I Ritmo - unimi.it · ritmo che esiste soltanto in potenza la nostra mente deve comunque volerlo fa...

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I Fenomeni periodici - Ritmo Il fenomeno delle oscillazioni pendolari e le sue leggi - Il metronomo Si dicono periodici quei fenomeni che si ripetono sempre uguali in tempi uguali. I fenomeni periodici sono ricorsivi: abbracciano una determinata sequen- za di avvenimenti e dopo un intervallo costante di tempo la ripetono per inte- ro da capo, ripassando esattamente dalla posizione iniziale. Anche eventi che sono soggetti a irregolarità, ritardi o accelerazioni possono rientrare facilmente nel campo dei fenomeni periodici a patto di concedere un appropriato margi- ne di tolleranza al metro con cui vengono misurati: ne sono esempi il corso del- le stagioni oppure il battito cardiaco. Nei fenomeni periodici si distinguono: il ciclo lo svolgersi completo del fenomeno la frequenza il numero di cicli contenuti in un dato tempo il periodo la durata di ogni singolo ciclo Osservazioni: - Il ciclo può essere composto da un certo numero difasi distinte, non ne- cessariamente identiche fra loro: aspirazione - compressione - scoppio - sca- rico, primavera - estate - autunno - inverno e così via. - Il periodo può essere estremamente breve, come nel caso di applicazioni relative all'ottica oppure all'elettronica, ma anche enormemente lungo come nel caso dei moti osservabili attraverso l'astronomia. - Periodo e frequenza sono inversamente proporzionali fra loro: a periodi più brevi corrispondono frequenze più alte. I fenomeni periodici stanno, per così dire, alla base della musica: il suono stesso è il prodotto di una serie di movimenti ricorsivi. Per comprendere cor- rettamente i fenomeni fisici che appartengono all' ambito della musica è dun- que necessario vepere quali sono i meccanismi che determinano e regolano la periodicità. 5

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  • I

    Fenomeni periodici - Ritmo Il fenomeno delle oscillazioni pendolari e le sue leggi - Il metronomo

    Si dicono periodici quei fenomeni che si ripetono sempre uguali in tempi uguali.

    I fenomeni periodici sono ricorsivi: abbracciano una determinata sequen-za di avvenimenti e dopo un intervallo costante di tempo la ripetono per inte-ro da capo, ripassando esattamente dalla posizione iniziale. Anche eventi che sono soggetti a irregolarità, ritardi o accelerazioni possono rientrare facilmente nel campo dei fenomeni periodici a patto di concedere un appropriato margi-ne di tolleranza al metro con cui vengono misurati: ne sono esempi il corso del-le stagioni oppure il battito cardiaco.

    Nei fenomeni periodici si distinguono:

    il ciclo lo svolgersi completo del fenomeno

    la frequenza il numero di cicli contenuti in un dato tempo

    il periodo la durata di ogni singolo ciclo

    Osservazioni:

    - Il ciclo può essere composto da un certo numero difasi distinte, non ne-cessariamente identiche fra loro: aspirazione - compressione - scoppio - sca-rico, primavera - estate - autunno - inverno e così via.

    - Il periodo può essere estremamente breve, come nel caso di applicazioni relative all'ottica oppure all'elettronica, ma anche enormemente lungo come nel caso dei moti osservabili attraverso l'astronomia.

    - Periodo e frequenza sono inversamente proporzionali fra loro: a periodi più brevi corrispondono frequenze più alte.

    I fenomeni periodici stanno, per così dire, alla base della musica: il suono stesso è il prodotto di una serie di movimenti ricorsivi. Per comprendere cor-rettamente i fenomeni fisici che appartengono all' ambito della musica è dun-que necessario vepere quali sono i meccanismi che determinano e regolano la periodicità.

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  • Ritmo

    Il ritmo è un attributo che la mente può associare a un fenomeno periodico quando è possibile la percezione diretta della sua pe-riodicità.

    Il ritmo è un concetto astratto che si forma esclusivamente all'interno del-la nostra mente: per parlare di ritmo è necessario che un osservatore riesca a far interagire l'osservazione diretta di ciascun ciclo con la memoria immedia-ta dei precedenti e con lafacoltà di previsione di quelli futuri. La percezione del ritmo dipende dalla capacità del cervello di identificare con precisione un arco di tempo, di ritenerlo e di proiettarlo esattamente in avanti. Per ottenere questo risultato bisogna che il periodo stesso sia compreso entro limiti piutto-sto ristretti: la gamma delle frequenze offerte dal metronomo, da 40 a 208 ci-cli al minuto, può prestarsi bene a definire l'intero ambito a cui viene comu-nemente riferito questo termine.

    Ritmo musicale

    Scegliendo di collocare un argomento tanto controverso proprio in apertu-ra del corso di studi, il nostro programma ministeri aIe riflette certamente la pas-sata convinzione secondo cui il ritmo sarebbe una componente, per così dire, atavica e primordiale della musica. Tradisce la certezza che la formulazione del ritmo si possa far derivare in maniera semplice, spontanea e magari anche uni-versale dalla elementare periodicità di alcuni eventi come il battito delle ma-ni, il marciare dei piedi o per l'appunto l'oscillazione di un pendolo. Lo studio delle tradizioni musicali extra-europee ha invece dimostrato quanto sia illuso-ria questa concezione: in realtà il ritmo musicale è sempre il risultato di una se-rie estremamente variegata di fattori, combinati fra loro secondo modalità e mi-scele che sono sempre diverse a seconda delle diverse culture. Basti pensare al-la complessità ritmica della musica classica indiana, che i commentatori indi-geni fanno risalire direttamente alle intricate combinazioni metriche del verso sanscrito.

    In termini più generali, il programma ministeriale risente dunque di un an-tico pregiudizio diffuso fra i musicisti occidentali: quello secondo cui la loro concezione del ritmo sarebbe del tutto elementare o perfino naturale. In realtà le cose sono assai più complesse, tanto è vero che la natura stessa del ritmo mu-sicale è una questione assai controversa già all'interno della tradizione teori-ca occidentale; l le diverse opinioni in proposito possono essere raggruppate in due principali tendenze.

    l Definizioni correttamente formulate sul piano scientifico e definizioni genericamente este-tizzanti sono raccolte in Pietro Righini, Studio analitico sul ritmo musicale e sue definizioni attraverso i secoli, Padova, Zanibon 1972.

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  • - Una prima tendenza vuole attribuire al ritmo musicale una connotazione, per cosÌ dire, oggettiva: chi vi aderisce ritiene che il ritmo sia qualcosa che esi-ste, realmente e tangibilmente, all'interno della musica. L'idea che il ritmo abbia una natura concreta e verificabile sembra naturalmente accordarsi in modo assai spontaneo con le più comuni e condivise sensazioni indotte dalla musica stessa: alcuni generi di danza, ma anche molti passaggi sinfonici o strumentali o corali, possono sfruttare le dinamiche per marcare gli accenti; nel-la moderna dance music l'andamento di tutto un pezzo può essere diretta-mente generato nel modo più meccanico e impersonale da un apparecchio elettronico. Quando è il momento di provare a spiegare in che cosa consiste con-cretamente la natura del ritmo musicale, tuttavia, le cose si rivelano più in-garbugliate: gli stessi teorici che si riconoscono in questa comune prospettiva finiscono per dividersi tra quelli che descrivono il ritmo in forma di una ordi-nata successione di figure e quelli che lo descrivono in forma di una altrettan-to ordinata successione di accenti.

    - La tendenza contraria attribuisce invece al ritmo una dimensione esclusi-vamente psicologica: anche nella musica il ritmo non sarebbe altro che una ela-borazione del tutto astratta operata dalla mente. Per chi aderisce a questa otti-ca qualsiasi tentativo di conferire al ritmo una natura concreta, trasferendolo nel-la realtà dell' evento sonoro, sarebbe in ultima analisi illegittimo e non inve-stirebbe realmente la sostanza della questione. Il ritmo musicale possiede in ef-fetti anche una forte componente psicologica: per trasformare in musica un ritmo che esiste soltanto in potenza la nostra mente deve comunque volerlo fa-re, vale a dire deve operare intenzionalmente alcune associazioni astratte di ti-po simbolico. Il nostro cervello è capace di registrare un evento sonoro perio-dico che in sé sarebbe anche direttamente percepibile e prevedibile, come un passo cadenzato o il rumore di un macchinario in funzione, senza alcun obbligo di associarlo in modo consapevole a sensazioni di ordine musicale. Il ritmo mu-sicale possiede dunque una natura sostanzialmente estetica: eventi ritmici che possono apparire stimolanti per un musicista europeo potrebbero non esserlo per un suo collega indiano, orientale oppure africano.

    Il ritmo musicale in Occidente

    Nella Grecia classica il ritmo della musica era generato, vale a dire prodotto direttamente, dal metro che il poeta attribuiva al testo; non siamo in grado di farci un'idea di quale fosse l'effetto concreto di questo assunto perché la tra-dizione musicale di quel periodo è andata del tutto perduta. Una concezione so-stanzialmente analoga appartiene come abbiamo detto al sistema classico in-diano, dove tuttavia gli schemi ritmici si sono sviluppati in forme assai più complesse di quelle riferite dagli antichi teorici greci.

    Nella tradizione musicale occidentale il concetto di ritmo deriva da una se-rie di meccanismi logici che sono assai complessi e articolati, ben più di quan-to spesso credano gli stessi musicisti che la praticano.

