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I papi del Novecento

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I papi del

Novecento

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Pio X

Giuseppe Sarto

(1835-1914)

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Giuseppe Melchiorre Sarto nasce a Riese

(Treviso) il 2 giugno 1835, secondo di dieci

figli di una famiglia modesta.

Dopo le elementari, tra il 1846 e il 1850

compie gli studi ginnasiali a Castelfranco

Veneto. Nel 1850 entra nel seminario

di Padova, dove frequenta il liceo con ottimi

risultati. Perde il padre a 17 anni.

Tra il 1854 e il 1858 è alunno del corso

teologico. Vorrebbe frequentare anche

l’università per approfondire le lingue

orientali, ma non gli viene concesso.

Invece di scrivere versi, anche in latino, come

gran parte dei suoi compagni, il giovane

Sarto predilige la musica: organizza e dirige

una piccola “schola cantorum”, trascrive e

compone brani di musica sacra.

Viene ordinato sacerdote nel settembre 1858

a Castelfranco Veneto.

La preparazione

al sacerdozio

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Nominato cappellano a Tombolo, piccolo

borgo di 1400 abitanti, vi resta per nove anni.

Qui si impegna su vari fronti: avvia una scuola

di canto liturgico e inizia a riflettere sul

rinnovamento della catechesi. Nello stesso

tempo apre una scuola serale per analfabeti.

Benché sia molto riservato sulle proprie

inclinazioni politiche, nel 1866 vota sì al

plebiscito per l’annessione all’Italia.

Nel 1867 lascia Tombolo e diventa parroco

a Salzano, comune di circa 3000 abitanti. Qui

assume anche la carica di sovrintendente

scolastico comunale. Riemerge subito la sua

preoccupazione per la liturgia: fonda una

scuola serale per insegnare il latino e la musica

sacra. Redige anche un catechismo ad uso dei

suoi parrocchiani. La prima redazione

comprende ben 577 domande e risposte.

Di anno in anno, provvede a migliorare il testo

iniziale.

Il ministero pastorale

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Il giovane parroco dimostra si dedica al

miglioramento delle condizioni socio-

economiche dei suoi parrocchiani. Nel 1873 è tra

i più impegnati nell’assistenza agli ammalati di

colera.

Attento e sensibile nei rapporti personali, è

intransigente e fedele ai principi sui rapporti

istituzionali.

Nel luglio 1875 il vescovo lo chiama a Treviso

come cancelliere della Curia. Cresce la sua fama

di predicatore, semplice ed efficace e per questo

molto richiesto; e dimostra anche una buona

padronanza del diritto canonico.

Viene nominato canonico della cattedrale,

direttore spirituale del seminario, professore di

religione nel liceo vescovile e consigliere del

tribunale ecclesiastico.

Nessuno si stupisce quindi quando giunge la

nomina a vescovo di Mantova, una diocesi

considerata difficile.

Vescovo di Mantova

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A Mantova si è sviluppato un forte

movimento contadino ostile alla Chiesa. Ci

sono anche significative comunità

protestanti. Sembra dominante il pensiero

filosofico positivista.

Del clero mantovano era il maggiore

filosofo positivista italiano, Ardigò, che nel

1871 lascia il sacerdozio.

Consacrato vescovo a Roma, fa il suo

ingresso in diocesi nel 1885. Nel 1888

convoca il sinodo. Ecco alcune indicazioni:

i preti devono astenersi da ogni impegno

politico diretto, dedicandosi solo

all’attività spirituale; nessuna tolleranza e

comprensione per i cattolici-liberali;

grande attenzione va riservata alla

catechesi, da organizzare per tutte le età e

le categorie, e alle attività assistenziali, in

appoggio al lavoro sociale svolto

dall’Opera dei congressi, l’organizzazione

cattolica nata nel 1874 e punto di

riferimento del movimento cattolico.

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Patriarca di Venezia Il 15 giugno 1893, dopo averlo promosso alla

cardinalato, Leone XIII lo trasferisce alla sede

patriarcale di Venezia. Per la mancanza

dell’autorizzazione del governo, può entrare

nella diocesi lagunare solo nel novembre 1894.

Le stesse difficoltà si verificano anche per le

nomine alle sedi di Milano per Ferrari e di

Bologna per Svampa.

Il nuovo patriarca si dedica all’attività

pastorale secondo il modello tridentino: lotta

contro l’ignoranza religiosa con la promozione

della catechesi per ragazzi e adulti; incremento

della preghiera liturgica e forte centralità della

devozione eucaristica; sviluppo del canto

liturgico, in questo aiutato da uno dei grandi

maestri compositori del tempo, futuro direttore

della Cappella Sistina, don Lorenzo Perosi.

L’impegno sociale rimane forte: promuove

varie forme associative, incrementa il lavoro

dell’Opera dei congressi, favorisce lo sviluppo

delle Casse rurali e delle Casse operaie.

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Alla morte di Leone XIII, nel luglio 1903 il patriarca Sarto si reca a Roma per il

conclave. Una tradizione vuole che al momento della partenza abbia dichiarato:

“Vivo o morto ritornerò”; è comunque molto probabile che il cardinale non

immaginasse una sua elezione al pontificato.

