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I SEGRETI DELLA COMUNICAZIONE EFFICACE di Ottavio Baia OPERA OMNIA Gli ebook per l'agente di commercio

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I SEGRETI DELLA COMUNICAZIONE EFFICACE

di Ottavio Baia

OPERA OMNIA

Gli ebook per l'agente di commercio

Indice

Parte 1^ La Comunicazione Pag. 2

Parte 2^ La Comunicazione Verbale Pag. 27

Parte 3^ Il Linguaggio Non Verbale Pag. 32

Parte 4^ P.N.L. & Intelligenza emotiva Pag. 38

Parte 5^ P.N.L. & Vendita Pag. 94

Conclusioni Pag. 106

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Parte 1^ LA COMUNICAZIONE

Esiste solo ciò che comunichiamo.

Il contesto ed il campo di osservazione (Tre esempi tratti dal libro “Pragmatica della comunicazione umana” di Paul

Wayzlawick)

In una zona del Canada del Nord il numero delle volpi aumenta e diminuisce

con una periodicità degna di attenzione. La loro popolazione raggiunge la punta maggiore in un ciclo massimo di quattro anni, poi declina fino alla

quasi estinzione ed infine comincia a risalire. Se il biologo si limitasse ad

osservare le volpi, questi cicli resterebbero inspiegabili perché non c’è nulla

che spieghi tali cambiamenti né nella natura delle volpi né in quella di tutte le

specie. Tuttavia una volta che ci siamo resi conto che le volpi cacciano

esclusivamente i conigli selvatici e che questi conigli non hanno altri nemici

naturali, tale rapporto tra le due specie ci dà una spiegazione per un

fenomeno che altrimenti rimarrebbe misterioso.

Si potrà allora osservare che il ciclo dei conigli è identico ma opposto e cioè

che essi aumentano di numero quando diminuiscono le volpi e viceversa:

infatti, quanto più numerose sono le volpi tanto più sono i conigli che esse

uccidono finchè il cibo diventa assai scarso. Non avendo più prede sufficienti

per mangiare, le volpi diminuiscono di numero e danno ai conigli sopravissuti

la possibilità di moltiplicarsi e di crescere con rinnovato vigore. Tutti i nuovi

conigli facilmente moltiplicatisi creano una situazione favorevole per le volpi

che possono così sopravvivere e di nuovo riprodursi.

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Un uomo è colto da improvviso malore e viene immediatamente trasportato in

ospedale. Il medico che lo visita riscontra uno stato di incoscienza, pressione

sanguigna molto bassa ed un quadro clinico che descrive una intossicazione

da alcool e stupefacenti. Ma le analisi non rilevano nessuna traccia di tali

sostanze. La condizione del paziente rimane inspiegabile finchè non riprende

conoscenza. Appena cosciente dice di essere un ingegnere minerario e di

aver lavorato negli ultimi due anni in una miniera di rame sulle Ande ad oltre

3.000 mt. di altezza e di essere appena ritornato in Italia. Ora è chiaro che la

condizione del paziente non è una malattia nel senso che di solito diamo a

questo termine e cioè l’insufficienza di un organo o di un tessuto ma il

problema di adattamento di un organismo clinicamente sano ad un drastico

cambiamento d’ambiente. Se l’attenzione del medico si concentrasse solo sul

malato e se prendesse in considerazione soltanto l’ecologia del proprio

ambiente, lo stato del malato resterebbe misterioso.

Nel giardino di casa visibile dal marciapiede esterno, un grosso signore dalla

lunga barba, striscia accoccolato sopra il prato tracciando degli otto mentre

continua a guardarsi indietro e a fare “ Quà Quà Quà” Si tratta dell’ etologo

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Konrad Lorenz che simula il comportamento degli anatroccoli durante uno

dei suoi memorabili esperimenti proprio con questa specie di animali ( nella

fattispecie simula la loro mamma ). Era molto compiaciuto, scrive l’etologo,

dei piccoli anatroccoli i quali ubbidienti e precisi lo seguivano trotterellando al

grido di “Quà Quà Qua “ !!

Ad un certo momento, scrive sempre l’etologo,

alzai gli occhi e vidi una fila di volti allibiti affacciata sulla siepe del giardino,

una intera comitiva di turisti mi guardava stupefatta. L’ erba alta della siepe

nascondeva la vista degli anatroccoli e quello che vedevano i turisti era

qualcosa del tutto inspiegabile, ovvero un pazzo con la barba lunga ed un

comportamento del tutto folle!!

� Questi esempi, apparentemente slegati tra loro, hanno tutti una cosa in

comune :

“Un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è

abbastanza ampio da includere il contesto in cui il tale fenomeno si verifica”. Significato di comunicazione

La prima, elementare, definizione di comunicazione è “trasferimento di

informazioni da un emittente ad un ricevente a mezzo di messaggi”.

Questa definizione è stata formalizzata nel 1949 da Shannon e Weaver, due

scienziati americani che lavoravano ai laboratori Bell e si occupavano di

circuiti telefonici.

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Appare evidente che questo modello non tiene conto di molte variabili che

sono essenziali per comprendere perché, come, con quale efficacia avviene il

processo di comunicazione.

Ad esempio: l’emittente chi è, che cultura ha, che scopi ha, che esperienze

personali possiede?

E poi: il ricevente chi è, che cosa si attende dall’emittente, cosa pensa, che

stato d’ animo ha?

Ed infine: dove si svolge l’atto comunicativo, in quale ambiente, come è il

contesto, i valori, le attese, gli stessi atteggiamenti, come influiscono nel

modificare, distorcere, ridurre o evidenziare i contenuti della comunicazione?

Sono tutti quesiti che analizzeremo insieme per decodificare, tradurre ed

interpretare tutto ciò che si nasconde dietro la parola Comunicazione.

Iniziamo con una parola chiave: L’osservazione.

Apparentemente leggendola non ci dice un gran che, eppure il primo grande

segreto per comunicare in modo efficace sta proprio nella nostra capacità di

osservare.

Osservare non significa guardare, il suo significato è più profondo e parte

dalla nostra predisposizione ad acuire sempre più i nostri cinque sensi, per

affinarli, per capire chi e che cosa abbiamo intorno a noi. Il contatto con il

mondo avviene attraverso i nostri cinque sensi e solo l’abile “osservatore”

diventa un bravo diagnostico (se per osservatore intendiamo anche saper

ascoltare per tradurre le esperienze, saper gustare percependo le sfumature,

saper toccare per capire l’essenza, saper odorare per cogliere il momento e

ovviamente saper guardare per rilevare tutti i segnali osservabili).

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Detto questo, una particolare attenzione deve essere dedicata dunque al

problema di conoscere chi abbiamo realmente di fronte. Nella vendita così

come in altri lavori si dà ancora poco peso all’aspetto relazionale ed è un

errore grossolano, non si saprà mai quali sono le vere aspettative dei nostri

interlocutori per forma e contenuto. Accade spesso che il comunicatore

(emittente) sviluppi un processo verbale e non verbale nella convinzione di

essere compreso e gradito dal ricevente (destinatario) mentre il messaggio e

chi lo emette, vengono “personalizzati” dando origine a fraintendimenti a volte

disastrosi, il bianco diventa nero e viceversa.

Il problema di farsi capire e di farsi accettare, quindi, non è semplice

(avremmo un mondo che vivrebbe in santa pace!) e non per codici linguistici

diversi da nazione a nazione (anche se durante la guerra fredda tra Russia e

Stati Uniti stava per essere premuto il tasto rosso scatenante un’aggressione

atomica tra le due potenze per aver tradotto maldestramente una frase

americana dal ministero degli interni russo) ma soprattutto per codici culturali

ed esperienziali.

Quante volte vi è capitato di dire una frase o solamente una parola per voi

assolutamente innocua ed invece sono scattate accese discussioni e inutili

litigi?

Le persone che operano nell’ambito commerciale e lo vedremo più avanti,

devono necessariamente curare molto bene tutta la dinamica dell’azione

comunicativa in quanto essere compresi, accettati, ricordati e graditi, significa

aver suscitato le giuste “emozioni”.

Una rivoluzione

È però nel 1967 che avviene la rivoluzione copernicana negli studi sulla

comunicazione.

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In quell'anno lo psicologo Paul Wayzlawick ed altri suoi colleghi della scuola

di Palo Alto pubblicano il volume "Pragmatica della comunicazione umana" in

cui si afferma:

C'è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più

fondamentale e proprio perché è troppo ovvia, viene spesso trascurata: il

comportamento non ha un suo opposto. In altre parole non esiste qualcosa

che sia "non comportamento" o, per dirla ancora più semplicemente, non è

possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l'intero

comportamento, in una situazione di interazione, tra persone, esseri viventi,

ecc. abbia valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue

che, comunque ci si sforzi, non si può non comunicare.

Gli assiomi della comunicazione

Gli assiomi della comunicazione furono definiti da Paul Watzlawick e altri

studiosi della Scuola di Palo Alto (California), allo scopo di identificare alcune

proprietà della comunicazione, ed utilizzarle per diagnosticare alcune

patologie. Ne definì cinque: l'impossibilità di non comunicare; i livelli

comunicativi di contenuto e relazione; la punteggiatura della sequenza di

eventi; la comunicazione numerica e analogica; l'interazione complementare

e simmetrica.

Il primo assioma dice che è impossibile non comunicare: qualsiasi interazione

umana è una forma di comunicazione. Qualunque atteggiamento assunto da

un individuo, diventa immediatamente portatore di significato per gli altri.

Il secondo stabilisce un rapporto tra il contenuto (Cosa diciamo) e la forma

(Come lo diciamo): secondo gli studiosi di Palo Alto sia il contenuto che la

forma classificano la relazione.

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Il terzo assioma evidenzia la connessione tra la punteggiatura della sequenza

di comunicazione e la relazione che intercorre tra i comunicanti: il modo di

interpretare la comunicazione è in funzione della relazione tra i comunicanti.

Poiché la comunicazione è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da

una direzione all'altra e le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono

scandite dalla punteggiatura, il modo di leggerla sarà determinato dal tipo di

relazione che lega i comunicanti. Ad esempio, se una scimmietta potesse

stabilire la punteggiatura delle comunicazioni, potrebbe affermare di avere

ben addestrato il proprio padrone, in quanto ogni volta che si mette a ballare

questi è subito pronto a suonare il proprio organetto.

Il quarto assioma attribuisce agli esseri umani la capacità di comunicare sia

analogicamente sia logicamente. Tutti gli esseri umani posseggono un

linguaggio verbale, non verbale e paraverbale (Toni della voce, volume della

voce ma anche abbigliamento e status simbol, moda, tendenze ecc.).

Per esempio l'attività o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di

messaggio: influenzano gli altri che a loro volta, non possono non rispondere

a queste comunicazioni, e in tal modo, comunicano anche loro.

Dovrebbe essere ben chiaro che il semplice fatto che non si parli o che non ci

si presti attenzione reciproca non costituisce eccezione a quanto è stato

asserito. L'uomo che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in una

tavola calda affollata o il passeggero di un aereo che siede con gli occhi

chiusi stanno entrambi comunicando che non vogliono parlare ad alcuno, né

vogliono che si rivolga loro la parola, i vicini di solito afferrano il messaggio e

rispondono in modo adeguato lasciandoli in pace.

Questo ovviamente è proprio uno scambio di comunicazione nella stessa

misura in cui lo è una discussione animata.

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Infine, per il quinto assioma, tutti gli scambi comunicativi si fondano o

sull'uguaglianza o sulla differenza e quindi possono essere simmetrici o

complementari. Si dicono complementari gli scambi comunicativi in cui i

comunicanti non sono sullo stesso piano (mamma/bambino,

dipendente/datore di lavoro, cliente/Agente). Sono simmetrici gli scambi in cui

gli interlocutori si considerano sullo stesso piano: è questo il caso di

comunicazioni tra pari grado. (marito/moglie, compagni di classe, fratelli,

amici).

Tornando a Watzlawick, questi nella seconda metà del 1970 apriva la via a

tutto un ampio settore di ricerche e di scoperte.

La definizione di comunicazione veniva quindi riformulata nel senso che è

comunicazione:

“Qualsiasi evento, cosa, comportamento che modifica il valore di

probabilità del comportamento di un organismo.”

I petali rossi di un fiore, visti dall'ape in volo, inducono l'insetto a modificare il

suo percorso e di posarsi sul fiore per suggerne il nettare: i petali rossi hanno

trasmesso un messaggio, hanno comunicato all'ape un'informazione sicché

essa è stata indotta a modificare il suo comportamento precedente (volo in

linea retta orizzontale) scendendo a posarsi sul fiore.

Pertanto, come vedremo, lo studio della comunicazione non si limita agli

aspetti verbali (alle parole), ma si allarga a comprendere gli oggetti di cui

l'emittente è circondato (abbigliamento, arredamento della stanza, ecc.),

l'ambiente (la solennità delle cattedrali e dei tribunali, la sciattezza degli uffici

pubblici, la moderna aria di efficienza della sede di una multinazionale), il

modo di gesticolare, di guardare, di alzare o abbassare la voce e così via.

Da ciò consegue che non essendo possibile "non comunicare", occorre

sempre porsi il problema di come comunicare: occorre quindi formulare

strategie, definire obiettivi, programmare attività di comunicazione.

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Lasciare queste cose al caso non significa - come si è visto - "non

comunicare" (che è impossibile): significa, invece, comunicare proprio ciò che

non si vorrebbe: sciattezza, incongruenza tra parole e comportamenti,

mancanza di stile e così via; significa lasciare l'interlocutore nell'incertezza

circa gli obiettivi o le finalità perseguite dall'emittente, con la possibilità per

quest'ultimo di lasciarsi attribuire le intenzioni e gli obiettivi più assurdi o più

contraddittori. Quindi, oggi, per gli agenti di commercio così come per le

imprese, diventa essenziale:

x Formulare strategie di comunicazione

x Definire gli obiettivi della comunicazione

x Programmare il molteplice complesso di attività finalizzate alla

comunicazione

Per chi opera in azienda è impossibile non porsi il problema della giusta ed

efficace comunicazione: anche per essi ignorare questo argomento

significherebbe semplicemente fare della cattiva comunicazione con degli

effetti imprevedibili e per loro non più rispondenti alle intenzioni.

Anche in azienda deve essere presente quel minimo di conoscenze in

materia, necessario a consentire di evitare gli errori più macroscopici e

possibilmente ottenere, al contrario, la realizzazione di una comunicazione

efficace, motivante, esattamente rispondente alle finalità che l'emittente si

propone di ottenere.

Vi sarà già capitato di ricevere da qualche vostro cliente una lamentela circa

l’atteggiamento arrogante o scocciato assunto nei suoi confronti dalla

centralinista, da un impiegato o da un magazziniere al telefono a seguito di

una richiesta o informazione.

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La comunicazione a due vie

Finora abbiamo parlato di comunicazione come di un processo ad una sola

direzione: dall’emittente al ricevente.

Di fatto la comunicazione non è mai ad una sola via, perché sempre il

ricevente è in grado di far sapere all’emittente “come la pensa” e quindi non

può non influire, con le sue parole e il suo comportamento, sul successivo

procedere del processo di comunicazione.

Ma che vi sia interazione tra riceventi ed emittenti è vero anche nel caso delle

conferenze (tosse, rumori in sala, molti ascoltatori che si allontanano, segni di

disattenzione) e persino delle trasmissioni radio-televisive (indici di ascolto,

presenza pubblicitaria, lettere e telefonate alla stazione emittente di

approvazione o di protesta, ecc.), anche se in questo caso la possibile replica

avviene in tempi necessariamente più lunghi.

Dalla conoscenza di questi punti deriva un elemento di grande importanza:

per sviluppare una buona comunicazione occorre saper ascoltare.

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L’importanza dell’ascolto attivo

Affinché l’agente o il rappresentante possa svolgere bene il proprio compito è

assolutamente necessario che per prima cosa comprenda la situazione del

cliente.

Una delle qualità che si deve possedere per raggiungere questo scopo è la

capacità di ascoltare le persone contattate in modo intelligente, attento ed

attivo.

Vi sono molti modi di ascoltare, per esempio quando un pubblico accusatore

interroga un testimone egli ascolta in modo astuto per individuare le

contraddizioni, gli errori, le debolezze e le digressioni importanti e non con lo

scopo di aiutarlo.

Ma questo non è il tipo di capacità che ci interessa.

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Il nostro scopo è quello di analizzare il tipo di ascolto che meglio possa

aiutare un professionista che è in contatto con il cliente a comprendere

chiaramente la situazione in cui si trova, ad assumere la sua parte di

responsabilità ed a collaborare al fine di individuarne le effettive esigenze.

Ascolto attivo non significa necessariamente che si debba dedicare molto

tempo ad ascoltare le lamentele di natura personale. Significa solo che

occorre accettare i problemi degli altri per quello che sono e dimostrare di

farlo attraverso le risposte che si danno.

L’ascolto attivo non deve indurci ad andare contro le nostre opinioni, in altre

parole non deve essere una tecnica adottata artificialmente che ci induce a

dire una cosa mentre pensiamo a qualche cosa di completamente diverso.

Se cerchiamo di comportarci così, non ci vorrà molto tempo perché gli altri si

accorgano che stiamo fingendo. Non si può diventare dei bravi “ascoltatori attivi” se non si è capaci di sentire e mostrare un reale rispetto per gli altri.

Occorre cioè rispettare i sentimenti e le opinioni degli altri e contare sul fatto

che essi sono in grado di pensare e giudicare in modo indipendente.

Che cosa si può ottenere ascoltando

Se ascoltiamo le persone in modo attivo, le vedremo cambiare.

Si pensa comunemente che ascoltare sia qualcosa che si fa passivamente.

L’esperienza e la ricerca scientifica hanno dimostrato il contrario. Infatti,

questo tipo di ascolto attivo può essere uno dei mezzi più efficaci di cui

disponiamo per entrare in sintonia con un individuo o un gruppo.

Se ascoltiamo in modo intelligente e attivo, questo può far cambiare il modo

in cui i nostri interlocutori comprendono se stessi e gli altri. Può stimolare in

chi parla un atteggiamento emotivamente più maturo e anche più aperto.

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Alcune persone potranno reagire abbassando le proprie difese, potranno

imparare a considerare le proprie esperienze in modo più costruttivo,

potranno abbandonare i propri pregiudizi.

Se ascoltiamo in modo attivo, ciò indurrà l’interlocutore ad ascoltare se

stesso più attentamente ed in tal modo ad acquisire una migliore cognizione

dei propri pensieri e dei propri sentimenti.

I membri di un gruppo, se si ascolteranno l’un con l’altro più attivamente

smetteranno di discutere in maniera inefficace e saranno più capaci di

imparare dalle esperienze e dai punti di vista espressi dagli altri.

Se si ascolta in questo modo, non dobbiamo più temere che le nostre idee e i

nostri punti di vista siano criticati, avremo una idea più chiara di quanto

pensiamo veramente, offrendo la chiara sensazione di dare un contributo

concreto.

Tuttavia, anche colui che ascolta cambierà e questo è un fatto importante. Se

ascoltiamo gli altri in modo attivo, otteniamo più informazioni di quante ne

otterremmo in qualsiasi altro modo. Inoltre noteremo che i nostri rapporti con

gli altri miglioreranno e che i nostri atteggiamenti e punti di vista potranno

modificarsi.

In tutto questo c’è un enorme potenziale per lo sviluppo personale, ma come

si procede? Come si impara ad ascoltare in modo attivo?

Come ascoltare

Lo scopo dell’ascolto attivo è quello di capire gli altri. Se questo è l’obiettivo,

ci sono alcune cose da fare e altre da evitare.

Ma prima di esaminare questi punti in dettaglio, è importante comprendere i

motivi per cui l’ascolto attivo produce gli effetti qui descritti.

Per fare questo dobbiamo prima vedere come si sviluppa la personalità di

ogni individuo.

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La personalità è il risultato derivante dalle esperienze sociali, neurologiche e

individuali. Inoltre anche l’aspetto genetico apporta il suo contributo nella

formazione caratteriale.

Ogni individuo usa quindi le sue modalità comportamentali e di pensiero,

esse sono la miglior risposta che ogni persona percepisce per se al fine di

raggiungere l’omeostasi (Equilibrio di benessere psico/fisico).

L’essere umano prenda contatto con il mondo attraverso i suoi cinque sensi

ed elabora e memorizza quest’esperienza utilizzando immagini, suoni,

percezioni cinestesiche (odori, tatto, gusto e tutte le loro sub-modalità)

Tali sistemi, detti rappresentazionali, influiscono fortemente sul proprio

“Punto di vista” determinando il proprio pensiero, il proprio atteggiamento ed il

relativo comportamento.

