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I Piccoli Fratelli di Gesù Anno XXII N° 35 - I Semestre 2016

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I Piccoli Fratellidi Gesù

Anno XXII N° 35 - I Semestre 2016

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Enrique e Humberto: "Batey paraiso"- 1966 prima fraternità a Cuba.

Non prevediamo un abbonamento

per questa piccola rivista,per non limitarne

la diffusione. Le spese di stampa e di spedizione,

infatti, sono contenute.Ogni partecipazione

a queste spese sarà, comunque, gradita.

Ai nostri nuovi lettori

Questo opuscolo è composto con brani

di lettere - in Fraternitàvengono chiamati “diari” -

che i Piccoli Fratelli si scrivono liberamente

per darsi notizie delle loro vite nelle differenti

parti del mondo. Speriamo che questa loro

comunicazione vi interessi e saremmo contenti

di poter leggere le vostre impressioni.

I PICCOLI FRATELLI DI GESÙ

BOLLETINO SEMESTRALE

Tribunale Civile di RomaSezione per la Stampa

e l’Informazionen. 00280/95 - 31/05/1995

Direttore Responsabile: B. Porcu

Stampa:ColoreinStampa, Roma 2016

I Piccoli Fratelli di Gesùc/c 44603447

FraternitàVia Giaime, 9

12020 BROSSASCO (CN)

[email protected]

www.piccolifratellidigesu.it

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- di Thierry

E ccomi, ancora una volta, ad un cambiamento di domici-lio! Ma lo specifico di questo cambiamento è che do-vrebbe essere, normalmente, l’ultimo. La prossima porta

attraverso la quale dovrei passare sarà quella che mi introdurràin quell’altro mondo cui spesso penso. Si, ci penso sovente, consentimenti diversi secondo la coscienza della mia mediocrità ela Fede nell’amore infinito di Dio.

Lasciare Londra non è stato un evento banale. Ci ho vissuto42 anni, impiantandosolide radici ed ho colti-vato tanti legami di ami-cizia. Diversi fratelli han-no vissuto a Londra cheè stata anche la sededella Fraternità Genera-le per 25 anni. Tre fratel-li sono sepolti in questacittà: Yvan, Michel e Ian.Ora, ecco, dopo la chiu-sura della Fraternità diLeeds, sono rimasto l’ul-timo dei fratelli a lascia-re il Regno Unito…

Vivere appieno fino alla fine,ringraziando per ciò che abbiamo ricevuto dai più poveri dei poveri

Thierry è appena entrato in una casa per anziani nel suo paesed’origine(Belgio) dopo aver vissuto a Londra per 42 anni, dei quali 39 all’Arca di Jean Vanier. Egli fu tra i fondatori

dell’Arca a Londra. Questo contatto quotidiano con delle persone in situazioni di handicap e la condivisione

di una vita comunitaria mista, lui l’ha vissuto come un dono che la vita gli ha offerto gratuitamente

3Thierry.

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Dopo la morte di Ian (2007) mi sono riavvicinato alla comu-nità dell’Arca a Londra nella quale ho collaborato dalla sua fon-dazione nel 1977. Mi sono arredato un piccolissimo monolocalenella soffitta di una casa dove vivono due altri collaboratori del-l’Arca, quelle persone cioè impegnate a vivere e a lavorare conchi ha degli handicap, e che vivono all’Arca da molti anni.

Ciò che mi spinse ad impegnarmi in questa comunità fu laconstatazione che in maggioranza i portatori di handicap nonhanno generalmente un posto al sole se non quello che gli altrivogliono concedere loro. Sul piano del lavoro, pur non avendonessuna qualifica, me la sono cavata sempre piuttosto bene. Al-lora mi sono chiesto: perché non guardare in faccia insieme allaquestione del lavoro facendo un’associazione con le persone af-fette da handicap? Così, con un gruppo abbiamo messo su un la-boratorio con diverse attività di artigianato. C’era un settore perla fabbrica di tappeti, un settore per fare delle candele ed un re-parto del lavoro in legno; io mi sono dedicato specialmente al-

l’artigianato inpietra; concreta-mente facevamodei vasi, balau-strate e altri og-getti decorativi incemento. Non di-menticherò mai lafierezza di Nick ilgiorno in cui feceun oggetto tuttoda solo. Correvaper tutto il labora-torio: “Guarda-te,… l’ho fattoio!”. È proprio ve-ro che si speri-menta un ricono-scimento dellapersona attraver-so il lavoro. Così in4 Il negozio dell'Arca a Londra.

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seguito abbiamo an-che cercato dei con-tratti di lavoro al difuori del laboratorio.

Ho ricevuto tan-tissimo da quegli an-ni vissuti in simbiosicon quelle personeche la vita sembranon aver favorito.

Situazioni di sof-ferenze condivise,momenti di intensagioia, sentimenti for-ti della presenza delRegno, sorprese digenerosità e di co-raggio ma anche mo-menti di interrogati-vi sul Mistero di Dio e della sua opera della Creazione”Signore,perché?”.

Negli ultimi anni non lavoravo più che a tempo parziale enon più nel laboratorio principale ma un po’ dappertutto nellacomunità per lavori di riparazioni varie o di manutenzione.

Una cosa che ho molto apprezzato è che facevo questi lavo-ri con il mio amico Bernardo. Ci si conosce da trentacinque an-ni; ci è veramente costato tantissimo dirci addio. Lui, uomo pie-no di iniziativa e di buon senso, non riesce a parlare eppure cicomprendevamo a meraviglia!

