respiro tremante. «Grazie», disse. «Non sono sicuro che m'avrebbe ucciso, non credo che ne avrebbe avuto il coraggio. Ma sono lieto che non sia stato messo alla prova. Ti ringrazio.» «S'è preso il tuo Vesalio.» «Sì, ne ricaverà un buon prezzo. Be', userò il denaro che mi ha rubato e che tu mi hai restituito, per comprarne un altro.» «Non ero sicuro di fare bene a venire», dissi. «Ma sono felicissimo di averlo fatto.» Guy annuì. Vidi che le sue mani brune, deposte in grembo, tremavano. «Piers è venuto a bussare un'ora fa», mormorò. «Quando aprii fece irruzione, poi tirò fuori il coltello e mi portò qui. Quando lavorava per me sorrideva sempre, era tranquillo, sottomesso. Oggi, invece, la sua

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faccia e la sua voce... quella freddezza, quell'ira.» Scosse il capo. «Mi dispiace di non averti cercato, Matthew, ma ero ancora in collera. Saresti dovuto venire prima da me: avrei accettato che Piers venisse interrogato, lo sai.» «Ne sono dolente.» Guy fece un fievole sorriso. «Be', credo che oggi tu abbia più che rimediato.» Sollevò una mano. «Prendi quello sgabello», disse. «Non mi sento abbastanza in forma per farlo io.» Quando mi fui accomodato, per un lungo momento Guy mi guardò in silenzio; poi chiese: «Cantrell è morto?» «Sì.» «Allora raccontami com'è finita, se te la senti.» Rimase ad ascoltare mentre gli narravo dell'assedio alla casa di Goddard, e la mia intuizione che l'assassino fosse Cantrell; e le ore disperate nelle fogne sotto la dimora di Catherine Parr. «Non avevo capito che avessi subito una prova così dura», disse piano, quando terminai. «E devi lasciare che dia un'occhiata alla tua schiena prima che te ne vada.» «Te ne sarei grato: mi fa ancora male. Che cos'era Cantrell, Guy? Ha ucciso sette persone per adempiere la profezia delle coppe dell'ira, e altre due strada facendo; forse anche suo padre. Penso a lui che ripara quel fregio in casa di Roger e Dorothy, magari solo con lei e cerca di comportarsi come un uomo normale: mi fa gelare il sangue. Sono rimasto molto tempo disteso nel letto a pensare e ripensare, ma non sono riuscito a capire perché ha fatto certe cose. Alla fine sembrava confuso, smarrito, fuori di sé... non il calcolatore che mi aspettavo. Ma non era posseduto dal demonio, credeva sinceramente di compiere la missione affidatagli da Dio.» «Non so che cosa fosse», rispose a bassa voce Guy. «Vorrei averlo saputo. Non lo so più di quanto sappia che cos'era Gilles de Rais, o Strodyr. Qualche violenta alterazione verificatasi nelle loro menti li rese più simili ad animali famelici che a esseri umani. Forse un giorno, studiando, riusciremo a comprendere gli angoli più oscuri della mente. O forse no.» Fece un amaro cenno del capo. «Ci troviamo nel bel mezzo di un aspro conflitto tra due religioni. Gli uomini sono trascinati agli estremi, all'empia arroganza di credere di essere i soli a capire i grandi misteri delle Sacre Scritture, per non parlare della mente di Dio. Gente del genere non è capace neppure di capire la propria, di mente, perché

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confonde il proprio bisogno di sicurezza o di potere con la voce di Dio che le parla. A meravigliarmi, piuttosto, è che non siano più numerosi coloro che impazziscono del tutto. Io tento, nella povertà dei miei mezzi, di seguire il cammino, di gran lunga più arduo, dell'umiltà, affrontando gli enigmi terribili della sofferenza e del male nel mondo creato da Dio, sempre in dubbio se, tramite la preghiera, si sia compresa la volontà divina, o la Sua voce, o addirittura la Sua presenza. Sì, credo che l'umiltà sia la più grande delle virtù umane.» Scossi la testa. «Temo di non avere più la fede. In quest'ultimo mese ho dovuto leggere e rileggere più volte il Libro dell'Apocalisse. Mi atterrisce: leggo quel messaggio barbaro e crudele, e ne provo disperazione.» «No», disse con fermezza Guy. «Non disperare, Matthew. Non permettere che l'Apocalisse getti la sua maledizione anche sulla tua vita. E adesso fammi dare uno sguardo alla tua povera schiena.» Lasciai la casa di Guy con una sensazione di pace: un appagamento fragile, ma comunque pace. Guy mi aveva spalmato unguenti freschi sulle ustioni, e anche la mia schiena andava meglio. Mi diressi così al Lincoln's Inn, dove ero stato invitato a fare visita a Dorothy. Anche a lei avevo mandato un messaggio mentre ero a letto ammalato, dicendole che Charles Cantrell era morto. Dorothy aveva risposto chiedendomi se poteva venire a trovarmi, ma io non desideravo che mi vedesse a letto sofferente, perciò la pregai di poter andare io da lei quando mi fossi ristabilito. Margaret aprì la porta, dandomi il benvenuto. «Il vostro ospite se n'è finalmente andato», dissi con un sorriso, poiché nel suo biglietto Dorothy aveva detto che Bealknap aveva levato l'incomodo. «Sì, il pomeriggio che veniste voi, e in fretta e furia. A malapena si fermò il tempo di ringraziare la padrona.» «Perché per Bealknap ringraziare chicchessia è come farsi cavare un dente. Sapete se ha mandato del denaro?» «No.» «Me lo aspettavo. Dovrò pensarci io.» Dorothy era in salotto. La prima cosa che notai fu che il fregio di legno era scomparso e la parete era vuota. Dorothy aveva abbandonato il lutto e indossava un abito grigio dal colletto alto, con graziosi bordini rossi al collo e alle maniche. Mi sorrise, poi si alzò e mi prese le mani.

