i luoghi di Napoleone

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I luoghi di Napoleone Un viaggio tra Liguria, Corsica, Sardegna e Toscana Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona

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guida turistica sulle tracce della vita di Napoleone

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I luoghi di NapoleoneUn viaggio tra Liguria, Corsica, Sardegna e Toscana

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Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico

Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona

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I luoghi di NapoleoneUn viaggio tra Liguria, Corsica, Sardegna e Toscana

Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico

Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona

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Edizione promossa dal Settore Iniziative Speciali di Touring Editorestrada 1, pal. F, Milanofiori - 20090 Assago (Mi)tel. 0257547509, fax [email protected]: Luciano Mornacchi

Si ringraziano per la cortese disponibilità: le Province, i Comuni, gli Uffici periferici del MIBAC e tutte le istituzioni pubbliche e private dei territori partner che a vario titolo hanno collaborato alla realizzazione della guida

Redazione e impaginazione: Alcos Pr&pressoffice s.r.l. - Milanowww.alcoscomunicazione.com

Stampa e legatura: Lalitotipo s.r.l. - Settimo Milanese (Mi)

© 2013 Touring Editore S.r.l. - Milanowww.touringclub.com

Finito di stampare nel mese di gennaio 2013

Programma cofinanziato con il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale

Programme cofinancé par le Fonds Européende Dèveloppement Régional

Quest’opera è stata realizzata dalla Direzione Editoriale di Touring Editore su iniziativa di Provincia di Lucca, Provincia di Livorno, Provincia di Massa-Carrara, Provincia di Savona, Consorzio per la promozione turistica del Comune di Carloforte, Città di Sarzana - Itinerari Culturali S.c.r.l., Ville d’Ajaccio, Provincia di Pisa, Provincia di Grosseto con il finanziamento del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale nell’ambito del Programma Operativo Italia - Francia Marittimo 2007-2013 – Progetto “Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico – BONESPRIT”

Testi: rielaborazione dei testi tratti da www.napoleonsites.eu (progetto editoriale e realizzazione software di Liberologico Srl) - Coordinamento scientifico Roberta Martinelli a cura di Federica de Luca e Saul Stucchi

Iniziativa finanziata con il Fondo Europeo di sviluppo Regionale, è vietata la vendita fino a gennaio 2018

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Partner territories:Ajaccio, Carloforte, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa-Carrara, Pisa, Sarzana, Savona

Napoleon Bonaparte and his spirit, his dynamic reforming energy that changed the countries and peoples of Europe, seen through a project fi nanced by the European Community, which seeks to highlight the traces that the great Corsican and the members of his family left in their path. Public works and far-reaching changes (social, cultural, urban and legislative) are rediscovered in a network of tourist-cultural itineraries that showcase the important Napoleonic legacy of Corsica, Liguria, Sardinia and the coastal Provinces of Tuscany.

Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico

Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona

Provincia di Massa-Carrara

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Introduzione 7

Un grande condottiero 13Napoleone Bonaparte

I luoghi della memoria 31Madame Mère, al secolo Maria Letizia Ramolino Bonaparte

Tra città e campagne 49Luciano Bonaparte

Collezionista d’arte 67Cardinale Joseph Fesch

Una donna di polso 79Elisa Baciocchi

Indirizzi 90

Sommario

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Non è facile scrivere qualcosa su Napo-

leone che ancora non sia stato scritto, né è lo scopo di

questo volume. Lo spirito o il “Bonesprit” che lo anima è

invece narrare, da una diversa angolatura, l’ascesa di un

personaggio che i libri di storia ci hanno insegnato ad ama-

re o, talvolta, a guardare senza troppa simpatia. Un leader

del suo tempo che, insieme alla sua famiglia, ha contribuito

a cambiare la storia e la geografia di tutta Europa.

L’epopea napoleonica si può dire davvero archiviata?

Tutt’altro. Numerose località, in Italia e in Corsica, rac-

contano ancora quel periodo che ha fatto da spartiacque

tra due secoli e due mondi. Ad accompagnarci in que-

sto viaggio a cavallo del tempo ci sono cinque personaggi

chiave che tratteggiano un insolito mosaico storico–turi-

stico fra Toscana, Liguria, Corsica e Sardegna.

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A guidarli, ovviamente, Napoleone in persona. Partito da

Ajaccio, ha lasciato il segno fin dalla prima campagna

d’Italia: nel Savonese ancora non s’è spenta l’eco del suo

passaggio a Dego, a Millesimo, a Cosseria. Ha poi viag-

giato per mezzo mondo, “dall’Alpi alle Piramidi/dal Man-

zanarre al Reno”, conquistando Madrid, Mosca, Berlino,

Vienna, Malta, Il Cairo, ma non la Sardegna. Anzi, all’ini-

zio della carriera, vide infrangersi il tentativo d’invasione

dell’isola e la sua piccola flotta franco-corsa sconfitta nelle

acque di La Maddalena da un Ammiraglio di Carloforte.

Il compito di tramandare la memoria di famiglia va poi

a Letizia Ramolino. Testimone dell’ascesa e della caduta

del suo secondogenito, ha visto i figli ricevere in dono un

regno o un principato e fuggire al precipitare delle cose.

Sarà lei a guidarvi in un itinerario che tocca i luoghi del-

la memoria, palazzi, ville e musei ricchi di testimonianze

delle imprese, delle passioni e delle tragedie del numeroso

clan Bonaparte.

Città e campagna, soffermandosi sui paesaggi modificati dai

vari Bonaparte, sono invece i temi illustrati da Luciano Bona-

parte, terzogenito di Letizia e Carlo Maria. Fu il vero rivoluzio-

nario della famiglia, e in età ormai matura, ormai latifondista

imborghesito, nel suo feudo maremmano rivelò discrete doti

da archeologo e una profonda passione per la storia.

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Alla volitiva sorella Elisa, Principessa di Lucca e di Piom-

bino, va il piacere di introdurvi a Corte e farvi ammirare

quei palazzi e quelle ville che insieme al consorte Felice

Baciocchi ha lasciato ai posteri.

Ultimo Cicerone, nella visita ai luoghi di fede (chiese, cat-

tedrali e cappelle commemorative), è il Cardinale Joseph

Fesch, fratellastro di Letizia Ramolino. Uomo dalla vita

intensa e ricca di soddisfazioni, sperimentò anche il dolore

dell’esilio e della contrapposizione frontale con suo nipote

Napoleone che, in gioventù, aveva seguito nella campa-

gna d’Italia, Paese dove si era innamorato dell’arte.

A loro il compito di delineare le coordinate di un nuovo

modo di viaggiare. Seguendo il filo della storia e di curio-

sità da colmare ad ogni sosta.

Federica De Luca e Saul Stucchi

Buona lettura e buon viaggio!

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Un grande condottieroNapoleone Bonaparte

i considero l’uomo più audace

in guerra che sia mai esistito. Sono stato coraggioso,

ma tutt’altro che avventato. Fin da bambino ho di-

mostrato invece nervi ben saldi che insieme a un ca-

rattere fermo e a un’intelligenza particolarmente viva

mi hanno portato lontano. “Granito arroventato da

un vulcano”, mi ha definito una volta il professore di

Lettere alla scuola militare di Brienne. Forse un aned-

doto è quello che ci vuole per illustrarvi la mia indole,

predisposta per natura al comando. Nell’inverno del

1783 Brienne fu sepolta da una forte nevicata e i pro-

fessori ne approfittarono per insegnare a noi allievi

M

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i fondamenti dell’attacco e della difesa. Ci divisero

in due gruppi lasciandoci liberi di muoverci a nostro

piacimento. Io presi subito il comando di uno dei due

schieramenti ed esortai i miei compagni a trattenersi

dallo scagliarsi con foga contro i “nemici”. Li convinsi

invece a costruirsi un bastione dietro cui trovare ripa-

ro contro gli attacchi avversari che non ottenevano al-

cun effetto, ma che anzi lasciavano sul campo pesanti

perdite a causa delle nostre sortite ben organizzate.

Quella curiosità che notarono alcuni tra i miei pri-

mi professori non mi è mai venuta meno: perfino pri-

ma di imbarcarmi per il lungo viaggio che mi avrebbe

portato a Sant’Elena volli visitare tutte le fortifica-

zioni dell’isola di Aix, progettate da Vauban, il gran-

de ingegnere del Re Sole. Mi sono sempre considerato

un “tecnico”, attento alle innovazioni e convinto che

in epoca moderna per vincere una battaglia la cura

dei dettagli e la preparazione siano più importanti

dell’ardore guerresco. Ma basta una fugace menzione

a questi due piccoli lembi di terra circondati dal mare

per riportare la mia mente all’isola che mi ha dato i

natali il 15 agosto del 1769: la Corsica.

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Il viaggio in cui ho il piacere di accompagnarvi alla scoperta dei siti militari non può che iniziare da Ajaccio. Nel Salone Napoleonico dell’Hôtel de Ville potete ammira-re un quadro realizzato nel 1853 da Adolphe Yvon per arricchire la galleria del castello di Compiègne, dove io stesso soggiornai in diver-se occasioni e che mio nipote Na-poleone III scelse come residenza autunnale. In questa tela l’artista, celebre per le scene di tema belli-co, mi ha ritratto a cavallo mentre varco le Alpi nel maggio del 1800. Se lo confrontate con la più celebre versione di Jacques-Louis David (che in realtà ne realizzò diverse copie), potete notare non soltanto un diverso approccio stilistico, ma anche constatare quanto gli avve-nimenti successivi abbiano infl uito sulla composizione di Yvon. Qui mi vedete con le spalle curve, in una posa tutt’altro che eroica, mentre David mi ha immortalato mentre controllo con piglio sicuro il mio destriero rampante e indico la di-

rezione dell’Italia. Ricordo per-fettamente quell’epica traversata sulle orme di Annibale e Carlo Ma-gno: lottavamo contro il ghiaccio, la neve, le tempeste e le valanghe. Il San Bernardo, come stupito e offeso da quell’imponente armata che guidavo, ci opponeva ostacoli. Ma invano.Le battaglie in cui ho condotto le mie armate hanno segnato il terri-torio e insieme hanno lasciato pro-fonde impressioni nell’immaginario collettivo, anche grazie a un’accor-ta operazione di diffusione e propa-ganda: quadri, incisioni, racconti, monumenti e oggetti comuni della vita quotidiana hanno diffuso in tutta Europa le mie imprese. I siti militari in cui vi guiderò sono luo-ghi in cui le vicende locali si sono intrecciate con la grande Storia, vi sono passati eserciti organizzati e truppe sbandate e nelle acque cri-stalline davanti ai forti a picco sul mare si sono affrontate fl otte bat-tenti bandiere di regni e repubbli-che che non esistono più.

Carloforte

Ajaccio

Grosseto

LivornoLucca

Pisa

MassaSarzana

MARLIGURE

TOSCANA

Isolad’Elba

CORSICA

SARDEGNA

LIGURIA EMILIA ROMAGNA

LAZIO

PIEMONTE

MARTIRRENO

MAR

DI

SARDEGNA

SavonaArno

Po

Arcipelago Toscano

Albenga

Dego

La SpeziaMillesimo

Cosseria

PortoAzzurro

Portoferraio

Flumendosa

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SardegnaCarloforte

Ma è ora di iniziare finalmente il nostro viaggio e per farlo dob-biamo compiere un piccolo passo indietro, lasciando la Corsica per approdare alla sua sorella mediter-ranea, la Sardegna. Anzi, per esse-re più precisi, vi voglio condurre nella piccola isola di San Pietro che insieme a Sant’Antioco compo-ne l’Arcipelago del Sulcis. La sua storia è molto interessante ed è un po’ l’emblema di una delle carat-teristiche fondamentali del nostro

“piccolo mare interno”: l’estrema mobilità che è sempre esistita tra le sue sponde. Pur essendo frequenta-ta dall’antichità, a turno da Fenici, Greci e Romani – questi ultimi la chiamavano Isola degli Sparvieri – l’isola rimase a lungo disabitata finchè non venne ripopolata verso la metà del Settecento da un grup-po di marinai liguri provenienti dall’Isola di Tabarka, in Tunisia. Ancora oggi, passeggiando per le stradine del capoluogo Carloforte o gustando il rinomato tonno rosso in uno dei ristoranti del lungoma-re potete sentire l’inconfondibile

Gli scontri di Monte Negino visti dal Bagetti

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cadenza della parlata ligure, con-servatasi nel dialetto locale. Carlo-forte deve il suo nome al re Carlo Emanuele III di Savoia in ricordo e ringraziamento della concessione dell’isola alla comunità tabarkina. Nel 1767 il duca di San Pietro or-dinò, su antiche vestigia fenicie, la costruzione di una fortificazione a difesa del paese, il Forte San Vit-torio, che ha ospitato un impor-tante osservatorio astronomico. Ma anch’io ho fatto qualcosa per gli isolani: intercedetti infatti a favore di un gruppo di Carlofortini rapi-ti durante un’incursione piratesca

e deportati a Tunisi. È la migliore prova che non serbai rancore per il ruolo decisivo che l’ammiraglio isolano Vittorio Porcile (1756-1815) giocò nella battaglia navale dell’Isola de La Maddalena in cui la flotta franco-corsa ebbe la peg-gio. Il 22 febbraio del 1793 infat-ti la nostra flottiglia, composta da una quindicina di imbarcazioni, su una delle quali comandavo, quale ufficiale di artiglieria, un batta-glione di fucilieri corsi, fu respin-ta senza troppe difficoltà, facendo svanire il nostro sogno di invadere e conquistare la Sardegna. Fu la dimo-

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strazione che le distese del mare non erano il luogo adatto per mettere in mostra il mio talento strategico. Tutto sommato per me quell’episodio non ebbe gravi conseguenze, mentre per Vittorio Porcile fu forse l’evento più glorioso di una vita passata sul mare, finchè non arrivò per lui il momento di ritirarsi nella sua Carloforte, dove morì nel 1815. Le sue spoglie ancora riposano nella chiesetta dei Novelli Innocenti, fatta restaurare e riaperta al culto proprio dalla sua famiglia.

Ma Carloforte conserva anche testi-monianza di un altro Ammiraglio ben più famoso (in tutto il mondo!) di Vittorio Porcile: il mio acerrimo nemico Horatio Nelson! Fu lui a di-struggere la mia flotta nella battaglia di Aboukir, nel corso della campagna d’Egitto e qualche anno più tardi a infliggere a noi Francesi la tremen-da batosta di Trafalgar (vittoria che però gli costò la vita). Una targa po-sta dall’Amministrazione Comuna-le in occasione del bicentenario ne ricorda il breve passaggio sull’isola. Recita così: “Il 23 maggio 1798 al comando delle navi “Vanguard”, “Orion” e “Alexander” l’Ammiraglio inglese Lord Horatio Nelson gettava l’ancora nella rada dell’isola di San Pietro dove, grazie alla solidarietà dei Tabarkini, riparava i danni delle sue navi, e riprendeva il mare”. La nave ammiraglia aveva infatti subi-to gravi danni alle alberature che in appena quattro giorni gli esperti ma-estri d’ascia carlofortini riuscirono a riparare. L’Ammiraglio rimase tal-mente ammirato dalla loro bravura da elogiarla in una lettera che inviò alla moglie, peraltro abbandonata qualche tempo dopo per andare a convivere con la sua amante Emma

Lyon, moglie di sir William Hamil-ton, ambasciatore britannico presso la corte dei Borbone a Napoli. Ma come sapete, io sono l’ultima perso-na a poter esprimere critiche a questo comportamento dell’Ammiraglio in-glese, avendo più di una scappatella da farmi perdonare.