Sotto un altro aspetto, L’Arca mi ha dato l’occasione di spe-rimentare la vita comunitaria mista. Una condivisione di re-sponsabilità non in funzione di essere “uomo o donna” ma so-lo secondo le competenze e disponibilità di ciascuno. C’è statadunque un’alternanza di uomini o donne per i diversi ruoli nel-la comunità, non in modo sistematico ma secondo le possibilitàdel momento. Occasione questa per constatare come ci sianodelle sfumature e differenze tra la psicologia maschile e quelladelle donne. Non è per caso che siamo stati creati uomini e don-

Thierry; per anni spedizioniere dei Diari ai fratelli.

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ne! Ci richiama all’u-miltà di accettare chené l’uomo da solo néla donna hanno la mi-glior risposta in unadata situazione di vi-ta. E’ anche motivo difar tesoro della colla-borazione. La mesco-lanza, o meglio, unarelazione tra uomo edonna è una ricchez-za ed una sfida chenon ci mette al riparodalle difficoltà. Ci so-no senz’altro moltimodi di vivere, ma

non possiamo negare che la natura umana ci sprona a non di-menticare questo fatto.

A 81 anni, era tempo di pensare ad un altro modo di vivereprima di diventare un peso per gli altri, o di essere totalmenteconfusi, per vivere positivamente questo cambiamento. Mentreuna volta mi incamminavo fischiettando, con le mani in tasca,oggi non è più possibile; la mia dentiera non mi permette piùdi fischiare, le mani non sono più in tasca ma alla ricerca di pun-ti d’appoggio per prevenire la perdita dell’equilibrio;…in più, letasche sono ben piene di fazzoletti per il mio povero nasco checontinuamente…cola; ci sono poi gli occhiali, le medicine e lepiccole note scritte su carta per non dimenticare ciò che non bi-sogna dimenticare(…piccole note che regolarmente dimenticodi leggere all’occasione!…).

Mi sono commosso per tutto ciò che si è fatto per marcare lamia partenza; celebrazioni speciali con interventi di tanti amici,diverse cene di addio, numerose letterine o cartoline o altri segni di affetto! È vero, come si è sottolineato in quell’occasio-ne, che per questa comunità dell’Arca io ero il più vecchio, co-lui che era là fin dall’inizio della comunità; tuttavia non mi a-spettavo tutto questo… In più, come regalo, la comunità ha fat-6

Logo dell'Arca di Londra.

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to una colletta per darmi una somma favolosa con l’idea chepotessi fare numerosi viaggi dal Belgio per rivisitare soventeLondra. Di fatto non si è trattato di una partenza senza profon-de emozioni!

Ed eccomi ora a Bruxelles, in centro città in una casa gestitadalle Piccole Sorelle dei poveri. Perché Bruxelles? Prima di tuttomi ravvicina ai fratelli della mia Regione e della Fraternità Ge-nerale. Inoltre, non pochi membri della mia famiglia abitano aBruxelles. Per questo mi reputo ancora una volta privilegiato.Ciò che più apprezzo è la qualità di vita che questa comunità sisforza di creare facendo attenzione ai piccoli dettagli che per-mettono alle persone che ci vivono di respirare “dignità” e ri-spetto.

C’è inoltre per i residenti(circa un centinaio!) la possibilità dicontribuire al buon andamento della casa attraverso diversi ser-vizi, e anche, per chi lo desideri, la possibilità di partecipare al-la liturgia comunitaria: l’Eucarestia, l’Ufficio divino e la condivi-sione sulla Parola di Dio.

C’è un evidente contrasto con il mondo esterno. Qui, a 81anni, sono tra i più giovani…

Mentre all’esterno si parla sovente di crescita, di sviluppo, diprogresso (…anche se non sempre in senso positivo!), qui laprospettiva è diversa, i progetti sono di un altro ordine, si ten-ta di arginare il regresso. I vuoti di memoria son in crescendo ela mobilità e l’autosufficienza si riducono sensibilmente e irri- 7

Arrivederci, Thierry!

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mediabilmente. A volte si sentono delle frasi assai enigmatichecome: “C’era un’ambulanza nel cortile questo pomeriggio, perchi era?...”, oppure: “La signora X non è scesa questa mattina…”;“Cinque persone sono all’ospedale in questo momento…”.

Eppure, con tutto ciò, non si può dire che generalmente l’at-mosfera sia pesante, per molti resta il desiderio di vivere appie-no ciò che ancora è alla nostra portata come una persona co-sciente e così celebrare la vita fino alla fine!

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Un giorno Jean Venier parlava con un giovane psichiatra: “A tuo modo di vedere che cosa caratterizza la

natura umana?” chiese il giovane. Jean rispose: “È la tenerezza; essa è l’opposto della violenza.

È quell’atteggiamento del corpo, degli occhi, delle mani e anche …il tono della voce !...

In una parola è riconoscere nell’altro la sua bellezza e, semplicemente, rivelargliela!...”

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- di Taher

I l giorno dell’Aïd, la grande festa del Sacrificio, la mag-gior parte degli uomini di Tamanrasset si riuniscono dibuon mattino all’aperto per la preghiera. Mi piace pren-

dervi parte ed assistere a quest’immensa folla mentre si prostradavanti a Dio.

Visti così si potrebbe pensare che tutti questi uomini hannolo stesso identico modo di esprimere e di vivere la loro fede. Di

Gioia di vivere il nostro Nazaret con i musulmani, credenti o meno,

ma tutti amati

Taher vive da sempre nel Sud dell’Algeria e da molti annia Tamanrasset con Antoine e Jean-Marie.

Essi sono molto legati a parecchi amici musulmani con i quali condividono la vita semplice e dai quali si sentono

accolti esattamente per quello che sono

Immensa folla in preghiera per la festa dell'Aid.