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  • Fin dalla metà del XIX secolo una scuola di pensiero che ha avuto tra i suoi maggiori esponenti Hugo Riemann si è posta l'obiettivo di far risalire la concezione ritmica dell' occidente all' antica concezione greca del metro. Questo proposito ha portato a definire l'operato del compositore in termini puramen-te induttivi: chi scrive musica accosterebbe fra loro una serie di piedi metrici, più o meno contrastanti, fino a costruire complesse successioni che solo a que-sto punto verrebbero raggruppate in forma di misure. Questa concezione è dif-fusa ancora oggi nel mondo anglosassone, dove le indicazioni di tempo sono definite metric structures; ha offerto lo spunto per molti lavori di analisi, tan-to dettagliati e articolati quanto complessi sul piano del metodo.2 Va tuttavia riconosciuto che i risultati di questa impostazione mancano spesso di natura-lezza e sconfinano con facilità nel campo dell' opinabile.

    La concezione scolastica tradizionale definisce invece il ritmo in termini de-duttivi, vale a dire dà per scontato che il compositore conosca in partenza una serie di opzioni ritmiche in forma di battute: il suo lungo addestramento, uni-to a una intensa pratica musicale, gli fornirebbe già la perfetta conoscenza di questi indispensabili presupposti. In questo caso egli deciderebbe semplicemente di scegliere uno di questi andamenti e di costruirci sopra la sua musica, prima ancora di cominciare a pensare alle note o meglio nel momento stesso in cui la melodia inizia a prendere forma dentro la sua mente.

    In questa ottica le battute si definiscono a partire da una serie di accenti, che possono avere

    - differente peso (forti, deboli, mezzoforti) - differente livello (principali, secondari, di suddivisione ... );

    la divisione in battute delimita semplicemente ciascun ciclo in cui la serie di questi accenti differenziati si ripete periodicamente.

    Dagli accenti principali si ricava la serie dei tempi semplici, distinti in

    - tempi binari accenti: - tempi ternari accenti: - tempi quaternari accenti:

    forte forte forte

    debole debole debole

    debole mezzoforte debole.

    Questa formulazione ha il vantaggio di spiegare il pensiero musicale in termini nettamente più semplici e accattivanti; è efficace e funzionale sul pia-no della didattica e corrisponde con sufficiente precisione al modo in cui il mu-sicista stesso sente la propria musica. Se tuttavia, come abbiamo detto, il rit-

    2 È spesso ascrivibile a questa tendenza la manualistica prodotta oltre oceano, come per esem-pio Grosvenor Cooper and Leonard B. Meyer, The Rhythmic Structure oJ Music, university of Chicago Press 1960. Supporti didattici riferiti a questa concezione hanno ampia diffusione an-che sul web.

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  • mo consiste essenzialmente in una particolare elaborazione mentale, è altret-tanto doveroso riconoscere che tutta la concezione ritmica fondata sugli accenti non ha in realtà nessun tipo di riscontro diretto e oggettivo nell'arte musica-le.

    Così come la abbiamo descritta, la ritmica accentuativa lascia intendere che nella pratica musicale alcune note abbiano maggiore peso, e che di con-seguenza debbano essere suonate con più forza. Nella realtà le cose non stan-no affatto così; sul piano fisico, l'accento gioca un ruolo del tutto marginale nei meccanismi ritmici della musica occidentale. Neppure un allievo che solfeg-gia, vale a dire che riproduce il ritmo musicale nella sua forma più elementa-re, emette veramente una serie di accenti forti o deboli con la voce. Un sem-plice programma di scrittura può consentire a un computer di eseguire in mo-do convincente una serenata di Mozart oppure una ouverture sinfonica di Mendelssohn senza operare alcun controllo delle intensità; perfino nei valzer popolari o in certa disco-music, dove gli accenti sono effettivamente marcati, la sottolineatura del ritmo assolve a una funzione che in fin dei conti è esclu-sivamente timbrica. Nei primi quattro secoli in cui la ritmica occidentale ha por-tato avanti il proprio sviluppo, vale a dire fino a tutto il Rinascimento, gli stru-menti musicali non avevano neppure la possibilità di variare in modo signifi-cativo l'intensità del loro suono: questa particolarità si è conservata in alcuni strumenti ancora oggi in uso come il clavicembalo, l'organo o un comune flauto dolce. Si può avere una prova diretta del fatto che la musica occidenta-le non distingue gli accenti in base alle intensità semplicemente aprendo in for-mato . waw la registrazione di un mottetto di Palestrina, di un concertato di Bach ma anche di un quartetto di Haydn: si vedrà che non è possibile indivi-duare gli accenti sulla base della schermata. La musica occidentale articola il ritmo in un modo del tutto diverso, operando in realtà su un piano che ancora una volta è esclusivamente psicologico.

    La misura o battuta stabilisce prima di tutto una periodicità nelle succes-sioni armoniche, vale a dire fa in modo che a intervalli fissi - misurati sul mo-vimento relativo delle figure - il cervello si aspetti un cambio di armonia. Un accento forte è in realtà solo una probabilità alta di trovare un cambio armo-nico, un accento debole non è altro che una probabilità più bassa; in corri-spondenza degli accenti forti si collocano i movimenti armonici più rilevanti sul piano della struttura di un intero pezzo, mentre alle altre fasi vengono de-stinate le sfumature che hanno carattere più transitorio e coloristico. Ad accenti principali e secondari corrispondono quindi, in realtà, soltanto livelli di pro-babilità diversi relativi alla mutevolezza delle situazioni armoniche e alla lo-ro importanza per la sintassi complessiva del brano musicale. Le variazioni in-tenzionali di intensità che il compositore o l'esecutore possono decidere di mettere in atto possono soltanto riuscire a sottolineare, oppure eventualmente a contrastare in modo interessante, la concretezza di questa dimensione pura-mente psicologica.

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  • Non è dunque un caso che il concetto occidentale di ritmo sia stato elaborato soltanto a partire dalla metà del XII secolo: sul piano storico, il ritmo è es-senzialmente una conseguenza diretta e immediata dell'invenzione della polifonia. Per molti secoli il ritmo continuò a essere inteso semplicemente co-me un una sorta di tempo primo, senza implicare particolari differenze di ar-ticolazione sul piano degli accenti; soltanto a partire dal XVII secolo, con la progressiva definizione della moderna armonia tonale, cominciarono grada-tamente a svilupparsi le strutture più complesse che chiamiamo battute. Questa novità portò a un rinnovamento assai profondo di tutta la pratica mu-sicale, tanto è vero che nella concezione corrente il Seicento segna proprio il trapasso dalle cosiddette musiche "antiche" ai diversi repertori della musica "classica" .

    Il ritmo musicale occidentale è dunque, in definitiva, una sorta di imma-gine mentale creata dal cervello: gli accenti che il musicista può credere di sen-tire esistono in realtà soltanto dentro la sua mente, e a rigore non hanno nes-sun bisogno di essere marcati effettivamente nelle parti che vengono suona-te. Il ritmo musicale viene percepito, e anche condiviso sul piano del godimento estetico, esclusivamente sul piano psicologico: se le caratteristiche stilisti-che di un repertorio lo consentono, rimane percettibile e apprezzabile anche in presenza di vistose modificazioni come acce1erandi, ritardandi o sospensioni.

    Il ritmo musicale presuppone d'altra parte una certa attività simbolica e astratta anche in chi ascolta passivamente la musica. Al compositore posso-no bastare un minimo di accenni, anche del tutto privi di armonia, per far comprendere e apprezzare il tempo in cui ha scritto il proprio pezzo; questo può avvenire, tuttavia, soltanto a condizione che il suo pubblico condivida già in partenza la stessa concezione ritmica. Su scogli come questo vanno nor-malmente a naufragare quelle teorie che vorrebbero fare della musica una sorta di linguaggio universale, perché è impossibile cogliere la bellezza di un brano se non si possiede una profonda confidenza con il codice in base a cui è stato scritto. Qualsiasi tradizione musicale, antica o moderna, classica o heavy metal, europea oppure esotica, possiede un certo numero di caratte-ristiche che costituiscono le sue esclusive chiavi di accesso: fra tutte, il ritmo può senz' altro essere considerato come una delle più vistose e determinanti.

    Metrica

    La moderna battuta ha dunque una struttura che, per quanto in forma pu-ramente allusiva, si richiama al ritmo espresso da una serie ben strutturata di accenti differenti. È tuttavia doveroso sottolineare che in realtà anche l'ele-mento rivale, il metro, gioca a sua volta un ruolo molto importante nel pro-cesso con cui il compositore moderno costruisce il senso della propria mu-sica.

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  • Si ha un metro quando una serie di valori viene ripetuta continuamente, sen-za modifiche, all'interno di ciascuna cellula ritmica.

    ritmo f d d f d d f d d f ... metri: j J j J j J j J j J. )J J )J J. )J J )J J

    La tradizione classica greca e romana ci ha trasmesso una serie di piedi metrici elementari, due formati da tre tempi primi e tre da quattro:

    giambo U- dattilo - U Ur

    troncheo - U anapesto U U -

    spondeo

    ancora oggi, molti dei versi poetici della nostra tradizione lasciano facilmen-te vedere la loro possibile derivazione lontana dai metri della poesia classica.

    Nel mezzo del cammin di nostra vita Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino Di pasta simile son tutti quanti S'ode a destra uno squillo di tromba

    giambo trocheo dattilo anapesto

    I poeti antichi potevano contare su un gran numero di combinazioni ag-giuntive, e se interpretiamo correttamente la testimonianza dei teorici coevi cia-scuna veniva fatalmente associata a un ritmo diverso.

