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I PROBLEMI COLLEGATI ALLE VESSAZIONI PSICOLOGICHE NEL MONDO DEL LAVORO: COSTRITTIVITÀ, STRAINING, MOBBING, STALKING, MOLESTIE SESSUALI, BULLIYNG ED HAZING 6 SOCIETÀ EDITRICE UNIVERSO ROMA QUADERNI DI MEDICINA ED IGIENE DEL LAVORO, SICUREZZA E PREVENZIONE AGOSTINO MESSINEO

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Editors “Quaderni di Medicina ed Igiene del Lavoro, Sicurezza e Prevenzione” Agostino Messineo Iª Edizione 2012

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1Normativa, prevenzione ed attuazione della prevenzione incendi1Il primo soccorso in azienda

I problemI collegatI alle vessazIonI psIcologIche

nel mondo del lavoro: costrIttIvItà, straInIng, mobbIng,

stalkIng, molestIe sessualI,bullIyng ed hazIng

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Società editrice UniverSoR O M A

QUaderni di Medicina ed igiene del lavoro, SicUrezza e Prevenzione

agoStino MeSSineo

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Quaderni di Medicina ed Igiene del Lavoro, Sicurezza e Prevenzione2

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Iª Edizione 2012

Editors “Quaderni di Medicina ed Igiene del Lavoro, Sicurezza e Prevenzione”

Agostino MessineoDirettore Dipartimento di Prevenzione ASL RMH

Luigi MarsellaProfessore Associato di Medicina Legale, Università di Tor Vergata, Roma

voLuMe 6 : “I problemi collegati alle vessazioni psicologiche nel mondo del lavoro: costrit-tività, straining, mobbing, stalking, molestie sessuali, bulliyng ed hazing”

Agostino Messineo, Direttore Dipartimento di Prevenzione ASL RMH

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3Normativa, prevenzione ed attuazione della prevenzione incendi

Presentazione della Collana

L’esigenza di affrontare in modo chiaro ed agevole le tematiche della sicurezza, dell’Igiene del Lavoro, della Prevenzione e della Sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro è oggi sentita in modo particolare come del resto la necessità di acquisire nozioni facilmente comprensibili ed interdisciplinari su vasti aspetti che interessano le attività di prevenzione.

Studenti, RSPP, RLS, specializzandi chiedono scorrevolezza e sintesi per meglio e più rapidamente apprendere. Eccessiva frammentazione - a volte anche la estrema specializzazione delle competenze - possono talora indur-re, se non si attuano politiche di lavoro integrate, a qualche sovrapposizione di attività, forse ritardi nella efficacia delle azioni, addirittura incremento della spesa. La collana che presentiamo, lungi dall’offrire un panorama approfondito ed esaustivo su tutti i complessi aspetti delle tematiche affrontate, percorre la strada della tradizione anglosassone (“secrets”) e delle nozioni “sintetiche” fornite a precise domande,nell’intento di offrire la massima chiarezza per i lettori. La semplicità del linguaggio e l’apporto di varie componenti professionali su svariati temi di prevenzione, voglio-no sollecitare ed essere nello stesso tempo una riflessione, ove possibile interdisciplinare, sui diversi aspetti delle attività di prevenzione nell’am-biente e nei luoghi di lavoro. Sono coinvolti in questo tentativo Medici del Lavoro, Igienisti, Giuristi, Ingegneri, Biologi, Chimici, Fisici, che - di volta in volta - saranno chiamati a contribuire per la disamina di aspetti di comune e specifica competenza. Ma, essendo questo un esperimento - per di più a qualche valenza didattica per RSPP, studenti dei Corsi di Laurea delle Professioni sanitarie, medici in formazione e cultori della prevenzione

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in generale - vorranno i lettori scusare le ripetizioni, spesso ineludibili in capitoli redatti a più mani e talune scelte didattico-iconografiche o anche errori involontari nei testi di stampa ... basterà a giustificare il tentativo, il conforto anche di una modesta utilità del modello didattico formativo come complemento ed integrazione di quanto già operato dalla tradizionale educazione e formazione professionale.

La tematica delle vessazioni, incluse quelle che occorrono durante il lavoro è oggi di rilevante attualità per l’accresciuta sensibilizzazione dei lavoratori, per l’esigenza maggiore di etica e per l’evoluzione dei rapporti sociali. Ad esempio, lo stalking, che può realizzarsi anche a prescindere dall’esistenza di vincoli di lavoro, per l’allarme sociale che ha determinato, è stato oggetto di una recente modifica al codice penale. Tutte le vessazioni, comunque, possono essere determinate anche da condizioni stressogene e possono a loro volta generare stress in chi le soffre. Nel presente volume vengono affrontate le diverse situazioni disfunzionali analizzandole come risposta a particolari problemi dell’organizzazione del lavoro e della gestione del management aziendale .

“Mobbing” “straining” “hazing” “stalking” e “bullying” sono quindi trat-tati in modo separato rispetto allo stress (oggetto di altra apposita pubbli-cazione), pur essendo tutte condizioni inevitabilmente ad esso collegate.

Agostino Messineo

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1Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro 1Il primo soccorso in azienda

I problemI collegatI alle vessazIonI psIcologIche

nel mondo del lavoro: costrIttIvItà, straInIng, mobbIng, stalkIng, molestIe sessualI, bul-

lIyng, ed hazIng Agostino Messineo

Quali sono le premesse per la comparsa di gravi disfunzioni organiz-zative nel mondo del lavoro?

L’interesse per i rischi di natura psicologica sul lavoro è progressiva-mente aumentato negli ultimi anni, ed è stato puntualmente registrato da parte dell’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza nei Luoghi di Lavoro (EU-OSHA) che ha evidenziato l’emersione dei rischi di natura psicosociale, definiti come aspetti che riguardano la progettazione del lavoro e di or-ganizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono arrecare danni fisici e psicologici” (Cox, Griffith, 1995).

Le previsioni abbastanza allarmanti, fanno riferimento alle conseguenze importanti dei cambiamenti globali in termini di trasformazioni tecniche e organizzative nei posti di lavoro. In particolare sono 5 gli aspetti da consi-derare per comprendere le dinamiche aziendali europee e, più in generale, gli scenari presenti e futuri del lavoro:

• Sono sempre più frequenti nuove forme di contratti con correlata quota di insicurezza del posto di lavoro: la tendenza verso l’utilizzo di precari, di personale part time, di una elevatissima mobilità per rende-re la produzione sempre più snella, ricorrendo anche all’outsourcing e alla delocalizzazione, aumentano stress e insicurezza.

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• È consistente l’invecchiamento della forza lavoro: il tempo della pensione si allunga in tutta Europa, i processi di lavoro cambiano e spesso le opportunità di formazione per adeguarsi ai cambiamenti mancano, aumentando pressione mentale ed emotiva dei lavoratori più anziani

• Vi è correlata intensificazione del lavoro: mantenere l’occupazione può significare gestire un carico di lavoro sempre maggiore, con più pressioni, maggiore competizione e meno sicurezze

• È sempre più elevato il coinvolgimento emotivo sul lavoro: il tema delle molestie e della violenza sul lavoro, problema non nuovo, riguarda tutti i lavoratori di tutti i settori, ed è fonte di grandi pressioni emotive.

• Si accentua lo scarso equilibrio tra vita privata e lavoro: la difficoltà ad adeguare il proprio tempo con le continue pressioni e carichi di lavoro variabili e imprevedibili genera spesso conflitti tra esigenze professionali e vita privata.

La situazione attuale è caratterizzata da un mercato globale che impone il massimo rendimento per le imprese e un’alta flessibilità del lavoro, ma allo stesso tempo, per le cresciute esigenze di salute e di tutela, è anche connotata da un assai forte richiamo ad alti standard di salute, di prevenzione e di sicurezza sul lavoro.

La sostenibilità tra produttività e tutela dei lavoratori è vista da alcuni come una sfida difficile da vincere a causa degli alti costi della sicurezza. Il costo della prevenzione, stimato in oltre 60.000 miliardi di vecchie lire nei primi anni del 2000 ed una legislazione ormai ridefinita recentemente, non sono riuscite a limitare in modo significativo l’alto numero di infortuni (tre vittime al giorno) e l’aumento delle malattie professionali. Vi è poi una tendenza all’assenteismo sempre più legato ad aspetti di stress sul lavoro. L’Agenzia Europea prevede che nel 2020 oltre 20 milioni di lavoratori europei soffriranno di patologie legate ai rischi psicosociali, quali disordini affettivi, dipendenze (alcool, sostanze,..), ipertensione, disturbi metabolici, disturbi muscolo-scheletrici con ripercussioni e danni anche per il sistema azienda in termini di assenteismo, maggiore turn over, infortuni, maggiori ritardi, maggiori costi, minore produttività.

In Italia, un’indagine ISTAT-Inail del 2008 sulla percezione dei rischi nel proprio ambiente di lavoro documentava che il 40% dei lavoratori riteneva di essere stato esposto a rischi che avrebbero potuto pregiudicare l’equili-brio psicologico, in particolare l’eccessivo carico di lavoro, manifestazioni di prepotenza e discriminazione o di minacce o violenze fisiche.

Nel Rapporto Inail del 2010 si affronta il tema di nuovi casi di malattia definiti disturbi psichici da stress lavoro-correlato, (documentati da 500

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3Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

denunce l’anno nell’ultimo quinquennio) e si evidenzia il fatto che le de-nunce vanno considerate sottostimate, “sia per la difficoltà di distinguere, in fase di denuncia e prima codifica, la specifica patologia psichica, sia in virtù di confronti con quanto registrato al riguardo da altri organismi e osservatori”.

Oggi la normativa di sicurezza ed igiene prevista dal Dlgs 81/2008 e succes-sive modifiche ed integrazioni, obbliga tutte le aziende, pubbliche e private, ad una adeguata valutazione di tutti i rischi da lavoro compresi quelli di tipo psicologico e all’adozione di misure correttive e di prevenzione, in particolare formazione, informazione e partecipazione dei lavoratori, atte all’eliminazione o alla riduzione al minimo dei rischi riscontrati.

Una prima riflessione in merito riguarda la prevenzione, in ordine alla quale le misure procedurali ed organizzative stabilite dalle stesse aziende nel documento di Valutazione dei Rischi sono spesso disattese oppure non del tutto attuate. L’impegno formativo e il coinvolgimento dei lavoratori spesso non rientra nelle scelte strategiche aziendali ed è frequentemente causa di conflittualità sul posto di lavoro.

D’altra parte gli interventi di vigilanza, in particolare sugli aspetti legati allo stress e ai rischi di natura psicologica, sono generalmente sporadici, conseguenti a segnalazioni del lavoratore o del suo legale (raramente del MC – a volte delle OO.SS), effettuati su delega della AG e solo in minima parte svolti d’iniziativa: inoltre, ad esempio per mobbing e vessazioni, sono controlli difficili e complessi, sovente caratterizzati da inadeguata docu-mentazione e con poche testimonianze, comportano lunghe indagini ed un esame di documenti amministrativi e dei CC.N.L. con riguardo a questioni che possono essere interpretate in modo non univoco.

La prevenzione è alla base della gestione di tutti i rischi, soprattutto di natura psicosociale, e prevede innanzi tutto una grande capacità di dialogo tra lavoratori e dirigenti, investimento in formazione e nella comunicazione, definizione di protocolli e codici etici da condividere e rispettare,trasparenza, cultura di valori.

DL, RSPP ed Organi di Vigilanza devono certamente svolgere la loro fun-zione di controllo sulla corretta attuazione delle norme di igiene e sicurezza e sulla reale partecipazione, informazione e formazione dei lavoratori. Ma la prevenzione richiede spesso un cambiamento del management nello stile di leadership, nella cultura organizzativa e in particolare nelle modalità di gestione dei conflitti.

È infatti interesse del Datore di Lavoro, impegnarsi nella prevenzione dei conflitti e della loro escalation: la formazione del management dovrebbe

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pertanto prevedere anche l’acquisizione di specifiche tecniche per l’analisi e la gestione della conflittualità e dello stress in azienda. In altri termini un manager deve essere in grado di prevenire le situazioni di disagio orga-nizzativo e di cogliere i segnali precoci di disagio nell’azienda, riconoscere gli indici che possono causare eventi stressogeni ed eventuali processi di mobbing, intervenire eventualmente anche con strategie organizzative migliorative impedendo il deterioramento delle strategie di coping verso forme distruttive e inefficaci.

costrittività organizzativeCosa sono le costrittività organizzative?

L’espressione “costrittività organizzativa” si riferisce all’insieme di azioni e decisioni relative all’organizzazione e allo svolgimento del lavoro, riguar-danti un singolo od un gruppo, che introducono in modo ingiustificato degli elementi di sofferenza emotiva nello svolgimento della funzione lavorativa (P. Pappone).

Le “costrittività organizzative” riguardano gli aspetti riconducibili all’orga-nizzazione aziendale delle attività lavorative, e in particolare a scelte aziendali incongruenti con il normale svolgimento delle attività professionali, che possono produrre disturbi psichici nei lavoratori.

Tali scelte per essere definite incongruenti, devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa.

Esempi di questo tipo di azioni sono (come da circolare Inail n. 71/2003):• Marginalizzazione dall’attività lavorativa• Svuotamento delle mansioni• Mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata• Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro• Ripetuti trasferimenti ingiustificati• Prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo

professionale posseduto• Prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in

relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici• Impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie

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• Inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro

• Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale

• Esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.Secondo alcuni autori (Pappone et al., 2004) la costrittività organizzativa

individua un ambito che possiamo considerare intermedio tra le condizioni di stress organizzativo e le azioni di mobbing, tanto da generare la sensa-zione di essere costretto a condizioni che non rispondono allo scopo della funzione lavorativa.