È arrivato il momento di raccontarvi anche di un altro personaggio che ha legato il suo nome a Carloforte, un discendente del grande Michelangelo. Mi riferisco al pisano Filippo Buo-narroti, attivo come ideologo e rivo-luzionario nella piccola isola sarda e in “continente”. Insieme alla popo-lazione isolana innalzò l’Albero della Libertà nel gennaio del 1793, qual-che mese dopo l’approdo delle navi francesi. San Pietro venne proclamata “Isola della Libertà”, guadagnan-dosi il primato di prima repubblica dell’era moderna in Italia. Buonarro-ti partecipò anche alla stesura della Costituzione che poco dopo avrebbe illustrato a Parigi, dove si recò per af-fermare la volontà dei Carlofortini di far parte della Repubblica Francese. Trascorse l’anno successivo in Ligu-ria come Agente Nazionale e Pro-console presso il Commissariato di Oneglia, impegnandosi in un’intensa attività giacobina di organizzazione del governo di occupazione dei terri-tori conquistati su modello dell’am-ministrazione francese. Ma l’ardore rivoluzionario lo portò allo scontro con il potente marchese Del Carretto di Balestrino, nelle cui antiche scu-derie sono esposte preziose tavole del catasto napoleonico nel Savonese. Il suo tentativo di abolirne i privilegi feudali che gravavano sugli abitanti del paese fallì per la riabilitazione del marchese che provocò la sua caduta

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in disgrazia a cui seguì l’arresto nel febbraio del 1795. Condannato in un primo momento al carcere, gli furono imposti il confino e poi la deporta-zione a vita. Ma continuò a portare avanti la sua azione politica di orga-nizzazione e sostegno di molti movi-menti rivoluzionari, fino alla morte a Parigi nel 1837.

LiguriaDego, Monte Negino, Montenotte

e Cosseria: agli appassionati di sto-ria la semplice menzione del nome di questi luoghi accende forti emozioni. In questi paesaggi che oggi appaiono ai turisti così tranquilli e ameni poco più di due secoli fa io e il mio esercito abbiamo scritto alcune delle pagine più gloriose dell’epopea che porta il mio nome. Se Tolone è stato il primo gradino della scala verso la gloria, le vittorie conseguite in queste contrade sono state la conferma delle mie doti di comando e hanno contribuito alla formazione del mio mito. Il punto di partenza per rivivere quegli eventi può essere Porto Vado Ligure: par-tendo da qui, attraverso il giogo di Altare, che separa gli Apennini dal-le Alpi, con l’aiuto di un prelato lo-cale, Don Queirolo, le nostre truppe giunsero a Monte Negino l’11 aprile del 1796. Che uomini avevo ai miei ordini! Il capo brigata Rampon fece giurare alle sue truppe di morire con le armi in pugno piuttosto che arren-dersi ai nemici. Il giorno successivo i generali Massena e Laharpe sferra-rono l’attacco a Montenotte e il 13 toccò a Cosseria. Il 14 aprile io stesso capovolsi a Dego le sorti di una batta-glia che per noi sembrava ormai per-duta.Ma già l’anno precedente, verso

la fine del 1795, la Liguria era stata teatro di un’epica battaglia. Dopo tre mesi di appostamenti le nostre trup-pe e quelle austro-piemontesi erano venute allo scontro a Loano dando occasione al generale Massena di di-mostrare a tutti il suo talento di stra-tega e condottiero. A partire dal 23 novembre e per i due giorni successivi 25 mila Francesi e 40 mila imperiali si erano affrontati tra Loano, Toira-no, Castelvecchio di Rocca Barbena, il passo dello Scravaion e Monte Lin-go.

Albenga Una grande battaglia

Dal terrazzo del Fortino di Alben-ga, guardando verso levante, si può osservare la linea di difesa dell’arma-ta rivoluzionaria francese, una dorsa-le naturale che, partendo dal mare, passa da Capo Santo Spirito e attra-verso i rilievi orografici, termina sulle alture di Ormea.Per avere un’idea corretta di come si presentava alla mia epoca dovete tenere in conto che a causa degli apporti alluvionali del fiume Centa la linea di battigia si è progressivamente allontanata dal ci-glio della costruzione che ora si erge nella campagna a ben 200 metri di distanza dal mare. Anche in questo caso l’edificio è stato sottoposto in anni recenti a un intervento di re-stauro che ha permesso di ricavare spazi espositivi per ospitare iniziative culturali.

LoanoLa cittadina rappresenta l’epilogo

finale della ritirata delle truppe au-stro-piemontesi dall’omonima piana. Con la battaglia di Loano l’esercito francese acquisì la piena consapevo-lezza della loro superiorità morale e

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militare. I soldati erano galvanizza-ti, agguerriti, temprati dai combat-timenti e dalle privazioni, fiduciosi nei confronti dei loro vigorosi e ri-soluti ufficiali. A Parigi, il sogno di vedere piegato il nemico principale

della rivoluzione divenne una pos-sibilità concreta. Nei primi mesi del 1796 il Direttorio inviò proprio me nel Ponente savonese per assolve-re questo compito e proprio da qui ebbe inizio l’itinerario della prima

Andrea MassenaNon vorrei parlare oltre del papa perchè mi mettono di cattivo

umore i ricordi del rapporto burrascoso tra me e Sua Santità. Preferisco che per un tratto di strada ci accompagni uno dei generali più valorosi che abbia mai conosciuto, un uomo tenace e coraggioso come pochi altri. Il suo valore cresceva con l’aumentare del pericolo e quando veniva sconfitto non si arrendeva mai, anzi ricominciava con la stessa brama di vittoria di prima. Vi presento Andrea Massena, a cui venne dato il soprannome di “figlio prediletto della vittoria”! Di origini modeste, nacque a Nizza quando la città apparteneva al Regno di Sardegna e divenne cittadino francese quando le truppe rivoluzionarie la annetterono nel 1792. L’anno dopo era con me all’assedio di Tolone. Allora avevo ventiquattro anni ed ero un tenente colonnello d’artiglieria: un perfetto sconosciuto. Gli Inglesi avevano conquistato Tolone e per noi era indispensabile riprendere la città. La riconquista fu il mio primo successo e mi rimarrà per sempre nella memoria come uno dei ricordi più belli. Mandato sul luogo vi avevo trovato disordine e confusione, ma seppi in fretta conquistarmi la fiducia di superiori e sottoposti grazie alla mia competenza tecnica, frutto di anni di studio e di un indubbio talento. Per aver dato un importante contributo a quell’eroica impresa Massena venne promosso generale di brigata e sembrava destinato al comando dell’Armata d’Italia. Nel 1796 aveva 37 anni ed era avido di donne e di denaro, non soltanto di gloria. Ma gli fui preferito io, che pure avevo appena 26 anni, su indicazione di Paul Barras, il componente più influente del Direttorio. Durante la campagna d’Italia si distinse in molte occasioni e durante il Consolato e poi l’Impero prese parte a quasi tutte le mie campagne. Lo nominai maresciallo di Francia e principe di Essling, ma fui per lui anche fonte di dolore. Nel settembre del 1808, pochi mesi dopo averlo nominato Duca di Rivoli in memoria di una delle sue battaglie più gloriose, lo invitai a una partita di caccia a Fontainebleau. Purtroppo per lui la precisione nella mira non è mai stata il mio forte e così si trovò impallinato in pieno viso, perdendo l’occhio sinistro. Il generale Berthier volle dare l’ennesima prova della sua fedeltà alla mia persona assumendosene cavallerescamente la responsabilità.

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Andrea Massena duca di Rivoli principe D’Essling, maresciallo di Francia

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campagna d’Italia, nella quale, nel breve volgere di cinque giornate, riuscii a battere ripetutamente le forze alleate di Austriaci e Piemon-tesi a Montenotte, Dego, Cosseria e Millesimo. Mi avvalsi delle idee di riforma della tattica militare elabo-rate dal Guibert in epoca prerivolu-zionaria, adattandole a un esercito rivoluzionario animato da grande passione patriottica. Un esercito do-tato di grande mobilità, poco legato ai rifornimenti dalle retrovie, che scarseggiavano tremendamente e che traeva sostentamento dal terri-torio che riusciva a occupare, cau-sando spesso grandi problemi alle popolazioni locali.

DegoIn Liguria uno dei luoghi a cui il

mio nome è più strettamente legato è senza dubbio Dego, in provincia

di Savona. Qui le truppe francesi e austriache si scontrarono una prima volta il 21 aprile del 1794, ma fu la seconda battaglia, avvenuta tra il 14 e il 15 aprile del 1796, a essere determinante per l’esito della cam-pagna d’Italia. Se avessi perso in quell’occasione, probabilmente tut-to sarebbe andato in modo diverso, ma la mia vittoria sullo schieramen-to austro-piemontese ci aprì la stra-da verso la conquista del Piemonte. Dalla fine del 1797 Dego entrò a far parte del Dipartimento del Letimbro che aveva Savona come capoluogo: insieme a tutta la Re-pubblica Ligure veniva annessa al primo Impero Francese. Negli anni successivi con il mutare degli ordi-namenti francesi cambiò anche la giurisdizione di Dego, ma l’evento più rimarchevole di quell’epoca turbolenta rimarrà il breve soggior-

Giuseppe Pietro BagettiForse non lo sapete, ma quando pensate alle battaglie napoleoniche

molte volte vi vengono in mente scene che portano la firma di un disegnatore torinese che non è esagerato chiamare artista: Giuseppe Pietro Bagetti (1764-1831). I libri di storia sono spesso arricchiti da sue illustrazioni che hanno il notevole pregio di unire precisione maniacale per i dettagli a un’armonica visione panoramica d’insieme. Le sue vedute restituiscono i profili di cittadelle fortificate prese d’assalto dai soldati francesi, mentre sullo sfondo puntini appena percettibili paiono avanzare in ordine perfetto. Altre volte invece il moltiplicarsi dei fumi testimonia il disordine degli scontri, quando gli schieramenti si scompongono in tante piccole battaglie per la conquista di una cascina o di un terrapieno. Ho molto apprezzato i suoi lavori che hanno immortalato le vittoriose campagne del 1796, del 1797 e del 1800. Nel 1811 ho decorato Bagetti con la Legion d’Onore per la sua veduta dell’Italia dalle Alpi fino a Napoli e lui mi ha seguito anche nella sfortunata impresa di Russia. Stanco forse di tante scene di guerra, negli ultimi anni della sua carriera passò a sperimentare una pittura più di fantasia.

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Dego, incisione di Pietro Bagetti

no di papa Pio VII. Il pontefice fu costretto dalle cattive condizioni del tempo a fermarsi qui durante il viaggio che l’avrebbe riportato a Roma dopo il periodo di prigionia a cui l’avevo costretto in Francia e poi a Savona. Il giorno della mia prima abdicazio-ne decisi di liberarlo definitivamen-te e il suo rientro si trasformò in un viaggio trionfale: anche a Dego la popolazione lo acclamò mentre fen-deva la folla seduto sul baldacchi-no che ancora oggi è conservato nel palazzo comunale.

Millesimo Museo Napoleonico

Le epiche battaglie della campa-gna d’Italia del 1796 sono il tema di molte delle opere conservate nel Museo Napoleonico di Millesimo (in provincia di Savona), ospitato

a Villa Scarzella. L’edificio fu re-alizzato come dimora estiva alla fine del Settecento da Giuseppe Scarzella e poi ampliato da suo figlio Alberto che fu sindaco di Millesimo dal 1888 al 1913. Nelle sale del museo sono infatti espo-ste numerose riproduzioni grafiche raffiguranti imprese e protagonisti dei fatti d’arme avvenuti nella pro-vincia di Savona. Ma accanto alle stampe ci sono carte geografiche, manifesti e bandi, tutti documenti che raccontano le vicende storiche alle quali la Liguria fornì la sceno-grafia. Grazie alla ricca collezione di incisioni, i visitatori possono ri-percorrere la cronologia degli even-ti, dai precedenti degli scontri del 1795 fino all’occupazione francese in Val Bormida e in Liguria e alla costituzione del Dipartimento di Montenotte, passando di tappa in

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tappa dagli inizi della campagna del 1796, alle battaglie di Monte Negino e Montenotte e alla con-quista di Millesimo e di Cosseria. Una sezione è interamente dedi-cata alla battaglia di Dego. Anche i plastici risultano particolarmen-te utili per comprendere il corso di quegli avvenimenti il cui reale svolgimento spesso sfuggiva a noi protagonisti, immersi nella confu-sione della battaglia. L’alternarsi di attacchi e respingimenti, il di-sordine nei ripiegamenti e nelle avanzate impediva il più delle volte di avere un corretto quadro generale e la maggior parte dei soldati si ritrovava nella stessa condizione del protagonista de La Certosa di Parma di Stendhal, Fabrizio del Dongo, sul campo di Waterloo.

L’Alcova Che anno il 1796! Ricordo an-

cora quella sera di primavera (era il 15 aprile) quando, dopo molti giorni di scontri nella zona di Savo-na, finalmente potei vedere il frut-to dei nostri sforzi ricevendo l’atto formale di resa dei nemici che con-segnarono le proprie bandiere. Li accolsi in una sala del palazzo della nobile famiglia dei Del Carretto a Millesimo, edificio che oggi ospita il Municipio. Quell’evento storico è stato immortalato in una incisione di Delanoy del 1838 che mi ritrae seduto su un divano nella stanza illuminata dalle lampade mentre ricevo l’omaggio degli sconfitti. L’ambiente in cui siamo è chiama-to “l’Alcova”, un nome poco adat-to all’illustre ospite che accoglierà qualche anno più tardi: niente di

La presa del Castello di Cosseria in un’incisione di Schroeder

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Sarzana (La Spezia), Fortezza di Sarzanello

meno che Sua Santità Pio VII, al secolo Barnaba Chiaramonti.

Cosseria Castello dei Del Carretto

Torniamo alla formidabile pri-mavera del 1796, quando le nostre truppe si scontrarono con gli Austro-Piemontesi. Il 13 aprile io stesso guidai l’attacco al castello dei Del Carretto di Cosseria, abbarbicato sulla sommità di un ripido pendio sul quale era stato costruito con fun-zione di controllo dei percorsi che dal mare portavano in Piemonte. Esisto-no prove che il castello esistesse già prima dell’anno mille e fu possesso di Bonifacio del Vasto dal 1091 e poi dei marchesi di Clavesana nel XII secolo, prima di appartenere ai Del Carretto. Dopo essere stato ab-bandonato cadde progressivamente

in rovina durante il Seicento. Nella zona vengono organizzate rievoca-zioni storiche in occasione degli an-niversari delle battaglie.

Forte della CastellanaAvevo grandi progetti per la baia

delle Grazie, nel golfo di La Spezia. Avrei voluto realizzare un arsena-le militare e una nuova strada che collegasse la città a Portovenere. Affidai l’incarico di costruire un forte al generale Chasseloup, ma il disastro di Lipsia e la conse-guente caduta dell’Impero ne im-pedirono il completamento. Sulla sommità del Monte Castellana, nei pressi di Portovenere, sorge a oltre 500 metri di altezza sul livello del mare l’omonimo forte che domina il golfo spezzino. Un ampio fossato ne circonda la struttura, a forma

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di esagono dai lati irregolari, alla quale si accede attraverso un pon-te in muratura posizionato sul lato nord che conduce a un portale in legno. Sull’unica corte interna si affacciano la caserma e i magaz-zini, mentre sui lati est e ovest si trovano le fronti di combattimen-to, contenenti rispettivamente due e tre piazzole per i pezzi di arti-glieria. Essendo la cima del monte particolarmente esposta ai fulmini, sopra il tetto del forte fu installa-to un sistema anti-fulmine che è tuttora in funzione. Anche se noi Francesi non facemmo in tempo a completarlo, il lavoro che aveva-mo intrapreso dovette essere fatto piuttosto bene se il forte venne uti-lizzato sia durante la prima che la seconda guerra mondiale. Oggi è di pertinenza della Marina Militare che lo impiega come centro per le telecomunicazioni.