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«Matthew», disse. «Ero preoccupata. Hai un'aria stanca, ma, grazie a Dio, non stai male come temevo.» «No, sono più forte di quanto crede la gente. Ti sei liberata del fregio?» «L'ho fatto bruciare nel cortile dietro la cucina. Sono rimasta a guardare le fiamme consumarlo. Il garzone del cuoco pensava che fossi ammattita, ma non me ne importava. L'aveva toccato quell'individuo: se non fosse stato per il fregio, non avrebbe mai messo piede qui, non avrebbe mai scelto Roger come vittima.» «No, è stata una terribile fatalità.» «Che cosa lo induceva a uccidere persone innocenti?» «Ne ho appena discusso con Guy, ma per entrambi resta un mistero. Forse è meglio che sia così: non è bene indagare troppo su certe cose.» «Eri sul posto quando è stato catturato?» domandò. «Sì, ma non chiedermi di più, Dorothy. È cosa che deve rimanere segreta.» «Ti sarò grata sino alla fine dei miei giorni per ciò che hai fatto», disse. «Volevo che l'assassino di Roger fosse catturato e punito, e tu lo hai fatto per me, e per lui, a un costo altissimo.» Mi lasciò andare le mani, stringendole davanti a sé. Intuii che aveva qualcosa di importante da dire. «Matthew», disse a bassa voce, «qualche tempo fa ti ho detto di non sapere quale sarebbe stato il mio futuro. Sono tuttora incerta; ho però deciso di andare a stare con Samuel a Bristol, almeno per un mese o due. Gli affari di Roger sono abbastanza ben sistemati, e ora che il suo assassino è morto ho bisogno di un po' di tempo per riflettere, di un po' di tranquillità. Parto martedì.» «Mi mancherai.» «Rimarrò via solo per qualche tempo», disse. «Tornerò a giugno e allora avrò deciso se rimanere a Bristol oppure tornare qui e affittare una casetta a Londra. Ora so di potermelo permettere. Bristol è piena di mercanti, e fra non molto Samuel diverrà uno di loro, e confesso di temere che, per quanto siano indubbiamente persone dabbene, potrei... annoiarmi un po'.» Sorrisi. «Non hanno lo spirito pronto e l'intelligenza acuta degli avvocati: lo sappiamo per certo.» «Precisamente», disse Dorothy. «E qui ho amici buoni e interessanti. Ora, Matthew, resta a cena e parlaci di cose gradevoli, dei vecchi tempi prima che il mondo impazzisse.»