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fatto, non è così. C’è Rachid che, dopo aver sgozzato il capro, a-bitualmente ci invita da lui per condividere con noi degli spie-dini e mangiare i dolci (come il pane azzimo della Bibbia), chetradizionalmente la gente del Sud mangiano in quest'occasio-ne. C’è un ambiente di gioia e di convivialità che perdura finoad un buon te alla menta finale. Sua moglie ci saluta anche lei,ma poi si occupa della cucina.

Dopo la preghiera avevo telefonato ad Mouloud, un amicodel Nord dell’Algeria per auguragli una buona festa. Mi rispon-de dicendo di essere per strada in macchina e lontano da Ta-manrasset. Poiché io mostro la mia meraviglia egli mi spiega:“Oh no, questa festa non mi riguarda. D’altronde ho visto ap-punto la gente che sgozzava il montone per la festa: che bar-barie! Come si può permettere una cosa simile?”.

Rania era una giovane ragazza che per lungo tempo si oc-cupava ad accompagnare le visite al Bordj di Charles de Fou-cauld quando c'era un maggior afflusso di pellegrini.

Questo lavoro le aveva permesso di stabilire molte relazionicon persone di tutto il mondo, e lei manteneva i contatti via In-ternet. Quando è morta, trascinata da un oued (fiume) in pie-

na, circa 200 per-sone da tutte leparti hanno testi-moniato su quantolei avesse apporta-to loro. A qualcu-no che le chiedevaperché non si erafatta cristiana, ve-dendo com’eraprofondamente a-mica di molti cri-stiani, lei rispon-deva che aveva se-guito il camminodi Charles de Fou-cauld, che divenneamico intimo di

tanti musulmaniRania ...a lavoro!

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senza che lui si facesse musulmano. Quanto a lei, anch’essa eraamica di tanti cristiani, pur restando musulmana.

Mohammed, lui si definisce un “salafi”(puritano) cioè chevuol seguire l’Islam delle origini. Ogni sera segue dei corsi or-ganizzati da uno “formato” in Arabia saudita. Pratica un’eticamolto rigida, il che gli procura una grande stima nel suo lavoro.Secondo lui i musulmani che praticano la violenza non hannocapito il Corano; bisogna infatti saperlo interpretare in funzio-ne delle condizioni della rivelazione. Siccome insegna franceseal liceo, gli piace venire a trovarci per approfondire la lingua maanche semplicemente per poter chiacchierare con dei credentidi una fede diversa.

Abdelatif è stato lasciato da sua moglie e dai suoi figli per-ché non era un musulmano praticante. Per lui è stato uno shockdal quale non si è ancora ripreso anche se si è risposato con unadonna che ama tantissimo. Per amore verso di lei e anche persalvare la pace della sua casa, egli ha ripreso a praticare la pre-ghiera ma ha come l’impressione di essere un ipocrita perché difatto non riesce ad interiorizzarla; egli fa dunque fatica a capi-re il mondo legalista che lo circonda e si chiede, a volte, se que-sta libertà cui aspira non faccia di lui una persona anormale!

La nostra vicina, Meriem, vive con sua madre in una vecchiacasa quasi in rovina. Ciò non le impedisce di essere accoglientenei confronti delle altre donne che non sanno dove alloggiare;siano esse “arabe” del Nord (come si dice qui), oppure quelledonne più o meno rifiutate dalle loro famiglie per i loro cattivicostumi. Benché mossa dal desiderio di aiutarle a riprendersi,una tale accoglienza è vista di malocchio nel quartiere. Per leiconta solo l’umanità più che le motivazioni religiose, e questolo dice senza alcun complesso!

Il taleb Ahmed è Imam di una moschea e allo stesso tempodirettore di una specie di seminario privato, dove numerosi gio-vani sono in formazione religiosa. Da moltissimi anni, ogni lu-nedì sera durante il mese del Ramadan, egli apre la sua tavolaper la festa del “ftour” (il pasto della fine del digiuno), ed èun’abitudine ormai che noi abbiamo il nostro posto riservato.Sovente è lui stesso che serve con la sua bonomia simpaticissi-ma, e tra coloro che vi partecipano abitualmente la conversa- 11

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zione è molto gradevole. Egli è felice di mostrare ai suoi allievila sua amicizia con i cristiani, e di possedere i quattro vangeli eperfino…il quinto! Dopo aver preso del latte e dei datteri, tut-ti vanno alla Moschea vicina per la preghiera poi, tornano ab-bastanza in fretta per continuare il convitto. Noi,… li aspettia-mo!

Khalifa era sposato con una francese che aveva molto stile egusto. Nessuno dei due era praticante. La loro casa però era di-ventata un luogo di incontri per molta gente perbene. Ma eccoche Khalifa ha cominciato a darsi al libertinaggio e a bere. Ge-losia? Durante un’estate in cui sua moglie era partita per le va-canze in Francia con il loro ultimo figlio, lei gli scrive che non sa-rebbe più rientrata. La vita di Khalifa allora fu scossa. Si è pre-so due anni di congedo senza salario per arabizzarsi ed islamiz-zarsi. A quel punto la sua casa è tornata ad essere un luogo diincontri, ma assai differente da prima: era diventato un saggiopur mantenendo la sua libertà di pensiero ed il suo giudizio a-cuto. Mi ricordo di una sua osservazione: “Da quando leggo igiornali arabi, scopro le loro differenze dai giornali algerini infrancese; questi ultimi si fondano sui diritti dell’uomo, ma noni primi”. È morto dopo una lunga malattia, lontano da Taman-rasset.12

Ruolo di un "Taleb" nella comunità.

