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I Quaderni del Vittorini n. 2/2008 La vitalità dei classici 1 Titolo articolo 00_Prime 11-06-2008 20:52 Pagina 1

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I Quaderni del Vittorini n. 2/2008

La vitalità dei classici

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I Quaderni del Vittorini

La vitalità dei classiciDa Quasimodo a Pasolini

n. 2 anno 2008

3Titolo articolo

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Finito di stampare: giugno 2008

ISBN: 978-88-902934-0-5

I Quaderni del Vittorinin. 2/2008

© Liceo Scientifico “Elio Vittorini”via Donati, 5/7 - 20146 Milanotel. 02 474448, fax 02 48954315

Direttore responsabile:Giorgio Castellari

Redazione:a cura del Liceo Scientifico “Elio Vittorini”

Comitato di Redazione: Cristiano Dognini, Anna Polettini, Rocco Pollina

Hanno collaborato alla trascrizione degli interventi:Paola De Benedettis e Salvatore Di Pace

4 Autore

Volume pubblicato con il contributo della Provincia di Milano,Assessorato all’Istruzione

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Sommario

Cristiano Dognini 7 Introduzione

Andrea Capra 11 Quasimodo e i Lirici greci

Giuliana Chiari 41 Passionalità arcaica e conformismo borghese nella Medea di Pasolini

Giacomo Manzoli 53 Medea di Pier Paolo Pasolini: tradizione, passione e ideologia

Elena Rigotti 63 L’Edipo re attraverso lo sguardo di Pasolini

Giuliana Nuvoli 71 L’Edipo re di Pier Paolo Pasolini

Bibliografia 79

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Quasimodo e i Lirici greci1

Andrea Capra

Il paradosso dei Lirici greci

A distanza di quasi settant’anni dalla loro prima pubblicazione, iLirici greci di Quasimodo sono per il lettore di oggi un’esperien-za strana. Quasimodo da tempo ha perso quella centralità che inpassato gli era riconosciuta, ed è ormai quasi scomparso dalle piùrecenti antologie e letterature italiane. Del resto, una sommariaricognizione bibliografica è sufficiente a constatare come i contri-buti critici a lui dedicati – salvo un effimero sussulto in occasio-ne del centenario della nascita – si siano malinconicamente dira-dati a partire dagli anni Settanta2.

Eppure, proprio i Lirici continuano a essere un’opera moltoamata, l’unica che abbia in qualche modo resistito alla sfortunapostuma del poeta:

1 1Quasimodo e i Lirici greci

1 Le pagine che seguono nascono da una comunicazione tenuta il 5novembre 2007 al Liceo “Vittorini” di Milano. Ringrazio di cuoreGiuliana Chiara e Cristiano Dognini per l’invito e per i consigli. Grazieanche agli studenti e ai colleghi per l’attenzione che mi hanno dedicato.2 Cfr. p.e. la bibliografia comprensiva in SALINA BORRELLO e BARBARO

(1995). Per il centenario del 2001 sono usciti gli atti di due convegni,tenutisi rispettivamente a Princeton (FRASSICA 2002, che esplicitamente sipropone di “sollecitare una ripresa degli studi sulla sua opera”, p. 9) e aGela (DE GIOVANNI 2004, che già nel titolo denuncia “un Premio Nobeldimenticato”). Paradossalmente, a Quasimodo non giovò il Nobel del1959, che alla lunga – anche a causa del carattere scontroso del poeta – siè anzi rivelato in certo modo controproducente per la sua fortuna: cfr. leconsiderazioni di BO (1986).

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Il suo più vero contributo originale alla poesia del nostro secolonon è da riconoscersi nella produzione creativa, ma nelle traduzio-ni dei Lirici greci, che sono uno dei documenti più significativi del-l’intera stagione ermetica3.

…la traduzione dei Lirici greci (1940) […] rappresenta il risultatopiù duraturo di tutta l’attività letteraria di Quasimodo4.

Questi giudizi, rispettivamente di Edoardo Sanguineti e RomanoLuperini, inquadrano bene – e certo hanno largamente contribui-to a creare e diffondere – la vulgata critica di oggi. Dunque unPremio Nobel per la letteratura è oggi letto quasi soltanto per lesue traduzioni di poeti vissuti oltre 2500 anni fa. Ecco un primoparadosso, che ne contiene in sé uno speculare: intere generazio-ni di lettori si sono accostati a Saffo, Alceo e altri lirici greci attra-verso le traduzioni di un poeta che notoriamente del greco avevauna conoscenza limitata. Proprio per questo la pubblicazione deiL i r i c i, dal forte taglio anticlassicistico e antiaccademico, fuaccompagnata da polemiche roventi che non vale la pena di rie-vocare, se non per l’eco – ormai stemperata in un giudizio equili-brato – ancora percepibile nelle parole di Filippo Maria Pontani:

La versione del Quasimodo, apparsa nel 1940, rivoluzionaria erivelatrice, resta storicamente e qualitativamente importante. Fecegiustizia della magniloquenza classicistica, delle cincischiaturedecadentistiche, delle piattezze scolastiche […] e riuscì a tendereil linguaggio, liberato da rimbombi e rinverginato nella cadenzadel verso e del fraseggio, verso l’essenzialità degli originali. Il limi-te del Quasimodo fu l’inadeguato possesso del greco, che lo portòa gravi abbagli, fraintendimenti e arbitrii di cui è inutile fare scan-dalo, ma che vanno ascritti a suo carico5.

Pontani scriveva queste cose nel 1969, a prefazione dei suoi Liricigreci, che alla scarsa acribia di Quasimodo oppongono una fedel-tà a tratti virtuosistica, consapevolmente fondata su “un impegno

1 2 Andrea Capra

3 SANGUINETI (1969), p. LIX.4 LUPERINI (1981), p. 605.5 PONTANI (1969), p. VIII.

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di medesimazione di filologia e poesia, che è la sola condizione divalidità della resa”6.

Un Quasimodo infedele, dunque, i cui errori, peraltro fecon-di, sono facilmente spiegabili alla luce della temperie culturale diquegli anni, come ben chiarisce – con sensibilità di poeta, criticoe attento osservatore della società – un saggio di Franco Fortini:

Si trattò della felicissima contaminazione di testi che la condizionedi frammento sottraeva a una lettura storica e di una lingua italianadi grande trasparenza e semplicità. Si può dire che i modi di quellapoesia abbiano introdotto una assai vasta società di lettori all’amo-re per l’attonito arcaismo, l’atemporalità, i brevi testi carichi (inapparenza) di significati occulti, che hanno reso possibile non solouna larga imitazione ma un vero e proprio mutamento del gusto7.

I (de)meriti storici delle traduzioni di Quasimodo sono dunqueormai un fatto assodato, e tuttavia “appare un po’ sorprendenteche alla vastità della bibliografia critica sul poeta faccia riscontrouna notevole scarsità di studi specifici sulle singole traduzioni esui modi complessivi del tradurre quasimodiano”8. Questa scarsi-tà rappresenta un ulteriore paradosso, che dovrebbe costituireuno sprone alla ricerca. Cercherò nel mio intervento di suggerirequalche possibile prospettiva di indagine, per una verifica –anche alla luce di recenti e importanti progressi nella conoscenzadella lirica e in generale della civiltà greca arcaica – delle posizio-ni via via assunte dalla critica.

“Siculo greco”

Sire, Eccellenze, Signore, Signori, il premio per la letteratura que-st’anno è il poeta italiano Salvatore Quasimodo, di origine sicilia-na, nato vicino a Siracusa e, più esattamente, nella cittadina diModica, a una decina di chilometri dalla costa. Non è difficile

1 3Quasimodo e i Lirici greci

6 Ibidem.7 FORTINI (1976).8 SAVOCA (2002), p. 87. Per quanto riguarda i Lirici greci, CANTELMO

(1971-73) – un saggio sconosciuto a Savoca – costituisce un’importante

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immaginare quanto il luogo natio abbia significato per la sua voca-zione futura. Gli antichi templi greci dell’Isola, i grandi anfiteatripresso il mare Jonio, la mitica fonte di Aretusa, le gigantesche rovi-ne di Girgenti e di Salinunte: quale scenario per la fantasia dellasua fanciullezza! Qui gli eroi della poesia ellenica sono stati ospitidel re Gerone, qui le voci di Pindaro e di Eschilo perdurano comeun’eco antica attraverso il tempo.