In tal senso, altri esempi di costrittività organizzativa sono caratterizzati da:

• imposizione di prescrizioni di ritmi, turni o labilità stessa delle pre-scrizioni

• imprecisione delle informazioni e scarsa comprensibilità• eccessiva formalizzazione• ruoli scarsamente definiti• elevata quantità di verifiche e controlli• assegnazione di compiti non corrispondenti alle conoscenze e alle

abilità• scarsa valutazione delle prestazioni• scarsi compensi o incentivi• insufficienza di addestramento e di formazione• scarso sviluppo delle capacità professionaliLe costrittività organizzative possono limitare il benessere, aumentare

lo stress, favorire forme alterate di organizzazione del lavoro.Molte azioni, comportamenti, disposizioni, limitano l’autonomia e la

libertà del lavoratore e sono tali da poter creare disagio se non compensate opportunamente da benefici o strategie comportamentali (coping).

Costrittività per struttura dei compitiBanalità o scarso significato del compitoEccessiva complessità del compitoRigida ed elevata separazione dei com-pitiRigida determinazione dei tempiEccessiva uniformità e ripetitività delcompitoRipetitività di compiti molto semplici

Ripetitività di compito semplice che richie-de attenzioneEccezioni non note nei compitiElevata velocitàNon accettabilità dell’interruzioneEccessiva mutevolezza o varietà deicompiti

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Le costrittività organizzative si differenziano dalle azioni di vessazione e di intimidazione fatte sul luogo di lavoro ma di natura interpersonale, cioè non direttamente legate alla posizione lavorativa. Può appartenere al tema delle costrittività organizzative il mobbing strategico. È chiaro che il confine tra mobbing e costrittività è spesso molto labile, e necessita come già indi-cato sopra, di un’analisi molto attenta del contesto organizzativo, oltre che di dati oggettivi riscontrabili.

mobbing e vessazioni sul lavoro1

Quale è l’origine del termine mobbing?

Il termine mobbing deriva dal verbo inglese “to mob”, che significa assalire, affollarsi intorno a qualcuno. È un termine usato da pochissimo tempo riguardo al contesto qui preso in esame: il luogo di lavoro.

Konrad Lorenz, un etologo, usò per primo questa parola con l’intento di descrivere il comportamento di gruppo degli animali. Egli qualificò gli attacchi provenienti da un gruppo di animali di piccola taglia contro un animale di taglia più grande, come mobbing.

In seguito, Heinz Leymann, uno psicologo tedesco-svedese interessato al comportamento dei bambini ed alla loro interazione durante l’orario scolastico, prese in prestito il termine elaborato da Lorenz per descrivere il comportamento distruttivo di un gruppo di scolari contro (nella maggior parte dei casi) un singolo compagno. Per la prima volta, quindi, il termine mobbing venne utilizzato per descrivere l’interazione tra persone.

Quale è l’esatta definizione di mobbing?

Heinz Leymann, psicologo tedesco-svedese, è ritenuto il pioniere de-gli studi sul terrore psicologico o mobbing negli ambienti di lavoro. Tra i suoi maggiori contributi c’è il modello teorico di progressione temporale del Mobbing a quattro fasi e il questionario LIPT, in grado di misurare la frequenza delle azioni ostili a cui una persona è sottoposta, oltre alle con-seguenze psicofisiche subite.

In collaborazione con il Dott. Flavio Pacelli, psicologo del lavoro.

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7Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

Leymann nel 1996 definisce il mobbing una “Comunicazione ostile e non etica perpetrata in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo che, a causa del mobbing è spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Queste azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (definizione statistica: almeno una volta la settimana) e per un periodo di tempo (definizione statistica: una durata di almeno sei mesi). A causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il mobbing crea seri disagi psicologici, psicosomatici, sociali.

La letteratura offre anche altre definizioni, ad indicare che non c’è un definitivo accordo in materia. Qui di seguito segnaliamo due definizioni con i rispettivi criteri di riconoscimento del mobbing da qualsiasi altra forma di conflitto sul luogo di lavoro.

Ad introdurre lo studio del fenomeno mobbing in Italia è stato lo psico-logo del lavoro Harald Ege, che ha costruito un modello teorico adatto alla realtà culturale italiana, molto diversa da quella nord europea.

Nel 2001, nel libro “Mobbing, conoscerlo per vincerlo” definisce il Mobbing come: “una guerra sul lavoro in cui, tramite la violenza psicologica, fisica e/o morale, una o più vittime del mobbing vengono costrette ad esaudire la volontà di uno o più aggressori. Questa violenza si esprime attraverso attacchi frequenti e duraturi che hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e/o la professionalità della vittima. Le conseguenze psicofisiche di un tale com-portamento aggressivo risultano inevitabili per il mobbizzato.

Occupandosi in particolare della valutazione peritale del danno da Mobbing, in assenza di una legislazione definitiva in materia, Ege ha revisionato il questionario di Leymann (LIPT - Ege professional) e ha proposto una procedura con sette para-metri per il riconoscimento del Mobbing. Nella sua lunga ricerca Ege ha cercato di capire e differenziare le varie forme di violenza e vessazioni nei luoghi di lavoro, in particolare ha cercato di definire le sfumature dello stesso Mobbing quando non rientravano in alcuni parametri studiati.

Ad esempio Ege introduce due ulteriori tipologie basate sulla ricerca e l’intervento sul campo: il caso del “Sasso nello stagno” e il Quick Mobbing. Sono due forme diverse di Mobbing che non hanno la frequenza (poche azioni ostili e distanziate nel tempo) il primo e la durata minima il secondo (meno di 6 mesi), per rientrare nei parametri classici del Mobbing, ma allo stesso tempo vengono soddisfatti tutti gli altri parametri descritti nella tabella.

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Parametri per il riconosci-mento del Mobbing

Requisiti

Ambiente lavorativo Il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoro

Frequenza Le azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese (salvo caso nel “sasso nello stagno”)

Durata Il conflitto deve essere in corso da almeno 6 mesi; almeno tre mesi nel caso del Quick Mobbing.

Tipo di azioni Le azioni subite devono appartenere ad almeno due delle cinque categorie del “LIPT Ege” (salvo caso del “sasso nello stagno”)

Dislivello tra gli antago-nisti

La vittima è in una posizione di costante inferiorità

Andamento secondo fasi successive

La vicenda ha raggiunto almeno la II fase del modello italiano Ege a sei fasi.

Intento persecutorio Nella vicenda deve essere riscontrabile un disegno vessatorio coerente e finalizzato, composto da scopo politico, obiettivo conflittuale e carica emotiva e soggettiva.

Nel 2001 alcuni studiosi italiani afferenti alla Bocconi e alla Clinica del Lavoro L. Devoto dell’Università di Milano hanno definito il mobbing come “una forma di molestia o violenza psicologica, ripetuta in modo iterativo, con modalità poliforme, con caratteri di intenzionalità, per un tempo de-terminato, arbitrariamente stabilito in sei mesi ma con ampia variabilità dipendente dalle modalità e dalla struttura di personalità dei soggetti. La violenza morale è esercitata mediante attacchi contro la persona del lavo-ratore, il lavoro svolto, la funzione lavorativa ricoperta e, infine, lo status del lavoratore, da un singolo, generalmente un superiore o, più raramente, da un gruppo di colleghi.

Nella loro ricerca, in particolare indirizzata verso le origini del Mobbing dal punto di vista organizzativo e non più solo come una forma particolare di conflitto interpersonale, propongono tre aspetti, che se presenti insieme, possono permettere di riconoscere il Mobbing:

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9Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

Parametri per il ri-conoscimento del Mobbing

Requisiti

Frequenza, multi- formità e ripetitivi- tà nel tempo delle strategie persecu- torie

Vengono attivate contro la persona mobbizzata almeno tre tipidi attacchi (Leymann, 1993):Attacchi alla vita sociale e relazionaleAttacchi allo status e all’immagine socialeAttacchi alla dimensione professionale.

Crescente intensità emotiva delle stra-tegie persecutorie

Escalation dei sintomi nella vittima: sensazione di fastidio e di allarme, insicurezza sul lavoro e convinzione di essere la causa del problema, perdita dell’autostima, perdita della capacità di contrastare il fenomeno, sintomi psico-fisici.

Gli schemi di ruolo La presenza di schemi di ruolo precisi che si ripropongonosempre.I protagonisti del mobbing sono solitamente tre:la vittima/e o mobbizzato/ail/i persecutore/i o mobber/sgli spettatori (inclusi i side mobbers)

Vi è differenza tra mobbing e bullying?

Occorre anzitutto dire che nei primi anni ottanta, anche Heinz Leymann utilizzò il suddetto termine, quando osservò dei comportamenti simili a quelli sopra descritti nei luoghi di lavoro.

Durante le sue ricerche riguardanti le vessazioni ed i maltrattamenti negli ambienti lavorativi, egli scelse tuttavia di usare la parola mobbing e non la parola bullying (già usata in Inghilterra ed Australia), per definire l’oggetto dei suoi studi, perché i connotati principali del secondo fenomeno sono aggres-sione fisica e minaccia; mentre la violenza fisica è presente molto raramente nel comportamento mobbizzante sul luogo di lavoro.

Inoltre quest’ultimo comportamento è praticato in maniera più sofi-sticata ed accorta, come, per esempio, quando si attua una manovra di isolamento sociale della vittima o vi sia il fine di allontanarlo dal posto di lavoro. Ciò non vuol dire che i risultati di questo tipo più sottile di vessazione siano meno efficaci.

Oggi il termine di bullying ha assunto un significato assai diverso sia in Europa che nei paesi angolsassoni e per tale motivo si è ritenuto di doverne discutere in un apposito e separato capitolo anticipando solo il contenuto più marcatamente violento del “bullo” rispetto alle più subdole strategie del mobbing.

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E Leymann ha ritenuto opportuno classificare proprio come mobbing i problemi interpersonali tra adulti nel campo lavorativo, tralasciando lo studio di comportamenti pur simili, come il bullying (nei giovani assai frequente) ed il bossing, che in realtà definirebbero solo una delle molte facce che può avere il mobbing.

Il mobbing nella vita lavorativa comprende relazioni e rapporti ostili diretti in modo sistematico da uno o più individui contro (nella maggioranza dei casi) un singolo individuo, il quale si trova senza aiuto e difesa da questi ripetuti attacchi e viene tenuto costantemente in una situazione di forte disagio dal ripetersi delle “mobbing activities” ossia i comportamenti mobbizzanti.

Nella più accettata definizione psicopatologica e medico legale, i com-portamenti ostili, per essere ritenuti “mobbizzanti” devono ripetersi fre-quentemente (almeno una volta a settimana) nell’arco di un lungo periodo di tempo (almeno per sei mesi); ed a causa dell’elevata frequenza e della durata nel tempo delle “aggressioni psichiche” il maltrattamento risulta mentalmente, socialmente e psicosomaticamente dannoso.

Pertanto Il mobbing potrebbe essere definito in italiano “vessazione” o maltrattamenti continuativi per lo più inflitti a subordinati o persone più deboli (molti studiosi preferiscono però al termine “vessazione” la defini-zione “terrorismo psicologico”).

Vengono qui esplicitamente esclusi i pur frequenti conflitti temporanei in ambito lavorativo, che sono del tutto normali, focalizzandosi invece l’at-tenzione sul punto di rottura in cui la situazione psicologica del soggetto inizia a presentare dei tratti inquadrabili in una patologia psichiatrica o psicosomatica.

Ed occorre anche distinguere in definitiva la differenza tra conflitto momentaneo e mobbing che fa perno non sul cosa viene fatto alla persona e sul come viene fatto, ma sulla frequenza e sulla durata di qualsiasi cosa venga fatta alla vittima.

Le prime ricerche complete svolte in Svezia hanno come quesito chia-ve, infatti, l’interrogativo di quanto debba essere intenso e protratto nel tempo il “mobbing” in ambito lavorativo, per causare stress o una malattia psicosomatica.

Quali sono le cause scatenanti del mobbing ?

Le cause scatenanti il mobbing sono da ricercare nella combinazioni tra dimensioni economico-sociali, dimensioni individuali e dimensioni

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organizzative che insieme possono permettere l’attivazione di un processo di mobbing.

La prospettiva più interessante per capire come si può prevenire un com-portamento mobbizzante è leggerlo dal punto di vista sistemico, in quanto i comportamenti attivati contro una o più vittime si sviluppano all’interno dei luoghi di lavoro, luoghi dinamici di confronto e scontro, abitati da persone con ambizioni e aspettative, strutturati da valori e regole sia esplicite che implicite. Può essere irrealistico pensare a relazioni di causa ed effetto lineari tra mobber e vittima, fermarsi ad aspetti di personalità predittivi o a elementi di gruppo, in quanto il fenomeno del mobbing richiede un approccio in grado di saper leggere tutti i livelli della complessità organizzativa.

Diverse ricerche hanno esplorato la relazione tra la presenza di mobbing e caratteristiche organizzative dimostrando una forte correlazione tra aspetti disfunzionali e stressogeni nell’organizzazione delle attività lavorative e dina-miche persecutorie e di esclusione.

Più un ambiente di lavoro è stressante, mancando ad esempio in ruoli chiari e coerenti, budget sottodimensionati rispetto agli obiettivi imposti, o sistemi normativi e procedurali non trasparenti più è facile la presenza di azioni mobbizzanti e viceversa.

Il mobbing è un fenomeno che stressa pesantemente le organizzazio-ni perché ha forti ricadute negative sul clima aziendale e sull’immagine esterna.