Fortezza Firmafede Fu Lorenzo il Magnifico a vo-

lere la costruzione della Fortezza Firmafede di Sarzana, realizzata tra il 1487 e il 1492, anno della sua morte. Esempio notevole di architettura militare fiorentina della fine del Quattrocento l’im-ponente struttura della Cittadella ebbe fin dall’origine una pianta a forma rettangolare con sei bastio-ni a cui sono abbinati i nomi di Santa Barbara, San Martino, San Pietro Martire, San Francesco, San Girolamo e San Bartolomeo. L’im-pianto non subì profondi rimaneg-giamenti quando i Genovesi torna-rono padroni della città e del suo territorio, limitandosi a portare a termine la cinta muraria della cit-tà. Il maschio, ovvero la torre più

alta delle altre che rappresentava il centro nevralgico della fortezza, costituendone anche l’estremo ri-fugio in caso le truppe assedianti avessero superato le fortificazio-ni esterne, si erge ancora isolato e indipendente all’interno di un recinto quadrangolare a cui corri-sponde simmetricamente un altro cortile – un po’ più grande – a est. Quest’ultimo ospitava le stalle e gli alloggiamenti dei soldati. L’ingres-so principale avveniva attraverso una porta carraia posizionata sul lato meridionale, dove trovava po-sto il corpo di guardia.La Rivoluzione Francese, ispi-rata ai principi dell’Illuminismo, ebbe conseguenze anche sulla vita dei carcerati, migliorando le condizioni igieniche dei luoghi di reclusione. Nel periodo dell’occu-pazione francese ebbero inizio i lavori che avrebbero dovuto tra-sformare la fortezza in carcere e in casa di polizia municipale, affidati all’architetto Maguin. Il progetto prevedeva per la Cittadella una lunga serie di interventi, finaliz-zati ad aggiornare la struttura per renderla compatibile con le nuove norme, pensate con l’obiettivo di correggere e riabilitare i prigionieri in vista del loro reinserimento nella società. I servizi igienici diventava-no dunque indispensabili per ga-rantire dignità e sanità ai reclusi, così come i servizi sociali e i luoghi di cura e di degenza per i malati. La realizzazione di quest’ambi-zioso progetto fu però interrotta dalla capitolazione del governo francese su Genova e la Liguria, avvenuta nell’aprile del 1814 in conseguenza alla mia prima abdi-cazione dopo la disastrosa sconfit-

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ta a Lipsia (nell’ottobre dell’anno precedente). Un secolo esatto dopo la Rivoluzione Francese, la riforma carceraria del nuovo Stato Italiano prevederà la realizzazione di celle singole per i detenuti. Dopo oltre cinquecento anni di alterne vicen-de, la Fortezza Firmafede è stata finalmente riaperta al pubblico nel 2003 in seguito a un attento restauro per ospitare iniziative e manifestazioni culturali.

Fortezza di Sarzanello L’importanza strategica di Sar-

zana, ambita preda di molti ap-petiti, è confermata dall’esistenza della Fortezza di Sarzanello, una fortificazione militare che si erge sull’omonima collina a dominare la Val di Magra. La sua struttura testimonia un’incessante serie di trasformazioni, a partire dal nucleo più antico risalente probabilmente

al X secolo. Una data importante è il 1487, anno in cui i Fiorentini sconfissero i Genovesi e la Signo-ria entrò in possesso di Sarzana e Sarzanello. I Medici compresero bene l’importanza strategica della città, provvedendo a una radicale ristrutturazione dell’apparato di-fensivo che affidarono a France-sco di Giovanni detto il Francione insieme a Luca del Caprina. In meno di dieci anni, tra il 1493 e il 1502, furono completati i lavori che comportarono la demolizione del cassero medievale. Nel periodo della dominazione napoleonica la fortezza rischiò di essere demolita, ma per fortuna di voi visitatori a quel progetto non venne dato se-guito, mentre nella seconda metà del secolo scorso una lunga ope-razione di restauro e di ripristino ne ha permesso l’apertura al pub-blico. Oggi le uniche truppe che

Portoferraio, Biscotteria (ora Municipio)

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ospita sono quelle dei figuranti durante le rievocazioni storiche come il Napoleon Festival, una manifestazione tutta dedicata alla mia epopea. Ma i suoi ambienti ospitano anche spettacoli, eventi, laboratori didattici e mostre d’ar-te: Sarzanello si è così trasformata in una fortezza della cultura!

ToscanaPortoferraio

Sono sicuro che al giorno d’og-gi il termine Biscotteria vi fa ve-nire in mente pensieri dolci, lon-tanissimi dall’idea della guerra. E invece ai miei tempi rimandava a un edificio che aveva una funzio-ne legata, anche se non esclusiva-mente, al mondo militare, ovvero la produzione del “biscotto”, il pane destinato alle guarnigio-ni. La Biscotteria di Portoferra-io sull’Isola d’Elba oggi ospita il Municipio, ma fu realizzata per volere del Granduca di Toscana Cosimo I nella seconda metà del XVI secolo appunto con lo scopo di provvedere ai rifornimenti delle guarnigioni e della nuova città a cui era stato dato il nome di Co-smopoli, in suo onore. Durante il periodo della presenza francese le sue sale vedevano un incessante via vai di giovani perchè proprio in quest’edificio si svolgevano le operazioni di reclutamento dei soldati per sorteggio. Io sono sem-pre stato contrario all’esenzione dal servizio militare e ho cercato di porvi freno, ma non fatico a immaginare che i genitori di quei ragazzi fossero tutt’altro che con-tenti nel ricevere la notizia dell’ar-ruolamento. Nella Biscotteria

avvenivano anche le sedute del consiglio comunale. Raccontano le cronache che durante una di que-ste fu deciso di inviarmi quattro cavalli durante la terribile ritirata di Russia nel 1812. Chissà se quei cittadini così generosi avrebbero mai immaginato che di lì a poco tempo mi avrebbero avuto come loro “ospite”! Lo ricorda una la-pide sulla facciata dell’edificio, posta in memoria del mio breve soggiorno dopo lo sbarco sull’iso-la nel maggio del 1814, prima del trasferimento alla Palazzina dei Mulini, sempre a Portoferraio. Pur abituato alle ristrettezze della vita militare, come dimostra il mio in-separabile lettino da campo, vol-li conferire per quanto possibile un’aria di lusso alla mia residenza e per arredarla presi i mobili dalla Reggia di Elisa a Piombino.

Forte San GiacomoNel Comune di Porto Azzur-

ro sull’Isola d’Elba (in provincia di Livorno) si erge ancora il Forte San Giacomo, il cui toponimo sto-rico è in realtà Forte di Longone, dal nome del golfo prospiciente. Ma il forte in origine avrebbe do-vuto chiamarsi “Pimentel” o “Be-naventano”, in onore del vicerè Giovanni Alfonso Pimentel, conte di Benavente. Nei secoli sono cam-biati i nomi così come si sono mo-dificate le funzioni della fortezza, costruita tra il 1603 e il 1606 su ordine del re di Spagna Filippo III che ne affidò il disegno a don García di Toledo. Posta a corona di un piccolo promontorio si eleva a una settantina di metri sul livello del mare, dominando l’entrata del golfo. In origine faceva parte del

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sistema di controllo organizzato dagli Spagnoli a protezione delle rotte navali dello Stato dei Presìdi, fondato nel 1557. L’importanza strategica di questo staterello era inversamente proporzionale alle dimensioni territoriali che si limi-tavano al promontorio dell’Argen-tario con Orbetello, Porto Ercole e Porto Santo Stefano, con Ansedo-nia e Talamone e, appunto, Porto Longone. L’impianto a forma di stella penta-gonale irregolare si apprezza mag-giormente nelle fotografie aeree e nelle piante d’epoca che permet-tono di individuare con un colpo d’occhio i cinque baluardi, colle-gati tra loro da cortine murarie a loro volta protette da “mezze-lu-ne”. Il forte ospitava la palazzina del Governatore, gli alloggi per gli ufficiali e le caserme per i soldati della guarnigione, ma c’era anche posto per una polveriera, l’arme-ria, due officine (per l’Artiglieria e

per il Genio), un forno, un mulino a vento e l’immancabile magazzino dei viveri. È rimasto di proprietà demaniale e oggi viene utilizzato come penitenziario.Termina qui la visita ai siti milita-ri. Forse vi è venuta la curiosità di sapere quale di essi consideri il più difficile da espugnare.Vi rispondo come feci con l’ammiraglio Cock-burn sull’Isola di Sant’Elena. Al termine di una cena mi domandò quale piazzaforte considerassi la più formidabile al mondo. Gli dis-si che non era possibile stabilirlo perchè ciascuna presentava carat-teristiche interne ed esterne del tutto specifiche. Ne citai comun-que alcune sparse per l’Europa, tra cui Gibilterra e Malta. Dell’Ita-lia menzionai soltanto Mantova, che pure riuscii a conquistare dopo un lungo assedio nel 1797, grazie alle vittorie al Ponte di Arcole e a Rivoli che resero vane le ultime re-sistenze degli Austriaci.

Isola D’Elba, Forte San Giacomo

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I luoghi della memoriaMadame Mère, al secolo Maria Letizia Ramolino Buonaparte

quattordici anni, quando nel 1764 lasciai

la casa di mio padre, ispettore del Genio Civile italiano per la

Corsica, promessa sposa del nobile Carlo Maria Buonaparte

(la “u” fu tolta poi da Napoleone), ero ben lungi dall’immagi-

nare che cosa mi attendesse: il “governo” di otto figli (altri mo-

rirono prematuramente), destinati a intrecciare e determinare

– nel pubblico e nel privato – le sorti del vecchio Continen-

te, fece di me una madre austera, severa quanto equilibrata.

Grintosa e con “i piedi per terra”, direbbero i contemporanei.

Nel 1785, appena trentaquattrenne, ero già una vedova che

affrontava l’incognita di tempi diffici. Anni di ristrettezze che

si risolsero solo con l’avvento al potere di Napoleone, il mio

A

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secondogenito, che riportò la famiglia ad un certo benessere

ed agli onori delle cronache. Non sempre condivisi decisioni e

smanie dei miei figli. Per ragioni che solo io so - e che gli storici

continuano a discutere - non volli neppure assistere alla auto-

incoronazione dell’Imperatore. Mio figlio non me la perdonò,

al punto da farmi comunque raffigurare sul palco d’onore

nell’immensa tela celebrativa di David, ora esposta al Museo

del Louvre! Lontano da corte, conducevo una vita modesta e

ritirata, seguendo le sorti della mia discendenza e battendomi

per custodirne integra la memoria.

Lasciata la Corsica, vessata da continue rivolte, trovai ripa-

ro a Marsiglia e poi a Parigi dove approdai nel 1804, pochi

mesi prima di essere proclamata, per decreto, “Son Altesse

impériale, Madame, Mère de l’Empereur”. Appellativo altiso-

nante su cui presto prevalse il più colloquiale “Madame Mère”.

Nel 1814, dopo l’abdicazione di Napoleone con cui trascorsi

alcuni mesi nell’esilio elbano, decisi di vivere a Roma, sotto la

protezione del papa, insieme a mio fratellastro, il cardinale

Joseph Fesch. Vi rimasi per il resto dei miei giorni, pregando,

scrivendo lettere rimaste senza risposta a Napoleone, ormai

confinato nella lontana isola di Sant’Elena. Nel cuore, la na-

tìa Ajaccio e quella piccola isola dove tutto era cominciato.

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Fondata dai Genovesi, Ajac-cio vigila sulle acque limpide del mare aperto, in un alternarsi di coste alte e rocciose e spiagge di sabbia fi nissima. Lontana da quella costa tosco – ligure a cui la legano sottili trame di una lunga storia. Quel litorale, come vedremo in seguito, che gli stessi avi di mio marito lasciarono alla fi ne del XV secolo, per vivere in un’isola che era ancora sotto il dominio della Repubblica di Ge-nova e tracciare il proprio nuovo destino. Napoleone non poteva che nascere qui, in questa terra dalla marcata identità culturale. “Potrei riconoscerla a occhi chiu-si dal soave profumo della sua macchia”, era solito dire. In real-tà, in Corsica visse poco. Ma tutto in città, ancor oggi, evoca fi gura ed imprese di quel fi glio indomito e dei Bonaparte in genere: chiese, palazzi, vie, piazze, case di cam-pagna, musei in cui mi accingo a condurvi sono i cardini di iti-

nerari tematici che invitano quei viaggiatori oggi chiamati turisti, a ripercorrere l’affermarsi di un mito. Napoleone stesso sarebbe stato fi ero di tante attenzioni e ogni anno, il 15 agosto, giorno che lo vide venire al mondo e che coincide con la Festa dell’Assun-ta, è come se tornasse in vita, per ritrovare un po’ della serenità della prima infanzia e le tracce di un passato che non tramonta.

CorsicaAjaccio

La Maison Bonaparte che più di ogni altra preserva lo spirito della nostra famiglia a prima vista forse non vi dirà granchè. Nulla di fastoso, di diverso dai tanti caseg-giati giallo ocra che profi lano le stradine strette di questo borgo, abitato fi no al XVI secolo solo da Genovesi. Dal 1682 si erge su Rue Saint Charles, testimone di una dinastia che seppe affermarsi in-

Ajaccio

Grosseto

Livorno

LuccaPisaMassa

Sarzana

MARLIGURE TOSCANA

Isolad’Elba

CORSICA

SARDEGNA

LIGURIAEMILIA ROMAGNA

LAZIO

PIEMONTE

MARTIRRENO

Savona

Arno

Arcipelago Toscano

Albenga La Spezia

Portoferraio

San Miniato

Marciana

Procchio

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tessendo accordi e matrimoni d’in-teresse. Apparentemente modesta, io vi entrai nel 1764, sposa giovi-netta di Carlo Maria, unico discen-dente maschio degli allora Buona-parte. Anch’egli intese abbellire e ampliare la residenza degli avi con una bella terrazza, leggiadre tap-pezzerie cremisi nella sua camera da letto, camini in marmo e un grandioso tavolo in sala da pran-zo! Dettagli utili a consolidare il prestigio sociale acquisito. Nel 1766 era già uno degli edifici più rappresentativi di questo pitto-resco rione. Dietro la sobria faccia-ta che reca lo stemma di famiglia, diedi alla luce sette dei miei otto figli divenuti adulti. Il 15 agosto 1769 fu la volta di Nabulione di Buonaparte, nome - in omaggio allo zio fratello dell’arcidiacono Lucia-no, scomparso da poco - che il fu-turo Imperatore considerava «una virtù virile, poetica e ridondante». Gli annali d’allora raccontano che fui colta dalla doglie mentre assi-stevo alla messa dell’Assunta. Por-tata di fretta a casa con la portan-

tina che potete ammirare al piano terra, questo figlio impetuoso non mi diede il tempo di raggiungere la mia camera da letto e così parto-rii su un canapè. Una nascita “sul campo”, in linea con la semplicità di un futuro soldato e quella che sarà poi la sua camera da letto: spoglia, dai muri in calce bianca e dagli arredi essenziali. Nulla a che vedere con i raffinati arazzi a sfon-do rosso del mio salone al primo piano, provenienti da Parigi, o con la sala ove si ammira l’albero gene-alogico dei Bonaparte fino al 1959, con autografi, armi, ritratti e altri cimeli, o ancora con quella dove è rievocato il viaggio in Corsica di Napoleone III e dell’imperatrice Eugenia (1869). Fu questo il mio regno domestico, dove svolsi, spero al meglio, il mio ruolo di madre. Non nascondo di essere stata auto-revole e, a detta di molti, maniaca delle regole. Fare il bagno era una prassi giornaliera, contrariamente all’uso del tempo che lo prevedeva una volta a settimana anche fra le classi più agiate!