Queste parole9 aprono il discorso di Anders Österling per ilNobel a Quasimodo, e la Grecia vi gioca un ruolo fondamenta-le10. Quasimodo, si sa, era incline a una sorta di mitologia perso-nale, in cui fantasia e vanità si fondono inestricabilmente. Questatendenza si nota fin dal nome e dalla patria: il banale Quasimòdosi mutò nel più esotico ed eufonico Quasìmodo, e d’altra parte ilpoeta si spacciò per Siracusano, la città del cognato Vittorini: diqui le parole compromissorie e forse un po’ imbarazzate di Öster-ling a proposito delle origini del poeta. Quest’ultimo punto è sen-z’altro interessante per il nostro tema: alla barocca Modica sisostituisce la “greca” Siracusa, un elemento non trascurabile nellacostruzione di quella sorta di identità ellenica così importante perQuasimodo11.

Del resto, la nonna materna era di Patrasso, una “provainconfutabile” – ha sostenuto ancora di recente il figlioAlessandro – “della matrice greca del poeta”12, che nella liricaMicene (1958) definì se stesso con la celebre espressione di “sicu-lo greco”:

1 4 Andrea Capra

eccezione, che è però parziale perché copre un numero di traduzioni rela-tivamente limitato.9 Riportate in MUNAFÒ (1973), pp. 218-21.10 Di qui, presumibilmente, il titolo altisonante (“De Salvatoris Quasimodipoetae laureati spiritu atque ardore classico”) del saggio di BILINSKI

(1961), a proposito degli influssi delle traduzioni dai classici sulla produ-zione di Quasimodo.11 Come osserva IOLI (2002), si trattò “di una vera e propria dichiarazionedi poetica, perché egli identificò in quella città la matrice siculo-greca deisuoi versi” (p. 59).12 A. QUASIMODO (2002), p. 147; così Alessandro introduce una letteradella (bis)nonna Rosa Papandrea.

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Sulla strada di Micene alberatadi eucalyptus puoi trovare formaggiodi pecora e vino resinato “À la belleHélène de Ménélas”, un’osteriache svia il pensiero dal sanguedegli Atridi. La tua reggia, Agamennone,è covo di briganti sotto il monteZara di sasso non scalfitoda radici a strapiombo su burronisghembi. I poeti parlano moltodi te, dell’invenzione del delittonella tua casa di crisi,del furore funebre di Elettra,che nutrì per dieci anni con l’occhiodel sesso il fratello lontanoal matricidio, parlano i diabolicidella logica della regina,la moglie del soldato assenteAgamennone, mente, spada tradita.E tu solo ti sei perduto,Oreste, il tuo viso scomparve senzamaschera d’oro. Ai Leoni della porta,agli scheletri dell’armonia scenicarialzati dai filologi delle pietre,il mio saluto di siculo greco.

In questi versi, riflesso neanche troppo mediato – come altre liri-che della raccolta – di un viaggio turistico in Grecia, si nota fin dasubito la ricerca di un contatto immediato e ‘popolare’ con la terradei miti, al riparo dalle fosche vicende di cui quei luoghi furonoteatro letterario. Se Quasimodo beve re t s i n a alla “Belle Hélène”1 3,in un contesto segnato – come la sua Sicilia – dalla presenza di una

1 5Quasimodo e i Lirici greci

1 3 Una curiosa analogia lega questi versi a quelli, anteriori di circa un ven-tennio, di un altro Premio Nobel, il greco Ghiorgos Seferis. Anch’egliautore di una lirica intitolata M i c e n e, Seferis, in un successivo componi-mento intitolato Alla maniera di G.S., ritorna sulle sue esperienze di viag-gio e in particolare sul soggiorno a Micene, rievocando fra l’altro l’albergola “Bella Elena di Menelao” (v. 13), che nella traduzione italiana di F. M .Pontani figura in francese come l’albergo “Belle Hélène”, per rendere –

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natura selvaggia ed esposta al brigantaggio, ecco invece che “ipoeti”, insieme ai meno perspicui “diabolici”, “parlano molto” deimiti di Micene. L’evocazione di quelle fosche vicende sembra fun-zionare come una re c u s a t i o non molto benevola: gli a l t r i si occupa-no di Micene da un punto di vista letterario (i “poeti”), forse psi-cologico (i “diabolici”) e peggio ancora archeologico (i “filologidelle pietre”); Quasimodo, invece, abbraccia senza sforzo la sel-vaggia bellezza del paesaggio greco e l’ospitalità del suo popolo.

Con ogni probabilità, la menzione dei “poeti” – accompagna-ta com’è a quella dei “diabolici” e dei “filologi delle pietre” – vaintesa come un riferimento a fatti letterari anche moderni: di soliquattro anni prima (1954), per esempio, è la pubblicazionedell’Electre di Marguerite Yourcenar14. È comunque da escludereun riferimento malevolo a Eschilo, che anzi figura negli scritti diQuasimodo come una specie di alter ego del poeta. Vediamo iversi di A un poeta nemico:

Sulla sabbia di Gela colore della pagliami stendevo fanciullo in riva al mareantico di Grecia con molti sogni nei pugnistretti nel petto. Là Eschilo esulemisurò versi e passi sconsolati,in quel golfo arso l’aquila lo videe fu l’ultimo giorno. Uomo del Nord, che mi vuoiminimo o morto per tua pace, spera:la madre di mio padre avrà cent’annia nuova primavera. Spera: che io domaninon giochi col tuo cranio giallo per le piogge.

Qui la figura del “siculo greco” assume contorni più precisi:Quasimodo accredita per se stesso l’immagine di un erede di

1 6 Andrea Capra

dice Pontani – “il sapore sarcastico dell’intitolazione, pomposa e ‘com-merciale’” (SEFERIS 1963, p. 318). Non sono in condizione di dire se oquale rapporto vi possa essere tra la poesia di Seferis e la serie dei compo-nimenti di Quasimodo dedicata ai suoi viaggi in Grecia, serie che tuttaviaappare dominata da un analogo sentimento di scollamento fra il passatodei miti e la minaccia di un presente per certi versi mortificante.14 Nonché la traduzione dello stesso Quasimodo dell’Elettra di Sofocle.

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Eschilo, il poeta di Eleusi che scrisse per il teatro della democra-zia ateniese ma non disdegnò le tirannidi di Siracusa e di Gela,dove trovò la morte. La poesia allude un po’ oscuramente allaleggenda, variamente tramandata, della morte di Eschilo:un’aquila avrebbe lasciato cadere sulla sua testa calva la tartaru-ga che ghermiva nel becco15. Questo, mi pare, introduce il moti-vo del cranio nella seconda metà della poesia, ma dal nostropunto di vista il vero interesse di questi versi sta nell’evidenteequiparazione con il tragediografo greco, ricca di echi letterari. Ilpoeta si stende “fanciullo in riva al mare / antico di Grecia”, conun richiamo direi abbastanza scoperto al “greco mar” del “fan-ciulletto” Foscolo steso sulle sponde di A Zacinto, e quindiall’esperienza di un altro grande poeta italo-greco. AncheEschilo, specularmente, è presentato come un greco-siculo, ma lasua immagine non richiama le platee plaudenti degli assolati tea-tri greci, tutt’altro: Quasimodo privilegia piuttosto un’incongruaimmagine solitaria e malinconica, con accenti che direi petrarche-schi (“Solo e pensoso i più deserti campi / vo misurando a passitardi e lenti…”)16.

Questo Eschilo pensoso e solitario si trova anche in un altrocomponimento della serie greca “turistica”17. Mi riferisco aEleusi, che è poi il paese natale di Eschilo:

Un generale ha innalzato a Eleusiuna torre di cemento e piombocon l’orologio che batte di nottele cifre dei misteri……Là Eschilo parlava a Ecate lunare:Che c’è di beneche c’è privo di male?

Anche in questo caso, Quasimodo si riallaccia alla tradizione bio-grafica, che faceva di Eschilo un adepto del culto misterico eleu-

1 7Quasimodo e i Lirici greci

15 La vicenda è tramandata nelle Vita preposta ai manoscritti eschilei, matrova riscontro in varie altre fonti. Cfr. p.e. CENTANNI (2003), p. LXVII.16 Non per caso, Quasimodo è autore di un saggio sul “sentimento dellasolitudine” in Petrarca (QUASIMODO 1945).17 Così BÀRBERI SQUAROTTI (1958), citato in MUNAFÒ (1973), p. 228.

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sino, e al tempo stesso la ‘citazione’ Che c’è di bene / che c’è privodi male? riproduce un verso delle Coefore, in cui Elettra dialogacon il coro18. Ne emerge però un’immagine non poco anacronisti-ca: il verso pronunciato da Elettra, sdoppiato in due, diviene unapensosa interrogazione notturna e lunare sul senso della vita, chemi pare richiami irresistibilmente certe atmosfere leopardiane, ein particolare le brevi e spezzate domande alla luna del pastoreerrante nel Canto notturno19.