Per le aziende, competizione e globalizzazione sono causa spesso di nuove acquisizioni, fusioni, delocalizzazioni, che possono impattare sull’organizzazi-ne del lavoro. Secondo Hoel e Salin (2002) le continue trasformazioni indotte dall’ambiente esterno possono ritenersi come precursori dell’insorgenza del mobbing, in termini di ridefinizione continua delle regole, maggiori pressioni e patti poco chiari tra le persone nei luoghi di lavoro.

Allo stesso modo, uno stile di leadership inconsistente (laissez-faire) è correlato positivamente con conflitti di ruolo, ambiguità di ruolo e conflitti tra colleghi di lavoro (Aasland e Hatland, 2007).

Una recente ricerca di Caiozzo e Vaccani (2010) indica come fattori di rischio predittivi del mobbing uno stile di leadership orientato ai compiti, al comando autoritario e all’accentramento, un eccesso di livelli gerarchici aziendali definiti dall’organigramma e una bassa formalizzazione delle pratiche di gestione del personale. Una azienda fortemente gerarchizzata e piramidale può avere maggiore dispersione/distorsione delle comunicazioni organizza-tive, frantumazione/rallentamento dei processi decisionali, aumento della

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percezione di distanza dal potere che combinati con gli altri fattori di rischio rendono più facile la presenza di azioni mobbizzanti.

Secondo molti autori tra cui Becker (1995), Kihle (1990), Leymann (1992), Niedl (1995), l’organizzazione del lavoro sarebbe fondamentale per il mante-nimento degli equilibri tra i lavoratori ed una buona divisione del lavoro.

Questi autori hanno descritto il mobbing come determinato da una scadente organizzazione della produzione e/o dei metodi di lavoro e da un management indifferente e/o incompetente.

Ciò è ancora più grave in talune situazioni ove vi è eccesso di lavoro in senso quantitativo e l’insufficienza di lavoro in senso qualitativo .

Un altro aspetto è fondamentale e cioè la scadente capacità di risoluzione dei conflitti da parte della amministrazione del personale (management). Il ruolo dirigenziale è di fondamentale importanza nel mantenimento di un sereno clima di convivenza nel luogo di lavoro mantenendo alta la qualità del lavoro, evitando la alienazione del lavoratore nello svolgimento delle sue man-sioni, gestendo in maniera idonea i contrasti che possono sorgere in ambiente lavorativo.

Al contrario, la situazione precipita allorché il management diventa parte del fenomeno e invece di risolvere il problema, prende parte atti-vamente alle vessazioni, scegliendo una posizione di attacco nei confronti del mobbizzato o di sostegno per i mobbers tanto da essere coinvolto in un comportamento aggressivo di gruppo, quando, invece, dovrebbe sem-plicemente stroncarlo.

D’altra parte anche quando il manager semplicemente ignora il liti-gio, il conflitto ha in questo modo più tempo per approfondirsi e subire un’escalation.

In definitiva, è scadente performance manageriale:a) essere coinvolti nelle dinamiche di gruppo su base egualitaria e

quindi “riscaldarle” ulteriormente;b) negare l’esistenza del conflitto.

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13Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

Quali sono le tipologie di mobbing?

In letteratura è facile riscontrare molte definizioni e tipologie di mobbing, spesso con differenze minime nella spiegazione del fenomeno. Il mobbing può essere classificato almeno secondo due tipologie precise:

• Il mobbing strategicoIl mobbing si definisce strategico quando risponde

ad un preciso disegno di esclusione di un lavoratore attraverso una precisa e premeditata pianificazione da parte dell’Azienda. Sono gli stessi vertici aziendali, con l’ausilio di tutte le leve organizzative e di potere a loro disposizione a comandare le azioni persecutorie verso la vittima/e. È la forma di mobbing prevalente in Italia, spesso caratterizzata da azioni svolte da Manager o su-periori che mirano a ridicolizzare, umiliare, offendere la vittima, soprattutto nella sfera professionale.

È presente maggiormente nelle grandi aziende, sia pubbliche e private. L’instabilità del mercato, la dismissione di un reparto o la pianificazione delle carriere possono diventare fattori di rischio del mobbing strategico, in quanto sarà il modo in cui verranno gestite le risorse umane e le strategie di riorganizzazione attuate a fare la differenza.

• Mobbing relazionaleIl mobbing è di tipo relazionale quando riguarda il deterioramento delle

relazioni interpersonali sul lavoro.Può interessare sia la sfera del potere quanto dimensioni legate alla ge-

losia, diffidenza, antipatia, etc. I parametri elencati sopra lo differenziano da quello che può apparire un semplice conflitto sul lavoro. Il mobbing relazionale può essere orizzontale, cioè localizzato tra colleghi dello stesso reparto o tra ruoli pari, oppure verticale, che nasce dai superiori.

È maggiormente caratterizzato da critiche continue, rifiuto di comu-nicazioni dirette, comportamenti che mirano a mettere tutto l’ambiente lavorativo contro la vittima.

Inoltre il mobbing può essere classificato come:

• Mobbing discendenteÈ definito come mobbing discendente l’insieme di vessazioni esercitate

da parte di un superiore verso un sottoposto, sia per motivazioni di tipo strategico che relazionale. È una tipologia molto diffusa, che facilmente

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può estendersi anche tra i colleghi, i quali prefe-riscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo, nella speranza di fare carriera, o semplicemente per “quieto vivere”.

• Mobbing orizzontaleSi definisce invece mobbing orizzontale

quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell’organizzazione la-vorativa, soprattutto come reazione da parte di una maggioranza del gruppo allo stress dell’am-biente e delle attività lavorative: la vittima viene dunque utilizzata come “capro espiatorio” su cui far ricadere la colpa della disorganizzazione, delle inefficienze e dei fallimenti.

• Mobbing ascendenteVi è poi infine il mobbing ascendente, categoria utilizzata quando le

vessazioni sono operate dai sottoposti nei confronti di un capo per dele-gittimare il suo ruolo ed allontanarlo; anche in questo caso il motivo può essere sia di ordine strategico che relazionale.

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15Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

Quali sono gli effetti del Mobbing?

Gli effetti del mobbing si possono riscontrare su almeno 3 livelli.

1) Effetti sull’individuoSono molti i danni alla salute a cui va incontro una persona vittima di

mobbing. Si va da una lista di sintomi a disturbi più complessi, fino al suicidio. Sono stati riscontrati sintomi di natura fisica, mentale e psicosomatica: per esempio disturbi dell’equilibrio o gli svenimenti, difficoltà di memoria o di con-centrazione, disturbi del sonno, problemi delle funzioni gastriche e digestive, tensione nervosa e irrequietezza costante, depressione, calo dell’autostima, fobie. Inoltre si possono riscontrare cambiamenti negli stili di vita, come abu-so di alcool, tabagismo, sostanze stupefacenti, abuso di farmaci. Per quanto riguarda i disturbi più gravi si evidenziano il Disturbo Post Traumatico da Stress e il Disturbo dell’Adattamento. Questi sintomi possono anche persistere per anni dopo gli avvenimenti che li hanno originati. Altre conseguenze possono essere l’isolamento sociale, l’insorgere di problemi familiari o finanziari a causa dell’assenza o dell’allontanamento dal lavoro. Si può parlare in questo caso di Doppio-Mobbing, quando anche la famiglia del mobbizzato, non riuscendo più a sostenerlo, cerca di allontanarlo dal nucleo famigliare.

È possibile identificare due tipologie di costi economici da affrontare in caso di effettivo mobbing:

Costi sanitari:• visite mediche specialistiche• indagini diagnostiche• terapia farmacologica• supporto psicologico Costi non sanitari:• spese legali• spese di trasporto• costi per l’aumento dei contatti con altre persone• costi per l’informazione• comportamenti disfunzionali• costi per problemi familiari

2) Effetti sull’AziendaLa Ricerca ad oggi ha affrontato più volte il tema dello stress, della violenza

e del mobbing sul lavoro, arrivando spesso a correlare questi fenomeni agli alti costi aziendali da sostenere in termini di:

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- assenteismo;- aumento dei costi a causa del turnover;- minor produttività;- riduzione della performance lavorativa;- spese di partecipazioni alle spese previdenziali;- aumento dei premi assicurativi;- peggioramento del clima organizzativo.Secondo Monateri (2000) i danni del mobbing per l’azienda, oltre ad

essere oggettivi e concreti, richiedono un grosso dispendio di energie e risorse per affrontarli, in particolare se i metodi utilizzati sono subdoli.

Ascenzi e Bergagio (2000) affermano che un lavoratore sottoposto a violenze psicologiche sul luogo di lavoro ha un tasso di produttività ed efficienza inferiore del 60%. Egli, inoltre, graverà sul datore di lavoro del 180% in più.

Le ricadute organizzative possono essere riscontrate sia sul gruppo di lavoro che sul clima organizzativo. In ambienti particolarmente stressoge-ni, in cui si sono verificati episodi di mobbing, è facile trovare alti tassi di nervosismo e aggressività. Per quanto riguarda i protagonisti principali, il mobber e il mobbizzato, i cali delle prestazioni sono evidenti, il primo per il grande investimento a perseguire il proprio obiettivo, il secondo in termini di assenteismo e malattia.

Molto spesso l’Alta Direzione tende a sminuire questi eventi, cercando di tenerli nascosti agli altri dipendenti, o descrivendo gli accaduti come colpe di una singola persona, ovvero la vittima.

È necessario ricordare, in un mercato in profondo cambiamento, sempre più legato all’E-Commerce, il tema dell’immagine sociale e della reputazione di una azienda. Ancora poco diffusi in Italia, ma sono già presenti siti online che permettono di raccontare come si vive e come si sta all’interno delle aziende, sia in termini positivi che negativi. Allo stesso tempo si sottovalu-tano ancor di più i Forum online delle comunità professionali, luoghi virtuali in cui è possibile diffondere notizie ed eventi senza il controllo aziendale.

3) Effetti sulla SocietàIn una ricerca presentata dall’Università di Verona (Romeo, 2008) si af-

frontavano i costi economici ed umani delle violenze psicologiche sul lavoro. Partendo da una ricerca dell’European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions del 2005, in cui si stimavano circa 417.975 casi di mobbing in Italia il Prof. Romeo stimava i costi per la società intorno ai 792 milioni di euro l’anno, dove per costi si intendevano solo quelli relativi al SSN

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(spesa dei farmaci, indagini diagnostiche, interventi di Pronto Soccorso e ai ricoveri ospedalieri) e agli enti previdenziali (spese per l’assenza per malattie comparse in concomitanza e/o in conseguenza della situazione di mobbing). Il lavoro di Romeo partiva da una ricerca sperimentale su 25 casi, in cui aveva calcolato una spesa media per singolo lavoratore (spese per la collettività) di 1.894 euro all’anno.

Senza contare i costi relativi alla perdita di lavoratori ancora produttivi, al loro reinserimento nel mondo del lavoro e infine alle problematiche relative al coinvolgimento dei familiari o di altre persone. Si stimava per tali aspetti una spesa di circa 3, 96 miliardi di euro l’anno.

Rispetto a questi dati, vale la pena ricordare le stime dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute nei Luoghi di Lavoro (2002 – EU 15) che calcolava in 20 miliardi di euro all’anno le spese relative allo stress sul lavoro e ai rischi psicosociali per assenteismo, frequente avvicendamento del personale, scarsa puntualità, problemi disciplinari, molestie, riduzione della produttività, incidenti, errori e aumento dei costi di risarcimento o assistenza sanitaria.

Non è mobbing se: È mobbing se:

Una singola azione pur riprovevoleUn conflitto generalizzatoUna malattiaUn fenomeno solo collettivoUna molestia sessualeUn problema familiareSe esistono vittime designate

Vi è attacco ai contatti umaniVi è isolamento sistematicoVi è cambiamento di mansioniVi sono attacchi alla reputazioneVi è violenza o minacce di violenza

Come viene attuato il mobbing?

La caratteristica di ogni comportamento mobbizzante secondo Ege è la situazione di inferiorità della vittima, che arriva gradatamente a perdere:

1) La sua influenza.2) Il rispetto degli altri verso di lui.3) Il suo potere decisionale.4) Non di rado la salute.5) La fiducia in se stesso.

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6) Gli amici.7) L’entusiasmo sul lavoro.8) Se stesso.9) La sua dignità.Al fine di determinare se un lavoratore sia una vittima di tale comporta-

mento, e, quindi, corra il rischio di subire le suddette conseguenze, Leymann ha sviluppato attraverso le sue esperienze un questionario di 45 compor-tamenti (chiamato L.I.P.T. - Leymann Inventory of Psycological Terro rism) suddivisi in cinque categorie diverse (illustrate nella tabella che segue).

Naturalmente quella che segue è una elencazione esemplificativa che dimostra, però, le innumerevoli forme del mobbing.