Secondo la testimonianza del cardinale Mathieu, in conclave vi erano i cardinali

favorevoli alla linea di governo di Leone XIII, molto attento all’attività

diplomatica e ai rapporti internazionali: il loro candidato era il Segretario di Stato

Rampolla; e vi erano i cardinali che auspicavano un cambiamento in una linea di

governo più pastorale. Tra questi lo stesso Mathieu, che avrebbe dichiarato:

“Vorremmo un papa che sia stato estraneo a ogni polemica, che abbia trascorso la

vita nella cura delle anime, che si occupi del governo della Chiesa e che,

soprattutto, sia padre e pastore. Un tale pontefice noi l’abbiamo a disposizione. Ha

dato ottima prova di sé nella sua importante diocesi. Unisce una retta capacità di

giudizio a una grande austerità di costumi e a una ammirevole bontà che gli ha

guadagnato l’animo di tutti dovunque sia passato. Noi voteremo per il patriarca di

Venezia”.

Sale al pontificato un papa che, caso raro, non proviene da nessuna esperienza

diplomatica, ma ha percorso tutti i gradini dell’impegno pastorale diretto. Viene

scelto nonostante abbia chiaramente manifestato il desiderio di non essere eletto.

L’elezione al pontificato

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In conclave l’arcivescovo

di Cracovia, cardinal Puzyna,

comunica agli elettori il veto, o

forse l’auspicio che la candidatura

di Rampolla fallisca, in quanto

sgradita al governo austriaco.

Tale intervento probabilmente non

è stato determinante: Rampolla non

ha mai superato la soglia

necessaria, neppure prima del veto.

Ma certo la cosa fa scalpore e

induce poi il nuovo pontefice a

pubblicare un documento che

proibisce simili intromissioni.

Sarto riceve 50 voti, contro i 10 di

Rampolla.

Il veto sul cardinal Rampolla

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Il nuovo papa sceglie il nome di Pio X. Egli porta in

Vaticano un’esperienza pastorale molto ricca, e una

formazione culturale non troppo ampia, anche se non

così povera come talvolta si è voluto far credere; una

formazione basata più sui manuali e sulle sintesi che

sulla ricerca personale.

Due tipi di esperienze, quella pastorale e quella

culturale, che spiegano le scelte e i programmi del

suo pontificato: da un lato una forte attrazione verso

la catechesi, le riforme della liturgia e della musica

sacra in modo da portare i fedeli a una più profonda

vita di preghiera e a una migliore partecipazione ai

sacramenti; dall’altro una costante diffidenza nei

confronti della ricerca scientifica, da lui considerata

come desiderio di sottrarsi all’autorità, e non come

travaglio interiore dettato da un grande amore alla

fede e alla Chiesa. Il tutto poi condizionato da una

concezione fortemente gerarchica della Chiesa, dove

la virtù suprema è l’obbedienza, e il male assoluto

l’orgoglio della mente, la superbia dello studioso che

si arroga il diritto di giudicare il proprio superiore.

Instaurare omnia

in Christo

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Già nella prima enciclica E supremi

apostolatus Cathedra, pubblicata il 4

ottobre 1903, a due mesi esatti

dall’elezione, appaiono i punti del suo

programma di riforma:

- difesa dei grandi principi cattolici

- rafforzamento dell’autorità e della

relativa dipendenza

- riaffermazione del primato della

società religiosa sulla società civile

- diritto del pontefice di dettare

orientamenti e norme vincolanti non

solo per i suoi sudditi, ma anche per i

governi.

Il programma di riforme

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Nel 1908 Pio X nomina una

commissione per la riforma della curia

vaticana e con la costituzione Sapienti

consilio, entrano in vigore i nuovi

ordinamenti. Le Congregazioni romane

da 20i vengono ridotte a 11, e fra queste

assumono grande importanza la

Congregazione Concistoriale, incaricata

della nomina dei vescovi e del governo

delle diocesi, e la Congregazione del

Concilio, custode della disciplina del

clero e dei fedeli.

La Congregazione “de Propaganda

Fide” assume la responsabilità di tutti i

territori di missione, mentre nasce una

nuova Congregazione per la Disciplina

dei Sacramenti, chiamata a realizzare i

programmi pastorali del papa.

Una nuova importanza assume anche la

Segreteria di Stato, un vero e proprio

ministero degli Esteri.

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Con una lettera del 5 maggio 1904 al

cardinale Respighi, vicario di Roma, Pio

X stabilisce che per essere ordinati preti

bisogna aver terminato il 4° anno di

teologia ed essere stati per almeno tre anni

alunni di un seminario o collegio

ecclesiastico.

Questa norma che rappresenta una tappa

essenziale nella storia della formazione

del clero, in quanto pone fine al chiericato

esterno, cioè alla prassi, allora ancora

molto diffusa, di compiere gli studi

teologici senza risiedere in seminario, ma

a casa propria, frequentando solo le

lezioni o presentandosi esclusivamente per

gli esami.

Nel maggio 1907 viene emanato un

Programma generale degli studi, con

dettagliate indicazioni sui curricula per i

seminari, che prevedono l’adozione per il

ginnasio e il liceo dei programmi

governativi.

L’obbligo di frequenza del

seminario

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Altro capitolo importante delle riforme di

Pio X concerne la vita sacramentale dei

fedeli, a partire dal rinnovamento della

cultura religiosa.

I testi per la catechesi sono stati da sempre

l’assillo di papa Sarto. Egli vuole

approntare un testo base, che superi i troppi

catechismi in circolazione.