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«Non desidero nulla di meglio», risposi. *** Epilogo. Luglio 1543, tre mesi dopo. Il re e Catherine Parr dovevano sposarsi quel giorno, e nelle strade più ampie di Londra erano stati accesi dei falò, con spiedi e maiali arrosto che più tardi sarebbero stati distribuiti dalle cucine reali a Whitehall. Mentre Barak e io percorrevamo a cavallo Cheapside, tentai di allontanare il ricordo di Yarington che bruciava vivo nella sua chiesa. I bambini correvano avanti e indietro, portando legna per i fuochi e schiamazzando eccitati per la festa imminente, le facce rosse nella calda giornata estiva. I mendicanti non sostavano più attorno a Cheapside Cross, cacciati via dai gendarmi perché non guastassero i festeggiamenti. Un mese prima Lady Catherine mi aveva invitato a casa sua in Charterhouse Square. Mi ricevette in un salotto fastoso, con arazzi alle pareti, mentre due dame di compagnia cucivano presso la finestra. Appariva molto diversa dall'ultima volta che l'avevo vista: adesso era abbigliata con magnificenza, indossava una veste di seta bruna ricamata a motivi floreali sulle ampie maniche scarlatte, una collana di rubini al collo e un copricapo francese ornato di perle sui capelli biondo-rossicci. Era alta, e bocca e mento erano troppo piccoli per essere graziosi; aveva tuttavia un aspetto maestoso e un atteggiamento cordiale nonostante la solennità della tenuta. Le feci un profondo inchino. «Le mie felicitazioni per il vostro fidanzamento, mia signora», dissi. Fece un lieve cenno di assenso e notai in lei un certo distacco, la calma di chi si controlla saldamente, di chi ora doveva controllarsi per recitare la parte che aveva accettato di rappresentare su quel grande e terribile palcoscenico che era la corte reale. «So che mi avete salvato la vita, mastro Shardlake», disse con la sua bella voce. «E che per farlo avete corso gravi rischi e avete sofferto ingenti privazioni.» «Ne sono stato lieto, mia signora.» Mi chiesi se Cantrell, qualora le fosse arrivato abbastanza vicino, si sarebbe accorto di quant'era diversa dalla personificazione delle sue dissennate fantasie. Ma no, pensai, non l'avrebbe fatto, non ne sarebbe stato capace.

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Lady Catherine sorrise, un sorriso pieno di calda gentilezza. «Lo so. Lord Hertford è venuto a trovarvi, per chiedervi di tornare nel mondo della politica. Mi ha riferito la vostra riluttanza. Ebbene, è una cosa che sono in grado di comprendere. Voglio che sappiate, mastro Shardlake, che da voi non pretenderò mai nulla, ma, se avrete bisogno di un'amica, o di un favore, o di qualunque cosa sia in mio potere accordare, non dovrete fare altro che chiedere.» In tutti gli anni in cui avevo frequentato gli ambienti ai margini della corte, nessuno prima mi aveva offerto un favore senza chiedermi qualcosa in cambio. «Grazie, mia signora», dissi. «Siete molto buona. Sarà una gioia serbare nel mio cuore le vostre parole.» Sorrise nuovamente, per quanto la sua snella persona sontuosamente abbigliata rimanesse rigida e immobile. «Vi osserverò da lontano, mastro Shardlake, non per chiedere i vostri servigi ma per offrirvi un aiuto, qualora ve ne fosse bisogno.» Tese una mano delicata, coperta di anelli; io mi chinai a baciarla. «Sei mogli ha avuto adesso il re.» Le parole di Barak mi richiamarono alla realtà dalle mie fantasticherie. «E noi, fra tutt'e due, non riusciamo ad averne nemmeno una.» «Non rinunciate a Tamasin», dissi. «Ho fiducia che ci siano ancora speranze.» «Io non ne vedo, ma continuerò a provarci», rispose Barak. Era andato parecchie volte alle cucine di Whitehall Palace, a chiedere a Tamasin di tornare, a supplicare che lo perdonasse. Lei lo aveva ricevuto ma non era tornata con lui, perlomeno non ancora, sebbene avesse promesso di mantenersi fedele ai voti coniugali, per quanto parecchi domestici e cortigiani le avessero manifestato il loro interesse. Mi domandavo se si comportasse così per far capire a Barak che era una donna rara, anche se irrequieta, una donna ben risoluta a mantenere ogni sua relazione nell'ambito della parità. Per quel che mi riguardava, la natura del mio disappunto era diversa, per quanto profonda. Dorothy non era più tornata a Londra. Qualche settimana prima mi aveva mandato una lettera - in cui spiegava di avere acquistato una casetta a Bristol vicino a quella del figlio e della fidanzata -, che si concludeva così: In quanto a noi, comprendo ciò che provavi per me, quegli antichi sentimenti che forse non erano mai venuti meno, e che dopo la morte di Roger avevano ripreso vita. Ti sei comportato in maniera splendida,