1) Attacchi alla possibilità di comunicare:

il capo limita la possibilità di esprimersi della vittimaviene sempre interrotto quando parlai colleghi limitano la sua possibilità di esprimersisi urla o si rimprovera violentemente con luisi fanno critiche continue sul suo lavorosi fanno critiche continue sulla sua vita privataè vittima di telefonate mute o di minacciaè vittima di minacce verbaliè vittima di minacce scrittegli si rifiuta il contatto con gesti o sguardi scostantigli si rifiuta il contatto con allusioni dirette

2) Attacchi alle relazioni sociali:

non gli si parla più ·non gli si rivolge più la parola ·viene trasferito in un ufficio lontano dai colleghisi proibisce ai colleghi di parlare con luici si comporta come se lui non esistesse

3) Attacchi all’immaginesociale:

si sparla alle sue spallesi spargono voci infondate su di luilo si ridicolizzalo si sospetta di essere malato di mentesi cerca di convincerlo a sottoporsi a visita psichiatricasi prende in giro un suo handicap fisicosi imita il suo modo di parlare o di camminare per prenderlo in girosi attaccano le sue idee politiche o religiosesi prende in giro la sua vita privatasi prende in giro la sua nazionalitàlo si costringe a fare lavori umilianti

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si giudica il suo lavoro in maniera sbagliata e offensivasi mettono in dubbio le sue decisionigli si dicono parolacce o altre espressioni umiliantigli si fanno offerte sessuali, verbali e non

4) Attacchi alla qualità della situazione professionale eprivata:

non gli si danno dei compiti da svolgeregli si toglie ogni tipo di attività lavorativa, in modo chenon possa più nemmeno inventarsi un lavorogli si danno lavori senza sensogli si danno lavori molto al di sotto della sua qualifica- zione professionalegli si danno sempre nuovi compiti lavorativigli si danno lavori umiliantigli si danno compiti molto al di sopra delle sue capacità o qualificazioni per screditarlo

5) Attacchi alla salute: lo si costringe a fare lavori che nuocciono alla sua salutelo si minaccia di violenza fisicagli si fa violenza leggera per dargli una lezionegli si fa violenza fisica più pesantegli si causano danni per svantaggiarlogli si creano danni fisici nella sua casa o sul posto di lavorogli si mettono le mani addosso a scopo sessuale

Facendo riferimento, invece, all’esperienza di altri studiosi (Einarsen, Hoel, Zapf, Cooper, 2003), si riportano alcune azioni negative, dirette o indirette, a cui è esposta la vittima:

Attacchi alla persona Ad esempio, nsulti, dicerie, maldicenze, scherzi, ridicoliz-zare, pettegolezzi, etc

Molestie Ad esempio, Posta o telefonate offensive, avance ses-suali, etc

Attacchi al ruolo Ad esempio, controllo esasperato, mancata comunica-zione delle informazioni necessarie allo svolgimento del lavoro, scadenze irragionevoli, carichi di lavoro ingesti-bili, sottrazione di compiti e responsabilità previste dal ruolo, trasferimento o spostamento della persona senza motivazione, etc

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Per rilevare il mobbing occorre: Sono importanti fattori:Verificare l’ambiente di lavoroVerificare la frequenza delle azioni ripro-vevoliStabilire la durata dei comportamenti non eticiVerificare la tipologia delle azioniEssere coscienti di un intento persecu-torio

Le testimonianze dei colleghiI documenti relativi alle attività di lavoroLe certificazioni medicheLe valutazioni dei RLSLe valutazioni del MC

Quale è l’andamento tipico del mobbing?

Passando dalla descrizione dei singoli comportamenti aggressivi allo schema dello sviluppo del mobbing nel tempo, Leymann (1990) elabora un modello a 4 fasi per spiegare la progressiva evoluzione del mobbing.

Il modello, riportato in maniera schematica, prevede:

I Fase: Conflitto quotidiano.Il conflitto quotidiano, di natura presente nella normale vita organizzativa,

non viene risolto. Nel tempo, può iniziare ad avere una certa frequenza ed in-tensità, oppure nascondersi in comportamenti apparentemente normali.

È una fase in cui non c’è ancora il mobbing. Può avere una durata va-riabile (anche molto breve).

II Fase: L’inizio del terrorismo psicologico.La vittima subisce un processo di etichettamento, da cui è costretta a

stare sempre in una posizione di difesa.Lo stress quotidiano produce i primi problemi di salute (disturbi psico-

somatici) e iniziano le assenze per malattia.

III Fase: Errori ed abusi da parte della Direzione del Personale.Si crea il cosiddetto “errore fondamentale di attribuzione”: vale a dire

la tendenza sistematica ad attribuire alle caratteristiche personali del sog-getto la causa di un determinato fenomeno, e a trascurare il peso dei fattori contestuali. La Direzione del Personale in concerto con l’Alta Direzione, a fronte di un problema di assenteismo e clima conflittuale in azienda, vede nel mobbizzato la causa del problema, la persona non gestibile.

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IV Fase: Esclusione dal mondo del lavoro.Il graduale peggioramento della situazione, con il progressivo isolamento

della vittima, definisce il momento di esclusione dal mondo del lavoro. È la fase segnata dalle patologie più gravi, in cui si chiede aiuto.

H. Ege (1997) decide di rivedere e adattare il modello di Leymann al contesto italiano, proponendo un modello a 6 fasi:

Condizione ZeroÈ la pre-condizione del mobbing. Si vive in una condizione di conflitto

fisiologico socialmente accettato.Il conflitto è generalizzato, il clima organizzativo sta cambiando verso

dimensioni di ostilità e tensione.

La vittima ancora non è chiara.Prima fase: il conflitto miratoSi individua una vittima, vi si dirige la conflittualità generale. Il conflitto

così gestito è mirato all’esclusione della vittima. Gli attacchi sono sia di natura professionale che di natura privata.

Seconda fase: l’inizio del MobbingLa vittima prova un profondo disagio e un senso di malessere, per-

cepisce un inasprimento nelle relazioni con i colleghi, e si interroga sul cambiamento.

Terza fase: primi sintomi psicosomaticiSenso di insicurezza, senso di colpa, insonnia, problemi muscolo schele-

trici, nervosi e digestivi. L’idea del lavoro diventa prevalente e ossessiva.Quarta fase: errori e abusi da parte dell’Amministrazione del Personale

L’Amministrazione del Personale, come nella fase di Leymann, vede aumen-tare il numero di assenze per malattia, e decide di richiamare la vittima, che sentitosi ormai accerchiato peggiora ulteriormente.

Quinta fase: serio aggravamento della salute psicofisica della vittimaLa vittima è in uno stato depressivo, è sotto cura farmacologica, ma la

causa del problema resta. I continui errori dell’Amministrazione producono il convincimento nella vittima di essere allo stesso tempo causa del problema. In questa fase lo scivolamento verso il Disturbo Post Traumatico da Stress o un Disturbo dell’Adattamento è facile, con il rischio di compromettere il funzionamento psicosociale e lavorativo.

Sesta fase: esclusione della vittima dal posto di lavoroDimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento. È

una fase molto drammatica, in cui possono insorgere manie ossessive, il desiderio di vendetta sul persecutore o il suicidio.

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Lo schema, tende a ribadire lo stesso Ege, è teorico e flessibile. Possono capitare situazioni in cui si salti una fase o si sovrappongano due fasi, oppure non si superi la terza fase perché la vittima ha una grande resistenza psico fisica. Rimane comunque lo schema in letteratura più chiaro per riuscire a ricostruire cosa succede durante un processo di mobbing.

Indicatori di disagio Comportamenti mobbing compatibiliIndice di turnover delle personeNumero dei permessi per malattia, esaurimenti nervosi, prepensiona-mentiVertenze sindacali per motivi legati al mobbingTrasferimenti, sospensioni o procedu-re disciplinariNumero di licenziamentiSpesa per la sorveglianza, il controllo e le ispezioni ai dipendentiNumero di denunce per episodi di mobbing contro persone dell’azienda o contro l’azienda

Critiche non corrispondenti a realtàAccuse di scarsi risultai non comprovate da realtàComportamenti per emarginare, escludere, isolare, delegittimareComportamenti intenzionali e ripetuti per sminuire, ignorare, ridicolizzare idee e opinioni, rendimento ed esperienza professionale

Chi sono i soggetti del mobbing che partecipano al conflitto?

La dinamica persecutoria coinvolge diversi attori entro un copione relazionale “in cui la posta in gioco è rappresentata dal dominio sociale incondizionato” (Vaccani, 2007). Il gioco corale coinvolge il mobbizzato/i, il mobber/s (i registi e i sicari) e gli spettatori (spettatori “plaudenti” o “side-mobbers”, spettatori “paralizzati” o indifferenti e spettatori “omertosi indignati”).

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23Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

Colui che subisce le azioni mobbizzanti è definito mobbizzato. È il soggetto passivo, colui cioè che subisce i comportamenti discriminatori, mentre il soggetto attivo, quello che pone in atto i comportamenti dannosi è definito mobber.

Spesso si può trattare di più soggetti, i mobbers appunto, che effettuano un vero e proprio attacco di gruppo.

Sul luogo di lavoro, sono poi presenti tantissimi soggetti, non classifi-cabili come mobbizzati o mobbers perché non partecipano direttamente al fenomeno, che si possono chiamare “spettatori”, e sicuramente hanno una funzione non trascurabile nell’ambito del mobbing.

Pur non interagendo direttamente nel conflitto, possono fornire al mobbizzato il sostegno sociale che si aspetta e far cessare le attività mob-bizzanti, oppure possono disinteressarsi di ciò che accade o addirittura avallare il mobbing.

In quest’ultimo caso vi sarà un effetto devastante sul mobbizzato, che si troverà definitivamente solo contro tutti, sempre più vicino alla espulsione dal mondo del lavoro.

Chi è il mobbizzato?

La vittima del mobbing è una persona che mostra sintomi di malattia, si ammala, si assenta dal lavoro, si licenzia, è colpita da stress psichico o fenomeni psicosomatici, attraversa fasi di de-pressione o manie suicide, definisce il suo ruolo in termini di passività . Da un lato è convinta di

non avere colpa, dall’altro crede di sbagliare sempre tutto e mostra mancanza di fiducia in sé, indecisione ed un senso di disorientamento generale e rifiuta ogni responsabilità per la situazione o accusa distruttivamente se stessa.

Secondo Leymann vittima è colui che crede di esserlo. Si può anche affermare che chiunque può essere la vittima; soggetti a più alto rischio di maltrattamenti sono i lavoratori soli e isolati, come una donna in un ufficio di soli maschi o viceversa, il lavoratore diverso, portatore di handicap, o straniero. Chi appartiene ad una minoranza sarebbe più soggetto ad attacchi verso la propria persona oppure il lavoratore che ha successo può essere ideale candidato al mobbing in quanto la gelosia e l’invidia dei colleghi verso chi eccelle in ambito lavorativo sono le principali cause di comportamenti ostili verso costui. Infine il lavoratore nuovo che incontra difficoltà di inse-

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rimento in un contesto lavorativo in cui gli altri soggetti formano un gruppo ed il problema più ricorrente è farsi accettare come uno di loro.

È bene sottolineare che chiunque può trovarsi ad essere mobbizzato, e le caratteristiche di questo soggetto variano a seconda della relazione istaurata nel proprio contesto organizzativo. Tuttavia, nel tempo sono state delineate due categorie cosiddette a rischio:

I “diversi” per età, sesso, religione, scolarizzazione, etnia, tendenza sessuale, appartenenza sociale, rispetto alla maggioranza della popolazione aziendale. Si tratta di persone facilmente isolabili, spesso singoli individui, o comunque numericamente inferiori. Possono rientrare in questa categoria tutte quelle figure che sono rappresentate negli stereotipi e pregiudizi social-mente condivisi, ad esempio persone che si vestono diversamente, persone con disabilità o stranieri.

I “devianti” sono individuabili perché non conformi alla cultura organizzativa dominante in azienda. Rientrano in questa categoria persone con competenze e conoscenze superiori alla media, persone che hanno modalità di approccio ai problemi differenti rispetto a quelle consolidate nell’organizza-zione, portatori di cultura e valori contrastanti con quelli aziendali.

In una azienda con una strut-tura fortemente piramidale, una persona non obbediente e in grado di risolvere i propri compiti in maniera autonoma, anche con risultati maggiori rispetto ai propri colleghi, può rientrare nella cate-goria dei “devianti”.

Chi è il mobber?

Il comportamento aggressivo che si attua tramite il mobbing può es-sere tenuto da chiunque, ma, in generale, i mobbers, tra due alternative di comportamento, scelgono quella più aggressiva e quando si trovano in una situazione di mobbing si impegnano affinché il conflitto si intensifichi e prosegua.

Essi conoscono e accettano le conseguenze negative che il mobbing comporta per la vittima; generalmente non mostrano senso di colpa anzi,

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talvolta sono convinti di fare qualcosa di buono nell’espellere dall’ambito lavorativo un determinato soggetto e spesso incolpano altri e sono convinti di aver semplicemente reagito a provocazioni.

Il mobber in definitiva è colui che attiva le strategie persecutorie nei con-fronti di una o più persone con l’intenzione di escludere dal posto di lavoro la sua vittima/e. Si possono distinguere almeno due figure principali che insieme agiscono nel progetto persecutorio: il Regista e i Sicari.

Il primo ruolo è rappresentato da una figura che lavora più nell’ombra: questi in base alla tipologia del mobbing (relazionale o strategico) può essere il proprio capo o un leader informale o la stessa organizzazione. È generalmente in grado di muovere tutte le leve organizzative a disposizione attivando una specifica strategia di esclusione delle vittime. Come in un dramma teatrale, i Registi definiscono i copioni da interpretare. Sono i cosiddetti Sicari a mettere in scena le azioni mobbizzanti; si tratta di veri e propri gregari, i manager, i dirigenti dell’organizzazione come il direttore del personale o i colleghi dell’ufficio che fanno propri gli obiettivi del Regista. In ottica di prevenzione, la differenziazione tra registi e sicari è fondamentale, in quanto una strategia che individui e isoli l’obiettivo del regista può placare la dinamica del mobbing. Viceversa, isolando i sicari in quanto gregari non si blocca il processo persecutorio.

Quale è il ruolo e chi sono gli spettatori?

Il ruolo degli spettatori, colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale, è essenziale nel sostenere tutta la dinamica del mobbing, come nella rappresentazione teatrale lo spettatore amplifica o annulla il successo dello spettacolo. Se l’obiettivo del mobbing è l’esclusione della vittima dal processo lavorativo attraverso frequenti attacchi alla persona e alla sua immagine sociale e professionale questo necessita di un pubblico che ne testimoni l’effettivo risultato finale. Il ruolo dello spettatore è quindi un ruolo attivo, non neutrale, in cui il “non mi interessa”, “non mi riguarda” diventano comunque comportamenti a sostegno delle azioni mobbizzanti.

Gli spettatori in definitiva sono coloro che, pur non partecipando di-rettamente al mobbing, lo percepiscono e lo avvertono in quanto prende vita nell’ambiente in cui essi lavorano. Attraverso il loro comportamento il conflitto in ambito lavorativo si può dirimere od accentuare. Tutto dipende dalla loro presa di posizione nei confronti del mobbizzato. Gli spettatori sem-brano non avere nulla a che fare con il mobbing, però sono in contatto con il mobber, si rifiutano di accettare qualsiasi responsabilità per il mobbing,

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si vedono e si riconoscono come mediatori tra i protagonisti del conflitto. Infine essi dimostrano una grande fiducia in sé stessi; esprimono le loro simpatie per una parte o per l’altra, oppure reagiscono in modo opposto non volendo assolutamente avere a che fare con nessuna delle due parti e sovente sono le persone chiave del conflitto.

Chi sono i side-mobbers?

I “side-mobbers”, sono “spettatori plaudenti” che pur restando estranei agli obiettivi del mobber, con il loro comportamento complice alimentano il mobbing. Poi si possono definire tutti quegli spettatori che non condividono il mobbing e sono i cosiddetti spettatori “paralizzati” o “omertosi indignati”, che con il loro comportamento silenzioso alimentano il conflitto e il senso di isolamento percepito dalla vittima/e.

Quali sono gli interventi di prevenzione del mobbing?

L’EU-OSHA è in prima linea per la prevenzione dei rischi psicosociali negli ambienti di lavoro. Quando parliamo di rischi psicosociali si fa riferimento sia allo stress lavoro correlato che alle violenze e vessazioni nei luoghi di lavoro.

Le indagini mostrano che il 5% dei lavoratori in Europa hanno riferito di essere oggetto di molestie/bullismo (2005). In alcuni paesi dell’UE ben il 10-17% dei lavoratori ha segnalato questo problema.

La prevenzione diventa quindi la strategia principale per ridurre o eli-minare alla fonte le possibili azioni mobbizzanti sul lavoro.

• Parlare di prevenzione significa distinguerla su tre livelli, rispetto allo stato di effettivo riscontro del problema nell’organizzazione.

• Prevenzione primaria: riguarda la riprogettazione del lavoro, lo

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27Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

sviluppo di sistemi idonei di comunicazione e la revisione dei sistemi di valutazione.• Prevenzione secondaria: riguarda in particolare la formazione, sviluppando compe-tenze individuali nella gestione dello stress e dei conflitti.• Prevenzione terziaria: riguarda sistemi idonei di riabilitazione e ritorno al lavoro e un aumento di provvedimenti e consulenze riser-vate ai dipendenti oltre che ad una formazione comportamentale cognitiva.

La prevenzione, in ottica di sicurezza sul lavoro deve perseguire i se-guenti obiettivi:

• Aumentare la consapevolezza e la comprensione del problema tra datori di lavoro, lavoratori e autorità pubbliche (come la sanità e le agenzie di sicurezza, la polizia);

• Valutare correttamente i rischi nei luoghi di lavoro;• Formare i dirigenti e i lavoratori a come prevenire e gestire il pro-

blema;• Creare politiche interne (codici etici), sistemi di monitoraggio, ren-

dicontazione e verifica degli eventi non conformi. Trasparenza e correttezza nelle azioni e determinazioni

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Quaderni di Medicina ed Igiene del Lavoro, Sicurezza e Prevenzione28

• Migliorare i sistemi di comunicazione interna ed esterna• Offrire sostegno alle vittime. In primo luogo, deve essere affrontata una valutazione dei rischi per

contribuire a identificare le azioni appropriate. Una buona valutazione dei rischi di natura psicosociale, secondo l’EU-OSHA, nasce dalla collaborazione e la partecipazione dei lavoratori e il sostegno del personale dirigenziale, deve prevedere sia aspetti oggettivi che aspetti soggettivi, un’attenta pia-nificazione e un approccio graduale al problema. Una valutazione dei rischi senza applicazione di misure gestionali non ha alcun senso ed è fonte di ulteriori problemi.

È possibile identificare, secondo l’esperienza e la ricerca, alcuni fattori di successo nella lotta al mobbing:

• L’impegno da parte del datore di lavoro e dei dipendenti nel favorire un ambiente di lavoro privo di violenza;

• descrivere e condividere il tipo di azioni e comportamenti che sono inaccettabili sul lavoro;

• affermare in maniera netta quali sono le sanzioni per chi attua com-portamenti riferibili al mobbing;

• indicare dove e come le vittime possono trovare un aiuto;• impegnarsi ad evitare qualsiasi azione di rappresaglia verso chi de-

nuncia o si definisce mobbizzato;• spiegare la procedura per la presentazione di una denuncia;• fornire i dettagli di consulenza e servizi di supporto e mantenere la

riservatezza.Datori di Lavoro e i Manager sono chiamati in causa per primi nel gestire il

cambiamento culturale che impone oggi l’affrontare tematiche quali lo stress e le violenze sul lavoro. Le ricerche dimostrano che i comportamenti dei di-pendenti seguono le scelte dell’Alta Direzione (Grant, 2000), quindi scegliere la sicurezza sul lavoro come priorità aziendale è una soluzione efficace. Secondo Avallone (2005) sono le scelte e le decisioni organizzative adottate che pos-sono definire le condizioni di pericolo o di rischio per il benessere psicofisico dei lavoratori.

Qual’ è il contenzioso che riguarda il mobbing?

Rispetto alla supposta entità dei casi ed al numero delle rivendicazioni civilistiche , relativamente in pochi casi si hanno esiti sotto il profilo penale sia per il difficile reperimento dei testi e delle prove sia per il frequente

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apparente rispetto di norme e regolamenti (condizioni “border line”: il mobbing è comportamento spesso subdolo).

Certo è che in non pochi casi le “prescrizioni” ex Dlgs 758/94 redatte per carenze che riguardano le condizioni di sicurezza ed igiene del lavoro anche organizzative (es: prevenzione dello stress) previste dal Dlgs 81/2008 migliorano il clima e possono limitare il mobbing strategico.

Altra considerazione è che l’intervento del MC può essere influente nell’attenuare situazioni di disfunzione gestionale che favoriscono il mob-bing.

Ed è anche vero che la maggior parte delle soluzioni si hanno per via amministrativa o per ricorso al giudice del lavoro o al Tribunale Civile (demansionamento). Varie esperienze aziendali e pubbliche (comitati antimobbing,consiglieri di parità, ecc.) sono state attuate per la riduzione del mobbing. In molti casi è però ancora necessaria, per la piena tutela del mobbizzato, l’assistenza da parte di un legale.

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lo straining: tra stress e mobbing

Cosa si intende per straining?

Lo Straining, si differenzia dal Mobbing, per il modo in cui è perpetrata l’azione vessatoria.

Abbiamo ampiamente visto che, per parlare di Mobbing, è necessario che l’azione di molestia sia caratterizzata da una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, che venga riscontrato un danno alla salu-te e, infine, che questo danno possa essere messo in relazione all’azione persecutoria svolta sul posto di lavoro.

Nello Straining, invece, viene meno il carattere della continuità delle azioni vessatorie.

Pensiamo, per esempio, al deman-sionamento, alla dequalificazione, all’isolamento o alla privazione degli strumenti di lavoro: si tratta, certa-mente, di situazioni stressanti che possono anche causare gravi disturbi psicosomatici, ma non di azioni ripetute nel tempo.

Quindi, la differenza fondamentale tra lo Straining e il Mobbing consiste nel fatto, che nel primo caso è presente un’azione unica ed isolata, mentre nel secondo è fondamentale la continuità delle azioni vessatorie.

Per parlare di Straining, quindi, è sufficiente anche una sola azione, purché i suoi effetti siano duraturi nel tempo, come nei casi di demansio-namento o di trasferimento.

Durante i colloqui con vittime di soprusi e violenze psicologiche sul posto di lavoro, Ege per primo aveva preso conoscenza che, gran parte dei soggetti convinti di essere stati mobbizzati, in realtà avevano subito trattamenti ingiusti e discriminanti sul posto di lavoro che però non avevano assolu-tamente le caratteristiche del mobbing classicamente inteso ed occorreva quindi trovare il termine adatto per definire questo tipo di molestie, spesso isolate,non caratterizzate dai parametri temporali e di gravità del mobbing. Un termine, la cui valenza non fosse solo descrittiva e pratica, ma anche psi-

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cologica, e quindi in grado di spiegare dettagliatamente alcune temporanee ma indiscusse sofferenze delle persone sottoposte a queste azioni.

Pertanto, in Psicologia del Lavoro quei conflitti organizzativi non ri-entranti nel Mobbing ma comunque comprendenti situazioni lavorative stressanti, ingiuste e lesive, quali per esempio la dequalificazione o isola-mento professionale, sono definiti con il termine originale ed esclusivo di Straining”, termine che deriva dall’inglese “to strain”, e letteralmente può essere tradotto con il significato di “tendere”, “mettere sotto pressione”, “stringere”. Il significato del verbo inglese “to strain”, è molto vicino a quel-lo di un altro verbo inglese, “to stress”, ed infatti , il legame tra Straining e stress occupazionale è evidente, poiché in una situazione di Straining, l’aggressore o strainer, tenderà, sempre, a far cadere la propria vittima in una condizione particolare di Stress.

Si tratta, di un tipo di stress, che potrebbe essere definito superiore rispetto a quello connaturato alla natura stessa del lavoro e alle normali interazioni organizzative.

Esso, infatti, è diretto nei confronti di una vittima o di un gruppo di vittime in maniera intenzionale, e con lo scopo preciso di provocare un peggioramento permanente della condizione lavorativa delle persone coinvolte.

Prima che venisse coniato un termine adatto non solo per indicare e descrivere questo tipo di conflitto organizzativo, ma anche in grado di dargli una certa valenza psicologica e giuridica, tra coloro che si ritenevano vittime di Mobbing, erano presenti vicende lavorative che non rientravano oggettivamente in questo fenomeno.

Stando così le cose, questi lavoratori non erano in grado di sostenere le loro ragioni in tribunale, e quindi, non era loro riconosciuto il relativo danno causato dalle vessazioni subite.

È, infatti, innegabile che, una persona demansionata e umiliata per un lungo periodo di tempo, soffre a livello di autostima, di socialità e di quali-tà della vita, riportando un danno esistenziale, oltre che professionale ed eventualmente biologico.

Lo Straining, è dunque, una condizione psicologica posta a metà strada tra il Mobbing e il semplice stress occupazionale.

Vediamo adesso come si può riconoscere una situazione di Straining:I sette parametri per riconoscere lo Straining (Ege):

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Parametri per il riconoscimento dello Straining

Requisiti

Ambiente lavorativo Il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoroFrequenza Le conseguenze dell’azione ostile devono

essere costantiDurata Il conflitto deve essere in corso da almeno

sei mesiTipo di azioni Le azioni subite devono appartenere ad alme-

no una delle cinque categorie del “LIPT Ege”Dislivello tra gli antagonisti La vittima è in una posizione costante di

inferiorità Andamento secondo fasi successive La vicenda ha raggiunto almeno la II fase (“Con-

seguenza percepita come permanente”) del Modello Ege di Straining a quattro fasi

Intento persecutorio Nella vicenda devono essere riscontrabili uno scopo politico e un obiettivo discriminatorio

lo stalking:cacciatori in cerca di prede

Cosa si intende per stalking?

Comportamenti, come telefonate, atti verbali o gestuali, sms, e-mail, “visite a sorpresa”, invio di fiori, cartoline,scritti o regali, quasi sempre pos-sono essere interpretati come segni di affetto, amicizia o apprezzamento, ma possono anche talora trasformarsi in forme vessatorie o di persecuzione se non graditi. Queste forme di “attenzione” in alcuni casi sono asfissianti al punto da interferire nella libertà e violando la privacy della persona oggetto delle stesse, in taluni casi spaventando o creando problemi psicologici, stress o vere e proprie patologie in chi ne è destinatario. Stalking, che in lingua inglese di “appostarsi”, configura di fatto la tipologia e l’atteggiamento di un soggetto che pratica volontariamente molestie assillanti verso una “preda” ed è quindi definibile come “stalker”.

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33Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

Il molestatore assillante o “stalker”:

Può essere chiunque.• un conoscente con cui si hanno rapporti amicali, relazioni o contatti professionali• un perfetto sconosciuto con cui ci si è scontrati o sono intercorsi anche fugaci rapporti casuali

Come avviene lo stalking?

Pedinamento, vessazioni e atteggiamenti persecutori possono palesarsi in modo occa-sionale o sporadico oppure possono essere insistenti e sgradevoli. In tal caso sono mani-festazioni di un fenomeno psicologico e sociale definito anche come “sindrome del molesta-tore assillante”, “inseguimento ossessivo” o anche obsessional following.

Quali sono le caratteristiche dello stal-ker?

Lo stalker o “molestatore assillante” è colui che mette in atto le condotte vessatorie ed ha come caratteristica comune ed assolutamente tipica una serie complessa di atteggiamenti e comportamenti che vengono sinteti-camente ricompresi nel termine “fare la posta” e che includono l’attesa l’osservazione, il seguire, controllare, raccogliere informazioni sulla “vittima” e sui suoi movimenti o interessi.

Vi sono diverse categorie di stalkers?

Vi sarebbero due categorie di compor-tamenti attraverso i quali si può attuare lo stalking. Anzitutto le comunicazioni intrusive, comportamenti che hanno lo scopo di tra-smettere messaggi sulle proprie emozioni, sui bisogni, sugli impulsi, sui desideri o intenzioni, sia relativi a stati affettivi amorosi che a vissuti di odio, rancore o vendetta.

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I metodi di persecuzione adottati, sono “distorte” forme di comunicazione che vengono messe in atto mediante strumenti tecnologici come telefono, lettere, sms, e-mail o anche con sistemi diversi come scritte, graffiti o mu-rales.

Altro tipo di comportamenti sono quelli di contatto-confronto costituiti appunto da contatti, che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo diretto, quali ad esempio pedinare o sorvegliare, che mediante comportamenti di confronto diretto, quali visite sotto casa o sul posto di lavoro, minacce o aggressioni.

In ogni caso, quasi mai si ritrovano due tipologie separate e “pure” di stalkers, ma la gran parte delle volte si rilevano invece molestie in forme miste in cui la prima tipologia di comportamenti precede spesso la seconda specie di azioni.

Quali sono le caratteristiche delle molestie e degli stalkers?

Lo stalking si estrinseca mediante una vasta gamma di comportamenti sempre però basati sulla comunicazione e/o sul contatto, ma caratterizzati da ripetizione, insistenza e intrusività (Curci, Galeazzi, 2001).Secondo alcuni AA. esisterebbero diverse categorie o tipologie di stalkers (ad esempio “il risentito” che cerca vendetta per un torto o di un danno , portato a “giu-stificare” qualsiasi comportamento inclusa la lesione dell’immagine della persona dalla quale ritiene essere stato offeso, “il bisognoso d’affetto”,alla ricerca di una improbabile relazione con una vittima scelta perché,ad una superficiale valutazione, è stata ritenuta particolarmente vicina o “partner ideale”, ed il cui rifiuto viene reinterpretato come una tacita richiesta di aiuto per sbloccarsi o superare qualche supposta difficoltà, “il corteggiatore incompetente” con scarsa o inesistente capacità relazionale e comporta-menti espliciti anche aggressivi,inurbani, offensivi , volgari o scortesi che però non persiste generalmente a lungo in atteggiamenti persecutori salvo riproporli poi verso altri, “il respinto” che diventa stalker a seguito di un rifiuto e non si lascia generalmente intimorire dalle reazioni della vittima perché “la persecuzione rappresenta per lui comunque una sorta di con-tatto o relazione rispetto alla perdita totale giudicata intollerabile. Infine il soggetto definito “predatore” mira ad avere rapporti sessuali con la vittima che può pedinare, inseguire o spaventare. La paura può stimolare questo stalker che prova un senso di potere nell’organizzare le vessazioni.

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35Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

Lo stalking incide nei luoghi di lavoro o è connesso solo agli ambienti di vita?

Secondo le statistiche attuali degli Stati Uniti e del Dipartimento del Lavoro, l’omicidio è la principale causa di morte per le donne sul posto di lavoro, e una delle principali cause di morte per gli uomini. Molte di queste morti sono il risultato di vessazioni stalking-compatibili. Gli studi hanno scoperto che uno su sei crimini violenti in America si verifica sul posto di lavoro, pari a circa 1 milioni di reati all’anno. Certo è che negli USA come anche in Italia, lo stalking inteso in relazione alle vittime sul lavoro, è un problema abbastanza nuovo per le aziende. Molti manager e supervisori non sanno come affrontare e reagire al pericolo, mentre spesso neanche le vittime trovano la comprensione e la protezione di cui hanno bisogno. A fronte di tale situazione, i manager stanno finalmente iniziando a riconosce-re la gravità del problema e la violenza sul posto di lavoro è stata classificata come la preoccupazione numero uno dei dirigenti di 1000 aziende.

Le vittime di stalking necessitano della collaborazione del datore di lavoro ma molte aziende rifiutano ostinatamente di pensare che i dipen-denti possano essere in pericolo. Ed ancora, molti datori di lavoro vedono lo stalking come un problema personale, degli ambienti di vita e non un problema dell’Azienda in cui dovrebbero essere coinvolti. E se molti omicidi sul lavoro sono una diretta conseguenza dello stalking, la maggior parte delle aziende dovrebbe addestrare i loro manager per evitare le molestie sessuali; invece la formazione viene usata molto poco solo nel contrastare la violenza sul posto di lavoro, ed in particolare lo stalking.

Per molte vittime di stalking con la qualifica di sottoposti o impiegati, la preoccupazione non è più se conserveranno il loro impiego o se saranno e licenziati, ma piuttosto se saranno molestati o subiranno violenza sul

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lavoro da uno stalker. Tra l’altro molte vittime, per l’imbarazzo e la paura, sono riluttanti a parlare con dirigenti e colleghi su condotte stalkizzanti. Nonostante ciò, non si dovrebbe aver paura di informare la dirigenza se un molestatore si palesa. Si dovrebbe anzi, per quanto possibile, ottenere quante più informazioni possibile sullo stalking condividendole con diri-genti, collaboratori, preposti, medici competenti, RSPP ed altro personale di sicurezza.

D’altra parte la caratterizzazione dello stalking negli ambienti di lavoro è un pericolo reale per molte vittime di stalking: spesso però i colleghi ed i superiori della vittima sembrano ignorarlo. Mentre è molto importate per la vittima spiegare al proprio capo ciò che sta accadendo ed occorrerebbe ad esempio mostrare le foto, se possibile, dando una descrizione dello stalker, con tutte le informazioni che possono essere utili per identificare il mole-statore. Si pensi a quale sottile tortura possa rappresentare per la vittima l’avere un collega che esercita un controllo intrusivo su auto, movimenti, amicizie e telefonate personali sul posto di lavoro.

Un elemento fondamentale per la lotta a questo fenomeno appare dunque la consapevolizzazione e la formazione dell’Azienda sulle tematiche dello stalking, elemento che costituisce la migliore garanzia di protezione per tutti.

Quali sono le figure più aggredite dagli stalkers?

Molte persone che subiscono molestie assillanti sono donne di un’età più frequentemente compresa tra i 18 e i 24 anni. Tuttavia, alcuni tipi di persecuzioni, quali ad esempio quelle legate al risentimento o alla paura di perdere la relazione che nasce dall’essere respinti, sono rivolte principal-mente a donne tra i 35 e i 44 anni. Come già detto, i luoghi di lavoro sono spesso occasione di rapporti tra colleghi. Categorie sociali a rischio di stalking, come lo sono gli appartenenti alle cosid-dette “professioni d’aiuto”, professionisti cioè che entrano in contatto con bisogni profondi di aiuto delle persone (assistenti sociali, medici, infermieri e psicologi) che possono facilmente divenire vittime di proiezioni di affetti e relazioni interio-rizzate. Anche le eccessive speranze di

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alcuni “pazienti” possono essere tradite dalla quotidianità professionale e lo stalking diventa una domanda di attenzione o una ricerca di vendetta per l’attribuzione di responsabilità sulla salute o sulla vita propria o dei propri cari. Peraltro secondo l’ISTAT in Italia le donne fatte oggetto di comporta-menti persecutori (telefonate, lettere, pedinamenti e atti vandalici) che rientrano nel cosiddetto ‘stalking‘, (dall’inglese “to stalk”: fare la posta), sono 2.077 mila, 937 mila delle quali è stata vittima anche di violenza fisica o sessuale. In Italia l’86% delle vittime dello stalking è una donna tra i 18 ed i 24 anni (20%), tra i 35 ed i 44 (6,8%) o dai 55 anni in poi (1,2%). Un’indagine australiana ha osservato, in un sondaggio a 6300 donne, che è più probabile che la molestia sia commessa da un uomo e risulta inoltre che il 2,6% delle vittime sposate o legate stabilmente riferisce non solo che il reo risulta essere il coniuge o l’ex-partner, ma anche di aver subito violenza da questi. La violenza fisica, spesso di natura sessuale, è un tratto distintivo della vita della vittima.

Lo stalking è in crescita?

La risposta è affermativa. La crescita avviene specie con la posta elettro-nica (Eurispes = 80% dei casi) e con le chat. L’analisi condotta dalla Polizia di New York ha mostrato su un campione di casi dal 1996 al 2000 una tipologia ricorrente di molestatore (maschio, 25 anni) e di vittima (donna, 35 anni) e l’utilizzo primario dell’email come strumento di stalking. Gli stalker hanno anche realizzato pagine web, inserendovi messaggi intimidatori indirizzati alla vittima o informazioni riservate o pubblicizzando falsi servizi erotici della vittima o messa on-line foto della vittima, relative ad una pregressa relazione o scattate di nascosto, durante un appostamento. Si segnala a tale proposito che alcuni eventi processuali nel nostro Paese hanno resa nota l’attività di stalking effettuata tramite la posta elettronica interna da parte di dirigenti nei confronti di subordinati.

Come è punibile lo stalking?

Anzitutto lo stalker può essere una persona normalissima. In parte alcuni possono avere turbe psichiche, essere narcisisti, paranoici, borderline, ma spesso sono persone ‘normali’, ex partner, mariti che hanno avuto una

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Quaderni di Medicina ed Igiene del Lavoro, Sicurezza e Prevenzione38

situazione triste familiare, che sono stati lasciati, e impegnano tutte le loro energie per dare fastidio.

Lo stalking oggi ha un profilo automomo che è quello dell’art. 612-bis CP. - (Atti persecutori). «È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da ca-gionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di donna in stato di gravidanza o di un soggetto con disabilità, ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi, o da persona travisata, o con scritto anonimo. Il delitto è punibile a querela della persona offesa e termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di persona con disabilità, ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio».

Fino a quando non è esposta querela per il reato di cui all’articolo 612- bis del codice penale, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.

Ed il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investi-gativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istan-za, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente dell’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questo-re valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

Il giudice poi può procedere ad ulteriori azioni «Art. 282-ter. - (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequen-tati dalla persona offesa). - 1. Con il

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39Comunicazione per la prevenzione sulla sicurezza in Igiene del Lavoro

provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequen-tati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa. 2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da per-sone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi ovvero da tali persone. 3. Il giudice può, inoltre, vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2. 4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni. ...». A questo reato possono aggiungersi quelli di ingiurie, minaccia e altri. Il Tribunale di Milano, con la sentenza del 15 marzo 2001, ha ricono-sciuto il danno esistenziale di una vittima di stalking, riconoscendo quindi il diritto al risarcimento secondo l’art. 2059 c.c.

La sentenza 16148/07 della Cassazione stabilisce che il datore di lavoro che, a conoscenza di atti vessatori messi in atto da suoi dipendenti, non fa nulla per impedirli, è responsabile per inadempimento contrattuale e violazione dell’art. 2087 del Codice Civile e può essere quindi chiamato a risarcire i danni.

Quali sono le misure di prevenzione da adottare per lo stalking?

Innanzitutto, inutile negare il problema. Spesso, dal momento che nessuno vuole considerarsi una “vittima”, si tende a evitare di riconoscersi in pericolo, finendo per sottovalutare il rischio e aiutando così lo stalker. Il primo passo è allora sempre quello di riconoscere il problema e di adottare delle precauzioni maggiori rispetto a quelle adottate dalle persone che non hanno questo problema. Occorre informarsi sull’argomento e comprendere i rischi reali, seguendo dei comportamenti volti a scoraggiare, quando è possibile, gli atti di molestia assillante. Se la molestia consiste nella richiesta di iniziare o ristabilire una relazione indesiderata, è necessario essere fermi nel “dire di no” una sola volta e in modo chiaro. Altri sforzi di convincere il proprio persecutore insistente, comprese improvvisate interpretazioni psicologiche che lo/la additano come bisognoso di aiuto e di cure, saranno lette come reazioni ai suoi comportamenti e quindi rappresenteranno dei rinforzi, in quanto attenzioni. Anche la restituzione di un regalo non gradito,

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una telefonata di rabbia o una risposta negativa ad una lettera sono segnali di attenzione che rinforzano lo stalking.

Comportamenti molto efficaci per difendersi dal rischio di aggressio-ni sono quelli prudenti in cui si esce senza seguire abitudini routinarie e prevedibili, in orari maggiormente affollati e in luoghi non isolati, magari adottando un cane addestrato alla difesa, un modo che si è rivelato molto utile sia come concreta difesa che per aumentare la sensazione di sicurezza. Se le molestie sono telefoniche non cambiare numero. Anche in questo caso, le frustrazioni aumenterebbero la motivazione allo stalking. È meglio cercare di ottenere una seconda linea, lasciando che la vecchia linea diventi quella su cui il molestatore può continuare a telefonare, magari mentre azzerate la soneria e rispondete gradualmente sempre meno. Per produrre prove della molestia alla polizia, non lasciarsi prendere dalla rabbia o dalla paura e raccogliere più dati possibili sui fastidi subiti.

È utile mantenere sempre a portata di mano un cellulare in più per chiamare in caso di emergenza e se si pensa di essere in pericolo o segui-ti, non andare mai di corsa a casa o da un amico, ma recarsi dalle forze dell’ordine.

Quali possono essere le conseguenze dello stalking?

Purtroppo spesso i comportamenti di stalking possono essere protratti a lungo con conseguenze psicologiche negative principalmente per la vittima, ma anche per chi lo agisce e, talvolta, per chi lo osserva.

La vittima, per quanto possa essere breve il periodo in cui viene per-seguitata, rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite. Le con-seguenze dello stalking infatti, per chi lo subisce, sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo cronicizzandosi. In base al tipo di atti subiti e alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d’ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flashback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress.

Lo stalker che agisce compulsivamente tende a seguire i propri bisogni e a negare la realtà, danneggiando progressivamente la propria salute mentale e la qualità della propria vita sociale che si deteriorano sempre di più, via via che la persecuzione si protrae nel tempo.