Questi e simili esempi mostrano bene le credenziali cheQuasimodo sentiva di avere nel suo approccio ‘immediato’ almondo greco: un’eredità geografica e per così dire naturale, chetuttavia – a ben guardare – rivela tratti letterari marcati, perfinoingenui.

Lirismo solitario

La figura ‘lirica’ e ‘solitaria’ di Eschilo può valere da chiave di let-tura per meglio comprendere l’accostarsi di Quasimodo alla poe-sia greca. Il rapporto con l’antico è largamente mediato da espe-rienze poetiche moderne, tanto che l’Eschilo di Quasimodo –attraverso un gioco di richiami fin troppo facile – ripercorre la viamaestra della lirica italiana: Petrarca, Foscolo, Leopardi. Si trattadi un evidente travisamento della realtà storica, perché Eschilo,l’eroe di Maratona che l’Aristofane delle Rane avrebbe volutorisuscitare quale maestro degli Ateniesi, è invece l’esempiomigliore di una voce poetica decisamente pubblica, progressiva,organica alla società: insomma, quanto di più lontano dalla soli-tudine meditabonda che Quasimodo gli attribuisce.

La metamorfosi di Eschilo è interessante proprio perchéestrema e particolarmente inverosimile: a maggior ragione c’è daaspettarsi un simile travisamento nel caso dei lirici greci, la cuivicenda biografica e poetica è più evanescente – non ne sappia-

1 8 Andrea Capra

18 Cfr. Eschilo, Coefore, v. 337, con le osservazioni di GRANESE (1986), p.298 e sgg.19 Per la capillare presenza di Leopardi in altre liriche del secondoQuasimodo, cfr. MACRÌ (1986). Non bisogna dimenticare, poi, che Ecateè comunemente identificata con la Luna.

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mo quasi nulla – ed esposta alla manipolazione, come ben nota-va Fortini. Vediamo, per esempio, le considerazioni svolte daQuasimodo nel saggio Traduzioni dai classici:

Il desiderio d’una lettura diretta dei testi di alcuni poeti dell’antichità mispinse, un giorno, a tradurre le pagine più amate dei poeti della Grecia.Il greco ritornava a essere ancora un’avventura, un destino a cui i poetinon possono sottrarsi. Le parole dei cantori che abitarono le isole di fron-te alla mia terra ritornarono lentamente nella mia voce, come contenutieterni, dimenticati dai filologi per amore di una esattezza che non è maipoetica e qualche volta neppure linguistica. E la prima fu Saffo, l’isolanaa cui Omero aveva data la sua cadenza più alta, il grido più desolato dellasua umana e provvisoria giornata […] Sentivo, rileggendo i testi, chequalche cosa di quelle voci, di quei “numeri” (anche se non equivalenti)era passato nella nostra lingua. A me bastava, forse bastava a molti altri,che ritornavano a leggere i greci al di là dei ricordi scolastici, liberi da unacostrizione filologica severa e qualche volta presuntuosa20.

Ritornano qui, potenziati, tutti gli elementi che già abbiamointravisto: l’idea di una lettura immediata, “diretta” dei lirici, lapolemica antifilologica, e soprattutto il privilegio ‘geografico’ diun’eredità greca isolana2 1, nonché l’interpretazione della poesiaantica secondo il paradigma che potremmo definire del ‘lirismosolitario’. I lirici sono collocati nelle “isole di fronte alla miaterra”, concetto geografico piuttosto fumoso: l’isola di Saffo èl’orientale Lesbo, a un passo dalla Troade, sicché è perlomenostravagante parlarne come di un’isola che sta di fronte allaSicilia.

Quasimodo ricorre insomma alle consuete forzature tese adaccreditare un’identità greca come ritorno alle origini, e in que-sto quadro l’“isolana” Saffo appare come un nuovo, potente alterego, naturalmente secondo il paradigma del ‘lirismo solitario’,che si declina qui in uno stupefacente “grido desolato”.

Queste considerazioni di Quasimodo risalgono al periodopost-bellico, che nel giudizio di molta critica rappresenterebbe

1 9Quasimodo e i Lirici greci

20 QUASIMODO (1960), p. 73. Questi saggi comprendono anche lo scrittodel 1942 L’uomo di Eschilo, che, coerentemente, disegna un Eschiloincompreso dalla gente.21 Per il “mito” dell’insularità in Quasimodo, cfr. TEDESCO (1977).

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una seconda fase della sua poesia22. Altri sottolineano invece glielementi di continuità, ma se non altro si può dire con certezzache soltanto dopo la guerra Quasimodo sviluppò una poeticaesplicita, mentre le prime e più famose raccolte poetiche nonfurono accompagnate da una riflessione teorica, almeno pubbli-ca23. Tuttavia, ci soccorrono qui le lettere di Quasimodo all’ama-ta Maria Cumani, da cui emerge, precocemente, un’appassionataidentificazione con la poesia di Saffo:

Stanotte sono stato con Saffo. Io pensavo di dire a te quelle paro-le (la traduzione dal greco la troverai trascritta dietro questo foglio)della poesia più alta dell’antichità, e quello che di greco c’è nel miosangue s’è svegliato. Forse sono riuscito (ma ancora non sono con-tento) a ritrovare la voce del poeta: in qualche punto certamente.Ma, se ti capita, confronta la traduzione tentata da Foscolo dellastessa ode e vedrai quanto il melodramma abbia reso ridicola quel-la purissima poesia. E quella di Pascoli? Ma non è superbia la mia.Sono stato aiutato dal tuo amore… (10 luglio 1937, h. 4.10)2 4.

Temi consueti, ma espressi con un’enfasi particolare: la continui-tà con i Greci diventa qui addirittura un fatto di sangue.Quasimodo ha appuntato l’ora notturna, le quattro e dieci delmattino: ecco il ‘lirismo solitario’ al suo zenit notturno. E ancora,tre giorni dopo:

…Io sto traducendo la più lunga lirica di Saffo che ci rimane.Tralascio di tradurre i frammenti di pochi versi (forse qualcunodei più intensi, no) perché la lettura del testo greco dà immediata-mente tutto quello che il poeta voleva rendere. Sono inizi di canto,momenti di grande abbandono. Eccone uno, “per te”:

“È tramontata la luna e le Pleiadi:è mezzanotte. L’ora fuggee io giaccio sola”.

2 0 Andrea Capra

22 Per un equilibrato bilancio dell’annosa questione, cfr. p.e. le considera-zioni di ERBA (2002).2 3 Sulla produzione saggistica di Quasimodo, cfr. in generale SI PA L A (1 9 7 3 ) .24 TONDO (1971), p. 59.

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Anceschi (che ti ringrazia della cartolina) è rimasto assai impres-sionato della prima traduzione. Naturalmente è una Saffo vedutae sentita da me, ed ecco che quelle parole suonano come nelle miemigliori liriche… (13 luglio 1937)25.

Sulla traduzione di questo frammento di Saffo torneremo; per oranotiamo ancora l’“abbandono”, ulteriore espressione di ‘lirismosolitario’, e infine l’importante ammissione finale: è una Saffo tuttadi Quasimodo, “veduta e sentita” da lui, con un timbro poeticoche fa delle sue traduzioni qualcosa di simile alle composizionioriginali. Un’ammissione contraddittoria rispetto alla pretesa diaver reso Saffo fedelmente, e comunque molto meglio di Pascoli eFoscolo? Forse no: dal punto di vista ‘presuntuoso’ di Quasimodola vicinanza ‘di sangue’ rende questa Saffo al tempo stesso fedelee intimamente sua, e anche su questo bisognerà ritornare.