    Per il compositore moderno le cose non sono tuttavia meno complesse: i me-tri sono infatti subordinati al ritmo relativamente semplice delle battute, ma in compenso possono accumularsi fino a un numero virtualmente infinito di pos-sibilità. Rispettando certe regole, un metro poetico può essere ambientato in qua-lunque tempo e può anche essere tradotto in molte differenti figurazioni mu-sicali; d'altro canto, tuttavia, qualsiasi combinazione di figure possiede in po-tenza la capacità di essere a sua volta trasformata in un metro sul piano stret-tamente musicale.

    Per ottenere questo risultato è sufficiente che il compositore decida di ripeterla integralmente in ciascuna battuta successiva.

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  • II

    Produzione del suono - Vibrazione dei corpi sonori

    Il suono

    Per definire correttamente la natura del suono è necessario percorrere un cam-mino in parte analogo a quello già esplorato a proposito del ritmo: anche su que-sto nuovo tema la storia della scienza ha espresso due tendenze opposte, una che possiamo definire oggettiva e una che rivolge decisamente l'indagine ver-so l'interno della nostra mente. Fatte salve le giuste esigenze della prima so-luzione (anche un albero che cade nel mezzo dellaforestafa rumore, come di-cevano gli antichi), la natura del suono deve essere definita prima di tutto al-l'interno del nostro cervello: il compito sarà assai più semplice di quanto non lo sia stato a proposito del ritmo perché il fenomeno possiede una dimensio-ne non psicologica ma soltanto fisiologica. Diremo dunque che il suono è la sen-sazione indotta sull'udito dalla vibrazione di un corpo sonoro.

    Un corpo sonoro può trasmettere impulsi differenti a diversi sensi, per esempio alla vista o al tatto; nessuno di questi stimoli può tuttavia essere de-finito suono, perché in termini strettamente fisiologici il suono è soltanto quel-la sensazione che giunge al cervello attraverso il nervo acustico. Alcuni tipi di vibrazione possono essere trasmessi per via ossea, ma anche in questo caso il loro segnale viene comunque elaborato dall'area neurale che è connessa e pre-posta al nervo acustico.

    Componenti oggettive del suono

    Il suono possiede dunque una natura del tutto psicologica; può tuttavia es-sere oggetto di indagine da parte della fisica sperimentale perché deriva ne-cessariamente da una certa serie di fenomeni concreti e verificabili. Potremmo innanzi tutto definire come suono anche la vibrazione del corpo sonoro po-tenzialmente capace di produrre la sensazione uditiva; questa formulazione è molto diffusa e ha anche una certa efficacia sul piano convenzionale e discor-sivo, anche se in termini rigorosi il suo valore si riduce a ben poco. Una defi-nizione assai più utile e valida è quella che identifica il suono con la pertur-bazione prodotta nell'aria dalle vibrazioni della sorgente sonora: il suono si manifesta infatti attraverso una serie di movimenti che si trasmettono attra-verso uno spazio rigorosamente non vuoto, interferendo in vari modi con la ma-teria che incontrano lungo il cammino e facendosi da questa ritrasformare in forme altrettanto varie. Nel caso più normale, gli stimoli sonori non sono al-tro che una serie di variazioni cicliche della pressione atmosferica (tesi III): è questa la forma in cui vengono solitamente captati dall' orecchio per essere elaborati dal cervello e trasformati in suono.

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  • Vibrazione dei corpi sonori

    Le vibrazioni dei corpi sonori sono dovute all'interazione tra l'inerzia, che opera esattamente nei termini già visti a proposito del pendolo, e una nuova pro-prietà dei corpi che si chiama elasticità.

    L'elasticità è la capacità di un corpo di riprendere una determi-nata forma, dopo essere stato deformato, quando la forza defor-mante si riduce o cessa del tutto.

    Messo in tensione e poi lasciato a sé stesso, un corpo elastico genera una se-rie di oscillazioni del tutto simili a quelle del pendolo: la sua tendenza propria è infatti quella di riprendere velocemente la configurazione che aveva quando si trovava allo stato di quiete. Nel momento in cui il corpo ritorna nella posi-zione iniziale, tuttavia, la sua corsa non si può più arrestare: esattamente come era successo nel caso del pendolo, l'energia cinetica acquisita a causa del suo stesso movimento porta tutto il sistema a proseguire e a oltrepassare la posizione desiderata fino a giungere in un punto che in termini ideali è esattamente op-posto al precedente. Il movimento riprende allora in senso contrario, repli-candosi poi a fasi alterne fino alla completa dissipazione di tutta l'energia ini-ziale.

    Rispetto alle oscillazioni del pendolo, in cui il movimento era prodotto in ultima analisi dalla forza di gravità, le vibrazioni di un corpo sonoro sono estremamente più rapide: le particelle interessate dal fenomeno sono di di-mensioni assai minori e le forze messe in gioco dall'elasticità sono molto su-periori. Nella vibrazione acustica la componente della gravità diviene trascu-rabile, per cui in linea di principio i corpi sonori sono in grado di vibrare as-sumendo liberamente qualunque posizione nello spazio.

    Vibrazione di una verga elastica

    Per fornire un modello fisico alle vibrazioni delle fonti sonore esaminere-mo il comportamento di una verga di acciaio. Essendo dotata di elasticità una lamina di acciaio, fissata per una estremità a una morsa, quando viene defor-mata e quindi abbandonata a sé stessa si mette in vibrazione.

    - nel tratto in cui la verga è fissata alla morsa il movimento si suppone nullo. - l'elasticità agisce come una forza interna applicata in tutti gli al-tri punti della verga; il suo effetto è tanto più evidente quanto più ci si allontana dalla morsa, quindi è massimo sul vertice opposto. - una verga di maggiore spessore reagisce con più forza rispetto a una verga di minore spessore, per via della sua maggiore ela-sticità: produce quindi oscillazioni più veloci. - le vibrazioni della verga sono isocrone: durante la vibrazione vie-

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  • Strumenti musicali

    Per produrre il suono la pratica musicale si serve di: - oggetti sonori, - corde tese, - colonne d'aria contenute in tubi sonori, - piastre, - membrane tese;

    a queste risorse tradizionali si aggiungono oggi i circuiti elettrici.

    Vibrazione degli oggetti sonori

    Gli oggetti sonori (idiofoni) sono tutti quegli oggetti che vibrano nella lo-ro totalità. Dal momento che emettono un suono, anche le verghe vibranti pos-sono far parte di questa categoria; lo schema relativo a un solo vincolo sul vertice rappresenta gli scacciapensieri popolari, quello relativo a un solo vin-colo nel centro può rappresentare la vibrazione del diapason se si ripiegano ver-so l'alto i due rebbi.

    Vibrazione delle corde

    Le corde possono essere di minugia (budello animale), metallo, nylon, se-ta e altro ancora; tuttavia possono vibrare e produrre suono soltanto se acqui-stano elasticità, una qualità che di per sé stesse non possiedono. L'elasticità del-le corde si ottiene mediante la tensione: a differenza di quella delle lamine, quin-di, l'elasticità delle corde.

    - è regolabile a piacere attraverso un meccanismo di trazione; - agisce come una forza esterna alla corda. Una corda di maggiore spessore reagisce con più forza rispetto a una corda di minore spessore, vale a dire oppone una maggiore resistenza e produce oscillazioni più lente.

    Le corde si possono mettere in vibrazione mediante strofinamento, pizzi-co oppure percossa. Nel primo caso è possibile ottenere un suono continua-to, negli altri due si otterrà un graduale decadimento del suono.

    Come si vedrà più avanti (ancora tesi V), nella realtà fisica la corda in vi-brazione si comporta in maniera piuttosto complessa; ragionando per astra-zione, tuttavia, vale a dire supponendo che reagisca nella maniera più ele-mentare possibile, essa assume l'aspetto di un doppio fuso perfettamente simmetrico e si dispone secondo lo schema nodo - ventre - nodo:

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  • N v N

    I due punti geometrici a cui la corda è vincolata, e in realtà i due ponticel-li fra cui è libera di vibrare, costituiscono i nodi della vibrazione; non parteci-pano in alcun modo ai movimenti della corda. La parte centrale libera, in cui invece la perturbazione è massima, costituisce il ventre.

    Osservazioni: - Il modello per la vibrazione è fornito da una verga vincolata su entrambi

    i vertici.

    - La vibrazione può essere per ora definita come trasversale, vale a dire orien-tata a formare un angolo retto rispetto alla disposizione della corda.

    - L'angolo individuato dalle due opposte posizioni ventrali, inferiore e su-periore, e da ciascuno dei due nodi costituisce l'ampiezza massima della vi-brazione.

    - Per raggiungere la massima ampiezza in corrispondenza dei due ventri la corda deve potersi allungare leggermente; questo è possibile grazie all'elasti-cità, che opera longitudinalmente nello stesso senso della trazione.

    - La vibrazione si svolge idealmente su un solo piano; considerando il mo-to delle corde si fa abitualmente astrazione dagli eventuali movimenti circolari di precessione, che pure esistono e che anzi sono spesso evidenti nelle corde particolarmente lunghe e robuste.

    La frequenza del suono emesso dalle corde muta - in ragione inversa della lunghezza: raddoppia se si dimezza la lunghezza della corda. - in ragione inversa del quadrato del diametro: raddoppia se si assottiglia la corda fino a un quarto. - in ragione inversa del quadrato della tensione: raddoppia se si quadruplica la tensione. - in ragione inversa della radice quadrata della densità: raddoppia se la densità è ridotta fino a un ottavo.