Carlo Maria Buonaparte, uomo, marito, padre Quando fu colto da morte improvvisa, nel 1785, a Montpellier, mio

marito Carlo Maria, nobile Corso e brillante avvocato formatosi in diritto a Pisa e Roma, non aveva quarant’anni. Poco presente come padre e consorte, fu un buon politico e nel 1767, quando era già nell’aria il passaggio della Corsica dalla Repubblica di Genova alla Francia, rientrò ad Ajaccio per affiancare Pasquale Paoli, il vate della lotta per l’indipendenza dell’isola. Sposati già da tre anni, con lui condivisi il periodo della Resistenza. Dopo l’esilio di Paoli e la sconfitta degli indipendentisti, aderì alla causa francese e venne nominato membro del neocostituito Ordine Corso della Nobiltà. Primo passo di una ascesa che, nel 1778, lo portò a rappresentare la Corsica presso la corte di Luigi XVI.

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Anne Louis Girodet de Roussy-Trioson, Ritratto di Carlo Maria Buonaparte. Ajaccio, Salone Napoleonico dell’hotel de Ville

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La scomparsa di Carlo Maria mi lasciò in una precaria situazione economica. Giuseppe, il primoge-nito, aveva solo diciassette anni. A sostenerci provvide così lo zio, l’arcidiacono Luciano. Nel 1783, la casa fu saccheggiata dai parti-giani di Paoli e poi adibita dagli Inglesi a deposito di armi ed al-loggio per le truppe. Da Marsi-glia, dove ci eravamo rifugiati, tornammo in patria alla fine del 1796 e, grazie anche all’inden-nizzo concesso dal Direttorio ai Corsi dopo l’occupazione inglese, comprammo l’appartamento al secondo piano. Con Giuseppe af-fidammo i lavori di rinnovo all’ar-chitetto svizzero Samuel-Etienne Meuron. Ingentilita da decori e mobilia di grande raffinatezza, alla mia partenza per Parigi, nel 1799, lasciai la Maison alle amo-revoli cure di Camille Ilari, nutri-ce di Napoleone che la ricorderà poi nel suo testamento. L’immo-bile passò nel 1805 a mio cugi-

no Andrè che, esternamente, fece aprire la graziosa piazza Lètizia e il giardino dove, nel 1936, a cento anni della mia morte, fu posto il busto di Venzin raffigurante il re di Roma (il figlio di Napoleone). Successivamente passò di mano

Ajaccio, Casa Bonaparte sopra in un’incisione d’epoca, sotto uno scatto di come si presenta oggi

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in mano fino a Giuseppe e poi a sua figlia Zenaide, principessa di Canino che nel 1852, la cedette al cugino Napoleone III. Tentando al contempo il recupero dell’origina-rio arredamento, ormai disperso, quest’ultimo diede incarico di ri-strutturarla all’architetto Alexis Piccard, artefice del Palazzo di Fontainebleu, e al pittore Jérôme Magliol. Confiscata nel 1870, ven-ne riconsegnata al principe Impe-riale nel 1874 e, alla sua morte, assegnata al suo erede. Nel 1923 fu donata allo Stato che nel 1967 la adibì a Museo Nazionale del-la Maison Bonaparte. È uno dei monumenti storici oggi più visi-

tati della Corsica. Se volete fare conoscenza della mia famiglia, non mancate di osservare l’ovale in velluto dove sono raffigurata insieme a Carlo Maria e tutta la nostra prole. Io poi mi commuovo ancora dinanzi l’uniforme milita-re del Primo Impero e le maschere mortuarie di Napoleone, due in gesso ed una in bronzo.

Era il 21 luglio 1771 quando Na-poleone fece il suo primo, ignaro, ingresso in società. Nella cattedra-le di Nostra Signora della Miseri-cordia, insieme alla sorella Maria Anna, scomparsa ancora in fasce, ricevette il sacramento del batte-

I MilelliA 3 km circa dal centro, sulle alture che corollano di ulivi l’entroterra di

Ajaccio, i Bonaparte avevano la propria residenza di campagna. I Milelli, il cui atto di acquisto è conservato a Maison Bonaparte, una tenuta agricola a pianta quadrata, con belle cantine a volta e vari ettari di terreno coltivati per lo più per le necessità domestiche. Fu lasciata ai gesuiti da Paul Emile Odone, cognato di mio marito e avo dell’Imperatore. Insieme ad altri beni, fu poi rivendicata dai Bonaparte dopo l’espulsione dei religiosi voluta da Luigi XV, e nel 1785 - lo stesso anno in cui rimasi vedova - tornò alla nostra famiglia. Costretta a grandi economie per pagare gli studi di Giuseppe e Luciano e assicurare un’educazione anche ai figli più piccoli (Girolamo aveva appena un anno), accolsi con sollievo il sostegno di Joseph Fesch, mio fratellastro e futuro cardinale, che la gestì con grande capacità da economo. Fu questo il rifugio in cui riparai, con le mie figlie Elisa e Paolina, assieme allo stesso Fesch, nel 1793, per sfuggire ai seguaci di Pasquale Paoli.Per Napoleone questo fu luogo di svago e spensieratezza. Ogni volta che tornava in patria non mancava mai di farvi visita. Al ritorno dalla campagna d’Egitto, nel 1799, vi trascorse le giornate del 2 e 3 ottobre, insieme a Murat, al maresciallo Lannes e al contrammiraglio Gantheaume. Due giorni dopo, lasciava per l’ultima volta la sua terra natale. Per testamento, fu donata dallo zio arcidiacono alla città di Ajaccio. Tra gli anni ‘70 e ‘80 del ‘900, ospitò parte della collezione di Louis Dozan oggi esposta al Museo della Corsica di Corte. Svuotata dei suoi ricordi, da allora è chiusa al pubblico. Merita comunque salire fin quassù per bearsi dei profumi della campagna circostante e delle essenze dell’arboretum.

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simo. Per rivivere un po’ di quei momenti, basta visitare l’Hôtel de Ville di Ajaccio, sobrio edifi-cio eretto sotto il regno di Carlo X, sede del Museo Napoleonico. Qui, nel cosiddetto Salone Napoleo-nico, una vetrina ottocentesca in legno bianco e dorato sormontata dalla grande “N” coronata e cinta di alloro, e dal busto napoleonico di Antoine Denis Chaudet, acco-

glie l’atto battesimale del futuro imperatore. Un manoscritto logo-ro, redatto in italiano, dove in cor-sivo si legge il nome di Napoleone seguito più in basso da quello del-la sorella Maria Anna, del padre Carlo Buonaparte e da quelli di padrini e madrine. Con altri cime-li, sono parte del lascito alla città del mio fratellastro, il cardinale Joseph Fesch. Oltre al certificato,

I Bonaparte, protagonisti del tempoDoveroso che, a questo punto, vi presenti la mia illustre prole.

Il maggiore dei miei figli, Giuseppe, nacque a Corte nel 1768. Agli studi di diritto e ai richiami del commercio, preferì affiancare Napoleone nella campagna d’Italia. L’avvento dell’Impero lo portò prima alla guida del regno di Napoli poi, nel 1808, del regno di Spagna, dove però non fu ben accetto. Rientrò così in Francia e qui rimase fino alla caduta del fratello. Dopo una parentesi negli Stati Uniti, nel 1839 tornò in Europa e a Firenze visse fino alla fine dei suoi giorni. Dopo il secondogenito Napoleone, che di sè vi ha già parlato ampiamente, nel 1775, diedi alla luce Luciano. Fratello cadetto di Napoleone, si batté con Pasquale Paoli per l’indipendenza dell’isola, e fu un acceso rivoluzionario. Fine politico, nel 1799 fu eletto presidente del Consiglio dei Cinquecento, favorendo così la presa di potere di Napoleone e di riflesso la sua nomina a ministro dell’Interno e poi ad ambasciatore a Madrid. L’intesa con Napoleone s’incrinò per via del suo matrimonio, in seconde nozze, con Alexandrine de Bleshamp. Dovette così accettare l’esilio a Roma dove papa Pio VII lo insignì del titolo di principe di Canino e solo alla vigilia dei cento giorni si riavvicinò a Napoleone.Elisa, al secolo Marianna, fu invece educata in un convitto vicino a Parigi e si riunì a noi durante gli anni passati a Marsiglia. Una volta tornata a Parigi, con disappunto di Napoleone, sposò il capitano Felice Baciocchi. Nel 1805 principessa di Lucca e Piombino e dal 1809 granduchessa di Toscana, ebbe una vita movimentata, vissuta secondo i disegni del fratello che la definiva “il migliore dei suoi Ministri”. Il destino la portò a Trieste, poi ad Aquileia, e infine a Bologna, dove è sepolta nella basilica di San Petronio. Venne poi Luigi, di cui Napoleone seguì la formazione

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a Parigi. Erano doppiamente imparentati: fratelli e generi avendo Luigi sposato Ortensia.Trasferitosi in Italia, si dedicò alla letteratura. Dei tre figli avuti da Ortensia, l’ultimo, Carlo Luigi Napoleone, sarà poi l’imperatore Napoleone III. Di Paolina, o meglio Maria Paola, tutti conoscono fascino e bellezza. Vedova del generale Leclerc con cui visse a Santo Domingo, rispettosa dei piani di Napoleone, sposò il principe romano Camillo Borghese e conquistò la mondanità capitolina dell’epoca, oltre che l’ammirazione dei più illustri artisti del tempo. Dopo la fuga di Napoleone dall’Elba, fu una sorvegliata speciale ed anche lei visse i suoi “cento giorni” nella residenza lucchese di Compignano, proprietà di Elisa. L’ultima figlia fu Carolina, donna dal carattere forte che spuntò il consenso di poter sposare Gioacchino Murat, aiutante di campo di Napoleone, nonostante fossero per lei in vista altri progetti. Con il consorte guidò il regno di Napoli, ove avviò un’ampia campagna archeologica a Pompei. Tensioni, dissapori, la stessa caduta di Napoleone la costrinsero a riparare in Austria. Nel 1824 le fu concesso di tornare in Italia, ma solo a Trieste. Sette anni dopo si trasferì a Firenze, ove morì. L’ultimo dei miei figli, Girolamo, entrò in Marina nel 1800, e poco dopo si sposò con Elisabeth Patterson, giovane borghese statunitense. Il matrimonio, su pressione dello stesso Napoleone, fu annullato, favorendo così le nozze con Caterina di Württemberg, figlia del re Federico I e la nomina a re di Vestfalia. Pur al seguito dell’imperatore nella campagna di Russia e poi a Waterloo, solo con l’ascesa del nipote Napoleone III tornò alla politica, nominato maresciallo di Francia e poi presidente del Senato. Con Napoleone e il fratello Giuseppe, riposa nella Chiesa di Saint-Louis des Invalides a Parigi.

la cui autenticità è ritenuta dub-bia dalle malelingue, il salone è un’apoteosi di quadri, statue, me-daglie, ritratti, busti, riguardanti la famiglia imperiale e provenienti anche da altre donazioni. Al Mu-seo Fesch, nell’omonimo Palazzo che fu del mio fratellastro, si trova invece una delle maschere funebri del mio compianto figlio. Un ma-nufatto bronzeo ispirato dal calco

in gesso di François Antommar-chi, uno dei medici che ne decretò la morte in quel di Sant’Elena.

Prima di diventare indiscusso stratega, Napoleone fu un bam-bino come tanti. Un bambino che sognava già grandi imprese, alla guida di eserciti fantastici, non senza combinare qualche guaio. Ai margini della città, nella spia-

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nata di Casone un tempo dei Ge-suiti, amava lasciare correre la sua florida fantasia in una grotta, ora detta di Napoleone: un anfratto formato da grossi monoliti pog-giati uno sull’altro tra ulivi cente-nari. Leggenda vuole che qui sia ritornato anche in età adulta, du-rante uno dei suoi rari passaggi ad Ajaccio. Per anni abbandonato a se stesso, come sottolineò nelle sue note sulla Corsica (1872) la scoz-zese Thomasina Campbell, il luo-go è ora una delle più belle piazze di Ajaccio, Place d’Austerlitz. In omaggio alla gloriosa battaglia, una sottoscrizione pubblica finan-ziò la costruzione di un’imponente piramide in granito al culmine di uno scalone fiancheggiato da due aquile con le ali spiegate. A sor-montare l’insieme, la copia della statua imperiale eseguita da Char-les-Emile-Marie Seurre nel 1833, collocata sulla colonna di Place Vendôme a Parigi. L’inaugura-zione, nel 1938, fu prestesto per quattro giorni di animati festeg-giamenti, dal 14 al 17 agosto.

LiguriaSarzana

Non è un caso che il sopranno-me Francesco, primo Buonaparte insediatosi ad Ajaccio, fosse “le Meure de Sarzana”. A dir il vero, il primo in assoluto fu Giovanni Buo-naparte, che a metà del ‘400 partì da questo piccolo centro al limite fra Liguria e Toscana, alla volta di Bastia, al seguito del Governa-tore Tomasino Campofregoso. Non voglio addentrarmi in discorsi cer-tamente più adatti agli uomini di famiglia, ma Sarzana, e con essa la Lunigiana, già nel ‘200 era un polo strategico, crocevia di commerci e comunicazioni, di grande interesse per l’imperatore Federico II, deter-minato ad espandersi al resto del-la Toscana, isole comprese, e alla Sardegna. A Sarzana, mercato fra i più importanti della Penisola, af-fluivano commercianti ed artigiani di tutta la Toscana che qui pote-vano vendere liberamente le loro merci; nonchè professionisti, notai in particolare, che potevano sotto-

Eterni custodi della memoria di famiglia L’ultimo Buonaparte rimasto, si fa per dire, a San Miniato, è Iacopo,

vissuto tra il 1478 e il 1541 e probabile autore del “Ragguaglio storico del Sacco di Roma del 1527”. Vi attende nella navata sinistra della cattedrale di Santa Maria Assunta dove lo scultore senese Giovanni Dupré e sua figlia Amalia, su incarico del preposto Giuseppe Conti, nel 1864 realizzarono alcuni monumenti di illustri sanminiatesi. Il suo ritratto a mezzo busto si trova sulla parte alta del cenotafio in marmo bianco ornato dal bassorilievo dell’Allegoria della Storia. I tratti del volto svelano una certa somiglianza con Napoleone e molte sono le affinità con una celebre scultura del Canova, eseguita a Parigi nel 1802, che non escludo abbia ispirato l’opera sanminiatese.

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scrivere gli atti necessari per defi-nire un gran numero di affari. E notaio era Bonapars, probabile ca-postipite dei Buonaparte, toscano originario di San Miniato, che nel 1245 compariva già fra i membri del Consiglio comunale sarzanese. Dopo di lui, molti i Buonaparte investiti in alte cariche pubbliche, ecclesiastiche, e della buona so-cietà locale. Per meriti, ma anche per un’abile politica matrimonia-le, via via si imparentarono con le casate più illustri di Lunigiana: primi fra tutti i Calandrini, mol-to vicini al pontefice Niccolò V e i marchesi Malaspina della Verru-cola. In città - come meglio di me vi spiegherà il mio illustre figlio,

che fece più volte riferimento alle sue lontane ascendenze sarzanesi - permangono i segni di un siste-ma difensivo ben articolato di cui Porta Romana, detta anche Por-ta Nuova, è un esempio. Sebbene siano passati secoli, la memoria della nostra stirpe è tuttora viva ed ogni due anni la rievocazione storica del “Napoleon Festival’’ celebra il ruolo di Napoleone nella storia dell’umanità.

A Sarzana, il ramo dei Buona-parte unitosi ai Malaspina pote-va contare su parecchi beni e fra questi una casa - torre ancora oggi visibile nella centralissima Via Mazzini, forse parte di un più ampio edificio che arrivava fino all’odierno numero civico 36. Per quanto fortemente trasformata, al piano terreno preserva parte dell’originaria fisionomia medie-vale e gli antichi archi ogivali fra i quali si notano una piccola edi-cola votiva e due iscrizioni. Non mi è possibile, ahimè, mostrarvi gli interni in quanto è un’abita-zione privata. Vi suggerisco però di passare da queste parti quando, in primavera, il pubblico può ac-cedere eccezionalmente nell’atrio, in occasione appunto di Atri in fiore. Fra muri in sasso e mattoni a vista, potrete così immaginare di tornare agli anni in cui, a partire dal ‘300, fu questa la roccaforte dei Buonaparte.