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Matthew, ed essendo ciò che sei non potevi fare diversamente; credo che la tua determinazione nel perseguire l'assassino di Roger fosse dedicata a lui, non meno che a me. Tuttavia ora so che non mi risposerò più, né dovrei: i vent'anni vissuti insieme da Roger e me prima che quell'essere malvagio lo portasse via furono allietati, lo so, da una felicità rara fra le coppie sposate. Qualunque altro matrimonio non sarebbe che una pallida ombra, e non sarebbe onesto nei confronti di nessuno. Perdonami, e vieni a trovarci. In realtà io non le avevo mai chiesto di sposarla, ma l'avrei fatto, e lei lo aveva intuito. Non sarei andato a Bristol, almeno non per un certo tempo: sarebbe stato troppo duro. Passammo oltre Bucklersbury, e pensai che Guy era sicuramente nella sua bottega. La nostra amicizia era ricominciata, anche se a volte avvertivo in lui una riservatezza nuova, e mi domandavo se si sarebbe ancora fidato interamente di me. «Nessun'altra nuova sottoscrizione per l'ospedale?» mi domandò Barak. «Qualcuna. Vorrei avere ottenuto più incoraggiamenti da parte del tesoriere Rowland. Non mi ha mai perdonato di essere stato brusco con lui, la volta che v'impedì di prendere Cantrell. Un bel problema. Se avesse mandato una circolare per incoraggiare i colleghi a sottoscrivere, avrebbero messo mano alla borsa, pur di mostrarsi ognuno più generoso dei fratelli.» Barak scosse il capo. «Allora i poveri continueranno a patire, perché un vecchio borioso s'è offeso per essere stato trattato sgarbatamente. Bah, è sempre andata così.» «Temo che abbiate ragione.» «Un giorno o l'altro i poveri prenderanno le cose in pugno», disse cupo; poi fece un sorriso beffardo. «Avete provato a chiedere soldi a Bealknap?» Alla domanda scoppiammo tutt'e due a ridere. Dopo il mio ritorno al Lincoln's Inn Bealknap mi aveva accuratamente evitato. Aveva riacquistato pienamente la salute, ed era tornato alle vecchie abitudini. Ovviamente non aveva dato un soldo a Dorothy, né aveva pagato la parcella di Guy per le cure che avevano salvato la sua vita meschina. Eppure un imbarazzo, forse persino un senso di colpa, lo aveva portato a evitarmi. Era ormai divenuta una battuta che circolava al Lincoln's Inn il fatto che Bealknap aveva il terrore di fratello Shardlake. Avrebbe

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potuto risolvere il problema in qualunque momento, venendo da me con un po' di soldi per le spese di Dorothy e Guy, ma Bealknap avrebbe sopportato qualsiasi umiliazione, si sarebbe esposto a qualunque pericolo, piuttosto che separarsi da un briciolo di quell'oro che custodiva inutilmente nel suo studio. Mi faceva pena. Passammo sotto il Bishopgate Bridge. «Be', eccoci», disse dubbioso Barak. Legammo i cavalli e bussai alla porta. Barak scrutava ansiosamente l'edificio in tutta la sua lunghezza, come se qualche pazzo potesse sbucare da una finestra e mettersi a urlare contro di lui, facendo sferragliare le catene. Oggi, però, il caseggiato pareva silenzioso. Il grosso custode Gebons aprì la porta con un inchino. Dopo il mio alterco con Shawms per avere chiuso fuori Ellen, Gebons sembrava nutrire un certo rispetto per me. «Padron Kite e sua moglie sono già arrivati?» chiesi. «Sì, signore, ci sono già. Sono tutti in parlatorio, insieme con Ellen.» «Allora andiamo. Questo è ciò che volevo che vedeste.» Feci strada fino al parlatorio. Qui oggi la scena sarebbe potuta essere quella di una qualsiasi casa pacifica: Adam e suo padre sedevano al tavolo a giocare a scacchi; accanto a loro, Minnie Kite aveva un'aria serena e riposata che quattro mesi prima non avrei creduto possibile. Ellen lavorava a maglia seduta accanto a lei, con un'espressione di orgoglio sul volto allungato e intelligente. Presso di lei anche la vecchia Cissy faceva la calza, benché a volte s'interrompesse per rimanere con lo sguardo fisso nel vuoto, in una tristezza disperata, a osservare qualcosa che non era in quella stanza. «Bravo, Adam», rise Minnie, battendo le mani quando il figlio allungò una mano e diede scacco matto al padre. Quando entrammo, i presenti si alzarono per accoglierci, ma accennai loro di rimanere seduti. «Ho portato il mio assistente a trovarti, Adam», dissi. «Forse lo ricorderai alle udienze in tribunale: mastro Barak. Mi ha aiutato a istruire la tua causa.» Barak s'inchinò. «Ho battuto mio padre a scacchi per la terza volta di seguito», disse Adam; quindi rimase per un attimo in silenzio. Guardò Ellen. «È peccato di superbia rallegrarsene?» «No, no, Adam. Quante volte ti ho detto che non è peccato provare piacere nei piccoli svaghi che Dio ci ha concesso in questo mondo così duro?»