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Omar, di circa 12 anni, veniva spesso per farsi aggiustare labicicletta. Un giorno per strada, mi ha trattato da somaro e dacane. Qualcuno, senz’altro, gli aveva detto qualcosa sul mioconto. Per parecchi mesi, non voleva più vedermi. Io cercavo co-munque di salutarlo ogni volta che lo incontravo. Poi, pianopiano è ritornato…e la sua bici ha sempre bisogno di essere ri-messa in ordine!

Keltouma è una giovane Tuareg, professoressa di filosofia alliceo. Non la conoscevo. Un giorno è lei che mi contatta: volevaperfezionare il suo francese parlando per telefono! Abbiamoprovato. Un giorno però viene a vedermi e mi dice: “Adesso ticonosco un po’ meglio, abbiamo parlato di molte cose interes-santi, come non avevo mai fatto con nessuno. Allora non capi-sco, visto che non sei un cretino, come mai possa essere segua-ce di una religione totalmente erronea (il Vangelo è stato ma-nipolato dai primi cristiani…)”.

Gli ho risposto che partendo da questi argomenti, la nostrarelazione sarebbe finita d’incanto. Qualche giorno dopo mimanda un messaggio: “Se non rifletti a quello che ti ho detto,è meglio che tagliamo per sempre la nostra relazione”. Le ho ri-sposto che piuttosto lei venisse a trovarmi. “No, perché mi met-terei a piangere!;piangere perchéun uomo comeme, non può vi-vere in tal modonell’errore”. Aquel punto nonci siamo più sen-titi. Dopo parec-chi mesi si è rista-bilito pian pianoil contatto. Oraviviamo una rela-zione semplice efraterna.

Per un certonumero di noi,l’Islam non è una 13Taher, con...un giovanissimo amico!

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ideologia. L’Islam è la vita di uomini e donne che incontriamo oche sfioriamo e che conosciamo senza grandi discorsi tra di noi.Essi sono il motivo della nostra gioia di essere qui in mezzo a lo-ro. E come il popolo d’Israele si sentiva coinvolto in una storiasacra verso un avvenire sconosciuto ma raggiante di speranza,così è per noi: qualcosa di misterioso si vive oggi in questo no-stro mondo. Come Gesù ha vissuto il disegno di Dio negli in-contri molto umani e concreti, sta a noi saper continuare sulcammino della nostra Galilea.

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Con un amico, possiamo aprire il nostro cuore;con lui possiamo anche lasciar trasparire

la nostra vulnerabilità e manifestare i nostri sentimenti,perché con lui ci sentiamo liberi di essere noi stessi.

Sotto un altro aspetto noi abbiamo della comprensione perun amico, accettandolo come é senza fare alcuna pressioneper modellarlo diversamente. Apprezziamo il suo “modo di

essere” senza spingerlo a fare ciò che lui non desidera!”.

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Cinquant’anni fa: l’arrivo dei fratelli a Cuba

Humberto vive a Cuba dal 1965 con Enrique. In questo diario,ci presenta la storia degli inizi della Fraternità a Cuba,

i cambiamenti avvenuti per l’arrivo di altri fratelli. Ci parla soprattutto della loro vita di lavoro

e della loro condivisione di vita con la gente

- di Humberto

P rovo a darvi qualche stralcio sulla vita dei nostri primianni a Cuba. Non parlerò che della Fraternità, conqualche aneddoto.

Origine della fondazione a Cuba.

Durante un suo passaggio a Cuba ed un suo incontro con ilNunzio Apostolico Mons. Zacchi, René chiese se non fosse pos-sibile progettare una fondazione nel giovane paese socialista,dato che finora la Fraternità, malgrado il suo ardente desiderio,non aveva mai potuto stabilirsi in un paese socialista. Il Nunzione parlò a Fidel con il quale eraabbastanza amico. L’idea di ve-dere dei religiosi che lavoranocon la gente del popolo, piacquea Fidel. Così fu deciso che, al ter-mine dei nostri studi Enrique edil sottoscritto (Humberto), datoche ci eravamo resi disponibili,potevamo partire per questanuova fondazione.

Un tuffo caloroso in un mondo sconosciuto.

Era dunque il 12 Luglio 1965.Siamo atterrati all’aeroporto de Humberto.

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la Havana in un calore torrido, senza che nessuno ci attendessee persino senza l’indirizzo della Nunziatura. Immaginate l’av-ventura!… Malgrado non poche complicazioni e parecchia dif-fidenza, anche da parte dell’Arcivescovo, abbiamo potuto repe-rire finalmente il recapito sconosciuto. Ottima e calorosa acco-glienza da parte di Mons. Zacchi, …e dopo una tempesta tropi-cale, sconosciuta a noi fino ad allora, ci ha persino accompa-gnato alla spiaggia, in quel primo giorno a Cuba. Ci si è sentitigià meglio! Tutto era nuovo per noi, la gente, l’ambiente, le si-tuazioni ed il processo della Rivoluzione cubana…

Sei mesi di attesa incerta e pesante.

L’aspetto positivo di così lunga attesa fu il fatto di aver po-tuto conoscere la situazione della Chiesa cubana, le sue relazio-ni molto tese col Governo, e allo stesso tempo ci siamo presen-tati come “piccoli fratelli” senza farci passare per dei comunisticome alcuni credevano.

La chiesa era rinchiusa in se stessa, il che era esattamente ilcontrario di ciò che cercavamo o che ci saremmo aspettati!

Fondazione nel mondo agricolo.