ToscanaSan Miniato

È a San Miniato, incantevole borgo nei pressi di Pisa, la culla della dinastia, poi articolatasi in Ajaccio, Les Milelli

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due rami distinti - i Buonaparte Speziali e i Buonaparte Franchini - estintisi sul finire del ‘700, rispet-tivamente con Giuseppe Moccio e con il canonico Filippo.Per circa due secoli, il loro quar-tier generale, fu l’attuale Palazzo Formichini, in via IV Novembre 45. Non stupitevi di trovare le in-segne di una banca. Dal 1953 è la sede della Cassa di Risparmio di San Miniato. La sua origine risale al XVI secolo, quando Vittorio di Battista Buonaparte di San Minia-to lo commissionò all’architetto Fi-lippo di Baccio d’Agnolo, figlio del noto artista fiorentino. Passato poi

alle famiglie Morali e Bertacchi, nel 1877 fu acquistato dal cavalier Filippo Formichini, prima di essere ceduto all’istituto bancario che al suo interno conserva una pregevole collezione d’arte. Fra le tele più si-gnificative, insieme al bozzetto pre-paratorio, L’ingresso di Napoleone a San Miniato, dipinto a olio del toscano Egisto Sarri (1837-1901). Visibile solo su prenotazione, do-cumenta artisticamente l’incontro nell’allora San Miniato al Tedesco (nome dovuto alla sua origine ger-manica), nel giugno 1796, fra il giovane generale Napoleone Bona-parte, impegnato nella presa di Li-

Ajaccio, la grotta di Casone

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vorno, ed il canonico Filippo. Epi-sodio fu ripreso nella cronaca della Gazzetta Toscana, edita proprio a San Miniato. Napoleone domina la scena, su un cavallo bianco alla testa del suo esercito. Con la feluca saluta l’an-ziano parente procedendo in dire-zione del clero sullo sfondo della Torre di Federico II. Le fonti locali raccontano anche di una preceden-te visita. Nel 1778, quando il mio secondogenito aveva solo 9 anni, giunse in paese con papà Carlo Maria per recuperare i documenti attestanti le origini nobiliari dei Bonaparte, utili per la sua ammis-

Da Maria LetiziaDurante il suo esilio elbano,

Napoleone amava ritirarsi talvolta in solitudine. Le lunghe escursioni a cavallo nei dintorni boschivi di Marciana l’avevano portato a scoprire il santuario della Madonna del Monte, il più famoso edificio sacro dell’isola. Affascinato dal luogo e dalla straordinaria vista, che da qui spaziava fino alla Corsica, decise di trattenervisi qualche giorno, tra fine agosto e inizio settembre 1814. L’episodio, che il mio fratellastro, il cardinale Fesch, ben vi ha illustrato, costituì una “fuga” dal quotidiano per mio figlio che, in un raro momento di intimità familiare, si riunì alla contessa polacca Maria Walewska ed al piccolo Alessandro, loro erede illegittimo. Per restare in contatto con i suoi fidi, Bonaparte fece erigere un telegrafo ottico sul cosiddetto Masso dell’Aquila. Nei pressi del santuario, era poi solito soffermarsi vicino a Zanca, sedendosi su uno scoglio piatto, in tempi più moderni detto “La Sedia di Napoleone”. La tradizione tramanda che da qui volgesse sguardi nostalgici verso la terra natìa. Paolina invece, non lontano da Procchio, prendeva il bagno laddove affiora lo scoglio che oggi porta il suo nome.

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sione nel collegio militare francese di Brienne.

Isola d’ElbaDopo la Corsica, la seconda iso-

la degli affetti, per Napoleone fu l’Elba. Vi sbarcò nel maggio del 1814 e, benché in esilio, l’Impe-ratore vi trovò un’accoglienza be-nevola. Io, per qualche tempo, in questa circostanza delicata rimasi al suo fianco. Non si sentiva un vinto, e da vero sovrano contribuì a modernizzare l’isola, miglioran-do l’organizzazione stradale, so-ciale e istituzionale. Ma anche a dare un po’ di luce alla vita cultu-rale e mondana elbana, con l’aiuto di Paolina, sua ospite abituale. Fu però solo un passaggio. Il 26 feb-braio 1815, una della tante feste di Carnevale mascherò la sua fuga,

forte di un migliaio di fedelissimi e di una piccola flotta, da qui pre-se il mare a bordo del brigantino L’Inconstant, cammuffato da nave inglese. Pronto a riconquistare tro-no e potere.

Napoleone trascorse i suoi primi giorni di esilio all’Elba, in quel che oggi è il Municipio di Por-toferraio, così come ricorda una lapide sulla facciata. All’epoca era la Biscotteria, forno del pane per le guarnigioni, per la nuova città medicea e poi per tutta l’isola. Gli alloggiamenti che mio figlio scelse come residenza ufficiale non erano infatti ancor pronti e per allestire degnamente la dimora, portò molti oggetti personali da Parigi.Di lì a poco però si trasferì nel-la Palazzina, o Villa, dei Mulini,

Ajaccio, Salone Napoleonico dell’Hôtel de Ville Antoine Denis Chaudet, Busto di Napoleone I e vetrina con Atto di Battesimo dell’Imperatore

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nell’omonima località nella parte alta di Portoferraio. La Villa dei Mulini costituisce oggi con villa San Martino i Musei delle Resi-denze Napoleoniche dell’Isola d’Elba. Una dimora panoramica, tra i Forti Stella e Falcone, parti-colarmente esposta ai venti e per questo in origine destinata alla costruzione di quattro mulini, di-strutti poi per consentire la realiz-zazione di un giardino all’italiana.Eretta nei primi anni del ‘700 dal granduca Gian Gastone de’ Me-dici, e poi sede dell’Artiglieria e del Genio, constava di un corpo centrale, ad un solo piano che ai lati si allungava in due padiglio-ni simmetrici. Secondo i deside-ri dello stesso Napoleone, furono apportate radicali modifiche e il nucleo centrale fu elevato, così da

portare tutto ad uno stesso livello e poter disporre di un ampio salone al piano rialzato da destinare a fe-ste e ricevimenti, particolarmente gradite da Paolina, ospite abituale della dimora.Artefice dei lavori, l’architetto li-vornese Paolo Bargigli. Profes-sore all’Accademia di Belle Arti di Carrara, non nuovo al nostro entourage familiare, avendo già svolto prestigiosi incarichi a Mas-sa e a Carrara per conto di mia figlia Elisa. Per i decori interni fu invece chiamato Vincenzo Revel-li, pittore ufficiale di corte, autore anche dei soffitti della galleria e delle stanze superiori del palazzo. Un piccolo luogo delle delizie che anche io ho condiviso e che poteva vantare anche un teatro, la cui ri-sistemazione fu affidata all’archi-

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tetto Luigi Bettarini. Motivo di grande orgoglio era poi la Biblio-teca che Napoleone rifornì con vo-lumi provenienti da Fontainebleu e successivamente con quelli do-nati dal cardinale Fesch. Libri di storia e di arte militare, ma anche di letteratura, geografia e legisla-zione, assieme ad un consistente numero di classici greci e latini. Pochi i libri italiani, tra cui uno soltanto stampato a Livorno.Come tutte le biblioteche impe-riali, anche questa prevedeva due nuclei distinti: uno ad uso esclu-sivo di mio figlio, l’altro destinato alle letture della corte. Gran parte dei suoi libri personali, rilegati in marocchino, furono contrassegna-ti, dalla “N” circondata da due rami di lauro incrociati o accom-pagnata dallo stemma imperiale. Della raccolta fanno anche parte due esemplari appartenuti a Pa-olina Borghese, connotati da una “P” dorata sovrastata da corona, mentre tre ex-libris con l’iniziale “C” rivelano una probabile pro-venienza dalla biblioteca della so-rella Carolina. La biblioteca, dopo la sua rocambolesca partenza, fu poi donata alla città di Portoferra-io. Con l’Unità d’Italia, al lascito napoleonico si aggiunsero le do-nazioni di vari personaggi. Attual-mente la Biblioteca, di proprietà comunale, si trova nella Villa dei Mulini ed è parte delle collezioni dei Musei.

Fu nuovamente il Bargigli ad ap-portare le modifiche strutturali di Villa San Martino, scelta da Na-poleone come sua residenza priva-ta durante l’esilio sull’isola. Defila-ta dal contesto urbano, si trova fra

boschi e vigne dell’omonima valla-ta, a 5 chilometri da Portoferraio. Tutto, secondo mio figlio, dove-va essere come a Parigi (“que tout soit comme à Paris”), e così venne riplasmata in una dimora nobiliare. Su due piani, a pianta quadrata, fu ampliata ed aperta su un giardino pensile da cui si godeva - e si gode tuttora - di una vista straordinaria sulla rada di Portoferraio. Nei decori, nei det-tagli, frammenti di vita pubblica e privata dell’epopea napoleonica. Dagli affreschi della Stanza del Nodo d’amore ispirati all’unio-ne di Napoleone con Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, opera del tori-nese Antonio Vincenzo Revelli, ai trompe-l’oeil con geroglifici, pi-ramidi e un grande zodiaco della Sala Egizia. Momenti salienti delle imprese imperiali, ma anche cu-riosità vezzose come la vasca otta-gonale a pavimento, destinata ad accogliere piante di papiro, all’uso orientale.

Lungo la salita Napoleone, che dal centro storico di Portoferraio conduce alla Palazzina dei Muli-ni, il Museo della Misericordia, adiacente alla chiesa dell’omo-nima Confraternita raccoglie in tre sale parte degli oggetti donati nel 1852, dal principe Demidoff, grande estimatore delle imprese napoleoniche. Oltre alla copia del sarcofago dove l’Imperatore ripo-sa a Les Invalides, sono da ammi-rare la sua maschera mortuaria in bronzo, opera del 1841 dei fratelli Susse di Parigi su modello del cal-co effettuato a Sant’Elena dal suo medico Antonmarchi, unitamente all’urna funeraria ed al calco della

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La Galleria DemidoffQuando Napoleone lasciò l’isola, Villa San Martino fu

temporaneamente abbandonata. A ridarle smalto fu il principe russo Anatolio Demidoff, sposo di Matilde, una delle nipoti di Napoleone, che la acquistò dagli eredi. Grande mecenate, incaricò l’architetto fiorentino Niccolò Matas di realizzare una grandiosa galleria - l’attuale Galleria Demidoff - destinata ad accogliere cimeli e opere d’arte per celebrare il mito del grande Còrso. Inserita nel contesto paesaggistico ed impreziosita da richiami neoclassici, la galleria si poneva come piedistallo della villa soprastante, con cui oggi forma un insieme unico. Inconfondibili i richiami ai simboli imperiali dei decori: l’effigie dell’aquila imperiale nel fregio che corre lungo tutta la facciata, le tre api, la “N” e l’insegna della Legion d’Onore. A ben vedere, quando aprì al pubblico nel 1861, la Galleria Demidoff fu il primo vero museo napoleonico della storia, tanto ricco che, inizialmente, molte delle sue opere d’arte andarono ad arredare la villa soprastante.

mano donato dall’Armée di Parigi. Vi invito però a soffermarvi sulla bandiera elbana. Napoleone deci-se i colori del vessillo del suo nuo-vo stato durante il trasferimento sull’isola. Il drappo con banda rossa diagonale e tre api d’oro in campo bianco, pochi giorni dopo il suo sbarco sull’Elba sventola-va già su tutti i forti e in tutti i centri isolani! Ispirata all’antico stendardo degli Appiani, governa-tori dell’Elba dopo la caduta della Repubblica Pisana, la bandiera elbana conferiva inviolabilità ai vascelli che la issavano, in base all’articolo IV del trattato di Fon-tainebleau.

L’ultimo atto della sua presenza sull’isola, il mio indomito figlio lo “recitò”al Teatro dei Fortu-nati, poi detto dei Vigilanti Lo donò a Portofferaio affidando la trasformazione della settecentesca chiesa del Carmine all’architetto

di corte Paolo Bargigli, ed ancor oggi è sede di spettacoli, concerti e attività congressuali. Un teatro moderno all’italiana dalla tipica pianta a ferro di cavallo con quat-tro ordini di palchi ed una loggia imperiale al centro del secondo ordine, sormontati da un loggio-ne. Rifinito da stucchi dorati del livornese Campolmi e decorato dal pittore Antonio Vincenzo Revelli, autore anche del sipario dipinto, fu inaugurato il 24 gennaio 1815. Dopo alterne vicende, un primo restauro tra il 1922 e il 1923, la conversione in cinema, attorno al 1980 fu oggetto di un importante recupero su progetto dell’architet-to Maria Berta Betazzi. Il Ballo di Carnevale del 26 febbraio 1815 che doveva mascherare la sua fuga dall’Elba si tenne infatti proprio in questa sala. L’Imperatore la lasciò segretamente per imbarcarsi sul brigantino e riaprire il suo perso-nale dialogo con la Storia.

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Tra città e campagnaLuciano Bonaparte

l vero rivoluzionario della famiglia Bonaparte

sono stato io. Lasciate che mi presenti: sono Luciano, ter-

zogenito di Letizia e Carlo Maria Buonaparte, almeno a

contare i figli diventati adulti. Sono nato ad Ajaccio il 21

maggio del 1775, l’anno in cui scoppiò la guerra d’Indipen-

denza americana. Anche la nostra Corsica era in lotta per

guadagnarsi l’indipendenza e io mi avvicinai giovanissimo

al movimento guidato da Pasquale Paoli. Ho poi partecipa-

to alla Rivoluzione Francese e sono stato determinante nel

colpo di stato del 18 Brumaio 1799, quando in qualità di

presidente del Consiglio dei Cinquecento riuscii a mantene-

re il controllo di una situazione che era diventata partico-

I

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larmente pericolosa per mio fratello Napoleone, contro il

quale si erano già levate richieste di arresto. In quell’occa-

sione feci prevalere il legame familiare agli interessi della

Repubblica e senza quel mio intervento la storia avrebbe

preso un’altra piega. Eppure la riconoscenza di Napoleone

evaporò in fretta, limitandosi alla mia nomina a ministro

dell’Interno e in seguito ad ambasciatore a Madrid. A divi-

derci fu la mia decisione di risposarmi con Alexandrine de

Bleschamp dopo che ero rimasto vedovo di Christine Bo-

yer. Napoleone aveva i suoi piani dinastici e io glieli avevo

in parte compromessi. L’unione con Alexandrine mi rese

padre di ben nove figli, ma mi costò anche l’esilio. Non fui

invitato alla cerimonia dell’incoronazione imperiale di Na-

poleone e in quello stesso 1804 mi trasferii a Roma, dove

papa Pio VII mi nominò principe di Canino, vendendomi un

ampio latifondo nell’alto Lazio. In quelle campagne scoprii

la passione per l’archeologia e promossi scavi in numerose

località di origine etrusca: i reperti antichi che riportai alla

luce presero in seguito la strada dei più importanti musei

d’Europa. A Monaco di Baviera, per esempio, potete am-

mirare uno dei “miei” tesori più splendidi: la celebre cop-

pa di Exekias con la raffigurazione di Dioniso circondato

dai pirati etruschi trasformati in delfini. Io e Napoleone ci

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siamo riconciliati soltanto alla vigilia dei cento giorni, tra

il suo rientro dall’Elba e Waterloo, penultima tappa della

sua epopea prima della definitiva relegazione a Sant’Ele-

na. A questo punto, forse, vi sarà venuta la curiosità di

conoscere il mio aspetto. Vi invito allora a visitare il Museo

Fesch di Ajaccio, con sede nel Palazzo di nostro zio il car-

dinale Joseph Fesch, che può essere considerato l’archivio

storico della nostra famiglia e il punto di partenza ideale

per numerosi itinerari napoleonici, compreso questo dedi-

cato alle città e alla campagna. In un ritratto realizzato

da Jacques Sablet esposto mi vedete raffigurato in primo

piano vestito di un’eleganza sobria, con lo sguardo un po’

assente e melanconico. In secondo piano compare invece

l’amore della mia vita, mia moglie Christine Boyer, prema-

turamente scomparsa nel 1800 a soli 29 anni: la distanza

tra noi allude infatti alla dolorosa separazione impostaci

dal destino. Feci molta fatica a riprendermi da quella di-

sgrazia e per un lungo periodo mi ritirai nella residenza

di Plessis-Charmant in Piccardia, tralasciando tutte le mie

occupazioni. Trovavo soltanto la forza di recarmi quotidia-

namente a far visita alla tomba della mia povera Christine.