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Adam annuì. Aveva ancora molta paura del peccato, ma, per la maggior parte del tempo, accettava che in ultima analisi essere salvi o dannati fosse soltanto nelle mani di Dio. I suoi genitori temevano che cosa poteva accadere se fosse uscito da Bedlam e avesse appreso della terribile sorte toccata a Yarington, la cui congregazione era stata incoraggiata a biasimare i cattolici fanatici. Guy tuttavia riteneva che Adam dovesse uscire presto, tornare nel mondo esterno, affrontare la realtà. I genitori conservavano opinioni religiose più radicali che mai, ma poiché amavano il figlio erano stati d'accordo con Guy che, a causa del suo fragile equilibrio mentale, l'argomento della religione doveva essere trattato con prudenza. Il vescovo Bonner aveva fatto involontariamente un favore alla famiglia Kite, con la sua persecuzione dei radicali in primavera: il reverendo Meaphon s'era trasferito a Norwich, lontano dai tumulti della capitale, e se n'era andato a maggio. Era stato nominato un nuovo vicario: un conformista senza grandi convinzioni, un uomo innocuo. Daniel Kite si alzò da tavola. «Su, figliolo, che ne dici di una passeggiata? Pensavo che oggi ci potremmo spingere fino a Bishopgate.» «Sì, d'accordo.» Adam si alzò. Si levò in piedi anche la madre, che infilò un braccio nel suo. Mi scostai dal tavolo. Adam si volse verso di me con un sorriso nervoso. «Mastro Shardlake, quando torneremo, mi parlerete ancora della professione di avvocato?» «Sì, con piacere.» Nelle ultime due visite Adam aveva manifestato un certo interesse per la sua posizione giuridica, esprimendo persino indignazione quando gli dissi che non poteva essere dimesso senza il consenso del Consiglio Privato. Eravamo lontani un mondo intero dai giorni in cui nulla aveva importanza per lui, tranne la sua disperata lotta con Dio. Adam guardò Barak alle mie spalle, arrossendo leggermente. «Ricordo di avervi visto in tribunale, signore», disse. «Sì, proprio così.» «Allora ero conciato male», disse tranquillo il ragazzo. «In effetti», sorrise Barak, anche se continuava a sentirsi un po' a disagio con Adam, come pure in quel luogo. Rimanemmo a guardare dalla soglia dell'ingresso aperto,

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mentre padre, madre e figlio attraversavano a passo lento il cortile, parlando a bassa voce; Ellen rimaneva un po' dietro di noi, impaurita di fare anche solo un passo troppo vicino al mondo esterno. «I genitori di Adam si prendono cura di lui», disse. «Non come quelle famiglie che abbandonano qui i loro parenti infermi.» C'era, nella sua voce, una nota di amarezza: la osservai e lei si costrinse a sorridere. Desideravo conoscere i particolari della sua storia, ma, oltre a ciò che mi aveva detto Shawms, non sapevo nulla; lei non ne parlava, e io non volevo essere indiscreto. «Quest'improvviso interesse di Adam per la legge è una novità», dissi. «È un ragazzo intelligente.» «Chissà, magari un giorno potrebbe diventare avvocato.» «Già. Gli darei il posto di Barak, e lo istruirei. Verrebbe anche a costare meno.» Ellen rise. «Questo si chiama sfruttamento», disse Barak; poi si volse verso di me. «Certo che ha un aspetto diverso dall'ultima volta che l'ho visto. Eppure c'è ancora qualcosa...» «Di fragile?» chiese Ellen. «Gli resta ancora un lungo cammino da fare, ma credo che lo porterà a termine... un giorno.» «Caro Barak», dissi io, «la pazzia è una malattia, e a volte, come le altre malattie, può essere curata.» Pensavo, ma non lo dissi, che Adam aveva sofferto al punto da poter avere delle ricadute, ma speravo che il terribile stato in cui l'avevo trovato la prima volta non si sarebbe più ripresentato. Sarebbe guarito completamente? Non lo sapevo. Barak fece un passo avanti, e si inchinò a Ellen. «Dovrei passare all'Old Barge, ho alcune cose da portare via, e certe cose di Tamasin da sistemare. Mi ha detto di portargliele nel suo nuovo alloggio. Meglio controllare di avere preso tutto.» «Ci vediamo domattina al Lincoln's Inn.» «Sì. Stanno spuntando un paio di casi complicati.» Compresi che era lieto di trovare una scusa per andarsene. Slegò Sukey e partì, salutando con il cappello i Kite quando passò loro accanto, all'ingresso. «Il vostro assistente trasloca?» chiese Ellen. «Sì, lui e sua moglie si sono separati. È una cosa triste e lui non può sopportare di rimanere nel loro vecchio alloggio. S'è preso una stanza