Una jeep del Governo ci ha portati a Güines, a sessanta Km.a sud de la Havana, in un’immensa fattoria popolare, con 2000operai e più di 200 trattori, solo per darvi un’idea! Si coltivavamalangues, patate e manioca, patate dolci, granoturco ed ognigenere di cultura leguminosa; …ho reso l’idea? A partire dalgiorno seguente abbiamo cominciato a lavorare con la zappaalla mano per diserbare o sarchiare, spandere il concime ma-nualmente, ecc. Ci fu data una piccolissima baracca rustica cheabbiamo piano piano reso gradevole e accogliente. Eravamo inun piccolissimo borgo di una dozzina di famiglie in mezzo allafattoria, chiamata “Batey paraiso” (Borgata paradiso).

Abbiamo saputo in seguito che la gente diceva: “Queste pic-cole colombe bianche non potranno tenere a lungo…”. Ebbe-ne, abbiamo invece tenuto, anche se Enrique si è ammalato acausa del “necator american”, un maldestro parassita! Di que-sto periodo della nostra vita alla “Borgata paradiso” e sul lavo-16

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ro, non dimenticheremmo mai l’accoglienza che ci fu riservata,malgrado fossimo degli stranieri. I cubani del mondo rurale so-no veramente accoglienti e commoventi.

A ciascuno la sua specializzazione.

Dopo un anno di duro lavoro nei campi,... veramente duro esotto il sole tropicale (sovente si lavorava a cottimo,... il che nonfacilitava le cose!), abbiamo chiesto dilavorare secondo la nostra specializza-zione.

Enrique ha chiesto di lavorare comemanovale di costruzione, ma il luogo dilavoro era troppo lontano ed il lavorostesso assai duro (… è là che si è amma-lato!). Ha ottenuto quindi di lavorarecome falegname e carpentiere agricolo.Lavorava con un piccolo gruppo di cin-que persone, molto simpatiche, al servi-zio della grande fattoria, per la costru-zione delle case in legno o per fabbrica-re gli strumenti da lavoro (carretti, carri

“Batey Paraíso”- piccolo borgo... tra i campi!

Enrique:carpentiere dicampagna!

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a buoi, gioghi per i buoi ecc.),… o per altri svariati lavori. La lo-ro officina, assai rustica, era sul posto a “Borgo paradiso”. Egliha imparato moltissimo dai suoi amici esperti da lungo tempo

in questo generedi lavori.

Quanto a me,ho chiesto di lavo-rare con i trattoridi cui avevo qual-che esperienza.Ma qui era un al-tro mondo! Si la-vorava per 12 ore,seguite da 12 oredi riposo. Quandolavoravo la notte,mi è capitato diaddormentarmi

sul trattore e di ritrovarmi nel bel mezzo di un campo coltivato.Si lavorava in gruppi di 6 trattori insieme, loro, (…i trattori), la-

voravano 24 oresu 24. In seguitosono diventatoun meccanico(…in giro sui variposti di lavoro!...)di grossi trattorirussi cingolati(…ho dovuto fa-re un corso condei sovietici!…).

Anche qui silavorava in grup-pi o “brigate” co-me si chiamava-no. Avevo un la-boratorio mobileed un trattore a

mia disposizione18

Humberto ...il trattorista!

Humberto, meccanico...volante!

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che tenevo in casa (…mi poteva servire anche per ben altri…ser-vizi, s’intende!). Era un lavoro duro ma mi piaceva molto, infat-ti eravamo molto legati tra di noi all’interno della “brigata” dilavoro. Potrei scrivere pagine e pagine di ciò che abbiamo vis-suto insieme durante quindici anni in queste terre rosse, la cuipolvere ci penetrava dalla testa ai piedi.

Bisognerebbe anche parlarvi della nostra vita di fraternità,legati com’eravamo profondamente ai nostri vicini. Il nostro“Nazaret” con una piccolissima cappella (una casetta dal tettodi foglie di palme), esattamente come le case delle dodici fami-glie vicine, tutti un po’ lontani da tutto, senza elettricità néstrada praticabile, era una vita completamente “condivisa”, co-me è facile immaginare. Avevamo tuttavia parecchi passaggi digiovani che venivano a vedere, e dei seminaristi. A quel mo-mento abbiamo conosciuto come seminarista Emilito, attual-mente Vescovo di Holguin e nostro amico.

L’accoglienza tanto attesa di Marcelo.

Da tanto tempo aspettavamo l’arrivo di un terzo fratello aCuba. Ci sentivamo assai isolati dalla Fraternità in generale edal mondo esterno. Ciò era dovuto al fatto di vivere in un’isolae di essere direttamente coin-volti nel processo della rivo-luzione; il blocco che ne è se-guito aveva tagliato tutti iponti con l’esterno. Inoltre,una lettera, (il solo mezzo dicomunicazione), impiegavaun mese e mezzo per arrivarea destinazione!

Dopo tante attese e ten-tativi, finalmente Marcelo hapotuto raggiungerci nel1975. Veramente fu il “ben-venuto” per la nostra vitafraterna e comunitaria, e perscuotere un po’ le nostre abi-tudini di vita a due. Egli si è 19Marcelo.

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inserito rapidamente in questo mondo rurale da cui anche luiproveniva. Trovò immediatamente lavoro nel settore dell’irriga-zione delle culture leguminose nella nostra stessa fattoria, nonlontano dalla casa dove abitavamo. Ha imparato in fretta il me-stiere che è una vera arte per incanalare e far arrivare l’acquadappertutto.

Negli anni 75 circa sono arrivate anche le Piccole Sorelle diGesù, Vittoria (cubana) e Lidia (Italiana). Sono state per noisempre un grande punto di appoggio e mantenevamo unastretta relazione con loro. Anche grazie a loro, la Fraternità eFratel Charles cominciarono ad essere conosciuti meglio a Cuba.