Nel 1905 fa pubblicare un Compendio

della dottrina cristiana, le cui fonti

ispiratrici sono due testi del ’700, uno

opera del vescovo di Mondovì, A. Casati, e

l’altro di A. Pouget, pubblicato a Parigi e

tradotto anche in italiano.

Il papa provvede a numerose variazioni e

stesure; fino al testo, varato nel 1912,

imposto a tutte le diocesi italiane, basato su

una serie di brevi domande e risposte,

diventato il Catechismo della dottrina

cristiana.

Il nuovo catechismo

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Il 22 novembre 1903 Pio X presenta un

documento con il quale vengono ridefiniti

gli scopi del canto liturgico e i vincoli per

l’uso della musica in chiesa.

Viene ammessa la musica polifonica, ma

si raccomanda in modo particolare l’uso

del canto gregoriano, mentre si proibisce

l’uso della musica cosiddetta profana.

Nelle chiese romane era prassi diffusa

eseguire e cantare musica operistica anche

durante le messe, così come era prassi

diffusa far eseguire brani per soprano da

cantori adulti di sesso maschile: con

grandi effetti folcloristici, ma scarso

sentimento della sacralità del luogo e della

preghiera. L’intervento del pontefice

produce radicali modifiche nelle vecchie

abitudini; e il lavoro del Perosi e di altri

noti compositori di musica sacra rende

possibile l’applicazione della riforma.

La riforma della

musica sacra

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Nuove norme riguardano anche il

sacramento dell’Eucarestia.

Due sono gli elementi base di questa

riforma: da un lato, l’invito ai fedeli

alla comunione anche quotidiana,

superando gli ultimi residui del

rigorismo giansenista, e

trasformando in possibilità concreta

un auspicio che da decenni era stato

fatto proprio da vari studiosi,

compreso Leone XIII.

L’altra novità è l’abbassamento

dell’età per accostarsi alla

comunione. Nell’agosto del 1911,

con il decreto Quam singulari, il

papa fissa l’età della prima

comunione al primo uso di ragione, e

concretamente intorno ai sette anni.

Nuove norme sull’Eucaristia

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Pio X viene beatificato il 3

giugno 1951 e canonizzato il

29 maggio 1954 da Pio XII.

Giovanni XXIII, suo

successore sia a Venezia sia a

Roma come pontefice, volle

esaudire quella profezia che

era attribuita a papa Sarto

alla sua partenza da Venezia

per il conclave, quando

avrebbe detto “Vivo o morto

ritornerò”.

Nell’aprile del 1959 la salma

di Pio X sarebbe ritornata a

Venezia, per restare esposta

in S. Marco fino al 10

maggio, quando venne

riportata a Roma.

Beatificazione e canonizzazione

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La lotta contro il modernismo

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Ernesto Buonaiuti

Alfred Loisy

Henri BrémondMaurice Blondel

Friedrich

von Hügel George Tyrell

Louis Duchesne

I protagonisti

del modernismo

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La crisi modernista coglie un’istanza

fondamentale: la mediazione

culturale della fede.

Secondo alcuni studiosi nel

modernismo c’è un’ingenua

dissociazione tra linguaggio e

oggetto, mediazione culturale e realtà

intesa.

Sorge la domanda: per credere

bisogna legare la rivelazione a una

certa immagine antica del mondo,

connessa a una modalità mitologica

dell’esperienza? Oppure è possibile

dare nuovi significati a quei racconti,

adeguandosi alla mentalità scientifica

moderna?

La soluzione data dai modernisti è

un’ingenua dissociazione tra

rappresentazione arcaica (superabile)

e contenuti essenziali (ma talvolta un

po’ indeterminati) da credere.

La mediazione culturale

della fede

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“Geografia” del modernismo

1. Francia

a) Alfred Loisy: L’Évangile et l’Église (1902) “manifesto” dei modernisti

b) Louis Duchesne

c) Henri Brémond

2. Germania

Von Hügel

3. Inghilterra

George Tyrrell

4. Italia

a) Giovanni Semeria

b) Genocchi

c) Ernesto Buonaiuti

d) Antonio Fogazzaro

e) Romolo Murri

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Il contesto culturale del modernismo

1. Riaffiorano alcuni motivi tipici del cattolicesimo liberale:

il primato della coscienza personale sull’istituzione; la conciliazione tra autorità e

libertà; l’autonomia della scienza; la liberazione dalle strutture ecclesiastiche

superflue; il rinnovamento del culto; l’affrancamento della religione dalla politica.

2. Gravi lacune che la cultura ecclesiastica:

- in filosofia, si abusa facilmente del principio di autorità; i pensatori moderni sono

poco conosciuti, il senso storico è piuttosto limitato;

- in teologia, l’indirizzo speculativo e deduttivo ha la prevalenza assoluta.

3. Crisi del positivismo e rinnovato interesse per i problemi religiosi;

4. Progresso degli studi positivi, storici e biblici, che sembrano mettere in

discussione molti dati tradizionali della dottrina cattolica: l’ispirazione della

Bibbia; l’interpretazione del libro della Genesi; la composizione del Pentateuco; il

valore storico dei Vangeli; la divinità di Gesù Cristo.