Occorre in conclusione capire la postazione in cui si trova il nostro

interlocutore per tradurre in modo competente l’analisi comunicativa da lui

espressa. Questa capacità di osservazione e di analisi aumenta se

ascoltiamo in silenzio coinvolgendoci solo con il nostro linguaggio non

verbale.

Quando cerchiamo di aiutare una persona che ha dei problemi, lo facciamo

spesso cercando di aiutarla a vedere le cose da una angolazione diversa.

Cerchiamo di indurla a guardare una situazione nella luce in cui pensiamo

che egli dovrebbe guardarla.

Discutiamo, reagiamo, facciamo la morale, tutto per fare in modo che egli

pensi diversamente o ancor più per uno strano quanto atavico bisogno di

protagonismo. Tuttavia, nel fare questo, raramente ci rendiamo conto che noi

stessi reagiamo ad una necessità di vedere le cose in questo modo

particolare. È per noi difficile tollerare e capire quelle azioni che esulano dalle

nostre convinzioni, quasi come se non sopportassimo il fatto che ci siano altri

“Punti di vista” diversi dal nostro.

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Ma se dobbiamo ascoltare con vera comprensione, dobbiamo sforzarci di

liberarci dal nostro bisogno di indurre gli altri a condividere i nostri punti di

vista ed i nostri modi di pensare.

Solo allora daremo agli altri l’opportunità di cambiare, se desidera farlo.

Come rispondere quindi alle aspettative degli altri? Essi si aspettano da noi di

sapere chiaramente se siamo d’accordo oppure no.

Ora, una domanda tendente a chiedere approvazione o disapprovazione è in

molti casi un modo indiretto di esprimersi. Chi pone la domanda è spesso più

interessato a farci avere un messaggio piuttosto che ad una risposta alla sua

domanda.

Il modo più semplice ma a sua volta più efficace è basare la propria risposta

su di una domanda di natura aperta, ciò per permettere alla persona che ci

ha fatto una domanda di dire veramente quello che pensa. Chi ascolta in

definitiva deve offrire la possibilità di collaborare su qualsiasi problema senza

assumersi la responsabilità frettolosa di sentenziare o fare proposte.

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L’ascolto come strumento di gestione del cambiamento organizzativo

Le vostre case mandanti prestano adeguato ascolto ai vostri bisogni?

Gestire il personale investendo in cultura, formazione, sensibilità, significa

ridurre i costi aziendali, perché le persone, sentendosi valorizzate, attraverso

un approccio lavorativo più umano, si ammalano di meno, subiscono meno

stress, sono più motivate a lavorare e produrre. La gestione delle Risorse

Umane è quindi l'aspetto più importante della nuova cultura organizzativa e

assume un ruolo ancora più centrale in un momento di cambiamento,

intendendo per tale, il passaggio ad una Pubblica Amministrazione basata sul

consenso sia degli utenti esterni che degli utenti interni, consenso che si può

ottenere solo se il cittadino-utente, l'impiegato, l'essere umano insomma, si

sente riconosciuto e valorizzato sia come soggetto di diritto che come

soggetto responsabile e artefice del processo produttivo, anziché come

soggetto passivo di una burocrazia autoritaria e come tale, distante.

Ogni cambiamento culturale determina cambiamenti nelle organizzazioni e

questi cambiamenti vengono percepiti diversamente da persona a persona.

In particolare, coloro che operano in una struttura sentono parlare di

cambiamento, ma spesso non ne colgono il senso in termini concretamente

percettibili. Ciò accade perché:

1) Esiste in ogni individuo una naturale resistenza al cambiamento.

2) La resistenza a percepire il cambiamento è tanto più forte quanto più alto è

il livello di ansia strutturale nella persona.

La naturale resistenza al cambiamento si spiega attraverso il fatto che

esistono in ogni essere umano i bisogni di sicurezza.

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Essi consistono nella consapevolezza di avere punti fermi entro i quali potersi

orientare. Quest'affermazione trova riscontro oltre che negli studi di Maslow,

anche negli studi di Festinger. Festinger coniò infatti, dopo aver svolto degli

esperimenti, la Teoria della "dissonanza cognitiva".

Secondo questa teoria, l'uomo tende in generale ad essere coerente con sé

stesso nell'agire e nel pensare (Ogni persona crede di aver ragione, e

dunque nulla è buono e cattivo, è la nostra mente che lo rende tale). Quando

questa coerenza manca si crea un disagio che l'attività mentale cerca di

eliminare o ridurre attraverso una forma di resistenza percettiva.

È per questo che di fronte ad un elemento che denota un cambiamento nel

contesto, la persona tende a non vedere questo elemento per far si che la

percezione del contesto non subisca una destrutturazione, di fronte alla quale

occorrerebbe attivare energia per operare una rapida ristrutturazione

cognitiva. Ciò è indubbiamente un processo faticoso e quindi, quando

l'elemento nuovo non è del tutto indicativo di un cambiamento, le persone

sono portate in genere a non vederlo.

Questo processo rappresenta una più o meno naturale resistenza al

cambiamento.

Le cose cambiano però quando l'elemento nuovo è più vistoso e le persone

continuano a non vederlo continuando a mantenere la precedente percezione

del contesto. Questa è invece una situazione di " rigidità percettiva" e si

verifica tanto più quanto maggiore è il livello di ansia nelle persone.

Questa teoria è stata dimostrata attraverso l'esperimento di Eynsek.

Eynsek sottopose a gruppi di persone tre immagini in sequenza:

- la prima rappresentava un coniglio

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- la seconda, una figura ambigua tra un coniglio e un'anitra

- la terza raffigurava visibilmente un'anitra.

Il gruppo di persone "nella norma" continuava a percepire nella seconda

figura un coniglio, manifestando così una naturale resistenza al

cambiamento, per il fatto che gli elementi di trasformazione erano minimi,

mentre vedeva l'anitra nella terza figura.

Il gruppo di persone più ansiose continuava invece a vedere il coniglio anche

nella terza figura, mostrando così livelli di rigidità percettiva molto alti.

Ciò significa che l'ansia presente a livelli alti condiziona fortemente l'esame

della realtà.

Ascoltare significa dare spazio all'interlocutore, comunicargli rispetto,

valorizzazione, accettazione.

Ascoltare significa avere un atteggiamento empatico, cioè sapersi mettere nei

panni dell'altro, pur mantenendo il proprio modo di pensare e di sentire.

Sapersi mettere nei panni dell'altro è indice di maturità personale, perché

significa avere una visione alterocentrica della vita.

Ciò significa che bisogna partire dal fatto che ogni nostro interlocutore è

diverso da noi ed è pertanto realistico accettarlo in quanto tale.

Saper ascoltare produce le conseguenze positive:

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- Permette all'altro di abbassare le difese, sciogliendo l'ansia, e di aprirsi

ancora di più perché non si sente minacciato dalla paura del giudizio;

- Permette all'ascoltatore di capire fino in fondo il punto di vista dell'altro,

proprio in virtù del calo delle sue difese;

- Facilita l'alterocentrismo nell'interlocutore, perché chi si sente ascoltato e

rispettato, a sua volta ascolta e rispetta;

- Facilita il confronto tra le parti e la negoziazione tra i diversi punti di vista,

portando, attraverso la relazionalità dell'io, alla maturità sociale;

- In una situazione di particolare ansia e insicurezza, la persona ascoltata si

sente supportata e contenuta e quindi rassicurata, sviluppando così una

reazione adattiva al cambiamento.

L'ascolto è quindi utile perché agisce sui bisogni di sicurezza. Un capo

accettante e rassicurante svolge, nei confronti del dipendente così come di

un venditore, una funzione di contenimento anche della paura e dell'ansia.

La persona si sente capita, non giudicata e quindi l'ansia del cambiamento si

stempera e come tale, finisce col non essere più minacciosa.

Diversamente, un capo ansioso, acuisce la conseguenziale resistenza al

cambiamento.

La resistenza al cambiamento è infatti il risultato di un meccanismo di difesa

dell'io (più o meno accentuato, secondo la quantità di ansia e quindi di

insicurezza, presente a livello soggettivo), verso ciò che l'io percepisce al di

sotto della soglia di coscienza, come minaccioso e devastante; per cui l'unico

modo per difendersi da questo qualcosa minaccioso e devastante, è negarlo,

non facendolo affiorare alla coscienza. Lasciare che questi meccanismi di

difesa operino significa che poi, le persone che ne sono affette dovranno

comunque fare i conti con la realtà che prima hanno negato senza aver

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percorso il graduale processo di adattamento alla situazione nuova; e ciò non

solo aumenta ulteriormente il livello di ansia, ma provoca comportamenti

disfunzionali con effetti sull'individuo e sull'organizzazione.

La facilitazione attraverso l'ascolto, quale espressione dello stile di leadership

democratico partecipativo, evita queste conseguenze, svolgendo un'azione

preventiva, prima ancora che terapeutica.

Ostacoli e limiti, errori di contenuto e di forma.

In un dialogo (quale è e deve essere il colloquio con il cliente) i ruoli di

emittente e di ricevente si invertono in continuazione.

EMITTENTE RICEVENTE

Esaminiamo cosa avviene durante un normale dialogo tra due persone.

Come dicevamo poc’anzi, nelle relazioni avvengono sempre due modalità o

"codici" ben distinti:

- il codice verbale, poiché ci esprimiamo con una lingua ben individuata e

conosciuta da entrambi gli interlocutori - ad esempio l'italiano - che è uno

dei linguaggi convenzionali creati dall'uomo. Con questo primo codice

esprimiamo il "Cosa", il contenuto logico del "flusso di dati";

- il codice non verbale, dato da tono di voce, sguardo, velocità nel parlare,

gesti ed altri aspetti del linguaggio del corpo, codice che rappresenta il

"Come" comunichiamo.

Quando siamo noi l'emittente, spesso ci dimentichiamo di prestare la dovuta

attenzione al come parliamo e trascuriamo il fatto che il ricevente capta molti

altri segnali che noi non vorremmo dare e/o riteniamo di non aver dato (per

esempio incertezza, dimenticanza, bisogno, disappunto) mentre viceversa

non recepisce messaggi che a noi sembra di aver dato chiaramente.

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Notiamo che: chi parla è attento a COSA si dice chi ascolta è attento a COSA e COME lo dice.

Se l'ascoltatore percepisce una discordanza tra il cosa ed il come, per

interpretare il vero significato della comunicazione presterà più attenzione al

come. Ad esempio guardando l'interlocutore negli occhi o un gesto si

comprenderà meglio il senso del discorso: dire "Basta!" con un gesto aperto

delle mani significa "ora basta”, “stop” = imperativo;

Ma se dico "Basta!" con le mani ferme davanti a me significa "ti prego,

fermati” = sto subendo, mi devo difendere.

Non dimentichiamoci che ogni forma di comunicazione contiene anche una

modalità fisica che esprime qualcosa, e che se è in distonia con il contenuto

verbale crea incertezza nell'interlocutore.

Immaginate di vedere presso un tabaccaio un biglietto di uno studente che

offre ripetizioni.

Ora, probabilmente pensereste che si tratta di uno scherzo, se lo vedeste

stampato su un cartoncino con la stampigliatura tipografica a caratteri d'oro!

Oppure probabilmente non trovereste molto sincera una lettera d'amore

stampata con una stampante di un computer, s'intende se la ricevete da

parte di una persona che può tranquillamente scrivere con una penna!

L'argomento del linguaggio del corpo è molto vasto e poiché merita un

discorso approfondito è trattato più ampiamente nei capitoli successivi.

Approfondiamo qui come avviene la trasmissione dei dati, o meglio le

modalità di ricezione dei dati.

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Principio della comunicazione di Warren G. Bennis

W.Bennis ci dimostra che esiste una distorsione del messaggio che

desideriamo inviare perché, oltre a quello che intendiamo comunicare, si

aggiunge ciò che non era nostra intenzione comunicare, per cui il messaggio

percepito è diverso da quello inviato.

Questo avviene perché la comunicazione è costituita, come già accennato,

oltre che dalla componente razionale, anche da quella emotiva ed è

fortemente influenzata dalle personalità diverse che si mettono in relazione e

ai meccanismi della percezione e di difesa.

Ogni persona infatti, possiede un proprio sistema di riferimento legato al

proprio modo di rapportarsi al mondo e, in particolare, determinato dal proprio

sistema percettivo e sensoriale, il concetto di sè, la storia personale, i bisogni

affettivi, le capacità cognitive, la cultura e i valori di riferimento, le motivazioni

e aspettative, i ruoli sociali e professionali, ecc.

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Finestra di Johary

NOTO A ME IGNOTO A ME

NOTO AD ALTRI pubblico cieco

IGNOTO AD ALTRI privato inconscio

La finestra di Johary è un modello teorico che ci permette di comprendere le

dinamiche delle relazioni sociali. Abitualmente tendiamo a fornire

un'immagine di noi stessi e ad accettare l'immagine che gli altri ci forniscono

di sé: "La norma sociale impone di non dire ad altri la nostra impressione su

di loro se differisce dall'immagine che essi presentano di se stessi"

Le quattro aree della "finestra" sono:

- area pubblica: corrisponde a quello che io so di me e a quello che gli altri

sanno di me

- area cieca: corrisponde a quello che io non so di me ma che gli altri sanno

di me

- area privata: corrisponde a quello che io so di me , ma che gli altri non

sanno di me

- area inconscia: è sconosciuta a me e agli altri.

Ne deriva che nelle relazioni o dialoghi extra ed intra personali, ci sono

sempre coni d’ombra od aree non conosciute. Sovente succede di farsi una

opinione sulle persone che successivamente vengono smentite dai fatti.

(Pensavo fossi diverso………Non avrei mai immaginato………..Mi hai

deluso……….mi ero fatto una opinione diversa……….ecc.)

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L’arte del silenzio

Non c'è niente al mondo che impressioni durevolmente di più di un

comunissimo silenzio, irritando e inquietando il nostro subconscio.

Questo silenzio risveglia lo stato d'animo che può aver dominato 100.000

anni fa nella foresta: quando nessun alito di vento muoveva le foglie, tutto

taceva intorno, e quando ogni minimo rumore diventava un grande

avvertimento.

Tutti i rumori tradiscono che sta accadendo qualcosa. Ma il silenzio assoluto

è inquietante perché non sappiamo cosa gli stia dietro. Se nel corso di una

serata cala improvvisamente il silenzio, è imbarazzante per tutti: si diventa

inquieti non si osa più muoversi fino a quando non viene rotto "l'incantesimo

del silenzio".

Il silenzio tenuto di proposito è l'arma segreta numero uno del capo esperto.

Ed è una arma segreta, perchè la maggior parte degli uomini non è conscia

della sua potenza comunicativa.

L'interlocutore silenzioso ci inquieta, ci sentiamo a disagio, ma solo finché

non ci siamo anche noi abituati a fare largo uso di questa arma.

Tanto per i dirigenti come per i venditori è importante conoscere quest'arma

ed esercitarci a curarne coscientemente l'impiego.

Si potrebbe dire paradossalmente che molti non sanno parlare perché non

sanno tacere.

Chi conosce il suo significato sa, infatti, quanto il silenzio sia eloquente.

Il silenzio sembra essere niente ma è un niente che agisce, pensate al

silenzio imbarazzato, al silenzio glaciale, al silenzio pensieroso, al silenzio

arrabbiato, al silenzio provocatorio, al silenzio distaccato, al silenzio

consapevole, al silenzio di tomba, al silenzio pesante. Henry Miller scrive in

"Tropico del Cancro":

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"Domina una quiete così insistente, che rintrona nelle mie orecchie come le

cascate del Niagara".

A che cosa serve conoscere la potenza del silenzio?

Gli errori che noi facciamo nel rapporto con i clienti o con i nostri collaboratori

non sono in generale da ricercare nel fatto che abbiamo taciuto troppo, ma

piuttosto che abbiamo parlato troppo.

In conclusione: non dire niente se ciò che dici non giustifica l'interruzione del tuo silenzio.

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Parte 2^ LA COMUNICAZIONE VERBALE

Le parole sono gli abiti che

facciamo indossare ai nostri

pensieri.

Quante volte vi è capitato che per aver pronunciato una parola di troppo

avete perso una vendita?

Le parole sono formate da codici (lettere) e suoni, possono ferire, possono far

rimanere indifferenti, possono infastidire ma possono anche smuovere

montagne.

Nella lingua italiana la grammatica e la punteggiatura svolgono un ruolo

essenziale, tanto per farvi un piccolo esempio vi scrivo quanto segue:

Meglio vivere d’istanti e d’istinti che

distanti e distinti

Come vedete i suoni sono identici ma il significato, cambiando pochi codici,

cambia totalmente.

In Italia abbiamo più di 150.000 parole a disposizione, la loro

interconnessione, sovrapposizione, aggancio, disposizione e scelta possono

orientare i destini di chiunque.

…..Le Parole non tornano indietro…..

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L’importanza di mettersi a disposizione il maggior numero di parole, implica

che tali suoni aprono concetti, percezioni, riflessioni, rapporti causa-effetto,

visioni e ragionamenti che altrimenti non afferreremo. Aggiungere una nuova

parola al nostro vocabolario agisce come effetto moltiplicatore/esponenziale

in quanto amplifica la possibilità tecnica di scoprire nuove realtà e nuovi

concetti.

Inoltre possiamo variare il nostro modo di dialogare con noi stessi in funzione

della sua produttività.

Le persone di successo in diversi campi, usano con se stessi e con gli altri

parole e frasi che tendono a vedere le cose come possibili.

Ti sarà forse accaduto di apprezzare le capacità persuasive di alcune

persone ed il loro sapiente uso delle parole giuste al momento giusto. La

storia è ricca di esempi di uomini che con le proprie parole hanno infiammato

intere platee e smosso le coscienze di moltitudini. Ciò accade perché

attraverso le parole, non solo interpretiamo la realtà che ci circonda, ma

esprimiamo delle emozioni e ne suscitiamo in chi ascolta, inducendo in essi

un determinato comportamento. Le parole esercitano un potere di cui spesso

non siamo consapevoli. Le parole sono il mezzo principale di interpretazione

della realtà ed etichettare in un certo modo la nostra esperienza cambia

automaticamente le sensazioni prodotte su di noi. Descrivere una vacanza

con espressioni come “meravigliosa”, “emozionante” ci fa vivere sensazioni

diverse da quelle che proveremmo se ci limitassimo a definirla “carina”.

Con le parole comunichiamo i nostri stati d’animo, le nostre idee, le nostre

convinzioni agli altri, ma anche e soprattutto a noi stessi. Le cose che ci

diciamo costantemente e intensamente poco per volta diventano la nostra

realtà. Insomma le nostre parole possono esercitare un vero e proprio potere

ipnotico su di noi. “Se l’è detto così tante volte che ha cominciato a crederci”

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Non è solo un modo di dire, ma ciò che accade veramente! Se diamo

continuamente a noi stessi messaggi del tipo “sono brutto”, “non sono

capace”, “questa cosa non fa per me!”, abbinando a queste affermazioni

intense emozioni, tutto questo inizierà a diventare vero e reale per noi,

perché poco per volta sarà assorbito dalla nostra mente inconscia. Da ciò si

comprende quanto sia importante diventare sempre più consapevoli del

linguaggio che utilizziamo quotidianamente.

Con le parole comunichiamo i nostri stati d’animo, le nostre idee, le nostre

convinzioni agli altri, ma anche e soprattutto a noi stessi. Le cose che ci

diciamo costantemente e intensamente poco per volta diventano realtà.

Cerchiamo di capire come funziona questo processo: il cervello umano riceve

dai cinque sensi stimoli e sensazioni. Uno dei modi più efficaci, con i quali

l’uomo dà significato a queste immagini, suoni, stimoli e sensazioni, è apporvi

delle etichette chiamate parole. Quindi poco per volta una determinata

sensazione viene etichettata come “gioia” oppure “paura” oppure

“umiliazione” ecc.. Nella pratica usiamo le parole per rappresentarci le nostre

esperienze di vita.

E poiché le parole sono il mezzo principale di interpretazione e traduzione

che abbiamo, etichettare in un certo modo la nostra esperienza cambia

automaticamente le sensazioni prodotte nel nostro sistema nervoso,

modificando di conseguenza altrettanto automaticamente la biochimica del

nostro corpo. É provato che quanto più conosciamo un argomento o una

materia, tanto più abbiamo a disposizione un vocabolario preciso e specifico.

Un esperto di computer userà una terminologia ad hoc e quindi un lessico

molto più ricco di termini informatici rispetto a chi dello stesso argomento ne

capisce poco o nulla. Il fatto che abbiamo un vocabolario più ricco per definire

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emozioni negative, ci dice che culturalmente siamo più esperti in malessere

che in benessere, in emozioni depotenzianti che in emozioni potenzianti.

Il problema è anche sociale in quanto sin da piccoli ci hanno abituati alla

cultura dell’errore, che è stata la colonna sonora dei nostri anni scolastici e

spesso della educazione dei nostri genitori.

Ci siamo di conseguenza tutti specializzati nell’ individuare gli errori,

nell’evidenziarli e nell’accusare.

Pochi si focalizzano sull’obiettivo in termini positivi, molti purtroppo si

concentrano sui problemi e non sulle soluzioni. Ed il nostro linguaggio ha

preso quella direzione, in altre parole quella della lamentela.

Prima di parlare con le persone, prima di parlare con i clienti in linea di

massima sappiamo quale sarà l’argomento da trattare. Le parole prima di

proferirle, passano all’interno del nostro sistema neurale e se non sono ben

programmate rischiano di non incidere favorevolmente.

Non è solo una questione di contenuti ma anche di forma dialettica e di gesti

che incorniciano il quadro descrittivo in modo assai importante.

Ogni persona ha un suo linguaggio, tale comunicazione difficilmente viene

espressa con la stessa modalità nostra. Pensate per un momento di parlare

con un medico e poi con un ingegnere, con un operaio, con un marinaio, con

una massaia, con un imprenditore, con un negoziante, con un militare, con un

politico, con un prete, ecc., scoprireste subito la divisa dialettica con cui

ognuno parla, financo delle parole che usano in maniera omologata al loro

ambiente.

Dunque il linguaggio verbale è molto variegato, dipende dall’emittente da cui

proviene, dall’area geografica, dalla cultura della persona ma anche dalle

convinzioni e dalla esperienza di ognuno.

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L’errore macroscopico che molti fanno è quello di rimanere agganciati sulla

propria lunghezza d’onda trascurando la postazione dell’interlocutore. Per

postazione intendo il suo “mondo”.

Per ovviare a questa manchevolezza o disattenzione leggete bene il capitolo

4°.

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Parte 3^ IL LINGUAGGIO NON VERBALE

L’atteggiamento vale più della parola.

Il primo messaggio siamo Noi.

Quando conosciamo una persona, nel giro di appena pochi secondi

generalmente avvertiamo di esserci già fatti un'idea su di lei (gentile,

accomodante, premurosa, scorbutica, bugiarda). Quali sono le informazioni

che elaboriamo così rapidamente, nonostante abbiamo scambiato poche

parole?

Anni fa, mentre preparava un programma sulla delinquenza minorile, un

giornalista intervistò il capo di una banda di giovani criminali, che

effettuavano scippi ed aggressioni per la strada. Era un ragazzo di 17 anni

dall'aria sicura. Il giornalista gli chiese come scegliesse le sue vittime, e lui

rispose che andava in cerca di persone sole, che camminavano strascicando

i piedi, con la testa bassa e lo sguardo sfuggente, e che assumevano un'aria

spaventata al solo vederlo.

Quando il giornalista gli chiese se egli sarebbe stato una vittima facile, il

ragazzo rispose senza esitazione di no, "No, con lei non ci proverei. Quando

sono entrato nella stanza, lei mi ha guardato dritto negli occhi, e poi mi ha

squadrato dalla testa ai piedi come per misurarmi, per valutare se poteva

battermi con un corpo a corpo: Con questo tipo di persone si va solo incontro

a guai."

Quell'ignorante ragazzo di strada era capace di decifrare istintivamente il

linguaggio del corpo, e capire quante probabilità aveva di riuscite nello

scippo. E tutto questo in pochi secondi.

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Solo una piccola percentuale delle impressioni che riceviamo dalle altre

persone dipende da ciò che viene detto. Gran parte della nostra

comunicazione non è verbale: consciamente o meno trasmettiamo i nostri

veri sentimenti attraverso:

- Gli occhi: il contatto visivo, la grandezza delle pupille;

- Il viso: l'espressione del viso, il movimento degli occhi;

- Il corpo: gli atteggiamenti, la posizione del corpo, il modo di camminare, i

gesti, la distanza che manteniamo, la respirazione;

- Il tono e l'enfasi della voce: la velocità del discorso, la scelta delle parole;

- Gli status symbol o altri oggetti.

Negli altri scateniamo un'insieme di reazioni emotive che vanno dal senso di

sicurezza alla paura.

Il cervello non può non "leggere" informazioni dall'insieme del comportamento

di chi ci parla, e comincia a formulare un identikit della personalità

dell'interlocutore. Secondo gli esperti tutto ciò avviene nei primi dieci secondi.

Spetta a ciascuno di noi di far sì che questa immagine di noi stessi sia quella

che desideriamo: il primo messaggio siamo noi. Nel leggere il linguaggio del corpo non si deve considerare un solo dettaglio e

trarre troppe conseguenze da esso: per avere una impressione

ragionevolmente veritiera di un'altra persona nell'analizzare il suo linguaggio

del corpo bisogna provare a captare l'insieme dei segnali e trovarne almeno

tre che puntano concordemente in una medesima direzione.

Alcune regole del linguaggio del corpo assumono particolari caratteristiche a

seconda della nazionalità e della cultura delle persone.

Ad esempio:

- Gli scozzesi mentre parlano generalmente mantengono una maggiore

distanza tra di loro rispetto agli italiani; invece Arabi e Greci tengono una

posizione molto ravvicinata;

E – Book per agenti Rappresentanti di commercio

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- In certe parti del mondo latino è convenzione che le giovani donne

debbano abbassare gli occhi quando parlano a un uomo; il contatto con

gli occhi verrebbe considerato un invito ad una maggiore intimità: in molti

altri paesi del mondo l'abbassare gli occhi è segno di insicurezza,

instabilità o incapacità;

- In alcuni paesi è piuttosto comune ed accettabile che buoni amici di sesso

maschile possano camminare mano nella mano: in altre nazioni questo è

consentito solo alle donne ed alle coppie.

Il linguaggio del corpo conscio ed inconscio

Linguaggio conscio:

- agitare il pugno: minaccia

- alzare una mano: indica che si vorrebbe parlare

- un dito alle labbra: fare silenzio

- additare l'orologio: è ora di terminare

- portare la mano dietro all'orecchio: indica di parlare più forte.

Linguaggio inconscio:

- toccarsi il naso o la bocca: incertezza

- battere le palpebre frequentemente: disattenzione;

- batterle di rado: interesse

- dilatazione delle pupille: interesse, onestà o emozione

In particolare, questo ultimo aspetto può essere influenzato da alcuni altri

fattori: poca luce, rilassamento.

Viceversa la contrazione della pupilla può dipendere da molta luce, fatica o

stress, postumi di ubriachezza. La dimensione della pupilla inoltre può essere

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maggiore o minore per costituzione fisica. Per leggere le reazioni

dell'interlocutore vanno quindi osservati più elementi.

La posizione della testa e delle spalle

- testa alta: apertura, interesse, atteggiamento vincente, padronanza della

situazione.

- testa bassa: dubbio, sconfitta, disprezzo, paura, insicurezza.

- testa inclinata da un lato: può indicare interesse, curiosità, oppure

desiderio di interessare persone dell'altro sesso.

- spalle contratte: tensione

La posizione del corpo

- posizione eretta: padronanza della situazione, conoscenza del proprio

lavoro, nulla da nascondere

- posizione inclinata in avanti: tentativo di dominare gli altri, o tentativo di

sottolineare con insistenza una determinata affermazione

- posizione inclinata all'indietro: atteggiamento sulla difensiva o reticente.

Tutte queste posizioni indicano un segnale chiaro, in cui vi è accordo tra

pensieri e parole.

Le seguenti sono invece atteggiamenti più complessi:

- posizione con busto incurvato in avanti: posizione adottata spesso da

persone di statura alta, consapevoli della loro statura. É anche la postura

di chi è indolente e poco interessato.

- posizione con petto in avanti: posizione adottata spesso da persone di

statura bassa, che inconsciamente tentano di darsi importanza. È anche

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l'atteggiamento di chi ha un limitato potere, ma cerca di farsi credere più

importante.

- posizione leggermente incurvata in avanti, fianchi all'indietro: premura e

consiglio, amicizia. È la posizione tipica di un cameriere molto riverente o

di un impiegato di fronte alla porta del direttore mentre sta per entrare e

chiedere qualcosa, o di qualcuno mentre dà un bacio in segno di pura

amicizia.

- posizione leggermente incurvata all'indietro, con fianchi in avanti:

timidezza, oppure insieme incertezza ed amicizia.

Si può essere capaci di interpretare il linguaggio del corpo degli altri, anche

messaggi più nascosti, di tipo sociale, emotivo o sessuale, ma è cosa ben

diversa saper padroneggiare il proprio linguaggio del corpo, dare risalto al

messaggio che si vuole dare, e in definitiva riuscire a dare di sé l'impressione

desiderata.

Sintesi schematica

x Togliere la polvere dal vestito: RIFIUTO

x Strofinare il dito sotto il naso: SOSPETTO

x Grattarsi il naso: INCERTEZZA

x Grattarsi le mani: DISORIENTAMENTO

x Grattarsi gli angoli degli occhi: CONFLITTO

x Battere le palpebre frequentemente: DISATTENZIONE

x Batterle di rado: ATTENZIONE

x Dilatazione delle pupille: INTERESSE

x Bocca aperta-dita sui denti: ANSIETA’ x Sguardo fisso: DOMINIO

x Gesticolazione morbida e simmetrica: ARMONIA

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x Braccia conserte: CHIUSURA

x Gambe accavallate: GRADIMENTO

x Gambe accavallate con mano sulla caviglia: AUTOPROTEZIONE

x Braccia dietro la schiena: DISACCORDO

x Accarezzarsi il mento: RIFLESSIONE

x Evitare lo sguardo: INSICUREZZA

x Contatto visivo, mano sul cuore: SINCERITA’

x Cambiare continuamente posizione: ANSIETA’ x Respiro affannoso, sbuffate: APPRENSIONE

x Bocca chiusa, mascelle serrate: RABBIA

x Mani incrociate: SOTTOMISSIONE

x Alzare le sopracciglia: SORPRESA PIACEVOLE

x Postura opposta: ANTIPATIA

x Postura sincrona: SIMPATIA

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Parte 4^ PROGRAMMAZIONE NEURO LINGUISTICA

& Intelligenza emotiva

Ognuno di noi vorrebbe sentirsi

dire dagli altri ciò che vorrebbe essere

x Avete mai desiderato conoscere maggiormente voi stessi e le vostre

potenzialità?

x Imparare ad utilizzare la comunicazione efficacemente?

x Creare relazioni soddisfacenti?

Esistono tecniche che vi possono aiutare in tale percorso.

Questa parte dell’e-book ha come obiettivo far conoscere un sapere che

potrà accompagnarvi per sempre, un'esperienza personale per rinforzare il

corpo e la mente.

Ognuno di noi merita il meglio; ed è importante che effettuiamo delle scelte in

tal senso.

La cosa straordinaria è che possiamo scegliere tra “vivere veramente” o

semplicemente “vivere” lasciandoci trasportare dagli avvenimenti. E le

discipline presentate qui, sono nate per aiutarvi a raggiungere i vostri risultati,

ed a capire il vostro “voi stessi” più profondo!

"Quello che sono oggi è indice di quello che ho imparato, non di quello

che è il mio potenziale"

(Virginia Satir)

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Vi è mai capitato di essere sicuri di voi stessi, fino al punto di essere felice

perché vi sentite padroni della vostra vita ed artefici delle situazioni di

successo che create intorno a voi?

Questo è uno stato di eccellenza, che siete voi stessi a crearvi, anche se non

sapete ancora come.

Quello che Vi dico rappresenta una metodologia per poter scoprire la

struttura dietro questa esperienza, e poterla ricreare. É possibile creare

un'ingegneria degli stati emozionali, in modo che in ogni momento, si possa

utilizzare lo stato più opportuno. Parliamo della P.N.L. (Programmazione

Neuro Linguistica) per darvi le metodologie adatte affinchè si attuino in voi

continui processi di crescita e consapevolezza alfine di rafforzare il coraggio

e la volontà di trovare la fiducia in voi e agire di conseguenza.

Vivere "realmente" può in tale prospettiva essere una scelta e non un caso.

C'e un elevato numero di persone che lascia correre la propria mente

all'impazzata, trascorrendo molto tempo ad avere esperienze che

preferirebbe evitare. É necessario rendersi conto che il cervello diviene così

una "stanza" talmente piena di "chiaccherio" che le soluzioni hanno difficoltà

ad entrare per mancanza di spazio. É sicuramente utile pensare ai problemi

per risolverli, ma al contempo è anche utile iniziare a formare delle strategie

alternative per riuscire ad evitare che si riformino.

"Le difficoltà sono il fuoco che formano il nostro carattere" (Anthony

Robbins)

E – Book per agenti Rappresentanti di commercio

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La frase precedente può significare che ogni volta che ci troviamo di fronte ad

un problema, possiamo individuare la strategia più efficace per affrontare la

situazione.

Quelle che prima chiamavamo "difficoltà" diventano allora un'opportunità per

modellarci, migliorarci, un invito ad agire!

In ogni momento di difficoltà poniamoci la domanda: come questo momento

potrà aiutarmi a crescere maggiormente? Questa domanda è la strada per

incominciare ad utilizzare nuovi modi di comportamento ed imparare ad

interagire meglio con le nostre emozioni.

“Nella scrittura cinese la parola crisi è formata da due ideogrammi, il

primo significa pericolo, il secondo opportunità”

Quanto siamo padroni del nostro pensare?

Molte persone sono prigioniere delle loro abitudini ed è come se fossero

incatenate all'ultimo sedile dell' "Autobus", con qualcun altro al volante. Ma

chi è questo qualcun altro? Sono le nostre reazioni, i nostri programmi

inconsci. Dobbiamo essere noi a guidare il nostro "Autobus personale". Se

non diamo qualche indicazione corriamo il rischio che, o viaggerà a casaccio

per conto proprio oppure altre persone troveranno il modo di dirigerlo al posto

vostro. La P.N.L. così come altre discipline, rappresenta un'opportunità per

imparare ad utilizzare il pensiero in modo più funzionale, perché la

programmazione neurolinguistica non è altro che un processo educativo del

pensiero.

Immaginiamo ora che il nostro cervello sia una macchina alla quale manchi

un interruttore con la posizione di spento. Se non gli si da qualcosa da fare

continua a girare e alla fine si annoia! Quante volte siamo stati ossessionati

da qualche pensiero o da situazioni che avremmo voluto risolvere? Dite a voi

E – Book per agenti Rappresentanti di commercio

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stessi: "Vorrei riuscire a scacciarlo dalla testa". Riflettete sulla straordinaria

capacità che avete avuto nel riuscire a mettercelo! Il mio punto di vista è che

la nostra mente è qualcosa di fenomenale, riesce a fare cose stupefacenti, ed

il problema è spesso non che non possa imparare ma che impara bene e

troppo in fretta. Ad esempio, un singolo avvenimento traumatico rischia di

condizionarci per anni; in altre parole una singola esperienza può lasciare

una traccia indelebile.

Ma in realtà si può andare oltre ed essere liberi da questi condizionamenti

automatici: e le nostre capacità possono essere educate ad andare verso uno

stato che ci arrechi soddisfazioni. Le discipline sulle quali sono basate le mie

considerazioni, sono il frutto delle più recenti ricerche sull'animo umano, e

possono portarvi utili elementi per affrontare la vita personale e quella

lavorativa con successo.

Bisogni e dove trovare le risorse adeguate

Se interroghiamo varie persone scopriamo che i bisogni più diffusi sono:

Voglia di sicurezza economica; Necessità di essere amati; Necessità di

conoscersi meglio e migliorare il rapporto con se stessi; Necessità di aprirsi

agli altri e farsi capire; Voglia di concretezza; Voglia di successo; Voglia di

autostima;

É importante realizzare che tutto quello che è necessario per soddisfare

questi bisogni ed essere delle persone di successo è dentro di noi. C'è solo

una persona che può decidere di iniziare la strada: Voi! Se riflettete sulla

frase che "il pensiero è l'antenato dell'azione" arriverete alla piacevole

conclusione, che “la qualità della vostra vita dipende esclusivamente da voi!”

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"La vita può essere un'audace avventura oppure il niente! " (Helen

Keller)

E a questo punto parliamo di P.N.L. Ma cosa è la Programmazione Neuro Linguistica?

É lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva. Nata negli anni 70 da un

progetto universitario condotto da Richard Bandler e John Grinder i quali

attraverso la linguistica, la matematica e la cibernetica elaborarono modelli su

base comunicativa facendo perno sul concetto di “Osservabilità”. In questo

senso la P.N.L., presenta un carattere estremamente pragmatico,

proponendo modelli che traggono validità dalla loro efficacia piuttosto che da

un substrato puramente teorico.

Scomponendo il nome P.N.L. possiamo individuarne le tre componenti

principali.

x Programmazione, ossia lavoro mentale che avviene nell’individuo nel

momento in cui riceve un’ informazione.

x Neuro, perché l’esperienza è filtrata ed elaborata dal nostro sistema

nervoso attraverso i cinque sensi.

x Linguistica, ovvero risposta agli stimoli ricevuti o affiorati internamente,

per cui avviene la relazione con l’esterno in modo verbale e non verbale.

É quindi evidente che percependo il mondo attraverso i cinque sensi, ogni

persona percepisce ed elabora le esperienze in modo diverso da un’altra.

Una volta ottenute tutte le informazioni si attua un processo interno di

elaborazione mentale che è composto dalle rappresentazioni mentali di

quello che si è percepito. Tali rappresentazioni influenzeranno valori e

E – Book per agenti Rappresentanti di commercio

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convinzioni che a loro volta innescheranno uno stato interno strutturato da

emozioni, sentimenti, sensazioni che formano i programmi mentali

(metaprogrammi) ossia strategie delle persone ancora sotto forma di

rappresentazioni mentali.

A seguito di questo lavoro interno ognuno di noi risponde agli stimoli con un

proprio linguaggio che può essere di due tipi: verbale e non verbale. Il

linguaggio non verbale essendo immediato, inconscio, automatico e

simbolico ha molta importanza e rappresenta spesso la strada per giungere

ad un’effettiva e vera comunicazione.

“Il segreto per arrivare ad una vita riuscita è dentro di te!”

La P.N.L. e le tecniche orientate sulla soluzione, sono quindi procedure per

sviluppare le potenzialità umane. Potrei iniziare con il dare una spiegazione

tecnica della programmazione neurolinguistica; è opportuno dire innanzitutto

che la P.N.L. originaria nasce come esigenza per organizzare il nostro

pensiero, per scoprire e ottimizzare le strategie che utilizziamo per lavorare,

conoscere, amare e vivere! Se diventiamo consapevoli dei nostri modelli

comportamentali e dei nostri programmi inconsci, siamo anche in condizione

di modificarli come desideriamo. La P.N.L. in definitiva fornisce dei metodi

che vi mostrano il “come” del lavoro di trasformazione.

“Il problema non è il problema, ma il modo con cui ci rapportiamo ad esso!”

Parlare di P.N.L. equivale a parlare di creatività, imparare un nuovo modo di

affrontare la vita in tutte le sue sfaccettature, diventarne protagonisti e artefici.

Il termine può dare l’impressione di qualcosa di freddo e tecnico, invece tutto

ciò che c’e dietro queste tre semplicissimi iniziali dà un significato e una

E – Book per agenti Rappresentanti di commercio

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corposità alla nostra esistenza che può diventare un susseguirsi di conquiste,

successi, emozioni autentiche e soprattutto ci da l’opportunità di vivere senza

la necessità di identificarci con quello che c’è al di fuori di noi e che non ci

appartiene. Quello che propongo è un viaggio guidato all’interno di noi stessi,

per sfruttare effettivamente ed al massimo il potenziale che possediamo.

Vivere con gioia, creatività, esperienze, conoscenze, successo personale.

La P.N.L. è attiva in Italia dall’inizio degli anni 80, i suoi principi comunicativi

ormai ampiamente sperimentati trovano applicazione in campo terapeutico

(medicina e psicologia), nell’ambito educativo e formativo ( insegnamento

scolastico, formazione professionale, leadership, management, analisi dei

ruoli, analisi organizzative, selezione del personale, sistemi di processo volti

alla qualità), servizi (marketing, pubblicità, rapporti con la clientela),

commerciale (negoziazione, vendita, post vendita).

Nel momento in cui ci si avvicina ad una disciplina motivazionale è

necessario essere spinti da un forte desiderio di partecipazione alla vita e

curiosità verso l’esplorazione del nuovo, avere la voglia di cimentarsi in

qualcosa di inesplorato per raggiungere e vivere i nostri sogni. Quanti di voi

hanno dei progetti e sono bloccati dalla paura del fallimento di non riuscire

pensando subito a tutte le difficoltà che incontrerebbero? Questo

atteggiamento rischia di essere controproducente.

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Noi siamo la prima difficoltà che dobbiamo superare in quanto per la

maggioranza delle persone

“La paura di perdere è più forte della voglia di vincere”

Dovete focalizzarvi sul risultato che volete ottenere e dedicare ai vostri

progetti tutta l’energia che potete espandere. Molti pensano che la P.N.L. sia

semplicemente un insieme di tecniche, invece è lo studio e il modellamento

delle strategie di successo animate da un pensiero positivo vincente delle

persone che hanno raggiunto grandi traguardi in tutti gli ambiti della loro vita.

“L’Effetto Pigmalione”

Alcune persone sembrano perseguitate dalla sfortuna nei rapporti con gli altri:

si ritrovano con partner fedifraghi, amici ipocriti, datori di lavoro con un

carattere impossibile e colleghi arrivisti e pettegoli. Esiste una spiegazione

scientifica per questo sconcertante fenomeno?

Gli psicologi hanno scoperto che la gente viene trattata dagli altri come si

aspetta di essere trattata. In altre parole, chi si aspetta di venire imbrogliato

viene spesso truffato, chi vive nel timore di essere abbandonato, viene

spesso lasciato, chi si aspetta di essere tradito trova partner infedeli, chi

pensa che i clienti non comprano non venderà mai nulla !!. Gli psicologi

hanno denominato questa correlazione, effetto "Pigmalione".

In una scuola elementare della California, Rosenthal, un famoso ricercatore

nell'ambito della psicologia sociale, sottopose agli alunni ad un test di

intelligenza. Prese un campione a caso di ragazzini e disse alle loro

insegnanti che si trattava di bambini molto dotati, destinati a progredire

intellettualmente in modo impressionante. Dopo un anno, Rosenthal ripassò

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nella stessa scuola e le maestre si congratularono con lui per la sorprendete

capacità predittiva del test: gli alunni elencati si erano effettivamente

dimostrati i migliori della classe! E non si trattava di un’ impressione delle

insegnanti, i ragazzini in questione erano

migliorati in modo eclatante.

La spiegazione degli psicologi è che le nostre aspettative possono

influenzare radicalmente le nostre relazioni con gli altri. In questo caso, le

insegnanti credendo nelle possibilità dei ragazzini, si comportavano con loro

in modo più incoraggiante e stimolante di quanto non avrebbero fatto

normalmente. E i bambini reagirono, positivamente all'atteggiamento

incoraggiante e alle aspettative positive delle maestre, impegnandosi di più

nello studio e mostrando un maggior interesse verso la scuola.

L'atteggiamento aperto e stimolante delle insegnanti aveva contribuito a

sviluppare nei bambini doti e capacità che erano rimaste fino a quel momento

in ombra.

Ma l'effetto Pigmalione non si verifica solo nelle relazioni fra genitore e figlio o

fra insegnante e alunno, ma in tutti i rapporti umani di qualsiasi natura siano.

Per capire meglio come funziona l'effetto Pigmalione, vi chiedo di fare un

piccolo esercizio di immaginazione.

Immaginate di lavorare per due datori di lavoro diversi: il datore di lavoro A e

B. Il datore di lavoro “A” ha avuto delle esperienze negative con i suoi

precedenti impiegati, di conseguenza, vuole stare attento a non farsi

raggirare di nuovo. É convinto di non potersi aspettare più di tanto, pensa che

i giovani siano tutti degli inetti, senza voglia di lavorare.

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Di fatto non si fida abbastanza di voi per darvi qualche mansione

commerciale interessante, vi rifila soltanto compiti poco qualificanti.

Convinto com’è dal fatto che possiate battere la fiacca in ufficio o nel nostro

caso nelle vendite, vi sorveglia con rassegnazione, senza darvi il minimo

spazio di autonomia personale. In più, non ha stima di voi e non perde

occasione per farvelo capire, rimproverandovi per piccolezze. Dopo qualche

mese di questo trattamento, con quale stato d'animo andreste in ufficio o dai

clienti al mattino? Probabilmente comincereste a sentirvi demotivati, a

perdere qualsiasi interesse verso il vostro lavoro e a comportarvi di

conseguenza, trasformandovi in un impiegato pigro o in un venditore poco

brillante. Quindi, nel giro di qualche mese, le fosche previsioni del datore di

lavoro A sarebbero confermate.

Il datore di lavoro “B”, è per sua natura un ottimista. Si aspetta molto da voi,

ma non vi chiede l' impossibile, sa che farete degli errori, ma sa che questi

rientrano nel vostro processo di apprendimento. Vi lascia un ampio margine

di autonomia, ma allo stesso tempo è sempre a disposizione per darvi

suggerimenti e chiarimenti. Sa notare i vostri progressi e voi sentite che il

vostro lavoro viene riconosciuto e valorizzato anche dal punto di vista

economico.

Con quale datore di lavoro lavorereste di più? Probabilmente, produrreste di

più con il secondo datore di lavoro, anche se questi non vi controlla in

continuazione come faceva il primo capo. Inoltre, paragonando i due datori di

lavoro, capireste come mai uno trovi sempre impiegati o personale

commerciale che alla fine si rivelano dei grandi lazzaroni, e l'altro trovi,

invece, dei bravi collaboratori.

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Paure che si autoavverano.

Alcune persone, per una serie di esperienze negative che hanno avuto un

impatto molto doloroso sulla loro psiche, vivono le relazioni con gli altri con

una punta di sfiducia e di diffidenza. Tendono ad aspettarsi sempre il peggio

e sentono che gli altri prima o poi finiranno per deluderli, per tradirli o per

abbandonarli.

Questo tipo di persona per evitare possibili delusioni, mettono in atto più o

meno inconsciamente, una serie di strategie difensive per evitare che l'altro si

comporti nel modo temuto. Le strategie psicologiche messe in atto sono

diverse e vanno dal controllo dell'altro, alla continua richiesta di rassicurazioni

affettive, al comportamento aggressivo della persona che attacca per non

essere attaccata. Purtroppo questi comportamenti, spesso, si rivelano

controproducenti: l'altra persona sente che non è stimata e che non ci si fida

di lei e tende a reagire di conseguenza.

Un esempio chiarirà meglio quello che intendo. Prendiamo l'ipotetico caso di

una ragazza con poca autostima che chiameremo Marta.

Marta si considera poco interessante e, anche se è felicemente fidanzata,

"sente" che il suo ragazzo prima o poi si stancherà di lei, come hanno fatto i

suoi precedenti fidanzati. Marta, quindi, vive nel timore dell' abbandono e

questo timore le fa interpretare ogni momento di autonomia del suo fidanzato

come un allontanamento. In altra parole, tutte le volte che il suo ragazzo

vuole uscire con gli amici, o guardare la partita, Marta interpreta questi fatti

come la prova che il suo ragazzo stia già cominciando a stancarsi di lei.

Dal momento che Marta è insicura, tormenta in continuazione il suo ragazzo

per sapere se lui la trova grassa, se l'ama, se la pensa, se non rimpiange la

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sua ex. Purtroppo anche se il suo ragazzo la rassicura, dicendole che è molto

innamorato, Marta continua a non fidarsi e a credere che prima o poi, lui finirà

per stancarsi. Alla fine, grazie ai suoi atteggiamenti appiccicosi e soffocanti,

le sue peggiori paure si avvereranno: il suo ragazzo finirà per stancarsi di

stare con una partner tanto insicura e apprensiva.

Siamo più grandi di quanto pensiamo di essere

Un esempio di questa grandezza è stato lo psichiatra americano Milton

Erickson che, nonostante fosse portatore di handicap, era un inno alla vita,

riuscì a potenziare la poca sensibilità sana per aver maggiore capacità di

contatto con gli altri, arrivando ad essere il miglior comunicatore del suo

tempo, benché avesse difficoltà anche a parlare. Egli credeva nella vita,

nell’amore visto da lui come un grande valore che unito a passione e

positività sono le condizioni massime per imparare nel modo migliore la

P.N.L.. Le menti che lavorano bene sono quelle che producono risultati

soddisfacenti anche ben visibili agli altri!

La P.N.L. nasce soprattutto dalla comprensione condotta ad opera di un

gruppo di studio presso l’università di Santa Cruz (California) delle strategie

utilizzate da molti comunicatori di successo, ed il modellamento di M.

Erickson ha in questo sviluppo un ruolo fondamentale. Siamo noi che,

essendo cresciuti e nati in una cultura che considera la vita una “valle di

lacrime”, pensiamo che nel momento in cui ci capita qualcosa di piacevole è

merito della fortuna. La vita piatta, senza emozioni o avvenimenti da ricordare

è considerata quella normale e con questa convinzione così diffusa diventa

logico che l’esistenza trascorra in questo “piattume”.

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Il cervello è organizzato per imparare e l’energia segue i pensieri. Oppure

alternativamente, ci facciamo condurre tra l’euforia e la tristezza quando in

realtà siamo noi i padroni del nostro modo di pensare. Mettete pensieri

positivi ed eccitanti se volete avere una vita gioiosa e stimolante! Mettete

pensieri negativi nella vostra testa e vi tirerete indietro una vita piena di guai e

lamentele.

La P.N.L. è anche un’attitudine: un modo di essere ottimista, vincente,

insegna a trasformare ciò che ci impedisce di progredire, trasformando le

difficoltà in opportunità per avanzare. Aiuta a concentrarsi sugli obiettivi e

trovare la giusta via per raggiungerli, aumenta l’autostima volgendo in

positivo le immagini interiori e le sensazioni. Dispiega in tutta la sua forza il

potenziale che è in ognuno di noi ma che spesso ignoriamo. Aiuta a

migliorare il nostro rapporto con gli altri perché ci mette nelle condizioni di

osservare meglio e capire profondamente il nostro interlocutore.

Instant rapport

Il “rapport” è il processo attraverso il quale si stabilisce e si mantiene un buon

rapporto interpersonale di reciproca fiducia e accordo. Al contempo è un

momento responsabile e delicato di considerazione. Ogni giorno ci troviamo

in situazioni nelle quali instauriamo rapporti con chi ci circonda.

Chiamiamo quindi “instant rapport” una tecnica che raccoglie metodologie ed

approcci utili per creare tale stato mentale. L’instant rapport si spinge ad

analizzare le cause per le quali il rapporto può non essere a volte facile:

credenze ed attitudini limitative.

Le applicazioni dell’ ”instant Rapport” sono anche terapeutiche, in quanto

molti problemi derivano da problemi di relazione.

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In alcuni casi il rapport avviene spontaneamente, si crea quella sintonia, quel

feeling quasi misterioso. Gli studi, condotti su di una serie di

videoregistrazioni, hanno dimostrato che in realtà si sono attivati dei

meccanismi inconsci che hanno a livello subliminale creato quella fiducia e

sintonia immediata. Ad esempio, sicuramente vi sarà capitato di conoscere

una persona e, pur senza sapere niente di lei, avete fatto affermazioni del

tipo: “Mi è antipatico, è una questione epidermica” oppure “anche se la

conosco da poco ci sto bene”.

Questo avviene quando il rapport si innesca spontaneamente e quindi ci

troveremo di fronte a persone che inconsciamente eseguiranno gli stessi

nostri movimenti del corpo, stessa gestualità, stessa andatura durante una

camminata, oppure l’esatto contrario, quello che in PNL prende il nome di

“Rispecchiamento” (Mirror) tecnica che si utilizza quando il rapport lo si

vuole creare.

Il “rispecchiamento” è una delle tecniche più semplici ed al contempo il punto

di partenza per mettersi sulla stessa frequenza del nostro interlocutore ed

entrare in un rapporto positivo con lui. Potremmo dire che nelle relazioni con i

nostri interlocutori è necessario procedere allo stesso “Ritmo”. (Più o meno

come fanno due ballerini quando danzano in coppia)

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Non tutti sono aperti caratterialmente o mentalmente per accettare subito di

entrare in sintonia con uno sconosciuto, questo a causa magari di esperienze

passate, di stati d’animo del momento e ciò a volte porta tempi lunghi per

accettare un dialogo sereno con un’altra persona. Possiamo quindi decidere

di accelerare questi tempi utilizzando la tecnica del rispecchiamento e creare

un rapport empatico positivo.

È importante entrare nel mondo dell’altro, se lo si vuole portare nel

nostro

Quando si stabilisce quella speciale intesa tra due perone, l’uno sarà portato

inconsciamente e più facilmente a rispondere in modo positivo agli stimoli

dell’altro.

Attraverso il rispecchiamento rimandiamo all’interlocutore, con il nostro

atteggiamento, lo stesso comportamento che appartiene al suo modello del

mondo.

Si diventa uno lo specchio dell’altro, ad esempio: le gambe accavallate

durante un discorso; le dita delle mani intrecciate tra loro, fino ad arrivare al

tono di voce e alla respirazione che è uno dei rispecchiamenti più potenti,

basti pensare al neonato che si addormenta fra le braccia della madre perché

il suo respiro lo rassicura. Tutto ciò verrà percepito dall’inconscio del nostro

interlocutore come somiglianza, affinità. É impressionante come possano

essere abbattuti i “muri di freddezza” se si impara ad ascoltare, osservare e

sentire l’altro insomma a capirlo.

Rispecchiare vuol dire entrare in sintonia con rispetto e delicatezza senza

cadere nell’invadenza o infastidire.

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Questa tecnica ha il vantaggio di creare rapport, senza necessariamente

conoscere il vissuto dell’individuo ne condividerlo. La padronanza di

quest’abilità potrà ad esempio incidere positivamente su un colloquio di

vendita, o su di una semplice discussione.

Alcuni esempi di elementi da rispecchiare sono:

� La postura: É rigido o rilassato? Il corpo è in avanti o indietro? Come

sono disposte le mani, le braccia e le gambe?

� Respirazione: La sua respirazione è toracica o addominale? Il ritmo è

lento veloce o tranquillo? Con che intensità respira? (profondi o leggeri?)

� Movimenti: Qual è la sua gestualità? Come tiene le mani? Come muove

la testa?

� Il modo di parlare: il tono è basso o squillante? Che ritmo di voce ha?

Con che velocità parla?

Nel caso si volesse instaurare un rapport a lungo termine bisognerà

individuare le cose importanti per una persona, ossia i suoi valori.

Una cosa da tener presente è quella di evitare di affrontare discorsi che

possano portare divergenze di opinioni prima di aver instaurato un buon

rapport, altrimenti la rottura dello stesso sarà inevitabile. Altra cosa

importante è che nel momento in cui subentra la conversazione e quindi la

comunicazione verbale bisogna eliminare i termini negativi o meglio dette

negazioni, perché rischiamo di mandare il messaggio contrario a quello che si

vorrebbe. Questo sia che si tratti di una conversazione normale che durante

visite finalizzare alla vendita di prodotti o servizi.

Esempio: Non voglio pensarci! Il nostro cervello decodificherà il messaggio

come “voglio pensarci!”

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Una volta stabilito il rapport con la C.N.V. (Comunicazione Non Verbale) è

necessario stare attenti al nostro linguaggio, non dando alla nostra lingua la

possibilità di andare oltre il nostro reale pensiero, raffinando il nostro

linguaggio per renderlo congruente a quello che vogliamo trasmettere.

Un successivo livello consiste anche nel cercare di comprendere quale è il

tipo di cambiamento interiore che ci può più aiutare a mantenere “rapport”.

Infatti, ad una conoscenza delle gestualità esteriori è necessario aggiungere

una conoscenza della propria realtà interiore, di modo da rendere

l’acquisizione di queste più facile.

I segni che manifestano attenzione, interesse, gradimento

Stabilito un buon grado di feeling possiamo andare a comunicare ciò che ci

interessa. Ma come capire se, dopo aver creato questa sintonia, sto

procedendo in maniera corretta?

Una comunicazione efficace dovrebbe suscitare dapprima attenzione, poi

interesse, quindi gradimento.

Comprendo se sto ottenendo questi passaggi se guido il mio interlocutore e

dunque questo mi rispecchia a sua volta per quanto riguarda l’atteggiamento

verbale e non. Ma ci sono specifici gesti inconsci che possono rivelarmi

moltissimo a questo proposito. Naturalmente tutti questi gesti sono indizi che

andranno valutati con un po’ di prudenza, prendendoli in considerazione non

singolarmente e facendo attenzione alla persona e al contesto che ho di

fronte.

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Intanto possiamo dire che ad ognuno di questi livelli è collegata una parte del

viso. L’attenzione può esprimersi all’altezza di occhi (attenzione visiva) o di

orecchi (ad esempio porgere l’orecchio). L’interesse è legato al senso

dell’olfatto, dunque al naso. Il gradimento è maggiormente legato al gusto,

dunque alla zona della bocca, alle labbra, alla lingua. Spesso anche nel

linguaggio verbale, il gradimento si esprime con termini che fanno riferimento

alla sfera del gusto.

C’è poi da evidenziare una differenza tra parte destra e parte sinistra del

corpo: la prima indica se stessi; la seconda fa riferimento all’ambiente

esterno. Certamente non solo il viso, ma tutto il corpo manifesta i pensieri

interni della persona.

Ecco una lista di possibili indizi.

Gli occhi: Grattarsi o massaggiarsi l’occhio sinistro o gli angoli indica che la

persona non ha capito bene l’argomento trattato poiché chi parlava è stato

poco chiaro. Se invece gratta o massaggia l’occhio destro non capisce il tema

del discorso per motivi che sono legati a se stesso.

La zona della bocca: Bacio analogico: la persona arriccia leggermente le

labbra, imitando inconsapevolmente il gesto di un bacio: ciò indica

gradimento verso il tema del discorso o la persona che parla. Un alto

gradimento viene espresso dall’accarezzamento delle labbra con le dita o il

dorso della mano così come dal linguino: la rotazione della lingua sulle labbra

o la sua semplice esposizione. Stesso valore, con una sfumatura anche

sessuale, può darsi nella suzione del dito o di un oggetto. Gradimento indica

anche il mordicchiamento delle labbra, con una differenza però tra labbro

inferiore e quello superiore: il primo indica una carenza di tipo affettivo nella

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persona che comunica come l’altro potrebbe potenzialmente compensarla; lo

stesso gesto sul labbro superiore invece denota una carenza di tipo sessuale:

la persona che parla o l’argomento trattato suscita pulsioni sessuali.

Il naso: Sfregare con le dita la punta del naso indica rifiuto. Grattarsi o

massaggiarsi il lato destro del naso esprime insicurezza derivante da sé;

l’insicurezza derivante dall’ambiente esterno è invece legata al lato sinistro

del naso. Toccarsi semplicemente la punta del naso manifesta invece

interesse.

La collana: Giocare con la collana manifesta una carenza di tipo affettivo-

sessuale, messaggio più intenso se la persona succhia e “mordicchia” il

pendaglio della stessa collana.

I piedi: La punta del piede sinistro alzata (con tallone a terra) indica che

l’interlocutore preferisce far parlare noi. Stesso gesto con il piede destro

manifesta invece volontà di prendere la parola. Il piede destro puntato verso

una persona esprime interesse per quella. Se il piede non è puntato verso

nessuno oppure viene puntato verso la porta della stanza, allora il soggetto

ha molto probabilmente una gran voglia di andarsene.

Il busto: Busto e corpo in avanti manifestano interesse per l’argomento

trattato. Il corpo spostato all’indietro è invece un modo per prendere le

distanze dall’argomento o dalla persona.

I Sistemi rappresentazionali

Le persone, come abbiamo detto precedentemente, ricevono e

rappresentano le informazioni dal e sul loro ambiente attraverso ricettori

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specializzati e organi di senso, dislocati lungo tutto il loro sistema nervoso. I

sistemi rappresentazionali sono processi sensoriali che danno origine e

regolano il comportamento. Come già accennato, ognuno di noi traduce ed

interpreta la propria realtà attraverso le immagini, i suoni, odori, gusti e

sapori.

Queste modalità rientrano in tre categorie:

VISIVO (V) – AUDITIVO (A) – CINESTESICO (K)

I canali dell’olfatto e del gusto vengono assimilati al canale cinestesico, del

quale fanno parte anche le sensazioni tattili e i segnali propriocettivi o

viscerali (sensazioni interne).

Maturando, impariamo ad impiegare e valutare l’informazione che ci giunge

tramite un singolo sistema o tramite una combinazione di sistemi, per

affrontare e dare significato ai diversi contesti del nostro ambiente sensoriale.

Dunque siamo portati ad utilizzare e ad affidarci a diversi tipi d’informazione

sensoriale per organizzare la nostra esperienza a livello trascontestuale.

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Ad esempio, il bambino imparerà a prestare attenzione e ad operare

distinzioni tra parti diverse della propria esperienza sensoriale se i genitori gli

danno una matita ed un foglio di carta e gli insegnano a disegnare, o se gli

danno un pallone o un violino. Se un gran numero di altri fattori nell’ambiente

interno (cause genetiche) o esterno (cause socioambientali) del bambino

dirigono la sua attenzione verso l’informazione ricevuta attraverso un

particolare canale sensoriale, accade che egli sarà condizionato ad affidarsi a

quel tipo di informazione anche in situazioni nuove nelle quali sarebbe più

vantaggioso prestare attenzione ad informazioni provenienti da canali

sensoriali diversi. Dunque se ogni individuo concepisce, traduce ed interpreta

tutte le esperienze della vita attraverso le sue rappresentazioni sensoriali, si

formerà in esso una propria “mappa” del mondo e della realtà in modo del

tutto personale, condizionando il suo pensiero, le sue scelte e quindi il proprio

comportamento.

Il Sistema Visivo

Le caratteristiche indicate di seguito sono tipiche dei tipi visivi, o delle

persone che accedono al canale Visivo.

¾ Postura del corpo e tono muscolare: Portamento eretto (testa tra le

nuvole). Le spalle sono alzate ed il collo proteso. Tensione muscolare

nelle spalle, nel collo e spesso nell’addome.

¾ Posizione del capo: In alto.

¾ Gestualità: Movimenti ampi e lontani dal corpo (gestualità centrifuga) e in

genere rivolti verso l’alto. La persona può toccarsi gli occhi dicendo frasi

del tipo «ho notato la tua delusione» oppure strofinarsi gli occhi e il dorso

del naso pronunciando frasi come «fammi un po’ vedere».

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¾ Movimenti oculari: Gli occhi si spostano verso l’alto. Se si spostano verso

sinistra, la persona sta visualizzando un’immagine conosciuta o

un’esperienza vissuta nel passato (visivo ricordato). Se si spostano verso

destra, sta costruendo un’immagine mentale (visivo costruito).

¾ Caratteristiche della voce: Tono alto, nasale e/o sforzato. Timbro acuto.

Ritmo veloce del discorso.

¾ Tipo di respirazione: Alta (toracica) e poco profonda, di petto. Brevi

arresti.

Sistema Auditivo

¾ Postura del corpo e tono muscolare: Tendenza a portare il corpo a lato,

mentre le spalle vanno indietro, sia pure un po’ incurvate. Tensione

muscolare leggera e pressoché uniforme. Movimenti ritmici.

¾ Posizione del capo: Movimenti del capo in orizzontale.

¾ Gestualità: Movimenti braccia in orizzontale. Posizione “del telefono”

(testa inclinata su un lato) A volte può esserci un movimento circolare del

dito all’interno dell’orecchio, un tamburellare con le dita, uno schioccare

della lingua, un canticchiare o fischiare, battere continuamente , da seduti,

i tacchi delle scarpe in modo ritmico. Lisciarsi il mento oppure portare le

mani a contatto con la zona della bocca, del naso e delle mascelle indica

dialogo interno.

¾ Movimenti oculari: A sinistra orizzontalmente significa che la persona sta

“ascoltando” suoni ricordati. A destra orizzontalmente sta ascoltando

suoni creati, sta pensando alle cose da dire e al come dirle. A sinistra in

basso, la persona sta parlando a se stessa, porta avanti un dialogo

interno.

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¾ Caratteristiche della voce: Volume sinusoidale. Modo di parlare ritmico.

Parole ben enunciate. Timbro chiaro, squillante. Musicalità, armonia.

¾ Tipo di respirazione: Respirazione uniforme a livello addominale o con

tutto il torace. L’espirazione un po’ prolungata indica dialogo interno.

¾ Colorito della pelle: Colorito più legato allo stato d’animo.

Sistema cinestesico

¾ Il sistema cinestesico è relativo alle sensazioni e alle emozioni. L'analisi di

questo sistema completa l'analisi dei differenti tipi sensoriali.

¾ Postura del corpo e tono muscolare: Spalle ricurve e testa bassa.

Rilassamento generale dei muscoli. Se le sensazioni sono

particolarmente intense ci sarà anche una respirazione addominale molto

marcata, accompagnata da gesti espressivi. Quando il canale è rivolto

all’esterno (tattile/ motorio) le spalle saranno più aperte.

¾ Posizione del capo: In basso

¾ Gestualità: Centripeta e dinamica. Palme rivolte verso l’alto. Braccia

piegate e rilassate. Le mani tendono a fermarsi sul piano mediano del

corpo.

¾ Movimenti oculari: A destra in basso

¾ Caratteristiche della voce: Tono basso, profondo. Timbro pastoso, grave.

Ritmo lento con lunghe e frequenti pause. Volume basso. Esclamazioni

improvvise.

¾ Tipo di respirazione: Profonda e piena, lenta, con la parte bassa dello

stomaco.

¾ Colorito della pelle: Colorito più evidente, più intenso.

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Note sui sistemi rappresentazionali

Qualche precisazione va fatta, prima di proseguire, a proposito dei movimenti

oculari. Lo schema proposto è infatti sempre valido ad eccezione di una parte

dei mancini, per i quali il rapporto tra direzione e significato andrà invertito:

quindi con i movimenti verso destra l’individuo accede alla sfera del ricordo,

con i movimenti verso sinistra a quella della creazione di immagini, di suoni o

alle sensazioni cinestesiche.

Detto questo è bene aggiungere che conviene darsi un metodo per osservare

tutte quelle caratteristiche elencate precedentemente. Quando si osserva una

persona e si vuole individuare qual è il suo canale sensoriale primario

conviene seguire un certo ordine: prima il movimento delle mani, poi il

linguaggio, quindi i movimenti oculari, cercando di coordinare via via con la

pratica i diversi livelli.

Può essere utile darsi un programma, in modo da acquisire con ordine le

diverse conoscenze.

Ecco il suggerimento di un possibile percorso.

1° giorno: Soffermarsi con tre persone diverse con cui si ha un dialogo di

almeno cinque minuti e osservarne il movimento delle mani e delle braccia,

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individuando i diversi gesti e riferendoli di volta in volta alla sfera visiva,

auditiva o cinestesica. Provare quindi a capire quale canale sensoriale la

persona utilizza di più.

2° giorno: Osservare la postura generale di tre persone diverse: quali tratti

rivela? Osservare poi la gestualità delle mani. Che tipo di rapporto c’è tra

quest’ultima e la postura?

3° giorno: Oggetto di attenzione può essere la voce: che velocità ha? Com’è il

suo timbro? Ed il suo volume? La persona fa numerose pause?

Queste sono alcune utili precisazioni a proposito della voce:

Volume: grado di elevazione della voce o del suono, da basso a molto forte

Timbro: qualità del suono che permette di distinguere suoni identici emessi

da sorgenti diverse (es. voce maschile o femminile; timbro metallico,

sgradevole, dolce…)

Ritmo: da fluido a molto irregolare

Velocità: quantità di fonemi emessi in una base di tempo, da estremamente

rapido a lento

4° giorno: I movimenti oculari. Osservare i movimenti degli occhi verso l’alto,

a destra ed a sinistra e ogni volta che si notano si identificano come accessi

visivi. Si potrà notare che l’utilizzo di questi movimenti, così come la durata

variano molto da persona a persona. I movimenti oculari possono essere

spontanei o provocati da domande.

5° giorno: Stesso esercizio del giorno precedente. Si noteranno però i

movimenti orizzontali, identificandoli come accessi uditivi.

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6° giorno: Stessa cosa, questa volta con i movimenti verso il basso che

andranno collegati a sensazioni cenestesiche oppure a dialogo interno

La pratica proseguirà quindi mettendo assieme tutte queste componenti e

imparando ad individuare sempre più agilmente i canali sensoriali utilizzati

dagli interlocutori.

Si potrà poi passare ad analizzare le scelte del linguaggio, che riflettono

anch’esse l’utilizzo di diverse sistemi rappresentazionali.

I Predicati

La nostra raccolta di informazioni sul mondo, il nostro contatto con la realtà,

come abbiamo visto, passa attraverso i cinque sensi: vista, udito, tatto, gusto,

olfatto.

Il linguaggio aderisce ed esprime questa nostra esperienza del mondo.

Quando parliamo scegliamo inconsciamente delle parole che indicano quali

sono le parti del mondo dell’esperienza disponibile, sia interna che esterna,

alla quale abbiamo accesso in quel momento specifico.

I predicati sono l’insieme di sostantivi, verbi, aggettivi ed avverbi attraverso il

quale la persona rispecchia all’esterno il sistema rappresentazionale

utilizzato.

Ecco un elenco di possibili esempi. Termini ed espressioni legate al canale

gustativo e a quello olfattivo possono essere riportate alla sfera cinestesica.

Canale Visivo:

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Verbi: vedere, immaginare, apparire, scomparire, sembrare, illuminare,

colorare, arrossire, sbiancare, intravedere, scorgere, adocchiare,

nascondere, visualizzare, rischiarare, focalizzare, ammirare, scrutare,

guardare, chiarire, eclissare…

Sostantivi: vista, visione, visuale, panorama, occhio, occhiata, sguardo, luce,

luminosità, oscurità, buio, colore, focalizzazione, tinta, tono, apparizione,

immagine, figura, aspetto, immaginazione, impressione, apparenza,

splendore, prospettiva, flash, immaginazione…

Aggettivi: luminoso, scuro, chiaro, brillante, lucente, opaco, colorato,

ombreggiato, ombroso, intravisto, visto, scomparso, ammirato, ammirabile,

osservato, pallido, candido, rigato, abbellito, configurato, trasparente, limpido,

dorato, fosco, splendente, roseo, inimmaginabile…

Avverbi e locuzioni avverbiali: chiaramente, apparentemente,

oscuramente, brillantemente, limpidamente, evidentemente, visibilmente,

palesemente, candidamente, ad occhio, a prima vista…

Espressioni: Vedere tutto rosa, avere un punto di vista, senza ombra di

dubbio, un approccio miope, un progetto nebuloso, vedere allo stesso modo,

mettere a fuoco, essere di umor nero, dare un’occhiata, mettere nero su

bianco, condurre una vita grigia, combinarne di tutti i colori…

Canale Auditivo: Verbi: sentire, ascoltare, udire, bisbigliare, parlare, urlare, chiacchierare,

ronzare, sussurrare, scricchiolare, spettegolare, chiedere, domandare,

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rispondere, replicare, interrogare, raccontare, narrare, suonare, amplificare,

origliare, divulgare, confidare, riferire…

Sostantivi: udito, dialogo, ascolto, orecchio, suono, rumore, parola, discorso,

musica, melodia, canto, domanda, risposta, chiacchiericcio, brusio, urlo,

relatore, rombo, rimprovero, grido, botto, sussurro, sviolinata, silenzio,

canzone, ritmo, tonalità, nota, eco…

Aggettivi: ripetuto, detto, affermato, chiesto, ritmato, scandito, parlante,

melodioso, armonico, disarmonico, stonato, silenzioso, rumoroso, armonioso,

dissonante, amplificato…

Avverbi e locuzioni avverbiali: musicalmente, verbalmente, a parole, a

orecchio, silenziosamente, rumorosamente…

Espressioni: mettere la pulce nell’orecchio, fare orecchi da mercante, avere

voce in capitolo, correre voce, fare appello a, parola chiave, prestare

orecchio, essere sulla stessa linea d’onda…

Canale Cinestesico: Verbi: toccare, tastare, grattare, afferrare, accarezzare, manipolare, fare,

forgiare, plasmare, usare, impastare, pungere, premere, lisciare, modellare,

solleticare, premere, urtare, muovere, stringere, scaldare…

Sostantivi: concretezza, presa, tocco, manipolazione, spigolosità, ruvidità,

morbidezza, mollezza, pesantezza, brivido, calore, freddo, gelo, pelle, mano,

spessore, materia, peso…

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Aggettivi: concreto, morbido, spesso, ruvido, caldo, freddo, pesante,

leggero, liscio, vellutato, duro, avvolgente, rimescolato, impastato, baciato,

appiccicoso, fresco, levigato, increspato, indurito, raffreddato, scaldato,

palpabile…

Avverbi e locuzioni avverbiali: concretamente, caldamente, gelidamente,

freddamente, impercettibilmente, duramente, sofficemente, ruvidamente,

teneramente, pesantemente, leggermente…

Espressioni: toccare con mano, mettersi in contatto, la pelle d’oca, avere un

peso sullo stomaco, avere i piedi per terra, avere tatto, avere modi ruvidi, fare

il duro, afferrare il concetto…

Canale gustativo: Verbi: amareggiare, addolcire, gustare, assaporare, condire, degustare,

mangiare, inasprire, digiunare, dissetare, saziare, pregustare, inacidire,

salivare, stuzzicare...

Sostantivi: asprezza, dolcezza, gusto, bontà, delicatezza, acidità,

zuccherino, sapore, amarezza, lingua, palato, saliva, acquolina, appetito,

sazietà …

Aggettivi: dolce, amaro, aspro, salato, amarognolo, acido, stucchevole,

stomachevole, dolciastro, appetibile, disgustoso, nauseante, cremoso,

piccante, gustoso, appetitoso, prelibato, frizzante, insipido, rancido, succoso,

appetibile, zuccherato…

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Avverbi: dolcemente, amaramente, saporitamente, aspramente,

gustosamente.

Espressioni: scherzi di cattivo gusto, rimanere a bocca asciutta, avere il

dente avvelenato, essere di bocca buona, non avere peli sulla lingua, un

conto salato, non mi piace.

Canale olfattivo: Verbi: odorare, annusare, profumare, puzzare, fiutare, subodorare,

aromatizzare.

Sostantivi: naso, fiuto, odore, profumo, fragranza, sentore, esalazioni…

Aggettivi: profumato, acre, inebriante, fragrante, odoroso, speziato,

puzzolente, aromatico, soave, vanigliato, balsamico.

Avverbi e locuzioni avverbiali: profumatamente, a naso, soavemente, a

fiuto, fragrantemente…

Espressioni: avere la puzza sotto il naso, avere buon naso, montare la

mosca al naso, giudicare a naso, avere fiuto, fiutare l’inganno.

Dimmi come muovi le mani … e ti dirò chi sei Osservando il modo in cui le persone gesticolano con le proprie mani

permette di capire molto del loro carattere, del loro modo di porsi e delle

modalità seguite nel loro comportamento comunicativo.

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Si possono individuare tre tipologie, connesse ciascuna tra l’altro ad un ben

determinato canale sensoriale.

Modalità indicatoria

Chi utilizza come canale primario quello auditivo fa uso di una modalità

indicatoria. I gesti della mano tenderanno perciò ad “indicare”, dunque indice

puntato oppure mano tagliente.

Questa persona tende a fornire istruzioni precise, ad avere un tono di voce

che sembra a volte mettere sotto accusa gli altri. Tende spesso a toccare il

proprio interlocutore con la punta del dito. A livello linguistico utilizzerà

quantificatori universali: tutto, ogni, qualunque, ogni volta… Nelle sue risposte

tenderà a far uso di numerosi “no”.

Modalità superlogica

Questa modalità è tipica di chi utilizza, come canale primario, quello visivo.

Tende a mettere le dita a cerchio o a muoverle con piccolissimi movimenti.

La sua indole lo porta ad analizzare le situazioni in maniera logica, a far largo

uso del “perché”, a ragionare sulle cose, a dare molta importanza ai dati e

alle spiegazioni strettamente logiche.

Questa modalità può essere però suddivisa in tre sottotipi. Avremo perciò il

tipo politico che utilizza logica e dialettica per coinvolgere e per ottenere

qualcosa; i suoi gesti saranno più ampi e più caldi. Comportamento più

freddo avrà invece il magistrato: per lui la logica va usata per dimostrare; i

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suoi micromovimenti sono più frequenti. Terzo sottotipo è il retorico che usa

la comunicazione come elemento fine a se stesso.

Modalità propiziatrice:

La persona cinestesica (tendenzialmente o in un particolare momento) è

propiziatrice, vive ed esprime la sua emozionalità, ricerca un contatto fisico

con l’interlocutore, tende ad esordire con un “si” ed utilizza molto termini

come “se, solo, proprio, perfino”.

Anche in questo caso abbiamo due sottotipi: l’empatico-riconfortante che

mostra grande interesse all’emozionalità dell’altro e su quella tende a

modellare se stesso, adeguandosi ai sentimenti e alle sensazioni dell’altro, a

sostenerlo. Tipico di questa modalità è tenere le mani a triangolo.

Rispetto all’empatico, il secondo sottotipo, espressivo, ha gesti più ampi e

tiene il palmo della mano aperto e rivolto verso l’alto. La sua voce è di solito

espressiva, esprime la propria emozionalità in maniera coinvolgente,

cercando di trasferirla sull’altro.

L’Ipnosi in P.N.L.

Ipnosi è un nome evocatore, che ha più significati.

Dietro il nome ipnosi si nasconde ad esempio anche l’argomento più

importante della PNL; si può anche dire “tutta la PNL è ipnosi” (Grinder).

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L’ipnosi sin da prima di Freud è stata utilizzata come strumento di terapia, in

quanto strumento per una modificazione della coscienza che permette ad

un’idea creativa di ottenere delle modifiche comportamentali.

Uno tra i concetti fondamentali della “nuova ipnosi” è il fatto che si venga a

creare uno speciale rapporto tra l’operatore e l’individuo basato sulla fiducia.

L’ipnosi è anche un fenomeno naturale e quotidiano, ad esempio quando non

si può fare a meno, per l’intera giornata, di pensare ad una persona che ci ha

colpito in modo particolare, quando un successo avuto in qualsiasi aspetto

della vita non ci fa pensare ad altro. Tutti questi sono momenti ipnotici. É

sbagliatissimo considerare l’ipnosi come manipolazione, perdita di controllo, o

pieno dominio su un’altra persona, l’ipnosi è qualcosa che fa parte dell’uomo,

può servirci a migliorare la qualità della nostra vita, è un tipo di suggestione

più forte che implica la capacità di un coinvolgimento emotivo.

Esempio: Una melodia, un panorama o una situazione immaginativa

possono diventare stimoli suggestivi.

Questo si spiega perché il frutto dell’immaginazione può, a volte, essere più

suggestivo della realtà. Potremmo dire che a determinare gli effetti suggestivi

è la rappresentazione mentale, accompagnata da fattori emotivi, ecco il

perché dell’efficacia di modelli terapeutici che utilizzano la rappresentazione

mentale nella terapia.

“La suggestione entra nella coscienza dell’uomo non dalla porta principale, ma da quella di servizio, evitando il portiere che è la facoltà di giudizio” (A. Platonov)

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L’ipnosi in PNL è una raffinata capacità di comunicare che permette di

avviare un ottimo rapporto con gli altri, si cresce per evolvere verso

l’autonomia la libertà e l’apprezzamento della vita in ogni sua espressione.

Noi possiamo controllare il nostro cervello, il suo funzionamento nel rapporto

con noi stessi e fargli eseguire i comandi che gli diamo. Ad esempio se

parliamo rabbiosamente, il cervello selezionerà la rabbia e predispone uno

stato d’animo adeguato ai pensieri avviati. Al contrario se ci esprimiamo con

entusiasmo il cervello elabora questo tipo di risposta e produce stati d’animo

gioiosi.

“Il nostro cervello è una macchina per imparare e noi siamo i suoi programmatori!”

Il passare da uno stato d’animo ad un altro è una capacità automatica.

Questo è dimostrabile quando vediamo due innamorati: entrambi dipendono

dal sorriso, dalle parole d’amore dell’altro, per sentirsi all’inferno o al

paradiso. Nel mondo misterioso delle emozioni, che molti rifiutano, fuggono o

non conoscono, sono contenuti meccanismi profondi per cui le persone

perdono consapevolezza delle loro azioni che sono talmente automatiche,

per cui soffrono o godono i risultati del loro comportamento senza rendersene

conto, fino ad arrivare, se soffrono, ad attribuire a qualcun altro la colpa delle

loro stesse strategie. L’ipnosi è quindi uno stato naturale in cui l’uomo si trova

coinvolto nel vivere, è in grado di procurarselo o di indurlo ad altri, oppure

può subirlo senza sapere che si chiami ipnosi. Ogni comunicazione efficace è

ipnosi, essa è una strada che conduce alla nostra mente, un sentiero veloce

a volte rapido a volte in salita. L’ipnosi è comunicazione profonda che si

instaura fra due individui. L’operatore di ipnosi è una specie di abile pilota in

grado di modificare la rotta di fronte ad ogni necessità del suo passeggero.

L’individuo ipnotizzato è un individuo che si lascia ipnotizzare, in questo stato

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di acconsentimento, l’emisfero sinistro viene “aggirato” e in tal caso i

suggerimenti possono essere accettati acriticamente dal soggetto e, di

conseguenza, tradotti in azione concreta. Nello stato di ipnosi non viene

annullata la volontà del soggetto, è come se il soggetto concedesse

all’ipnologo un’udienza privilegiata, prestando la massima attenzione a quello

che gli viene proposto, conservando totalmente la propria libertà di fare o non

fare quello che gli viene proposto. É infatti falso, oltre che scientificamente

mai dimostrato, che attraverso l’ipnosi si possa plagiare qualcuno o indurlo a

commettere atti contrari alla sua morale o alla sua volontà. E se anche

l’ipnotista ci provasse, il soggetto non eseguirebbe l’ordine impartito o

potrebbe addirittura decidere di uscire dalla trance ipnotica rifiutandosi di

proseguire. L’ipnosi, anche se viene innescata da un’altra persona, è

essenzialmente “autogena” nel senso che utilizza un processo di

funzionamento della nostra psiche assolutamente naturale.

Può sembrare quasi incredibile pensare che, se fino ad oggi eravamo convinti

che la vita fosse un susseguirsi di avvenimenti che dovevamo prepararci a

vivere, adesso possiamo vedere le cose da un’altra prospettiva e dire che:

La vita cambia nel momento in cui noi cambiamo e possiamo considerarci

protagonisti della nostra vita senza doverci accontentare delle comparse o di

farci “vivere” dalla vita. Magari arrivare in fondo scrivere la parola “The end” e

rendersi conto che quella che vediamo alle nostre spalle non è la nostra

storia, quella che avremmo voluto, e rimanere nel rimorso di non aver

ottenuto quello che volevamo perché noi ne siamo stati l’ostacolo.

“La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati a fare altri

progetti” (Anthony De Mello)

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“Qualsiasi cosa vuoi fare, o sogni, cominciala, l’audacia ha genio potenza e

magia” (Goethe)

Esempi di modelli e tecniche ipnotiche: introduzione alla Comunicazione Ipnotica

L’ordine in forma negativa

Uno dei modelli più semplici di comunicazione ipnotica è “l’ordine in forma

negativa”

Esempio: Se vi dico “non pensare all’estate” automaticamente sarete

costretti a pensarci per capire la mia asserzione.

Iniziare con una negazione fa sì che l’ascoltatore non avverta nessuna

sollecitazione a reagire. Spesso utilizziamo questo modello dell’ordine in

forma negativa inconsapevolmente e si ottiene una reazione non desiderata.

Esempio: Non preoccuparti.........Non essere geloso.........Non succederà

niente di catastrofico.

Chi ascolta deve in qualche modo rappresentarsi il comportamento non

desiderato per capire cosa gli è stato detto, e questo aumenta la possibilità di

questo stesso comportamento. Senza saperlo queste persone ipnotizzano e

portano il soggetto ad avere delle reazioni non desiderate. Lo stesso modello

può essere utilizzato per ottenere dalle persone, che si trovino o no in uno

stato di trance, delle reazioni più utili.

Esempio: Non essere curioso di sapere cosa provo per te!

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L’ipnosi può essere utilizzata sia in ambito personale che professionale, infatti

è utile per risolvere problemi o eliminare tutti i limiti che ci programmiamo da

soli. L’ipnosi è quindi utilizzata per smettere di fumare, perdere peso, guarire

da paure, eliminare le fobie ecc. ecc. Oppure può essere utilizzata in modo

più creativo, per accrescere continuamente le vostre capacità e le vostre

possibilità di scelta nella vita. Per imparare a far meglio quello che già si fa

bene. L’ipnosi è un insieme di strumenti che ci aiutano a migliorare la qualità

della nostra vita e del nostro rapporto con noi stessi Si pone l’obiettivo di

riuscire a creare una situazione all’interno della quale i soggetti possono

attuare dei processi di trasformazione..

Se avete un insieme di ferri da meccanico, non significa che siete in grado di aggiustare una macchina! Definizioni:

Cerchiamo con questo schema di dare una maggiore ampiezza alla

comprensione della parola “Ipnosi”, generalizzandola anche ad altri contesti

sociali.

Una definizione che si può dare del concetto di Ipnosi è: 1. Superare lo schema abituale di riferimento in un dato contesto e 2. Indirizzare e motivare il proprio pensiero verso una nuova direzione

Questa definizione si applica all'ipnosi di tipo tradizionale, alla vendita, a tutti

gli ambiti sociali.

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Momento nei quali viene superato lo schema di riferimento:

Situazione sociale generica: In una situazione sociale in genere si ha

superamento del quadro abituale di riferimento nel momento in cui si

presenta una situazione nuova non analizzabile secondo le metodologie

precedenti.

Vendita: Nella vendita abbiamo superamento dello schema abituale di

riferimento quando il cliente comincia a rendersi conto che quello che ha già

non risponde pienamente alle sue necessità

Induzione ipnotica classica: Nell'induzione ipnotica classica abbiamo

superamento dello schema abituale di riferimento quando l'ipnotista

disorienta l'ipnotizzato (ad es. gli fa notare dei fenomeni nuovi e inaspettati),

o anche semplicemente quando l'ipnotizzato rilassa il suo schema

precedente.

Apprendimento: Anche l'apprendimento rappresenta un caso nel quale una

persona abbandona il suo quadro abituale di riferimento Uno schema abituale

di riferimento può essere anche definito come un insieme di aspettative

riguardo al mondo: l'ipnosi può quindi anche definirsi come una procedura

per modificare le aspettative. L'autoipnosi rappresenta uno strumento per

modificare le proprie aspettative personali.

Schema corporeo e schema mentale

Allo schema mentale corrisponde anche uno schema corporeo costituito da

tensioni; ecco perché la metodica del rilassamento fisico può essere utilizzata

in congiunzione con la metodica del rilassamento mentale.

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Tecniche di fascinazione nella comunicazione efficace

Si può definire l’intero procedimento della comunicazione efficace come una

successione di rilassamento, fissazione dell’attenzione e suggestione.

Nel momento in cui stabiliamo uno stato di “rapport”, e mentre l’ascoltatore

sta rispecchiando, modellando e andando a ritmo, sta avvenendo il

rilassamento. Una diminuzione delle tensioni naturali si sviluppa naturalmente

nel momento in cui le tecniche sono utilizzate per ottenere “rapport”.

A volte, nello studio dell’ipnotista, viene usata musica dolce; nella situazione

di vendita questo normalmente non è possibile, eccezion fatta nel caso che la

vendita venga effettuata in un ambiente sofisticato o in un ufficio apposito. In

questi casi può essere appropriato l’utilizzo della musica che rilassa e

stabilisce, più velocemente, il corretto stato mentale per il prossimo passo,

quello della fissazione dell’attenzione.

Nel momento in cui il “rapport” è stato stabilito è ora di portare l’ ascoltatore a

focalizzarsi su qualcosa che lo porti all’argomento oggetto del prodotto e del

servizio che gli state offrendo. La fissazione della sua attenzione gli

permetterà di ricevere più facilmente le vostre proposizioni.

La natura della fissazione nella comunicazione efficace

Lo stato che otteniamo con le tecniche descritte è uno stato nel quale il vostro

ascoltatore è capace di reagire, di lavorare con voi mentre voi divenite il suo

consulente, e lo aiutate a focalizzarsi su di voi. Se quello che offrite è valido,

potrà allora rendersi conto che quello che avete è proprio ciò che lui più vuole

e desidera. Voi fate semplicemente leva su questo bisogno per il prodotto e il

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servizio, portandolo dal punto di un leggero interesse fino al punto del

desiderio.

Ecco dove acquista importanza la conoscenza dell’Enneagramma, come

strumento per individuare la miglior maniera di presentare qualcosa.

La fissazione non è un processo di offuscamento mentale, bensì è

essenzialmente un processo col quale tenete fuori, o cancellate idee e stimoli

distraenti che potrebbero interferire con la vostra presentazione.

É necessario fissare la mente del ascoltatore su qualche elemento visuale,

sonoro, o qualche idea. Una tra le migliori maniere è mostrare all’ascoltatore

qualcosa del prodotto e affermare immediatamente un beneficio che ne potrà

ricevere. Utilizzando la voce, il comunicatore condurrà la totale attenzione del

soggetto e causerà un diminuire delle influenze esterne, sia esterne sia nella

mente del ascoltatore, che permetterà alle proposizioni seguenti di avere un

impatto più forte.

Non è utile presentare tanti benefici al ascoltatore se non si è riusciti a

guadagnare l’attenzione del ascoltatore. Il consulente od il venditore

professionista opereranno sempre in modo da essere sicuro che l’ascoltatore

abbandoni l’attitudine difensiva. Quest’attitudine difensiva scompare quando

l’ascoltatore diviene estremamente interessato nell’argomento ed è quando

ha luogo la fissazione.

La diminuzione dell’atteggiamento difensivo risulta in una diminuzione della

tensione muscolare e questo tende parallelamente a provocare la

diminuzione delle difese psicologiche.

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Questo stato più rilassato e ricettivo tende a diminuire la critica e aiuta il

ascoltatore a muoversi verso i punti di accordo nel momento in cui il

comunicatore pone domande del tipo, “ora questo è quello che vuoi, non è

vero?” nel tradizionale metodo di “legatura” della vendita di consulenza.

Cosa avviene nella nostra mente durante l’ipnosi

Vi sono tante teorie sui fenomeni ipnotici; una teoria molto interessante è la

seguente:

Noi sappiamo che il nostro cervello è diviso in due parti che si chiamano

emisferi, ognuna di esse è specializzata a fare qualche cosa. L’emisfero

destro è quello cosiddetto creativo, dei pensieri fantasiosi, elabora i sogni, le

informazioni musicali. Pensate ai musicisti e ai pittori, sono tutte persone che

hanno più sviluppato quest’emisfero.

L’emisfero sinistro è specializzato nei pensieri razionali, nella logica, nel

linguaggio. Queste due parti sono messe in comunicazione dal corpo calloso

che media i messaggi. L’autoipnosi e l’ipnosi non fanno altro che permettere

all’emisfero destro di attivarsi........questo è il loro principio. Ovviamente per

vivere giornalmente noi utilizziamo maggiormente la parte sinistra che è

l’ostacolo all’attivazione di quello destro, questo perché valuta, esamina le

informazioni che ci arrivano dai sensi ossia immagini, suoni e sensazioni. Per

accedere all’emisfero destro è necessario distrarre il sinistro utilizzando

comandi verbali o altre tecniche affinché quello che scaturisce dall’emisfero

destro non venga sottoposto a facoltà di giudizio. Nell’ipnosi indotta da altre

persone l’emisfero sinistro viene disattivato dall’operatore mediante alcune

tecniche specifiche, nell’autoipnosi siamo noi stessi a compiere questa

operazione. Come avete potuto apprendere rimaniamo sempre e comunque

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noi i protagonisti di questa esperienza, sia che ci venga indotta che se ce

l’autoinduciamo. Di qui l’importanza della visualizzazione:

Createvi un’immagine chiara delle cose che volete e infondetela di emozioni

prima di tutto, pensate che gli inventori riescono a vedere l’oggetto che

inventano prima ancora di aver montato tutte le sue parti.

“L’immaginazione è più importante del sapere” (Einstein)

“La mente umana è paragonabile ad una farfalla che assume il colore

elle foglie sulle quali si posa...........si diventa ciò che si contempla” (Gustave Flaubert)

É importante imparare prima di tutto a rilassarsi e a concentrarsi senza farsi

distrarre da nulla portare l’attenzione all’interno di noi stessi. All’inizio potrà

sembrare difficile però dopo andrete in contro a risultati inaspettati.

Avvertirete una sensazione di ordine nella vostra mente la capacità di gestire

i vostri pensieri senza farvi gestire da loro. La mente diventerà il vostro regno

e voi ne sarete i re.

PENSATE AD UN LAGO: quando la superficie è calma è facile vederne il fondo. Quando il lago invece è agitato dalle onde non si vede nulla. La stessa cosa accade con la mente: solo quando è tranquilla si può riuscire a leggere in noi stessi!

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Regole per comunicare con la mente inconscia

Dovete tener presente che state comunicando con la vostra mente

subconscia ed è quindi necessario rispettare delle regole, affinché essa ci

ascolti e comprenda quello che noi vogliamo.

1. Usate il tempo presente: Quando pensate al risultato che volete ottenere

consideratelo come un fatto compiuto. La mente subconscia è una mente

esistenziale ed opera sul “momento” in quanto per lei il futuro non arriva

mai.

2. Siate positivi: Eliminate ogni parola negativa, trasmettere in una

comunicazione la negazione di qualcosa vuol dire trasmettere male. Per il

vostro subconscio “no” e “non” sono parole neutre. Normalmente siamo

portati a parlare di quello che vogliamo eliminare senza renderci conto

che in questo modo rinforziamo il problema. Dite dove volete andare e

non da dove volete andar via.

3. Siate semplici: Scegliete un’area specifica dove attuare il miglioramento.

4. Siate dettagliati: Analizzare il vostro obiettivo e strutturare la vostra

suggestione in modo da includere ogni dettaglio del vostro nuovo

comportamento con una programmazione positiva. Ad esempio se c’è la

paura a parlare in pubblico la suggestione sarà del tipo: “Mi piace parlare

alla gente”

5. Siate semplici: Parlate al vostro subconscio come se fosse un bambino,

evitate “espressioni letterarie”. Le parole semplici hanno più impatto.

6. Usate parole emozionali: Dovete accertarvi che, nel momento in cui

parlate, le vostre affermazioni stanno generando sensazioni. Il subconscio

è la vostra mente emozionale.

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7. Puntate all’azione: Le vostre suggestioni devono descrivere le vostre

azioni, non le vostre abilità.

8. Siate precisi: Dire esattamente quello che desiderate. Se il risultato è

misurabile, come ad esempio il peso, siate precisi.

9. Siate realistici: Evitare di suggerire la perfezione.

10. Personalizzate: Le suggestioni vanno strutturate per cambiare voi stessi

e le vostre azioni e non gli altri.

“Cambiare è possibile basta che decidiate che tipo di persona volete essere”

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Pensare e sentire: La sintesi dell’intelligenza emotiva

Tutti sappiamo che abbiamo due menti, una che pensa l’altra che sente.

Queste due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse,

interagiscono per costruire la nostra vita mentale. La loro sintesi ha una

particolare importanza in diversi ambiti: nella relazione di aiuto, nell’impegno

educativo e didattico, nel lavoro sociale e psicologico, nell’organizzazione del

lavoro, perché il soggetto che si vuole coinvolgere è fatto di pensiero e di

sentimento, di intelligenza e di affettività, e va sollecitato in maniera globale

ed integrata in relazione a qualsiasi obiettivo di crescita, che si intende

raggiungere.

La dicotomia emozionale - razionale è simile alla popolare distinzione fra

cuore e mente. Quando sappiamo che qualcosa è giusto con il cuore, la

nostra convinzione è di ordine diverso: in qualche modo è una certezza più

profonda di quando pensiamo la stessa cosa con la mente razionale. Il

processo educativo non può essere un fatto intellettualistico, né all’opposto

un fatto istintivo ed immediatistico; deve essere al contrario un processo

capace di evitare queste due polarità, facendo interagire nel soggetto che

educa così come nel soggetto da educare l’interazione tra intelligenza ed

emotività.

Se noi consideriamo l’importanza che hanno avuto le emozioni da un punto di

vista della storia dell’umanità, ci rendiamo conto che esse hanno assunto un

ruolo fondamentale: la nostra specie non sarebbe sopravvissuta se di fronte a

situazioni di pericolo si fosse fermata a pensare. Pertanto l’emozione è

immediata: basti pensare alla paura. Per capire come mai il sentimento e la

ragione entrino in conflitto tanto facilmente, bisogna pensare al modo in cui si

è evoluto il cervello umano. Molto prima che esistesse la mente razionale

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esisteva quella emozionale. Il modello scientifico della mente emozionale,

emerso in anni recenti, spiega come le nostre azioni siano in gran parte

determinate dalle emozioni e in che senso le

emozioni hanno la loro logica e le loro ragioni.

A cosa serve l’intelligenza emotiva

Nella realtà attuale delle agenzie educative sia del pubblico che del privato

sociale la dimensione cognitiva ed emotiva dell’adulto e del soggetto in età

evolutiva tendono ad essere messe in contrapposizione fra loro, e non

vengono fatte dialogare.

I sentimenti dell’educatore e del suo interlocutore continuano ad essere

considerati elementi poco importanti, materia di scarto da accantonare o da

negare, aspetti non utili e non inerenti al processo educativo. Spesso i dati

emotivi vengono addirittura non riconosciuti e rimossi. Occorre invece

impegnarsi a tutti i livelli nel prospettare e nel favorire lo sviluppo

dell’intelligenza emotiva sia degli adulti che dei soggetti in età evolutiva. Per

intelligenza emotiva, come s’è visto, intendiamo la capacità di armonizzare il

pensiero e i sentimenti, la parola con i vissuti emotivi, la dimensione mentale

con la dimensione affettiva.

In particolare l’intelligenza emotiva prevede le seguenti competenze:

� La capacità dell’adulto e del bambino di riconoscere, rispettare e mettere

in parola il Mondo soggettivo dei sentimenti e delle emozioni;

� La capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza

entrare in Conflitto frontale con essi e senza neppure, tuttavia, farsene

travolgere;

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� La capacità di sviluppare l’efficienza mentale e la comprensione della

realtà e di motivarsi in modo globale (con la razionalità e con l’emotività)

al raggiungimento di obiettivi e finalità;

� La capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad

essere sensibili ed empatici;

� La capacità di interagire positivamente con le persone, di trattare con

efficacia le interazioni, i conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con

gli altri.

La confidenza da parte dei soggetti in età evolutiva con la propria vita

emotiva favorisce la possibilità di raggiungere gli obiettivi nell’intervento

didattico o socio-educativo, di elaborare i conflitti all’interno del gruppo dei

pari e di sviluppare la comprensione reciproca e la solidarietà.

Un’applicazione importante delle competenze relative all’intelligenza emotiva

consente all’insegnante o all’educatore o all’animatore – a seconda dei

contesti e dei compiti da realizzare - di avvicinare al dialogo e all’elaborazione

riflessiva le problematiche dell’aggressività e della rivalità all’interno dei

gruppi, sia quelle della sessualità e della affettività - che spesso compaiono in

maniera spontanea e talvolta in forme confuse e provocatorie fra i ragazzi. La

confidenza con le emozioni, anche quelle negative, spiacevoli e conflittuali

facilita inoltre l’elaborazione nei bambini e negli adolescenti degli impulsi che

spingono alla devianza, permette di controllare la trasformazione del disagio

in desiderio di stordimento e di fuga, desiderio sotteso all’uso di sostanze o

ad altri passaggi all’atto tendenzialmente distruttivi o autodistruttivi.

Il possesso di competenze cognitive da un lato e di competenze emotive e

relazionali dall’altro dovrebbe caratterizzare ogni attività professionale che

implica un rapporto con le persone e con i bambini. Certamente questa

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sintesi non dovrebbe risultare estranea a qualsiasi forma di impegno

professionale o volontario in qualsiasi istituzione sociale, sanitaria, scolastica,

educativa, giudiziaria a contatto con soggetti in età evolutiva.

Le competenze culturali riguardano la chiarezza degli obiettivi educativi, la

conoscenza dei metodi, la comprensione di ciò che è pedagogicamente

efficace e deontologicamente corretto, la coerenza dei valori e dei progetti, il

padroneggiamento cognitivo delle tecniche e delle risorse che si possono

utilizzare.

Le competenze emotive e relazionali riguardano la capacità d’identificazione

con il disagio degli utenti, la comprensione delle risorse e delle potenzialità di

questi ultimi, la capacità di ascolto e di sostegno, la disponibilità e la

vicinanza emotiva nei confronti dei problemi e delle difficoltà concrete e

quotidiane dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie, la capacità di

pensare in positivo e di sollecitare la creatività degli interlocutori.

La tematizzazione delle competenze emotive e relazionali come distinte dalle

competenze cognitive rinvia alla teoria dell’intelligenza emotiva di Daniel

Goleman. Cosa afferma questa teoria? In sintesi afferma che lo sviluppo di

della capacità di riconoscere e di gestire i sentimenti propri ed altrui può

migliorare il benessere degli individui e la loro possibilità di motivarsi e di

realizzarsi, di comunicare e di interagire tra loro. L’intelligenza emotiva può

inoltre ottimizzare nelle organizzazioni i processi di apprendimento, di

acquisizione e di scambio delle informazioni, di elaborazione delle decisioni.

Le diverse forme dell’intelligenza

La visione scientifica è stata per decenni molto sbilanciata, perché ha

concentrato tutte le attenzioni sulla mente razionale. Solo in questi ultimi anni

le ricerche stanno gradualmente cambiando, si sta superando l’atteggiamento

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di considerare la vita mentale emotivamente piatta, scarsamente rilevante e

poco significativa.

Si è cominciato a riconoscere il ruolo essenziale del sentimento nel pensiero,

il potere delle emozioni nella vita mentale, come nondimeno a riconoscere i

vantaggi che esse comportano. Oggi la pedagogia e la psicologia concordano

nel sottolineare che non esiste un unico tipo monolitico di intelligenza: già

Gardner nel 1983 aveva individuato sette varietà fondamentali d’intelligenza:

oltre a quella verbale e logico - matematica, i due tipi standard su cui la

scuola e le istituzioni educative hanno tradizionalmente puntato, Gardner

individuava un’intelligenza spaziale (quella che si può esprimere in un

artista), un’intelligenza cenestesica che si può esprimere nella danza o nella

fluidità dei movimenti; un’intelligenza musicale; individuava inoltre

l’intelligenza interpersonale, ossia la capacità di comprendere lo stato

d’animo degli altri e le loro motivazioni e di interagire positivamente con gli

altri. É stata infine concettualizzata un altro tipo di intelligenza individuale,

quella intrapersonale, che è la chiave per accedere alla conoscenza di sé e ai

propri sentimenti, quindi non solo capire lo stato d’animo dell’altro, ma

conoscere quello che soggettivamente viene sperimentato (“ciò che io

provo”).

Da questa evoluzione del concetto d’intelligenza, si è giunti nell’ultimo

periodo a parlare di intelligenza emotiva: sentimento e mente vengono unite

insieme.

La convinzione teorica che possano esistere una vasta gamma di varietà

d’intelligenza, abbinata alla conoscenza pratica degli strumenti per

riconoscere le diverse forme e per farle evolvere, porta a valorizzare le

potenzialità difformi ed originali dei processi espressivi e maturativi in tutti gli

interlocutori del processo educativo. Anche i minori che rischiano di essere

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stigmatizzati e svalutati a partire da un concezione monolitica e

standardizzata di intelligenza e di finalità educativa, possono essere

sollecitati in modo vivo e creativo a scoprire e a far emergere l’intelligenza

specifica di cui sono portatori e l’intelligenza emotiva che esiste comunque

dentro di loro, cioè la capacità potenziale di armonizzare il pensiero e con la

vita affettiva ed emotiva.

Le funzioni dell’intelligenza emotiva

É massicciamente diffuso nella cultura sociale un pregiudizio negativo nei

confronti della vita emotiva, vista esclusivamente come un fattore di disturbo

e di interferenza negativa nei confronti dei processi valutativi e decisionali. La

cultura dell’intelligenza emotiva afferma invece che emozioni e sentimenti

sono anche e soprattutto una risorsa.

Come è possibile incanalare l’emozione verso un fine concreto e produttivo?

Goleman ci aiuta a dare una risposta al quesito individuando cinque funzioni

che compongono l’intelligenza emotiva:

Conoscenza delle proprie emozioni: ovvero l’autoconsapevolezza - la

capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta -

Parafrasando lo psicologo John Mayer, essere consapevoli di sé significa

essere “consapevoli sia del nostro stato d’animo che dei nostri pensieri su di

esso”. L’autoconsapevolezza è fondamentale non solo per la comprensione

psicologica, ma anche per la crescita educativa: l’educatore di comunità o di

territorio, l’operatore impegnato nell’intervento socioeducativo, l’animatore del

centro di aggregazione giovanile possono trarre grande vantaggio nella loro

attività dallo sviluppo della capacità di riconoscere e di mettere in parola i

sentimenti indotti dalla relazione educativa al fine di poter trasmettere

un’analoga capacità ai destinatari dell’intervento.

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¾ _ Controllo delle emozioni: ovvero la capacità di controllarle per far

sì che esse siano appropriate. Alcuni pensatori antichi la chiamarono

temperantia: è l’equilibrio, non la soppressione delle emozioni. Ogni

sentimento ha un suo significato. L’arte di tranquillizzare e confortare se

stessi, è una capacità fondamentale nella vita. Winnicott la considerava

uno degli strumenti psichici più essenziali. Solo un educatore capace di

sperimentare un controllo sano delle emozioni potrà sollecitare una

competenza analoga nello sviluppo del soggetto in età evolutivo.

¾ _ Motivazioni di se stessi: ovvero il motore interno che ci spinge a

mettere in atto tutta una serie di comportamenti che consentono il

raggiungimento dello scopo. Abbiamo visto che riconoscere e controllare

le emozioni sono abilità fondamentali per incanalare le stesse verso un

fine produttivo. In ogni istituzione sociale, scolastica ed educativa è di

fondamentale importanza attivare le energie e le motivazioni dei soggetti in

età evolutiva e l’intelligenza emotiva è l’atteggiamento più produttivo in

questa direzione.

¾ _ Riconoscimento delle emozioni altrui: ovvero l’empatia, la

capacità di sentire dentro, di avvertire lo stato emotivo dell’altro. Si tratta di

ascoltare i vissuti emotivi dell’altro (che non sono i nostri), di rispecchiarli,

di comprenderli mentalmente e se necessario, di metterli in parola. Sentirsi

ascoltati da un punto di vista emotivo dalla persona che abbiamo accanto

ci aiuta molto. É fondamentale per un bambino sapere che le sue emozioni

incontrano l’empatia dell’altro, che sono accettate e ricambiate in un

processo che Daniel Stern chiama “sintonizzazione”. Attraverso la

sintonizzazione, il bambino dopo gli otto mesi di vita, inizia a sviluppare la

percezione che gli altri possono e vogliono condividere i suoi sentimenti.

La prolungata assenza di sintonia tra genitori e figli, presumibilmente porta

il bambino ad evitare di provare ed esprimere le proprie emozioni.

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¾ _ Gestione delle relazioni: ovvero la capacità di interagire

positivamente con le persone, di trattare con efficacia le interazioni, i

conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con gli altri. Si tratta di

un’abilità molto importante che aumenta la competenza sociale e

professionale, dal momento che ogni significativa relazione sociale ed

educativa presenta quotidianamente conflitti e problemi. Nell’attività

scolastica, nel lavoro sociale e nell’intervento educativo affrontare i conflitti

che coinvolgono nei modi più vari i bambini e gli adolescenti è incombenza

quotidiana ed ineludibile e l’intelligenza emotiva può aiutare l’insegnante,

l’educatore e l’operatore nel gestire questo compito.

¾ _ L’abitudine determina quasi il 100 per cento di quello che fai :

Dall’inizio alla fine della giornata, le tue abitudini decidono, in gran parte, i

tuoi discorsi, le tue azioni, le tue reazioni e le tue risposte. Il legame tra le

abitudini e lo stile di vita è forte: abitudini vitali e altamente produttive

appartengono solitamente a persone efficaci e felici, mentre le persone

inefficaci e infelici hanno abitudini che le danneggiano e le frenano.

La pratica regolare del pensiero a base zero è una delle abitudini più potenti

che tu possa avere. Per praticare il pensiero a base zero, poniti regolarmente

la seguente domanda:

Esiste qualcosa nella tua vita che, sapendo quello che sai ora,

eviteresti di fare ancora oggi,

se avessi l’opportunità di farlo di nuovo?

Inizia dalle tue relazioni, sia private sia professionali.

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C’è qualcuna di queste relazioni che rappresenta un impegno di energia,

tempo, emozioni o soldi che, sapendo ciò che sai oggi, eviteresti di assumerti

ancora?

Osserva la tua attività professionale.

Sei in un’organizzazione o in una posizione che non si addice ai tuoi valori,

alle tue qualità e alle tue abilità? Hai stabilito relazioni o alleanze all’interno

della tua azienda o del reparto in cui operi, che hanno cessato di essere

proficue? Se sei nel mondo aziendale, esistono prodotti o servizi, nella tua

offerta attuale, che non proporresti più, sapendo quello che sai? C’è un

settore del mercato nel quale stai vendendo, ma in cui dovresti evitare di

essere? Ci sono dei clienti che dovresti evitare di acquisire? Subagenti che

dovresti evitare di assumere? Procedure che dovresti evitare di adottare?

Canali di distribuzione che dovresti evitare di usare? Strategie di vendita e di

marketing che dovresti evitare di seguire?

Se rispondi “sì” a qualcuna di queste domande, un’altra domanda pertinente

seguirà in automatico: perché sei ancora in quell’azienda o in quella

posizione? Perché mantieni ancora quella relazione? Perché vendi ancora

quel prodotto o servizio? Perché continui a concentrarti su quel settore di

mercato o su quei clienti? Perché segui ancora quella procedura? Perché

insisti nell’utilizzare quella strategia? .

Nessuno, dotato di un minimo di buonsenso, inizia a fare qualcosa che non

sia, almeno in apparenza, sensato. Quando instauriamo una relazione,

assumiamo un dipendente, facciamo un investimento o lanciamo una

strategia di marketing, lo facciamo perché siamo sicuri che così facendo

riceveremo dei benefici. Con il passare del tempo i nostri bisogni cambiano. E

così anche le circostanze. Non necessariamente ciò che aveva un senso ieri

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continua ad averne oggi. Così, spesso, siamo talmente impegnati che non ci

accorgiamo di questi cambiamenti e, solo per abitudine, ci ritroviamo a

preservare perennemente uno status quo sorpassato e antiquato.

Applicando il pensiero a base zero, metti a nudo gli elementi d’abitudine della

tua vita.

Successivamente, puoi porti una seconda domanda: che cosa ho intenzione

di fare a tale proposito? Spesso, la risposta consiste nell’eliminare questo

status quo dalla tua vita e andare avanti. Di certo, possono esserci momenti

in cui non tutto appare o bianco o nero. In un matrimonio che fallisce, per

esempio, una saggia decisione potrebbe non consistere nel semplice

andarsene, ma piuttosto nel provare a intraprendere una terapia di coppia

con l’intento di risolvere i problemi e impegnarsi per portare nel rapporto un

nuovo soffio di vita. Comunque, abbiamo riscontrato che spesso è meglio

eliminare la parte della tua vita o della tua attività che è vecchia, improduttiva

e, forse, persino dannosa, e ridistribuire le tue energie verso ciò che oggi è

funzionale.

Ripensa al caso della nostra cliente che aveva deciso di delegare ad altri il

compito di consegnare ogni mattina delle ciambelle ai suoi clienti più

importanti. Questa decisione le lasciò a disposizione dieci ore alla settimana

da dedicare alle sue attività di alto valore, ed ebbe inoltre un ruolo importante

nel raddoppio dei guadagni nell’arco di dieci mesi. La cosa interessante è

che, prima di decidere, si chiese se, sapendo ciò che sapeva in quel

momento, avrebbe mai iniziato l’attività di consegna delle ciambelle.

Concluse che questa strategia, adottata per entrare in contatto con i suoi

clienti all’inizio della sua carriera, la distingueva ora dalla concorrenza e, in un

certo senso, era diventata il suo personale “marchio di fabbrica”. Per tale

ragione, decise di continuare con la “routine” delle ciambelle – sebbene in un

modo diverso e più efficace – non per semplice abitudine, ma piuttosto come

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strategia ragionata attentamente. Si impegnò a rivedere regolarmente questa

decisione, applicando gli strumenti del pensiero a base zero.

La pratica di applicare il pensiero a base zero, e di agire opportunamente in

conseguenza di ciò, richiede coraggio e impegno. Devi essere spietatamente

onesto nella tua autovalutazione. E devi avere la ferma determinazione a

cambiare. Inizia ora e trasforma in un’abitudine l’azione di porti regolarmente

la domanda del pensiero a base zero: sapendo ciò che so ora, c’è qualcosa

di cui eviterei di occuparmi oggi, se dovessi farlo di nuovo? Prendi

attentamente in esame le attività o gli elementi che darebbero origine a una

risposta affermativa. Poi, cerca di cambiarli per renderli di nuovo funzionali, o

abbandonali. I risultati potranno essere notevoli: eliminerai così gli aspetti

negativi e non funzionali della tua vita e li rimpiazzerai con altri nuovi e

positivi. Avrai più energia, godrai di una serenità d’animo maggiore e sarai

molto più produttivo.

Esercizio:

1. Quali sono i tuoi più importanti obiettivi?

2. Esamina la tua vita privata. Sapendo ciò che sai ora, se dovessi

rifare qualcosa:

a. Ci sono relazioni nelle quali eviteresti di farti coinvolgere oggi?

b. Ci sono abitudini che riguardano la tua salute, la tua forma fisica,

la tua dieta o il tuo stile di vita, che eviteresti di prendere oggi?

c. Ci sono investimenti di tempo, soldi o emozioni che eviteresti di

fare oggi?

d. Prendi in esame la tua attività aziendale. Sapendo ciò che sai ora,

se dovessi rifare qualcosa:

e. Ci sono prodotti o servizi che eviteresti di iniziare a offrire/vendere

oggi?

f. Ci sono settori di mercato nei quali eviteresti di posizionarti oggi?

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g. Ci sono clienti che eviteresti di sollecitare o di acquisire oggi?

h. Ci sono metodi o processi di vendita che eviteresti di iniziare ad

usare oggi?

i. Ci sono canali di distribuzione che eviteresti di iniziare ad usare

oggi?

j. Ci sono metodi o processi aziendali che eviteresti di iniziare ad

usare oggi?

k. Ci sono strategie di marketing che eviteresti di iniziare ad usare

oggi?

l. Ci sono sistemi operativi che eviteresti di iniziare ad usare oggi?

m. Ci sono sistemi tecnologici che eviteresti di iniziare ad usare oggi?

n. Ci sono partnership, joint venture o investimenti nei quali eviteresti

di farti coinvolgere oggi?

o. Ci sono iniziative commerciali nelle quali eviteresti di farti

coinvolgere oggi?

3. Quali azioni ti impegni a compiere immediatamente, in seguito a ciò

di cui ti sei reso conto leggendo questo capitolo?

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Parte 5^ P.N.L. & VENDITA

Niente di splendido è mai stato

compiuto se non da coloro che osavano

credere che qualcosa dentro di loro

fosse superiore alle circostanze

(Bruce Barton)

1 - Diventa un Venditore di Successo

Sei un Venditore? Spesso chi svolge la propria attività nel settore

commerciale si sente rivolgere questa domanda. Nello scenario collettivo la

figura del venditore è vista come ‘colui che è capace di rifilarti qualunque

cosa o colui che svolge questa attività perché è nato venditore.

I più convinti di fronte a tali affermazioni rispondono con fermezza “‘SI sono

un venditore! “, altri invece cominciano a girare intorno all’ argomento

spiegando che in realtà loro non vendono nulla, che presentano solo un

prodotto o un servizio, che non vogliono convincere nessuno e così via, non

riuscendo però a convincere né l’interlocutore né tanto meno se stessi.

Molto spesso si decide di intraprendere l’attività di venditori perché si crede

che questa sia semplicemente un modo per guadagnare più del normale o

perché è un’attività libera in cui nessuno può dirci come e quando fare le

cose, che permette d’essere a contatto con la gente di conoscere posti

sempre nuovi e così via.

Sono tutte ragioni vere e valide.

Nella maggior parte dei casi però questo è solo un modo “banale” di vedere il

lato più affascinante di una professione come quella del venditore, in cui il

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guadagno è il risultato dell’impegno, la libertà è sinonimo di responsabilità

pensiamo agli studi universitari nessuno ci dice quando fare un esame, spetta

al nostro senso di responsabilità applicarsi o no, inoltre, il contatto con la

gente prevede un’abile capacità comunicativa.

Se provassi a chiedervi: ”Automobilisti si nasce o si diventa?” Siete convinti di

poter rispondere allo stesso modo che se vi chiedessi: “Venditore si nasce o

si diventa?” Qual è la differenza?

In entrambi i casi possiamo diventare abili automobilisti ed abili venditori.

Eppure la vendita è un po’ come un diamante grezzo nascosto dentro ognuno

di noi.

Per rendere più chiaro il concetto facciamo un esempio. Chi di noi

solitamente và in discoteca, o ci è stato almeno una volta nella vita?

Proviamo insieme a descrivere le fasi di preparazione alla serata.

Probabilmente non adotteremo un abbigliamento usuale, magari ci

pettineremo in modo particolare, useremo un profumo speciale, insomma

nulla che sia simile a quando conduciamo la vita quotidiana.

Tutto questo perché?

Per comunicare in modo originale agli altri una nostra immagine, per

“vendere” bene la nostra immagine agli altri. Questo molto spesso lo

facciamo senza neanche rendercene conto, perché la vendita è dentro di noi,

per questo noi diremo che la vendita è comunicazione.

VENDITA = COMUNICAZIONE

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A questo punto è importante che vi spieghi cosa e come affronteremo

l’argomento appena introdotto.

L’obiettivo è quello di scoprire e capire quali sono le principali linee guida per

iniziare il meraviglioso cammino verso l’apprendimento dell’arte della vendita.

Affronteremo insieme il tutto con un lungo viaggio e ne utilizzeremo la

metafora.

Il motivo fondamentale che spinge un venditore all’azione non può essere il

solo “denaro”, in quanto, come ben sappiamo, non è quasi mai il fine ultimo

ma solo uno strumento per scegliere. Indubbiamente però non và neppure

sottovalutata tale risorsa in quanto rappresenta una importante voce del

capitolo patrimoniale e dunque degli investimenti.

Tutti, o quasi, miriamo ad avere una bella casa, un discreto conto corrente,

fare qualche viaggio, avere una bella macchina, e potrei continuare su

centinaia di sogni, desideri, scopi. Tutte quelle che sono sicuramente valide

motivazioni, ritenute sufficienti a spingere all’azione, pur tuttavia non sono la

vera molla scatenante dell’azione.

Per fare un esempio, quante volte ci capita di pensare: “se vinco al lotto…”

“potessi fare tredici…”. Ed io vi chiedo: ”E quante volte giochiamo al lotto o al

totocalcio?” Certo questo è un esempio legato molto alla probabilità, alla

fortuna, è vero! Ma è anche vero che se non decido di giocare, se non

scendo in campo, non vincerò mai. O in ogni caso non saprò mai se ne sarà

valsa la pena.

Allora dove dobbiamo andare a cercare?

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Questa domanda ha portato ad una analisi delle caratteristiche fondamentali

dei grandi venditori di successo, i risultati sono straordinariamente indicativi.

Sono stati trovati 5 fattori comuni a tutti i venditori di successo. La cosa

interessante è che ognuno di questi fattori o parametri non dipendo da agenti

esterni, ma sono racchiusi in ognuno di noi. Questi parametri, lì chiameremo

di seguito “I 5 Fattori del Successo”.

Scopriamoli insieme:

1. Ambizione 2. Volontà 3. Coraggio 4. Perseveranza 5. Diligenza

Iniziamo dal primo.

1. Ambizione Non ho altro sprone da cacciare nei fianch

i del mio disegno, se non la volteggiante ambizione.

(tratto dal ‘Macbeth’)

Un forte desiderio di raggiungere qualcosa, il che può essere perfettamente

naturale, tutto dipende dal motivo. Il motivo deve essere positivo e non un

desiderio egoistico. È il primo fra tutti, è lo scopo interiore! Desiderare una

macchina è un parametro esterno, ambire al raggiungimento del nostro scopo

è un fattore interno.

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2. Volontà Vollì, sempre vollì, fortissimamente vollì!

(Vittorio Alfieri)

Alfieri si fece legare ad una sedia, e vi restò, finchè non avesse scritto una

poesia. Penso che tutti capiscano subito il significato di "forza di volontà":

indubbiamente chi possiede una grande forza di volontà riesce facilmente ad

autocontrollarsi e a forzare il proprio corpo e la propria psiche verso un

obbiettivo (che può essere il miglioramento della qualità della vita). La vera

forza di volontà è quella anevrotica: la capacità di autocontrollarsi senza

avere uno scopo. Devo essere in grado di impormi cose che la gran parte

delle persone normali riescono a fare. Se non riesco a portare l'orologio al

polso, se mi dà un terribile fastidio vedere un serpente in televisione, se ho

terrore del buio, se non riesco a studiare più di dieci minuti, se non sopporto

questo, se non sopporto quello, la mia forza di volontà anevrotica è carente.

Devo riuscire a imporre alla mia psiche di eseguire i miei ordini senza che ci

sia un premio gratificante. L'esempio di quanto possa essere difficile

costruirsi una forza di volontà non nevrotica è rappresentato dalla difficoltà di

milioni di persone nello smettere di fumare.

I progetti sono solo delle buone intenzioni se non si trasformano subito in

duro lavoro.

3. Coraggio Un giorno la paura bussò alla porta…

…il coraggio andò ad aprire e non c’era più nessuno! (J. Wolfgan Goethe)

Giusto! Bisogna lanciarsi, ci vuole coraggio! Ed a noi non piace aver paura,

ma siamo esseri umani e questo può accadere ogni giorno in mille situazioni.

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Non è importante avere paura, l’importante è avere coraggio! La persona

coraggiosa non è quella che non ha paura, ma quella che affronta la paura. E

quindi, quando avvertiamo quella sensazione di insicurezza, l’affrontarlo non

fa altro che rinforzare il muscolo del coraggio, abituandosi ad andare oltre le

nostre limitazioni. Quando ci sentiamo insicuri nel telefonare ad un cliente, è

lì che bisogna raccogliere tutto il coraggio alzare la cornetta e telefonare,

quando pensiamo che la persona che sto per incontrare è uno tosto,

facciamo un lungo respiro ed affrontiamo la situazione.

Agiamo! Spesso l’azione è la soluzione migliore a tutte le nostre insicurezze.

4. Perseveranza Non importa quante volte cadi, ma quante volte cadi e ti rialzi.

Chi ha inventato la lampadina? – Edison

Sapete quanti tentativi ha fatto prima di riuscire ad infuocare quel

filamento?...

10.000! É certamente un grande esempio di perseveranza. La Perseveranza

è forza di volontà, intesa come capacità di attuare costantemente libere

scelte di miglioramento. Forza di volontà e desiderio, se ben combinati,

costituiscono una coppia irresistibile. La Perseveranza ha sempre

rappresentato la differenza tra successo e fallimento. Questa è la qualità che

più di ogni altra limita la maggioranza delle persone nelle grandi realizzazioni;

esse vorrebbero intraprendere qualche impresa ma, non appena il cammino

si fa arduo, si arrendono. L'esperienza fatta su migliaia di individui ha

dimostrato che la mancanza di perseveranza è una debolezza comune alla

grande maggioranza degli uomini; è però una debolezza che si può superare

con la volontà.

Se volete realizzare il vostro desiderio, dovete abituarvi alla perseveranza.

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Quando le cose si faranno oscure e vi sembrerà che non ci sia alcuna

ragione di continuare, quando tutto in voi vi dirà di rinunciare, di non

continuare a tentare, sarà proprio allora che si distingueranno gli uomini dai

bambini; sarà proprio a quel punto che, se avrete la forza di percorrere

ancora qualche altro metro ed andrete avanti, l'orizzonte si schiarirà e

comincerete a vedere i primi segni di quell'abbondanza che dovrà essere

vostra, poiché avete avuto il coraggio di perseverare. Con la perseveranza,

verrà il successo. Gli uomini che hanno molto successo sono in genere

conosciuti come persone dal sangue freddo, e qualche volta spietati, ma

spesso si tratta di un malinteso: quello che hanno è la forza di volontà che

abbinano alla perseveranza nel cercare di concretizzare i loro desideri per il

raggiungimento dei loro obiettivi. La maggior

parte delle persone sono pronte a gettar via i loro obiettivi e i loro scopi, ad

arrendersi alla prima difficoltà o sfortuna.

5. Diligenza “Suo figlio andrebbe molto meglio se fosse più…diligente”

A scuola spesso la sentivamo pronunciare dagli insegnanti: cioè se si è

costanti nell’impegno quotidiano.

Se ci pensiamo bene tutti questi fattori ci pongono di fronte ad una forte

realtà, il nostro senso di responsabilità. Potrà sembrar banale ma è così,

spesso le persone, sono portate a dar la colpa per le cose che non vanno per

il verso giusto all’esterno, c’è sempre una causa esterna che in qualche modo

giustifica i non risultati : “il mercato è in crisi… il capo è un rompi…i clienti non

capiscono…ecc” perché è molto più facile dare la colpa ad altri, piuttosto che

a se stessi riconoscendo quelle che sono le proprie responsabilità. Perché

non è facile ogni giorno essere ambiziosi, volenterosi, coraggiosi,

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perseveranti e diligenti in tutte le cose che facciamo, cominciando a farsi una

domanda: “Cosa posso farci io? Come posso migliorare la qualità della mia

vita, assumendomi le mie responsabilità, diventando un grande venditore di

successo?”

A questo punto però abbiamo chiari quelli che sono i Fattori interni ad ognuno

di noi, come però tutto questo si tramuta in azione sul campo. Facciamo un

esempio, paragonando l’attività di un venditore ad un lungo viaggio, e traiamo

quelle che sono le linee guida dell’attività del venditore.

Linee Guida del Venditore

1. SCOPO (obiettivi/meta/motivazione)

2. PIANIFICAZIONE (tempo)

3. RISORSE (strumenti e conoscenza)

4. ANALISI E CONTROLLO (verifica piano di viaggio)

5. FORMAZIONE (carburante)

Non si può fare un viaggio tutto d’un fiato, bisogna ogni tanto fare delle soste

di rifornimento.

Per caricarsi, per capire ciò che succede, per essere maggiormente

competitivi c’è una tappa fondamentale: la Formazione professionale. E

siccome ogni venditore vive grazie alle potenzialità del mercato, ed il mercato

è opportunità, mi viene in mente una frase:

La fortuna è ciò che accade quando la preparazione si incontra con

un'opportunità.

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Nella vita chi pensa positivo non ha problemi a creare feeling, la gente

preferisce stare con i positivi, con quelle persone che hanno un sano

Atteggiamento Positivo Interiore

“Se non sai sorridere, non aprire un negozio” (Proverbio Cinese)

Se parliamo solo di dolore, di sofferenza, di fallimenti...ne avremo sempre di

più, perché noi diventiamo quello che pensiamo e facciamo. É un processo

inconscio e reale.

Il significato originario della parola Entusiasmo è "Dio dentro" (deriva dal

greco antico enthusiasmòs, formato da en (in) con theos (dio) letteralmente si

potrebbe tradurre con "con Dio dentro di sé") è quella Forza che è disponibile

dentro ogni persona, a prescindere dal suo ceto sociale, dal cammino

spirituale e religioso, dal colore della pelle, ecc. L'Entusiasmo è la Forza che

smuove le Montagne che incontriamo sul sentiero della vita: in famiglia, nel

lavoro, nelle relazioni. Senza Entusiasmo subiamo la vita anziché viverla.

Parliamo dunque con Entusiasmo, perché sappiamo che la responsabilità ed

il potere di sviluppare l'Energia che deriva dall'Entusiasmo è personale.

Se ci focalizziamo con Entusiasmo sulle nostre Risorse, allora, pur consci

delle Montagne, potremo scalarle ed arrivare sulla vetta e godere del

panorama dell'esistenza, sentire i profumi dei fiori e delle piante, ascoltare il

suono...del silenzio, del vento e provare sulla nostra pelle le sensazioni

dell'aria pura ed incontaminata, sentendoci Liberi e Vivi e tutto questo per

scoprire che tutto quello che vediamo ascoltiamo e proviamo sono parte di

noi, anzi...siamo noi.

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Applichiamo all’Entusiasmo la regola della ‘profezia autoavverantesi’ e

scopriamo insieme quello che accade:

ENTUSIASMO

MOTIVAZIONE SUCCESSO

MOVIMENTO

Non è possibile affrontare nessun cammino se non si è convinti della strada

che sto percorrendo, è logico devo conoscere l’azienda per la quale lavoro, il

prodotto che vendo ma soprattutto devo essere convinto di voler svolgere

questa attività.

Le domande sono le risposte

Una delle differenze essenziali tra persone che sono di successo e coloro

che non lo sono sta probabilmente nel porre le domande migliori e, come

risultato, hanno ottengono le risposte migliori. Quando l’automobile era ai

suoi esordi, centinaia di persone si occupavano di costruirle, però, Henry

Ford si mise da parte domandandosi: come riesco a produrre una automobile

così in serie? E siccome per ogni domanda c’è una risposta, Henry Ford

trovò la sua risposta e nacque la prima grande rivoluzione industriale.

Domande di qualità creano una vita di qualità. Le imprese hanno successo

quando i loro dirigenti fanno le domande giuste per quanto riguarda linee di

produzione o mercati o progetti strategici. I rapporti prosperano quando la

gente fa le domande su dove esistono potenziali conflitti e come sostenersi

anziché demolirsi. Le comunità hanno maggiori benefici quando i leader

pongono le domande opportune per quanto riguarda le cose più importanti e

come i cittadini possono collaborare per scopi comuni.

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Qualunque sia l’area della vita che si vuole migliorare, ci sono delle domande

che potrai fare e che ti forniranno le risposte, le domande mettono in moto un

processo di sviluppo con un impatto che va ben oltre ciò che possiamo

immaginare.

Mettere in questione le nostre limitazioni demolisce le barriere, negli affari,

nei rapporti fra i paesi. Tutto il progresso umano è preceduto da nuove

domande.

Nuove risposte provengono da nuove domande, non importa che cosa

abbiamo già compiuto, verranno tempi in cui incontreremo dei blocchi stradali

nel nostro progresso sia personale che professionale. La domanda non è se

avremo dei problemi, ma come li tratteremo quando capiteranno. In quel

momento non saranno solo le domande che ci porremmo, ma anche le

domande che trascureremo a formare il nostro destino.

Come si può quindi migliorare la propria vita da subito? Scoprendo ed

imitando le domande abituali delle persone che stimi, questi usano

l’ingrediente più importante del successo: la disponibilità a ricevere risposte.

Le risposte che riceviamo dipendono dalle domande che siamo disposti a

fare.

Se noi consideriamo qualcosa possibile o impossibile spesso lo determiniamo

con il modo in cui poniamo le domande. Le parole specifiche e l’ordine con

cui vengono usate possono portarci a non considerare neanche certe

possibilità. Se ti chiedi: perché mi sto creando degli ostacoli? É esattamente

quello che ti succederà. Quante volte abbiamo assistito a persone che si

creano problemi quando questi non esistono per niente? Purtroppo noteremo

che quelle persone si avvolgono su loro stessi e su ciò che si sono messi

nella mente senza più trovare soluzioni a portata di mano.

Nel mondo commerciale e più specificatamente nella vendita le domande

chiave vengono trascurate. Ci accorgiamo viceversa che i migliori risultati li

hanno coloro che si pongono le stesse domande che generalmente il cliente

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pensa. Poniamoci noi alcune di queste domande prima di andare sui mercati

a proporci. Perché il cliente deve comprare da me? Cosa lo dovrebbe

spingere a farlo? Cosa ho di veramente utile da offrire? Cosa è per lui più

importante? Sono disposto ad ascoltare in modo attivo? Bene, con tutta

probabilità stai già dando le risposte che il cliente vuole sentirsi dire!

La raccolta delle risposte è il motore dell’azione, trasformiamo quindi le

informazioni in energia e cominciamo ad agire.

Ma l’energia mettetela nel Vostro “Silenzio stampa” e dunque parlate di

meno, non lamentatevi mai ed agite di più.

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CONCLUSIONE

OBIETTIVI E RISULTATI

Il destino non è una questione di fortuna è una questione di scelta,

non è qualcosa da aspettare, è qualcosa da compiere

(William Jennings Bryan)

Giunti alla conclusione di questo percorso, che ci ha visti insieme

argomentare e riflettere tra i mille rigoli della comunicazione intra ed extra

personale, vorrei puntare l’accento su alcune domande quali:

Che cosa conta di più per te?

Che cosa vuoi avere?

Che tipo di persona vuoi essere?

Che cosa vuoi fare?

Quali esperienze vuoi vivere?

Che genere di contributo vuoi dare?

Queste sono domande piuttosto dirette e richiedono, giunti a questo punto,

una qualche riflessione.

Prenditi qualche momento per pensare a cosa ti rende più felice. Scoprirai

quali sono i tuoi valori e i tuoi ruoli nelle diverse aree della tua vita e allora

sarai pronto a disegnarne la Visione per poi definire i tuoi obiettivi e a

trasformarli in risultati.

Si parla così tanto di successo che ci fa sentire sempre in difetto.

Certamente il successo più duraturo e completo è l’abilità di trarre

soddisfazione in ciascun spicchio della sfera che è la nostra vita, essere cioè

coerenti con il compito della vita e realizzare la nostra Visione.

Ci sono persone che hanno successo nel campo lavorativo e sono una frana

nelle relazioni, altri hanno una famiglia splendida e non trovano il denaro per

pagare il mutuo, altri ancora hanno un’intensa vita sociale e poca salute.

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Spesso durante i colloqui di selezione per le Aziende con le quali lavoro, i

candidati mi parlano dei loro sogni nel cassetto. E mi viene naturale chiedere

“perché il sogno è ancora nel cassetto e non nella tua vita?” Le risposte sono

piuttosto comuni: perché non ho il tempo, perché ho dovuto dedicarmi agli

studi, e poi alla famiglia, al lavoro ecc. e in fondo “non si può mica avere tutto

dalla vita!”

Ne siamo proprio certi?

È vero che abbiamo parecchie aree di attività nella nostra vita.

Affinché esse si sviluppino e producano soddisfazione e qualità, è necessario

porvi un’attenzione, un focus costante.

All’interno di ciascuna area ricopriamo diversi ruoli. Ad esempio, possiamo

essere un genitore, uno sportivo, un project manager. Avremo alcuni obiettivi

relativi alla famiglia, altri alla salute e alle capacità atletiche, altri alla carriera.

Un ruolo è una relazione chiave, un area di responsabilità o di contributo.

Esempi di ruoli abbastanza comuni possono essere: moglie/marito, manager,

collega, scrittrice, allenatore, figlio/figlia, amico/amica, supporto per gli altri. I

tuoi ruoli riflettono le tue relazioni, le aree importanti e le conseguenti

responsabilità chiave o gli attributi associati a ciascuna di esse.

Identificando i ruoli che ricopri, puoi immaginare quali risultati vuoi produrre in

ciascuno di essi e cominciare a focalizzarti in modo creativo e costante su ciò

che in essi vuoi realizzare, su come in essi vuoi essere.

È veramente difficile avere successo se non si sa che cosa esso significhi per

noi.

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Pensiamo alla parola “successo”. Il participio passato di succedere, e dunque

“accaduto”: allora un “risultato” è un “successo”. Noi siamo un “successo”.

Le persone che vivono il “loro successo” e cioè i “risultati che vogliono”,

hanno tre cose in comune.

1) Sanno che cosa vogliono (il Risultato).

Conoscono i propri valori e i propri ruoli. Per questi hanno una visione e

sanno quali sono i risultati che vogliono produrre per realizzare tale visione.

Parliamo di “Risultato” piuttosto che di obiettivo, perché conosciamo la Forza

del Linguaggio. Sappiamo ora che i diversi vocaboli ci fanno accedere a

mappe, emozioni e risorse diverse a livello conscio e inconscio.

Quando ti chiedi che cosa vuoi, stai già mettendo in moto una strategia per

ottenerlo. Per questo è fondamentale che l’espressione del tuo goal avvenga

con certe caratteristiche. Ad esempio vuoi “dimagrire?”. È un goal piuttosto

generico, vero? Sappiamo che un goal deve essere espresso in modo

affermativo (ciò che VOGLIO, anziché ciò che NON voglio), che deve essere

specifico a livello quantitativo e qualitativo (altrimenti, come farò a sapere

quando l’avrò realizzato?). Non basta. Ricordati che otterrai quello su cui ti

focalizzi. E allora, ti stai focalizzando sul Risultato o sul processo? Conosco

un sacco di managers delle attività e così pochi managers dei risultati. Se

esprimi il tuo goal con un verbo all’infinito (es.dimagrire ….) ti stai

focalizzando sul processo, i verbi infatti descrivono i processi, vero? Se vuoi

un Risultato, beh, quello devi esprimere. Ecco come: “Peso forma di 70 kg di

energia vibrante, salute e divertimento”.

Quando sai che cosa è veramente importante per te e dove desideri investire

il tuo tempo, sei pronto per chiederti il perché. Qual è il motivo che ti

spingerebbe all’azione? (motivazione). Qual è lo scopo? Chi sei tu

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veramente, che cosa vuoi esprimere nella vita? Qual è la tua missione? Qual

è il tuo Disegno?

La risposta a queste domande è la spinta, anzi, la calamita più potente per la

trasformazione di un obiettivo in Risultato. Rendere consce le motivazioni che

sostengono il tuo goal, visualizzare come ti sentirai quando l’avrai raggiunto e

come esso ti porterà alla tua visione, ti fornirà una forza creativa e d’azione

incredibili. Inoltre avrai l’assertività necessaria per definire le tue priorità e

declinare tutte le attività non importanti e inutili, trovando modi funzionali per

mantenere rapport con le persone. Già, ti è mai capitato di accettare di fare

cose solo per la paura di deludere le aspettative altrui?

2) Sanno perché lo vogliono (il Disegno).

Ora che hai identificato i Risultati specifici che desideri realizzare, nelle

diverse aree e ruoli, secondo il tuo Disegno, devi soltanto farli “succedere”.

Fino a questo momento, infatti, siamo nell’ambito dei sogni e della

consapevolezza. E sapere non è sufficiente. Devi agire secondo la tua

conoscenza, secondo le tue strategie, altrimenti la scoperta rimane senza

senso. Diventa un puro esercizio e il sogno rimane chiuso nel cassetto.

3) Fanno una Programmazione e la mettono in pratica.

Al fine di agire verso quello che conta per te ed implementare Risultati in

accordo con il tuo Disegno, le tue priorità ti devono essere chiare. È

necessario programmare le azioni necessarie in modo da usare il tuo tempo

come risorsa per vivere una vita di piena soddisfazione, eliminando di

conseguenza ciò che non è importante per te.

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Sii fedele alla tua Visione, che è l’insieme dei tuoi Risultati basati sui tuoi

Valori e motivati dal tuo Disegno. Basa la scelta delle tue azioni sui Risultati

che vuoi conseguire, su ciò che desideri creare nelle aree e nei ruoli della tua

vita, anziché sulle richieste altrui o sul confort a breve termine.

Sii constante e allo stesso tempo flessibile. Tu hai il possesso delle tue

scelte. Il successo è determinato dalla tua capacità di essere in linea con la

tua Visione e realizzare i tuoi Risultati.

La chiarezza della tua Visione sprigiona un’incredibile forza creativa che ti

suggerirà una serie di azioni che ti porteranno dritto al Risultato.

Programma queste azioni con tempi realistici e assicurati di avere le risorse

necessarie. Delega le azioni che sai possono essere svolte con efficacia da

altri. Risparmierai tempo e inoltre creerai nuove sinergie, opportunità per

nuove relazioni e per coinvolgere le persone facendole parte del tuo team.

L’azione è la parte produttiva del sistema. È il momento in cui decidi se

prendere o no un certo appuntamento, se rispondere al telefono, se afferrare

una nuova opportunità.

Questo viene anche chiamato “pensiero laser”.

Il sole è una fonte incredibile di energia, e i suoi raggi sono ampiamente

distribuiti. Una lente d’ingrandimento posta in linea con un raggio di sole lo fa

diventare un laser, producendo un fascio di luce così potente da generare il

fuoco. Così come un laser dà focus ad una fonte di potenza, agire in linea

con la nostra Visione nel momento delle scelte dà focus alla nostra vita.

“Una Forza antica e incontenibile, risiede dentro ciascun Essere, pronta per

venir sprigionata, non appena egli prende possesso del suo Disegno”

Ci sono tre tipi di persone: quelli che fanno accadere le cose,

quelli che guardano le cose accadere, e quelli che si stupiscono di ciò che accade