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vicino al Lincoln's Inn. Forse, con il tempo, torneranno insieme, perché il legame fra loro è ancora molto forte. Io lo spero.» «Le carte dell'istanza per la dimissione di Adam saranno presentate alla Corte delle Suppliche questa settimana?» domandò Ellen. «Sì, giovedì. Se il giudice approva la richiesta, verrà sottoposta al Consiglio Privato. Io credo che verrà concessa.» Sapevo che sarebbe stato così, perché me lo aveva scritto Cranmer, con la promessa di occuparsene. «È pronto per questo?» chiese Ellen. «Ci sono ancora volte che quando entro nella sua stanza lo trovo seduto, o peggio inginocchiato, sul pavimento. Volte in cui ha ancora paura di essere dannato.» «Guy giudica che per lui sia venuto il momento di essere dimesso, di affrontare il mondo a modo suo. Curato costantemente dai genitori, beninteso, e visitato con regolarità da Guy. Non è in grado di assicurare che Adam non abbia ricadute, ma confida che continui a fare progressi, e che il periodo in cui avrebbe potuto dare segni di squilibrio sia ormai passato. Mi auguro che abbia ragione», aggiunsi sottovoce. «Non lo rivedrò mai più», disse tristemente Ellen. Mi voltai a guardarla: s'era allontanata di un paio di passi dalla porta aperta. «E triste», dissi, con serietà. «Quando avete fatto tanto per aiutarlo. Guy sostiene di dubitare che senza la vostra perseveranza e la vostra comprensione, Adam non sarebbe riuscito a fare i progressi che ha fatto. Sono certo che i Kite sarebbero felici che faceste loro visita.» «Voi conoscete le mie condizioni, signore», rispose piano Ellen. «Per favore, non insistete.» Shawms uscì dal suo ufficio, dandoci un'occhiataccia quando passò in mezzo a noi. Quando se ne fu andato Ellen disse: «Farete qualcosa per me, signore?» Aveva parlato in fretta, arrossendo, e intuii che aveva dovuto chiamare a raccolta tutto il suo coraggio per pormi quella domanda. «Qualsiasi cosa in mio potere, Ellen.» «Verrete qualche volta a trovarmi, quando avrete tempo? Mi fa piacere sentire che cosa succede fuori, nel mondo: non sapevo neppure che oggi il re si sposa di nuovo, finché non me l'avete detto voi. Qui tutti sono chiusi ognuno nel proprio mondo di solitudine...» «Io preferirei che vi arrischiaste un po' all'esterno, Ellen. Su, proprio non fareste appena qualche passo fuori? Potete tenermi per il braccio: è tanto difficile?»

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«Più di quanto voi crediate.» In effetti, bastava quel semplice suggerimento a farla appiattire contro il muro. «Signore, ci sono quelli come Adam, che possono essere curati con l'aiuto di buoni amici e di coloro che vogliono loro bene. Ma ci sono altri, come me, la cui più grande speranza di benessere risiede nell'accettazione... dei propri disturbi.» La guardai. «Farò un patto con voi, Ellen. Verrò a trovarvi tutte le volte che posso, e vi racconterò le notizie del giorno. Ma vi chiederò anche di pensare a qualche modo di affrontare il vostro... problema, forse addirittura di superarlo. Non vi costringerò mai a uscire, a meno che non siate disposta a provarci; nello stesso modo, però, non rinuncerò mai alla cosa.» Sorrisi. «Affare fatto?» «I vostri patti sono duri, signore, come tutti quelli degli avvocati.» «Infatti. Accettate le mie condizioni?» Fece un piccolo sorriso triste. «D'accordo. E grazie perché vi prendete cura di me.» Proprio in quel momento un gran concerto di campane echeggiò sulla città. Guardammo attraverso l'uscio aperto, nel cortile assolato, ascoltando quel baccano festoso. Fuori, nella cappella di un palazzo, il re aveva finalmente sposato Catherine Parr. Nota storica. La primavera del 1543 vide una nuova fase del conflitto per il potere tra i riformisti religiosi e i reazionari, che dominò gli ultimi anni del regno di Enrico VIII. Sebbene Edward Seymour, conte di Hertford, avesse dato inizio alla sua ascesa al potere, la figura eminente tra i riformisti rimase Thomas Cranmer, il cui stretto legame personale con il sovrano lo mantenne nella posizione chiave di arcivescovo di Canterbury. Parte del suo successo fu probabilmente dovuto al fatto che, a differenza di Cromwell o Wolsey, non tentava di dominare il re. Tuttavia il ritorno dall'estero dell'ultraconservatore vescovo Stephen Gardiner portò a tentativi di scalzare Cranmer, con l'appoggio del vescovo di Londra, Bonner. Si cercarono seguaci del radicalismo religioso nel seguito di Cranmer sia a Cambridge sia a Londra, ma contro di loro non venne trovato nulla di serio. Il re spaventò Cranmer dicendogli: «Ora so chi è il peggior eretico del Kent», ma giocò Gardiner nominando Cranmer stesso a capo della commissione incaricata di indagare sulle accuse contro di lui. Ho seguito in larga