5. Esigenza di un cattolicesimo meno legato a schemi tradizionali:

Blondel per la filosofia; Lagrange per l’esegesi biblica; Duchesne e Battifol per la

storia

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Le questioni poste dal modernismo

1. i rapporti tra scienza e fede

2. la distinzione tra piano religioso e piano politico

3. la legittimità del metodo storico nell’esegesi biblica

4. l’evoluzione dei dogmi nel permanere della verità

5. la coesistenza tra libera ricerca e obbedienza al magistero

6. le relazioni tra esperienza religiosa universale e mistica cristiana

Istanze dei modernisti tenute presenti dalla riflessione teologica:

a) maggiore attenzione alla storia, ai metodi storico-critici, alla tradizione

biblica e patristica

b) nuova apologetica con libertà di ricerca

d) idea di Chiesa come realtà “misterica” e spirituale, organismo vivo e

dinamico, in continuo sviluppo.

e) chiara distinzione tra sfera religiosa e sfera politica

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Già nell’enciclica programmatica E supremi apostolatus, Pio X dichiara di

voler vigilare affinché il clero non subisca l’influsso negativo della nuova

scienza.

Negli anni successivi gli interventi si intensificano e si inaspriscono. Nel luglio

1906, con l’enciclica Pieni l’animo, diretta ai vescovi d’Italia, il Pontefice

lamenta che “l’atmosfera di veleno” diffusa nella società stia penetrando

all’interno della Chiesa e rischi di corrompere una buona parte del clero,

soprattutto i preti più giovani.

Pertanto il papa proibisce l’adesione del clero e dei seminaristi a qualsiasi

associazione che non dipenda dalle autorità ecclesiastiche, in particolare vieta

l’iscrizione alla Lega democratica nazionale che raccoglie i democratici

cristiani legati a Romolo Murri. Chi non si adegua, non può essere ordinato

prete o, se lo è già, viene sospeso dal ministero.

I primi interventi romani contro il modernismo

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L’elaborazione del decreto

Lamentabili è lunga, complessa e

frutto di compromessi tra le varie

anime della curia romana.

Inizia con la messa all’Indice di

cinque opere di Loisy, nel 1903.

Il testo finale condanna 65

proposizioni, in gran parte estratte

dai libri di Loisy L’Évangile et

l’Église e Autour d’un petit livre,

benché non siano sempre citazioni

letterali.

Nel testo del decreto non ricorre

esplicitamente il termine

“modernismo”, ma vi si fa

riferimento nella sostanza

Il decreto del sant’Uffizio

Lamentabili sane exitu

(luglio 1907)

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L’Enciclica è pensata come complemento

e approfondimento del decreto

Lamentabili, con l’obiettivo di condannare

il modernismo sulla base di una riflessione

teologica più complessiva.

«In tutta questa esposizione della dottrina

dei modernisti vi saremo sembrati prolissi.

Ma ciò è stato necessario, sia per non

sentirci accusare di ignorare le loro cose,

e sia perché si veda che, quando si parla

di modernismo, non si parla di vaghe

dottrine senza alcun nesso, ma di un unico

corpo e ben compatto…

Ora, se quasi d’un solo sguardo

abbracciamo l’intero sistema, nessuno si

stupirà quando Noi lo definiamo

affermando essere esso la sintesi di tutte

le eresie»

Enciclica

Pascendi Dominici Gregis

(settembre 1907)

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L’Enciclica è formata da tre parti: la prima di carattere dottrinale, la seconda di

tipo morale, la terza dedicata alle norme disciplinari per combattere il

modernismo.

Per Pio X le teorie moderniste colpiscono direttamente la fede, la dogmatica,

l’ecclesiologia, la filosofia, la storia della Chiesa.

1) Sotto il profilo filosofico, per Pio X i modernisti ritengono che Dio non possa

essere oggetto di scienza né può essere considerato soggetto operante nella

storia. Questo rende impossibile conoscerlo con la sola ragione, contrariamente

a quanto afferma il Vaticano I.

Inoltre essi riducono la religione a puro sentimento interiore. La stessa figura di

Gesù, che l’Enciclica chiama sempre Cristo, per i modernisti può essere studiata

soltanto nella sua dimensione umana.

I dogmi poi non conterrebbero verità assolute, ma vanno considerati dei simboli,

essenziali alla fede, sottoposti a evoluzione.

Struttura e contenuti della Pascendi

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2) Il credente modernista è descritto come votato a una religione puramente

soggettiva, fondata sull’esperienza individuale, che l’Enciclica assimila agli errori

dei protestanti.

Pio X respinge le conseguenze che deriverebbero da questi principi: la

parificazione di tutte le religioni, la separazione, indipendenza e incomunicabilità

tra la scienza e la fede.

Per la teologia modernista la Chiesa e i sacramenti non sono stati istituiti

direttamente da Gesù ma mediatamente. I dogmi, il culto, la Bibbia sono spiegati

nella loro dimensione simbolica ed esperienziale.

La Chiesa risponderebbe al bisogno di comunità dei cristiani, disciplinato sotto

un’autorità che però non va pensata di natura divina.

3) Il modernista in quanto storico restringe il campo di indagine al solo ambito

dei fenomeni, in modo agnostico.

Ne scaturisce la distinzione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, tra la

Chiesa in quanto istituzione storica e come realtà divina ritenuta tale nell’ottica

della fede.