Ed anche il pubblico degli episodi di stalking può essere il ristretto pubbli-co familiare che, identificandosi empaticamente alla vittima, può sviluppare preoccupazioni per la persona cara o forme vicarie di paura ed ansia.

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molestie sessualiCosa sono le molestie sessuali?

Spesso affiancato al tema dello stakling è possibile trovare il tema delle molestie sessuali. Secondo le disposizioni UE per “molestie sessuali” si intende ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro comportamento basato sul sesso che offenda la dignità delle donne e degli uomini nel mondo del lavoro ivi inclusi atteggiamenti male accetti di tipo fisico, verbale o non verbale. La caratteristica essenziale sta nel fatto che si tratta di un atto indesiderato da parte di chi lo subisce e che spetta al singolo individuo stabilire quale comportamento egli possa tollerare e quale sia da considerarsi offensivo. È un fenomeno che colpisce di preferenza le donne e il molestatore non è un individuo socialmente deviato” (Ministero dell’Interno).

Secondo una recentissima ricerca sul tema delle molestie e violenze sessuali condotta in Europa nel 2011 su 21.516 studentesse universitarie, in Italia almeno il 69% delle intervistate ha dichiarato di aver subito una molestia sessuale almeno una volta nella vita. E le medie sembrano anche alzarsi per altri paesi europei quali la Spagna (70%), la Germania (80%), il Regno Unito (84,4%). La stessa ricerca inoltre, mostra come le differenze al livello di paesi europei siano dovuti non tanto ad un’effettiva maggiore o minore presenza del fenomeno quanto ad una maggiore o minore capacità di riconoscerlo, gestirlo e governarlo.

Le molestie sessuali infatti hanno una forte connotazione “culturale”, per cui situazioni apprezzamenti verbali, sguardi insistenti, battute allusive possono venire decodificati come molestia a seconda dei contesti e delle relazioni che intercorrono tra i soggetti coinvolti.

Anche le reazioni delle vittime di molestie possono variare in base ai contesti e alle situazioni. Laddove però il soggetto molestato percepisca un disagio, questo può variare da un continuo stato di ansia e insicurezza fino all’insorgenza di un disagio psicologico grave, fino a fenomeni di rifiuto di uscire e di relazionarsi con gli altri.

In generale però è possibile dire che la caratteristica distintiva di una molestia sessuale è che si tratta di un atto indesiderato per chi lo subisce. Spetta dunque al soggetto definire qual è il limite oltre il quale un compor-tamento diventa offensivo o violento.

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Molestie sessuali sul lavoro

Quando si è sul posto di lavoro, il disagio connesso alle molestie sessuali possono manifestarsi con fenomeni di allarmismo e insicurezza della vittima sul possono di lavoro fino a ricorrenti assenze per malattia del soggetto vittima di molestie, il quale – non trovando altre vie d’uscita dal problema, non può far altro che allontanarsi dal luogo in la minaccia è più presente.

Comportamenti definibili come “molestie sessuali”, possono provenire da colleghi oppure dal datore di lavoro, possono verificarsi nei confronti delle donne e in alcuni casi, pur se meno frequenti, anche degli uomini. Apprezzamenti, contatti fisici più o meno apparentemente causali, am-miccamenti, richieste esplicite o implicite di avanzamenti o miglioramenti della propria carriera in cambio di favori sessuali sono tutti comportamenti che possono essere definiti molestie sessuali, se il destinatario di queste condotte le vive come violenze e/o azioni inopportune.

Le molestie sono infatti da differenziare rispetto al semplice “corteg-giamento”, che è un comportamento che implica il consenso di tutti i partecipanti alla relazione.

Una forma particolarmente violenta di molestia sessuale è quella che avviene attraverso il ricatto (rispetto al proprio posto di lavoro, ruolo, fun-zione aziendale, etc.), che fa percepire alla vittima di essere “in trappola”.

Cosa dice la Legge in tema di molestie?

Al livello giuridico, la molestia sessuale è considerata allo stesso modo di un offesa della persona per la vittima ed esistono strumenti di tutela e di difesa individuali (rif. n. 2087 del c.c.; art. n. 260 del c.p.; leggi n. 300/70 e n. 125/91).

Una proposta di legge approvata dal Senato definisce sia l’oggetto che il campo di applicazione delle molestie e stabilisce che quest’ultime, influendo sulle decisioni che riguardano il rapporto di lavoro, sono considerate com-portamenti discriminatori. Dunque, “ogni atto ottenuto con comportamento scorretto è annullabile e ogni atto derivante da atto discriminatorio per sesso derivante dalla molestia è considerato nullo” (Ministero dell’Interno).

Laddove il molestatore sia il datore di lavoro la vittima ha diritto a recedere dal contratto per giusta causa e deve essere risarcita con una indennità proporzionata alla gravità del comportamento molesto subito. Ogni datore di lavoro pubblico o privato è tenuto ad adottare iniziative

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adeguate per la formazione, l’informazione, la prevenzione delle molestie sessuali, tutelando i lavoratori dal rischio di riceverle.

Cosa dovrebbe fare un datore di lavoro davanti al rischio di mole-stie?

Attraverso misure di prevenzione e informazione dei lavoratori il datore di lavoro o il dirigente dovrebbe creare un clima di fiducia in cui sia possibile parlare, discutere ed eventualmente denunciare casi di molestie. Andrebbe altresì sottolineato che tutti i dipendenti hanno il dovere di collaborare al mantenimento di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno, mentre la o il dipendente che abbia subito molestie o sia sottoposto a comportamenti indesiderati o discriminatori a sfondo sessuale ha diritto all’interruzione dei comportamenti molesti nei suoi confronti.

hazing: rituali e vessazioniChe cosa si intende per Hazing?

Hazing è il termine usato per descrivere vari rituali e altre vessazioni che comprendono molestie, abusi o umiliazione utilizzate come sistema di iniziazio-ne di una persona in un gruppo. È praticato oggi in diversi gruppi come, club, squadre sportive, unità militari, e luoghi di lavoro anche qualificati negli Stati Uniti e in Canada.

Si tratta di pratiche spesso vietate dalla legge che possono consistere in pratiche degradanti sia fisiche (vessazioni violente) che mentali.

Possono spesso essere caratterizzate anche da immagini o atteggiamenti di nudo o di attività ses-suali vissute come “abuso”

Esiste lo Hazing in Europa?

Lo Hazing è assimilato a termini come ‘battesimo’ (baptême francese) o rito di passaggio per matricole (Bizutage) o una combinazione di entrambi, come nel finlandese mopokaste (letteralmente “battesimo del ciclomoto-

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re”). In svedese, il “nollning”, è “azzeramento”. In Spagna, la “novatada” significa nuovo arrivato e in Portogallo “praxe”, significa “abitudine”. Spes-so la prova più grave, è una sessione orgiastica collettiva, che può essere chiamata la notte l’inferno, ma alcune tradizioni si impegnano a mante-nere il terrore per un lungo periodo (un termine comune per i candidati è l’iniziazione; termini alternativi sono newbie, rookie, soprattutto in USA nelle squadre di atletica). Lo Hazing è stato segnalato in una vasta gamma di contesti sociali ed è stato apparentemente usato come un metodo per promuovere lealtà e cameratismo di gruppo attraverso la sofferenza con-divisa con altri partecipanti

Come avviene lo Hazing e quali sono i rituali?

Lo Hazing viene praticato spesso nelle squadre sportive dei campionati dilettanti o junior di club professionistici per avviare nuovi membri, anche in gruppi di lavoro, soprattutto quando i candidati sono più giovani rispetto al resto dei dipendenti o degli impiegati. Hazing può determinarsi in gruppi selettivi di lavoratori sia in aziende private che in Pubbliche Istituzioni; le pratiche di hazing sono più comuni (ma non limitate) alle scuole del Nord America, Svezia, ai colleges inglesi ed alle università in generale, anche in piccole istituzioni.

Altri gruppi che hanno rituali hazing sono i tifosi ed i fan club, gruppi sociali, società segrete. Sebbene i rituali di hazing possano essere poco noti, essi possono comunque essere molto diffusi, anche in piccoli gruppi di lavoratori addetti ad attività particolari, e costituiscono quasi sempre motivo di sofferenza per chi li subisce.

Quali tipologie di vessazioni in particolare si possono realizzare ed in quali contesti lavorativi?

Forze Armate, corpi di vigilanza di vari paesi hanno da tempo o rituali di hazing, con violenze e punizioni. In USA è difficile che esistano ancora pratiche di hazing salvo per unità particolari ma i rituali sono frequenti nei college militari o nelle istituzioni gestite come in ambito militare (es: ospedali, strutture di aiuto ed assistenza). Le pratiche di Hazing nell’esercito russo sono denominate “Dedovshchina”. In Italia alcune forma di hazing sono ricondotte alle pratiche vessatorie note come “nonnismo”.

Forze di polizia, o con tradizione paramilitare (squadre della morte,

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gruppi tattici) possono praticare rituali hazing come anche i servizi di soc-corso, alcuni gruppi di Boy Scout e spesso dipendenti in luoghi di lavoro ove vi è abitudine ad utilizzare lo hazing per i neo-assunti. È frequente la pratica di Hazing nei detenuti lavoratori delle prigioni di tutto il mondo, con frequenti denunce di pestaggi e aggressioni anche sessuali da parte di compagni di prigionia.

Quali sono i più frequenti fenomeni di Hazing sul lavoro?

Nonostante vi siano alcune situazioni particolari più suscettibili per l’insorgenza di fenomeni di hazing, praticamente tutti i contesti lavorativi possono mostrare delle fenomenologie simili. Contrariamente alle aspet-tative e alle “buone norme” d’accoglienza per i nuovi arrivati, le persone e le organizzazioni rendono spesso difficile per i nuovi membril’inserimento in un team di lavoro precostituito.

Si è evidenziato come i colleghi di lavoro abbiano posto ostacoli ed im-pedimenti volti a limitare o impedire la possibilità di stabilire legami positivi nel nuovo gruppo d’appartenenza, così come talvolta i dirigenti, i preposti o le stesse norme e procedure organizzative.

Una ricerca sui fenomeni di hazing per i nuovi arrivati sui posti di lavoro (Josefowitz, Gadon, 1989) ha fatto emergere come questo fenomeno sia più che frequente negli States ove su oltre 1.000 interviste sulle esperienze di ingresso in ambienti di lavoro nuovi (lavoratori provenienti da vari settori ed appartenenti a diversi livelli professionali, i risultati hanno mostrato che in tre quarti dei casi si potevano ipotizzare fenomeni corrispondenti ai riti di passaggio che caratterizzano il fenomeno dello hazing. I costi in dollari di questo fenomeno, stimati dalla stessa ricerca, sono notevoli, specialmente per quanto riguarda lo spreco di denaro investisto in ricerca e selezione di nuovo personale. Si è stimato che circa il 10% del campione di intervistati abbia lasciato il lavoro a causa di fenomeni di hazing.

La sgradevolezza e la durata dei fenomeni di hazing dipendono prin-cipalmente da tre fattori: la coesione del gruppo di arrivo, l’adattamento dell’individuo nel gruppo, e la risposta del nuovo arrivato ai fenomeni di hazing. La ricerca mostra che più coeso e chiuso è il gruppo, più è difficile per i nuovi membri inserirvisi senza problemi. Quando invece il nuovo arrivato si trova di fronte non ad un gruppo, ma un insieme di individui che si trovano a lavorare nello stesso posto nello stesso momento senza essere parte di un vero team, allora l’appartenenza non è un problema e i fenomeni di hazing non si verificano.

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Qual è la differenza tra Hazing ed un normale rito di passaggio o di promozione?

Tracciare la linea tra lo “hazing” e un semplice rito di passaggio (bonding) è difficile poiché vi è una zona grigia in cui questi due fenomeni si interse-cano e si mescolano rendendo difficile individuare il limite oltrepassato il quale si hanno azioni degradanti che non dovrebbero essere tollerate.

Lo hazing ad esempio consiste anche nell’accettare volontariamente la possibilità di gravi rischi che potrebbero essere evitabili come effettuare cadute in altezza o esporsi a gravi incidenti. Inoltre, in un contesto sociale diverso può essere definito “hazing” lo stesso trattamento che invece è tale per altri come la cerimonia quando si passa l’equatore in mare che può essere una vera tortura per i cadetti o per il marinaio, mentre non è certo hazing la scherzosa festa rituale fatta per i passeggeri di una nave. È hazing qualsiasi attività prevista per chi entra in un gruppo che umilia, diminuisce o causa rischi emotivi o danni fisici, indipendentemente dalla disponibilità della persona a partecipare.

Nella cultura degli anni passati, le pratiche di hazing sono state spesso considerate innocue buffonate associate alla attività di giovani universitari come i riti della goliardia: Le ricerche attuali mostrano come i fenomeni di hazing siano presenti anche sui luoghi di lavoro in un contesto socio cultu-rale moderno fortemente mutato ove vi è maggiore rispetto della dignità dell’individuo e del lavoratore, dei suoi diritti, dell’etica, della privacy.

Chi sono le vittime dello Hazing? Come avvengono le vessazioni?

Anzitutto vi è da dire che le vittime di hazing talvolta nascondono la vera causa degli infortuni per vergogna o per proteggere chi ha causato il danno ed i propri aggressori. In sostanza, le vittime di hazing possono essere confrontate con le vittime della violenza domestica. Lievi forme di hazing , ma al di fuori del contesto criminale, possono realizzarsi in gruppi mili-tari di base, ove l’intento formativo può svilupparsi tramite un’esperienza lievemente traumatica destinata a produrre un legame, con l’obiettivo di formare unità militari che rimarranno fedeli ed unite, anche in situazioni di pericolo di vita.

Sono stati associati a forme di hazing incidenti con calci, fino al punto di lesioni traumatiche o di morte, ustioni volontarie, ginnastica eccessiva, abusi psicologici o sessuali tra maschi e femmine. La costrizione all’attività sessuale

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viene a volte considerata uno “scherzo”, piuttosto che stupro vero e proprio. Altre manifestazioni sono prodezze fisiche come la ginnastica e altri esami fisici. Sono descritte anche prove di orientamento o abbandono in luoghi lontani, al buio o in un luogo pubblico, salti da una certa altezza (bungee), furto e obbedienza, piercing, raccolta di fondi con accattonaggio, vendita di un prodotto o prestazione di servizi, abusi verbali.

Negli USA quasi la metà (47%) degli studenti hanno avuto esperienze di hazing prima di venire al college. Il consumo di alcol, l’umiliazione, l’iso-lamento, la privazione del sonno, e gli atti sessuali sono pratiche di hazing comuni tra gruppi di studenti.

Qual è la giurisprudenza italiana?La Cassazione in una sentenza del 3.2.2010 ha stabilito che costituiscono

reato “le battute da caserma” che i superiori rivolgono alle reclute donne. La Corte ha confermato la condanna a 6 mesi di reclusione per un maresciallo dell’esercito, istruttore di nuoto, che aveva esplicitato pesanti allusioni con due reclute donne, davanti agli altri colleghi. Lui si era difeso sostenendo che le battute “erano state consumate in un ambiente militare, ove non può distin-guersi lo spirito militaresco tra militari donne e militari di sesso maschile”. La 1 sezione penale della Cassazione ha ritenuto infatti il ricorso del maresciallo inammissibile poiché manifestamente infondato.

Il bullyingCosa si intende per “bullying”?

Una serie di comportamenti “al limite” di tipo vendicativo, malevolo, ingiustamente critico, umiliante o minaccioso, che minano la dignità dei la-voratori. Il bullying non è molto distante dal mobbing, che pure sottintende un comportamento persecutorio verso un lavoratore, tuttavia il bullying si differenzia anzitutto per la maggiore e più esplicita aggressività del bullo, spesso attuata in modo arrogante ed apparentemente senza motivo al fine solo di dimostrare la propria superiorità attraverso la sottomissione di un “debole”. Il numero di persone che si rivolgono al medico per denunciare un problema di tipo psicologico è in continua crescita e molti pazienti la-mentano lo stress lavorativo: molti di questi casi sono connessi a episodi di bullying, che hanno come causa principale l’intimidazione fisica o psicologica che si ripete nel tempo.

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Il bullismo può essere palese (ad esempio, prendere in giro, picchiare, rubare), ed i maschi sono bulli spesso in modo più evidente delle donne. Il bullismo comunque, quando è dissimulato (cioè, diffondendo voci, spar-lando o escludendo), è più frequentemente praticato dalle donne.

Il bullismo è costituito da tre tipi fondamentali di abuso : emozionale, verbale e fisico. Si tratta di tipici metodi di sottile coercizione, come la manipolazione psicologica. Il bullismo può essere definito in molti modi diversi ed è talmente diffuso in alcuni Paesi che, ad esempio, alcuni stati americani hanno leggi specifiche.

Va ricordato che il fenomeno si può verificare in qualsiasi gerarchia sociale, famiglia, organizzazione non profit, università, gruppo sportivo o aggregazione sociale.

Generalmente vi è un forte legame tra le vittime di bullying e il suicidio. I giovani sono più fragili, hanno maggiori difficoltà a risolvere problemi sociali spesso non cercano o non hanno aiuto adeguato e quindi e si stima che tra il 15 e 25 bambini giovani vittime di bullismo pratichino azioni suicide ogni anno nel solo nel Regno Unito.

Il bullying sul lavoro

Sul lavoro si determina un comporta-mento offensivo e intimidatorio protratto a lungo su un soggetto psicologicamente debole e genera nella vittima turbamento, senso di minaccia, umiliazione e vulnera-bilità, minando l’autostima e conducendo ad uno stato di stress costante.

Sarebbero cinque le categorie di bul-lying:

• minaccia dello status professiona-le,

• minaccia della propria condizione personale,• isolamento,• iperlavoro e• destabilizzazione.Si creano così, ambienti di lavoro “tossici” nei quali simili comporta-

menti proliferano e nei quali parlare in modo franco è difficile e si finisce per coltivare un’epidemia silenziosa.

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Anche problemi di concentrazione, insicurezza e mancanza di iniziativa possono essere sintomatici di un problema di questo genere. Una volta identificato il problema diventa, poi, indispensabile fornire supporto e incoraggiamento alle vittime garantendo tutte le informazioni del caso.

Secondo l’EU-OSHA (Factsheet 23) è definibile “bullying” sul lavoro un comportamento irragionevole diretto verso un dipendente o un gruppo di lavoratori, che crea un rischio per la salute e la sicurezza degli stessi lavoratori.

La definizione “comportamento irragionevole” implica la persecuzione, umiliazione, intimidazione o minaccia di un lavoratore, sia a carico di singoli che di gruppi; l’utilizzo dell’organizzazione e del sistema di lavoro come mezzo per vittimizzare, umiliare, intimidire o minacciare; il rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori anche in termini di salute mentale.

Il bullying spesso implica un abuso di potere, specialmente laddove le vitti-me si ritrovino in inferiorità, dipendenza o trovino difficoltà nel difendersi.

La Ricerca sul tema mostra che chiunque, in qualsiasi organizzazione, può essere vittima di bullismo. I risultati da un sondaggio dell’Unione Europea mostrano che, nel 2000, il 9% dei lavoratori in Europa, ossia 12 milioni di per-sone, dichiarava di essere stato soggetto a bullismo nell’arco degli ultimi 12 mesi. Tuttavia, vi sono ampie variazioni a seconda dell’appartenenza ai diversi stati dell’Unione Europea. Queste differenze potrebbero essere causate non solo dal paese di appartenenza ma anche e soprattutto dalla consapevolezza e dall’attenzione sul problema e dalla cultura che spinge o meno a denunciarlo. È stato riscontrato però che la prevalenza del problema è più alta in posti di lavoro con richieste elevate e pressanti e con uno scarso grado di controllo sul lavoro da parte dei lavoratori.

Perché si verifica il bullying sul posto di lavoro?

Sempre secondo l’EU-OSHA si possono distinguere due tipi di bulli-smo:

1) il bullismo come conseguenza di una escalation di un conflitto inter-personale;

2) il bullismo che avviene qualora la vittima non sia stata direttamente coinvolta in un conflitto, ma si è trovata accidentalmente in una si-tuazione in cui l’autore di bullying ha esercitato atti di aggressione.

Alcuni fattori che aumentano la probabilità del bullying comprendo-no:

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• cultura organizzativa che tollera il bullismo e/o non lo riconosce come un problema;

• repentini cambiamenti organizzativi;• insicurezza del posto di lavoro/eccessiva flessibilità;• povera o insufficiente gestione del personale, bassi livelli di soddi-

sfazione rispetto alla leadership e alla dirigenza;• scarsa comunicazione tra colleghi;• livelli estremamente elevati di ritmi e richieste di lavoro;• carenze nella etica, nella politica aziendale e valori aziendali debo-

li;• livelli generalmente più elevati di stress legato all’attività lavorati-

va;• conflitti di ruolo.Inoltre, il bullying può in molti casi subire un’escalation per cause sia in-

dividuali che situazionali e per fattori quali la discriminazione, l’intolleranza, problemi personali e l’uso di droghe o alcool.

In conclusione, il bullismo in ambito scolastico è anche denominato “abuso tra pari” ma bullismo si può verificare in qualsiasi contesto in cui gli esseri umani interagiscono tra loro in gruppi (scuola, chiesa, luogo di lavoro, carcere, casa, ecc.) e può determinarsi anche nei e tra i gruppi sociali e tra le classi sociali.

Secondo alcuni autori, può essere definita come bullismo la posizione di sfruttamento con violenza all’interno di una gerarchia per assicurare indebiti vantaggi e benefici, senza riguardo per la privazione di persone considerate inferiori.

Tra il prendere in giro, le vessazioni definite come Hazing (abusi, umi-liazioni rituali) ed il bullying esiste spesso un confine sottile.

Quali sono le tipologie e le forme di bullying?

Sono descritte alcune tipologie di comportamenti tipicamente ascrivibili al bullismo come ad esempio utilizzare il proprio rango come uno scudo che permette ad una persona di insultare o umiliare gli altri con impunità, oppure usare il proprio ruolo per perpetuare posizioni e benefits oltre ogni giustificazione, con mortificazione delle persone di talento che potrebbero contestare tale posizione. Ed è sempre bullying il possibile e frequente uso negli adulti di grado, rango o posizione illegittimamente acquisita o detenuta (ad esempio situazioni che poggiano su inesistenti e ignominiose distinzioni

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di ceto sociale, come razzismo, sessismo, ecc.) con la caratteristica che le vittime di bullying possono trovarsi pubblicamente umiliate o ignorate o trattate come se fossero invisibili.

Una particolare forma di bullying: il cyber bullismo?

Secondo alcuni AA, con cyber bullismo si definisce l’insieme degli atti di bullismo e di molestie, ripetuti nel tempo, effettuati tramite mezzi elet-tronici (e-mail, cellulare, blog, chat). Spesso le molestie possono realizzarsi o essere poste in essere in ambienti di lavoro ove esiste una tecnologia informatizzata.

Esiste una precisa nomenclatura delle diverse tipologie di azioni, tutte esercitate attraverso Internet, riconducibili al cyber bullismo:

• flaming, invio di messaggi aggressivi col fine di offendere• harassment, molestie, anche di natura sessuale• denigration, diffamazione tramite il pettegolezzo volto a danneggiare

l’immagine di terzi• impersonation, appropriazione di un’identità virtuale altrui• outing and trickery, diffusione di informazioni riservate altrui• exclusion, esclusione intenzionale dai gruppi virtuali (blog, liste di

amici, etc.)• happy slapping, videoripresa di scene violente al fine di diffonderle.Non tutti sono concordi se questo tipo di comportamenti possa conside-

rarsi vero e proprio bullismo, dal momento che non è presente l’elemento della continuità e della ripetizione dell’azione come nelle sue tipiche mo-dalità, ma si sta comunque proponendo come questione di dibattito tra gli esperti. I “cyber-bulli” sembrano comunque soggetti che preferiscono agire nell’anonimato, spesso preferibilmente nelle chat-room, cercano attenzioni, siano esse positive o negative, hanno come obiettivi il potere, il controllo, la dominazione, la sottomissione.

Essi hanno personalità dominante, impulsiva, difficoltà nel seguire le rego-le, poca empatia e compassione verso la vittima, manifestano sia aggressività proattiva, perseguendo un fine preciso, dominato da componenti cognitive ed intenzionali, che reattiva, agendo con impulsività incontrollata.

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Chi sono le vittime del cyberbyullismo?

Secondo lo studio Dafne il 7,2% degli utilizzatori sono vittime di ag-gressioni tramite Internet, di cui: 5,3% attacchi occasionali e 1,9% attacchi ripetuti (più di due volte al mese). Per quanto riguarda i telefoni cellulari il 9,5% degli utenti è vittima di aggressioni tramite cellulare, di cui: 7,3% attacchi occasionali 2,2% attacchi ripetuti (più di due volte al mese). La vittima del cyberbullismo è caratterizzata generalmente da una bassa in-tegrazione sociale, bassa autostima, problemi relazionali con famiglia e/o scuola, ridotta popolarità tra pari o colleghi, preferenza per il silenzio: il 43,7% non dice a nessuno delle aggressioni; il 26,8% si è confidato con un amico; il 15,5% ad un genitore; l’8,5% si è rivolto ad un referente scolasti-co. Inoltre le vittime sviluppano un senso di vergogna, imbarazzo, hanno chiusura verso la realtà e perdita della fiducia in se stessi.

Come affrontare il bullying? Quali sono le implicazioni a lungo ter-mine del bullying?

Dirigenti, genitori e chiunque si trovi a gestire fenomeni di bullismo dovrebbe essere solidale nei confronti delle vittime di bullismo e mostrare fermezza davanti a fenomeni simili. Nonostante ciò, dovrebbe essere auspi-cabile anche un intervento sul “bullo” e sulle dinamiche psicologiche che lo inducono a mettere in pratica relazioni così poco adattive. Per tale ragione, qualsiasi intervento su fenomenologie simili dovrebbe essere ampio e tale da integrare azioni riguardanti sia le vittime che i bulli.

Nelle aziende dovrebbero essere fortemente incentivate strategie complessive anti bullismo che consentano la realizzazione del benessere organizzativo.

Ed in sostanza per combattere e ridurre il bullismo occorre: 1) informarsi, dando il giusto valore ai comportamenti prepotenti,

conoscendo la situazione ambientale di cui ci si occupa attraverso indagini per rilevarne la diffusione e portando allo scoperto le situa-zioni nascoste;

2) creare un clima sicuro in cui si possa “raccontare”, stimolando e favorendo lo sviluppo di una cultura anti-violenza;

3) intervenire nei singoli episodi, ad esempio di fronte ad un evidente episodio di prepotenza per fermare l’aggressione e poi per capire cosa è successo e quali ne sono le cause;

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4) trovare le soluzioni per risolvere i conflitti;5) supportare le vittime, in quanto, in situazioni di bullismo, la vittima

è la persona che ha più bisogno di aiuto immediato. Solo quando le prepotenze finiscono si possono far presenti alla vittima le sue difficoltà relazionali ed aiutarla a risolverle;

6) aiutare i “prepotenti” dal momento che anche coloro che agiscono con prepotenza sono persone da aiutare perché utilizzano modalità inade-guate per affrontare i conflitti sociali o alcune difficoltà personali.

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Sitografia

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