Il ‘lirismo solitario’ di Quasimodo può essere valutato, credo,anche in un’altra prospettiva. Della poesia lirica greca non è pur-troppo sopravvissuto molto, e fra l’altro quel che è rimasto ci èspesso giunto in condizioni molto precarie: brandelli di papiro,pezzetti di coccio, citazioni molto parziali – magari ispirate acuriosità grammaticali o linguistiche – presso autori più tardi. Diquesto già magro corpus Quasimodo trasceglie soltanto una pic-cola parte, e il criterio di selezione non pare casuale. Pindaro èl’unico lirico greco di cui sia rimasto un numero congruo di odicomplete, ma Quasimodo non traduce neppure un verso di que-sto poeta. Saffo – ormai lo sappiamo – è la sua voce preferita, maanche qui siamo lontani dall’esaustività. Nella lettera a MariaCumani, Quasimodo diceva di aver tralasciato “i frammenti dipochi versi”, ma a ben guardare non questo è il criterio che lo haguidato: ammettiamo pure che Pindaro, autore di lunghi compo-nimenti encomiastici ai suoi occhi troppo “ufficiali”26, non incon-trasse il suo favore, che dire del lungo frammento in cui Saffonarra le nozze di Ettore e Andromaca? Con i suoi 32 versi, que-

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25 Ibidem.26 Questa l’ipotesi di Leone Traverso, secondo cui Quasimodo avrebbeevitato “i pezzi gnomici e oratorii o comunque ristretti al giro di una pole-mica occasionale (Callino, Tirteo, Focilide, Teognide, Solone, Senofaneecc.) e insieme le manifestazioni illustri – a prima vista un po’ estranee al

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sto è il componimento più lungo – seppur frammentario – cheabbiamo della poetessa, ma Quasimodo non lo ha tradotto27. Inrealtà, un esame dei canti inclusi nella raccolta mostrerebbe cheQuasimodo ha accuratamente evitato di tradurre poesie in cui sitrovano narrazioni mitologiche, evidentemente perché la narra-zione, ai suoi occhi, è antitetica al lirismo solitario. Una prova diquesto la fornisce Luciano Anceschi, l’amico filosofo cheQuasimodo menziona nella lettera e che ebbe il merito di lancia-re – con una famosa introduzione – i Lirici greci. Ora, Anceschiparla di una “rigorosa purezza lirica”, e poco oltre dice: “Oggi,infine, nel nostro gusto e tempo (nascosto) del cuore al centrodella poetica spiritualità della Grecia stanno i grandi lirici, e peressi noi daremmo tutto Omero – epico e narratore”28. È un “noi”che senza dubbio include anche l’amico Quasimodo, e una con-ferma decisiva mi pare venga da una nota del poeta alla sua tra-duzione di un Partenio di Alcmane:

PARTENIO È qui tradotta la seconda parte del Partenio. La prima,di contenuto mitico, cantata dal coro e di scarsissimo valore poe-tico, è giunta a noi in condizioni tali da escludere un tentativo ditraduzione.

Di nuovo, Quasimodo invoca ragioni ‘tecniche’, l’impossibilità ditradurre frammenti troppo mal ridotti, ma sappiamo bene che –in altri casi – egli non arretra neanche di fronte a testi in condi-zioni veramente disperate. La ragione è un’altra: ‘lirismo solita-rio’ e narrazione mitologica sono ai suoi occhi incompatibili, e inquesta fase della sua vita quella di Quasimodo è una scelta seccaa favore del primo29.

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nostro spirito – di poeti considerati, ma non sempre a ragione, come uffi-ciali, quali Pindaro e Bacchilide” (in FINZI 1969, p. 291).27 Si tratta del frammento 44 Voigt.28 ANCESCHI (1940), pp. XIX e XX nell’ed. Mondadori del 1985 dei Liricigreci.29 Il Quasimodo post-bellico, com’è noto, tradurrà anche poesia epica (cfr.in generale GIGANTE 1970), e soprattutto chiederà di “dimenticarePetrarca e le sue ossessive cadenze” in favore di Dante, invocando al con-tempo una poesia “di natura corale” che “presume all’epica” (così nelDiscorso sulla poesia del 1954, poi in QUASIMODO 1960).

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La lirica greca ieri e oggi: e Quasimodo?

L’equivoco del ‘lirismo solitario’ è naturalmente un incidente dipercorso ampiamente prevedibile, se si pensa al periodo in cui iLirici greci videro la luce. Ricordiamo le parole di Fortini: la con-dizione di frammento “sottraeva a una lettura storica” quegliantichi testi, e d’altra parte il pubblico era probabilmente prontoa recepire il gusto di un “attonito arcaismo”. Il gusto del fram-mento poetico – per citare un arguto critico – portò Quasimodoa scambiare dei “frantumi” di narrazione – questo sono in certomodo i malconci resti della poesia greca – per “frammenti” liriciautosufficienti, capaci di rivelare sublimi profondità30. Ma qual è,poi, la “lettura storica” della lirica greca? Non sarà il caso di valu-tare l’esperienza di Quasimodo alla luce del mutevole panoramadella critica31?

‘Poesia lirica’ è un’etichetta formata da due parole greche, masi tratta in realtà di una categoria postuma, che comprende l’an-tica poesia giambica, elegia e ‘melica’, ossia cantata, nonché, spes-so, forme di poesia più tarde, come emerge proprio dalla lista dicomponimenti che Quasimodo inserisce nei suoi Lirici. Questeforme di poesia erano chiaramente percepite dai Greci comegeneri distinti, accomunati da somiglianze abbastanza vaghe, nonpiù forti di quelle che intercorrono – per esempio – fra epica edelegia, o fra giambo e commedia. Perfino la ‘melica’, un tipo dipoesia che era generalmente eseguita con l’accompagnamentodella lira, ha poco in comune con la nozione moderna di poesialirica. Per quanto ne sappiamo, la ‘melica’ – il genere di Saffo –fu chiamata ‘lirica’ solo dagli eruditi alessandrini, e la primaapparizione letteraria di questo termine risale addirittura aOrazio, che se ne serve in riferimento alle proprie Odi nonché ailoro modelli greci32.

Certo, alcuni studiosi già negli anni della giovinezza diQuasimodo erano ben consapevoli che in Grecia una ‘poesia liri-

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30 ANGELINI (1940), riportato in LORENZINI (1985), pp. 220-21.31 Le considerazioni che seguono riproducono in forma semplificata ilpanorama critico delineato in CAPRA (2008), cui rimando per bibliografiae ulteriori informazioni.32 Odi, I 1.35-36.

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ca’ modernamente intesa non esisteva affatto33, ma questo non haimpedito che un concetto in ultima analisi romantico di liricainfluenzasse profondamente il comune sentire riguardo alla poe-sia della Grecia arcaica.

Nell’opporre la purezza lirica al discorsivo e mitologicoOmero, Quasimodo e l’amico Anceschi riflettono dunque unpunto di vista comune, che a pochi anni di distanza dalla pubbli-cazione dei Lirici greci avrebbe trovato la sua formulazione piùcelebre nel fortunatissimo libro di Bruno Snell Die Entdeckungdes Geistes. Entstehung des europäischen Denkens bei denGriechen34. Snell interpretò il senso comune quando definì la liri-ca greca “la prima rivelazione della soggettività” dopo l’era ano-nima e ‘oggettiva’ della poesia omerica. Si tratta di una visioneteleologica della civiltà greca ed europea, che vede nella liricagreca un importante passo in avanti lungo un percorso – nonprivo di compiacimenti eurocentrici – che avrebbe portato alladefinitiva “scoperta del pensiero”. I presupposti di questomodello interpretativo, dominante almeno fino agli anniSessanta, si possono riassumere in quattro punti:

– emozione: la lirica è espressione diretta dei sentimenti delpoeta;

– biografismo: la lirica riflette chiaramente le esperienze biografi-che dell’autore;

– letterarietà: la lirica è il prodotto di una scrittura artistica;– evoluzione: la lirica è un’‘era’, che fa da ponte fra epica arcaica

e teatro e filosofia classici.

Di questi quattro assiomi, un tempo quasi indiscutibili e certo lar-gamente operanti anche nel ‘lirismo solitario’ di Quasimodo, oggirimane in piedi ben poco. Come emerge da uno studio più accu-rato delle fonti, spesso l’‘io’ che prende parola nei frammenti dellalirica greca non corrisponde affatto all’‘io’ biografico ed emotivodel poeta, ma può addirittura rappresentare personaggi fittizi –per esempio un frammento di Archiloco, che parrebbe del tuttoin linea con le presunte idee anticonvenzionali del poeta, esprime

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33 Cfr. FÄRBER (1936).34 SNELL (1946).

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in realtà il punto di vista di un certo Carone, un altrimenti scono-sciuto falegname3 5. Per lo più ci mancano i contesti per stabilirechi sia l’‘io’ poetico che di volta in volta si esprime, ma i pochi casinoti suggeriscono molta cautela e mettono fuori gioco la tradizio-nale interpretazione ‘romantica’ di questi componimenti.

La presenza di un ‘io’ fittizio e mobile, del resto, è comunenelle società orali, che si affidano in minima parte alla scrittura,poesia compresa. Questo era precisamente il caso della Greciaarcaica: i canti erano eseguiti con danza e musica, ed è perlomenodubbio che i poeti più antichi si avvalessero della scrittura anchenella fase della composizione. Le poesie si imparavano di bocca inbocca, come in questo bell’aneddoto che riguarda Saffo e Solone:

L’Ateniese Solone, quando a simposio sentì il nipote intonare uncanto di Saffo, ne provò piacere e pretese dal ragazzo che glieloinsegnasse. Poiché qualcuno gli chiese a che scopo lo facesse, luirispose: “Non voglio morire senza conoscere questo canto!”36.

I canti che oggi chiamiamo “lirici greci”, ascoltati e rieseguitimille volte, formano nella testa del cantore un repertorio attivo dielementi poetici che potevano essere sempre riutilizzati nel con-testo inebriante del simposio o in altre occasioni di festa. Inutiledire che siamo lontanissimi dalla poesia silenziosa e libresca cuisiamo abituati noi moderni, destinata a un pubblico ‘scelto’ pernumero e spesso per composizione sociale. Da questo punto divista anche la ‘letterarietà’ – se pure c’è – assume valenze bendiverse da quelle cui siamo abituati.

Infine, anche l’idea di un’‘era’ della lirica si sta rivelando pocofondata. Per esempio, le lunghe narrazioni mitologiche di alcunicomponimenti ‘lirici’ ricordano da vicino le esecuzioni di Femioe Demodoco, gli aedi dell’Odissea37. Archiloco, il primo poeta che

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35 Si tratta del celebre frammento 19 West, ricordato anche da Erodoto(Storie, I 12.2), in cui l’io parlante ripudia le ricchezze di Gige. La men-zione di Aristotele è nella Retorica, 1418b.36 Claudio Eliano, fr. 187. Riprendo questo punto da CAPRA (2007), pp.307-8.37 Per esempio la Gerioneide di Stesicoro o la Pitica IV di Pindaro, proba-bilmente eseguite con la cetra.

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avrebbe rivelato la soggettività lirica, era talora definito un rapso-do, segno che i Greci lo sentivano vicino ai cantori della poesiaomerica. Soprattutto, l’esistenza di canti lirici – compresi cantinuziali e luttuosi – è chiaramente presupposta dai poemi omeri-ci, dunque non è affatto necessario parlare di una ‘priorità’ del-l’epica rispetto alla lirica: è lo stato della documentazione ad aversuggerito una simile immagine; ma, a ben guardare, è probabileche la lirica abbia lasciato tracce nell’epica non meno di quantola seconda abbia influenzato la prima. In generale, poi, la presen-za della narrazione mitica nella lirica appare oggi sempre più rile-vante anche grazie alla scoperta di nuovi testi su papiro che lesabbie del deserto ci stanno via via restituendo. Così oggi cono-sciamo meglio narrazioni a carattere mitologico di poeti ‘lirici’come Simonide, Archiloco nonché della stessa Saffo, con la pub-blicazione recentissima di un nuovo testo che restituisce la suaversione della vicenda di Titono e dell’Aurora, accanto a quellaomerica già nota in precedenza38.

Insieme ai quattro pilastri del modello interpretativo tradizio-nale crolla – è chiaro – anche ogni residua tentazione di vedere neipoeti della Grecia arcaica una forma di ‘lirismo solitario’ ante lit-t e r a m. Il problema delle traduzioni di Quasimodo, quindi, è cul-turale prima ancora che linguistico: di fronte al travisamento radi-cale della n a t u r a del canto dei Greci, certe imperfezioni linguisti-che appaiono davvero poca cosa. Quasimodo appartiene a unmondo libresco irrimediabilmente lontano dai suoi presunti ante-nati greci3 9, e il suo “canto” – perfino quando evoca le celebri“cetre al vento” di Alle fronde dei salici – parrebbe poco più diuna metafora ormai stantia.

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38 Il frammento 58 Voigt di Saffo, infatti, è stato integrato dalla pubblica-zione di un papiro di Colonia (n. 21351): cfr. GRONEWALD e DANIEL

(2004). La versione omerica del mito di Titono è in Inno omerico adAfrodite, v. 218 e sgg.39 Per l’importanza della forma-libro nell’opera di Quasimodo, cfr.SAVOCA (2002). Nel suo importante saggio sul concetto di poesia inQuasimodo, PAUTASSO (1986) giunge a dire che “la vera idea di poesia diQuasimodo può essere identificata […] nell’ideale costruttivo che lasostiene, e che troviamo non nella dimensione della tanto conclamataparola, quanto nell’idea globale di libro” (p. 208).

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Tutto da buttare, dunque? Naturalmente no: una simile conclusione sarebbe profonda-

mente ingiusta, e per più di una ragione. Non solo gli ‘errori’ diQuasimodo sono fecondi per la sua poesia oltre che pienamen-te scusabili per i tempi, ma vedremo alla fine del discorso che ilsuo accostarsi alla lirica greca si è rivelato per certi versi lungi-m i r a n t e .

Traduttore e poeta

Una strategia per rivalutare l’attività di Quasimodo traduttoreconsiste nel sottolineare l’importanza dei Lirici greci nel quadrodella sua produzione poetica originale, che avrebbe tratto bene-ficio dal contatto con la lirica arcaica40. Così, secondo SergioAntonielli le raccolte post-belliche di Quasimodo sono accomu-nate dal fatto che “poeticamente Quasimodo alla guerra s’erapreparato traducendo i greci […] e questa è la data centro dellasua storia”41. Una versione più recente e ingegnosa di questa tesivede nelle Nuove poesie, la raccolta che nel 1942 completa il volu-me collettivo Ed è subito sera, un consapevole riflesso della ‘novi-tà’ dei Lirici greci:

…nel 1940 Quasimodo aveva pubblicato i Lirici greci, dei quali Anceschinella prefazione diceva che “sono poesie di Quasimodo”, insistendo sulcarattere di “novità” di tutta l’operazione (e parlava di “composizionenuova”, “nuova lingua”, “nuova disposizione” ecc.). A questo punto iltitolo Nuove poesie (1942), pur alludendo a un “nuovo” cronologicoposteriore alle Poesie del 1928, è soprattutto una dichiarazione di consa-pevolezza del proprio ruolo di poeta nuovo42.

2 7Quasimodo e i Lirici greci

40 Possibile anche l’itinerario inverso, naturalmente: CANTELMO (1971-73)mostra quanto la prima produzione di Quasimodo abbia influenzato letraduzioni dai lirici (cfr. in particolare p. 338 e sgg.). Impressionante, inparticolare, mi pare il confronto fra Ed è subito sera e la traduzione diMimnermo, 2, “…Fulmineo / precipita il frutto di giovinezza, / come laluce d’un giorno sulla terra”.41 ANTONIELLI (1955).42 SAVOCA (2002), p. 92.

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Così Giuseppe Savoca. Per quanto riguarda lo stessoQuasimodo, l’atteggiamento è ambivalente. Ci sono, è vero, affer-mazioni che vanno nel senso di un reciso rifiuto dell’influenzasulla sua poesia originale delle traduzioni43, ma altrove sembranoaprirsi spiragli che vanno proprio nella direzione indicata poidalla critica:

Dobbiamo tener conto poi del lavoro di riflessione poetica, che siinserisce in quello creativo negli intervalli di silenzio: intendo par-lare delle traduzioni dei poeti antichi e moderni […] Perché lapurezza della poesia di cui s’è parlato tanto in questi anni, non èstata da me intesa come eredità del decadentismo, ma in funzionedel suo linguaggio diretto e concreto. E qui è appunto il segretodei “classici”, dai poeti epici ai lirici: dai greci ai nostri grandipoeti fino a Leopardi […] La benevolenza dei filologi si conquistacol tempo: quando apparvero i miei Lirici greci un pollice versobalenò nel campo della filologia classica, ma ormai la rottura diuna tradizione aulica era avvenuta.

Queste parole, tratte da Una poetica (1950)44, si possono forseinterpretare come un contributo dei Lirici greci in direzione di unlinguaggio più chiaro e concreto, quale è quello delle raccoltepost-belliche. Ma una risposta al problema, naturalmente,dovrebbe emergere sul piano dell’analisi testuale.

Un tentativo di mostrare in concreto l’influenza dei Liricigreci sulla successiva produzione di Quasimodo dovrebbe partirenaturalmente dalla raccolta Nuove poesie, la più vicina cronologi-camente. In questo senso, in un articolo compreso nell’edizioneMondadori dei Lirici greci, Niva Lorenzini riconosce echi deiLirici soprattutto in due poesie, Ora che sale il giorno e Davanti alsepolcro di Ilaria del Carretto:

Sotto tenera luna già i tuoi colli,lungo il Serchio fanciulle in vesti rossee turchine si muovono leggere.Così al tuo dolce tempo, cara, e Sirio

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43 Cfr. QUASIMODO (1957), p. 92.44 Poi in QUASIMODO (1957).

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perde colore, e ogni ora s’allontana,e il gabbiano s’infuria sulle spiaggederelitte. Gli amanti vanno lietinell’aria di settembre, i loro gestiaccompagnano ombre di paroleche conosci. Non hanno pietà; e tutenuta dalla terra, che lamenti?Sei qui rimasta sola. Il mio sussultoforse è il tuo, uguale d’ira e di spavento.Remoti i morti e più ancora i vivi,i miei compagni vili e taciturni.

Finita è la notte e la lunasi scioglie lenta nel sereno,tramonta nei canali.È così vivo settembre in questa terradi pianura, i prati sono verdicome nelle valli del sud a primavera.Ho lasciato i compagni,ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura,per restare solo a ricordarti.Come sei più lontana della luna,ora che sale il giornoe sulle pietre batte il piede dei cavalli!

I corsivi segnalano i punti di contatto che la Lorenzini individuain queste poesie – consecutive nella raccolta! – con due traduzio-ni da Saffo:

Piena splendeva la lunaquando presso l’altare si fermarono:e le Cretesi con armoniasui piedi leggeri cominciaronospensierate a girare intorno all’arasulla tenera erba appena nata (fr. 154 Voigt + 93 Diehl)45

2 9Quasimodo e i Lirici greci

45 Con una disinvoltura che gli è consueta, Quasimodo ha fuso in un unicotesto un frammento certamente attribuibile a Saffo (“Piena … fermaro-no”) e tre versi di incerta attribuzione (Saffo, Alceo o altro poeta lesbio).Questi versi non figurano come autentici nell’edizione Voigt.

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Tramontata è la lunae le Pleiadi a mezzo della notte;anche giovinezza già dilegua,e ora nel mio letto resto sola (fr. 94 Voigt)

“L’accostamento con Saffo” – dice la Lorenzini – “è di nuovoprodigioso, ottenuto questa volta per accoppiamento di immagi-ni (luna-danza, fanciulle-le Cretesi) e iterazione di sintagmi (tene-ra luna-tenera erba, si muovono leggere-piedi leggeri)”, e d’altraparte “lo stupore cresce” se si considera la seconda lirica, cheoffre “una ulteriore prova di traduzione mediante disseminazio-ne del medesimo frammento”46. In questo contesto, vale la penadi ricordare che la traduzione del frammento 94 mutò nel tempo:il greco παρα δ’ ε’′ρχετ’ ω’′ρα è reso con “l’ora fugge” nella ver-sione che abbiamo visto nella lettera alla Cumani, ma poi si tra-sforma nello stupefacente “anche giovinezza già dilegua”, chesuscitò non poche polemiche e una piccata replica diQ u a s i m o d o :

Se tu traduci “l’ora passa ed io dormo sola” continui a darmiun’informazione, dopo quella del tramonto della luna e dellePleiadi. Io non ho preteso di rendere “più autentico” il testo diSaffo, anzi ho cercato di restituirlo nel suo valore originario conun’approssimazione che tende al limite consentito dal nostro lin-guaggio alla cui nuova potenza, se permetti, credo di avere contri-buito un poco in questi ultimi dieci anni di poesia47.

Lungo questa strada, il discorso critico può farsi più serrato eminuzioso: si potrebbe sostenere che proprio la polemica compro-va l’importanza di questo verso per Quasimodo, rendendo così piùprobabili o pregnanti i successivi auto-riecheggiamenti – se tali

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46 LORENZINI (1985), pp. 254-55.47 QUASIMODO e TRAVERSO (1940). Per CANTELMO (1971-73), “ω’′ρα nonha qui il significato indeterminato di ‘tempo’, come sostiene la maggiorparte dei critici, bensì quello di ‘ora’, l’ora fissata per l’appuntamento, ecomunque certamente non quello di ‘giovinezza’, che è un’evidente forza-tura tonale” (p. 327). In realtà, questo punto è tutt’ora molto discusso.Cfr. ALONI (1997), p. 265, nota 2.

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sono, dato il carattere abbastanza generico del lessico come anchedei motivi. Si potrebbe dire che anche in questo caso il rapportocon Saffo è tutt’altro che immediato. Proprio questo verso, con lasua prima traduzione “l’ora fugge”, richiama certe movenze dellapoesia latina4 8, e in particolare – direi – la comune sineddoche dihora per t e m p u s, nonché il celebre tempus fugit di Vi r g i l i o, che giàin Seneca si carica di un forte sovra-senso esistenziale, ed è quindipremessa naturale – nel suo trascendere l’informazione fattuale –per la successiva resa “e già giovinezza dilegua”4 9.

D’altra parte, anche Ora che sale il giorno rivela forse altreinfluenze. Io, per esempio, ci sento il Leopardi del Primo amore,che rimane solo mentre il cavallo, sul far del giorno, porta via lacuginetta di cui il poeta era innamorato5 0, e a conferma di questamia impressione potrei anche addurre un buon indizio esterno: lapiccola sezione leopardiana dell’antologia di poesia amorosa cheQuasimodo pubblicò nel 1957 si apre proprio con il Primo amore,quasi a sottolineare l’importanza che questo componimento – noncerto fra i più noti e amati dalla critica – rivestiva per il nostrop o e t a5 1. Ma è chiaro che altre letture potrebbero evocare altri echiad altri lettori: in questo campo la raccolta delle ‘prove’, se talihanno da essere, rischia di rivelarsi una fatica di Sisifo5 2.

3 1Quasimodo e i Lirici greci

48 Ringrazio Cristiano Dognini per questo spunto. La mediazione esisten-ziale “latina” pare in effetti importante, se è vero che “dai lirici greci mapropriamente dai latini, soprattutto da Virgilio e da Catullo, Quasimodoriprende l’uso dell’avverbio già per affidare ad esso i nostalgici e malinco-nici pensieri del fuggire della vita, come senso naturale di essa; del passag-gio delle stagioni, dell’apparire e sparire degli eventi naturali” (TEDESCO

1977, pp. 106-7).49 Per tempus fugit cfr. Virgilio, Georgiche, III 284; Seneca, Epistole aLucilio, 108.24. Sui loci paralleli e sulla fortuna di espressioni comeTempus fugit e Ruit hora, cfr. le informatissime osservazioni di TOSI (1991)alle voci relative.5 0 C f r. in particolare i vv. 40-42: “Senza sonno io giacea sul dì novello / E idestrier che dovean farmi deserto / Battean la zampa sotto al patrio ostello”.51 QUASIMODO (1957), p. 521 e sgg. Al Primo amore, fanno seguito sei altricomponimenti di Leopardi: La sera del dì di festa, La vita solitaria, Allasua donna, Le ricordanze, Amore e Morte, Aspasia.5 2 In Quasimodo si sono cercate le influenze più disparate. Già perGiuseppe Zagarrio, per esempio, in Quasimodo confluivano “la Sehnsucht

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Vigne, tende e fiumi nelle terre dell’est

Con le traduzioni di Quasimodo, nelle loro successive stratifica-zioni e attraverso la molteplice rete di potenziali influssi sulla pro-duzione originale del poeta, il gioco intertestuale si fa duro. Orache i fondi delle traduzioni inedite del poeta stanno venendo allaluce53, c’è da aspettarsi un’agguerrita fioritura di simili studi, sedavvero l’interesse per le traduzioni di Quasimodo è destinato auna “vera e propria renaissance”54. Le possibilità di ricerca sonoenormi, forse anche troppo, e preferirei concludere su una nota– diciamo così – meno intertestuale e più umana, anche se indu-giare sul rapporto della poesia con la realtà piuttosto che con altritesti è un’operazione decisamente fuori moda. Nella sua metico-losa analisi la Lorenzini trascura un dettaglio che mi pare belloricordare: la lirica per Ilaria del Carretto è la trasposizione poeti-ca di una giornata felice, una gita in bicicletta che Quasimodo eMaria Cumani fecero insieme a Lucca55, e anche la successiva Orache sale il giorno si rivolge evidentemente a lei. In questo senso, èdel tutto naturale e umano che riemergano le atmosfere saffiche– non so se valga la pena di parlare di veri e propri intertesti –delle lettere notturne che Quasimodo aveva scritto alla sua a m a t amentre traduceva i L i r i c i. È, questo, il segno di un’identificazio-ne viscerale di Quasimodo con la poetessa di Lesbo, che nella suafantasia – l’abbiamo visto – abitava addirittura “di fronte alla suaterra”. Ma Saffo e la poesia greca, anche negli anni successivi, tor-narono alla memoria del poeta.

La stessa atmosfera d’amore notturno, in un silenzio rottodalla voce dell’antica poesia, riemerge anche nella raccolta

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hölderliniana e il parmenidismo di Valery, la volontà dell’identico propriadell’ermetismo e l’eresia della purezza mallarmeana; ma si aggiunga, percompletare il quadro delle confluenze, il richiamo suggestivo dell’idillioclassico (e meglio teocriteo-alessandrino) e quello dell’avventurosa simbo-logia biblica (ZAGARRIO 1969, p. 55). Per una galleria di poeti la cui pre-senza è riconoscibile in Quasimodo, cfr. tutta la sezione “Poesia e poetinella cultura quasimodiana” in FINZI (1986), pp. 391-486.53 Cfr. SANTI (1999) e RIZZINI (2002).54 Così si esprime CONDELLO (2005), p. 84, nota 1.55 Cfr. QUASIMODO (1969).

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Giorno dopo giorno, che pure segna l’apertura del poeta ai temicivili, con una voce più ‘pubblica’. Ecco 19 gennaio 1944:

Ti leggo dolci versi d’un antico,e le parole nate fra le vigne,le tende, in riva ai fiumi delle terredell’est, come ora ricadono lugubrie desolate in questa profondissimanotte di guerra in cui nessuno correil cielo degli angeli della morte,e s’ode il vento con rombo di crollose scuote le lamiere che qui in altodividono le logge, e la malinconiasale dei cani che urlano negli ortiai colpi di moschetto delle rondeper le vie deserte. Qualcuno vive.Forse qualcuno vive. Ma noi, qui,chiusi in ascolto dell’antica voce,cerchiamo un segno che superi la vita,l’oscuro sortilegio della terradove anche fra le tombe di maceriel’erba maligna solleva il suo fiore.

Non è chiaro chi sia l’“antico” dai versi dolci, ma si tratterà pro-babilmente di Alceo, o ancora una volta di Saffo: così lascia pen-sare l’accenno alle “terre dell’est”56, né deve ingannare la formamaschile “antico”, dato che anche nelle lettere a Maria CumaniQuasimodo chiamava Saffo “il poeta”.

Siamo quindi di fronte alla trasposizione poetica di quell’at-mosfera notturna così evidente nelle lettere a Maria Cumani. C’èperò la novità lugubre della guerra, sicché – per dirla con paroleformidabili – “quello che era il chiuso sfero cosmico della ‘paro-la’ diventa come un aperto rifugio antiaereo, un’arca biblica sulfurioso pelago della guerra”57. È una novità che ha una conse-guenza importante anche sul modo in cui Quasimodo si rappor-ta alla lirica greca. Se nelle lettere emergeva un’identificazione

3 3Quasimodo e i Lirici greci

56 Questo dettaglio mi pare escluda l’identificazione dell’“antico” conVirgilio proposta da MACRÌ (1986), p. 24.57 Ibidem.

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totale con il “grido desolato” di Saffo, qui invece il rapporto si faanche oppositivo: i “dolci versi” del poeta antico, nati all’ariaaperta nello splendore di un paesaggio greco ora correttamentecollocato a “est”, riemergono come un corpo estraneo nel conte-sto chiuso e lugubre dei bombardamenti di Milano, e recano unaparola di salvezza58. È, finalmente, il riconoscimento di un’alteri-tà della poesia antica: uno spunto molto interessante, specie se loconfrontiamo con le tendenze più recenti e avvertite della ricercasulla lirica greca antica. Quella greca, infatti, è anche poesia “dispazi ampi inondati di sole”:

La lirica greca arcaica è vincolata ai luoghi e alle stagioni.Archiloco è la primavera dei riti di Paro e la nebbia che nascondele coste di Tracia, Alcmane è la valle dell’Eurota, Saffo è una col-lina poco più elevata della nave-città del suo conterraneo Alceo,Ipponatte è la fila di navigli che affolla il porto di Efeso, Bacchilideè anche l’agorà di Atene59.

Così Massimo Vetta, uno dei maggiori studiosi di lirica greca.Quasimodo cominciò a poetare in anni in cui furoreggiava la

nozione di purezza lirica, eppure la presenza forte e sensuale deipaesaggi – a partire da Acque e terre – è presente fin dalle sueprime poesie, che anzi egli poi sottopose a un processo di ‘puri-ficazione’, eliminando progressivamente i toni più sapidi di “acreverismo”60. L’ispirazione poetica di Quasimodo è fin dai primianni fortemente legata ai luoghi, alle lunghe cavalcate nella natu-ra selvaggia del Sud cui lo costringeva il suo mestiere di ingegne-

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58 Da questo punto di vista, il “segno che superi la vita” vale a “ipotizzareuna vittoria sulla morte e sul male”, sicché “la poesia di Quasimodo – adifferenza di quella di Montale – crede nella possibilità di trovare ‘la paro-la che squadri da ogni lato’, ‘la formula che mondi possa aprirti’ e si affi-da al recupero dell’antica voce per decifrare ‘l’oscuro sortilegio dellavita’” (FERRI 1986, p. 67).59 VETTA (1999), p. 5.60 TONDO (1971), p. 17. L’autore offre un’ottima analisi del processo diautocensura che Quasimodo esercitò su se stesso nel riproporre e modifi-care – di raccolta in raccolta – le sue poesie, da Acque e terre fino a Ed èsubito sera (diversi testi della prima raccolta sono qui del tutto eliminati).

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re civile, dalle luci di Acque e terre fino al “disfacimento acquati-co e vegetale” – sono parole di Elio Vittorini – di Oboe sommer-so61. Il processo continua con le traduzioni, se è vero che “laSicilia insieme autobiografica e mitica della prima poesia quasi-modiana conduce alla Grecia ideale e metastorica dei lirici”62.Con il passare degli anni, poi, questa ispirazione paesaggistica sidiscioglierà in un nuovo senso della fratellanza umana – anchedopo la guerra, che anzi contribuisce a fare del suo sentimentodella natura un fatto non più privato, ma condiviso63. E questasua vocazione riemerge qui in una visione nuova della poesia diSaffo, che diviene una poesia di luoghi aperti.

Ora, che questa sia la vera cifra della poesia di Saffo è preci-samente la conclusione cui giunge la più recente, importantissimamonografia dedicata alla poetessa di Lesbo: un lavoro che al ter-mine di un’impeccabile analisi filologica chiarisce in maniera,credo, definitiva il carattere ‘aperto’ delle occasioni e dei luoghidella sua produzione poetica64. Del resto, perfino l’ombrosoEschilo solitario, caro al poeta, non è immune da queste apertu-re ‘solari’. Nel commentare una rappresentazione al teatro grecodi Siracusa (1948), Quasimodo indugia sull’atteggiamento ‘popo-lare’ del pubblico, armato di gazzose, ceci abbrustoliti e cappellidi paglia, fino a dire che “Eschilo avrebbe pianto di gioia e di rab-bia a un simile spettacolo. Io avevo visto il popolo dell’anticaGrecia a una festa dionisiaca”65.

Come si vede, nel caso di Saffo, in certo modo, l’occhio delpoeta ha preceduto quello dello studioso, e in quest’ottica i dis-

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61 VITTORINI (1932).62 CANTELMO (1971-73), p. 320.63 Come osserva Robert Vivier, “È in quell’infanzia e in quella Sicilia, i cuibagliori illuminavano l’oscurità lirica delle prime raccolte, che si trovanole fonti alle quali Quasimodo ha attinto il senso umano reclamato dal-l’istante storico in cui fu precipitato. Ricco di questo tesoro intimo ilpoeta, invece di ripiegarsi nell’ermetismo individuale sempre più distac-cato e prezioso, è andato verso i suoi fratelli […] Il poeta innamoratodella vita […] ha scoperto che nelle cose dell’esistenza non questione di‘io’ ma di ‘noi’” (VIVIER 1959; citato in MUNAFÒ 1973, p. 213).64 FERRARI (2007).65 QUASIMODO (1961), p. 96.

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sapori fra Quasimodo e i filologi possono essere visti in una pro-spettiva più equilibrata66. Del resto, la conoscenza del greco,carente in Quasimodo, è un’arma a doppio taglio, come di recen-te ha sottolineato Diego Lanza nei Greci di Einaudi, forse la piùimportante sintesi sulla civiltà greca apparsa in questi anni:

“Non mi interessa imparare le lingue dei morti!” sentii dire unavolta a un ragazzo di vivace intelligenza e di ricchi interessi cultu-rali che aveva deciso di abbandonare il liceo classico. E lingua deimorti piuttosto che lingua morta è appunto il greco che si preten-de i giovani ingeriscano, prima ancora di aver loro parlato deiGreci, dei legami ereditari che ci uniscono a loro, e insieme dellafatica per arrivare a intenderne almeno un poco i linguaggi; ilgreco come strumento di iniziazione, il suo alfabeto e la sua gram-matica come arcano sistema cifrato di superiore sapienza. E conquale esito? Per scoprire poi che in quella lingua di translucidairreale razionalità, della quale diventa difficile immaginare il bana-le uso della comunicazione quotidiana, gli antichi non esprimeva-no che i nostri concetti più logori, condividevano le nostre più fru-ste convinzioni, covavano le nostre più comuni preoccupazioni, inuna parola non erano quasi in nulla diversi da noi. Ma questiGreci, ricostruiti a misura di scrupoloso grecista, questi Greci dav-vero meglio sarebbe non si fossero mai conosciuti, o, se conosciu-ti, li si dimenticasse al più presto67.

In queste parole, suggerite da una scaltrita dimestichezza conl’antropologia culturale, sembra di risentire le ingenue proteste diQuasimodo contro i grecisti suoi detrattori: entrambi sottolinea-no il rischio corso da certi studiosi fin troppo dotti, le cui cono-scenze tecniche in qualche caso si rivelano inutili o addiritturacontroproducenti nel riconoscere quanto di interessante e diver-so si nasconde nei resti di una civiltà lontana nel tempo ma anchenella mentalità. E così, tipicamente, alcuni studiosi o traduttoriamano figurarsi i poeti della Grecia arcaica come poeti-filologi,mossi dai loro stessi raffinati interessi letterari.

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66 Peraltro, non sono ovviamente mancati filologi che hanno tributatogrande stima a Quasimodo e alle sue traduzioni. In questo senso è impor-tante il libretto di GIGANTE (1970).67 LANZA (2001), p. 1464.

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Consideriamo le traduzioni di Quasimodo e Pontani di unostesso frammento di Anacreonte:

η’ ϕρι′στησα µεν ι’τρι′ου λεπτου µικρον α’ ποκλα′ ς,οι’′νου δ’ ε’ξε’πιον κα′ δον⋅ νυν δ’ α‘ βρως ε’ρο′εσσαν ψα′λλω πηκτι′δα τηι φι′ληι κωµα′ζων †παιδι α‘ βρηι†.

Cenai con un piccolo pezzo di focaccia,ma bevvi avidamente un’anfora di vino;ora l’amata cetra tocco con dolcezzae canto amore alla mia tenera fanciulla.

Ho spezzato un frammento di focaccia sottile,ho scolato un orciolo di vino: il mio pranzo.Ora faccio vibraremollemente la mia cetra d’amore,canto la serenata alla ragazza.

Quasimodo si fa subito riconoscere con un grave ‘errore’, se taleè68: il verbo che traduce con “cenai” (η’ϕρι′στησα) indica il pran-zo o la colazione, e forse altre imprecisioni si potrebbero trovare– al di là del fatto che il testo dell’ultimo verso è corrotto, e quin-di ogni traduzione è necessariamente incerta. La dizione è digrande semplicità69, quasi prosastica70, e il ritmo della traduzione,nei suoi quattro versi, ha un che di paratattico, con un’elementa-

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68 Giustamente, CANTELMO (1971-73) osserva che è in generale “assai dif-ficile discernere dove l’inadeguata preparazione filologica ceda alla liber-tà dell’interpretazione poetica, intento fondamentale, se non esclusivo,del nostro traduttore” (p. 327).69 Per la “sistematica eliminazione o attenuazione di ogni tratto testualeeccessivamente connotato sul piano fisico o concreto” vedi CONDELLO

(2005), la cui analisi, pur dedicata alla traduzione quasimodiana delleCoefore di Eschilo, mette in luce – attraverso il confronto con le versionidi Pasolini e Sanguineti – tendenze specifiche del Quasimodo traduttoreoperanti in larga misura anche nei Lirici. Un confronto di traduzioni ‘atre’, questa volta da Catullo (Carducci, Pascoli e Quasimodo), è propostoanche in DE L L A CO RT E (1989), che indugia sulla nota rottura diQuasimodo con il classicismo aulico.70 Per MACRÌ (1956) questa traduzione è un esempio del “prosaismo com-pleto delle ultime letture, che non s’arresta dinanzi alle allitterazioni più

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re giustapposizione delle quattro azioni riferite a cibo, bevanda,musica e canto d’amore: pare il titolo del film Mangiare, bere,uomo, donna71, un inno alla semplicità della vita nei suoi piùimmediati elementi costitutivi. Per converso, la traduzione diPontani rivela ‘finezza’ lessicale (“orciolo”, “focaccia sottile”) e sipresenta come un intarsio sincopato di settenari, endecasillabi ealtro ancora72, con l’isolato “il mio pranzo” a invertire l’ordinedelle informazioni, ritardando così, concettosamente, la com-prensione dell’intera sequenza.

Ma quale delle due traduzioni esprime meglio l’originale?Difficile dirlo, naturalmente, però è bene sottolineare il contrastotra la semplicità ritmica e lessicale di Quasimodo e la meticolosaorditura metrico-stilistica di Pontani, il quale non a caso defini-sce Anacreonte “un poeta letteratissimo, che sconta in sé le espe-rienze degli epici e dei monodici eolici e si staglia nel quadro dellalirica arcaica per una risorsa di elegante stilizzazione che preludeagli alessandrini”73. Ora che il carattere orale della cultura arcai-ca greca è una definitiva acquisizione della critica, una simileaffermazione appare quasi surreale: come immaginare un poeta“letteratissimo” in un mondo senza libri? Ricordiamo Solone,pronto a imparare Saffo da un compagno di bevute. Almeno inquesto caso, l’‘ingenuo’ Quasimodo, che il greco lo imparò tardi-vamente e quasi da autodidatta, sembra aver trovato con la poe-sia arcaica una sintonia cui neppure la perfetta padronanza delgreco di Pontani è riuscita a pervenire74.

In conclusione, non può stupire il successo, anche popolare,

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ingrate (‘piccolo pezzo … folte di fiori … piena più’)…” (p. 133). La tra-duzione del 1940 di questo verso suona invece “Cenai con un pezzo dimagra focaccia”.71 Il titolo del film di Ang Lee (Yin Shi Nan Nu, Taiwan 1994) riprende unproverbio cinese sulle necessità primarie della vita.72 Si noti l’astuto enjambement “Ora faccio vibrare / mollemente la miacetra d’amore”: con “mollemente”, il settenario del primo verso si com-pleterebbe in un perfetto endecasillabo, lasciando dopo di sé un nuovosettenario (“la mia cetra d’amore”). Ma Pontani ha preferito la scaltritaaritmia di un verso formato da undici sillabe (“mollemente la mia cetrad’amore”) con accenti non canonici in terza e settima sede.73 PONTANI (1969), p. 177.74 Per questa vicenda di apprendimento tardivo, cfr. FINZI (1971), p. XCI.

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di Quasimodo: ancora di recente, i Lirici greci sono stati ripubbli-cati a grande tiratura75; più in generale – almeno per un certoperiodo – egli è stato “di gran lunga il poeta italiano più tradottoe quindi più letto nel mondo”76. Le valutazioni, poi, sono un fattodi gusto e di criteri che a me paiono soggettivi, ma se non altrol’operazione di Quasimodo può dirsi riuscita nel senso che haraggiunto – ne è convinto il poeta, e non a torto – il suo destina-tario ideale, lontano dagli “alessandrini con le corazze dei simbo-li e delle purezze mistiche”77:

I Lirici greci, e fu il principio di una più vera lettura dei classici intutta l’Europa, entrarono nuovi nella generazione letteraria di queltempo. Questi giovani, sapevo, scrivevano lettere d’amore citandoversi delle mie liriche, mentre altri ne apparivano sui muri delleprigioni, segnati dai condannati politici78.

Mutatis mutandis, la poesia torna a essere un fatto quotidiano epotenzialmente di tutti, come nella Grecia arcaica79: potrà piace-re o no, ma in questo davvero Quasimodo – pur fra civetterie emalintesi su cui è facile ironizzare – ha “dato poesia agli uomini”,per citare le ultime parole di Cesare Pavese. E così l’“operaio deisogni”, come il nostro ‘siculo’ amava definirsi, si è dimostrato inquesto veramente ‘greco’.

3 9Quasimodo e i Lirici greci

75 QUASIMODO (2004).76 BERTI (1955); citato in MUNAFÒ (1973), p. 242.77 QUASIMODO (1960).78 Ibidem. Altre testimonianze, del resto, confermano questa immagine.Ricorda Luciano Erba, al tempo della guerra, i lettori che “conoscevanoaddirittura a memoria le poesie di Acque e terre […] Ricordo, come fosseora, il risveglio da un giaciglio di fortuna accanto a dei compagni, sbanda-ti come me dopo l’8 settembre del ’43, e uno di questi che a memoria,quasi recitasse una preghiera, ci diceva i primi versi di Acquamorta…(ERBA 2002, p. 97).79 Forse non è casuale che la critica, fra gli apporti della traduzione deiLirici alla poesia originale di Quasimodo, abbia riconosciuto anche “la piùprecisa determinazione del linguaggio, i più precisi riferimenti geografici,una più equilibrata composizione dei motivi vita-morte e memoria-storia,un più costante approdo al ‘quotidiano’ che cominciava a mostrarsiminaccioso sull’Europa e sul mondo” (MUNAFÒ 1973, p. 37).

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