Dovette intervenire Napoleone per smuovermi dallo stato di

apatica malinconia in cui ero caduto.

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Dopo gli esordi burrascosi ai tem-pi della Rivoluzione, quando ero più estremista di Napoleone, gli eventi della vita hanno smussato molti an-goli del mio carattere e quasi senza che me ne accorgessi mi sono ritrovato latifondista imborghesito, addirittura principe. Ne ho fatta di strada dal-le barricate alle dolci colline laziali, dove la natura mi faceva dimenticare le asprezze di quell’epoca turbolenta e i dissidi con il mio fratello imperia-le. Ma parlando di paesaggi, urbani o campestri, non posso che ricordare con orgoglio gli ambiziosi progetti che i vari componenti della mia famiglia promossero nei territori sottoposti alle rispettive autorità. In particolare si distinsero Napoleone ed Elisa che cambiarono in profondità l’aspetto di molte aree. Nelle città aprirono nuove piazze abbattendo edifi ci vecchi o ad-dirittura antichi, senza curarsi troppo del malumore dei cittadini, mentre fuori dagli spazi urbani approntarono la costruzione di nuove strade, investi-rono nell’ammodernamento di miniere e di stazioni termali, cercando di unire

– come si suol dire – l’utile al dilette-vole. Entrambi avevano in mente la “grandeur” parigina che tentarono di esportare, con i necessari adattamenti, nei domini italiani. Non tutti i progetti furono completati secondo le direttive che li avevano ispirati, ma nei lavori furono sempre coinvolti i migliori tra architetti, ingegneri e artisti e ancora oggi molti luoghi conservano testimo-nianza delle loro opere.

LiguriaTra La Spezia e Portovenere

Nell’Impero Francese le strade ri-vestivano un ruolo fondamentale: facilitavano gli scambi commerciali e permettevano rapidi spostamenti alle persone, ma come ai tempi dell’anti-ca Roma, la prima fi nalità del siste-ma viario era quella militare. Così la strada di collegamento tra La Spezia e Portovenere (oggi SP 530), chiamata anche Via Napoleonica, fu progettata per consentire il raggiungimento del

Ajaccio

Grosseto

Livorno

LuccaPisa

Massa

Sarzana

MARLIGURE

TOSCANA

Isolad’Elba

CORSICA

SARDEGNA

LIGURIAEMILIA ROMAGNA

PIEMONTE

MARTIRRENO

Savona

Arno

Arcipelago Toscano

Albenga

La Spezia

Piombino

Roma

UMBRIA

Canino

LAZIO

Portovenere

Tevere

Bagni di LuccaCarrara

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Torino, Archivio di Stato. Mappa catastale del comune di Finale Ligure (Savona).

I piccoli tesori di La Spezia La Biblioteca Civica di La Spezia custodisce un piccolo tesoro di carta: un

corpus di circa 270 rilievi topografici realizzati dall’èquipe di Pierre-Antoine Clerc (1770-1843). Napoleone aveva piani ambiziosi per il golfo spezzino e la squadra guidata da Clerc si impegnò in una campagna topografica (tra il 1809 e il 1811) mettendo a frutto le innovazioni più recenti, come il metodo delle curve di livello, introdotto per rappresentare l’altimetria dei luoghi raffigurati. Di quell’impresa scientifica rimangono tre album rilegati, una cartella di carte sciolte e una serie di acquarelli. Questi preziosi documenti si sono conservati grazie alla lungimiranza dello scienziato spezzino Giovanni Capellini, tra i fondatori della geologia moderna, che trovò i documenti in Francia e li acquisì per farne dono alla sua città.

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futuro Arsenale Militare e della città di Napoleonia che avrebbe visto la luce sulla costa occidentale del Golfo di La Spezia. Grazie al diario del colonnello Morlaincourt, inviato da Napoleone a ispezionare il Golfo, potete conoscere lo stato dei luoghi prima che l’opera mo-dificasse il paesaggio. Nel 1808 l’Impe-ratore ordinò la realizzazione della via

di collegamento, affidando il progetto a Graziano Lepére, ingegnere capo del Dipartimento degli Appennini; quattro anni dopo, alla fine del 1812, venivano già collaudati i lavori.

SarzanaNapoleone vi ha guidato nella visita

dei siti militari, tra i quali sicuramen-

Place De Gaulle Ajaccio è la patria di noi Bonaparte, anche se l’albero genealogico

della nostra famiglia affonda le sue radici in Toscana. In questa città mediterranea siamo nati e ci siamo formati, ciascuno col proprio carattere, ma in fondo uniti da un legame fortissimo che neppure guerre, rivoluzioni e scelte personali hanno potuto recidere. Anche se era più giovane del primogenito Giuseppe, Napoleone è stato per noi la figura di riferimento dopo la morte di nostro padre e il suo carisma viene messo bene in risalto da un monumento molto particolare, collocato in Place De Gaulle, a poca distanza dalla Cattedrale cittadina e dallo splendido lungomare. Rappresenta Napoleone in trionfo a cavallo, nella posa di un imperatore romano vittorioso, attorniato dai noi quattro fratelli: Gerolamo, Luigi e Giuseppe. La storia del monumento si intreccia con quella della Francia: l’idea del monumento venne nel 1854 al Consiglio Generale di Ajaccio e nel 1862 fu istituito un comitato per la raccolta di fondi attraverso una sottoscrizione pubblica. A presiederlo era il principe Girolamo Napoleone e tra i primi sottoscrittori ci furono i ministri di Napoleone III. Il risultato finale fu un’opera collettiva, a più mani: su un progetto di Eugene Viollet-Le-Duc, Antoine-Louis Barye realizzò la statua equestre di Napoleone, Aimé Millet quella di Giuseppe; Jean-Claude Petit quella di Luigi; Jacques-Lèonard Maillet quella di Girolamo; mentre la mia è opera di Gabriel-Jules Thomas. L’inaugurazione ufficiale avvenne nel 1865 con il monumento rivolto in direzione del mare su espressa indicazione del responsabile del progetto. Un secolo dopo, nel 1969, in occasione del bicentenario della nascita di Napoleone, venne deciso di spostarlo per rivolgerlo verso la città. Come vedete, anche i monumenti si muovono! Del resto non dovreste essere stupiti se solo pensate all’obelisco che abbellisce Place de la Concorde a Parigi, fatto arrivare da Luxor da mio nipote Napoleone III: ci vollero circa 5 anni di lavori e una spesa di oltre un milione di franchi per soddisfare quel “capriccio”. Seguendomi in questo viaggio constaterete che la mania di modificare i paesaggi cittadini ed extra-urbani ha contagiato diversi membri della famiglia Bonaparte, non soltanto Napoleone.

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te ricorderete le fortezze Firmafede e Sarzanello a Sarzana. Io invece voglio accompagnarvi a fare una passeggiata alla Porta Romana della bella cittadi-na posta al confine tra Liguria e Tosca-na. Si tratta di una delle quattro porte d’accesso alla città che facevano parte del sistema difensivo con cui Sarzana si era circondata nel XII secolo, l’unica insieme a Porta Parma a essersi con-servata fino a oggi. In epoca napoleoni-ca venne chiamata Porta Nuova dopo i lavori di ammodernamento realizzati nel 1783 da Pietro De Franchi che le diedero l’aspetto che tuttora mantiene. Come vedete è una porta monumenta-le a fornice unico con un rivestimento marmoreo il cui manto bianco ne ri-vela l’inconfondibile provenienza: la vicina Carrara. Se vi avvicinate potete osservare lo stemma di Genova e leg-gere l’iscrizione con la data dei lavo-ri, mentre in un’edicola noterete una statua della Vergine Maria. All’interno della volta, invece, campeggia lo stem-ma di Sarzana raffigurante una luna montante su cui splende una stella a otto punte.

Passeggiando per le stradine del centro storico di Sarzana finirete inevitabil-mente per imbattervi nel Teatro de-gli Impavidi che sorse sui resti della quattrocentesca chiesa dei Domenica-ni e dell’annesso convento. Si occupò dei lavori l’architetto Paolo Bargigli che iniziò l’opera nel 1807 per portar-la a compimento due anni dopo, come ricorda la lapide posta all’ingresso. Ne risultò un edificio in cui elementi set-tecenteschi come la pianta a “ferro di cavallo” si sposano perfettamente ad altri neoclassici come le eleganti de-corazioni dei parapetti dei palchetti e del boccadopera. Lo impreziosisce un affresco di Giovan Battista Celle che ha

dipinto la volta centrale con una fanta-sia di amorini suonatori. Gli spettatori trovano posto nella platea e nei tre or-dini di palchi sovrastati dal loggione, mentre il palcoscenico e il porticato oc-cupano l’area su cui un tempo sorgeva il chiostro del convento. Proprio sotto il palco si trova ancora l’antico pozzo e nei camerini degli attori si può vede-re una lunetta affrescata, residuo della precedente struttura.

ToscanaPiombino

Nel XV secolo gli Appiani, prin-cipi di Piombino, commissionarono all’architetto fiorentino Andrea Guar-di la costruzione della Cittadella che avrebbe accolto la corte signorile. Ol-tre al Palazzo Appiani comprendeva una cappella dedicata a Sant’Anna, una cisterna e tutte le strutture indi-spensabili alla vita dei sovrani e della corte. Il piglio risoluto di Elisa arrivò anche in quest’angolo del suo Princi-pato, dove tra il 1805 e il 1807, ven-ne approntata una complessa opera di risistemazione che risultò nella re-alizzazione del Palazzo Nuovo, nato dalla ristrutturazione delle sale di quello Vecchio e dall’unione delle va-rie dipendenze. Venne anche creato un ampio giardino, il tutto al prezzo dell’abbattimento di una porta e di un bastione dell’antica struttura. Un piccolo sacrificio, tutto sommato: noi Bonaparte siamo sempre stati con-vinti della necessità che il vecchio, quando ha fatto il suo tempo, lasci il posto al nuovo.

La Strada della Principessa A questo punto è il momento di

parlarvi di un’altra strada, la provin-ciale della Principessa che collega

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Piombino a San Vincenzo in un trac-ciato sinuoso tra le dune della costa e la pineta. Il precedente nome di strada “Cavalleggeri” le veniva dal fatto di essere costantemente pattugliata da soldati che avevano il compito di con-trollare le torri costiere, mentre il nuo-vo e più nobile soprannome le deriva dall’essere stata ampliata e ammoder-nata in tempi record per poter rice-vere come si conveniva la principessa di Lucca e Piombino, nostra sorella Elisa. Sorprendentemente, a dispetto dell’importanza che ha sempre avuto per il sistema viario locale, questa stra-da è rimasta in terra battuta fino agli anni Cinquanta del secolo scorso.

LivornoVilla Mimbelli a Livorno è dal

1994 sede del Museo Civico Gio-vanni Fattori. Naturalmente la maggior parte dei visitatori arriva qui per ammirare le opere del ma-estro livornese e di altri Macchiao-ioli come Silvestro Lega e Telemaco Signorini, ma le raccolte compren-dono anche una coppia di busti, di provenienza non nota, che ritraggo-no il sottoscritto e la mia indimenti-cata Christine. Queste opere fecero la loro apparizione nelle collezioni civiche livornesi poco meno di un secolo fa, nel 1920, e solo grazie al ritrovamento di due busti simili in alabastro, attribuiti al grande Lo-renzo Bartolini, lo scultore ufficia-le della nostra famiglia, sono state identificate come nostri ritratti. I due busti conservati al Museo sono forse opere di copisti, incaricati di diffondere i ritratti dei componenti della famiglia imperiale, secondo le direttive della propaganda ufficiale così abilmente orchestrata da mio fratello Napoleone.

MassaLa tappa successiva dell’itinerario

dedicato alle città e alla campagna ci porta nel centro di Massa, dove la na-tura si mostra sotto una forma piutto-sto insolita. A dare il nome alla Piaz-za degli Aranci sono infatti gli alberi da frutto che la circondano su tre lati. Anche in questo caso mia sorella Elisa non si è fermata di fronte a nulla pur di vedere realizzato il suo progetto, af-fidato in un primo momento all’archi-tetto Paolo Bargigli a cui subentrò poi Giovanni Lazzarini. A farne le spese è stata l’antica chiesa di San Pietro che fu abbattuta nonostante la contrarie-tà delle autorità cittadine: i resti sono tornati alla luce nei recenti lavori di ri-pavimentazione della piazza. Nel 1806 Elisa aveva ottenuto da Napoleone la reggenza del Ducato di Massa e una piazza spettacolare doveva servirle come scenografica “anticamera” al suo Palazzo Ducale. A Carrara è imprescin-dibile una visita all’Accademia di Belle Arti che ha sede a Palazzo Cybo Mala-spina. Nel cortile coperto è ospitata la Gipsoteca, ricca di circa 250 bozzetti in gesso realizzati tra XIX e XX seco-lo. Osservando l’edicola romana detta “dei Fantiscritti” potrete individuare una semplice iscrizione con le firme del Canova e del Giambologna.

Tra Lucca e CastelnuovoMa i piani di mia sorella non si li-

mitavano alle città del suo Principato: nel 1810, per esempio, Elisa ordinò la costruzione di una strada che do-veva collegare Lucca a Castelnuovo. Il percorso della regionale (ex statale) n. 445 della Garfagnana corrisponde proprio a quello della strada voluta da Elisa. Tra il 1807 e il 1810, inve-ce, venne realizzata la strada posta-le da Lucca a Bagni di Lucca, il cui

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Sarzana (La Spezia), Teatro degli Impavidi Giovan Battista Celle, Fantasia di amorini suonatori, affresco

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tracciato corrisponde in quel tratto a quello dell’attuale Strada Statale 12 “dell’Abetone e del Brennero”. Anche in questo settore si usavano i più in-novativi sistemi di costruzione, come la disposizione di tre strati di ghiaia di

spessore diverso, dal più grande al più piccolo verso la superficie.

Lucca L’Orto Botanico di Lucca è un

luogo ricco di storia, dove la natura

I Catasti Napoleonici della provincia di Savona Mio fratello Napoleone ha avuto numerosi detrattori e anch’io sono

stato spesso critico con il suo operato, tuttavia gli va riconosciuto il merito di aver promosso una riforma che ha fatto epoca e scuola. Mi riferisco al Catasto Napoleonico con il quale l’Imperatore ha voluto chiudere con il passato, portando anche in questo settore una ventata di modernità ed efficienza. Razionalizzare e uniformare sono così diventate parole d’ordine e il nuovo catasto è stato lo strumento per censire (e di conseguenza tassare) il territorio. Come la straordinaria compagine di scienziati, artisti e tecnici aveva “mappato” l’Egitto all’epoca della sfortunata impresa nella terra dei Faraoni (1798-1801) con il risultato di fare un ritratto aggiornato e preciso di quel paese, così l’opera dei funzionari del Catasto disegnò i territori del Regno Italico con un’accuratezza fino ad allora mai sperimentata, anche grazie a nuove tecniche di rilevamento e all’utilizzo del sistema metrico decimale. Napoleone era giustamente fiero della sua “creatura” e a Sant’Elena lo definì “la più salda istituzione dell’Impero, vera garanzia della proprietà, salvaguardia dell’ordine sociale e sicurezza dell’indipendenza individuale”. Diventato padrone di mezza Europa si era trovato a gestire un immenso territorio estremamente frammentato e a questa situazione aveva voluto porre rimedio con l’editto del 1807 con il quale istituiva appunto il Catasto, da approntare con parametri precisi che imponevano l’esclusivo impiego di determinati colori, fogli di formato rettangolare e segni convenzionali di immediata comprensione. Un’altra caratteristica innovativa era la presenza del “sommarione” che indicava le quantità, i nomi dei proprietari, le qualità e le superfici degli appezzamenti. Per quanto riguarda il territorio savonese i lavori di mappatura si protrassero dal 1808 al 1815 sotto la direzione del prefetto del Dipartimento di Montenotte Gilbert Chabrol de Volcic (1773-1843), la cui nomina era stata imposta direttamente da Napoleone. Il capoluogo Savona visse sotto la sua amministrazione un periodo di prosperità e la città lo ricorda ancora grazie alla piazza del centro storico che gli è stata dedicata. L’Archivio di Stato di Savona conserva numerosi fogli di quell’impresa titanica.