Un postulante: c’è del nuovo all’orizzonte!

Ecco che qualche anno dopo appare il primo postulante: Jor-ge Luis, più conosciuto come Wichi, studente in medicina, figliodi padre medico e impegnato nella Rivoluzione.

Veniva ogni fine settimana da noi, ma era necessario ac-compagnarlo meglio, per questo decidemmo che Marcelo des-se inizio ad una Fraternità a la Havana. Sarà quindi la nostra se-conda fondazione a Cuba in un quartiere popolare della capi-tale, non lontano dalle Piccole Sorelle. Wichi ha pronunciato isuoi voti, dopo aver lasciato i suoi studi di medicina e cercato un

lavoro. Anche Mar-celo trovò lavorofacilmente in unafabbrica di cucine apetrolio: lavorerànella medesimafabbrica fino allapensione.

Wichi ha poifatto i suoi studi inPerù con un grup-po misto tra PiccoliFratelli di Gesù, Pic-coli Fratelli delVangelo e PiccoleSorelle, tutti latino-

americani.20 Marcelo davanti alla fraternità a la Havana.

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In seguito tuttavia, ha preso la decisione di non continuarecon noi. Attualmente è prete in una parrocchia della diocesi diMiami.

Nuova tappa: perché?

Dopo 17 anni e mezzo di vita a Güines, ci è sembrato im-portante fare un nuovo passo più all’interno del paese, cioè nel-la regione orientale dell’isola, più abbandonata e discriminata.E’ stato duro separarci dai nostri vicini, dai compagni di lavoroe dagli amici di Güines e dintorni ( soprattutto un gruppo digiovani famiglie cristiane molto vicine a Vicente, prete cubano,straordinario e amico da sempre e... indimenticabile!).

Nel 1983 siamo dunque partiti con quel poco di bagaglio ru-stico, per la città di Holguin, 350.000 abitanti. Il vescovo ci ave-va invitati fin dall’inizio del nostro arrivo a Cuba. Oggi siamoancora quà nel barrio (quartiere) che si chiama “La Colorada”.Abbiamo vissuto qui per lunghi anni di lavoro ed ora da pen-sionati. Spetterà ad Edgar, giovane fratello cubano, e agli altri 21

Holguín - la fraternità.

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giovani dopo di noi, parlarvi di questa fraternità come delquartiere marginalizzato de la Havana dove vivono Marcelo eRodrigo…

Qui mi fermo per ciò che riguarda la prima tappa della no-stra vita a Cuba. Vita donata di tutto cuore con le sue gioie, ledifficoltà e persino le deficienze ...

La nostra vita marcata dal processo di una Rivoluzione so-cialista in corso (che abbiamo condiviso nella solidarietà sul la-voro e nella vita quotidiana!), il lavoro fatto al meglio, il vo-lontariato, le diverse difficoltà, le restrizioni e le preoccupazio-ni per una vita più umana, più degna e più fraterna nel quar-tiere, sono state le espressioni più palpabili , visibili e ricono-sciute, della nostra immersione in questo processo propria-mente cubano.

Tutto ciò è una sola cosa con il nostro dono a Gesù, nellagioia di vivere il Vangelo in questo modo, nell’amicizia e la pre-ghiera ma con una coscienza molto viva della nostra fragilità!…

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Enrique e Humberto con il Vescovo Emilito.

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- di Jean-François

C arissimi fratelli,da quando sono entrato in Fraternità nel 2003, nonho scritto che un solo diario proprio all’inizio del mio

postulandato e fu grazie a Guillaume, che mi seguiva in quelmomento, che allora scrissi. Mi ricordo che ricevetti, come rea-zione, non poche lettere di fratelli dai quattro punti cardinali.Fu per me un’enorme sorpresa in quanto completamente ina-spettata. Ma fu anche una grande gioia che mi ha profonda-mente marcato fino ad oggi, perché sentivo, molto concreta-mente, di essere entrato a farparte di una grande famiglia(universale) e che mi tendevale braccia per accogliermi. Inseguito le occasioni ed il desi-derio di scrivere un diarionon sono mancati, ma mi tro-vavo con un tale bagaglio daraccontare che non sapevoda dove cominciare. Così iltempo è passato, molto infretta, marcato da tantegioie ma anche da periodi didifficoltà, a volte persino dascoraggiamenti, dalla faticae… dalla poltronite!

Oggi, dopo un periodo di

Piccola liturgia della vita quotidiana

Jean-François vive a Tolosa-Ramonville con Benoît, Jacques e Michel. Lavora come infermiere e, nelle due piccole scene

di vita quotidiana che ci trasmette, ci dice come tutto ciò che si fa possa essere una preghiera : lavoro,

incontri, cambiamenti…

23Jean-François.

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grande fatica dovuta particolarmente al lavoro, che persiste eper la quale ho dovuto prendere un tempo di “riposo”, para-dossalmente il desiderio di scrivere si è rifatto vivo, proprio du-rante il tempo della Settimana Santa. Che risveglio! Alleluja!

Allora mi è venuta l’idea di prendere la penna per una suc-cessione di piccoli sprazzi semplicissimi, per riprendere le cosedall’inizio del mio cammino in Fraternità. È l’occasione per farmemoria di tutte le grazie che mi sono state concesse e percoinvolgervi nell’inno di lode che sgorga dal cuore, giacché sia-mo tutti fratelli di un’unica famiglia: l’umanità. Questa lodecondivisa costruisce e consolida i nostri legami fraterni al di làdi qualsiasi distanza, è dunque un incoraggiamento. Ecco dun-que il primo scorcio di un quadro, dipinto dallo Spirito Santo.