    Per ottenere suoni acuti occorrono corde Per ottenere suoni gravi occorrono corde

    sottili, corte o ben tese; spesse, lunghe o meno tese.

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  • Vibrazione dell'aria in un recipiente

    Vedremo fra breve (tesi III) che tutte le vibrazioni si trasmettono attraver-so l'aria; l'aria ha tuttavia la capacità di diventare essa stessa un corpo vi-brante, vale a dire può essere in grado di produrre direttamente il suono. Questo si verifica soltanto a condizione che

    - l'aria sia contenuta in un tubo, o altro recipiente, relativamente ristretto e fornito di pareti rigide;

    - il recipiente possieda almeno una via di comunicazione con l'aria esterna.

    L'aria contenuta nel tubo viene messa in vibrazione introducendo all'interno una certa quantità di altra aria; è possibile ottenere un suono continuato, ma la vibrazione si arresterà immediatamente non appena si smette di soffiare.

    Vibrazione di un foglio rigido

    In condizioni normali la vibrazione dell' aria non è mai visibile; i meccanismi che la determinano possono tuttavia essere messi sotto osservazione ricorren-do a un fenomeno che ha una natura sostanzialmente analoga. Basterà appog-giare un foglio di carta su una superficie piana e tenerlo fermo con la mano da una sola parte: se si soffia trasversalmente sul bordo libero, con la giusta quan-tità di energia, il foglio inizierà immediatamente a vibrare. Non proveremo a descrivere le cause esatte del fenomeno, che in termini rigorosi vanno a scon-finare addirittura nel campo dell'aerodinamica; facendo una grossolana astra-zione dalle molte componenti che entrano in gioco possiamo tuttavia dire che questo si verifica perché interagiscono due tendenze opposte,

    - il soffio dell' aria - il peso del foglio

    che tende a sollevare il foglio che tende a riportarlo a terra.

    Ciascuna di queste due tendenze prevale sull' altra, non in via definitiva ma in una successione di rapidissime fasi alterne: in un istante prevale la portan-za generata dal soffio, in quello successivo prevalgono il peso e la relativa ri-gidità (in questo caso assimilabile all'elasticità) del materiale. L'estremità li-bera del foglio vibra dunque in modo simile a quanto visto a proposito delle ver-ghe elastiche fissate su un vertice.

    Il flusso d'aria interessato dal fenomeno, oltre a fornire l'energia necessa-ria a innescare la vibrazione stessa, opera alternativamente in due fasi distin-te. Sempre ragionando in termini ideali,

    - in una fase passa tutto sotto al foglio - in quella successiva passa tutto al di sopra.

    Se si prova a sollevare la mano dal foglio si noterà che la vibrazione si pro-duce ugualmente; il comportamento di un foglio libero è del tutto analogo a quel-

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  • lo del foglio vincolato, ma per il momento è più difficile da descrivere sul pia-no fisico. Il foglio stesso tenderà a scivolare via per effetto del movimento dell' aria.

    Vibrazione dei tubi sonori

    La vibrazione all'interno dei tubi sonori può aver luogo soltanto se si re-plicano le medesime condizioni osservate a proposito del foglio: il flusso d'a-ria immesso nel tubo deve poter operare in due fasi distinte, vale a dire

    - in una fase deve riuscire a entrare tutto all'interno del tubo, - in quella successiva deve poter scivolare tutto al di fuori.

    Per ottenere questo effetto i tubi sonori sono dotati di una imboccatura, vale a dire di un dispositivo che consente all' aria entrante di dirigersi alterna-tivamente nelle due direzioni richieste.

    L'imboccatura deve quindi necessariamente avere due fori, uno di entra-ta e uno di uscita, oppure un foro unico ma posizionato in modo da assolvere entrambe le funzioni. Può essere

    - una semplice intaccatura a forma di V; - una camera chiusa (becco) con uno spigolo tagliente sul fondo; - un foro rotondo, a volte accompagnato da una guida per le labbra; - ad ancia semplice, con una linguetta di canna o metallo posizionata in mo-do da coprire il foro di entrata ma fissata solo sul fondo in modo da poter vi-brare come il foglio di carta; a sua volta viene distinta in

    • ancia battente se è più grossa del foro (non riesce a entrare all'interno) • ancia libera se è più piccola del foro (riesce a muoversi fuori e dentro).

    - ad ancia doppia, con due ance contrapposte che chiudono frontalmente il fo-ro di entrata e lasciano passare l'aria vibrando in coppia come ance battenti; - a bocchino, con un imbocco metallico arrotondato che provoca la vibrazio-ne delle labbra dell'esecutore e facilita il controllo del soffio.

    L'aria immessa nel tubo provoca una vibrazione che si propaga rapida-mente per tutta la lunghezza del corpo sonoro e che nasce dalla continua dila-tazione e compressione dell' aria contenuta nel tubo stesso: anche in questo caso il comportamento della colonna d'aria, di per sé piuttosto complesso (te-si V), può essere utilmente semplificato pensando che l'aria all'interno del tu-bo reagisca nella maniera più elementare possibile.

    33

  • IV

    Qualità del suono: altezza, intensità, timbro

    La natura delle vibrazioni sonore, costituita come si è visto da variazioni ci-cliche della pressione all'interno di un veicolo elastico, è sempre identica a sé stessa; i suoni che risultano da questo fenomeno non sono tuttavia necessaria-mente sempre uguali, perché possono variare anche notevolmente alcune del-le loro caratteristiche. Per definire un suono bisogna fare riferimento a tre qua-lità, vale a dire a tre differenti parametri di natura fisica.

    Altezza

    L'altezza è la qualità che distingue i suoni in gravi e acuti.

    Dipende da un solo parametro, vale a dire dalla frequenza delle vibrazio-ni: 1'altezza dei suoni è data dal numero di vibrazioni che il corpo compie nel-l'unità di tempo, o in termini ancora più semplici dalla rapidità delle vibrazioni che si sviluppano in un dato intervallo di tempo. Dal momento che frequenza e periodo sono inversamente proporzionali, l'altezza è direttamente propor-zionale alla frequenza e di conseguenza inversamente proporzionale al perio-do delle vibrazioni: raddoppia se il periodo si dimezza.

    - L'ottava superiore corrisponde, sempre e in ogni caso, al doppio delle vi-brazioni nell'unità di tempo e dunque al doppio della frequenza.

    Le variazioni di pressione atmosferica vengono recepite dall' orecchio sol-tanto se il loro periodo rientra entro certi limiti: non tutte le frequenze sono in grado di originare i suoni, vale a dire non tutte possono essere percepite attra-verso 1'orecchio. L'unità di misura più adatta a identificare il numero relati-vamente ristretto di frequenze che formano l'oggetto della musica è lo spazio di un secondo: i suoni si misurano dunque in cicli al secondo. Un certo numero di cicli in un secondo equivalgono ad uno stesso numero di Hertz, che è l'unità di misura usata in fisica proprio per rappresentare la frequenza dei suoni: l Hertz equivale a un ciclo al secondo e rappresenta una forma d'onda, condensata e rarefatta, che si ripete sempre uguale a ogni secondo. In modo quasi parados-sale, la frequenza di l Hz non dà origine ad alcun suono: il nostro orecchio co-mincia a percepire la sensazione acustica a partire almeno da 16 Hz.

    - tra O e 16 Hz si hanno i cosiddetti infrasuoni: non sono percepibili dal-l'uomo, ma pare vengano avvertiti dagli animali domestici sotto forma di profondissimi boati allo scatenarsi dei terremoti.

    - tra 16 e 20.000 Hz si hanno i suoni veri e propri: le frequenze che si col-locano fra questi due estremi costituiscono il cosiddetto campo di udibilità.

    - oltre i 20.000 Hz si hanno gli ultrasuoni: le vibrazioni di questo tipo non

    57

  • sono percepibili dall'uomo, ma sono avvertite da animali come i cani (circa un'ottava in più) e i pipistrelli (oltre due ottave in più). Lo studio degli ultra-suoni si presta a numerose applicazioni sul piano della tecnologia; anche se a rigore non riguarda più l'arte della musica, questo argomento rimane comun-que nel campo di indagine riservato alla fisica acustica.

    Il nostro orecchio riesce dunque a cogliere un'estensione di circa dieci ot-tave, vale a dire circa tre ottave in più (una al grave e due all'acuto) rispetto al-l'estensione del pianoforte.

    do 9 = 16.744,12 Hz

    do 6 = 2093,02 Hz

    ~ do 5 = 1046,51 Hz

    ~ àh 4 523,25 Hz

    • do 3 {f61:63 Hz • d!l 2 130,8 J Bo:

    • do l =65,41 Hz

    do -1 = 16,35 Hz

    La vibrazione sonora è troppo rapida perché la si possa correggere inter-venendo direttamente sul numero delle vibrazioni; l'altezza dei suoni è tutta-via facilmente modificabile se si interviene, di volta in volta ma anche con-giuntamente, su qua1cuna delle principali caratteristiche del corpo vibrante.

    In termini generali l'altezza si può modificare intervenendo su:

    - lunghezza l'ottava superiore corrisponde a metà lunghezza (una dimensione)

    - superficie l'ottava superiore corrisponde a un quarto della superficie (due dimensioni: metà lunghezza per metà larghezza)

    - volume l'ottava superiore corrisponde a un ottavo del volume (tre dimensioni: metà lunghezza per metà larghezza per metà altezza)

    Le tre configurazioni considerate sono quindi in rapporto di potenze fra loro; nel caso delle corde e dei tubi sonori il parametro della lunghezza tende a rendere trascurabili tutti gli altri. È anche possibile modificare l'altezza di un suono intervenendo sulla tensione del corpo vibrante: in questo caso l'ottava superiore corrisponde alla tensione quadrupla.

    Sul piano costruttivo l'altezza dei suoni può essere determinata anche da:

    - densità l'ottava superiore corrisponde a un ottavo della densità - temperatura - rapidità dell'impulso - negli aerofoni, come si è detto, anche dalla velocità di ingresso del soffio

    oppure dalle dimensioni del foro di insufflazione.

    58

  • Gli strumenti a corde oppure a membrana devono predeterminare le altez-ze di ogni singola corda in base all' accordatura, vale a dire devono armoniz-zare fra loro una serie di differenti lunghezze, tensioni e densità. Quelli che han-no un numero limitato di corde (violini, chitarre, mandolini) agiscono quindi sulla lunghezza, vale a dire riducono la porzione vibrante tramite la pressione delle dita; possono operare, entro certi limiti, anche sul piano delle tensioni se sono muniti di un distorsore.

    Gli strumenti a fiato agiscono prima di tutto sul piano della lunghezza del-la colonna d'aria contenuta al loro interno, ma possono modificarne l'effetto con accorgimenti assai complessi; quelli a bocchino si adeguano anche alla ra-pidità dell'impulso fornito dalle labbra dell' esecutore. Tendono a scaldarsi e a crescere di intonazione quando sono suonati a lungo.

    Gli idiofoni si possono differenziare, sempre in fase di costruzione, in ba-se alla loro superficie densità e volume. A volte è possibile intervenire sul-l'altezza del suono prodotto manipolando opportunamente lo strumento stes-so.

    Osservazioni: - L'altezza standard dei suoni, stabilita tramite una convenzione internazionale

    a Londra nel 1939, è il la 3 di 440 Hz. Nel corso dei secoli precedenti l'altez-za di questo stesso la ha subito molte variazioni, discostandosi di periodo in pe-riodo e spesso anche di città in città. Per le esecuzioni di musica barocca si uti-lizza oggi un la di 415 Hz, intonato circa un semitono sotto rispetto alla di 440 Hz, perché questo valore risulta essere più adeguato alle caratteristiche co-struttive e sonore degli strumenti dell'epoca.

    - Man mano che si procede verso 1'acuto la nostra percezione delle altez-ze diventa imprecisa: come un ciclista lanciato in una folle discesa non riesce a tenere con i pedali tutti i giri della ruota, così 1'orecchio inizia a perdere la precisa cognizione delle altezze quando le vibrazioni si fanno troppo rapide. Questo calo di sensibilità è chiaramente avvertibile già a partire dalle ottave su-periori del pianoforte: gli ultimi tasti dello strumento vengono normalmente ac-cordati crescenti per compensare le vibrazioni che sfuggono alla sensibilità dell' orecchio. 1

    1 P. Righini, L'acustica per il musicista, Padova, Zanibon 1970 e successive ristampe, pp. 50-52.

    59

  • Intensità

    L'intensità è la qualità che distingue i suoni inforti e deboli.

    In termini rigorosi l'intensità è data dalla pressione, ossia da una certa for-za esercitata su una precisa superficie, che viene trasmessa di molecola in mo-lecola al momento della vibrazione sonora: ancora più a rigore possiamo dire che è iljlusso medio di energia che, nell'unità di tempo, attraversa una supeTficie di area unitaria disposta perpendicolarmente alla direzione di propagazione. L'intensità si misura in watt per metro quadro (w/m2).

    Dal momento che la vibrazione sonora si propaga in forma sferica la quan-tità totale di pressione prodotta dal corpo vibrante deve distribuirsi su una su-perficie che cresce come la seconda potenza del raggio, vale a dire assai rapi-damente: ne consegue che l'intensità si riduce vistosamente con la distanza. L'intensità del suono varia in ragione inversa al quadrato della distanza: a distanza doppia 1'intensità risulta essere quattro volte più debole. Bisogna tut-tavia notare che il nostro orecchio mantiene la sua sensibilità anche di fronte a valori di pressione assai modesti.2

    L'intensità può essere modificata - alterando l'energia con cui si eccita la fonte sonora, anche se non tutti gli

    strumenti concedono in uguale misura questa possibilità a causa delle loro dif-ferenti caratteristiche;

    - in fase costruttiva, dotando gli strumenti stessi di casse di risonanza (te-si VII). Questa soluzione è d'obbligo per quasi tutti gli strumenti a corde, una categoria che di per sé produrrebbe sonorità troppo deboli per essere impiegate nella pratica musicale.

    Osservazioni: - L'utilizzo diretto e consapevole delle intensità a fini espressivi comincia

    a comparire nella pratica musicale soltanto intorno al XVII secolo; nei perio-di precedenti se ne possono rintracciare solo pochi esempi del tutto episodici. Gli strumenti musicali medievali e rinascimentali, come si è detto, non erano costruiti tenendo conto della possibilità di variare espressivamente l'intensità.

    - La sensibilità barocca si esprime attraverso bruschi contrasti di sonorità, come l'alternanza fra soli e tutti oppure la cosiddetta dinamica "a terrazze". L'uso del crescendo e del diminuendo venne introdotto dall'orchestra di Mannheim a partire dalla metà del XVIII secolo; segnature ancora più esasperate, come il pianissimo e ilfortissimo, furono adoperate per la prima volta da Beethoven.

    - Nella musica teatrale si cerca talvolta di riprodurre l'effetto della distan-za diminuendo volutamente 1'intensità del suono emesso.

    2 P. Righini, L'acustica per il musicista, pp. 22-23, 52, 60-61,110.

    60

  • Rappresentazione grafica di un'onda sonora

    La vibrazione sonora può essere rappresentata come forma bidimensiona-le in un grafico x per y, con il tempo riportato in ascissa e i valori di pressio-ne in ordinata: in questo caso l'altezza si traduce nel numero di onde contenute nell'unità di tempo, mentre l'intensità si traduce nell'ampiezza verticale del-le vibrazioni.

    - quando 1'onda viene "schiacciata" o "allargata" in senso orizzontale si ottiene una variazione di frequenza, dunque un cambiamento di altezza;

    - quando le stesse modifiche si producono in senso verticale si ottiene in-vece una variazione di ampiezza, vale a dire un cambiamento di intensità.

    In termini ideali i due parametri hanno la possibilità di modificarsi libera-mente in modo del tutto indipendente, vale a dire senza interferire l'uno con l'al-tro.

    61

  • pp gravi

    ff acuti

    Timbro

    Tra tutte le qualità del suono il timbro è quella che viene recepita più fa-cilmente nell' esperienza quotidiana, ma la sua definizione rigorosa sul piano fisico è una questione assai complessa. In termini elementari il timbro è la "voce propria" di ciascuno strumento, vale a dire quella qualità che consente di distinguere un flauto da un violino oppure quella che consente di riconoscere una persona ascoltandola parlare senza guardarla in faccia.

    In tennini elementari si può dire che il timbro dipende dallaforma delle vi-brazioni, ma anche questo tipo di definizione è riduttivo rispetto alla com-plessità del fenomeno.

    Il suono puro, come lo abbiamo fin qui descritto, è anch'esso frutto di una radicale astrazione sul piano fisico. Nelle nostre spiegazioni abbiamo sempre supposto che l'onda sonora si potesse comportare nella maniera più elemen-tare possibile e potesse avere il profilo d'onda più semplice possibile, vale a di-re quello sinusoidale; che ciascun ciclo fosse perfettamente identico agli altri e che fosse comunque riferibile, in ultima analisi, alla proiezione di un moto circolare uniforme. Un suono di questo tipo, associato al moto armonico sem-plice, è in realtà ideale e può essere prodotto esclusivamente in laboratorio o per via elettronica: i suoni presenti in natura, e a maggior ragione quelli impiegati nella musica d'arte, presentano invece cicli dal profilo assai più complesso. Si tratta pur sempre di andamenti periodici, ma la loro fonna d'onda è decisamente più complessa e "frastagliata".

    62

  • Questo avviene perché ogni suono è sempre la risultante delle varie so-vrapposizioni di forme d'onda elementari detteformanti. Nella voce umana la componente della bocca si miscela con quelle delle fosse nasali, dei seni fron-tali, della cavità toracica e così via; in un violino il suono emesso dalla corda viene rinforzato da quello che passa per la tastiera, per le tavole, per il ponticello, per la cassa armonica e perfino per le vernici che ricoprono lo strumento.

    Le diverse formanti che compongono il suono si addizionano letteralmente fra loro, come tante onde sonore singole, per generare ronda risultante: ogni suo-no è dunque definito dalla somma matematica di tutte le sue componenti.3 Le combinazioni possibili sono infinite, ad esempio:

    risultante:

    risultante:

    risultante:

    Quello che il nostro orecchio decodifica in forma di timbro è dunque, pri-ma di tutto, la forma assunta dall' onda risultante. Le varie componenti, prese singolarmente, rimangono normalmente al di sotto della soglia di percezione; possono tuttavia essere riconosciute come distinte quando il loro apporto è particolarmente rilevante.

    Osservazioni: - Gli strumenti musicali hanno una possibilità relativamente limitata di mo-

    dificare il proprio timbro al momento dell' esecuzione; il compositore suppli-sce a questo potenziale svantaggio grazie all' orchestrazione, vale a dire alla fa-

    3 La fisica acustica riferisce questo concetto al teorema di Fourier. Maggiori informazioni sul si-to www.vincenzo.schettini.name/dispenselLezione

    63

  • coltà di scegliere strumenti diversi e di farli intervenire in momenti diversi nel corso del brano musicale.

    - La musica romantica ha avuto fra le proprie principali caratteristiche un particolare gusto per l'uso espressivo dell' orchestrazione; al suo confronto i repertori precedenti, da quello classico a quello barocco a quelli più antichi, si dimostrano sempre più indifferenti alla questione man mano che si risale in-dietro nel tempo. Il che non esclude, naturalmente, una precisa consapevolezza delle qualità timbriche dei vari strumenti da parte dei musicisti di tutte le epo-che.

    - La voce umana si distingue dagli strumenti per la sua eccezionale capa-cità di produrre timbri diversi. Questo vantaggio deriva direttamente dalla sua natura non meccanica ma fisiologica: tra i fattori principali che consentono le variazioni timbriche si possono citare la mobilità della lingua, articolata in po-sizione lontana dalla laringe a differenza di quanto accade nelle scimmie an-tropomorfe, e la varietà di diverse cavità di risonanza offerte dal corpo.

    Inviluppo del suono

    La definizione di timbro si complica ulteriormente quando si tiene presen-te che nell'inviluppo complessivo di ciascun suono si possono riconoscere al-meno quattro distinte fasi:

    - il transitorio di attacco (attack) in cui l'impulso iniziale si trasmette pro-gressivamente a tutto il corpo vibrante;

    -1'assestamento (decay) in cui la vibrazione si stabilizza, a volte perdendo un poco dell'intensità iniziale;

    - il regime stabilizzato (sustain) in cui la vibrazione interessa tutto il corpo vibrante in modo uniforme e regolare;

    - il decadimento (release) in cui la vibrazione si smorza fino ad annullarsi completamente.

    Il nostro orecchio decodifica sotto forma di timbro anche queste informa-zioni, in modo particolare la durata di queste fasi. Quando il transitorio di at-

    64

  • tacco è particolannente breve l'orecchio avverte un suono di tipo percussivo, co-me può essere quello di un pianoforte; quando questa fase è più lunga l' orec-chio avverte un attacco più dolce come può essere quello che caratterizza uno strumento ad arco oppure a fiato. Nel suono del pianoforte il transitorio di at-tacco e 1'assestamento sono seguiti da un lento decadimento, mentre in uno stru-mento a fiato è possibile mantenere a regime il suono per un tempo più lungo ma non appena si smette di soffiare il decadimento è quasi immediato. Un sin-tetizzatore o un programma di gestione del suono possono facilmente mostra-re quanto sia importante il ruolo che queste componenti giocano sulla nostra per-cezione del timbro: con questi strumenti è estremamente semplice trasformare un timbro in un altro del tutto diverso, ingannando infallibilmente 1'orecchio, semplicemente allungando o restringendo i tempi delle sue fasi di inviluppo.

    pianoforte violino

    [ flauto tromba

    Suono e rumore

    All'interno del capitolo relativo al timbro si colloca una importante questione, quella della distinzione tra suono e rumore.

    Su un piano elementare la distinzione tra i due fenomeni è netta e irrevocabile: il suono è prodotto da impulsi sonori, vale a dire dalle vibrazioni periodiche e cicliche di un corpo elastico che si muove attorno a una posizione di equilibrio; il rumore consiste in impulsi che sono sempre acustici ma che sono aperiodi-ci, vale a dire del tutto privi di ricorsività.

    Un vaso da fiori che cade a terra frantumandosi, oppure un martello che pic-chia un colpo su un' asse di legno, producono un rumore in forma di onda im-pulsiva; ma anche una pesante cassa di legno trascinata su un pavimento ruvi-do produce un rumore, perché le perturbazioni che trasmette all' aria circo-stante creano una sensazione continua ma restano del tutto prive di componenti periodiche.

    65

  • In presenza di una elevata aperiodicità anche la percezione dell'altezza di-viene progressivamente più imprecisa fino a confondersi del tutto.

    Le cose prendono un aspetto più complicato se si tiene del conto del fatto che quasi tutti gli eventi acustici sono costituiti dalla somma di un certo numero, spesso parecchio elevato, diformanti diverse. A loro volta, infatti, le forman-ti potrebbero essere suoni o rumori: in presenza di formanti periodiche l'onda risultante sarà comunque periodica e il timbro potrà ancora essere definito suono; in presenza di formanti aperiodiche l'onda risultante sarà anch'essa aperiodica e il timbro resterà un rumore.

    Partendo da queste premesse, la distinzione tra suono e rumore diviene sempre più una questione che riguarda direttamente il timbro della fonte sonora: fin quando si registra una prevalenza di formanti periodiche si continua a par-lare di suono, ma man mano che le componenti aperiodiche fanno sentire illo-ro peso si comincia a sentire l'impressione del rumore. Alcuni timbri utilizza-ti dall' arte musicale, come le nacchere o la grancassa, possono spingersi fino a incorporare una componente rumoristica assai rilevante. Le stesse osservazioni valgono in senso inverso: non è difficile manipolare un rumore fino a farlo as-somigliare a un suono. Questo effetto si ottiene semplicemente replicandolo con una certa frequenza, vale a dire rendendo sempre più rilevante la componente periodica veicolata dalla corrispondente vibrazione sonora: la detonazione di un petardo resta un rumore, ma il rombo di un motore a scoppio può essere in-tonato a qualsiasi frequenza compresa entro la gamma dei suoi giri.

    La distinzione tra suono e rumore ricade dunque, in definitiva, su un piano ancora più mutevole di quello soggettivo: i diversi contesti in cui uno stesso tim-bro può essere ambientato sono più importanti di qualsiasi impressione isola-ta. Un violino può apparire sgradevolmente rumoroso di fronte a un consort di flauti dolci, così come due legnetti percossi possono apparire piacevolmente in-tonati in un' orchestra da ballo sudamericana; la musica cinese conosce caril-lon di pietre, opportunamente scelte in base alla loro intonazione, cosÌ come la più banale delle moderne tastiere elettroniche intona senza preoccupazioni tim-bri artificiali come "elicottero" e "vetri rotti". Usando un poco di fantasia e di inventiva, non è difficile eseguire musica del tutto coerente usando un'orche-stra composta esclusivamente da assi per lavare oppure da motori a scoppio.

    66

  • Non esiste una unità di misura oggettiva, vale a dire matematica, dei diversi timbri. Come si è detto, più che il numero delle formanti sono importanti la lo-ro qualità e il rapporto in cui queste si pongono fra loro: le combinazioni pos-sibili sono praticamente infinite. La fisica non può fare altro che definire con precisione i due estremi tra cui dovrebbe trovare collocazione una ipotetica "scala dei timbri" riferita ai soli eventi periodici:

    - in presenza di zero formanti si ha 1'assenza di suono; - in presenza di una sola formante si ha il cosiddetto suono puro, oppure suo-

    no sinusoidale. Questo timbro può essere ottenuto soltanto grazie all' elettro-nica: non è difficile trovarne esempi in tanti apparecchi e giocattoli muniti di suonerie e cicalini, ma per la sua estrema povertà è soggetto a pochissime ap-plicazioni nell' arte musicale.

    - all' estremo opposto della scala si colloca un ipotetico timbro composto da tutte le infinite formanti disponibili, considerate in tutti i timbri disponibili, in tutte le altezze disponibili e a tutte le intensità disponibili. Questo timbro pren-de il nome di rumore bianco, in analogia con quanto avviene nel campo del-l'ottica dove la luce bianca è il risultato dell'interazione fra tutti i colori di-sponibili. Anche questo suono è ottenibile soltanto grazie all' elettronica: il suo effetto è paragonabile a quello prodotto, sia otticamente che acustica-mente, dallo schermo di un televisore fuori sintonia.

    Nel caso del rumore bianco la "neve" che appare sullo schermo non è con-cettualmente distante dalla sinusoide che caratterizza 1'estremo opposto della scala: corrisponde proprio alla forma dell' onda, talmente complessa da risul-tare indistinguibile per l'occhio. Come si è detto, le analogie con il fenomeno ottico della luce bianca sono qui particolarmente calzanti.

    Questioni pratiche legate alla riproduzione elettronica dei suoni hanno por-tato i fisici a fissare sulla "scala" alcuni altri punti (rumore rosa, marrone, ros-so, blu, viola ... ) collocati in prossimità di questo limite.4

    4 Altri dettagli e una serie di esempi sonori sul sito www.vincenzo.schettini.name/ dispense/Lezione2.pdf.

    67

  • Durata

    L'interazione fra le tre qualità permette di definire un suono, ma per poter-lo descrivere nella sua realtà oggettiva occorre associare alle tre qualità vere e proprie un quarto parametro: si tratta della durata, vale a dire della misura di quanto il suono stesso si protrae nel tempo.

    In alcuni casi la durata può salire al rango di una qualità vera e propria: lo si è visto ad esempio a proposito di alcune questioni che riguardano il timbro. In suoni molto brevi il transitorio di attacco tenderà a influenzare la percezio-ne timbrica assai più nettamente di quanto farebbe se gli stessi suoni avesse-ro una durata maggiore.

    L'arte musicale consiste essenzialmente nella pratica di creare combinazioni diverse fra i quattro parametri fisici del suono; fra questi le altezze e le durate ricoprono un ruolo assai più rilevan-te di quello attribuito ai timbri e alle intensità. A queste combi-nazioni vengono spesso associati una serie di significati aggiun-tivi che possono essere veicolati da elementi come un testo, la narrazione di una storia oppure i movimenti di una danza.

    Psico-acustica

    La nostra percezione del suono opera tenendo conto simultaneamente di tut-te le possibili variabili in gioco: ciascun suono viene infallibilmente associa-to a una determinata altezza, intensità, timbro e anche durata. Nell'esperienza quotidiana, entro certi limiti, un ascoltatore riesce a percepire la variazione di un solo parametro: tenendo conto del contesto in cui il suono si è prodotto il suo cervello può minimizzare gli effetti secondari e concentrare l'attenzione sul solo effetto voluto. In questo modo è possibile ricevere l'illusione di un suo-no che stia variando soltanto in altezza, oppure in intensità, senza modificare il timbro; oppure che stia variando il timbro senza modificare l'altezza e l' in-tensità e così via. In termini rigorosi, tuttavia, è molto difficile riuscire a mo-dificare un solo parametro senza modificare di conseguenza anche gli altri tre:

    - a altezze estreme, sia verso il grave che verso l'acuto, la percezione del-l'intensità tende ad indebolirsi: si annulla del tutto, come già detto, sotto i 16 oppure oltre i 20.000 Hz. La percezione dell'intensità, e delle sue minime va-riazioni, è invece ottimale in una zona centrale detta area della parola.

    - suoni molto acuti vengono percepiti con un timbro più metallico, perché molte formanti escono dalla soglia di percettibilità; viceversa, suoni molto gravi appaiono timbricamente più ricchi e corposi.

    - variazioni di timbro portano sempre a minime variazioni di intensità e di altezza, e così via.

    68

  • v

    Il fenomeno dei suoni armonici: sua causa, sua importanza come base della tonalità e sue applicazioni nel meccanismo sonoro degli strumenti

    Nella tesi II la vibrazione sonora è stata descritta nella sua forma più ele-mentare: si è supposto che le corde e le membrane assumessero l'aspetto di un fuso a due punte, che l'aria nei tubi sonori si comportasse come una unica grossa molecola o che le piastre vibrassero esattamente secondo gli schemi semplicistici attribuiti alle verghe elastiche. A questi schemi, in particolare, sono stati ricondotti tutti i tipi di vibrazione offerti dai corpi sonori: si è sem-pre supposto che gli unici nodi e gli unici ventri possibili fossero quelli imposti dalle estremità, o dai punti di sospensione, del corpo sonoro. In realtà la vi-brazione, nella sua realtà fisica, assume una forma assai più complessa: oltre ad articolarsi sui nodi e sui ventri imposti dalle proporzioni del corpo sonoro dà vita a numerosi altri movimenti parzializzati.

    Parzializzazione della vibrazione

    - n~lle corde

    Nel caso delle corde, iljùso che l'occhio percepisce durante la vibrazione non è che il risultato di una illusione ottica: nella vibrazione delle corde si generano molti altri movimenti, troppo veloci perché l'occhio riesca a coglierli. L'aspetto della corda vibrante potrebbe essere meglio descritto come una serie di fusi identici e concomitanti, in cui nodi e ventri si susseguono a intervalli costanti.

    Questo fenomeno si verifica perché l'equilibrio delle forze che agiscono al momento delle vibrazione è di gran lunga più stabile se non è concentrato in un unico ventre: distribuendo la massima perturbazione attraverso numerosi ven-tri il movimento si mantiene regolare con maggior facilità. Allo stesso modo i due pedali di una bicicletta e le due pale di una pagaia operano meglio in fa-se opposta, cosÌ come si nuota in modo più efficiente a stile libero piuttosto che a delfino; i motori di un aeroplano esprimono meglio la loro maggiore poten-za adottando eliche con tre, quattro o più pale piuttosto che aumentando le di-mensioni di ogni singola pala. Se ne può avere una facile riprova facendo oscillare in su e in giù un cavo moderatamente elastico, ad esempio il filo ri-torto di un apparecchio telefonico: si forma immediatamente un doppio fuso par-

    70

  • ziale, in cui il centro della corda rimane perfettamente immobile e i due fusi con-trapposti si muovono ciascuno in senso opposto all'altro.

    Utilizzando un cavo più lungo è facile produrre un numero maggiore di nodi e ventri, a partire da tre e più; per contro, un unico fuso disteso lungo l'in-tera lunghezza della corda (la cosiddetta onda stazionaria) può essere prodot-to soltanto a patto di forzare leggermente il movimento.

    La vibrazione della corda, che avevamo supposto trasversale (tesi II), è in realtà il risultato di una serie di movimenti di tipo longitudinale. Poniamo che la corda riceva un impulso iniziale sotto forma di pizzico o percossa: si formano immediatamente due onde impulsive lineari contrapposte, ad esempio incavate verso il basso, che si propagano nei due sensi a partire dal punto iniziale. Ciascuna delle due onde continuerà a percorrere numerose volte, avanti e in-dietro, la lunghezza della corda: ogni volta che incontrerà un estremo rimbal-zerà infatti all'indietro come fa una pallina di gomma lanciata con forza fra le due pareti di un corridoio. Il movimento che ne risulta non è tuttavia una sem-plice riflessione, perché ogni volta che cambia direzione l'onda inverte an~he la propria fase trasformandosi da incavata a rilevata e viceversa. In questo modo ciascuna onda percorre la corda viaggiando nelle due fasi opposte, ad esempio incavata quando si muove verso destra e rilevata quando si muove verso sinistra: il ciclo complessivo equivale nientemeno che a un moto circo-lare uniforme orientato in senso antiorario .

    .-f\~-------t

    c.. J-v..-----------I 71

  • Si è detto che l'impulso iniziale genera in realtà due onde impulsive linea-ri contrapposte che si muovono in senso opposto: l'altra onda, quella che si è allontanata verso sinistra, finirà per produrre un moto circolare identico ma orien-tato in senso orario.

    C ~'---------I I------~~

    Parzializzazione progressiva ..

    Le vibrazioni sonore contano normalmente parecchie centinaia o parecchie migliaia di cicli al secondo: ne consegue che il progressivo frazionamento di un corpo vibrante può spingersi ben al di là della nostra capacità di descriverlo. Le parti aliquote più grandi che suddividono la vibrazione, quelle da una metà o un terzo o un quarto, costituiscono in realtà soltanto il prodotto di innume-revoli frazionamenti assai più piccoli.

    Queste suddivisioni maggiori hanno tuttavia la proprietà di poter essere con-siderate come entità concrete sul piano acustico anche in presenza di tantis-simi nodi intermedi; allo stesso modo la vibrazione che si estende per l'inte-ra lunghezza di un corpo sonoro, e che in termini crudi è soltanto la risultan-te di tutte le sue parti aliquote, consente al nostro orecchio di udire concreta-mente il suono che ne viene emesso.

    Al di là di tutte le infinitesimali parcellizzazioni, la forma più elementare possihile assunta dal corpo vibrante rimane quella che si estende per tutta la sua lunghezza:

    - se si esclude la precedente, diviene quella da due metà - se si esclude la precedente, diviene quella da tre terzi - se si esclude la precedente, diviene quella da quattro quarti - se si esclude la precedente, diviene quella da cinque quinti e così via.

    77

  • Conoscere il numero esatto delle minutissime parzializzazioni di un corpo vi-brante diventa quindi una questione secondaria, dal momento che in ogni caso

    - il nodo posto esattamente al centro divide la risultante in due, - i due nodi posti ai due terzi la dividono in tre, - i tre nodi posti a ogni quarto la dividono in quattro, - i quattro nodi posti a ogni quinto la dividono in cinque

    e così via fino a tutte le possibili suddivisioni consentite dalle caratteristi-che fisiche del materiale. Un corpo sonoro può quindi riuscire a produrre con-temporaneamente sia gli armonici di ordine pari che quelli di ordine dispari sem-plicemente suddividendo la propria vibrazione fino ai loro comuni multipli: le frazioni più grandi possono infatti originarsi a partire da qualsiasi punto nodale, anche considerando due nodi che nella realtà fisica della vibrazione sono orien-tati in fase opposta. Una vibrazione costituita dal numero bassissimo di sei parti aliquote può già consentire la produzione di fusi parziali da una metà e da un terzo; quella suddivisa in dodici parti produce in più i fusi da un quarto e da un sesto. Per veder comparire anche quello da un quinto basterebbe portare il totale al numero, ancora assai modesto, di sessanta suddivisioni.

    C'\m",~~, ~. --,,\ ~\J

    I

    (\{\C\{\{\!\ V Q V;V D\.J

    : ': I :: I I

    I

    ~: ...

    I~

    I I

    ~: .. :~ ~: , ,

    Nella vibrazione parzializzata le suddivisioni più minute si producono sem-pre a partire dagli stessi nodi che delimitano le suddivisioni più larghe: tradotto in termini matematici, questo significa che ciascuna serie di porzioni aliquo-te condivide sempre tutti i nodi dei suoi divisori. Procedendo dalle divisioni maggiori verso quelle più piccole, troveremo dunque che il nodo che identifi-ca la sezione di metà lunghezza è condiviso anche dalla serie dei fusi da un quar-

    78

  • to, un sesto, un ottavo e cosÌ via; procedendo a ritroso troveremo invece che la serie da un sesto condivide il medesimo nodo centrale ma si sovrappone anche ai due nodi delle sezioni da un terzo, mentre quella da un ottavo condivide tutti quelli della serie da un quarto ma non tutti quelli della serie da un sesto e così via.