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Massa, Piazza Aranci, Palazzo Ducale

intreccia i suoi cicli vitali a quelli del-le generazioni degli uomini. La sua istituzione venne promossa nel 1813 dalla Facoltà Medica e dal Comitato di Incoraggiamento di Lucca con la finalità di conservare le specie vege-tali tipiche della Lucchesia, ma fu Elisa ad approvarne la fondazione l’anno seguente, poco prima di dover abbandonare la città sull’onda degli effetti della prima abdicazione di Napoleone. Il progetto venne accan-tonato per essere poi ripreso e porta-to a compimento sotto il governo di Maria Luisa di Borbone. All’interno dell’Orto c’è ancora un testimone di quell’epoca: un cedro del Libano alto 22 metri che misura oltre 6 metri di circonferenza, con una chioma che si estende per circa 500 metri quadri di superficie. Lo piantò nel 1822 il primo direttore, Paolo Volpi. L’Or-to Botanico è diviso in vari settori, dall’arboreto in cui sono piantati soprattutto alberi e arbusti esotici al laghetto in cui vivono anche spe-cie di fauna locale, passando per la montagnola che dà spazio alle piante delle montagne lucchesi e pisane. Il

Palazzo Ducale e l’antistante piazza costituiscono il cuore di Lucca, alme-no da sette secoli, da quando cioè nel 1316 Castruccio Castracani, signore della città, impose una modifica ra-dicale ai luoghi del potere. In questa area fece costruire la Fortezza Augu-sta e il Palazzo che da allora divenne fulcro della Repubblica e della classe mercantile che la governava. Quando Elisa arrivò in città nel 1805 mise su-bito mano a un progetto di profonda trasformazione, finalizzata alla rea-lizzazione di una piazza che facesse risaltare il Palazzo, le cui sale doveva-no essere decorate secondo i dettami della nuova moda, lo “stile Impero”. La rivoluzione urbanistica destò molti malumori tra la popolazione e anche tra gli uomini di cultura, ma i lavori procedettero a ritmo vorticoso tra ab-battimenti di edifici, livellamenti del terreno e piantumazione di grandi al-beri. Il risultato fu un collage di edi-fici più che un insieme architettonico armonioso come da progetto. Anche il monumento celebrativo di Napo-leone che avrebbe dovuto abbellire la piazza (piazza Napoleone) ebbe

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Lucca Via Elisa, a fianco giardino Froussard

una genesi tutt’altro che lineare: an-che se Elisa propendeva per una so-luzione più scenografica con tanto di fontana, alla fine la spuntò il progetto dello scultore Leopoldo Vannelli che aveva presentato un preventivo di spese particolarmente contenuto. Ma Elisa non fece in tempo a vedere ul-timato il monumento perchè dovette lasciare Lucca nel marzo del 1814 e la statua “perse” la testa di Napole-one che venne sostituita con quella dalle fattezze di Carlo III di Borbone-Parma e venne spostata sui baluardi delle mura, prima di finire nel Museo Nazionale di Villa Guinigi dove oggi è conservata. Nel 1817 Maria Luisa di Borbone avrebbe preso il posto di Elisa sul trono di Lucca in base alla nuova mappa geopolitica disegnata al Congresso di Vienna e la sua ef-

figie, scolpita da Lorenzo Bartolini, andò a occupare il centro della piazza nel 1843. Grazie a un attento lavoro di risistemazione urbana la piazza, che era divenuta col tempo un im-menso parcheggio per le automobili, è tornata a esprimere quel perfetto equilibrio tra magnificenza e sobrie-tà a cui aveva pensato Elisa quando l’aveva ideata. Mia sorella Elisa or-dinò numerosi interventi, tesi a mo-dificare l’aspetto di Lucca secondo i suoi gusti personali. Uno dei più im-portanti fu l’apertura di una nuova porta, decisione che univa all’aspetto pratico di migliorare l’accessibilità al nucleo cittadino una profonda valen-za simbolica: la Principessa voleva che Lucca si aprisse verso est, ovvero verso Firenze, la rivale di sempre. Il messaggio era che la Toscana, di cui

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era stata nominata granduchessa il 3 marzo 1808, dovesse da allora con-siderarsi come territorio pacificato e unito sotto il suo governo. Il proget-to molto ambizioso prevedeva che la porta conducesse alla magnifica piazza intitolata a Napoleone tramite una strada ampia e porticata. Porta Elisa era dunque pensata come arco di trionfo sotto il quale si sarebbe passati dopo aver percorso un ampio viale alberato, tratto finale (per chi arrivava) della strada che avrebbe unito Lucca a Firenze. Ma anche in questo caso i piani “faraonici” dovet-tero essere rivisti al ribasso e la porta venne eretta nel 1811 utilizzando an-che marmi provenienti dalla demoli-zione della chiesa della Madonna. Il risultato scontentò tutti, tanto da ge-nerare una copiosa serie di proposte

migliorative, ma solo nel 1937 saran-no aggiunti i due fornici laterali. Nel 1812 cominciarono i lavori della Via Elisa, affidati all’architetto Giuseppe Marchelli, fresco di un soggiorno a Parigi dove aveva potuto perfezionar-si osservando i recenti cambiamenti che avevano interessato la capitale dell’Impero.

Bagni di Lucca Molti luoghi della Toscana sono

legati al nome di Elisa: non soltanto le città che ha voluto abbellire e am-modernare, ma anche siti immersi nella natura come i Bagni di Lucca. Le sorgenti termali erano già apprez-zate dagli antichi Romani, ma fu la contessa Matilde di Canossa nell’XI secolo ad avviare quello che sarebbe stato il primo periodo di splendore del

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complesso. Ci vollero però il fascino e l’abilità di mia sorella a innalzare i Bagni alla fama internazionale. Il pe-riodo napoleonico fu un concentrato di grandi e piccole rivoluzioni, anche nella vita quotidiana. Fu proprio al-lora, per esempio, che venne adottata la vasca individuale al posto di quelle comuni, retaggio di una lunga tradi-zione che risaliva ai Romani. Il piano di ammodernamento riguardò diversi bagni, come il Bagno Bernabò, fon-dato nel 1593, che venne ingentilito da un nuovo prospetto con loggiato aperto, mentre i due corpi laterali consentivano un accesso differenzia-to per classe sociale: la Rivoluzione Francese aveva abbattuto molte bar-riere, ma evidentemente non questa.

Particolare attenzione fu riservata ai Bagni Caldi, le terme più antiche del sito, destinate a diventare il fiore all’occhiello di un “pacchetto all-in-clusive” che comprendeva trattamen-ti in un centro di cura all’avanguar-dia, ma anche momenti di svago e divertimento da trascorrere nella sala da ballo e nel casinò appena costruiti. Una delle due grotte a vapore natu-rale deve il suo nome alla principessa Borghese, l’altra nostra sorella Paoli-na, più volte ospite della struttura.

Isola d’Elba Il nostro viaggio approda ora

all’Isola d’Elba e a quella Villa San Martino che Napoleone elesse a sua residenza privata durante i dieci mesi

Lucca, stabilimento termale Bernabò

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di esilio, dal 4 maggio del 1814 al 26 febbraio dell’anno successivo. L’ar-chitetto Paolo Bargigli, che aveva già lavorato per Elisa (ricordate Piazza degli Aranci a Massa e il Teatro de-gli Impavidi a Sarzana?), ricevette l’incarico di trasformare una villa circondata da boschi e vigneti in una residenza privata degna di accogliere un imperatore, anche se ormai privo del suo impero. Lo standard qualita-tivo doveva essere quello di Parigi e per adeguarvisi l’edifico fu ingrandito e il prospetto fu aperto su un giardino pensile: da qui l’illustre esiliato poteva ammirare una spettacolare vista sul-la rada di Portoferraio e voi visitatori moderni condividete oggi quel privi-legio. Le decorazioni pittoriche sono opera dell’artista torinese Antonio Vincenzo Revelli che dedicò gli af-freschi della Stanza del Nodo d’amo-re all’unione di Napoleone con Maria Luisa d’Asburgo, mentre la Sala Egi-zia presenta una vasca ottagonale da cui spuntavano piante di papiro, un chiaro rimando alla campagna napo-leonica in Egitto, al pari dei motivi a geroglifici e alle piramidi che ricopro-no le pareti. Dopo la rocambolesca partenza di Napoleone dall’Elba, Vil-la San Martino rimase abbandonata per qualche tempo fino all’acquisto da parte del principe russo Anatolio Demidoff, che aveva sposato nostra nipote Matilda, figlia di nostro fratello Gerolamo. A lui si deve la creazione di una galleria – che oggi porta il suo nome - , in cui vennero esposti cimeli e opere d’arte a ricordo e celebrazio-ne del mito napoleonico. Insieme alla Palazzina dei Mulini Villa San Marti-no è sede del Museo Nazionale delle Residenze Napoleoniche dell’Isola d’Elba.

MaremmaAncora in epoca napoleonica la

Maremma era una terra selvaggia, flagellata dalla malaria che ogni anno riscuoteva dagli abitanti il con-sueto e sempre pesante tributo di vite umane. Etruschi e Romani avevano valorizzato i siti della costa e i centri termali come Saturnia, mentre sotto il governo di Siena si preferì investire nello sviluppo di nuovi centri nell’en-troterra per sfruttarne le miniere. In seguito il pendolo della storia spostò di nuovo l’attenzione verso la costa e Fiorentini e Spagnoli prestarono at-tenzione soprattutto alla difesa della costa, provvedendo alla fortificazione di siti come Talamone, Orbetello e Porto Ercole. Leopoldo II d’Asburgo-Lorena (1747-1792), granduca di Toscana con il nome di Pietro Leo-poldo, diede avvio all’opera di bonifi-ca delle paludi per guarire quella che chiamava la “figlia inferma”, la sua Maremma. Ma l’operazione fu parti-colarmente lunga e laboriosa, tanto che potè dirsi conclusa soltanto dopo la caduta del regime fascista. Oltre a migliorare la qualità di vita dei ma-remmani, la bonifica consentì l’im-pianto di nuove colture e la costruzio-ne di nuove infrastrutture, volano per un’economia che cominciò a crescere in fretta, soprattutto da quando il tu-rismo ha scoperto le perle del litorale, da Punta Ala all’Argentario.Nonostante le profonde trasforma-zioni subite dal territorio, i caratteri tipici della Maremma non sono an-dati perduti grazie all’istituzione di aree naturali protette, come il Parco Interprovinciale di Montioni con gli antichi insediamenti legati all’estra-zione mineraria. Per natura fieri e gelosi della propria indipendenza

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(come noi Corsi) i maremmani non accolsero con favore i nuovi regnanti e i malumori sfociarono in aperte ri-volte tra il 1800 e il 1801 a Prata di Massa Marittima e in frequenti imbo-

scate contro le truppe francesi. Sol-tanto l’accorta opera di ricomposizio-ne promossa da Gioacchino Murat, all’epoca comandante francese in To-scana, portò alla pacificazione grazie

Lucca, Palazzo Ducale

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a un’amnistia che graziava i respon-sabili dei disordini. Forse è bene fare un veloce ripasso di storia per ricapi-tolare i vari passaggi di potere, a co-minciare da quando, con il trattato di Lunèville del 1801, l’Austria cedette alla Francia il Granducato di Toscana che venne subito soppresso per dare vita al Regno d’Etruria. Come ho già ricordato, nel 1805 Napoleone istitu-iva il Principato di Lucca e Piombino che assegnava a nostra sorella Eli-sa. Due anni dopo, nel dicembre del 1807, anche il Regno d’Etruria veni-va archiviato con l’annessione diretta all’Impero Francese e la nomina di Elisa a granduchessa di Toscana. In quel periodo, fino alla caduta di Na-poleone, la Maremma rientrava nel dipartimento dell’Ombrone che ave-va per capoluogo Siena.Ma torniamo a Montioni: di quel borgo che un tempo era denomina-to Comune di Elisa, mentre oggi si chiama Montioni Nuovo, restano alcune testimonianze dirette come alcuni edifici adibiti ad abitazioni, il forno per l’allume, il bagno termale, una cisterna e una stele celebrativa. In particolare un edificio è stato re-staurato di recente per mostrare ai visitatori come viveva la comunità del villaggio minerario, composta da operai delle miniere, tagliaboschi, carbonai e vetturini. Si conserva an-che il Palazzo del Direttore: il primo a ricoprire questo incarico fu il francese naturalizzato toscano Louis Charles Marie Porte (1799-1843) che riuscì a entrare nelle grazie di Elisa e di suo marito Felice Baciocchi. Mia sorella si era messa in testa di puntare sulle allumiere e sul patrimonio boschivo di Montioni per sviluppare l’econo-mia del Principato. In quell’epoca la comunità mineraria arrivò a con-

tare oltre 400 addetti impegnati nei lavori nelle cave, nelle fornaci e nelle caldaie o come vetturini e tagliatori. Provenivano dalle montagne tosca-ne, lucchesi e modenesi ed erano in prevalenza stagionali. Se foste passati da queste parti allora, vi sareste sicu-ramente sorpresi nel vedere all’opera anche numerosi dromedari. Fu pro-prio Porte a introdurre questi anima-li esotici per il trasporto dell’allume dalle miniere al porto di Follonica.

Da Grosseto verso la maremma laziale

La città di Grosseto può essere presa come punto di partenza per un itinerario molto bello e istrutti-vo che unisce tesori d’arte e bellez-ze naturali. Per conoscere la storia del territorio la prima tappa non può che essere l’Archivio di Stato in Piazza Socci, dove sono conservati importanti documenti del periodo della dominazione francese. Il vici-no Museo Archeologico e dell’arte della Maremma custodisce invece un calice e una patena, doni secondo la tradizione di Napoleone al vescovo della città monsignor Fabrizio Selvi. Il nostro itinerario prosegue verso il mare e raggiunge prima Marina di Grosseto e poi attraversa Castiglione della Pescaia per entrare nel Golfo di Follonica. In epoca napoleonica Ca-stiglione confinava con il Principato di Piombino e rivestiva un importan-te ruolo nel trasporto marittimo di ferro e allume da e per l’Isola d’Elba, la Corsica e la Francia. A Follonica vi invito a visitare il Museo del ferro e della ghisa ricavato all’interno del-lo stabilimento, mentre la vasca da bagno di Elisa è esposta nel giardi-no di Villa Granducale, oggi sede del Corpo Forestale.

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Collezionista d’arteCardinale Joseph Fesch

el più maestoso ritratto di famiglia

che sia mai stato dipinto, ovvero l’Incoronazione di

Napoleone, compaio anch’io: mi trovate in mezzo al

gruppo di osservatori raffigurati nell’angolo in basso

a destra, alle spalle del papa. A onor del vero la gigan-

tesca opera di Jacques-Louis David esposta al Louvre

rappresenta l’incoronazione di sua moglie Giuseppina,

ma la sostanza non cambia: il quadro immortala un

avvenimento senza precedenti, l’apoteosi di un uomo

che si è fatto da sè fino ad arrivare a 35 anni a porsi

da solo sul capo la corona di imperatore dei Francesi.