Aubagne - Noviziato 2005-2006

Durante il noviziato non lavoravo fuori della fraternità; eroincaricato, tra le altre cose, di fare la spesa della settimana algrande supermercato non lontano da La Thoberte. C’era sem-pre una folla pazzesca al supermercato. Jean-Michel, che era ilnostro responsabile del noviziato, mi lasciava davanti al super-mercato e mi riprendeva alla fine (a lui non piaceva entrare inquesto immenso mercato). Il complesso era impressionante pro-prio per la sua estensione; molte persone venivano anche daMarsiglia, a circa 20 Km. di distanza, per fare la spesa. La genteformicolava tra le varie corsie, correndo con frenesia da un set-tore all’altro per riempire i carrelli che debordavano di merce.Spesso si verificavano lunghi intoppi specie nelle ore di punta; igiorni di festa era l’inferno e la frenesia era all’apice; si sentivanell’aria una tensione, molto evidente e ciò rendeva tutti ner-vosi e impazienti. Niente mi stressava più di questa esperienzaal punto che mi rendeva quasi malato. In seguito, abbastanza infretta, ho provato a prendere le cose per un altro verso. Ci an-davo come un turista, quasi per una passeggiata, per un’ora odue, ma anche per pregare dicendo a me stesso: “ C’è forsequalcuno qui che pensa a Dio, in mezzo a tutta questa frenesia?Qualcuno che preghi?”.24

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Mi piaceva quindi fare la spesa - e continuo infatti a farla -abitualmente. Un giorno, mi sono fermato lungamente davan-ti al banco del pesce per ammirare le diverse specie di pesce.Qualcuno arriva e si mette a mio fianco senza che me ne accor-ga poi, dolcemente, mi dice all’orecchio: “È buono questo pe-sce!”, additando quello che stavo ammirando. A quel punto ab-biamo avuto la sensazione di conoscerci dal tempo di Adamo edEva e abbiamo avuto uno scambio simpatico, profondo e fra-terno davanti a quel pesce. Come se ci trovassimo da soli da-vanti al mare per lodare la creazione e tutto ciò che essa con-tiene. È stata un’esperienza incredibile; eravamo come fuori deltempo, isolati da tutti e dal fracasso circostante. Mi è venuto inmente allora, dopo questo incontro, che si era trattato come diuna strizzatina d’occhio del cielo, un’inattesa sorpresa da partedello Spirito Santo, come sa riservarla per ciascuno. Ciò che èimportante è prestare attenzione a queste piccole cose del no-stro quotidiano perché, mi sembra che, nell’infinitamente pic-colo si manifesta esattamente l’infinitamente Grande, è dun-que attraverso questa “piccola via” che Dio mi dà ( …a me, que-sto tipetto che sono!) la grazia di poterlo contemplare e lodar-lo anche a causa della gioia profonda e serena che essa suscita.

I dintorni di Aubagne.

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In ospedale.

Ecco un’altra piccola storia, un’altra pennellata del quadropersonale dipinto dallo Spirito. La scena si svolge in ospedale,dunque nell’ambiente di lavoro dove passo buona parte delmio tempo e della mia vita. Era poco prima che io entrassi inFraternità. L’episodio mi ha marcato perché in quel momentopreciso mi é apparsa chiara la presenza divina in tutte le cose,soprattutto nelle più piccole e insignificanti, che costituiscono ilnostro quotidiano. Fu una grazia e mi sono accorto in seguitoche lo Spirito aveva aggiunto una piccola pietra sul camminoche mi ha in seguito condotto alla Fraternità.

Dunque, prima di entrare in Fraternità lavoravo come infer-miere (..il che mi fa pensare che anche questo orientamentoprofessionale faceva parte del lavorio dello Spirito). Abitavo al-l’epoca a Strasburgo, città natale di fratel Charles e lavoravo al-l’ospedale pubblico, in cardiologia. Con i colleghi avevamocreato una squadra molto solidale, con alcuni ho infatti mante-nuto delle relazioni forti anche dopo la mia partenza per la Fra-ternità. Non contavamo nemmeno le ore supplementari; si la-vorava volentieri e con la priorità per il bene dei pazienti per iquali nutrivamo un gran rispetto.

Quel giorno si trattava di una paziente assai corpulenta ma

L'ospedale di Strasburgo.

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molto simpatica alla quale bisognava somministrare assoluta-mente degli antibiotici per via intravenosa a motivo di una gra-ve infezione che minacciava il suo cuore.

Tutti i miei colleghi hanno fatto del loro meglio per tentaredi fissarle il catetere che serviva per la somministrazione degliantibiotici, ma non ci sono riusciti. La paziente aveva una pessi-ma struttura venosa e delle braccia enormi che non facilitavanoil ritrovamento delle vene completamente nascoste e, d’altron-de, anche mal concie per i precedenti ricoveri. Dopo una quin-dicina di tentativi (non aveva paura delle punture…), i miei col-leghi hanno cercato di negoziare con il medico per una sommi-nistrazione orale, ma senza successo. Rifiuto assoluto. Bisogna-va quindi assolutamente trovare le vene, era la via più adegua-ta ed efficace.