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misura la narrazione del complotto contro Cranmer offerto in Diarmaid MacCulloch, Cranmer (Londra 1996). Era probabilmente autunno, anziché primavera come ho detto io, quando Cranmer riuscì a liberarsi dai guai. Gli inizi del 1543 videro altresì forti attacchi contro il protestantesimo in Parlamento, con le rinnovate campagne contro il radicalismo a Londra da parte del vescovo Bonner. Quell'anno il Parlamento varò una severa legislazione antiriformista, in particolare proibendo alle classi lavoratrici e alle donne di leggere la nuova Bibbia in inglese che, sotto l'egida di Cromwell, era stata collocata in ogni chiesa parrocchiale. Sono molto riconoscente al bibliotecario del St John's College di Cambridge per avermi consentito di vedere la loro copia della Grande Bibbia del 1539, forse appartenuta allo stesso Thomas Cromwell. London and the Reformation di Susan Brigden (Oxford 1989) è stato una fonte di incalcolabile valore per le campagne contro i «settari» londinesi, che comportarono una caccia all'uomo contro coloro che infrangevano le regole mangiando carne in Quaresima. Il suo libro delinea una Londra sempre più divisa tra parrocchie radicali e conservatrici; i radicali, che concepivano se stessi alla stregua di santi vittime di una persecuzione, spesso si consolavano credendo che l'Apocalisse profetizzasse la loro vittoria finale contro la «Bestia» di Roma. Allora erano in molti a credere, come i cristiani fondamentalisti del giorno d'oggi, di vivere gli «ultimi giorni» prima dell'Armageddon, e, proprio come ora, vedevano ovunque nel mondo segni del fatto che la Fine dei Tempi era imminente. Ancora, al pari dei fondamentalisti odierni, guardavano senza battere ciglio a una distruzione violenta dell'umanità. La rilevante somiglianza fra i primi puritani dell'epoca Tudor e i fanatici cristiani fondamentalisti di oggi si estende alla lettura della Bibbia, all'enfasi da loro posta sul Libro dell'Apocalisse e alla certezza di essere nel giusto, persino al loro frasario. Per quanto concerne il Libro dell'Apocalisse, condivido le opinioni di Guy, che i primi Padri della Chiesa resero un pericoloso servigio al mondo quando, dopo molte discussioni, decisero di includerlo nel novero dei libri canonici del cristianesimo. Catherine Parr sposò Enrico VIII nel luglio del 1543, dopo un corteggiamento durato parecchi mesi. Anni dopo, la stessa regina Catherine ammise che, a differenza delle precedenti regine, aveva esitato all'idea di sposare il re. Ciò era in parte attribuibile al suo

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sentimento per Thomas Seymour. Non è certo se nel 1543 Catherine Parr simpatizzasse già per la Riforma: io credo di sì, altrimenti sarebbe approdata a un sofisticato riformismo solo dopo le sue nozze con un sovrano la cui crescente avversione per la Riforma rendeva pericoloso un orientamento del genere: non mi pare verosimile. Le opinioni dei Tudor sulla pazzia erano più varie e sofisticate di quanto si potrebbe credere. Come in tutte le branche della medicina, anche il concetto di malattia mentale si fondava sulla teoria dell'equilibrio fra i «quattro umori» dai quali era costituito il corpo umano. Da qui, per esempio, il consiglio ai «malinconici» di mangiare insalata, a causa delle sue proprietà fredde e umide. Non mancano tuttavia svariate testimonianze di rimedi improntati a «buon senso», come incoraggiare il «malinconico» o il «fiacco» (come venivano rispettivamente chiamati i depressi di alta o bassa condizione sociale) a uscire di casa, prendere aria, ascoltare musica o conversare allegramente. Non credo che gli espedienti di Guy fossero inconsueti, anche se il suo interesse per le malattie mentali potrebbe esserlo stato. D'altro canto, sia i cattolici sia i protestanti spesso vedevano nelle più vistose manifestazioni di disturbo mentale la prova di una possessione diabolica: i cattolici tendevano a prescrivere la confessione e il ricorso alle immagini sacre, i protestanti la preghiera e il digiuno. Di tanto in tanto, come accade nel romanzo ad Adam Kite, uno squilibrato affetto da ossessione religiosa poteva correre il rischio di essere accusato di eresia e bruciato sul rogo. Ho trovato un'utilissima introduzione alle prime nozioni di medicina moderna in A Social History ofMadness di Roy Porter (Londra 1987, trad. it. di Marco Papi, Storia sociale della follia, Milano 1991), mentre Mystical Bedlam di Michael McDonald (Cambridge 1981) offre l'affascinante ritratto di un medico degli inizi del XVI secolo. Le sue terapie includevano casi di «panico da salvezza», analogo a quello sofferto da Adam Kite, e che pare essere stato un fenomeno nuovo, causato dai concetti luterani e calvinisti della divisione dell'umanità, già prestabilita da Dio, in salvi e dannati. Tale fenomeno ha fatto di frequente la sua ricomparsa nel corso dei secoli successivi, durante le campagne fondamentaliste: il primo grande Risveglio nell'America coloniale del Settecento fece registrare numerosi suicidi da parte di persone che si credevano irrevocabilmente dannate.

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Le cure dei malati di mente erano rudimentali e alla portata soltanto dei ricchi, come tutta la medicina. Foucault ha definito «la grande emarginazione» la comparsa dei manicomi nel XVIII secolo, quando la popolazione, impegnata nell'industria, non potè più continuare a prendersi cura in casa dei parenti alienati. Ciò tuttavia suppone che le società preindustriali curassero meglio i ritardati e i malati di mente: se in una certa misura può essere vero per i minorati mentali, cui si poteva badare in un ambiente domestico, esistono fin troppe testimonianze di persone affette da gravi turbe psichiche incatenate in casa o abbandonate a vivere, e spesso a morire, in zone disabitate (gli «uomini selvatici dei boschi») per farci credere che l'esistenza dei malati di mente nell'Europa agli inizi dell'età moderna fosse qualcosa di più che precaria e lugubre. Il Bedlam, fondato nel XV secolo, in origine come ricovero per i pazzi di Londra, era uno dei pochissimi ospedali in Europa dedicato a chi soffriva di disturbi mentali. Acquistò una nomea sinistra, anche a causa dell'idea che la gente lo visitasse come svago nel fine settimana, per ridere delle bizzarrie dei pazzi incatenati. Questo senza dubbio avveniva, ma non fino all'epoca degli Stuart. Poco si sa dell'istituto nel periodo Tudor, salvo che ospitava forse una trentina di ricoverati, trattenuti di solito per un anno (benché alcuni vi rimanessero molto più a lungo), al termine del quale venivano dimessi, guariti o meno; era un'istituzione a pagamento, il che significa che la maggior parte dei ricoverati proveniva dalle classi abbienti. Può darsi che a quel tempo nell'ospedale vi sia stato qualche serio tentativo di cura, ma il fatto che la custodia fosse usata come fonte di guadagno, e le squallide condizioni di vita che regnavano a quell'epoca nella maggior parte di tali istituti «privatizzati» depongono a favore di un regime più trascurato. Tuttavia non se ne sa nulla, perciò ho dovuto inventare. Per le ricerche sull'ambientazione ho dovuto leggere una quantità di libri sui serial killer. A impressionarmi fortemente è stato che, mentre nella vita di questi individui esistono certi elementi comuni, pochi sembrano possederli tutti, e non si è ancora compreso chiaramente il motivo per cui alcuni imboccano quel terribile cammino. Disgraziatamente il caso di Gilles de Rais è autentico. Strodyr, tuttavia, è una mia invenzione... non essendo io stato in grado di trovare alcun riferimento attendibile a un serial killer nell'Inghilterra medievale.

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Beninteso la mancanza, all'epoca, di qualunque tipo di indagine giudiziaria non permette di escludere che ce ne siano stati. Sono grato a James Willoughby per il suo aiuto nell'esame dei documenti relativi a un possibile caso, che tuttavia si rivelò un canard. Su un piano un po' più leggero, fu utilissimo The Strange Story of False Teeth di John Woodward (Routledge 1968), per quanto non mi trovi d'accordo sulla sua affermazione che questa moda francese del Cinquecento non acquistò popolarità in Inghilterra. Come sempre ho cercato di rimanere aderente al dato storico, dove noto, ma, per quanto il libro di Vesalio cui si fa riferimento nel testo fosse stato pubblicato nel 1543, la sua comparsa in Inghilterra avvenne probabilmente un po' più tardi. Tutte le chiese di Londra citate nel testo sono immaginarie. *** Ringraziamenti. ANCORA una volta sono molto riconoscente a Mike Holmes, Jan King, Roz Brody e William Shaw per avere letto il manoscritto di questo libro. Un grazie a Frank Tallis per le discussioni sulla storia della malattia mentale e la sua terapia. Ancora una volta il mio agente, Antony Topping, ha letto e commentato con molta sottigliezza la bozza, come la mia redattrice da Macmillan, Maria Rejt. Grazie a Mari Roberts per il suo lavoro di editing, a Frankie Lawrence e a Rebecca Smith per la battitura, e a Will Stone per le ricerche sulla storia della dottrina dei diritti degli occupanti abusivi.