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L’ultima parte della Pascendi indica ai vescovi, ai superiori degli ordini religiosi, agli

educatori e docenti dei futuri chierici una serie di misure per sradicare la presenza

modernistica:

- si raccomanda di porre la filosofia scolastica alla base degli studi teologici

- vanno rimossi i docenti dei seminari e delle università cattoliche che mostrino

simpatia per le tesi dei modernisti

- è proibita la lettura e la pubblicazione di scritti modernistici; a tale riguardo, occorre

istituire appositi censori, scelti tra il clero secolare e regolare

- convegni e congressi del clero sono permessi soltanto in casi rarissimi e a

determinate condizioni restrittive circa i temi e la partecipazione

- ogni diocesi deve istituire un consiglio di vigilanza antimodernista, chiamato a

operare segretamente in riunioni bimestrali

- ogni triennio i vescovi devono inviare alla Santa Sede una relazione sulla attuazione

delle antimoderniste.

Provvedimenti disciplinari della Pascendi

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Con il motu proprio Sacrorum Antistitum, del settembre 1910, Pio X introduce

il giuramento antimodernistico, che rimarrà ufficialmente in vigore fino al

1967. Esso è obbligatorio per tutti i docenti, i superiori e gli educatori dei

seminari e delle università cattoliche.

La formula del giuramento propone in primo luogo un’adesione alla dottrina

della Chiesa, in particolare alle verità più minacciate quali la conoscibilità di

Dio con la sola ragione, l’intelligibilità delle prove esterne della Rivelazione

(miracoli e profezie), l’istituzione divina della Chiesa, le verità della fede così

come sono state formulate nei dogmi.

Il Pontefice raccomanda ai futuri sacerdoti un’accurata formazione culturale,

necessaria per combattere i “nemici”. Pertanto, poiché gli studi sono già “molti

e gravosi”, si dà l’indicazione di non creare distrazioni e si proibisce la lettura

di qualsiasi periodico, anche se di buon contenuto

Il giuramento antimodernistico

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Sotto la guida di Pio X, i “motori”

dell’antimodernismo sono la “triade”: il

Sant’Uffizio con il card. Merry del Val, la

Congregazione del Concilio con il card. De Lai, la

Congregazione dei Religiosi con il card. Vives y

Tutó (1854-1913).

Inoltre la Segreteria di Stato si avvale della

particolare collaborazione di mons. Umberto

Benigni (1862-1934), che costituisce una vera e

propria rete di spionaggio e di propaganda: il

Sodalitium Pianum.

Anche il Vicariato di Roma, la “diocesi del papa”,

gioca un ruolo nella lotta contro i novatori. Al

card. Respighi si devono alcuni interventi

antimodernistici come la condanna de Il

programma dei modernisti (1907), la proibizione

del periodico Nova et vetera e della Rivista di

cultura, con la comminazione della sospensione a

divinis agli abbonati. Però alcune figure del

Vicariato, come mons. Faberj, operano nel senso

di limitare i danni dell’antimodernismo.

I protagonisti

dell’antimodernismo

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In Italia la repressione antimodernistica è resa

ancora più capillare grazie alle visite apostoliche

che consistono nell’invio di un delegato papale

per un’ispezione di una diocesi o di un

seminario. Segue la stesura di una relazione che

poi la Curia romana esamina, emanando

eventuali provvedimenti disciplinari approvati

dal papa.

Le visite apostoliche ribadiscono la natura

gerarchica dei rapporti tra la Santa Sede e le

diocesi, accentuando lo squilibrio già esistente

tra il ministero petrino e la collegialità

episcopale.

Responsabile di organizzare e di svolgere le

visite apostoliche è la Congregazione del

Concilio, con a capo il card. De Lai veneto come

Pio X e da questi molto stimato.

Un caso emblematico di tali visite è quella svolta

nella diocesi di Cremona, guidata da mons.

Bonomelli, nell’estate del 1905, da parte di

Rinaldo Rousset, generale dei carmelitani scalzi.

Card. De Lai

Le visite apostoliche

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Le indicazioni di Pio X contro i modernisti non

trovano sempre piena accoglienza. Anche tra i

vertici curiali ci sono voci diverse. Per esempio,

il card. Domenico Ferrata (1847-1914), prefetto

della Congregazione dei Vescovi e Regolari,

approfitta del suo ufficio per azioni in difesa dei

preti accusati di modernismo, contrastando le

iniziative di altri dicasteri vaticani.

Ci sono divergenze di giudizio anche in ambito

disciplinare, oltre che teologico. Perfino

l’utilizzo della bicicletta dai parte dei preti o

l’impiego di un cappello più pratico rispetto al

tricorno o al saturno, sono considerati indizi di

modernismo!

A tale riguardo, altra voce critica è quella di

mons. Bonomelli, vescovo di Cremona, che

scrive al card. Ferrari: «Noi andiamo in

carrozza e anche in automobile, noi Vescovi, e

non vogliamo che il povero prete usi la

bicicletta, cavallo suo, talora necessario per le

distanze?»card. Domenico Ferrata

Voci dissidenti

nella Curia romana

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Sorgono sospetti ovunque e spesso vengono

comminati provvedimenti disciplinari contro persone

di sicura integrità dottrinale, per lo scatenarsi di

gruppi di pressione che si sentono investiti di una

missione purificatrice e ricorrono a tutti i mezzi,

compresa la delazione e la calunnia, per distruggere

quelli che considerano gli avversari della Chiesa.

Alcuni di loro, sotto la direzione di un prelato che

ricopre importanti incarichi in Vaticano,

monsignor U. Benigni, costituiscono una vera e

propria organizzazione spionistica, il “Sodalitium

pianum” (in ricordo del grande papa inquisitore, Pio

V), che adotta metodi poco edificanti.

Preoccupato di non dare spazio a nessun personaggio

sospetto, Pio X preferisce rischiare di colpire anche

gli innocenti, con i suoi interventi di condanna. Per

qualche anno, e in particolare tra il 1910 e il 1914, la

storia della Chiesa è piena di necrologi.

Vittime illustri della lotta antimodernista

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Il domenicano J.M.

Lagrange, uno dei più

fedeli servitori della

Chiesa e della scienza

biblica, deve lasciare

la scuola

di Gerusalemme,

mentre la sua “Revue

Biblique” rischia la

soppressione

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Gli “Annales de Philosophie Chrétienne”

vengono messi all’Indice,

mentre L. Laberthonnière, dopo una nuova

condanna nel 1913, deve cessare qualsiasi

attività pubblicistica.

Bremond è a sua volta condannato

dall’Indice, per la sola colpa di aver scritto

la biografia di una santa senza utilizzare i

vecchi schemi apologetici.

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Nel 1912 anche L. Duchesne,

storico abituato a un linguaggio

poco ecclesiastico ma di

provata ortodossia, viene

condannato.

La messa all’Indice della sua

Histoire ancienne de l’Église

solleva grande scalpore in

tutto il mondo scientifico. È

uno di quei casi in cui l’autorità

spara sulle truppe migliori.

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Vengono accomunati nei

sospetti anche vescovi e

cardinali: fra le vicende più

note vi è quella del

cardinale Ferrari,

arcivescovo di Milano, a

più riprese accusato di

scarsa vigilanza sulla sua

diocesi da squallidi libelli e

giornali, che ottengono

però l’avallo di qualche

Congregazione romana e

dello stesso Pio X.

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In un clima di sospetto e di

delazione, si sparge la convinzione

che presso il seminario di Bergamo

i docenti, tra i quali il rettore

Davide Re, il prefetto agli studi

Severo Pasinetti, il professore di

storia ecclesiastica Francesco

Biolchini e lo stesso professor

Roncalli, maneggino libri segnalati

all’Indice, tra i quali la famosa

Storia della Chiesa antica del

Duchesne, tradotta in italiano dal

Turchi.

La sua lettura viene vietata nel

settembre 1911 dalla Concistoriale

guidata dal card. De Lai e

condannata nel gennaio del 1912.

I sospetti sul seminario di Bergamo

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«Non buona impressione mi fecero le

conferenze di chiusura [di Mattiussi]: l’una

sull’opera di mons. Duchesne e l’altra sul

“giornalismo”; specialmente questa seconda.

Dell’opera di mons. Duchesne anche

semplicemente considerata dal punto di vista

degli errori di Loisy praticamente in essa

diffusi, e riconosciuti, penso modestamente che

più cose si potessero dire, con metodo assai più

ordinato e soprattutto più nobilmente efficace.

Dell’altra poco di nuovo c’è da aggiungere a

quanto è argomento di tutti i discorsi in città e

in diocesi […].

Ho il dispiacere di dover dire che quella tal

frase con la quale si squalificavano in blocco i

giornali cattolici di Lombardia venne proprio

pronunciata e ribattuta in piena conferenza –

checché altri ne dica – e senza che alcuno lì per

lì avesse interrotto il padre per fargli domande

in proposito»

(Testimonianza resa da Roncalli, 29.09.1911)

Il commento di Roncalli

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Informatore della congregazione concistoriale romana è il canonico bergamasco

Mazzoleni, sacerdote “retto e bene intenzionato, ma dal carattere originale e

strano, che la sordità aggravò”, come preciserà lo stesso Roncalli una volta

diventato Papa Giovanni, integrando la documentazione mancante con una nota di

suo pugno. Comunque non viene intentato nessun procedimento istruttorio contro

Roncalli: le accuse di Mazzoleni e forse di alcuni altre “zeloti” e restii verso le

aperture di mons. Radini, non hanno seguito.

«[…]. Quanto alla Storia di mons. Duchesne difficilmente ora si potrà sapere se fu

adoperata e in qual modo in Seminario. Si sa che l’aveva il Rettore, il prof.

Roncalli, il prof. Biolchini dei Preti del S. Cuore, prof. in Seminario nelle scuole

basse, il Pref. degli studi; si sa che parecchi preti giovani l’acquistarono e lessero

non trovandovi nulla di male: presso un libraio anche presentemente sono

prenotati 26 sacerdoti per le dispense di questa storia, e finora non disdissero

l’associazione. Ignoti nulla cupido. Come va, che tanti preti giovani si mostrarono

sì smaniosi per una storia che mette i brividi ad ogni sincero credente? Le lodi

dell’Unione, de L’Eco, il silenzio del Vescovo, certo concorsero, ma non basta: io

temo che qualche professore l’abbia adoperata. Però ora, ripeto, sarà difficilissimo

arrivare a scoprire la verità. V. Em. Faccia quel calcolo che crede di queste

notizie, che sono ben fondate, e che io do se mai potessero giovare»

(Lettera del Can. Giovanni Mazzoleni al card. De Lai, 28.09.1911)

Le accuse del canonico Mazzoleni

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Al termine di un’udienza romana del giugno 1914, accordata a una delegazione

diocesana guidata dal rettore del Seminario bergamasco mons. Re, il card. De Lai

rivolge a un Roncalli incredulo avvertimenti piuttosto mirati, benché in forma

indiretta. Roncalli gli risponde subito, ribadendo i suoi sentimenti di schietta

fedeltà dottrinale:

«Eminenza Ill.ma e Rev.ma, ieri nel congedarmi dopo l’udienza accordatami

insieme con il Rev.mo Rettore del Seminario di Bergamo, V.E. mi rivolse in forma

cortese sì ma assai espressiva, brevi parole che aprirono nel mio cuore di sacerdote

una ferita – lo confesso – tanto più profonda quanto più inaspettata.

Esse contenevano una raccomandazione perché vegliassi all’insegnamento della S.

Scrittura e della Storia, e mi lasciavano il sospetto non forse io avessi talora

mancato a quella correttezza di dottrina e di metodo che si richiede nello sviluppo

di tali materie innanzi a giovani seminaristi specialmente.

Ebbene, Eminenza, voglia gradire e, ove le piaccia, far gradire anche al Santo

Padre l’espressione dei sentimenti che quelle parole mi hanno suscitato allo spirito.

Uscito appena dalle stanze di V.E. mi recai senz’altro nella chiesa del Gesù e là,

inginocchiato presso la tomba di S. Ignazio che mi ricorda tanti forti propositi della

mia giovinezza clericale, ripensai seriamente a me stesso. Io non mi sono mai

occupato di S. Scrittura, bensì di Apologetica, di Storia Ecclesiastica e di

Patrologia.

L’ammonimento del card. De Lai a Roncalli

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La voce della mia buona coscienza, che mi attesta non solo di non aver mai sentito

diversamente dagli insegnamenti e dallo spirito della Chiesa anche nelle piccole

cose e in materia disputabile, ma di aver anzi lavorato – con grande rettitudine

parmi, e con gran cuore secondo le mie forze modeste – con la parola, con la penna,

con l’esempio, in pubblico e in privato, nell’esercizio vario del mio ministero

sacerdotale, a estollere eguale spirito, lietissimo e confidente, di docilità e di amore

alla Chiesa, alla S. Sede e ai suoi indirizzi antichi e recenti in fatto di dottrina e di

vita pratica, così da formare questo uno degli scopi principali del mio insegnamento

e della mia attività fra i seminaristi e i laici di varia condizione; la parola

confortatrice e oltremodo lusinghiera che sempre mi venne in proposito dai miei

venerati Superiori, i quali mi hanno particolarmente e continuamente sottocchio,

senza che mai in otto anni mi sia stato fatto il più piccolo rimarco in questa materia

– e l’avrei accettato, me lo creda, Eminenza, e ne avrei fatto tesoro con la più

schietta buona volontà e sottomissione; le impressioni che credo e so di aver destato

in quanti ebbero occasione di avvicinarmi, chierici, sacerdoti, laici di ogni

condizione, a cui si estese, sotto la guida dell’obbedienza, il io modesto ministero.

Tutto questo mi fu ragione di molto conforto. Però io so anche che il mio amor

proprio potrebbe far velo alla mia stessa buona coscienza: e in questo caso sarò

gratissimo alla E. V. ove mi voglia paternamente avvertire, perché mi possa

correggere là dove fossi stato per avventura inesatto o incauto.

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Ma anche prescindendo da ciò, io non posso partire da Roma senza lasciare alla E.

V. che per me in questa parte rappresenta il S. Padre e la Chiesa, e senza

riaffermare anche con lo scritto come con la mente e con il cuore l’ho fatta ieri

sulla tomba di S. Ignazio, oggi in S. Pietro, e tutti i giorni la ripeto innanzi a Gesù

Benedetto sull’altare eucaristico, l’assicurazione della mia più assoluta e delicata

fedeltà al pensiero e agli indirizzi della Chiesa e del Papa in tutto e sempre. La mia

testa, il mio cuore, la lingua, la penna, tutte le mie energie sono ben poca cosa; ma

per quel che valgono, esse – godo nel dirlo – come furono per il passato così

vogliono essere per l’avvenire, tutte e sole al servizio, umile e nascosto, sia pure,

ma sincero e generoso di Dio, della Santa Madre Chiesa, delle anime. Aggiungerò

anzi a V. E. che dopo tutto sono contento che il dolore vivissimo e la umiliazione

grande sentita lì per lì alle parole di V. E. mi offrano ora questa opportunità di

effonderle i miei sentimenti, sui quali mi compiacevo di pensare non potesse venir

mai elevato alcun dubbio, e quasi di dare ad essi una novella consacrazione che li

renda più accetti al Signore e più fecondi di bene. Mi parrà con questo di essere

fatto anche più capace e più agile a seguire il mio venerato Vescovo dal quale mi

vengono in fatto in adesione di tutta l’anima nostra agli indirizzi della Chiesa e al

Papa, esempi, in pubblico e in privato, sempre tanto edificanti, spesse volte

commoventi. Augurando a V.E. ogni più dolce consolazione nel Signore, le bacio

la sacra porpora e mi raccomando alla sua benevolenza»

(Lettera di don Roncalli al card. Gaetano De Lai, 02.06.1914)

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«M. Rev. Prof. Roncalli, mi dispiace che la raccomandazione

ch’io feci l’abbia tanto turbata. Non era essa un rimprovero,

ma un salutare avvertimento. Secondo le notizie che qui si

hanno, io sapeva che Ella era stato un lettore deferente del

Duchesne e di altri simili autori sbagliati, e che in talune

occasioni si era mostrata proclive a quella corrente di idee

larghe che tendono a svuotare il valore delle tradizioni e

l’autorità del passato, corrente pericolosa che porta a

conseguenze fatali, almeno nei più che non sanno navigare

contro, o reggersi nella ridda di quei vortici.

Quando poi questo fermento di idee è entrato nella mente, si

sa che vi esercita il suo influsso, e non si spoglia che con

gran fatica. Le mie parole quindi tendevano ad aiutarla, se ve

ne fosse bisogno, per uscire dal triste incantesimo di certi

libri e di certi autori; e in ciò, più che dolersene, doveva

trovarvi un tratto di interessamento e di benevolenza. Nella

sua lettera Ella, invece, fa le proteste della più integra

ortodossia. Di ciò molto mi compiaccio, e così ritengo chiuso

l’incidente, dal quale Ella non trarrà altra conclusione che

l’interessamento della S. Sede perché il clero stia lungi da

pericolose novità, e l’interessamento mio particolare per Lei»

(Lettera del card. De Lai a don Roncalli, 12.06.1914)

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«Eminenza, la lettera personale del 12 giugno corr. che V. E. con paterno tratto di

bontà si è degnata inviarmi, mi ha grandemente confortato. La ringrazio di cuore e

le serberò riconoscenza finché viva. Raccolgo con venerazione tutti i buoni

pensieri e le sagge riflessioni contenuti in quel prezioso foglio: mi saranno sempre

innanzi come un richiamo opportuno ed efficace. Quanto alle informazioni giunte

costì e che mi riguardano, rispetto la buona fede e le rette intenzioni di chi se ne è

fatto tramite presso V. E. ma non posso credere che esse provengano da alcuno che

mi conosca. Chiunque sia l’informatore perché V. E. abbia una prova della

attendibilità di quelle referenze nei rapporti con la mia umile persona le bastino

queste brevi e semplici mie affermazioni che sono disposto anche a confermare

cum juramento: 1) Io non lessi mai più che 15 o 20 pagine – e anche queste

saggiando qua e là – del I volume dell’Histoire ancienne de l’Eglise di Duchesne

(Edit. Deuxième, Paris 1906). Non ho neppur veduto gli altri due volumi. Non ho

letto poi neppure una riga della Storia del Duchesne tradotta dal Turchi, né mai

l’ebbi tra mano o fra i miei libri. Conoscevo poco il Prelato francese, ma non ebbi

mai simpatie per lui anche quando lo presentavano approvazioni che si dovevano

ritenere tranquillanti per la sua perfetta ortodossia. Conoscevo abbastanza bene le

idee del Turchi che fu per qualche mese compagno al Seminario Romano, e non

me ne fidai affatto. Ricordo anzi di aver espresso più volte miei sentimenti di

antipatia e di sfiducia anche ai miei alunni seminaristi…

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2) Di ciò che lessi al Seminario può far fede mons. Spolverini. Da quando lasciai

il Seminario per seguire il mio ven. Vescovo come segretario posso attestare che

non lessi mai un solo libro, opuscolo o periodico modernista o che sapesse di

modernismo, fatta eccezione de Il Santo di Fogazzaro prima della condanna, e

che sfogliai per ragioni del mio ministero di confessore: sfogliai e ne proibii

subito la lettura e… a chi mi chiedeva consiglio. Grazie al Signore e per

proposito rinnovato ogni anno nei miei Esercizi e meditando, ho sempre preferito

essere ignorante, o almeno parere ignorante, accontentandomi di conoscere gli

errori moderni attraverso le pagine dei loro confutatori al pericolo di rimanere

incantato o sedotto innanzi a una visione diretta dei medesimi.

3) Non solo non sono mai stato proclive “a quella corrente di idee larghe” che,

come dice bene V. E. “tendono a scuotere il valore delle tradizioni e l’autorità del

passato”; ma ho sempre atteso nel mio insegnamento e nei miei brevi scritti e nel

mio linguaggio familiare a comporre insieme sulle tracce degli storici più

ortodossi e più seri, le ragioni di una critica storica serena e veramente

scientifica, con il rispetto e con la venerazione più profonda e sentita alle

tradizioni anche popolari e all’autorità del passato… di fronte agli attacchi degli

avversari.

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Dopo queste dichiarazioni di cui prego V. E. a

rilevare tutta la gravità nei confronti con gli addebiti

fattimi da alcuno costì, permetta che io non discenda

ad altri particolari, contento come sono di ritenere

chiuso questo incidente, e di potermi più sicuramente

affidare alla bontà di V. E. mentre ancora la prego di

volermi considerare non come un soggetto di

tendenze dubbie e pericolose, ma come un buon

figliolo e un fedele servitore in tutto, con la mente,

con il cuore, di N.S. Gesù Cristo, della Chiesa, della

S. Sede e del papa, sempre […]»

(Lettera di don Roncalli al card. De Lai, 27.06.1914)