Al mio arrivo sul lavoro, non restava che il sottoscritto per unultimo tentativo. Ho tentato ancora di negoziare con il medicoper una somministrazione via orale, ma ugualmente mi fu rifiu-tato. A questo punto sono entrato nella camera della pazienteper spiegarle le cose e, con un altro collega, l’abbiamo presa perun braccio ciascuno per tentare di trovare una vena; fu usato ilmetodo della ”posizione in croce”. Quando si mette un catete-re, bisogna fare appello a tutte le capacità di concentrazione, eper rassicurarsi, bisogna ripetersi: “… devo pungere qui, nep-pure un millimetro al lato”, affinché l’operazione abbia succes-so. Interiormente tremavo, constatavo infatti che non si vedevané si percepiva alcuna vena; dato che i colleghi prima di me l’a-vevano ben “macellata”, non sapevo dove inserire la siringa.Dopo cinque minuti di esplorazione ho cominciato a sentire cal-do, come se non fossi più in grado di gestire i miei riflessi, del-le gocce di sudore cominciarono a colare lungo la fronte dopoun primo tentativo andato a vuoto. Tutto questo mi ha desta-bilizzato completamente. La paziente si è resa conto della si-tuazione e con una freddezza sconcertante mi disse: “Potetecontinuare, per quanto sarà necessario, non ho paura delle i-niezioni”. Immediatamente mi sono sentito gelare il corpo, poiho provato una distensione e infine mi sono sentito più fidu-cioso,…niente di più! Davanti alla mia totale impotenza, ho a-vuto per qualche secondo il riflesso di rientrare in me stesso per 27

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chiedere aiutoallo Spirito San-to, non c’eranient’altro dafare; la situa-zione era dispe-rata! La since-rità del mio gri-do d’aiuto miha messo inuno stato di ab-bandono difronte alla miafragilità, Poi,

con l’incoraggiamento ricevuto dalla paziente, ho spinto dinuovo l’ago nel suo braccio voluminoso senza sapere esatta-mente dove stavo pungendo; nel frattempo la collega tenevafermo sempre l’altro braccio. Senza guardarmi mi dice, quasimeccanicamente: “Se riusciamo, è un vero miracolo!”. Subito ri-spondo: “Guarda, Susanna!”. Il sangue fluiva nel catetere, ave-vo trovato la vena. Ci fu un momento di stupore nel quale ci sia-mo guardati tutti e tre; non abbiamo detto una sola parola, poiSusanna parte a “spron battuto” dicendo agli altri che io c’eroriuscito e che ero veramente forte!

Allora mi prese un sentimento di fierezza, come un bisognoimmediato di battermi il petto come un gorilla; era tale la ten-tazione e così facile lasciarsene dominare! In seguito subentròin me una consapevolezza interiore seguita da queste parole:“Puoi tu, far tuo ciò che non ti appartiene?”. Ne è seguito unsenso di distacco che ha rintuzzato immediatamente la mia fie-rezza, poi,… una grande pace ed una dolce umiltà che mi hafatto rispondere alle reazioni entusiaste dei miei colleghi che siera trattato semplicemente di fortuna, per non dire la parola:“grazia”. Questa paziente doveva prendere gli antibiotici percinque giorni; la perfusione ha tenuto esattamente cinque gior-ni poi si è bloccata proprio dopo l’ultima iniezione.

Da quel giorno mi ricordo sovente di questo aneddoto e mene nutro al punto che ogni volta che faccio qualche cosa, me nericordo e cerco di viverla con questo spirito. Quando ho scoper-

Jean-François, con le sue colleghe dell'ospedale.

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to gli scritti di Santa Teresina, ho avuto spontaneamente questareazione: “Si tratta esattamente di questo!”, ripensando a que-sto episodio come a tanti altri nella vita. Bisogna vivere tutto,nei minimi particolari, per la lode di Dio, ecco una piccola litur-gia che può dar colore a tutta una giornata, qualsiasi occupa-zione l’abbia riempita o in qualsiasi posto mi sia trovato: il su-permercato, il lavoro, sui mezzi di trasporto e anche una con-versazione: “Tutto ciò che dite, tutto ciò che fate, che sia sem-pre nel nome del Signore Gesù Cristo, offrendo attraverso di lui,il vostro ringraziamento a Dio Padre!”. (Col. 3,17.23-24).

Scusatemi per essere stato prolisso con tanti dettagli ma l’hofatto per mostrare concretamente fino che punto l’infinitamen-te Grande sussista nell’ l’infinitamente piccolo; dunque tutte lecose della vita quotidiana sono buone per una celebrazione, so-prattutto in compagnia di coloro di cui non si parla mai e chesono scartati dalle nostre società, mentre, proprio loro hannotanto da offrire!...

Grazie per la vostra fraterna attenzione.Jean-François

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Noi non ci dobbiamo distaccare dalle cose per unirci a Dio; al contrario ci dobbiamo distaccare dalla nostra

autosufficienza nel comprendere, per vedere tutto in Dioe in vista di Lui. I grandi contemplativi hanno sempre amato

le creature, hanno capito e apprezzato il mondo, tutto ciòche noi viviamo in esso ed ogni essere che lo abita.

Precisamente perché essi erano assorti in Dio, eranoveramente capaci di vedere e di apprezzare la creazione

nella sua profonda e intima realtà, e precisamente perché essi amavano Dio senza riserve essi erano i soli capaci

di amare tutte le cose, come Dio le ama!Gli occhi dei contemplativi rendono santa ogni bellezza,

e le loro mani consacrano alla gloria di Dio tutto ciò che toccano!”.

Thomas Merton: "Semi di contemplazione"

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Indice

ivere appieno fino alla fine, ringraziando per ciò che abbiamo ricevuto dai più poveridei poveri pag. 3

ioia di vivere il nostro Nazaret con i musulmani, credenti o meno, ma tutti amati pag. 9

inquant’anni fa: l’arrivo dei fratellia Cuba pag. 15

iccola liturgia della vita quotidiana pag. 23P

V

G

C

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Spedizione in abb. postale D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma