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I SEGRETI DELLA COMUNICAZIONE EFFICACE
di Ottavio Baia
OPERA OMNIA
Gli ebook per l'agente di commercio
Indice
Parte 1^ La Comunicazione Pag. 2
Parte 2^ La Comunicazione Verbale Pag. 27
Parte 3^ Il Linguaggio Non Verbale Pag. 32
Parte 4^ P.N.L. & Intelligenza emotiva Pag. 38
Parte 5^ P.N.L. & Vendita Pag. 94
Conclusioni Pag. 106
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Parte 1^ LA COMUNICAZIONE
Esiste solo ciò che comunichiamo.
Il contesto ed il campo di osservazione (Tre esempi tratti dal libro “Pragmatica della comunicazione umana” di Paul
Wayzlawick)
In una zona del Canada del Nord il numero delle volpi aumenta e diminuisce
con una periodicità degna di attenzione. La loro popolazione raggiunge la punta maggiore in un ciclo massimo di quattro anni, poi declina fino alla
quasi estinzione ed infine comincia a risalire. Se il biologo si limitasse ad
osservare le volpi, questi cicli resterebbero inspiegabili perché non c’è nulla
che spieghi tali cambiamenti né nella natura delle volpi né in quella di tutte le
specie. Tuttavia una volta che ci siamo resi conto che le volpi cacciano
esclusivamente i conigli selvatici e che questi conigli non hanno altri nemici
naturali, tale rapporto tra le due specie ci dà una spiegazione per un
fenomeno che altrimenti rimarrebbe misterioso.
Si potrà allora osservare che il ciclo dei conigli è identico ma opposto e cioè
che essi aumentano di numero quando diminuiscono le volpi e viceversa:
infatti, quanto più numerose sono le volpi tanto più sono i conigli che esse
uccidono finchè il cibo diventa assai scarso. Non avendo più prede sufficienti
per mangiare, le volpi diminuiscono di numero e danno ai conigli sopravissuti
la possibilità di moltiplicarsi e di crescere con rinnovato vigore. Tutti i nuovi
conigli facilmente moltiplicatisi creano una situazione favorevole per le volpi
che possono così sopravvivere e di nuovo riprodursi.
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Un uomo è colto da improvviso malore e viene immediatamente trasportato in
ospedale. Il medico che lo visita riscontra uno stato di incoscienza, pressione
sanguigna molto bassa ed un quadro clinico che descrive una intossicazione
da alcool e stupefacenti. Ma le analisi non rilevano nessuna traccia di tali
sostanze. La condizione del paziente rimane inspiegabile finchè non riprende
conoscenza. Appena cosciente dice di essere un ingegnere minerario e di
aver lavorato negli ultimi due anni in una miniera di rame sulle Ande ad oltre
3.000 mt. di altezza e di essere appena ritornato in Italia. Ora è chiaro che la
condizione del paziente non è una malattia nel senso che di solito diamo a
questo termine e cioè l’insufficienza di un organo o di un tessuto ma il
problema di adattamento di un organismo clinicamente sano ad un drastico
cambiamento d’ambiente. Se l’attenzione del medico si concentrasse solo sul
malato e se prendesse in considerazione soltanto l’ecologia del proprio
ambiente, lo stato del malato resterebbe misterioso.
Nel giardino di casa visibile dal marciapiede esterno, un grosso signore dalla
lunga barba, striscia accoccolato sopra il prato tracciando degli otto mentre
continua a guardarsi indietro e a fare “ Quà Quà Quà” Si tratta dell’ etologo
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Konrad Lorenz che simula il comportamento degli anatroccoli durante uno
dei suoi memorabili esperimenti proprio con questa specie di animali ( nella
fattispecie simula la loro mamma ). Era molto compiaciuto, scrive l’etologo,
dei piccoli anatroccoli i quali ubbidienti e precisi lo seguivano trotterellando al
grido di “Quà Quà Qua “ !!
Ad un certo momento, scrive sempre l’etologo,
alzai gli occhi e vidi una fila di volti allibiti affacciata sulla siepe del giardino,
una intera comitiva di turisti mi guardava stupefatta. L’ erba alta della siepe
nascondeva la vista degli anatroccoli e quello che vedevano i turisti era
qualcosa del tutto inspiegabile, ovvero un pazzo con la barba lunga ed un
comportamento del tutto folle!!
� Questi esempi, apparentemente slegati tra loro, hanno tutti una cosa in
comune :
“Un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è
abbastanza ampio da includere il contesto in cui il tale fenomeno si verifica”. Significato di comunicazione
La prima, elementare, definizione di comunicazione è “trasferimento di
informazioni da un emittente ad un ricevente a mezzo di messaggi”.
Questa definizione è stata formalizzata nel 1949 da Shannon e Weaver, due
scienziati americani che lavoravano ai laboratori Bell e si occupavano di
circuiti telefonici.
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Appare evidente che questo modello non tiene conto di molte variabili che
sono essenziali per comprendere perché, come, con quale efficacia avviene il
processo di comunicazione.
Ad esempio: l’emittente chi è, che cultura ha, che scopi ha, che esperienze
personali possiede?
E poi: il ricevente chi è, che cosa si attende dall’emittente, cosa pensa, che
stato d’ animo ha?
Ed infine: dove si svolge l’atto comunicativo, in quale ambiente, come è il
contesto, i valori, le attese, gli stessi atteggiamenti, come influiscono nel
modificare, distorcere, ridurre o evidenziare i contenuti della comunicazione?
Sono tutti quesiti che analizzeremo insieme per decodificare, tradurre ed
interpretare tutto ciò che si nasconde dietro la parola Comunicazione.
Iniziamo con una parola chiave: L’osservazione.
Apparentemente leggendola non ci dice un gran che, eppure il primo grande
segreto per comunicare in modo efficace sta proprio nella nostra capacità di
osservare.
Osservare non significa guardare, il suo significato è più profondo e parte
dalla nostra predisposizione ad acuire sempre più i nostri cinque sensi, per
affinarli, per capire chi e che cosa abbiamo intorno a noi. Il contatto con il
mondo avviene attraverso i nostri cinque sensi e solo l’abile “osservatore”
diventa un bravo diagnostico (se per osservatore intendiamo anche saper
ascoltare per tradurre le esperienze, saper gustare percependo le sfumature,
saper toccare per capire l’essenza, saper odorare per cogliere il momento e
ovviamente saper guardare per rilevare tutti i segnali osservabili).
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Detto questo, una particolare attenzione deve essere dedicata dunque al
problema di conoscere chi abbiamo realmente di fronte. Nella vendita così
come in altri lavori si dà ancora poco peso all’aspetto relazionale ed è un
errore grossolano, non si saprà mai quali sono le vere aspettative dei nostri
interlocutori per forma e contenuto. Accade spesso che il comunicatore
(emittente) sviluppi un processo verbale e non verbale nella convinzione di
essere compreso e gradito dal ricevente (destinatario) mentre il messaggio e
chi lo emette, vengono “personalizzati” dando origine a fraintendimenti a volte
disastrosi, il bianco diventa nero e viceversa.
Il problema di farsi capire e di farsi accettare, quindi, non è semplice
(avremmo un mondo che vivrebbe in santa pace!) e non per codici linguistici
diversi da nazione a nazione (anche se durante la guerra fredda tra Russia e
Stati Uniti stava per essere premuto il tasto rosso scatenante un’aggressione
atomica tra le due potenze per aver tradotto maldestramente una frase
americana dal ministero degli interni russo) ma soprattutto per codici culturali
ed esperienziali.
Quante volte vi è capitato di dire una frase o solamente una parola per voi
assolutamente innocua ed invece sono scattate accese discussioni e inutili
litigi?
Le persone che operano nell’ambito commerciale e lo vedremo più avanti,
devono necessariamente curare molto bene tutta la dinamica dell’azione
comunicativa in quanto essere compresi, accettati, ricordati e graditi, significa
aver suscitato le giuste “emozioni”.
Una rivoluzione
È però nel 1967 che avviene la rivoluzione copernicana negli studi sulla
comunicazione.
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In quell'anno lo psicologo Paul Wayzlawick ed altri suoi colleghi della scuola
di Palo Alto pubblicano il volume "Pragmatica della comunicazione umana" in
cui si afferma:
C'è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più
fondamentale e proprio perché è troppo ovvia, viene spesso trascurata: il
comportamento non ha un suo opposto. In altre parole non esiste qualcosa
che sia "non comportamento" o, per dirla ancora più semplicemente, non è
possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l'intero
comportamento, in una situazione di interazione, tra persone, esseri viventi,
ecc. abbia valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue
che, comunque ci si sforzi, non si può non comunicare.
Gli assiomi della comunicazione
Gli assiomi della comunicazione furono definiti da Paul Watzlawick e altri
studiosi della Scuola di Palo Alto (California), allo scopo di identificare alcune
proprietà della comunicazione, ed utilizzarle per diagnosticare alcune
patologie. Ne definì cinque: l'impossibilità di non comunicare; i livelli
comunicativi di contenuto e relazione; la punteggiatura della sequenza di
eventi; la comunicazione numerica e analogica; l'interazione complementare
e simmetrica.
Il primo assioma dice che è impossibile non comunicare: qualsiasi interazione
umana è una forma di comunicazione. Qualunque atteggiamento assunto da
un individuo, diventa immediatamente portatore di significato per gli altri.
Il secondo stabilisce un rapporto tra il contenuto (Cosa diciamo) e la forma
(Come lo diciamo): secondo gli studiosi di Palo Alto sia il contenuto che la
forma classificano la relazione.
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Il terzo assioma evidenzia la connessione tra la punteggiatura della sequenza
di comunicazione e la relazione che intercorre tra i comunicanti: il modo di
interpretare la comunicazione è in funzione della relazione tra i comunicanti.
Poiché la comunicazione è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da
una direzione all'altra e le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono
scandite dalla punteggiatura, il modo di leggerla sarà determinato dal tipo di
relazione che lega i comunicanti. Ad esempio, se una scimmietta potesse
stabilire la punteggiatura delle comunicazioni, potrebbe affermare di avere
ben addestrato il proprio padrone, in quanto ogni volta che si mette a ballare
questi è subito pronto a suonare il proprio organetto.
Il quarto assioma attribuisce agli esseri umani la capacità di comunicare sia
analogicamente sia logicamente. Tutti gli esseri umani posseggono un
linguaggio verbale, non verbale e paraverbale (Toni della voce, volume della
voce ma anche abbigliamento e status simbol, moda, tendenze ecc.).
Per esempio l'attività o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di
messaggio: influenzano gli altri che a loro volta, non possono non rispondere
a queste comunicazioni, e in tal modo, comunicano anche loro.
Dovrebbe essere ben chiaro che il semplice fatto che non si parli o che non ci
si presti attenzione reciproca non costituisce eccezione a quanto è stato
asserito. L'uomo che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in una
tavola calda affollata o il passeggero di un aereo che siede con gli occhi
chiusi stanno entrambi comunicando che non vogliono parlare ad alcuno, né
vogliono che si rivolga loro la parola, i vicini di solito afferrano il messaggio e
rispondono in modo adeguato lasciandoli in pace.
Questo ovviamente è proprio uno scambio di comunicazione nella stessa
misura in cui lo è una discussione animata.
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Infine, per il quinto assioma, tutti gli scambi comunicativi si fondano o
sull'uguaglianza o sulla differenza e quindi possono essere simmetrici o
complementari. Si dicono complementari gli scambi comunicativi in cui i
comunicanti non sono sullo stesso piano (mamma/bambino,
dipendente/datore di lavoro, cliente/Agente). Sono simmetrici gli scambi in cui
gli interlocutori si considerano sullo stesso piano: è questo il caso di
comunicazioni tra pari grado. (marito/moglie, compagni di classe, fratelli,
amici).
Tornando a Watzlawick, questi nella seconda metà del 1970 apriva la via a
tutto un ampio settore di ricerche e di scoperte.
La definizione di comunicazione veniva quindi riformulata nel senso che è
comunicazione:
“Qualsiasi evento, cosa, comportamento che modifica il valore di
probabilità del comportamento di un organismo.”
I petali rossi di un fiore, visti dall'ape in volo, inducono l'insetto a modificare il
suo percorso e di posarsi sul fiore per suggerne il nettare: i petali rossi hanno
trasmesso un messaggio, hanno comunicato all'ape un'informazione sicché
essa è stata indotta a modificare il suo comportamento precedente (volo in
linea retta orizzontale) scendendo a posarsi sul fiore.
Pertanto, come vedremo, lo studio della comunicazione non si limita agli
aspetti verbali (alle parole), ma si allarga a comprendere gli oggetti di cui
l'emittente è circondato (abbigliamento, arredamento della stanza, ecc.),
l'ambiente (la solennità delle cattedrali e dei tribunali, la sciattezza degli uffici
pubblici, la moderna aria di efficienza della sede di una multinazionale), il
modo di gesticolare, di guardare, di alzare o abbassare la voce e così via.
Da ciò consegue che non essendo possibile "non comunicare", occorre
sempre porsi il problema di come comunicare: occorre quindi formulare
strategie, definire obiettivi, programmare attività di comunicazione.
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Lasciare queste cose al caso non significa - come si è visto - "non
comunicare" (che è impossibile): significa, invece, comunicare proprio ciò che
non si vorrebbe: sciattezza, incongruenza tra parole e comportamenti,
mancanza di stile e così via; significa lasciare l'interlocutore nell'incertezza
circa gli obiettivi o le finalità perseguite dall'emittente, con la possibilità per
quest'ultimo di lasciarsi attribuire le intenzioni e gli obiettivi più assurdi o più
contraddittori. Quindi, oggi, per gli agenti di commercio così come per le
imprese, diventa essenziale:
x Formulare strategie di comunicazione
x Definire gli obiettivi della comunicazione
x Programmare il molteplice complesso di attività finalizzate alla
comunicazione
Per chi opera in azienda è impossibile non porsi il problema della giusta ed
efficace comunicazione: anche per essi ignorare questo argomento
significherebbe semplicemente fare della cattiva comunicazione con degli
effetti imprevedibili e per loro non più rispondenti alle intenzioni.
Anche in azienda deve essere presente quel minimo di conoscenze in
materia, necessario a consentire di evitare gli errori più macroscopici e
possibilmente ottenere, al contrario, la realizzazione di una comunicazione
efficace, motivante, esattamente rispondente alle finalità che l'emittente si
propone di ottenere.
Vi sarà già capitato di ricevere da qualche vostro cliente una lamentela circa
l’atteggiamento arrogante o scocciato assunto nei suoi confronti dalla
centralinista, da un impiegato o da un magazziniere al telefono a seguito di
una richiesta o informazione.
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La comunicazione a due vie
Finora abbiamo parlato di comunicazione come di un processo ad una sola
direzione: dall’emittente al ricevente.
Di fatto la comunicazione non è mai ad una sola via, perché sempre il
ricevente è in grado di far sapere all’emittente “come la pensa” e quindi non
può non influire, con le sue parole e il suo comportamento, sul successivo
procedere del processo di comunicazione.
Ma che vi sia interazione tra riceventi ed emittenti è vero anche nel caso delle
conferenze (tosse, rumori in sala, molti ascoltatori che si allontanano, segni di
disattenzione) e persino delle trasmissioni radio-televisive (indici di ascolto,
presenza pubblicitaria, lettere e telefonate alla stazione emittente di
approvazione o di protesta, ecc.), anche se in questo caso la possibile replica
avviene in tempi necessariamente più lunghi.
Dalla conoscenza di questi punti deriva un elemento di grande importanza:
per sviluppare una buona comunicazione occorre saper ascoltare.
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L’importanza dell’ascolto attivo
Affinché l’agente o il rappresentante possa svolgere bene il proprio compito è
assolutamente necessario che per prima cosa comprenda la situazione del
cliente.
Una delle qualità che si deve possedere per raggiungere questo scopo è la
capacità di ascoltare le persone contattate in modo intelligente, attento ed
attivo.
Vi sono molti modi di ascoltare, per esempio quando un pubblico accusatore
interroga un testimone egli ascolta in modo astuto per individuare le
contraddizioni, gli errori, le debolezze e le digressioni importanti e non con lo
scopo di aiutarlo.
Ma questo non è il tipo di capacità che ci interessa.
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Il nostro scopo è quello di analizzare il tipo di ascolto che meglio possa
aiutare un professionista che è in contatto con il cliente a comprendere
chiaramente la situazione in cui si trova, ad assumere la sua parte di
responsabilità ed a collaborare al fine di individuarne le effettive esigenze.
Ascolto attivo non significa necessariamente che si debba dedicare molto
tempo ad ascoltare le lamentele di natura personale. Significa solo che
occorre accettare i problemi degli altri per quello che sono e dimostrare di
farlo attraverso le risposte che si danno.
L’ascolto attivo non deve indurci ad andare contro le nostre opinioni, in altre
parole non deve essere una tecnica adottata artificialmente che ci induce a
dire una cosa mentre pensiamo a qualche cosa di completamente diverso.
Se cerchiamo di comportarci così, non ci vorrà molto tempo perché gli altri si
accorgano che stiamo fingendo. Non si può diventare dei bravi “ascoltatori attivi” se non si è capaci di sentire e mostrare un reale rispetto per gli altri.
Occorre cioè rispettare i sentimenti e le opinioni degli altri e contare sul fatto
che essi sono in grado di pensare e giudicare in modo indipendente.
Che cosa si può ottenere ascoltando
Se ascoltiamo le persone in modo attivo, le vedremo cambiare.
Si pensa comunemente che ascoltare sia qualcosa che si fa passivamente.
L’esperienza e la ricerca scientifica hanno dimostrato il contrario. Infatti,
questo tipo di ascolto attivo può essere uno dei mezzi più efficaci di cui
disponiamo per entrare in sintonia con un individuo o un gruppo.
Se ascoltiamo in modo intelligente e attivo, questo può far cambiare il modo
in cui i nostri interlocutori comprendono se stessi e gli altri. Può stimolare in
chi parla un atteggiamento emotivamente più maturo e anche più aperto.
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Alcune persone potranno reagire abbassando le proprie difese, potranno
imparare a considerare le proprie esperienze in modo più costruttivo,
potranno abbandonare i propri pregiudizi.
Se ascoltiamo in modo attivo, ciò indurrà l’interlocutore ad ascoltare se
stesso più attentamente ed in tal modo ad acquisire una migliore cognizione
dei propri pensieri e dei propri sentimenti.
I membri di un gruppo, se si ascolteranno l’un con l’altro più attivamente
smetteranno di discutere in maniera inefficace e saranno più capaci di
imparare dalle esperienze e dai punti di vista espressi dagli altri.
Se si ascolta in questo modo, non dobbiamo più temere che le nostre idee e i
nostri punti di vista siano criticati, avremo una idea più chiara di quanto
pensiamo veramente, offrendo la chiara sensazione di dare un contributo
concreto.
Tuttavia, anche colui che ascolta cambierà e questo è un fatto importante. Se
ascoltiamo gli altri in modo attivo, otteniamo più informazioni di quante ne
otterremmo in qualsiasi altro modo. Inoltre noteremo che i nostri rapporti con
gli altri miglioreranno e che i nostri atteggiamenti e punti di vista potranno
modificarsi.
In tutto questo c’è un enorme potenziale per lo sviluppo personale, ma come
si procede? Come si impara ad ascoltare in modo attivo?
Come ascoltare
Lo scopo dell’ascolto attivo è quello di capire gli altri. Se questo è l’obiettivo,
ci sono alcune cose da fare e altre da evitare.
Ma prima di esaminare questi punti in dettaglio, è importante comprendere i
motivi per cui l’ascolto attivo produce gli effetti qui descritti.
Per fare questo dobbiamo prima vedere come si sviluppa la personalità di
ogni individuo.
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La personalità è il risultato derivante dalle esperienze sociali, neurologiche e
individuali. Inoltre anche l’aspetto genetico apporta il suo contributo nella
formazione caratteriale.
Ogni individuo usa quindi le sue modalità comportamentali e di pensiero,
esse sono la miglior risposta che ogni persona percepisce per se al fine di
raggiungere l’omeostasi (Equilibrio di benessere psico/fisico).
L’essere umano prenda contatto con il mondo attraverso i suoi cinque sensi
ed elabora e memorizza quest’esperienza utilizzando immagini, suoni,
percezioni cinestesiche (odori, tatto, gusto e tutte le loro sub-modalità)
Tali sistemi, detti rappresentazionali, influiscono fortemente sul proprio
“Punto di vista” determinando il proprio pensiero, il proprio atteggiamento ed il
relativo comportamento.