    Suoni armonici

    l

    2

    3

    4

    6

    8

    12

    La parzializzazione della vibrazione si produce quindi spontaneamente al-l'interno di qualsiasi fonte sonora; il nostro occhio non riesce normalmente a coglierla, ma l'orecchio riesce a registrarne facilmente gli effetti sotto forma di suoni armonici o almeno sotto forma di variazioni timbriche.

    Prendiamo ad esempio la parzializzazione di una corda vibrante: in essa si producono, come si è detto, una serie contigua di nodi e ventri. Il suono fon-damentale emesso dalla corda, vale a dire il suono prodotto dal fuso ideale compreso tra i due nodi estremi, rimane perfettamente percepibile anche in presenza dei numerosissimi nodi e ventri intermedi: generalizzando questa os-servazione possiamo dire che la corda vibrante emette qualsiasi suono che sia definito dalle successive divisioni della corda in parti aliquote.

    Ricordando che, a parità di altre condizioni, esiste una precisa corrispondenza fra la lunghezza di una corda e il suono da essa prodotto, è possibile dire che rispetto al suono fondamentale

    - la divisione in due parti genera l'ottava - la divisione in tre parti genera la tredicesima (ottava più quinta) - la divisione in quattro parti genera la doppia ottava (ottava più ottava) e cosÌ via.

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  • Questa è dunque la serie completa dei suoni armonici generata dalle prime sedici parzializzazioni di un corpo vibrante. La serie si distribuisce nello spa-zio di quattro ottave:

    -L. -L. t -L.

    J d J ~. d l-~..J ~ .. ~

    J .i • [!

    lEf

    c.

    4a ottava

    L'ordine con cui i suoni armonici si producono presenta molte analogie con 1'operazione di ripiegare su sé stesso, per varie volte, un foglio di carta: par-tendo dal foglio aperto si ottiene dapprima una piega a metà, quindi una pie-ga a un quarto, una a un ottavo e così via. In ciascuna fase di questo processo il foglio conserva tutte le piegature che ha già subito e ne aggiunge una nuo-va esattamente al centro dello spazio residuo. Analogamente, nel caso della se-rje degli armonici i suoni che compaiono in ciascuna ottava si ripetono iden-tici in quelle successive, ma a ogni passaggio gli intervalli che li separano ap-paiono divisi in due per effetto della comparsa di un nuovo suono armonico.

    - prima ottava: ottava - seconda ottava: quinta ottava - terza ottava: terza maggiore quinta settima minore ottava - quarta ottava: seconda maggiore e così via fino a settima maggiore ottava.

    In tutte queste divisioni successive lo spazio sonoro viene interrotto ogni vol-ta esattamente a metà; gli intervalli implicati si restringono progressivamente nelle frazioni più acute, un po' come farebbe una piramide divisa a metà nel sen-so dell'altezza, perché lo spazio sonoro obbedisce a proporzioni di tipo loga-ritmico.

    - 1'ottava si suddivide in - la quinta si suddivide in - la quarta si suddivide in

    e così via.

    quinta e quarta terza maggiore e terza minore terza minore e seconda maggiore

    Alcuni fra i suoni armonici (Sik Fa#, La~) risultano essere intonati su fre-quenze che non corrispondono agli stessi suoni realmente usati nei moderni si-stemi di accordatura; sono in realtà calanti se la freccia è rivolta verso il bas-so e crescenti se la freccia è rivolta verso 1'alto. Per questi motivi vengono normalmente esclusi dai calcoli matematici che riguardano la serie.

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  • Implicazioni matematiche nella serie dei suoni armonici

    Gli intervalli che risultano dalla serie degli armonici sono legati da precisi rapporti proporzionali: per renderli evidenti si attribuisce a ciascun suono del-la serie un numero d'ordine successivo.

    Il numero 1 indicherà il suono fondamentale della serie, vale a dire la vi-brazione risultante dal corpo vibrante in tutta la sua lunghezza; gli altri suoni armonici saranno numerati da 2 a 16.

    !,. ~. .. ~

    ~ 2 3 4 5 6 7 8 9 lO 11 12 13 14 15 16 & . :e Il

    Come il numero 2 è il doppio del numero l, così gli intervalli che ne risul-tano si trovano esattamente all' ottava fra loro; lo stesso avviene con il nume-ro 4 nei confronti del 2, e torna a verificarsi con il numero 6 nei confronti del 3 oppure con il numero lO nei confronti del 5. In altre parole, ciascun suono della serie si trova rispetto agli altri suoni nella stessa proporzione che il pro-prio numero d'ordine ha col numero d'ordine degli altri suoni. •

    Le relazioni matematiche che legano fra loro gli intervalli sono normal-mente espresse tramite un rapporto, vale a dire tramite una frazione avente - al numeratore il numero che contraddistingue il suono più acuto - al denominatore il numero che contraddistingue il suono più grave.

    L'intervallo di OTTAVA è sempre espresso da rapporti riconducibili a 2: 1

    2, ~, 1 2

    li, 16 4 8

    ma anche fi, lO, 12, 14. 3 5 6 7

    Sul piano fisico, l'ottava superiore di un dato suono è infatti espressa

    - dal doppio delle vibrazioni oppure da metà lunghezza del corpo vibran-te; analogamente, l'ottava inferiore è espressa

    - dalla metà delle vibrazioni oppure da una lunghezza doppia.

    In altre parole, per ottenere i valori numerici relativi all' intervallo di otta-va sarà sempre sufficiente moltiplicare oppure dividere i valori iniziali per 2.

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  • L'intervallo di QUINTA è sèmpre espresso da rapporti riconducibili a }: 2

    }, Q, 12 2 4 8

    ma anche 2 e 15. 6 lO

    Sul piano fisico, la quinta superiore di un dato suono è infatti espressa - da una volta e mezza del numero delle vibrazioni oppure da due terzi

    della lunghezza; analogamente, la quinta inferiore è espressa - dai due terzi delle vibrazioni oppure da una lunghezza di una volta e

    mezzo.

    In altre parole, per ottenere i valori relativi all'intervallo di quinta sarà sem-pre sufficiente moltiplicare oppure dividere i valori iniziali per J .

    2 Nell'antica teoria pitagorica, che si colloca nel quadro dell'antica concezione

    pentafonica ereditata dalla tradizione mesopotamica, gli intervalli di ottava e quinta erano le uniche consonanze ammesse.

    Questa classificazione appare in effetti del tutto sensata proprio a causa delle consuetudini antiche nell'accordatura degli strumenti, in cui gli inter-valli erano ricavati per quinte sovrapposte: poiché la quinta del sistema pen-tafonico era leggermente più larga di quella temperata (tesi VI), i suoni collo-cati oltre il terzo armonico risultavano insopportabilmente crescenti.

    .. Pitagora ne ricavò una propria teoria della consonanza in cui erano gli stessi numeri sonori 1 2 e 3, posti direttamente a immagine di Dio, a pro-vocare la sensazione di stabilità offerta da questi intervalli.

    La serie degli armonici, calcolata sempre a partire dal suono fondamenta-le o da uno dei suoi multipli, permette di ricavare anche i rapporti relativi

    - alla TERZA MAGGIORE, con

    - alla SECONDA MAGGIORE, con

    - alla SETTIMA MAGGIORE, con

    ~ 4

    2; 8

    15. 8

    e lO, ma anche 15; 8 12

    All'interno delle prime quattro ottave la serie degli armonici non consente di raggiungere nessun altro intervallo partendo dalla fondamentale; è tuttavia possibile identificare gli intervalli che non sono rappresentati usando come punto di partenza qualcuno fra gli altri suoni che appartengono alla serie.

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    A partire dall'armonico 3 (la quinta) si possono definire

    -la QUARTA

    - la SESTA MAGGIORE

    ~ 3

    ~; 3

  • A partire dall' armonico 5 (la terza maggiore) si possono definire

    -la TERZA MINORE

    - la SESTA MINORE

    - la SETTIMA MINORE

    ~ 5

    8 5

    2; 5

    A partire dall' armonico 15 (la settima maggiore) si può infine definire

    - la SECONDA MINORE 16. 15

    Effetti acustici della serie armonica

    La serie degli armonici viene tradotta dall' orecchio per lo più sotto forma di timbro, vale a dire come una serie di formanti che si mescolano alla nota fon-damentale fino a non essere più avvertibili separatamente; con un po' di at-tenzione non è tuttavia difficile, ad esempio sul pianoforte, distinguere con chiarezza almeno le componenti delle prime due ottave. Per le sonorità più lontane, ad esempio per l'armonico 7, può essere necessario qualche secondo prima che la vibrazione esaurisca la fase del regime transitorio di attacco "e si stabilizzi definitivamente.

    La serie completa dei suoni armonici può essere ascoltata distintamente in un laboratorio di fisica grazie ai risuonatori di Helmoltz (tesi VII). Grazie al-le moderne tecnologie elettroniche, può anche essere fissata sulla carta in for-ma di oscillogramma oppure di spettro armonico.

    L'apporto dei singoli armonici alla sonorità del suono fondamentale è de-scritto nei testi di fisica acustica; in termini generali, e anche semplificando un poco il discorso, è possibile dire che gli armonici pari conferiscono al suono pienezza e corposità; quelli dispari apportano invece una componente più aspra, metallica oppure nasale. Dalla particolare mistura fra questi ingredien-ti si ottiene la qualità definitiva della vibrazione sonora1•

    1 P. Righini, L" acustica per il musicista, p. 44.

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