Occorre in conclusione capire la postazione in cui si trova il nostro
interlocutore per tradurre in modo competente l’analisi comunicativa da lui
espressa. Questa capacità di osservazione e di analisi aumenta se
ascoltiamo in silenzio coinvolgendoci solo con il nostro linguaggio non
verbale.
Quando cerchiamo di aiutare una persona che ha dei problemi, lo facciamo
spesso cercando di aiutarla a vedere le cose da una angolazione diversa.
Cerchiamo di indurla a guardare una situazione nella luce in cui pensiamo
che egli dovrebbe guardarla.
Discutiamo, reagiamo, facciamo la morale, tutto per fare in modo che egli
pensi diversamente o ancor più per uno strano quanto atavico bisogno di
protagonismo. Tuttavia, nel fare questo, raramente ci rendiamo conto che noi
stessi reagiamo ad una necessità di vedere le cose in questo modo
particolare. È per noi difficile tollerare e capire quelle azioni che esulano dalle
nostre convinzioni, quasi come se non sopportassimo il fatto che ci siano altri
“Punti di vista” diversi dal nostro.
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Ma se dobbiamo ascoltare con vera comprensione, dobbiamo sforzarci di
liberarci dal nostro bisogno di indurre gli altri a condividere i nostri punti di
vista ed i nostri modi di pensare.
Solo allora daremo agli altri l’opportunità di cambiare, se desidera farlo.
Come rispondere quindi alle aspettative degli altri? Essi si aspettano da noi di
sapere chiaramente se siamo d’accordo oppure no.
Ora, una domanda tendente a chiedere approvazione o disapprovazione è in
molti casi un modo indiretto di esprimersi. Chi pone la domanda è spesso più
interessato a farci avere un messaggio piuttosto che ad una risposta alla sua
domanda.
Il modo più semplice ma a sua volta più efficace è basare la propria risposta
su di una domanda di natura aperta, ciò per permettere alla persona che ci
ha fatto una domanda di dire veramente quello che pensa. Chi ascolta in
definitiva deve offrire la possibilità di collaborare su qualsiasi problema senza
assumersi la responsabilità frettolosa di sentenziare o fare proposte.
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L’ascolto come strumento di gestione del cambiamento organizzativo
Le vostre case mandanti prestano adeguato ascolto ai vostri bisogni?
Gestire il personale investendo in cultura, formazione, sensibilità, significa
ridurre i costi aziendali, perché le persone, sentendosi valorizzate, attraverso
un approccio lavorativo più umano, si ammalano di meno, subiscono meno
stress, sono più motivate a lavorare e produrre. La gestione delle Risorse
Umane è quindi l'aspetto più importante della nuova cultura organizzativa e
assume un ruolo ancora più centrale in un momento di cambiamento,
intendendo per tale, il passaggio ad una Pubblica Amministrazione basata sul
consenso sia degli utenti esterni che degli utenti interni, consenso che si può
ottenere solo se il cittadino-utente, l'impiegato, l'essere umano insomma, si
sente riconosciuto e valorizzato sia come soggetto di diritto che come
soggetto responsabile e artefice del processo produttivo, anziché come
soggetto passivo di una burocrazia autoritaria e come tale, distante.
Ogni cambiamento culturale determina cambiamenti nelle organizzazioni e
questi cambiamenti vengono percepiti diversamente da persona a persona.
In particolare, coloro che operano in una struttura sentono parlare di
cambiamento, ma spesso non ne colgono il senso in termini concretamente
percettibili. Ciò accade perché:
1) Esiste in ogni individuo una naturale resistenza al cambiamento.
2) La resistenza a percepire il cambiamento è tanto più forte quanto più alto è
il livello di ansia strutturale nella persona.
La naturale resistenza al cambiamento si spiega attraverso il fatto che
esistono in ogni essere umano i bisogni di sicurezza.
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Essi consistono nella consapevolezza di avere punti fermi entro i quali potersi
orientare. Quest'affermazione trova riscontro oltre che negli studi di Maslow,
anche negli studi di Festinger. Festinger coniò infatti, dopo aver svolto degli
esperimenti, la Teoria della "dissonanza cognitiva".
Secondo questa teoria, l'uomo tende in generale ad essere coerente con sé
stesso nell'agire e nel pensare (Ogni persona crede di aver ragione, e
dunque nulla è buono e cattivo, è la nostra mente che lo rende tale). Quando
questa coerenza manca si crea un disagio che l'attività mentale cerca di
eliminare o ridurre attraverso una forma di resistenza percettiva.
È per questo che di fronte ad un elemento che denota un cambiamento nel
contesto, la persona tende a non vedere questo elemento per far si che la
percezione del contesto non subisca una destrutturazione, di fronte alla quale
occorrerebbe attivare energia per operare una rapida ristrutturazione
cognitiva. Ciò è indubbiamente un processo faticoso e quindi, quando
l'elemento nuovo non è del tutto indicativo di un cambiamento, le persone
sono portate in genere a non vederlo.
Questo processo rappresenta una più o meno naturale resistenza al
cambiamento.
Le cose cambiano però quando l'elemento nuovo è più vistoso e le persone
continuano a non vederlo continuando a mantenere la precedente percezione
del contesto. Questa è invece una situazione di " rigidità percettiva" e si
verifica tanto più quanto maggiore è il livello di ansia nelle persone.
Questa teoria è stata dimostrata attraverso l'esperimento di Eynsek.
Eynsek sottopose a gruppi di persone tre immagini in sequenza:
- la prima rappresentava un coniglio
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- la seconda, una figura ambigua tra un coniglio e un'anitra
- la terza raffigurava visibilmente un'anitra.
Il gruppo di persone "nella norma" continuava a percepire nella seconda
figura un coniglio, manifestando così una naturale resistenza al
cambiamento, per il fatto che gli elementi di trasformazione erano minimi,
mentre vedeva l'anitra nella terza figura.
Il gruppo di persone più ansiose continuava invece a vedere il coniglio anche
nella terza figura, mostrando così livelli di rigidità percettiva molto alti.
Ciò significa che l'ansia presente a livelli alti condiziona fortemente l'esame
della realtà.
Ascoltare significa dare spazio all'interlocutore, comunicargli rispetto,
valorizzazione, accettazione.
Ascoltare significa avere un atteggiamento empatico, cioè sapersi mettere nei
panni dell'altro, pur mantenendo il proprio modo di pensare e di sentire.
Sapersi mettere nei panni dell'altro è indice di maturità personale, perché
significa avere una visione alterocentrica della vita.
Ciò significa che bisogna partire dal fatto che ogni nostro interlocutore è
diverso da noi ed è pertanto realistico accettarlo in quanto tale.
Saper ascoltare produce le conseguenze positive:
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- Permette all'altro di abbassare le difese, sciogliendo l'ansia, e di aprirsi
ancora di più perché non si sente minacciato dalla paura del giudizio;
- Permette all'ascoltatore di capire fino in fondo il punto di vista dell'altro,
proprio in virtù del calo delle sue difese;
- Facilita l'alterocentrismo nell'interlocutore, perché chi si sente ascoltato e
rispettato, a sua volta ascolta e rispetta;
- Facilita il confronto tra le parti e la negoziazione tra i diversi punti di vista,
portando, attraverso la relazionalità dell'io, alla maturità sociale;
- In una situazione di particolare ansia e insicurezza, la persona ascoltata si
sente supportata e contenuta e quindi rassicurata, sviluppando così una
reazione adattiva al cambiamento.
L'ascolto è quindi utile perché agisce sui bisogni di sicurezza. Un capo
accettante e rassicurante svolge, nei confronti del dipendente così come di
un venditore, una funzione di contenimento anche della paura e dell'ansia.
La persona si sente capita, non giudicata e quindi l'ansia del cambiamento si
stempera e come tale, finisce col non essere più minacciosa.
Diversamente, un capo ansioso, acuisce la conseguenziale resistenza al
cambiamento.
La resistenza al cambiamento è infatti il risultato di un meccanismo di difesa
dell'io (più o meno accentuato, secondo la quantità di ansia e quindi di
insicurezza, presente a livello soggettivo), verso ciò che l'io percepisce al di
sotto della soglia di coscienza, come minaccioso e devastante; per cui l'unico
modo per difendersi da questo qualcosa minaccioso e devastante, è negarlo,
non facendolo affiorare alla coscienza. Lasciare che questi meccanismi di
difesa operino significa che poi, le persone che ne sono affette dovranno
comunque fare i conti con la realtà che prima hanno negato senza aver
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percorso il graduale processo di adattamento alla situazione nuova; e ciò non
solo aumenta ulteriormente il livello di ansia, ma provoca comportamenti
disfunzionali con effetti sull'individuo e sull'organizzazione.
La facilitazione attraverso l'ascolto, quale espressione dello stile di leadership
democratico partecipativo, evita queste conseguenze, svolgendo un'azione
preventiva, prima ancora che terapeutica.
Ostacoli e limiti, errori di contenuto e di forma.
In un dialogo (quale è e deve essere il colloquio con il cliente) i ruoli di
emittente e di ricevente si invertono in continuazione.
EMITTENTE RICEVENTE
Esaminiamo cosa avviene durante un normale dialogo tra due persone.
Come dicevamo poc’anzi, nelle relazioni avvengono sempre due modalità o
"codici" ben distinti:
- il codice verbale, poiché ci esprimiamo con una lingua ben individuata e
conosciuta da entrambi gli interlocutori - ad esempio l'italiano - che è uno
dei linguaggi convenzionali creati dall'uomo. Con questo primo codice
esprimiamo il "Cosa", il contenuto logico del "flusso di dati";
- il codice non verbale, dato da tono di voce, sguardo, velocità nel parlare,
gesti ed altri aspetti del linguaggio del corpo, codice che rappresenta il
"Come" comunichiamo.
Quando siamo noi l'emittente, spesso ci dimentichiamo di prestare la dovuta
attenzione al come parliamo e trascuriamo il fatto che il ricevente capta molti
altri segnali che noi non vorremmo dare e/o riteniamo di non aver dato (per
esempio incertezza, dimenticanza, bisogno, disappunto) mentre viceversa
non recepisce messaggi che a noi sembra di aver dato chiaramente.
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Notiamo che: chi parla è attento a COSA si dice chi ascolta è attento a COSA e COME lo dice.
Se l'ascoltatore percepisce una discordanza tra il cosa ed il come, per
interpretare il vero significato della comunicazione presterà più attenzione al
come. Ad esempio guardando l'interlocutore negli occhi o un gesto si
comprenderà meglio il senso del discorso: dire "Basta!" con un gesto aperto
delle mani significa "ora basta”, “stop” = imperativo;
Ma se dico "Basta!" con le mani ferme davanti a me significa "ti prego,
fermati” = sto subendo, mi devo difendere.
Non dimentichiamoci che ogni forma di comunicazione contiene anche una
modalità fisica che esprime qualcosa, e che se è in distonia con il contenuto
verbale crea incertezza nell'interlocutore.
Immaginate di vedere presso un tabaccaio un biglietto di uno studente che
offre ripetizioni.
Ora, probabilmente pensereste che si tratta di uno scherzo, se lo vedeste
stampato su un cartoncino con la stampigliatura tipografica a caratteri d'oro!
Oppure probabilmente non trovereste molto sincera una lettera d'amore
stampata con una stampante di un computer, s'intende se la ricevete da
parte di una persona che può tranquillamente scrivere con una penna!
L'argomento del linguaggio del corpo è molto vasto e poiché merita un
discorso approfondito è trattato più ampiamente nei capitoli successivi.
Approfondiamo qui come avviene la trasmissione dei dati, o meglio le
modalità di ricezione dei dati.
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Principio della comunicazione di Warren G. Bennis
W.Bennis ci dimostra che esiste una distorsione del messaggio che
desideriamo inviare perché, oltre a quello che intendiamo comunicare, si
aggiunge ciò che non era nostra intenzione comunicare, per cui il messaggio
percepito è diverso da quello inviato.
Questo avviene perché la comunicazione è costituita, come già accennato,
oltre che dalla componente razionale, anche da quella emotiva ed è
fortemente influenzata dalle personalità diverse che si mettono in relazione e
ai meccanismi della percezione e di difesa.
Ogni persona infatti, possiede un proprio sistema di riferimento legato al
proprio modo di rapportarsi al mondo e, in particolare, determinato dal proprio
sistema percettivo e sensoriale, il concetto di sè, la storia personale, i bisogni
affettivi, le capacità cognitive, la cultura e i valori di riferimento, le motivazioni
e aspettative, i ruoli sociali e professionali, ecc.
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Finestra di Johary
NOTO A ME IGNOTO A ME
NOTO AD ALTRI pubblico cieco
IGNOTO AD ALTRI privato inconscio
La finestra di Johary è un modello teorico che ci permette di comprendere le
dinamiche delle relazioni sociali. Abitualmente tendiamo a fornire
un'immagine di noi stessi e ad accettare l'immagine che gli altri ci forniscono
di sé: "La norma sociale impone di non dire ad altri la nostra impressione su
di loro se differisce dall'immagine che essi presentano di se stessi"
Le quattro aree della "finestra" sono:
- area pubblica: corrisponde a quello che io so di me e a quello che gli altri
sanno di me
- area cieca: corrisponde a quello che io non so di me ma che gli altri sanno
di me
- area privata: corrisponde a quello che io so di me , ma che gli altri non
sanno di me
- area inconscia: è sconosciuta a me e agli altri.
Ne deriva che nelle relazioni o dialoghi extra ed intra personali, ci sono
sempre coni d’ombra od aree non conosciute. Sovente succede di farsi una
opinione sulle persone che successivamente vengono smentite dai fatti.
(Pensavo fossi diverso………Non avrei mai immaginato………..Mi hai
deluso……….mi ero fatto una opinione diversa……….ecc.)
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L’arte del silenzio
Non c'è niente al mondo che impressioni durevolmente di più di un
comunissimo silenzio, irritando e inquietando il nostro subconscio.
Questo silenzio risveglia lo stato d'animo che può aver dominato 100.000
anni fa nella foresta: quando nessun alito di vento muoveva le foglie, tutto
taceva intorno, e quando ogni minimo rumore diventava un grande
avvertimento.
Tutti i rumori tradiscono che sta accadendo qualcosa. Ma il silenzio assoluto
è inquietante perché non sappiamo cosa gli stia dietro. Se nel corso di una
serata cala improvvisamente il silenzio, è imbarazzante per tutti: si diventa
inquieti non si osa più muoversi fino a quando non viene rotto "l'incantesimo
del silenzio".
Il silenzio tenuto di proposito è l'arma segreta numero uno del capo esperto.
Ed è una arma segreta, perchè la maggior parte degli uomini non è conscia
della sua potenza comunicativa.
L'interlocutore silenzioso ci inquieta, ci sentiamo a disagio, ma solo finché
non ci siamo anche noi abituati a fare largo uso di questa arma.
Tanto per i dirigenti come per i venditori è importante conoscere quest'arma
ed esercitarci a curarne coscientemente l'impiego.
Si potrebbe dire paradossalmente che molti non sanno parlare perché non
sanno tacere.
Chi conosce il suo significato sa, infatti, quanto il silenzio sia eloquente.
Il silenzio sembra essere niente ma è un niente che agisce, pensate al
silenzio imbarazzato, al silenzio glaciale, al silenzio pensieroso, al silenzio
arrabbiato, al silenzio provocatorio, al silenzio distaccato, al silenzio
consapevole, al silenzio di tomba, al silenzio pesante. Henry Miller scrive in
"Tropico del Cancro":
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"Domina una quiete così insistente, che rintrona nelle mie orecchie come le
cascate del Niagara".
A che cosa serve conoscere la potenza del silenzio?
Gli errori che noi facciamo nel rapporto con i clienti o con i nostri collaboratori
non sono in generale da ricercare nel fatto che abbiamo taciuto troppo, ma
piuttosto che abbiamo parlato troppo.
In conclusione: non dire niente se ciò che dici non giustifica l'interruzione del tuo silenzio.
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Parte 2^ LA COMUNICAZIONE VERBALE
Le parole sono gli abiti che
facciamo indossare ai nostri
pensieri.
Quante volte vi è capitato che per aver pronunciato una parola di troppo
avete perso una vendita?
Le parole sono formate da codici (lettere) e suoni, possono ferire, possono far
rimanere indifferenti, possono infastidire ma possono anche smuovere
montagne.
Nella lingua italiana la grammatica e la punteggiatura svolgono un ruolo
essenziale, tanto per farvi un piccolo esempio vi scrivo quanto segue:
Meglio vivere d’istanti e d’istinti che
distanti e distinti
Come vedete i suoni sono identici ma il significato, cambiando pochi codici,
cambia totalmente.
In Italia abbiamo più di 150.000 parole a disposizione, la loro
interconnessione, sovrapposizione, aggancio, disposizione e scelta possono
orientare i destini di chiunque.
…..Le Parole non tornano indietro…..
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L’importanza di mettersi a disposizione il maggior numero di parole, implica
che tali suoni aprono concetti, percezioni, riflessioni, rapporti causa-effetto,
visioni e ragionamenti che altrimenti non afferreremo. Aggiungere una nuova
parola al nostro vocabolario agisce come effetto moltiplicatore/esponenziale
in quanto amplifica la possibilità tecnica di scoprire nuove realtà e nuovi
concetti.
Inoltre possiamo variare il nostro modo di dialogare con noi stessi in funzione
della sua produttività.
Le persone di successo in diversi campi, usano con se stessi e con gli altri
parole e frasi che tendono a vedere le cose come possibili.
Ti sarà forse accaduto di apprezzare le capacità persuasive di alcune
persone ed il loro sapiente uso delle parole giuste al momento giusto. La
storia è ricca di esempi di uomini che con le proprie parole hanno infiammato
intere platee e smosso le coscienze di moltitudini. Ciò accade perché
attraverso le parole, non solo interpretiamo la realtà che ci circonda, ma
esprimiamo delle emozioni e ne suscitiamo in chi ascolta, inducendo in essi
un determinato comportamento. Le parole esercitano un potere di cui spesso
non siamo consapevoli. Le parole sono il mezzo principale di interpretazione
della realtà ed etichettare in un certo modo la nostra esperienza cambia
automaticamente le sensazioni prodotte su di noi. Descrivere una vacanza
con espressioni come “meravigliosa”, “emozionante” ci fa vivere sensazioni
diverse da quelle che proveremmo se ci limitassimo a definirla “carina”.
Con le parole comunichiamo i nostri stati d’animo, le nostre idee, le nostre
convinzioni agli altri, ma anche e soprattutto a noi stessi. Le cose che ci
diciamo costantemente e intensamente poco per volta diventano la nostra
realtà. Insomma le nostre parole possono esercitare un vero e proprio potere
ipnotico su di noi. “Se l’è detto così tante volte che ha cominciato a crederci”
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Non è solo un modo di dire, ma ciò che accade veramente! Se diamo
continuamente a noi stessi messaggi del tipo “sono brutto”, “non sono
capace”, “questa cosa non fa per me!”, abbinando a queste affermazioni
intense emozioni, tutto questo inizierà a diventare vero e reale per noi,
perché poco per volta sarà assorbito dalla nostra mente inconscia. Da ciò si
comprende quanto sia importante diventare sempre più consapevoli del
linguaggio che utilizziamo quotidianamente.
Con le parole comunichiamo i nostri stati d’animo, le nostre idee, le nostre
convinzioni agli altri, ma anche e soprattutto a noi stessi. Le cose che ci
diciamo costantemente e intensamente poco per volta diventano realtà.
Cerchiamo di capire come funziona questo processo: il cervello umano riceve
dai cinque sensi stimoli e sensazioni. Uno dei modi più efficaci, con i quali
l’uomo dà significato a queste immagini, suoni, stimoli e sensazioni, è apporvi
delle etichette chiamate parole. Quindi poco per volta una determinata
sensazione viene etichettata come “gioia” oppure “paura” oppure
“umiliazione” ecc.. Nella pratica usiamo le parole per rappresentarci le nostre
esperienze di vita.
E poiché le parole sono il mezzo principale di interpretazione e traduzione
che abbiamo, etichettare in un certo modo la nostra esperienza cambia
automaticamente le sensazioni prodotte nel nostro sistema nervoso,
modificando di conseguenza altrettanto automaticamente la biochimica del
nostro corpo. É provato che quanto più conosciamo un argomento o una
materia, tanto più abbiamo a disposizione un vocabolario preciso e specifico.
Un esperto di computer userà una terminologia ad hoc e quindi un lessico
molto più ricco di termini informatici rispetto a chi dello stesso argomento ne
capisce poco o nulla. Il fatto che abbiamo un vocabolario più ricco per definire
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emozioni negative, ci dice che culturalmente siamo più esperti in malessere
che in benessere, in emozioni depotenzianti che in emozioni potenzianti.
Il problema è anche sociale in quanto sin da piccoli ci hanno abituati alla
cultura dell’errore, che è stata la colonna sonora dei nostri anni scolastici e
spesso della educazione dei nostri genitori.
Ci siamo di conseguenza tutti specializzati nell’ individuare gli errori,
nell’evidenziarli e nell’accusare.
Pochi si focalizzano sull’obiettivo in termini positivi, molti purtroppo si
concentrano sui problemi e non sulle soluzioni. Ed il nostro linguaggio ha
preso quella direzione, in altre parole quella della lamentela.
Prima di parlare con le persone, prima di parlare con i clienti in linea di
massima sappiamo quale sarà l’argomento da trattare. Le parole prima di
proferirle, passano all’interno del nostro sistema neurale e se non sono ben
programmate rischiano di non incidere favorevolmente.
Non è solo una questione di contenuti ma anche di forma dialettica e di gesti
che incorniciano il quadro descrittivo in modo assai importante.
Ogni persona ha un suo linguaggio, tale comunicazione difficilmente viene
espressa con la stessa modalità nostra. Pensate per un momento di parlare
con un medico e poi con un ingegnere, con un operaio, con un marinaio, con
una massaia, con un imprenditore, con un negoziante, con un militare, con un
politico, con un prete, ecc., scoprireste subito la divisa dialettica con cui
ognuno parla, financo delle parole che usano in maniera omologata al loro
ambiente.
Dunque il linguaggio verbale è molto variegato, dipende dall’emittente da cui
proviene, dall’area geografica, dalla cultura della persona ma anche dalle
convinzioni e dalla esperienza di ognuno.
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L’errore macroscopico che molti fanno è quello di rimanere agganciati sulla
propria lunghezza d’onda trascurando la postazione dell’interlocutore. Per
postazione intendo il suo “mondo”.
Per ovviare a questa manchevolezza o disattenzione leggete bene il capitolo
4°.
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Parte 3^ IL LINGUAGGIO NON VERBALE
L’atteggiamento vale più della parola.
Il primo messaggio siamo Noi.
Quando conosciamo una persona, nel giro di appena pochi secondi
generalmente avvertiamo di esserci già fatti un'idea su di lei (gentile,
accomodante, premurosa, scorbutica, bugiarda). Quali sono le informazioni
che elaboriamo così rapidamente, nonostante abbiamo scambiato poche
parole?
Anni fa, mentre preparava un programma sulla delinquenza minorile, un
giornalista intervistò il capo di una banda di giovani criminali, che
effettuavano scippi ed aggressioni per la strada. Era un ragazzo di 17 anni
dall'aria sicura. Il giornalista gli chiese come scegliesse le sue vittime, e lui
rispose che andava in cerca di persone sole, che camminavano strascicando
i piedi, con la testa bassa e lo sguardo sfuggente, e che assumevano un'aria
spaventata al solo vederlo.
Quando il giornalista gli chiese se egli sarebbe stato una vittima facile, il
ragazzo rispose senza esitazione di no, "No, con lei non ci proverei. Quando
sono entrato nella stanza, lei mi ha guardato dritto negli occhi, e poi mi ha
squadrato dalla testa ai piedi come per misurarmi, per valutare se poteva
battermi con un corpo a corpo: Con questo tipo di persone si va solo incontro
a guai."
Quell'ignorante ragazzo di strada era capace di decifrare istintivamente il
linguaggio del corpo, e capire quante probabilità aveva di riuscite nello
scippo. E tutto questo in pochi secondi.
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Solo una piccola percentuale delle impressioni che riceviamo dalle altre
persone dipende da ciò che viene detto. Gran parte della nostra
comunicazione non è verbale: consciamente o meno trasmettiamo i nostri
veri sentimenti attraverso:
- Gli occhi: il contatto visivo, la grandezza delle pupille;
- Il viso: l'espressione del viso, il movimento degli occhi;
- Il corpo: gli atteggiamenti, la posizione del corpo, il modo di camminare, i
gesti, la distanza che manteniamo, la respirazione;
- Il tono e l'enfasi della voce: la velocità del discorso, la scelta delle parole;
- Gli status symbol o altri oggetti.
Negli altri scateniamo un'insieme di reazioni emotive che vanno dal senso di
sicurezza alla paura.
Il cervello non può non "leggere" informazioni dall'insieme del comportamento
di chi ci parla, e comincia a formulare un identikit della personalità
dell'interlocutore. Secondo gli esperti tutto ciò avviene nei primi dieci secondi.
Spetta a ciascuno di noi di far sì che questa immagine di noi stessi sia quella
che desideriamo: il primo messaggio siamo noi. Nel leggere il linguaggio del corpo non si deve considerare un solo dettaglio e
trarre troppe conseguenze da esso: per avere una impressione
ragionevolmente veritiera di un'altra persona nell'analizzare il suo linguaggio
del corpo bisogna provare a captare l'insieme dei segnali e trovarne almeno
tre che puntano concordemente in una medesima direzione.
Alcune regole del linguaggio del corpo assumono particolari caratteristiche a
seconda della nazionalità e della cultura delle persone.
Ad esempio:
- Gli scozzesi mentre parlano generalmente mantengono una maggiore
distanza tra di loro rispetto agli italiani; invece Arabi e Greci tengono una
posizione molto ravvicinata;
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- In certe parti del mondo latino è convenzione che le giovani donne
debbano abbassare gli occhi quando parlano a un uomo; il contatto con
gli occhi verrebbe considerato un invito ad una maggiore intimità: in molti
altri paesi del mondo l'abbassare gli occhi è segno di insicurezza,
instabilità o incapacità;
- In alcuni paesi è piuttosto comune ed accettabile che buoni amici di sesso
maschile possano camminare mano nella mano: in altre nazioni questo è
consentito solo alle donne ed alle coppie.
Il linguaggio del corpo conscio ed inconscio
Linguaggio conscio:
- agitare il pugno: minaccia
- alzare una mano: indica che si vorrebbe parlare
- un dito alle labbra: fare silenzio
- additare l'orologio: è ora di terminare
- portare la mano dietro all'orecchio: indica di parlare più forte.
Linguaggio inconscio:
- toccarsi il naso o la bocca: incertezza
- battere le palpebre frequentemente: disattenzione;
- batterle di rado: interesse
- dilatazione delle pupille: interesse, onestà o emozione
In particolare, questo ultimo aspetto può essere influenzato da alcuni altri
fattori: poca luce, rilassamento.
Viceversa la contrazione della pupilla può dipendere da molta luce, fatica o
stress, postumi di ubriachezza. La dimensione della pupilla inoltre può essere
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maggiore o minore per costituzione fisica. Per leggere le reazioni
dell'interlocutore vanno quindi osservati più elementi.
La posizione della testa e delle spalle
- testa alta: apertura, interesse, atteggiamento vincente, padronanza della
situazione.
- testa bassa: dubbio, sconfitta, disprezzo, paura, insicurezza.
- testa inclinata da un lato: può indicare interesse, curiosità, oppure
desiderio di interessare persone dell'altro sesso.
- spalle contratte: tensione
La posizione del corpo
- posizione eretta: padronanza della situazione, conoscenza del proprio
lavoro, nulla da nascondere
- posizione inclinata in avanti: tentativo di dominare gli altri, o tentativo di
sottolineare con insistenza una determinata affermazione
- posizione inclinata all'indietro: atteggiamento sulla difensiva o reticente.
Tutte queste posizioni indicano un segnale chiaro, in cui vi è accordo tra
pensieri e parole.
Le seguenti sono invece atteggiamenti più complessi:
- posizione con busto incurvato in avanti: posizione adottata spesso da
persone di statura alta, consapevoli della loro statura. É anche la postura
di chi è indolente e poco interessato.
- posizione con petto in avanti: posizione adottata spesso da persone di
statura bassa, che inconsciamente tentano di darsi importanza. È anche
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l'atteggiamento di chi ha un limitato potere, ma cerca di farsi credere più
importante.
- posizione leggermente incurvata in avanti, fianchi all'indietro: premura e
consiglio, amicizia. È la posizione tipica di un cameriere molto riverente o
di un impiegato di fronte alla porta del direttore mentre sta per entrare e
chiedere qualcosa, o di qualcuno mentre dà un bacio in segno di pura
amicizia.
- posizione leggermente incurvata all'indietro, con fianchi in avanti:
timidezza, oppure insieme incertezza ed amicizia.
Si può essere capaci di interpretare il linguaggio del corpo degli altri, anche
messaggi più nascosti, di tipo sociale, emotivo o sessuale, ma è cosa ben
diversa saper padroneggiare il proprio linguaggio del corpo, dare risalto al
messaggio che si vuole dare, e in definitiva riuscire a dare di sé l'impressione
desiderata.
Sintesi schematica
x Togliere la polvere dal vestito: RIFIUTO
x Strofinare il dito sotto il naso: SOSPETTO
x Grattarsi il naso: INCERTEZZA
x Grattarsi le mani: DISORIENTAMENTO
x Grattarsi gli angoli degli occhi: CONFLITTO
x Battere le palpebre frequentemente: DISATTENZIONE
x Batterle di rado: ATTENZIONE
x Dilatazione delle pupille: INTERESSE
x Bocca aperta-dita sui denti: ANSIETA’ x Sguardo fisso: DOMINIO
x Gesticolazione morbida e simmetrica: ARMONIA
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x Braccia conserte: CHIUSURA
x Gambe accavallate: GRADIMENTO
x Gambe accavallate con mano sulla caviglia: AUTOPROTEZIONE
x Braccia dietro la schiena: DISACCORDO
x Accarezzarsi il mento: RIFLESSIONE
x Evitare lo sguardo: INSICUREZZA
x Contatto visivo, mano sul cuore: SINCERITA’
x Cambiare continuamente posizione: ANSIETA’ x Respiro affannoso, sbuffate: APPRENSIONE
x Bocca chiusa, mascelle serrate: RABBIA
x Mani incrociate: SOTTOMISSIONE
x Alzare le sopracciglia: SORPRESA PIACEVOLE
x Postura opposta: ANTIPATIA
x Postura sincrona: SIMPATIA
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Parte 4^ PROGRAMMAZIONE NEURO LINGUISTICA
& Intelligenza emotiva
Ognuno di noi vorrebbe sentirsi
dire dagli altri ciò che vorrebbe essere
x Avete mai desiderato conoscere maggiormente voi stessi e le vostre
potenzialità?
x Imparare ad utilizzare la comunicazione efficacemente?
x Creare relazioni soddisfacenti?
Esistono tecniche che vi possono aiutare in tale percorso.
Questa parte dell’e-book ha come obiettivo far conoscere un sapere che
potrà accompagnarvi per sempre, un'esperienza personale per rinforzare il
corpo e la mente.
Ognuno di noi merita il meglio; ed è importante che effettuiamo delle scelte in
tal senso.
La cosa straordinaria è che possiamo scegliere tra “vivere veramente” o
semplicemente “vivere” lasciandoci trasportare dagli avvenimenti. E le
discipline presentate qui, sono nate per aiutarvi a raggiungere i vostri risultati,
ed a capire il vostro “voi stessi” più profondo!
"Quello che sono oggi è indice di quello che ho imparato, non di quello
che è il mio potenziale"
(Virginia Satir)
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Vi è mai capitato di essere sicuri di voi stessi, fino al punto di essere felice
perché vi sentite padroni della vostra vita ed artefici delle situazioni di
successo che create intorno a voi?
Questo è uno stato di eccellenza, che siete voi stessi a crearvi, anche se non
sapete ancora come.
Quello che Vi dico rappresenta una metodologia per poter scoprire la
struttura dietro questa esperienza, e poterla ricreare. É possibile creare
un'ingegneria degli stati emozionali, in modo che in ogni momento, si possa
utilizzare lo stato più opportuno. Parliamo della P.N.L. (Programmazione
Neuro Linguistica) per darvi le metodologie adatte affinchè si attuino in voi
continui processi di crescita e consapevolezza alfine di rafforzare il coraggio
e la volontà di trovare la fiducia in voi e agire di conseguenza.
Vivere "realmente" può in tale prospettiva essere una scelta e non un caso.
C'e un elevato numero di persone che lascia correre la propria mente
all'impazzata, trascorrendo molto tempo ad avere esperienze che
preferirebbe evitare. É necessario rendersi conto che il cervello diviene così
una "stanza" talmente piena di "chiaccherio" che le soluzioni hanno difficoltà
ad entrare per mancanza di spazio. É sicuramente utile pensare ai problemi
per risolverli, ma al contempo è anche utile iniziare a formare delle strategie
alternative per riuscire ad evitare che si riformino.
"Le difficoltà sono il fuoco che formano il nostro carattere" (Anthony
Robbins)
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La frase precedente può significare che ogni volta che ci troviamo di fronte ad
un problema, possiamo individuare la strategia più efficace per affrontare la
situazione.
Quelle che prima chiamavamo "difficoltà" diventano allora un'opportunità per
modellarci, migliorarci, un invito ad agire!
In ogni momento di difficoltà poniamoci la domanda: come questo momento
potrà aiutarmi a crescere maggiormente? Questa domanda è la strada per
incominciare ad utilizzare nuovi modi di comportamento ed imparare ad
interagire meglio con le nostre emozioni.
“Nella scrittura cinese la parola crisi è formata da due ideogrammi, il
primo significa pericolo, il secondo opportunità”
Quanto siamo padroni del nostro pensare?
Molte persone sono prigioniere delle loro abitudini ed è come se fossero
incatenate all'ultimo sedile dell' "Autobus", con qualcun altro al volante. Ma
chi è questo qualcun altro? Sono le nostre reazioni, i nostri programmi
inconsci. Dobbiamo essere noi a guidare il nostro "Autobus personale". Se
non diamo qualche indicazione corriamo il rischio che, o viaggerà a casaccio
per conto proprio oppure altre persone troveranno il modo di dirigerlo al posto
vostro. La P.N.L. così come altre discipline, rappresenta un'opportunità per
imparare ad utilizzare il pensiero in modo più funzionale, perché la
programmazione neurolinguistica non è altro che un processo educativo del
pensiero.
Immaginiamo ora che il nostro cervello sia una macchina alla quale manchi
un interruttore con la posizione di spento. Se non gli si da qualcosa da fare
continua a girare e alla fine si annoia! Quante volte siamo stati ossessionati
da qualche pensiero o da situazioni che avremmo voluto risolvere? Dite a voi
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stessi: "Vorrei riuscire a scacciarlo dalla testa". Riflettete sulla straordinaria
capacità che avete avuto nel riuscire a mettercelo! Il mio punto di vista è che
la nostra mente è qualcosa di fenomenale, riesce a fare cose stupefacenti, ed
il problema è spesso non che non possa imparare ma che impara bene e
troppo in fretta. Ad esempio, un singolo avvenimento traumatico rischia di
condizionarci per anni; in altre parole una singola esperienza può lasciare
una traccia indelebile.
Ma in realtà si può andare oltre ed essere liberi da questi condizionamenti
automatici: e le nostre capacità possono essere educate ad andare verso uno
stato che ci arrechi soddisfazioni. Le discipline sulle quali sono basate le mie
considerazioni, sono il frutto delle più recenti ricerche sull'animo umano, e
possono portarvi utili elementi per affrontare la vita personale e quella
lavorativa con successo.
Bisogni e dove trovare le risorse adeguate
Se interroghiamo varie persone scopriamo che i bisogni più diffusi sono:
Voglia di sicurezza economica; Necessità di essere amati; Necessità di
conoscersi meglio e migliorare il rapporto con se stessi; Necessità di aprirsi
agli altri e farsi capire; Voglia di concretezza; Voglia di successo; Voglia di
autostima;
É importante realizzare che tutto quello che è necessario per soddisfare
questi bisogni ed essere delle persone di successo è dentro di noi. C'è solo
una persona che può decidere di iniziare la strada: Voi! Se riflettete sulla
frase che "il pensiero è l'antenato dell'azione" arriverete alla piacevole
conclusione, che “la qualità della vostra vita dipende esclusivamente da voi!”
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"La vita può essere un'audace avventura oppure il niente! " (Helen
Keller)
E a questo punto parliamo di P.N.L. Ma cosa è la Programmazione Neuro Linguistica?
É lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva. Nata negli anni 70 da un
progetto universitario condotto da Richard Bandler e John Grinder i quali
attraverso la linguistica, la matematica e la cibernetica elaborarono modelli su
base comunicativa facendo perno sul concetto di “Osservabilità”. In questo
senso la P.N.L., presenta un carattere estremamente pragmatico,
proponendo modelli che traggono validità dalla loro efficacia piuttosto che da
un substrato puramente teorico.
Scomponendo il nome P.N.L. possiamo individuarne le tre componenti
principali.
x Programmazione, ossia lavoro mentale che avviene nell’individuo nel
momento in cui riceve un’ informazione.
x Neuro, perché l’esperienza è filtrata ed elaborata dal nostro sistema
nervoso attraverso i cinque sensi.
x Linguistica, ovvero risposta agli stimoli ricevuti o affiorati internamente,
per cui avviene la relazione con l’esterno in modo verbale e non verbale.
É quindi evidente che percependo il mondo attraverso i cinque sensi, ogni
persona percepisce ed elabora le esperienze in modo diverso da un’altra.
Una volta ottenute tutte le informazioni si attua un processo interno di
elaborazione mentale che è composto dalle rappresentazioni mentali di
quello che si è percepito. Tali rappresentazioni influenzeranno valori e
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convinzioni che a loro volta innescheranno uno stato interno strutturato da
emozioni, sentimenti, sensazioni che formano i programmi mentali
(metaprogrammi) ossia strategie delle persone ancora sotto forma di
rappresentazioni mentali.
A seguito di questo lavoro interno ognuno di noi risponde agli stimoli con un
proprio linguaggio che può essere di due tipi: verbale e non verbale. Il
linguaggio non verbale essendo immediato, inconscio, automatico e
simbolico ha molta importanza e rappresenta spesso la strada per giungere
ad un’effettiva e vera comunicazione.
“Il segreto per arrivare ad una vita riuscita è dentro di te!”
La P.N.L. e le tecniche orientate sulla soluzione, sono quindi procedure per
sviluppare le potenzialità umane. Potrei iniziare con il dare una spiegazione
tecnica della programmazione neurolinguistica; è opportuno dire innanzitutto
che la P.N.L. originaria nasce come esigenza per organizzare il nostro
pensiero, per scoprire e ottimizzare le strategie che utilizziamo per lavorare,
conoscere, amare e vivere! Se diventiamo consapevoli dei nostri modelli
comportamentali e dei nostri programmi inconsci, siamo anche in condizione
di modificarli come desideriamo. La P.N.L. in definitiva fornisce dei metodi
che vi mostrano il “come” del lavoro di trasformazione.
“Il problema non è il problema, ma il modo con cui ci rapportiamo ad esso!”
Parlare di P.N.L. equivale a parlare di creatività, imparare un nuovo modo di
affrontare la vita in tutte le sue sfaccettature, diventarne protagonisti e artefici.
Il termine può dare l’impressione di qualcosa di freddo e tecnico, invece tutto
ciò che c’e dietro queste tre semplicissimi iniziali dà un significato e una
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corposità alla nostra esistenza che può diventare un susseguirsi di conquiste,
successi, emozioni autentiche e soprattutto ci da l’opportunità di vivere senza
la necessità di identificarci con quello che c’è al di fuori di noi e che non ci
appartiene. Quello che propongo è un viaggio guidato all’interno di noi stessi,
per sfruttare effettivamente ed al massimo il potenziale che possediamo.
Vivere con gioia, creatività, esperienze, conoscenze, successo personale.
La P.N.L. è attiva in Italia dall’inizio degli anni 80, i suoi principi comunicativi
ormai ampiamente sperimentati trovano applicazione in campo terapeutico
(medicina e psicologia), nell’ambito educativo e formativo ( insegnamento
scolastico, formazione professionale, leadership, management, analisi dei
ruoli, analisi organizzative, selezione del personale, sistemi di processo volti
alla qualità), servizi (marketing, pubblicità, rapporti con la clientela),
commerciale (negoziazione, vendita, post vendita).
Nel momento in cui ci si avvicina ad una disciplina motivazionale è
necessario essere spinti da un forte desiderio di partecipazione alla vita e
curiosità verso l’esplorazione del nuovo, avere la voglia di cimentarsi in
qualcosa di inesplorato per raggiungere e vivere i nostri sogni. Quanti di voi
hanno dei progetti e sono bloccati dalla paura del fallimento di non riuscire
pensando subito a tutte le difficoltà che incontrerebbero? Questo
atteggiamento rischia di essere controproducente.
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Noi siamo la prima difficoltà che dobbiamo superare in quanto per la
maggioranza delle persone
“La paura di perdere è più forte della voglia di vincere”
Dovete focalizzarvi sul risultato che volete ottenere e dedicare ai vostri
progetti tutta l’energia che potete espandere. Molti pensano che la P.N.L. sia
semplicemente un insieme di tecniche, invece è lo studio e il modellamento
delle strategie di successo animate da un pensiero positivo vincente delle
persone che hanno raggiunto grandi traguardi in tutti gli ambiti della loro vita.
“L’Effetto Pigmalione”
Alcune persone sembrano perseguitate dalla sfortuna nei rapporti con gli altri:
si ritrovano con partner fedifraghi, amici ipocriti, datori di lavoro con un
carattere impossibile e colleghi arrivisti e pettegoli. Esiste una spiegazione
scientifica per questo sconcertante fenomeno?
Gli psicologi hanno scoperto che la gente viene trattata dagli altri come si
aspetta di essere trattata. In altre parole, chi si aspetta di venire imbrogliato
viene spesso truffato, chi vive nel timore di essere abbandonato, viene
spesso lasciato, chi si aspetta di essere tradito trova partner infedeli, chi
pensa che i clienti non comprano non venderà mai nulla !!. Gli psicologi
hanno denominato questa correlazione, effetto "Pigmalione".
In una scuola elementare della California, Rosenthal, un famoso ricercatore
nell'ambito della psicologia sociale, sottopose agli alunni ad un test di
intelligenza. Prese un campione a caso di ragazzini e disse alle loro
insegnanti che si trattava di bambini molto dotati, destinati a progredire
intellettualmente in modo impressionante. Dopo un anno, Rosenthal ripassò
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nella stessa scuola e le maestre si congratularono con lui per la sorprendete
capacità predittiva del test: gli alunni elencati si erano effettivamente
dimostrati i migliori della classe! E non si trattava di un’ impressione delle
insegnanti, i ragazzini in questione erano
migliorati in modo eclatante.
La spiegazione degli psicologi è che le nostre aspettative possono
influenzare radicalmente le nostre relazioni con gli altri. In questo caso, le
insegnanti credendo nelle possibilità dei ragazzini, si comportavano con loro
in modo più incoraggiante e stimolante di quanto non avrebbero fatto
normalmente. E i bambini reagirono, positivamente all'atteggiamento
incoraggiante e alle aspettative positive delle maestre, impegnandosi di più
nello studio e mostrando un maggior interesse verso la scuola.
L'atteggiamento aperto e stimolante delle insegnanti aveva contribuito a
sviluppare nei bambini doti e capacità che erano rimaste fino a quel momento
in ombra.
Ma l'effetto Pigmalione non si verifica solo nelle relazioni fra genitore e figlio o
fra insegnante e alunno, ma in tutti i rapporti umani di qualsiasi natura siano.
Per capire meglio come funziona l'effetto Pigmalione, vi chiedo di fare un
piccolo esercizio di immaginazione.
Immaginate di lavorare per due datori di lavoro diversi: il datore di lavoro A e
B. Il datore di lavoro “A” ha avuto delle esperienze negative con i suoi
precedenti impiegati, di conseguenza, vuole stare attento a non farsi
raggirare di nuovo. É convinto di non potersi aspettare più di tanto, pensa che
i giovani siano tutti degli inetti, senza voglia di lavorare.
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Di fatto non si fida abbastanza di voi per darvi qualche mansione
commerciale interessante, vi rifila soltanto compiti poco qualificanti.
Convinto com’è dal fatto che possiate battere la fiacca in ufficio o nel nostro
caso nelle vendite, vi sorveglia con rassegnazione, senza darvi il minimo
spazio di autonomia personale. In più, non ha stima di voi e non perde
occasione per farvelo capire, rimproverandovi per piccolezze. Dopo qualche
mese di questo trattamento, con quale stato d'animo andreste in ufficio o dai
clienti al mattino? Probabilmente comincereste a sentirvi demotivati, a
perdere qualsiasi interesse verso il vostro lavoro e a comportarvi di
conseguenza, trasformandovi in un impiegato pigro o in un venditore poco
brillante. Quindi, nel giro di qualche mese, le fosche previsioni del datore di
lavoro A sarebbero confermate.
Il datore di lavoro “B”, è per sua natura un ottimista. Si aspetta molto da voi,
ma non vi chiede l' impossibile, sa che farete degli errori, ma sa che questi
rientrano nel vostro processo di apprendimento. Vi lascia un ampio margine
di autonomia, ma allo stesso tempo è sempre a disposizione per darvi
suggerimenti e chiarimenti. Sa notare i vostri progressi e voi sentite che il
vostro lavoro viene riconosciuto e valorizzato anche dal punto di vista
economico.
Con quale datore di lavoro lavorereste di più? Probabilmente, produrreste di
più con il secondo datore di lavoro, anche se questi non vi controlla in
continuazione come faceva il primo capo. Inoltre, paragonando i due datori di
lavoro, capireste come mai uno trovi sempre impiegati o personale
commerciale che alla fine si rivelano dei grandi lazzaroni, e l'altro trovi,
invece, dei bravi collaboratori.
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Paure che si autoavverano.
Alcune persone, per una serie di esperienze negative che hanno avuto un
impatto molto doloroso sulla loro psiche, vivono le relazioni con gli altri con
una punta di sfiducia e di diffidenza. Tendono ad aspettarsi sempre il peggio
e sentono che gli altri prima o poi finiranno per deluderli, per tradirli o per
abbandonarli.
Questo tipo di persona per evitare possibili delusioni, mettono in atto più o
meno inconsciamente, una serie di strategie difensive per evitare che l'altro si
comporti nel modo temuto. Le strategie psicologiche messe in atto sono
diverse e vanno dal controllo dell'altro, alla continua richiesta di rassicurazioni
affettive, al comportamento aggressivo della persona che attacca per non
essere attaccata. Purtroppo questi comportamenti, spesso, si rivelano
controproducenti: l'altra persona sente che non è stimata e che non ci si fida
di lei e tende a reagire di conseguenza.
Un esempio chiarirà meglio quello che intendo. Prendiamo l'ipotetico caso di
una ragazza con poca autostima che chiameremo Marta.
Marta si considera poco interessante e, anche se è felicemente fidanzata,
"sente" che il suo ragazzo prima o poi si stancherà di lei, come hanno fatto i
suoi precedenti fidanzati. Marta, quindi, vive nel timore dell' abbandono e
questo timore le fa interpretare ogni momento di autonomia del suo fidanzato
come un allontanamento. In altra parole, tutte le volte che il suo ragazzo
vuole uscire con gli amici, o guardare la partita, Marta interpreta questi fatti
come la prova che il suo ragazzo stia già cominciando a stancarsi di lei.
Dal momento che Marta è insicura, tormenta in continuazione il suo ragazzo
per sapere se lui la trova grassa, se l'ama, se la pensa, se non rimpiange la
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sua ex. Purtroppo anche se il suo ragazzo la rassicura, dicendole che è molto
innamorato, Marta continua a non fidarsi e a credere che prima o poi, lui finirà
per stancarsi. Alla fine, grazie ai suoi atteggiamenti appiccicosi e soffocanti,
le sue peggiori paure si avvereranno: il suo ragazzo finirà per stancarsi di
stare con una partner tanto insicura e apprensiva.
Siamo più grandi di quanto pensiamo di essere
Un esempio di questa grandezza è stato lo psichiatra americano Milton
Erickson che, nonostante fosse portatore di handicap, era un inno alla vita,
riuscì a potenziare la poca sensibilità sana per aver maggiore capacità di
contatto con gli altri, arrivando ad essere il miglior comunicatore del suo
tempo, benché avesse difficoltà anche a parlare. Egli credeva nella vita,
nell’amore visto da lui come un grande valore che unito a passione e
positività sono le condizioni massime per imparare nel modo migliore la
P.N.L.. Le menti che lavorano bene sono quelle che producono risultati
soddisfacenti anche ben visibili agli altri!
La P.N.L. nasce soprattutto dalla comprensione condotta ad opera di un
gruppo di studio presso l’università di Santa Cruz (California) delle strategie
utilizzate da molti comunicatori di successo, ed il modellamento di M.
Erickson ha in questo sviluppo un ruolo fondamentale. Siamo noi che,
essendo cresciuti e nati in una cultura che considera la vita una “valle di
lacrime”, pensiamo che nel momento in cui ci capita qualcosa di piacevole è
merito della fortuna. La vita piatta, senza emozioni o avvenimenti da ricordare
è considerata quella normale e con questa convinzione così diffusa diventa
logico che l’esistenza trascorra in questo “piattume”.
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Il cervello è organizzato per imparare e l’energia segue i pensieri. Oppure
alternativamente, ci facciamo condurre tra l’euforia e la tristezza quando in
realtà siamo noi i padroni del nostro modo di pensare. Mettete pensieri
positivi ed eccitanti se volete avere una vita gioiosa e stimolante! Mettete
pensieri negativi nella vostra testa e vi tirerete indietro una vita piena di guai e
lamentele.
La P.N.L. è anche un’attitudine: un modo di essere ottimista, vincente,
insegna a trasformare ciò che ci impedisce di progredire, trasformando le
difficoltà in opportunità per avanzare. Aiuta a concentrarsi sugli obiettivi e
trovare la giusta via per raggiungerli, aumenta l’autostima volgendo in
positivo le immagini interiori e le sensazioni. Dispiega in tutta la sua forza il
potenziale che è in ognuno di noi ma che spesso ignoriamo. Aiuta a
migliorare il nostro rapporto con gli altri perché ci mette nelle condizioni di
osservare meglio e capire profondamente il nostro interlocutore.
Instant rapport
Il “rapport” è il processo attraverso il quale si stabilisce e si mantiene un buon
rapporto interpersonale di reciproca fiducia e accordo. Al contempo è un
momento responsabile e delicato di considerazione. Ogni giorno ci troviamo
in situazioni nelle quali instauriamo rapporti con chi ci circonda.
Chiamiamo quindi “instant rapport” una tecnica che raccoglie metodologie ed
approcci utili per creare tale stato mentale. L’instant rapport si spinge ad
analizzare le cause per le quali il rapporto può non essere a volte facile:
credenze ed attitudini limitative.
Le applicazioni dell’ ”instant Rapport” sono anche terapeutiche, in quanto
molti problemi derivano da problemi di relazione.
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In alcuni casi il rapport avviene spontaneamente, si crea quella sintonia, quel
feeling quasi misterioso. Gli studi, condotti su di una serie di
videoregistrazioni, hanno dimostrato che in realtà si sono attivati dei
meccanismi inconsci che hanno a livello subliminale creato quella fiducia e
sintonia immediata. Ad esempio, sicuramente vi sarà capitato di conoscere
una persona e, pur senza sapere niente di lei, avete fatto affermazioni del
tipo: “Mi è antipatico, è una questione epidermica” oppure “anche se la
conosco da poco ci sto bene”.
Questo avviene quando il rapport si innesca spontaneamente e quindi ci
troveremo di fronte a persone che inconsciamente eseguiranno gli stessi
nostri movimenti del corpo, stessa gestualità, stessa andatura durante una
camminata, oppure l’esatto contrario, quello che in PNL prende il nome di
“Rispecchiamento” (Mirror) tecnica che si utilizza quando il rapport lo si
vuole creare.
Il “rispecchiamento” è una delle tecniche più semplici ed al contempo il punto
di partenza per mettersi sulla stessa frequenza del nostro interlocutore ed
entrare in un rapporto positivo con lui. Potremmo dire che nelle relazioni con i
nostri interlocutori è necessario procedere allo stesso “Ritmo”. (Più o meno
come fanno due ballerini quando danzano in coppia)
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Non tutti sono aperti caratterialmente o mentalmente per accettare subito di
entrare in sintonia con uno sconosciuto, questo a causa magari di esperienze
passate, di stati d’animo del momento e ciò a volte porta tempi lunghi per
accettare un dialogo sereno con un’altra persona. Possiamo quindi decidere
di accelerare questi tempi utilizzando la tecnica del rispecchiamento e creare
un rapport empatico positivo.
È importante entrare nel mondo dell’altro, se lo si vuole portare nel
nostro
Quando si stabilisce quella speciale intesa tra due perone, l’uno sarà portato
inconsciamente e più facilmente a rispondere in modo positivo agli stimoli
dell’altro.
Attraverso il rispecchiamento rimandiamo all’interlocutore, con il nostro
atteggiamento, lo stesso comportamento che appartiene al suo modello del
mondo.
Si diventa uno lo specchio dell’altro, ad esempio: le gambe accavallate
durante un discorso; le dita delle mani intrecciate tra loro, fino ad arrivare al
tono di voce e alla respirazione che è uno dei rispecchiamenti più potenti,
basti pensare al neonato che si addormenta fra le braccia della madre perché
il suo respiro lo rassicura. Tutto ciò verrà percepito dall’inconscio del nostro
interlocutore come somiglianza, affinità. É impressionante come possano
essere abbattuti i “muri di freddezza” se si impara ad ascoltare, osservare e
sentire l’altro insomma a capirlo.
Rispecchiare vuol dire entrare in sintonia con rispetto e delicatezza senza
cadere nell’invadenza o infastidire.
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Questa tecnica ha il vantaggio di creare rapport, senza necessariamente
conoscere il vissuto dell’individuo ne condividerlo. La padronanza di
quest’abilità potrà ad esempio incidere positivamente su un colloquio di
vendita, o su di una semplice discussione.
Alcuni esempi di elementi da rispecchiare sono:
� La postura: É rigido o rilassato? Il corpo è in avanti o indietro? Come
sono disposte le mani, le braccia e le gambe?
� Respirazione: La sua respirazione è toracica o addominale? Il ritmo è
lento veloce o tranquillo? Con che intensità respira? (profondi o leggeri?)
� Movimenti: Qual è la sua gestualità? Come tiene le mani? Come muove
la testa?
� Il modo di parlare: il tono è basso o squillante? Che ritmo di voce ha?
Con che velocità parla?
Nel caso si volesse instaurare un rapport a lungo termine bisognerà
individuare le cose importanti per una persona, ossia i suoi valori.
Una cosa da tener presente è quella di evitare di affrontare discorsi che
possano portare divergenze di opinioni prima di aver instaurato un buon
rapport, altrimenti la rottura dello stesso sarà inevitabile. Altra cosa
importante è che nel momento in cui subentra la conversazione e quindi la
comunicazione verbale bisogna eliminare i termini negativi o meglio dette
negazioni, perché rischiamo di mandare il messaggio contrario a quello che si
vorrebbe. Questo sia che si tratti di una conversazione normale che durante
visite finalizzare alla vendita di prodotti o servizi.
Esempio: Non voglio pensarci! Il nostro cervello decodificherà il messaggio
come “voglio pensarci!”
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Una volta stabilito il rapport con la C.N.V. (Comunicazione Non Verbale) è
necessario stare attenti al nostro linguaggio, non dando alla nostra lingua la
possibilità di andare oltre il nostro reale pensiero, raffinando il nostro
linguaggio per renderlo congruente a quello che vogliamo trasmettere.
Un successivo livello consiste anche nel cercare di comprendere quale è il
tipo di cambiamento interiore che ci può più aiutare a mantenere “rapport”.
Infatti, ad una conoscenza delle gestualità esteriori è necessario aggiungere
una conoscenza della propria realtà interiore, di modo da rendere
l’acquisizione di queste più facile.
I segni che manifestano attenzione, interesse, gradimento
Stabilito un buon grado di feeling possiamo andare a comunicare ciò che ci
interessa. Ma come capire se, dopo aver creato questa sintonia, sto
procedendo in maniera corretta?
Una comunicazione efficace dovrebbe suscitare dapprima attenzione, poi
interesse, quindi gradimento.
Comprendo se sto ottenendo questi passaggi se guido il mio interlocutore e
dunque questo mi rispecchia a sua volta per quanto riguarda l’atteggiamento
verbale e non. Ma ci sono specifici gesti inconsci che possono rivelarmi
moltissimo a questo proposito. Naturalmente tutti questi gesti sono indizi che
andranno valutati con un po’ di prudenza, prendendoli in considerazione non
singolarmente e facendo attenzione alla persona e al contesto che ho di
fronte.
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Intanto possiamo dire che ad ognuno di questi livelli è collegata una parte del
viso. L’attenzione può esprimersi all’altezza di occhi (attenzione visiva) o di
orecchi (ad esempio porgere l’orecchio). L’interesse è legato al senso
dell’olfatto, dunque al naso. Il gradimento è maggiormente legato al gusto,
dunque alla zona della bocca, alle labbra, alla lingua. Spesso anche nel
linguaggio verbale, il gradimento si esprime con termini che fanno riferimento
alla sfera del gusto.
C’è poi da evidenziare una differenza tra parte destra e parte sinistra del
corpo: la prima indica se stessi; la seconda fa riferimento all’ambiente
esterno. Certamente non solo il viso, ma tutto il corpo manifesta i pensieri
interni della persona.
Ecco una lista di possibili indizi.
Gli occhi: Grattarsi o massaggiarsi l’occhio sinistro o gli angoli indica che la
persona non ha capito bene l’argomento trattato poiché chi parlava è stato
poco chiaro. Se invece gratta o massaggia l’occhio destro non capisce il tema
del discorso per motivi che sono legati a se stesso.
La zona della bocca: Bacio analogico: la persona arriccia leggermente le
labbra, imitando inconsapevolmente il gesto di un bacio: ciò indica
gradimento verso il tema del discorso o la persona che parla. Un alto
gradimento viene espresso dall’accarezzamento delle labbra con le dita o il
dorso della mano così come dal linguino: la rotazione della lingua sulle labbra
o la sua semplice esposizione. Stesso valore, con una sfumatura anche
sessuale, può darsi nella suzione del dito o di un oggetto. Gradimento indica
anche il mordicchiamento delle labbra, con una differenza però tra labbro
inferiore e quello superiore: il primo indica una carenza di tipo affettivo nella
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persona che comunica come l’altro potrebbe potenzialmente compensarla; lo
stesso gesto sul labbro superiore invece denota una carenza di tipo sessuale:
la persona che parla o l’argomento trattato suscita pulsioni sessuali.
Il naso: Sfregare con le dita la punta del naso indica rifiuto. Grattarsi o
massaggiarsi il lato destro del naso esprime insicurezza derivante da sé;
l’insicurezza derivante dall’ambiente esterno è invece legata al lato sinistro
del naso. Toccarsi semplicemente la punta del naso manifesta invece
interesse.
La collana: Giocare con la collana manifesta una carenza di tipo affettivo-
sessuale, messaggio più intenso se la persona succhia e “mordicchia” il
pendaglio della stessa collana.
I piedi: La punta del piede sinistro alzata (con tallone a terra) indica che
l’interlocutore preferisce far parlare noi. Stesso gesto con il piede destro
manifesta invece volontà di prendere la parola. Il piede destro puntato verso
una persona esprime interesse per quella. Se il piede non è puntato verso
nessuno oppure viene puntato verso la porta della stanza, allora il soggetto
ha molto probabilmente una gran voglia di andarsene.
Il busto: Busto e corpo in avanti manifestano interesse per l’argomento
trattato. Il corpo spostato all’indietro è invece un modo per prendere le
distanze dall’argomento o dalla persona.
I Sistemi rappresentazionali
Le persone, come abbiamo detto precedentemente, ricevono e
rappresentano le informazioni dal e sul loro ambiente attraverso ricettori
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specializzati e organi di senso, dislocati lungo tutto il loro sistema nervoso. I
sistemi rappresentazionali sono processi sensoriali che danno origine e
regolano il comportamento. Come già accennato, ognuno di noi traduce ed
interpreta la propria realtà attraverso le immagini, i suoni, odori, gusti e
sapori.
Queste modalità rientrano in tre categorie:
VISIVO (V) – AUDITIVO (A) – CINESTESICO (K)
I canali dell’olfatto e del gusto vengono assimilati al canale cinestesico, del
quale fanno parte anche le sensazioni tattili e i segnali propriocettivi o
viscerali (sensazioni interne).
Maturando, impariamo ad impiegare e valutare l’informazione che ci giunge
tramite un singolo sistema o tramite una combinazione di sistemi, per
affrontare e dare significato ai diversi contesti del nostro ambiente sensoriale.
Dunque siamo portati ad utilizzare e ad affidarci a diversi tipi d’informazione
sensoriale per organizzare la nostra esperienza a livello trascontestuale.
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Ad esempio, il bambino imparerà a prestare attenzione e ad operare
distinzioni tra parti diverse della propria esperienza sensoriale se i genitori gli
danno una matita ed un foglio di carta e gli insegnano a disegnare, o se gli
danno un pallone o un violino. Se un gran numero di altri fattori nell’ambiente
interno (cause genetiche) o esterno (cause socioambientali) del bambino
dirigono la sua attenzione verso l’informazione ricevuta attraverso un
particolare canale sensoriale, accade che egli sarà condizionato ad affidarsi a
quel tipo di informazione anche in situazioni nuove nelle quali sarebbe più
vantaggioso prestare attenzione ad informazioni provenienti da canali
sensoriali diversi. Dunque se ogni individuo concepisce, traduce ed interpreta
tutte le esperienze della vita attraverso le sue rappresentazioni sensoriali, si
formerà in esso una propria “mappa” del mondo e della realtà in modo del
tutto personale, condizionando il suo pensiero, le sue scelte e quindi il proprio
comportamento.
Il Sistema Visivo
Le caratteristiche indicate di seguito sono tipiche dei tipi visivi, o delle
persone che accedono al canale Visivo.
¾ Postura del corpo e tono muscolare: Portamento eretto (testa tra le
nuvole). Le spalle sono alzate ed il collo proteso. Tensione muscolare
nelle spalle, nel collo e spesso nell’addome.
¾ Posizione del capo: In alto.
¾ Gestualità: Movimenti ampi e lontani dal corpo (gestualità centrifuga) e in
genere rivolti verso l’alto. La persona può toccarsi gli occhi dicendo frasi
del tipo «ho notato la tua delusione» oppure strofinarsi gli occhi e il dorso
del naso pronunciando frasi come «fammi un po’ vedere».
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¾ Movimenti oculari: Gli occhi si spostano verso l’alto. Se si spostano verso
sinistra, la persona sta visualizzando un’immagine conosciuta o
un’esperienza vissuta nel passato (visivo ricordato). Se si spostano verso
destra, sta costruendo un’immagine mentale (visivo costruito).
¾ Caratteristiche della voce: Tono alto, nasale e/o sforzato. Timbro acuto.
Ritmo veloce del discorso.
¾ Tipo di respirazione: Alta (toracica) e poco profonda, di petto. Brevi
arresti.
Sistema Auditivo
¾ Postura del corpo e tono muscolare: Tendenza a portare il corpo a lato,
mentre le spalle vanno indietro, sia pure un po’ incurvate. Tensione
muscolare leggera e pressoché uniforme. Movimenti ritmici.
¾ Posizione del capo: Movimenti del capo in orizzontale.
¾ Gestualità: Movimenti braccia in orizzontale. Posizione “del telefono”
(testa inclinata su un lato) A volte può esserci un movimento circolare del
dito all’interno dell’orecchio, un tamburellare con le dita, uno schioccare
della lingua, un canticchiare o fischiare, battere continuamente , da seduti,
i tacchi delle scarpe in modo ritmico. Lisciarsi il mento oppure portare le
mani a contatto con la zona della bocca, del naso e delle mascelle indica
dialogo interno.
¾ Movimenti oculari: A sinistra orizzontalmente significa che la persona sta
“ascoltando” suoni ricordati. A destra orizzontalmente sta ascoltando
suoni creati, sta pensando alle cose da dire e al come dirle. A sinistra in
basso, la persona sta parlando a se stessa, porta avanti un dialogo
interno.
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¾ Caratteristiche della voce: Volume sinusoidale. Modo di parlare ritmico.
Parole ben enunciate. Timbro chiaro, squillante. Musicalità, armonia.
¾ Tipo di respirazione: Respirazione uniforme a livello addominale o con
tutto il torace. L’espirazione un po’ prolungata indica dialogo interno.
¾ Colorito della pelle: Colorito più legato allo stato d’animo.
Sistema cinestesico
¾ Il sistema cinestesico è relativo alle sensazioni e alle emozioni. L'analisi di
questo sistema completa l'analisi dei differenti tipi sensoriali.
¾ Postura del corpo e tono muscolare: Spalle ricurve e testa bassa.
Rilassamento generale dei muscoli. Se le sensazioni sono
particolarmente intense ci sarà anche una respirazione addominale molto
marcata, accompagnata da gesti espressivi. Quando il canale è rivolto
all’esterno (tattile/ motorio) le spalle saranno più aperte.
¾ Posizione del capo: In basso
¾ Gestualità: Centripeta e dinamica. Palme rivolte verso l’alto. Braccia
piegate e rilassate. Le mani tendono a fermarsi sul piano mediano del
corpo.
¾ Movimenti oculari: A destra in basso
¾ Caratteristiche della voce: Tono basso, profondo. Timbro pastoso, grave.
Ritmo lento con lunghe e frequenti pause. Volume basso. Esclamazioni
improvvise.
¾ Tipo di respirazione: Profonda e piena, lenta, con la parte bassa dello
stomaco.
¾ Colorito della pelle: Colorito più evidente, più intenso.
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Note sui sistemi rappresentazionali
Qualche precisazione va fatta, prima di proseguire, a proposito dei movimenti
oculari. Lo schema proposto è infatti sempre valido ad eccezione di una parte
dei mancini, per i quali il rapporto tra direzione e significato andrà invertito:
quindi con i movimenti verso destra l’individuo accede alla sfera del ricordo,
con i movimenti verso sinistra a quella della creazione di immagini, di suoni o
alle sensazioni cinestesiche.
Detto questo è bene aggiungere che conviene darsi un metodo per osservare
tutte quelle caratteristiche elencate precedentemente. Quando si osserva una
persona e si vuole individuare qual è il suo canale sensoriale primario
conviene seguire un certo ordine: prima il movimento delle mani, poi il
linguaggio, quindi i movimenti oculari, cercando di coordinare via via con la
pratica i diversi livelli.
Può essere utile darsi un programma, in modo da acquisire con ordine le
diverse conoscenze.
Ecco il suggerimento di un possibile percorso.
1° giorno: Soffermarsi con tre persone diverse con cui si ha un dialogo di
almeno cinque minuti e osservarne il movimento delle mani e delle braccia,
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individuando i diversi gesti e riferendoli di volta in volta alla sfera visiva,
auditiva o cinestesica. Provare quindi a capire quale canale sensoriale la
persona utilizza di più.
2° giorno: Osservare la postura generale di tre persone diverse: quali tratti
rivela? Osservare poi la gestualità delle mani. Che tipo di rapporto c’è tra
quest’ultima e la postura?
3° giorno: Oggetto di attenzione può essere la voce: che velocità ha? Com’è il
suo timbro? Ed il suo volume? La persona fa numerose pause?
Queste sono alcune utili precisazioni a proposito della voce:
Volume: grado di elevazione della voce o del suono, da basso a molto forte
Timbro: qualità del suono che permette di distinguere suoni identici emessi
da sorgenti diverse (es. voce maschile o femminile; timbro metallico,
sgradevole, dolce…)
Ritmo: da fluido a molto irregolare
Velocità: quantità di fonemi emessi in una base di tempo, da estremamente
rapido a lento
4° giorno: I movimenti oculari. Osservare i movimenti degli occhi verso l’alto,
a destra ed a sinistra e ogni volta che si notano si identificano come accessi
visivi. Si potrà notare che l’utilizzo di questi movimenti, così come la durata
variano molto da persona a persona. I movimenti oculari possono essere
spontanei o provocati da domande.
5° giorno: Stesso esercizio del giorno precedente. Si noteranno però i
movimenti orizzontali, identificandoli come accessi uditivi.
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6° giorno: Stessa cosa, questa volta con i movimenti verso il basso che
andranno collegati a sensazioni cenestesiche oppure a dialogo interno
La pratica proseguirà quindi mettendo assieme tutte queste componenti e
imparando ad individuare sempre più agilmente i canali sensoriali utilizzati
dagli interlocutori.
Si potrà poi passare ad analizzare le scelte del linguaggio, che riflettono
anch’esse l’utilizzo di diverse sistemi rappresentazionali.
I Predicati
La nostra raccolta di informazioni sul mondo, il nostro contatto con la realtà,
come abbiamo visto, passa attraverso i cinque sensi: vista, udito, tatto, gusto,
olfatto.
Il linguaggio aderisce ed esprime questa nostra esperienza del mondo.
Quando parliamo scegliamo inconsciamente delle parole che indicano quali
sono le parti del mondo dell’esperienza disponibile, sia interna che esterna,
alla quale abbiamo accesso in quel momento specifico.
I predicati sono l’insieme di sostantivi, verbi, aggettivi ed avverbi attraverso il
quale la persona rispecchia all’esterno il sistema rappresentazionale
utilizzato.
Ecco un elenco di possibili esempi. Termini ed espressioni legate al canale
gustativo e a quello olfattivo possono essere riportate alla sfera cinestesica.
Canale Visivo:
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Verbi: vedere, immaginare, apparire, scomparire, sembrare, illuminare,
colorare, arrossire, sbiancare, intravedere, scorgere, adocchiare,
nascondere, visualizzare, rischiarare, focalizzare, ammirare, scrutare,
guardare, chiarire, eclissare…
Sostantivi: vista, visione, visuale, panorama, occhio, occhiata, sguardo, luce,
luminosità, oscurità, buio, colore, focalizzazione, tinta, tono, apparizione,
immagine, figura, aspetto, immaginazione, impressione, apparenza,
splendore, prospettiva, flash, immaginazione…
Aggettivi: luminoso, scuro, chiaro, brillante, lucente, opaco, colorato,
ombreggiato, ombroso, intravisto, visto, scomparso, ammirato, ammirabile,
osservato, pallido, candido, rigato, abbellito, configurato, trasparente, limpido,
dorato, fosco, splendente, roseo, inimmaginabile…
Avverbi e locuzioni avverbiali: chiaramente, apparentemente,
oscuramente, brillantemente, limpidamente, evidentemente, visibilmente,
palesemente, candidamente, ad occhio, a prima vista…
Espressioni: Vedere tutto rosa, avere un punto di vista, senza ombra di
dubbio, un approccio miope, un progetto nebuloso, vedere allo stesso modo,
mettere a fuoco, essere di umor nero, dare un’occhiata, mettere nero su
bianco, condurre una vita grigia, combinarne di tutti i colori…
Canale Auditivo: Verbi: sentire, ascoltare, udire, bisbigliare, parlare, urlare, chiacchierare,
ronzare, sussurrare, scricchiolare, spettegolare, chiedere, domandare,
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rispondere, replicare, interrogare, raccontare, narrare, suonare, amplificare,
origliare, divulgare, confidare, riferire…
Sostantivi: udito, dialogo, ascolto, orecchio, suono, rumore, parola, discorso,
musica, melodia, canto, domanda, risposta, chiacchiericcio, brusio, urlo,
relatore, rombo, rimprovero, grido, botto, sussurro, sviolinata, silenzio,
canzone, ritmo, tonalità, nota, eco…
Aggettivi: ripetuto, detto, affermato, chiesto, ritmato, scandito, parlante,
melodioso, armonico, disarmonico, stonato, silenzioso, rumoroso, armonioso,
dissonante, amplificato…
Avverbi e locuzioni avverbiali: musicalmente, verbalmente, a parole, a
orecchio, silenziosamente, rumorosamente…
Espressioni: mettere la pulce nell’orecchio, fare orecchi da mercante, avere
voce in capitolo, correre voce, fare appello a, parola chiave, prestare
orecchio, essere sulla stessa linea d’onda…
Canale Cinestesico: Verbi: toccare, tastare, grattare, afferrare, accarezzare, manipolare, fare,
forgiare, plasmare, usare, impastare, pungere, premere, lisciare, modellare,
solleticare, premere, urtare, muovere, stringere, scaldare…
Sostantivi: concretezza, presa, tocco, manipolazione, spigolosità, ruvidità,
morbidezza, mollezza, pesantezza, brivido, calore, freddo, gelo, pelle, mano,
spessore, materia, peso…
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Aggettivi: concreto, morbido, spesso, ruvido, caldo, freddo, pesante,
leggero, liscio, vellutato, duro, avvolgente, rimescolato, impastato, baciato,
appiccicoso, fresco, levigato, increspato, indurito, raffreddato, scaldato,
palpabile…
Avverbi e locuzioni avverbiali: concretamente, caldamente, gelidamente,
freddamente, impercettibilmente, duramente, sofficemente, ruvidamente,
teneramente, pesantemente, leggermente…
Espressioni: toccare con mano, mettersi in contatto, la pelle d’oca, avere un
peso sullo stomaco, avere i piedi per terra, avere tatto, avere modi ruvidi, fare
il duro, afferrare il concetto…
Canale gustativo: Verbi: amareggiare, addolcire, gustare, assaporare, condire, degustare,
mangiare, inasprire, digiunare, dissetare, saziare, pregustare, inacidire,
salivare, stuzzicare...
Sostantivi: asprezza, dolcezza, gusto, bontà, delicatezza, acidità,
zuccherino, sapore, amarezza, lingua, palato, saliva, acquolina, appetito,
sazietà …
Aggettivi: dolce, amaro, aspro, salato, amarognolo, acido, stucchevole,
stomachevole, dolciastro, appetibile, disgustoso, nauseante, cremoso,
piccante, gustoso, appetitoso, prelibato, frizzante, insipido, rancido, succoso,
appetibile, zuccherato…
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Avverbi: dolcemente, amaramente, saporitamente, aspramente,
gustosamente.
Espressioni: scherzi di cattivo gusto, rimanere a bocca asciutta, avere il
dente avvelenato, essere di bocca buona, non avere peli sulla lingua, un
conto salato, non mi piace.
Canale olfattivo: Verbi: odorare, annusare, profumare, puzzare, fiutare, subodorare,
aromatizzare.
Sostantivi: naso, fiuto, odore, profumo, fragranza, sentore, esalazioni…
Aggettivi: profumato, acre, inebriante, fragrante, odoroso, speziato,
puzzolente, aromatico, soave, vanigliato, balsamico.
Avverbi e locuzioni avverbiali: profumatamente, a naso, soavemente, a
fiuto, fragrantemente…
Espressioni: avere la puzza sotto il naso, avere buon naso, montare la
mosca al naso, giudicare a naso, avere fiuto, fiutare l’inganno.
Dimmi come muovi le mani … e ti dirò chi sei Osservando il modo in cui le persone gesticolano con le proprie mani
permette di capire molto del loro carattere, del loro modo di porsi e delle
modalità seguite nel loro comportamento comunicativo.
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Si possono individuare tre tipologie, connesse ciascuna tra l’altro ad un ben
determinato canale sensoriale.
Modalità indicatoria
Chi utilizza come canale primario quello auditivo fa uso di una modalità
indicatoria. I gesti della mano tenderanno perciò ad “indicare”, dunque indice
puntato oppure mano tagliente.
Questa persona tende a fornire istruzioni precise, ad avere un tono di voce
che sembra a volte mettere sotto accusa gli altri. Tende spesso a toccare il
proprio interlocutore con la punta del dito. A livello linguistico utilizzerà
quantificatori universali: tutto, ogni, qualunque, ogni volta… Nelle sue risposte
tenderà a far uso di numerosi “no”.
Modalità superlogica
Questa modalità è tipica di chi utilizza, come canale primario, quello visivo.
Tende a mettere le dita a cerchio o a muoverle con piccolissimi movimenti.
La sua indole lo porta ad analizzare le situazioni in maniera logica, a far largo
uso del “perché”, a ragionare sulle cose, a dare molta importanza ai dati e
alle spiegazioni strettamente logiche.
Questa modalità può essere però suddivisa in tre sottotipi. Avremo perciò il
tipo politico che utilizza logica e dialettica per coinvolgere e per ottenere
qualcosa; i suoi gesti saranno più ampi e più caldi. Comportamento più
freddo avrà invece il magistrato: per lui la logica va usata per dimostrare; i
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suoi micromovimenti sono più frequenti. Terzo sottotipo è il retorico che usa
la comunicazione come elemento fine a se stesso.
Modalità propiziatrice:
La persona cinestesica (tendenzialmente o in un particolare momento) è
propiziatrice, vive ed esprime la sua emozionalità, ricerca un contatto fisico
con l’interlocutore, tende ad esordire con un “si” ed utilizza molto termini
come “se, solo, proprio, perfino”.
Anche in questo caso abbiamo due sottotipi: l’empatico-riconfortante che
mostra grande interesse all’emozionalità dell’altro e su quella tende a
modellare se stesso, adeguandosi ai sentimenti e alle sensazioni dell’altro, a
sostenerlo. Tipico di questa modalità è tenere le mani a triangolo.
Rispetto all’empatico, il secondo sottotipo, espressivo, ha gesti più ampi e
tiene il palmo della mano aperto e rivolto verso l’alto. La sua voce è di solito
espressiva, esprime la propria emozionalità in maniera coinvolgente,
cercando di trasferirla sull’altro.
L’Ipnosi in P.N.L.
Ipnosi è un nome evocatore, che ha più significati.
Dietro il nome ipnosi si nasconde ad esempio anche l’argomento più
importante della PNL; si può anche dire “tutta la PNL è ipnosi” (Grinder).
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L’ipnosi sin da prima di Freud è stata utilizzata come strumento di terapia, in
quanto strumento per una modificazione della coscienza che permette ad
un’idea creativa di ottenere delle modifiche comportamentali.
Uno tra i concetti fondamentali della “nuova ipnosi” è il fatto che si venga a
creare uno speciale rapporto tra l’operatore e l’individuo basato sulla fiducia.
L’ipnosi è anche un fenomeno naturale e quotidiano, ad esempio quando non
si può fare a meno, per l’intera giornata, di pensare ad una persona che ci ha
colpito in modo particolare, quando un successo avuto in qualsiasi aspetto
della vita non ci fa pensare ad altro. Tutti questi sono momenti ipnotici. É
sbagliatissimo considerare l’ipnosi come manipolazione, perdita di controllo, o
pieno dominio su un’altra persona, l’ipnosi è qualcosa che fa parte dell’uomo,
può servirci a migliorare la qualità della nostra vita, è un tipo di suggestione
più forte che implica la capacità di un coinvolgimento emotivo.
Esempio: Una melodia, un panorama o una situazione immaginativa
possono diventare stimoli suggestivi.
Questo si spiega perché il frutto dell’immaginazione può, a volte, essere più
suggestivo della realtà. Potremmo dire che a determinare gli effetti suggestivi
è la rappresentazione mentale, accompagnata da fattori emotivi, ecco il
perché dell’efficacia di modelli terapeutici che utilizzano la rappresentazione
mentale nella terapia.
“La suggestione entra nella coscienza dell’uomo non dalla porta principale, ma da quella di servizio, evitando il portiere che è la facoltà di giudizio” (A. Platonov)
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L’ipnosi in PNL è una raffinata capacità di comunicare che permette di
avviare un ottimo rapporto con gli altri, si cresce per evolvere verso
l’autonomia la libertà e l’apprezzamento della vita in ogni sua espressione.
Noi possiamo controllare il nostro cervello, il suo funzionamento nel rapporto
con noi stessi e fargli eseguire i comandi che gli diamo. Ad esempio se
parliamo rabbiosamente, il cervello selezionerà la rabbia e predispone uno
stato d’animo adeguato ai pensieri avviati. Al contrario se ci esprimiamo con
entusiasmo il cervello elabora questo tipo di risposta e produce stati d’animo
gioiosi.
“Il nostro cervello è una macchina per imparare e noi siamo i suoi programmatori!”
Il passare da uno stato d’animo ad un altro è una capacità automatica.
Questo è dimostrabile quando vediamo due innamorati: entrambi dipendono
dal sorriso, dalle parole d’amore dell’altro, per sentirsi all’inferno o al
paradiso. Nel mondo misterioso delle emozioni, che molti rifiutano, fuggono o
non conoscono, sono contenuti meccanismi profondi per cui le persone
perdono consapevolezza delle loro azioni che sono talmente automatiche,
per cui soffrono o godono i risultati del loro comportamento senza rendersene
conto, fino ad arrivare, se soffrono, ad attribuire a qualcun altro la colpa delle
loro stesse strategie. L’ipnosi è quindi uno stato naturale in cui l’uomo si trova
coinvolto nel vivere, è in grado di procurarselo o di indurlo ad altri, oppure
può subirlo senza sapere che si chiami ipnosi. Ogni comunicazione efficace è
ipnosi, essa è una strada che conduce alla nostra mente, un sentiero veloce
a volte rapido a volte in salita. L’ipnosi è comunicazione profonda che si
instaura fra due individui. L’operatore di ipnosi è una specie di abile pilota in
grado di modificare la rotta di fronte ad ogni necessità del suo passeggero.
L’individuo ipnotizzato è un individuo che si lascia ipnotizzare, in questo stato
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di acconsentimento, l’emisfero sinistro viene “aggirato” e in tal caso i
suggerimenti possono essere accettati acriticamente dal soggetto e, di
conseguenza, tradotti in azione concreta. Nello stato di ipnosi non viene
annullata la volontà del soggetto, è come se il soggetto concedesse
all’ipnologo un’udienza privilegiata, prestando la massima attenzione a quello
che gli viene proposto, conservando totalmente la propria libertà di fare o non
fare quello che gli viene proposto. É infatti falso, oltre che scientificamente
mai dimostrato, che attraverso l’ipnosi si possa plagiare qualcuno o indurlo a
commettere atti contrari alla sua morale o alla sua volontà. E se anche
l’ipnotista ci provasse, il soggetto non eseguirebbe l’ordine impartito o
potrebbe addirittura decidere di uscire dalla trance ipnotica rifiutandosi di
proseguire. L’ipnosi, anche se viene innescata da un’altra persona, è
essenzialmente “autogena” nel senso che utilizza un processo di
funzionamento della nostra psiche assolutamente naturale.
Può sembrare quasi incredibile pensare che, se fino ad oggi eravamo convinti
che la vita fosse un susseguirsi di avvenimenti che dovevamo prepararci a
vivere, adesso possiamo vedere le cose da un’altra prospettiva e dire che:
La vita cambia nel momento in cui noi cambiamo e possiamo considerarci
protagonisti della nostra vita senza doverci accontentare delle comparse o di
farci “vivere” dalla vita. Magari arrivare in fondo scrivere la parola “The end” e
rendersi conto che quella che vediamo alle nostre spalle non è la nostra
storia, quella che avremmo voluto, e rimanere nel rimorso di non aver
ottenuto quello che volevamo perché noi ne siamo stati l’ostacolo.
“La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati a fare altri
progetti” (Anthony De Mello)
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“Qualsiasi cosa vuoi fare, o sogni, cominciala, l’audacia ha genio potenza e
magia” (Goethe)
Esempi di modelli e tecniche ipnotiche: introduzione alla Comunicazione Ipnotica
L’ordine in forma negativa
Uno dei modelli più semplici di comunicazione ipnotica è “l’ordine in forma
negativa”
Esempio: Se vi dico “non pensare all’estate” automaticamente sarete
costretti a pensarci per capire la mia asserzione.
Iniziare con una negazione fa sì che l’ascoltatore non avverta nessuna
sollecitazione a reagire. Spesso utilizziamo questo modello dell’ordine in
forma negativa inconsapevolmente e si ottiene una reazione non desiderata.
Esempio: Non preoccuparti.........Non essere geloso.........Non succederà
niente di catastrofico.
Chi ascolta deve in qualche modo rappresentarsi il comportamento non
desiderato per capire cosa gli è stato detto, e questo aumenta la possibilità di
questo stesso comportamento. Senza saperlo queste persone ipnotizzano e
portano il soggetto ad avere delle reazioni non desiderate. Lo stesso modello
può essere utilizzato per ottenere dalle persone, che si trovino o no in uno
stato di trance, delle reazioni più utili.
Esempio: Non essere curioso di sapere cosa provo per te!
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L’ipnosi può essere utilizzata sia in ambito personale che professionale, infatti
è utile per risolvere problemi o eliminare tutti i limiti che ci programmiamo da
soli. L’ipnosi è quindi utilizzata per smettere di fumare, perdere peso, guarire
da paure, eliminare le fobie ecc. ecc. Oppure può essere utilizzata in modo
più creativo, per accrescere continuamente le vostre capacità e le vostre
possibilità di scelta nella vita. Per imparare a far meglio quello che già si fa
bene. L’ipnosi è un insieme di strumenti che ci aiutano a migliorare la qualità
della nostra vita e del nostro rapporto con noi stessi Si pone l’obiettivo di
riuscire a creare una situazione all’interno della quale i soggetti possono
attuare dei processi di trasformazione..
Se avete un insieme di ferri da meccanico, non significa che siete in grado di aggiustare una macchina! Definizioni:
Cerchiamo con questo schema di dare una maggiore ampiezza alla
comprensione della parola “Ipnosi”, generalizzandola anche ad altri contesti
sociali.
Una definizione che si può dare del concetto di Ipnosi è: 1. Superare lo schema abituale di riferimento in un dato contesto e 2. Indirizzare e motivare il proprio pensiero verso una nuova direzione
Questa definizione si applica all'ipnosi di tipo tradizionale, alla vendita, a tutti
gli ambiti sociali.
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Momento nei quali viene superato lo schema di riferimento:
Situazione sociale generica: In una situazione sociale in genere si ha
superamento del quadro abituale di riferimento nel momento in cui si
presenta una situazione nuova non analizzabile secondo le metodologie
precedenti.
Vendita: Nella vendita abbiamo superamento dello schema abituale di
riferimento quando il cliente comincia a rendersi conto che quello che ha già
non risponde pienamente alle sue necessità
Induzione ipnotica classica: Nell'induzione ipnotica classica abbiamo
superamento dello schema abituale di riferimento quando l'ipnotista
disorienta l'ipnotizzato (ad es. gli fa notare dei fenomeni nuovi e inaspettati),
o anche semplicemente quando l'ipnotizzato rilassa il suo schema
precedente.
Apprendimento: Anche l'apprendimento rappresenta un caso nel quale una
persona abbandona il suo quadro abituale di riferimento Uno schema abituale
di riferimento può essere anche definito come un insieme di aspettative
riguardo al mondo: l'ipnosi può quindi anche definirsi come una procedura
per modificare le aspettative. L'autoipnosi rappresenta uno strumento per
modificare le proprie aspettative personali.
Schema corporeo e schema mentale
Allo schema mentale corrisponde anche uno schema corporeo costituito da
tensioni; ecco perché la metodica del rilassamento fisico può essere utilizzata
in congiunzione con la metodica del rilassamento mentale.
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Tecniche di fascinazione nella comunicazione efficace
Si può definire l’intero procedimento della comunicazione efficace come una
successione di rilassamento, fissazione dell’attenzione e suggestione.
Nel momento in cui stabiliamo uno stato di “rapport”, e mentre l’ascoltatore
sta rispecchiando, modellando e andando a ritmo, sta avvenendo il
rilassamento. Una diminuzione delle tensioni naturali si sviluppa naturalmente
nel momento in cui le tecniche sono utilizzate per ottenere “rapport”.
A volte, nello studio dell’ipnotista, viene usata musica dolce; nella situazione
di vendita questo normalmente non è possibile, eccezion fatta nel caso che la
vendita venga effettuata in un ambiente sofisticato o in un ufficio apposito. In
questi casi può essere appropriato l’utilizzo della musica che rilassa e
stabilisce, più velocemente, il corretto stato mentale per il prossimo passo,
quello della fissazione dell’attenzione.
Nel momento in cui il “rapport” è stato stabilito è ora di portare l’ ascoltatore a
focalizzarsi su qualcosa che lo porti all’argomento oggetto del prodotto e del
servizio che gli state offrendo. La fissazione della sua attenzione gli
permetterà di ricevere più facilmente le vostre proposizioni.
La natura della fissazione nella comunicazione efficace
Lo stato che otteniamo con le tecniche descritte è uno stato nel quale il vostro
ascoltatore è capace di reagire, di lavorare con voi mentre voi divenite il suo
consulente, e lo aiutate a focalizzarsi su di voi. Se quello che offrite è valido,
potrà allora rendersi conto che quello che avete è proprio ciò che lui più vuole
e desidera. Voi fate semplicemente leva su questo bisogno per il prodotto e il
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servizio, portandolo dal punto di un leggero interesse fino al punto del
desiderio.
Ecco dove acquista importanza la conoscenza dell’Enneagramma, come
strumento per individuare la miglior maniera di presentare qualcosa.
La fissazione non è un processo di offuscamento mentale, bensì è
essenzialmente un processo col quale tenete fuori, o cancellate idee e stimoli
distraenti che potrebbero interferire con la vostra presentazione.
É necessario fissare la mente del ascoltatore su qualche elemento visuale,
sonoro, o qualche idea. Una tra le migliori maniere è mostrare all’ascoltatore
qualcosa del prodotto e affermare immediatamente un beneficio che ne potrà
ricevere. Utilizzando la voce, il comunicatore condurrà la totale attenzione del
soggetto e causerà un diminuire delle influenze esterne, sia esterne sia nella
mente del ascoltatore, che permetterà alle proposizioni seguenti di avere un
impatto più forte.
Non è utile presentare tanti benefici al ascoltatore se non si è riusciti a
guadagnare l’attenzione del ascoltatore. Il consulente od il venditore
professionista opereranno sempre in modo da essere sicuro che l’ascoltatore
abbandoni l’attitudine difensiva. Quest’attitudine difensiva scompare quando
l’ascoltatore diviene estremamente interessato nell’argomento ed è quando
ha luogo la fissazione.
La diminuzione dell’atteggiamento difensivo risulta in una diminuzione della
tensione muscolare e questo tende parallelamente a provocare la
diminuzione delle difese psicologiche.
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Questo stato più rilassato e ricettivo tende a diminuire la critica e aiuta il
ascoltatore a muoversi verso i punti di accordo nel momento in cui il
comunicatore pone domande del tipo, “ora questo è quello che vuoi, non è
vero?” nel tradizionale metodo di “legatura” della vendita di consulenza.
Cosa avviene nella nostra mente durante l’ipnosi
Vi sono tante teorie sui fenomeni ipnotici; una teoria molto interessante è la
seguente:
Noi sappiamo che il nostro cervello è diviso in due parti che si chiamano
emisferi, ognuna di esse è specializzata a fare qualche cosa. L’emisfero
destro è quello cosiddetto creativo, dei pensieri fantasiosi, elabora i sogni, le
informazioni musicali. Pensate ai musicisti e ai pittori, sono tutte persone che
hanno più sviluppato quest’emisfero.
L’emisfero sinistro è specializzato nei pensieri razionali, nella logica, nel
linguaggio. Queste due parti sono messe in comunicazione dal corpo calloso
che media i messaggi. L’autoipnosi e l’ipnosi non fanno altro che permettere
all’emisfero destro di attivarsi........questo è il loro principio. Ovviamente per
vivere giornalmente noi utilizziamo maggiormente la parte sinistra che è
l’ostacolo all’attivazione di quello destro, questo perché valuta, esamina le
informazioni che ci arrivano dai sensi ossia immagini, suoni e sensazioni. Per
accedere all’emisfero destro è necessario distrarre il sinistro utilizzando
comandi verbali o altre tecniche affinché quello che scaturisce dall’emisfero
destro non venga sottoposto a facoltà di giudizio. Nell’ipnosi indotta da altre
persone l’emisfero sinistro viene disattivato dall’operatore mediante alcune
tecniche specifiche, nell’autoipnosi siamo noi stessi a compiere questa
operazione. Come avete potuto apprendere rimaniamo sempre e comunque
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noi i protagonisti di questa esperienza, sia che ci venga indotta che se ce
l’autoinduciamo. Di qui l’importanza della visualizzazione:
Createvi un’immagine chiara delle cose che volete e infondetela di emozioni
prima di tutto, pensate che gli inventori riescono a vedere l’oggetto che
inventano prima ancora di aver montato tutte le sue parti.
“L’immaginazione è più importante del sapere” (Einstein)
“La mente umana è paragonabile ad una farfalla che assume il colore
elle foglie sulle quali si posa...........si diventa ciò che si contempla” (Gustave Flaubert)
É importante imparare prima di tutto a rilassarsi e a concentrarsi senza farsi
distrarre da nulla portare l’attenzione all’interno di noi stessi. All’inizio potrà
sembrare difficile però dopo andrete in contro a risultati inaspettati.
Avvertirete una sensazione di ordine nella vostra mente la capacità di gestire
i vostri pensieri senza farvi gestire da loro. La mente diventerà il vostro regno
e voi ne sarete i re.
PENSATE AD UN LAGO: quando la superficie è calma è facile vederne il fondo. Quando il lago invece è agitato dalle onde non si vede nulla. La stessa cosa accade con la mente: solo quando è tranquilla si può riuscire a leggere in noi stessi!
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Regole per comunicare con la mente inconscia
Dovete tener presente che state comunicando con la vostra mente
subconscia ed è quindi necessario rispettare delle regole, affinché essa ci
ascolti e comprenda quello che noi vogliamo.
1. Usate il tempo presente: Quando pensate al risultato che volete ottenere
consideratelo come un fatto compiuto. La mente subconscia è una mente
esistenziale ed opera sul “momento” in quanto per lei il futuro non arriva
mai.
2. Siate positivi: Eliminate ogni parola negativa, trasmettere in una
comunicazione la negazione di qualcosa vuol dire trasmettere male. Per il
vostro subconscio “no” e “non” sono parole neutre. Normalmente siamo
portati a parlare di quello che vogliamo eliminare senza renderci conto
che in questo modo rinforziamo il problema. Dite dove volete andare e
non da dove volete andar via.
3. Siate semplici: Scegliete un’area specifica dove attuare il miglioramento.
4. Siate dettagliati: Analizzare il vostro obiettivo e strutturare la vostra
suggestione in modo da includere ogni dettaglio del vostro nuovo
comportamento con una programmazione positiva. Ad esempio se c’è la
paura a parlare in pubblico la suggestione sarà del tipo: “Mi piace parlare
alla gente”
5. Siate semplici: Parlate al vostro subconscio come se fosse un bambino,
evitate “espressioni letterarie”. Le parole semplici hanno più impatto.
6. Usate parole emozionali: Dovete accertarvi che, nel momento in cui
parlate, le vostre affermazioni stanno generando sensazioni. Il subconscio
è la vostra mente emozionale.
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7. Puntate all’azione: Le vostre suggestioni devono descrivere le vostre
azioni, non le vostre abilità.
8. Siate precisi: Dire esattamente quello che desiderate. Se il risultato è
misurabile, come ad esempio il peso, siate precisi.
9. Siate realistici: Evitare di suggerire la perfezione.
10. Personalizzate: Le suggestioni vanno strutturate per cambiare voi stessi
e le vostre azioni e non gli altri.
“Cambiare è possibile basta che decidiate che tipo di persona volete essere”
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Pensare e sentire: La sintesi dell’intelligenza emotiva
Tutti sappiamo che abbiamo due menti, una che pensa l’altra che sente.
Queste due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse,
interagiscono per costruire la nostra vita mentale. La loro sintesi ha una
particolare importanza in diversi ambiti: nella relazione di aiuto, nell’impegno
educativo e didattico, nel lavoro sociale e psicologico, nell’organizzazione del
lavoro, perché il soggetto che si vuole coinvolgere è fatto di pensiero e di
sentimento, di intelligenza e di affettività, e va sollecitato in maniera globale
ed integrata in relazione a qualsiasi obiettivo di crescita, che si intende
raggiungere.
La dicotomia emozionale - razionale è simile alla popolare distinzione fra
cuore e mente. Quando sappiamo che qualcosa è giusto con il cuore, la
nostra convinzione è di ordine diverso: in qualche modo è una certezza più
profonda di quando pensiamo la stessa cosa con la mente razionale. Il
processo educativo non può essere un fatto intellettualistico, né all’opposto
un fatto istintivo ed immediatistico; deve essere al contrario un processo
capace di evitare queste due polarità, facendo interagire nel soggetto che
educa così come nel soggetto da educare l’interazione tra intelligenza ed
emotività.
Se noi consideriamo l’importanza che hanno avuto le emozioni da un punto di
vista della storia dell’umanità, ci rendiamo conto che esse hanno assunto un
ruolo fondamentale: la nostra specie non sarebbe sopravvissuta se di fronte a
situazioni di pericolo si fosse fermata a pensare. Pertanto l’emozione è
immediata: basti pensare alla paura. Per capire come mai il sentimento e la
ragione entrino in conflitto tanto facilmente, bisogna pensare al modo in cui si
è evoluto il cervello umano. Molto prima che esistesse la mente razionale
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esisteva quella emozionale. Il modello scientifico della mente emozionale,
emerso in anni recenti, spiega come le nostre azioni siano in gran parte
determinate dalle emozioni e in che senso le
emozioni hanno la loro logica e le loro ragioni.
A cosa serve l’intelligenza emotiva
Nella realtà attuale delle agenzie educative sia del pubblico che del privato
sociale la dimensione cognitiva ed emotiva dell’adulto e del soggetto in età
evolutiva tendono ad essere messe in contrapposizione fra loro, e non
vengono fatte dialogare.
I sentimenti dell’educatore e del suo interlocutore continuano ad essere
considerati elementi poco importanti, materia di scarto da accantonare o da
negare, aspetti non utili e non inerenti al processo educativo. Spesso i dati
emotivi vengono addirittura non riconosciuti e rimossi. Occorre invece
impegnarsi a tutti i livelli nel prospettare e nel favorire lo sviluppo
dell’intelligenza emotiva sia degli adulti che dei soggetti in età evolutiva. Per
intelligenza emotiva, come s’è visto, intendiamo la capacità di armonizzare il
pensiero e i sentimenti, la parola con i vissuti emotivi, la dimensione mentale
con la dimensione affettiva.
In particolare l’intelligenza emotiva prevede le seguenti competenze:
� La capacità dell’adulto e del bambino di riconoscere, rispettare e mettere
in parola il Mondo soggettivo dei sentimenti e delle emozioni;
� La capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza
entrare in Conflitto frontale con essi e senza neppure, tuttavia, farsene
travolgere;
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� La capacità di sviluppare l’efficienza mentale e la comprensione della
realtà e di motivarsi in modo globale (con la razionalità e con l’emotività)
al raggiungimento di obiettivi e finalità;
� La capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad
essere sensibili ed empatici;
� La capacità di interagire positivamente con le persone, di trattare con
efficacia le interazioni, i conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con
gli altri.
La confidenza da parte dei soggetti in età evolutiva con la propria vita
emotiva favorisce la possibilità di raggiungere gli obiettivi nell’intervento
didattico o socio-educativo, di elaborare i conflitti all’interno del gruppo dei
pari e di sviluppare la comprensione reciproca e la solidarietà.
Un’applicazione importante delle competenze relative all’intelligenza emotiva
consente all’insegnante o all’educatore o all’animatore – a seconda dei
contesti e dei compiti da realizzare - di avvicinare al dialogo e all’elaborazione
riflessiva le problematiche dell’aggressività e della rivalità all’interno dei
gruppi, sia quelle della sessualità e della affettività - che spesso compaiono in
maniera spontanea e talvolta in forme confuse e provocatorie fra i ragazzi. La
confidenza con le emozioni, anche quelle negative, spiacevoli e conflittuali
facilita inoltre l’elaborazione nei bambini e negli adolescenti degli impulsi che
spingono alla devianza, permette di controllare la trasformazione del disagio
in desiderio di stordimento e di fuga, desiderio sotteso all’uso di sostanze o
ad altri passaggi all’atto tendenzialmente distruttivi o autodistruttivi.
Il possesso di competenze cognitive da un lato e di competenze emotive e
relazionali dall’altro dovrebbe caratterizzare ogni attività professionale che
implica un rapporto con le persone e con i bambini. Certamente questa
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sintesi non dovrebbe risultare estranea a qualsiasi forma di impegno
professionale o volontario in qualsiasi istituzione sociale, sanitaria, scolastica,
educativa, giudiziaria a contatto con soggetti in età evolutiva.
Le competenze culturali riguardano la chiarezza degli obiettivi educativi, la
conoscenza dei metodi, la comprensione di ciò che è pedagogicamente
efficace e deontologicamente corretto, la coerenza dei valori e dei progetti, il
padroneggiamento cognitivo delle tecniche e delle risorse che si possono
utilizzare.
Le competenze emotive e relazionali riguardano la capacità d’identificazione
con il disagio degli utenti, la comprensione delle risorse e delle potenzialità di
questi ultimi, la capacità di ascolto e di sostegno, la disponibilità e la
vicinanza emotiva nei confronti dei problemi e delle difficoltà concrete e
quotidiane dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie, la capacità di
pensare in positivo e di sollecitare la creatività degli interlocutori.
La tematizzazione delle competenze emotive e relazionali come distinte dalle
competenze cognitive rinvia alla teoria dell’intelligenza emotiva di Daniel
Goleman. Cosa afferma questa teoria? In sintesi afferma che lo sviluppo di
della capacità di riconoscere e di gestire i sentimenti propri ed altrui può
migliorare il benessere degli individui e la loro possibilità di motivarsi e di
realizzarsi, di comunicare e di interagire tra loro. L’intelligenza emotiva può
inoltre ottimizzare nelle organizzazioni i processi di apprendimento, di
acquisizione e di scambio delle informazioni, di elaborazione delle decisioni.
Le diverse forme dell’intelligenza
La visione scientifica è stata per decenni molto sbilanciata, perché ha
concentrato tutte le attenzioni sulla mente razionale. Solo in questi ultimi anni
le ricerche stanno gradualmente cambiando, si sta superando l’atteggiamento
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di considerare la vita mentale emotivamente piatta, scarsamente rilevante e
poco significativa.
Si è cominciato a riconoscere il ruolo essenziale del sentimento nel pensiero,
il potere delle emozioni nella vita mentale, come nondimeno a riconoscere i
vantaggi che esse comportano. Oggi la pedagogia e la psicologia concordano
nel sottolineare che non esiste un unico tipo monolitico di intelligenza: già
Gardner nel 1983 aveva individuato sette varietà fondamentali d’intelligenza:
oltre a quella verbale e logico - matematica, i due tipi standard su cui la
scuola e le istituzioni educative hanno tradizionalmente puntato, Gardner
individuava un’intelligenza spaziale (quella che si può esprimere in un
artista), un’intelligenza cenestesica che si può esprimere nella danza o nella
fluidità dei movimenti; un’intelligenza musicale; individuava inoltre
l’intelligenza interpersonale, ossia la capacità di comprendere lo stato
d’animo degli altri e le loro motivazioni e di interagire positivamente con gli
altri. É stata infine concettualizzata un altro tipo di intelligenza individuale,
quella intrapersonale, che è la chiave per accedere alla conoscenza di sé e ai
propri sentimenti, quindi non solo capire lo stato d’animo dell’altro, ma
conoscere quello che soggettivamente viene sperimentato (“ciò che io
provo”).
Da questa evoluzione del concetto d’intelligenza, si è giunti nell’ultimo
periodo a parlare di intelligenza emotiva: sentimento e mente vengono unite
insieme.
La convinzione teorica che possano esistere una vasta gamma di varietà
d’intelligenza, abbinata alla conoscenza pratica degli strumenti per
riconoscere le diverse forme e per farle evolvere, porta a valorizzare le
potenzialità difformi ed originali dei processi espressivi e maturativi in tutti gli
interlocutori del processo educativo. Anche i minori che rischiano di essere
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stigmatizzati e svalutati a partire da un concezione monolitica e
standardizzata di intelligenza e di finalità educativa, possono essere
sollecitati in modo vivo e creativo a scoprire e a far emergere l’intelligenza
specifica di cui sono portatori e l’intelligenza emotiva che esiste comunque
dentro di loro, cioè la capacità potenziale di armonizzare il pensiero e con la
vita affettiva ed emotiva.
Le funzioni dell’intelligenza emotiva
É massicciamente diffuso nella cultura sociale un pregiudizio negativo nei
confronti della vita emotiva, vista esclusivamente come un fattore di disturbo
e di interferenza negativa nei confronti dei processi valutativi e decisionali. La
cultura dell’intelligenza emotiva afferma invece che emozioni e sentimenti
sono anche e soprattutto una risorsa.
Come è possibile incanalare l’emozione verso un fine concreto e produttivo?
Goleman ci aiuta a dare una risposta al quesito individuando cinque funzioni
che compongono l’intelligenza emotiva:
Conoscenza delle proprie emozioni: ovvero l’autoconsapevolezza - la
capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta -
Parafrasando lo psicologo John Mayer, essere consapevoli di sé significa
essere “consapevoli sia del nostro stato d’animo che dei nostri pensieri su di
esso”. L’autoconsapevolezza è fondamentale non solo per la comprensione
psicologica, ma anche per la crescita educativa: l’educatore di comunità o di
territorio, l’operatore impegnato nell’intervento socioeducativo, l’animatore del
centro di aggregazione giovanile possono trarre grande vantaggio nella loro
attività dallo sviluppo della capacità di riconoscere e di mettere in parola i
sentimenti indotti dalla relazione educativa al fine di poter trasmettere
un’analoga capacità ai destinatari dell’intervento.
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¾ _ Controllo delle emozioni: ovvero la capacità di controllarle per far
sì che esse siano appropriate. Alcuni pensatori antichi la chiamarono
temperantia: è l’equilibrio, non la soppressione delle emozioni. Ogni
sentimento ha un suo significato. L’arte di tranquillizzare e confortare se
stessi, è una capacità fondamentale nella vita. Winnicott la considerava
uno degli strumenti psichici più essenziali. Solo un educatore capace di
sperimentare un controllo sano delle emozioni potrà sollecitare una
competenza analoga nello sviluppo del soggetto in età evolutivo.
¾ _ Motivazioni di se stessi: ovvero il motore interno che ci spinge a
mettere in atto tutta una serie di comportamenti che consentono il
raggiungimento dello scopo. Abbiamo visto che riconoscere e controllare
le emozioni sono abilità fondamentali per incanalare le stesse verso un
fine produttivo. In ogni istituzione sociale, scolastica ed educativa è di
fondamentale importanza attivare le energie e le motivazioni dei soggetti in
età evolutiva e l’intelligenza emotiva è l’atteggiamento più produttivo in
questa direzione.
¾ _ Riconoscimento delle emozioni altrui: ovvero l’empatia, la
capacità di sentire dentro, di avvertire lo stato emotivo dell’altro. Si tratta di
ascoltare i vissuti emotivi dell’altro (che non sono i nostri), di rispecchiarli,
di comprenderli mentalmente e se necessario, di metterli in parola. Sentirsi
ascoltati da un punto di vista emotivo dalla persona che abbiamo accanto
ci aiuta molto. É fondamentale per un bambino sapere che le sue emozioni
incontrano l’empatia dell’altro, che sono accettate e ricambiate in un
processo che Daniel Stern chiama “sintonizzazione”. Attraverso la
sintonizzazione, il bambino dopo gli otto mesi di vita, inizia a sviluppare la
percezione che gli altri possono e vogliono condividere i suoi sentimenti.
La prolungata assenza di sintonia tra genitori e figli, presumibilmente porta
il bambino ad evitare di provare ed esprimere le proprie emozioni.
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¾ _ Gestione delle relazioni: ovvero la capacità di interagire
positivamente con le persone, di trattare con efficacia le interazioni, i
conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con gli altri. Si tratta di
un’abilità molto importante che aumenta la competenza sociale e
professionale, dal momento che ogni significativa relazione sociale ed
educativa presenta quotidianamente conflitti e problemi. Nell’attività
scolastica, nel lavoro sociale e nell’intervento educativo affrontare i conflitti
che coinvolgono nei modi più vari i bambini e gli adolescenti è incombenza
quotidiana ed ineludibile e l’intelligenza emotiva può aiutare l’insegnante,
l’educatore e l’operatore nel gestire questo compito.
¾ _ L’abitudine determina quasi il 100 per cento di quello che fai :
Dall’inizio alla fine della giornata, le tue abitudini decidono, in gran parte, i
tuoi discorsi, le tue azioni, le tue reazioni e le tue risposte. Il legame tra le
abitudini e lo stile di vita è forte: abitudini vitali e altamente produttive
appartengono solitamente a persone efficaci e felici, mentre le persone
inefficaci e infelici hanno abitudini che le danneggiano e le frenano.
La pratica regolare del pensiero a base zero è una delle abitudini più potenti
che tu possa avere. Per praticare il pensiero a base zero, poniti regolarmente
la seguente domanda:
Esiste qualcosa nella tua vita che, sapendo quello che sai ora,
eviteresti di fare ancora oggi,
se avessi l’opportunità di farlo di nuovo?
Inizia dalle tue relazioni, sia private sia professionali.
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C’è qualcuna di queste relazioni che rappresenta un impegno di energia,
tempo, emozioni o soldi che, sapendo ciò che sai oggi, eviteresti di assumerti
ancora?
Osserva la tua attività professionale.
Sei in un’organizzazione o in una posizione che non si addice ai tuoi valori,
alle tue qualità e alle tue abilità? Hai stabilito relazioni o alleanze all’interno
della tua azienda o del reparto in cui operi, che hanno cessato di essere
proficue? Se sei nel mondo aziendale, esistono prodotti o servizi, nella tua
offerta attuale, che non proporresti più, sapendo quello che sai? C’è un
settore del mercato nel quale stai vendendo, ma in cui dovresti evitare di
essere? Ci sono dei clienti che dovresti evitare di acquisire? Subagenti che
dovresti evitare di assumere? Procedure che dovresti evitare di adottare?
Canali di distribuzione che dovresti evitare di usare? Strategie di vendita e di
marketing che dovresti evitare di seguire?
Se rispondi “sì” a qualcuna di queste domande, un’altra domanda pertinente
seguirà in automatico: perché sei ancora in quell’azienda o in quella
posizione? Perché mantieni ancora quella relazione? Perché vendi ancora
quel prodotto o servizio? Perché continui a concentrarti su quel settore di
mercato o su quei clienti? Perché segui ancora quella procedura? Perché
insisti nell’utilizzare quella strategia? .
Nessuno, dotato di un minimo di buonsenso, inizia a fare qualcosa che non
sia, almeno in apparenza, sensato. Quando instauriamo una relazione,
assumiamo un dipendente, facciamo un investimento o lanciamo una
strategia di marketing, lo facciamo perché siamo sicuri che così facendo
riceveremo dei benefici. Con il passare del tempo i nostri bisogni cambiano. E
così anche le circostanze. Non necessariamente ciò che aveva un senso ieri
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continua ad averne oggi. Così, spesso, siamo talmente impegnati che non ci
accorgiamo di questi cambiamenti e, solo per abitudine, ci ritroviamo a
preservare perennemente uno status quo sorpassato e antiquato.
Applicando il pensiero a base zero, metti a nudo gli elementi d’abitudine della
tua vita.
Successivamente, puoi porti una seconda domanda: che cosa ho intenzione
di fare a tale proposito? Spesso, la risposta consiste nell’eliminare questo
status quo dalla tua vita e andare avanti. Di certo, possono esserci momenti
in cui non tutto appare o bianco o nero. In un matrimonio che fallisce, per
esempio, una saggia decisione potrebbe non consistere nel semplice
andarsene, ma piuttosto nel provare a intraprendere una terapia di coppia
con l’intento di risolvere i problemi e impegnarsi per portare nel rapporto un
nuovo soffio di vita. Comunque, abbiamo riscontrato che spesso è meglio
eliminare la parte della tua vita o della tua attività che è vecchia, improduttiva
e, forse, persino dannosa, e ridistribuire le tue energie verso ciò che oggi è
funzionale.
Ripensa al caso della nostra cliente che aveva deciso di delegare ad altri il
compito di consegnare ogni mattina delle ciambelle ai suoi clienti più
importanti. Questa decisione le lasciò a disposizione dieci ore alla settimana
da dedicare alle sue attività di alto valore, ed ebbe inoltre un ruolo importante
nel raddoppio dei guadagni nell’arco di dieci mesi. La cosa interessante è
che, prima di decidere, si chiese se, sapendo ciò che sapeva in quel
momento, avrebbe mai iniziato l’attività di consegna delle ciambelle.
Concluse che questa strategia, adottata per entrare in contatto con i suoi
clienti all’inizio della sua carriera, la distingueva ora dalla concorrenza e, in un
certo senso, era diventata il suo personale “marchio di fabbrica”. Per tale
ragione, decise di continuare con la “routine” delle ciambelle – sebbene in un
modo diverso e più efficace – non per semplice abitudine, ma piuttosto come
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strategia ragionata attentamente. Si impegnò a rivedere regolarmente questa
decisione, applicando gli strumenti del pensiero a base zero.
La pratica di applicare il pensiero a base zero, e di agire opportunamente in
conseguenza di ciò, richiede coraggio e impegno. Devi essere spietatamente
onesto nella tua autovalutazione. E devi avere la ferma determinazione a
cambiare. Inizia ora e trasforma in un’abitudine l’azione di porti regolarmente
la domanda del pensiero a base zero: sapendo ciò che so ora, c’è qualcosa
di cui eviterei di occuparmi oggi, se dovessi farlo di nuovo? Prendi
attentamente in esame le attività o gli elementi che darebbero origine a una
risposta affermativa. Poi, cerca di cambiarli per renderli di nuovo funzionali, o
abbandonali. I risultati potranno essere notevoli: eliminerai così gli aspetti
negativi e non funzionali della tua vita e li rimpiazzerai con altri nuovi e
positivi. Avrai più energia, godrai di una serenità d’animo maggiore e sarai
molto più produttivo.
Esercizio:
1. Quali sono i tuoi più importanti obiettivi?
2. Esamina la tua vita privata. Sapendo ciò che sai ora, se dovessi
rifare qualcosa:
a. Ci sono relazioni nelle quali eviteresti di farti coinvolgere oggi?
b. Ci sono abitudini che riguardano la tua salute, la tua forma fisica,
la tua dieta o il tuo stile di vita, che eviteresti di prendere oggi?
c. Ci sono investimenti di tempo, soldi o emozioni che eviteresti di
fare oggi?
d. Prendi in esame la tua attività aziendale. Sapendo ciò che sai ora,
se dovessi rifare qualcosa:
e. Ci sono prodotti o servizi che eviteresti di iniziare a offrire/vendere
oggi?
f. Ci sono settori di mercato nei quali eviteresti di posizionarti oggi?
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g. Ci sono clienti che eviteresti di sollecitare o di acquisire oggi?
h. Ci sono metodi o processi di vendita che eviteresti di iniziare ad
usare oggi?
i. Ci sono canali di distribuzione che eviteresti di iniziare ad usare
oggi?
j. Ci sono metodi o processi aziendali che eviteresti di iniziare ad
usare oggi?
k. Ci sono strategie di marketing che eviteresti di iniziare ad usare
oggi?
l. Ci sono sistemi operativi che eviteresti di iniziare ad usare oggi?
m. Ci sono sistemi tecnologici che eviteresti di iniziare ad usare oggi?
n. Ci sono partnership, joint venture o investimenti nei quali eviteresti
di farti coinvolgere oggi?
o. Ci sono iniziative commerciali nelle quali eviteresti di farti
coinvolgere oggi?
3. Quali azioni ti impegni a compiere immediatamente, in seguito a ciò
di cui ti sei reso conto leggendo questo capitolo?
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Parte 5^ P.N.L. & VENDITA
Niente di splendido è mai stato
compiuto se non da coloro che osavano
credere che qualcosa dentro di loro
fosse superiore alle circostanze
(Bruce Barton)
1 - Diventa un Venditore di Successo
Sei un Venditore? Spesso chi svolge la propria attività nel settore
commerciale si sente rivolgere questa domanda. Nello scenario collettivo la
figura del venditore è vista come ‘colui che è capace di rifilarti qualunque
cosa o colui che svolge questa attività perché è nato venditore.
I più convinti di fronte a tali affermazioni rispondono con fermezza “‘SI sono
un venditore! “, altri invece cominciano a girare intorno all’ argomento
spiegando che in realtà loro non vendono nulla, che presentano solo un
prodotto o un servizio, che non vogliono convincere nessuno e così via, non
riuscendo però a convincere né l’interlocutore né tanto meno se stessi.
Molto spesso si decide di intraprendere l’attività di venditori perché si crede
che questa sia semplicemente un modo per guadagnare più del normale o
perché è un’attività libera in cui nessuno può dirci come e quando fare le
cose, che permette d’essere a contatto con la gente di conoscere posti
sempre nuovi e così via.
Sono tutte ragioni vere e valide.
Nella maggior parte dei casi però questo è solo un modo “banale” di vedere il
lato più affascinante di una professione come quella del venditore, in cui il
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guadagno è il risultato dell’impegno, la libertà è sinonimo di responsabilità
pensiamo agli studi universitari nessuno ci dice quando fare un esame, spetta
al nostro senso di responsabilità applicarsi o no, inoltre, il contatto con la
gente prevede un’abile capacità comunicativa.
Se provassi a chiedervi: ”Automobilisti si nasce o si diventa?” Siete convinti di
poter rispondere allo stesso modo che se vi chiedessi: “Venditore si nasce o
si diventa?” Qual è la differenza?
In entrambi i casi possiamo diventare abili automobilisti ed abili venditori.
Eppure la vendita è un po’ come un diamante grezzo nascosto dentro ognuno
di noi.
Per rendere più chiaro il concetto facciamo un esempio. Chi di noi
solitamente và in discoteca, o ci è stato almeno una volta nella vita?
Proviamo insieme a descrivere le fasi di preparazione alla serata.
Probabilmente non adotteremo un abbigliamento usuale, magari ci
pettineremo in modo particolare, useremo un profumo speciale, insomma
nulla che sia simile a quando conduciamo la vita quotidiana.
Tutto questo perché?
Per comunicare in modo originale agli altri una nostra immagine, per
“vendere” bene la nostra immagine agli altri. Questo molto spesso lo
facciamo senza neanche rendercene conto, perché la vendita è dentro di noi,
per questo noi diremo che la vendita è comunicazione.
VENDITA = COMUNICAZIONE
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A questo punto è importante che vi spieghi cosa e come affronteremo
l’argomento appena introdotto.
L’obiettivo è quello di scoprire e capire quali sono le principali linee guida per
iniziare il meraviglioso cammino verso l’apprendimento dell’arte della vendita.
Affronteremo insieme il tutto con un lungo viaggio e ne utilizzeremo la
metafora.
Il motivo fondamentale che spinge un venditore all’azione non può essere il
solo “denaro”, in quanto, come ben sappiamo, non è quasi mai il fine ultimo
ma solo uno strumento per scegliere. Indubbiamente però non và neppure
sottovalutata tale risorsa in quanto rappresenta una importante voce del
capitolo patrimoniale e dunque degli investimenti.
Tutti, o quasi, miriamo ad avere una bella casa, un discreto conto corrente,
fare qualche viaggio, avere una bella macchina, e potrei continuare su
centinaia di sogni, desideri, scopi. Tutte quelle che sono sicuramente valide
motivazioni, ritenute sufficienti a spingere all’azione, pur tuttavia non sono la
vera molla scatenante dell’azione.
Per fare un esempio, quante volte ci capita di pensare: “se vinco al lotto…”
“potessi fare tredici…”. Ed io vi chiedo: ”E quante volte giochiamo al lotto o al
totocalcio?” Certo questo è un esempio legato molto alla probabilità, alla
fortuna, è vero! Ma è anche vero che se non decido di giocare, se non
scendo in campo, non vincerò mai. O in ogni caso non saprò mai se ne sarà
valsa la pena.
Allora dove dobbiamo andare a cercare?
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Questa domanda ha portato ad una analisi delle caratteristiche fondamentali
dei grandi venditori di successo, i risultati sono straordinariamente indicativi.
Sono stati trovati 5 fattori comuni a tutti i venditori di successo. La cosa
interessante è che ognuno di questi fattori o parametri non dipendo da agenti
esterni, ma sono racchiusi in ognuno di noi. Questi parametri, lì chiameremo
di seguito “I 5 Fattori del Successo”.
Scopriamoli insieme:
1. Ambizione 2. Volontà 3. Coraggio 4. Perseveranza 5. Diligenza
Iniziamo dal primo.
1. Ambizione Non ho altro sprone da cacciare nei fianch
i del mio disegno, se non la volteggiante ambizione.
(tratto dal ‘Macbeth’)
Un forte desiderio di raggiungere qualcosa, il che può essere perfettamente
naturale, tutto dipende dal motivo. Il motivo deve essere positivo e non un
desiderio egoistico. È il primo fra tutti, è lo scopo interiore! Desiderare una
macchina è un parametro esterno, ambire al raggiungimento del nostro scopo
è un fattore interno.
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2. Volontà Vollì, sempre vollì, fortissimamente vollì!
(Vittorio Alfieri)
Alfieri si fece legare ad una sedia, e vi restò, finchè non avesse scritto una
poesia. Penso che tutti capiscano subito il significato di "forza di volontà":
indubbiamente chi possiede una grande forza di volontà riesce facilmente ad
autocontrollarsi e a forzare il proprio corpo e la propria psiche verso un
obbiettivo (che può essere il miglioramento della qualità della vita). La vera
forza di volontà è quella anevrotica: la capacità di autocontrollarsi senza
avere uno scopo. Devo essere in grado di impormi cose che la gran parte
delle persone normali riescono a fare. Se non riesco a portare l'orologio al
polso, se mi dà un terribile fastidio vedere un serpente in televisione, se ho
terrore del buio, se non riesco a studiare più di dieci minuti, se non sopporto
questo, se non sopporto quello, la mia forza di volontà anevrotica è carente.
Devo riuscire a imporre alla mia psiche di eseguire i miei ordini senza che ci
sia un premio gratificante. L'esempio di quanto possa essere difficile
costruirsi una forza di volontà non nevrotica è rappresentato dalla difficoltà di
milioni di persone nello smettere di fumare.
I progetti sono solo delle buone intenzioni se non si trasformano subito in
duro lavoro.
3. Coraggio Un giorno la paura bussò alla porta…
…il coraggio andò ad aprire e non c’era più nessuno! (J. Wolfgan Goethe)
Giusto! Bisogna lanciarsi, ci vuole coraggio! Ed a noi non piace aver paura,
ma siamo esseri umani e questo può accadere ogni giorno in mille situazioni.
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Non è importante avere paura, l’importante è avere coraggio! La persona
coraggiosa non è quella che non ha paura, ma quella che affronta la paura. E
quindi, quando avvertiamo quella sensazione di insicurezza, l’affrontarlo non
fa altro che rinforzare il muscolo del coraggio, abituandosi ad andare oltre le
nostre limitazioni. Quando ci sentiamo insicuri nel telefonare ad un cliente, è
lì che bisogna raccogliere tutto il coraggio alzare la cornetta e telefonare,
quando pensiamo che la persona che sto per incontrare è uno tosto,
facciamo un lungo respiro ed affrontiamo la situazione.
Agiamo! Spesso l’azione è la soluzione migliore a tutte le nostre insicurezze.
4. Perseveranza Non importa quante volte cadi, ma quante volte cadi e ti rialzi.
Chi ha inventato la lampadina? – Edison
Sapete quanti tentativi ha fatto prima di riuscire ad infuocare quel
filamento?...
10.000! É certamente un grande esempio di perseveranza. La Perseveranza
è forza di volontà, intesa come capacità di attuare costantemente libere
scelte di miglioramento. Forza di volontà e desiderio, se ben combinati,
costituiscono una coppia irresistibile. La Perseveranza ha sempre
rappresentato la differenza tra successo e fallimento. Questa è la qualità che
più di ogni altra limita la maggioranza delle persone nelle grandi realizzazioni;
esse vorrebbero intraprendere qualche impresa ma, non appena il cammino
si fa arduo, si arrendono. L'esperienza fatta su migliaia di individui ha
dimostrato che la mancanza di perseveranza è una debolezza comune alla
grande maggioranza degli uomini; è però una debolezza che si può superare
con la volontà.
Se volete realizzare il vostro desiderio, dovete abituarvi alla perseveranza.
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Quando le cose si faranno oscure e vi sembrerà che non ci sia alcuna
ragione di continuare, quando tutto in voi vi dirà di rinunciare, di non
continuare a tentare, sarà proprio allora che si distingueranno gli uomini dai
bambini; sarà proprio a quel punto che, se avrete la forza di percorrere
ancora qualche altro metro ed andrete avanti, l'orizzonte si schiarirà e
comincerete a vedere i primi segni di quell'abbondanza che dovrà essere
vostra, poiché avete avuto il coraggio di perseverare. Con la perseveranza,
verrà il successo. Gli uomini che hanno molto successo sono in genere
conosciuti come persone dal sangue freddo, e qualche volta spietati, ma
spesso si tratta di un malinteso: quello che hanno è la forza di volontà che
abbinano alla perseveranza nel cercare di concretizzare i loro desideri per il
raggiungimento dei loro obiettivi. La maggior
parte delle persone sono pronte a gettar via i loro obiettivi e i loro scopi, ad
arrendersi alla prima difficoltà o sfortuna.
5. Diligenza “Suo figlio andrebbe molto meglio se fosse più…diligente”
A scuola spesso la sentivamo pronunciare dagli insegnanti: cioè se si è
costanti nell’impegno quotidiano.
Se ci pensiamo bene tutti questi fattori ci pongono di fronte ad una forte
realtà, il nostro senso di responsabilità. Potrà sembrar banale ma è così,
spesso le persone, sono portate a dar la colpa per le cose che non vanno per
il verso giusto all’esterno, c’è sempre una causa esterna che in qualche modo
giustifica i non risultati : “il mercato è in crisi… il capo è un rompi…i clienti non
capiscono…ecc” perché è molto più facile dare la colpa ad altri, piuttosto che
a se stessi riconoscendo quelle che sono le proprie responsabilità. Perché
non è facile ogni giorno essere ambiziosi, volenterosi, coraggiosi,
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perseveranti e diligenti in tutte le cose che facciamo, cominciando a farsi una
domanda: “Cosa posso farci io? Come posso migliorare la qualità della mia
vita, assumendomi le mie responsabilità, diventando un grande venditore di
successo?”
A questo punto però abbiamo chiari quelli che sono i Fattori interni ad ognuno
di noi, come però tutto questo si tramuta in azione sul campo. Facciamo un
esempio, paragonando l’attività di un venditore ad un lungo viaggio, e traiamo
quelle che sono le linee guida dell’attività del venditore.
Linee Guida del Venditore
1. SCOPO (obiettivi/meta/motivazione)
2. PIANIFICAZIONE (tempo)
3. RISORSE (strumenti e conoscenza)
4. ANALISI E CONTROLLO (verifica piano di viaggio)
5. FORMAZIONE (carburante)
Non si può fare un viaggio tutto d’un fiato, bisogna ogni tanto fare delle soste
di rifornimento.
Per caricarsi, per capire ciò che succede, per essere maggiormente
competitivi c’è una tappa fondamentale: la Formazione professionale. E
siccome ogni venditore vive grazie alle potenzialità del mercato, ed il mercato
è opportunità, mi viene in mente una frase:
La fortuna è ciò che accade quando la preparazione si incontra con
un'opportunità.
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Nella vita chi pensa positivo non ha problemi a creare feeling, la gente
preferisce stare con i positivi, con quelle persone che hanno un sano
Atteggiamento Positivo Interiore
“Se non sai sorridere, non aprire un negozio” (Proverbio Cinese)
Se parliamo solo di dolore, di sofferenza, di fallimenti...ne avremo sempre di
più, perché noi diventiamo quello che pensiamo e facciamo. É un processo
inconscio e reale.
Il significato originario della parola Entusiasmo è "Dio dentro" (deriva dal
greco antico enthusiasmòs, formato da en (in) con theos (dio) letteralmente si
potrebbe tradurre con "con Dio dentro di sé") è quella Forza che è disponibile
dentro ogni persona, a prescindere dal suo ceto sociale, dal cammino
spirituale e religioso, dal colore della pelle, ecc. L'Entusiasmo è la Forza che
smuove le Montagne che incontriamo sul sentiero della vita: in famiglia, nel
lavoro, nelle relazioni. Senza Entusiasmo subiamo la vita anziché viverla.
Parliamo dunque con Entusiasmo, perché sappiamo che la responsabilità ed
il potere di sviluppare l'Energia che deriva dall'Entusiasmo è personale.
Se ci focalizziamo con Entusiasmo sulle nostre Risorse, allora, pur consci
delle Montagne, potremo scalarle ed arrivare sulla vetta e godere del
panorama dell'esistenza, sentire i profumi dei fiori e delle piante, ascoltare il
suono...del silenzio, del vento e provare sulla nostra pelle le sensazioni
dell'aria pura ed incontaminata, sentendoci Liberi e Vivi e tutto questo per
scoprire che tutto quello che vediamo ascoltiamo e proviamo sono parte di
noi, anzi...siamo noi.
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Applichiamo all’Entusiasmo la regola della ‘profezia autoavverantesi’ e
scopriamo insieme quello che accade:
ENTUSIASMO
MOTIVAZIONE SUCCESSO
MOVIMENTO
Non è possibile affrontare nessun cammino se non si è convinti della strada
che sto percorrendo, è logico devo conoscere l’azienda per la quale lavoro, il
prodotto che vendo ma soprattutto devo essere convinto di voler svolgere
questa attività.
Le domande sono le risposte
Una delle differenze essenziali tra persone che sono di successo e coloro
che non lo sono sta probabilmente nel porre le domande migliori e, come
risultato, hanno ottengono le risposte migliori. Quando l’automobile era ai
suoi esordi, centinaia di persone si occupavano di costruirle, però, Henry
Ford si mise da parte domandandosi: come riesco a produrre una automobile
così in serie? E siccome per ogni domanda c’è una risposta, Henry Ford
trovò la sua risposta e nacque la prima grande rivoluzione industriale.
Domande di qualità creano una vita di qualità. Le imprese hanno successo
quando i loro dirigenti fanno le domande giuste per quanto riguarda linee di
produzione o mercati o progetti strategici. I rapporti prosperano quando la
gente fa le domande su dove esistono potenziali conflitti e come sostenersi
anziché demolirsi. Le comunità hanno maggiori benefici quando i leader
pongono le domande opportune per quanto riguarda le cose più importanti e
come i cittadini possono collaborare per scopi comuni.
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Qualunque sia l’area della vita che si vuole migliorare, ci sono delle domande
che potrai fare e che ti forniranno le risposte, le domande mettono in moto un
processo di sviluppo con un impatto che va ben oltre ciò che possiamo
immaginare.
Mettere in questione le nostre limitazioni demolisce le barriere, negli affari,
nei rapporti fra i paesi. Tutto il progresso umano è preceduto da nuove
domande.
Nuove risposte provengono da nuove domande, non importa che cosa
abbiamo già compiuto, verranno tempi in cui incontreremo dei blocchi stradali
nel nostro progresso sia personale che professionale. La domanda non è se
avremo dei problemi, ma come li tratteremo quando capiteranno. In quel
momento non saranno solo le domande che ci porremmo, ma anche le
domande che trascureremo a formare il nostro destino.
Come si può quindi migliorare la propria vita da subito? Scoprendo ed
imitando le domande abituali delle persone che stimi, questi usano
l’ingrediente più importante del successo: la disponibilità a ricevere risposte.
Le risposte che riceviamo dipendono dalle domande che siamo disposti a
fare.
Se noi consideriamo qualcosa possibile o impossibile spesso lo determiniamo
con il modo in cui poniamo le domande. Le parole specifiche e l’ordine con
cui vengono usate possono portarci a non considerare neanche certe
possibilità. Se ti chiedi: perché mi sto creando degli ostacoli? É esattamente
quello che ti succederà. Quante volte abbiamo assistito a persone che si
creano problemi quando questi non esistono per niente? Purtroppo noteremo
che quelle persone si avvolgono su loro stessi e su ciò che si sono messi
nella mente senza più trovare soluzioni a portata di mano.
Nel mondo commerciale e più specificatamente nella vendita le domande
chiave vengono trascurate. Ci accorgiamo viceversa che i migliori risultati li
hanno coloro che si pongono le stesse domande che generalmente il cliente
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pensa. Poniamoci noi alcune di queste domande prima di andare sui mercati
a proporci. Perché il cliente deve comprare da me? Cosa lo dovrebbe
spingere a farlo? Cosa ho di veramente utile da offrire? Cosa è per lui più
importante? Sono disposto ad ascoltare in modo attivo? Bene, con tutta
probabilità stai già dando le risposte che il cliente vuole sentirsi dire!
La raccolta delle risposte è il motore dell’azione, trasformiamo quindi le
informazioni in energia e cominciamo ad agire.
Ma l’energia mettetela nel Vostro “Silenzio stampa” e dunque parlate di
meno, non lamentatevi mai ed agite di più.
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CONCLUSIONE
OBIETTIVI E RISULTATI
Il destino non è una questione di fortuna è una questione di scelta,
non è qualcosa da aspettare, è qualcosa da compiere
(William Jennings Bryan)
Giunti alla conclusione di questo percorso, che ci ha visti insieme
argomentare e riflettere tra i mille rigoli della comunicazione intra ed extra
personale, vorrei puntare l’accento su alcune domande quali:
Che cosa conta di più per te?
Che cosa vuoi avere?
Che tipo di persona vuoi essere?
Che cosa vuoi fare?
Quali esperienze vuoi vivere?
Che genere di contributo vuoi dare?
Queste sono domande piuttosto dirette e richiedono, giunti a questo punto,
una qualche riflessione.
Prenditi qualche momento per pensare a cosa ti rende più felice. Scoprirai
quali sono i tuoi valori e i tuoi ruoli nelle diverse aree della tua vita e allora
sarai pronto a disegnarne la Visione per poi definire i tuoi obiettivi e a
trasformarli in risultati.
Si parla così tanto di successo che ci fa sentire sempre in difetto.
Certamente il successo più duraturo e completo è l’abilità di trarre
soddisfazione in ciascun spicchio della sfera che è la nostra vita, essere cioè
coerenti con il compito della vita e realizzare la nostra Visione.
Ci sono persone che hanno successo nel campo lavorativo e sono una frana
nelle relazioni, altri hanno una famiglia splendida e non trovano il denaro per
pagare il mutuo, altri ancora hanno un’intensa vita sociale e poca salute.
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Spesso durante i colloqui di selezione per le Aziende con le quali lavoro, i
candidati mi parlano dei loro sogni nel cassetto. E mi viene naturale chiedere
“perché il sogno è ancora nel cassetto e non nella tua vita?” Le risposte sono
piuttosto comuni: perché non ho il tempo, perché ho dovuto dedicarmi agli
studi, e poi alla famiglia, al lavoro ecc. e in fondo “non si può mica avere tutto
dalla vita!”
Ne siamo proprio certi?
È vero che abbiamo parecchie aree di attività nella nostra vita.
Affinché esse si sviluppino e producano soddisfazione e qualità, è necessario
porvi un’attenzione, un focus costante.
All’interno di ciascuna area ricopriamo diversi ruoli. Ad esempio, possiamo
essere un genitore, uno sportivo, un project manager. Avremo alcuni obiettivi
relativi alla famiglia, altri alla salute e alle capacità atletiche, altri alla carriera.
Un ruolo è una relazione chiave, un area di responsabilità o di contributo.
Esempi di ruoli abbastanza comuni possono essere: moglie/marito, manager,
collega, scrittrice, allenatore, figlio/figlia, amico/amica, supporto per gli altri. I
tuoi ruoli riflettono le tue relazioni, le aree importanti e le conseguenti
responsabilità chiave o gli attributi associati a ciascuna di esse.
Identificando i ruoli che ricopri, puoi immaginare quali risultati vuoi produrre in
ciascuno di essi e cominciare a focalizzarti in modo creativo e costante su ciò
che in essi vuoi realizzare, su come in essi vuoi essere.
È veramente difficile avere successo se non si sa che cosa esso significhi per
noi.
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Pensiamo alla parola “successo”. Il participio passato di succedere, e dunque
“accaduto”: allora un “risultato” è un “successo”. Noi siamo un “successo”.
Le persone che vivono il “loro successo” e cioè i “risultati che vogliono”,
hanno tre cose in comune.
1) Sanno che cosa vogliono (il Risultato).
Conoscono i propri valori e i propri ruoli. Per questi hanno una visione e
sanno quali sono i risultati che vogliono produrre per realizzare tale visione.
Parliamo di “Risultato” piuttosto che di obiettivo, perché conosciamo la Forza
del Linguaggio. Sappiamo ora che i diversi vocaboli ci fanno accedere a
mappe, emozioni e risorse diverse a livello conscio e inconscio.
Quando ti chiedi che cosa vuoi, stai già mettendo in moto una strategia per
ottenerlo. Per questo è fondamentale che l’espressione del tuo goal avvenga
con certe caratteristiche. Ad esempio vuoi “dimagrire?”. È un goal piuttosto
generico, vero? Sappiamo che un goal deve essere espresso in modo
affermativo (ciò che VOGLIO, anziché ciò che NON voglio), che deve essere
specifico a livello quantitativo e qualitativo (altrimenti, come farò a sapere
quando l’avrò realizzato?). Non basta. Ricordati che otterrai quello su cui ti
focalizzi. E allora, ti stai focalizzando sul Risultato o sul processo? Conosco
un sacco di managers delle attività e così pochi managers dei risultati. Se
esprimi il tuo goal con un verbo all’infinito (es.dimagrire ….) ti stai
focalizzando sul processo, i verbi infatti descrivono i processi, vero? Se vuoi
un Risultato, beh, quello devi esprimere. Ecco come: “Peso forma di 70 kg di
energia vibrante, salute e divertimento”.
Quando sai che cosa è veramente importante per te e dove desideri investire
il tuo tempo, sei pronto per chiederti il perché. Qual è il motivo che ti
spingerebbe all’azione? (motivazione). Qual è lo scopo? Chi sei tu
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veramente, che cosa vuoi esprimere nella vita? Qual è la tua missione? Qual
è il tuo Disegno?
La risposta a queste domande è la spinta, anzi, la calamita più potente per la
trasformazione di un obiettivo in Risultato. Rendere consce le motivazioni che
sostengono il tuo goal, visualizzare come ti sentirai quando l’avrai raggiunto e
come esso ti porterà alla tua visione, ti fornirà una forza creativa e d’azione
incredibili. Inoltre avrai l’assertività necessaria per definire le tue priorità e
declinare tutte le attività non importanti e inutili, trovando modi funzionali per
mantenere rapport con le persone. Già, ti è mai capitato di accettare di fare
cose solo per la paura di deludere le aspettative altrui?
2) Sanno perché lo vogliono (il Disegno).
Ora che hai identificato i Risultati specifici che desideri realizzare, nelle
diverse aree e ruoli, secondo il tuo Disegno, devi soltanto farli “succedere”.
Fino a questo momento, infatti, siamo nell’ambito dei sogni e della
consapevolezza. E sapere non è sufficiente. Devi agire secondo la tua
conoscenza, secondo le tue strategie, altrimenti la scoperta rimane senza
senso. Diventa un puro esercizio e il sogno rimane chiuso nel cassetto.
3) Fanno una Programmazione e la mettono in pratica.
Al fine di agire verso quello che conta per te ed implementare Risultati in
accordo con il tuo Disegno, le tue priorità ti devono essere chiare. È
necessario programmare le azioni necessarie in modo da usare il tuo tempo
come risorsa per vivere una vita di piena soddisfazione, eliminando di
conseguenza ciò che non è importante per te.
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Sii fedele alla tua Visione, che è l’insieme dei tuoi Risultati basati sui tuoi
Valori e motivati dal tuo Disegno. Basa la scelta delle tue azioni sui Risultati
che vuoi conseguire, su ciò che desideri creare nelle aree e nei ruoli della tua
vita, anziché sulle richieste altrui o sul confort a breve termine.
Sii constante e allo stesso tempo flessibile. Tu hai il possesso delle tue
scelte. Il successo è determinato dalla tua capacità di essere in linea con la
tua Visione e realizzare i tuoi Risultati.
La chiarezza della tua Visione sprigiona un’incredibile forza creativa che ti
suggerirà una serie di azioni che ti porteranno dritto al Risultato.
Programma queste azioni con tempi realistici e assicurati di avere le risorse
necessarie. Delega le azioni che sai possono essere svolte con efficacia da
altri. Risparmierai tempo e inoltre creerai nuove sinergie, opportunità per
nuove relazioni e per coinvolgere le persone facendole parte del tuo team.
L’azione è la parte produttiva del sistema. È il momento in cui decidi se
prendere o no un certo appuntamento, se rispondere al telefono, se afferrare
una nuova opportunità.
Questo viene anche chiamato “pensiero laser”.
Il sole è una fonte incredibile di energia, e i suoi raggi sono ampiamente
distribuiti. Una lente d’ingrandimento posta in linea con un raggio di sole lo fa
diventare un laser, producendo un fascio di luce così potente da generare il
fuoco. Così come un laser dà focus ad una fonte di potenza, agire in linea
con la nostra Visione nel momento delle scelte dà focus alla nostra vita.
“Una Forza antica e incontenibile, risiede dentro ciascun Essere, pronta per
venir sprigionata, non appena egli prende possesso del suo Disegno”
Ci sono tre tipi di persone: quelli che fanno accadere le cose,
quelli che guardano le cose accadere, e quelli che si stupiscono di ciò che accade