Ma il particolare più emblematico è il ruolo di secondo

N

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piano in cui viene relegato Pio VII. Fui io a convincere

Sua Santità a venire a Parigi per assistere a quella

fastosa cerimonia che aveva più del rito pagano che

della celebrazione cattolica. Ma è ora che mi presen-

ti: il mio nome è Joseph Fesch e sono nato ad Ajaccio

nel 1763. Dunque solo sei anni mi separavano da mio

nipote Napoleone, secondogenito della mia sorellastra

Letizia Ramolino, anche se è facile cucirmi addosso il

ruolo del “vecchio zio prete”. Mio padre era un capi-

tano svizzero al servizio della Repubblica di Genova e

aveva sposato la vedova di Giovanni Geronimo Ramo-

lino, già madre di Letizia. Venni consacrato prete pri-

ma dello scoppio della Rivoluzione Francese che anche

per me segnò una cesura molto netta, spingendomi ad

aderire alla Costituzione Civile del Clero e poi a ri-

nunciare all’abito talare per accodarmi al seguito di

Napoleone nella prima campagna d’Italia, in qualità

di Commissario dell’esercito francese. Fu in Italia che

scoprii il meraviglioso mondo dell’arte rimanendone

innamorato per sempre! Ma la parabola rivoluziona-

ria era già entrata nella sua fase calante e nel 1801

Napoleone e papa Pio VII firmarono il Concordato con

cui il Cattolicesimo veniva riconosciuto come la reli-

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gione della maggioranza dei Francesi, pur non essendo

religione di Stato, in cambio del riconoscimento della

Repubblica come legittima forma di governo da parte

della Santa Sede. Per me venne il momento di rientra-

re in seno alla Chiesa e la mia carriera ebbe una ra-

pida accelerazione: divenni arcivescovo di Lione e poi

cardinale di San Lorenzo in Lucina a Roma, dove in

pratica esercitai il ruolo di ambasciatore francese. Ot-

tenni anche la carica di gran cappellano dell’Impero

di Francia, ma a questo punto avvenne una nuova rot-

tura. Questa volta però non seguii Napoleone, schie-

randomi invece apertamente con il pontefice. La pagai

perdendo tutti i benefici che avevo accumulato: venni

mandato in esilio a Roma dove nel 1814 mi sistemai

a Palazzo Falconieri. Poco tempo dopo Napoleone si

sarebbe dovuto arrendere definitivamente, mentre io

continuai a condurre una vita dedita ormai soltanto

all’arte e alla beneficenza. Non dimenticai mai la mia

Ajaccio per la quale mi impegnai in numerose opere

di carità e che volli arricchire di un moderno centro di

studi, quel Palazzo Fesch che dopo la mia morte, av-

venuta nel 1839, avrebbe accolto la mia ricchissima

collezione d’arte.

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L’itinerario in cui voglio ac-compagnarvi prende le mosse da Palazzo Fesch, dove ancora oggi sono esposte numerose opere che mi ritraggono. Non sono soltanto delle “fotografie” dipinte per im-mortalare lo status ecclesiastico che ho raggiunto, ma anche delle testimonianze dirette della mia grande passione per l’arte. Nel ritratto realizzato da Antoine-Claude Fleury, mi vedete seduto alla mia scrivania mentre redi-go il Concordato. Indosso la ve-ste cardinalizia e porto la croce pettorale. In quello realizzato da Jérôme Maglioli otto anni dopo la mia morte, invece, sono in piedi e indosso l’abito talare. Se guarda-te sotto il tavolo, vi trovate nume-rosi dipinti, “spia” del mio amo-re per l’arte. C’è poi un ritratto opera di Jules Pasqualini, in cui compaio seduto su una poltrona dai bordi di legno dorato men-tre tengo in mano una lettera. In questo caso guardo direttamente negli occhi il pittore e alla deco-razione della Legione d’Onore si

sovrappone la croce, a richiama-re – neppure troppo velatamen-te – la preminenza della seconda sulla prima: io ero uomo di Chie-sa prima che zio dell’Imperatore! Ma i miei ritratti non sono solo dipinti sulla tela: il Museo con-serva infatti un busto in marmo del grande Antonio Canova, com-missionato nel 1807 ma realizza-to l’anno seguente. Cambia la tecnica ma non la mia espressio-ne che rimane calma e composta, anche se lo sguardo non trattiene un lampo d’arguzia. Nel cortile del Palazzo, poi, trova posto una statua commemorativa, opera di Vital-Gabriel Dubray. Lasciate che vi racconti in breve la storia di questo monumento: commissionato dalla Municipa-lità di Ajaccio che aveva ottenu-to la preventiva autorizzazione imperiale, venne eretto nel 1856 su progetto di Jérôme Maglioli. Il Consiglio Municipale aveva votato lo stanziamento di 40 mila fran-chi per la sua realizzazione, ma la somma non era nelle disponibi-

Carloforte

Ajaccio

Grosseto

Livorno

LuccaPisa

Massa

MARLIGURE TOSCANA

Isolad’Elba

CORSICA

SARDEGNA

LIGURIA EMILIA ROMAGNAPIEMONTE

MARTIRRENOMAR

DI

SARDEGNA

Savona

Arno

Flumendosa

Arcipelago Toscano

Albenga La Spezia

Roma

LAZIO

UMBRIA

Tevere

MARCHE

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lità della città e quindi si dovette richiedere un prestito. L’artista non fu libero di scegliere da sé i temi dei bassorilievi, ma dovette assecondare le richieste del Con-siglio che prescrisse queste scene: la mia consacrazione ad arcive-scovo di Lione, la fondazione di scuole cristiane e la mia figura di protettore delle Belle Arti. Ma all’inaugurazione avvenuta il 15 agosto del 1856 il Consiglio Mu-nicipale rimase deluso dall’opera perchè riteneva che i miei ritratti non fossero fedeli. L’artista però non si scompose e quando venne invitato a giustificarsi spiegò che si era servito della collaborazione del pittore Jules Pasqualini che mi aveva conosciuto di persona e che anzi aveva goduto della mia protezione.

CorsicaAjaccio

A Palazzo Fesch si intreccia-no i ricordi della mia storia perso-nale e quella dei due Napoleoni, il primo e il terzo (Napoleone II, lo sfortunato figlio del Piccolo Ca-porale e di Maria Luisa d’Asbur-go fu imperatore dei Francesi solo virtualmente e per pochi giorni in seguito alle due abdicazioni di suo padre). In particolare la Cap-pella Imperiale, ricavata nell’ala destra del mio Palazzo, riporta ai fasti di Napoleone III che la volle per rispettare le mie disposizioni testamentarie, disattese invece da mio nipote Giuseppe che era stato l’esecutore testamentario. L’ope-ra venne realizzata dall’architet-to Alexis Paccard tra il 1857 e il 1859 con una struttura a croce

latina, tre navate e una cupola che si eleva all’incrocio dei bracci. Quello stesso Jèrôme Maglioli che abbiamo già incontrato fu l’auto-re delle decorazioni monocrome che ricoprono l’interno della Cap-pella. Fate correre gli occhi sulle vetrate e lì incontreranno i sim-boli imperiali uniti ai miei attri-buti ecclesiastici e alla F di Fesch, mentre un’iscrizione in latino po-sta sul frontone della facciata mi commemora insieme ai genitori di Napoleone e a Napoleone III. La cripta, dalla forma ottagona-le con un rivestimento in marmo bianco, ospita i miei resti mor-tali e quelli di altri componen-ti della famiglia Bonaparte, da Letizia e Carlo Maria, fino al principe Louis-Napolèon, mor-to nel 1997. Un crocifisso copto donato dallo stesso Napoleone ricorda ancora la sua campa-gna in Egitto e in Siria. Duran-te quella spedizione in Oriente valutò l’ipotesi di abbracciare la fede musulmana per compiacere gli Arabi e addirittura di fonda-re una nuova religione, ma poi abbandonò entrambi i progetti. Da uomo di chiesa non posso che raccomandarvi una visita alla Cattedrale di Santa Maria As-sunta (Nôtre-Dame de l’Assom-ption): per la comunità còrsa è il cuore della vita religiosa e proprio qui, il 21 luglio del 1771, ricevet-te il battesimo Napoleone insie-me a Maria Anna, la terza delle sorelle a cui i genitori imposero quel nome, nessuna delle quali purtroppo superò il primo anno di vita. Il registro della Cattedrale conserva ancora l’atto del battesi-

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Il Leonardo del CardinalePalazzo Falconieri sulla via Giulia a Roma, residenza del cardinale Fesch,

divenne presto insufficiente per ospitare la sua immensa collezione d’arte. Lo zio di Napoleone dovette così affittare un secondo Palazzo, il Ricci-Paracciani, per collocarvi i dipinti che comprava sul mercato antiquario. Non aveva remore a girare lui stesso per le botteghe, dove il suo occhio d’esperto sapeva distinguere le opere di valore dalle croste. Il suo colpo più clamoroso fu l’acquisto in due parti del “San Girolamo” di Leonardo (datato attorno al 1480) oggi conservato ai Musei Vaticani. Un giorno individuò una mezza tavola con la raffigurazione di un leone e parte del corpo di un anacoreta. Solo più tardi scoprì da un altro antiquario il resto della tavola, ovvero la testa del Santo.

mo con l’indicazione del padrino e della madrina, rispettivamente Lorenzo Giuberga e Geltruda Bo-naparte, amico e sorella maggiore del capofamiglia Carlo Maria. Vi-cino all’entrata, una targa riporta le ultime volontà di Napoleone, esiliato a Sant’Elena. Qualora gli fosse stato negato che le sue spo-glie riposassero a Parigi, avrebbe voluto essere seppellito “vicino ai miei antenati nella Cattedrale di Ajaccio, in Corsica”. Nell’area di un precedente edificio di culto venne eretta l’attuale Cattedrale i cui lavori iniziarono nel 1554, mentre la consacrazione ebbe luogo solo nel 1593. Guardando sopra il portale potrete osservare lo stemma nobiliare, un castel-lo e un’aquila ad ali spiegate, di monsignor Giulio Giustiniani a cui si deve l’avvio dei lavori. La Cattedrale presenta una pianta a tre navate con transetto poco sviluppato e ampio coro, mentre lungo le navate laterali si aprono tre cappelle per parte. A Nostra Signora della Misericordia è de-dicata la più importante, in cui è esposta una statua della Madon-

na, perfetta riproduzione di un’ef-figie venerata a Savona e chiama-ta Madonnuccia dagli abitanti di Ajaccio. Tra le opere d’arte di cui è ricca la chiesa mi soffermo al-meno sulle pitture murali attri-buite a Domenico del Tintoretto e su un piccolo quadro di Eugène Delacroix raffigurante la Vergine del Sacro Cuore (datato 1822). Permettetemi di intrattenervi an-cora un poco nella mia amata cit-tà, giusto il tempo di guidarvi nel Salone Napoleonico dell’Hôtel de Ville dove sono custoditi un busto di Napoleone, opera di Antoine Denis Chaudet, e una vetrina ot-tocentesca in legno bianco e dora-to contenente l’Atto di Battesimo dell’Imperatore. L’inconfondibile iniziale di Napoleone, coronata e cinta di alloro sta a guardia di un manoscritto segnato dal tempo e ricoperto da una fitta scrittura corsiva. Avvicinandosi è possibi-le leggere sulla pagina di sinistra il nome di Napoleone e poco più sotto quello della sua sfortunata sorellina Maria Anna. Gli studio-si, in realtà, dibattono sull’effetti-

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va autenticità del documento che proviene direttamente dal mio lascito: insieme ad altri oggetti e mobili lo conservavo nel mio pa-lazzo romano.

SardegnaCarloforte

Nell’epoca turbolenta in cui siamo vissuti io e i componenti del “clan” Bonaparte le chiese hanno rappresentato anche un rifugio e un luogo dove esprimere con preghiere e con opere la rico-noscenza per i pericoli scampati. Molti uomini di fede hanno of-ferto chiari esempi di carità e di dedizione alla propria comunità. È il caso per esempio del giovane sacerdote Nicolò Segni che per cinque anni, dal 1798 al 1803, diede conforto ai suoi concittadi-ni di Carloforte rapiti da pirati tunisini durante un’incursione e

deportati in Nord Africa. Il prete rinfocolò la loro fede nella Ver-gine Maria, anche sotto forma di devozione per una scultura lignea rinvenuta su una spiaggia vicino a Tunisi, venerata come un’effi-gie della Madre di Dio (anche se probabilmente si trattava di una polena di nave). Tornati final-mente sulla piccola isola di San Pietro, don Segni fece erigere un oratorio per custodire quella im-magine che tanto era stata loro di consolazione e motivo di spe-ranza. L’Oratorio della Madonna dello Schiavo è chiamato nel dia-letto locale di impronta genove-se “Gexetta d’u Prevìn”, ovvero la “chiesetta del pretino”. Nella chiesetta sono conservate anche altre testimonianze di quella drammatica deportazione: nella controfacciata riposano i resti di uno schiavo ignoto traslati da Tunisi nel 1988, mentre una

Ajaccio la statua dedicata al cardinale Fesch e la Cappella Imperiale

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targa apposta nel medesimo anno commemora i 117 isolani mor-ti sul suolo africano. Mio nipote Napoleone diede il suo contributo alla liberazione degli schiavi, sol-lecitando l’intervento del console francese presso il Bey tunisino, ma solo dietro il pagamento di un ingente riscatto da parte del re Carlo Emanuele IV di Savoia si ottenne il sospirato lieto fine. Nella stessa cittadina di Carlo-forte, centro principale dell’Iso-la di San Pietro, potete visitare anche la chiesa dei Novelli Inno-centi. Lasciate che ve ne racconti la storia che riporta indietro al Medioevo, quando, agli inizi del XIII secolo, un gruppo di Crociati ancora fanciulli avrebbe lascia-to Marsiglia per andare in Terra Santa. Il convoglio era composto da sette navi, due delle quali nau-fragarono davanti all’isola di San Pietro. Papa Gregorio IX chiese che in loro memoria venisse co-struita una piccola chiesa. Sorse così la chiesetta dei Novelli Inno-centi sulle cui rovine secoli dopo intervenne con ogni probabilità l’architetto tardobarocco Augu-sto della Vallea, già impegnato nel 1738 ad apportare migliorie all’assetto urbano di Carloforte. Lo stile piemontese è messo in evidenza dalla semplicità armo-niosa delle linee architettoniche con i pinnacoli della facciata che richiamano le realizzazioni di Filippo Juvarra, l’architetto dei Savoia. All’interno della chieset-ta riposa il combattivo ammira-glio Vittorio Porcile che sconfisse la flotta franco-còrsa alla quale partecipò Napoleone. Come vi ha

già raccontato mio nipote nell’iti-nerario alla scoperta dei siti mili-tari, lui era partito dalla Corsica alla conquista della Sardegna, ma nelle acque davanti a La Madda-lena tra il 24 e il 25 febbraio del 1793 si era scontrato con l’ina-spettata reazione dei Sabaudi. La famiglia dell’Ammiraglio aveva poi provveduto al restauro della chiesetta che era stata riaperta al culto alla fine del 1796. In segui-to l’edificio rimase inaccessibile per un lungo periodo, finchè non venne nuovamente riaperto nel 1928. In epoca più recente, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, è stato oggetto di un re-stauro conservativo.

ToscanaMassa

Proseguiamo il nostro itinera-rio sui luoghi di fede approdando in Continente, con una tappa alla Cattedrale dei Santi Francesco e Pietro a Massa. L’edificio sorse come chiesa conventuale france-scana e la sua genesi si collega al papa umanista Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Fu lui a concedere nel 1460 alla marche-sa Taddea Pico della Mirandola, consorte di Jacopo Malaspina marchese di Massa, la facoltà di erigere un convento per i Frati Minori Osservanti. Poco meno di due secoli dopo, nel 1629, l’inge-gnere Gian Francesco Bergamini di Carrara operò una profonda trasformazione sulla struttura dell’edificio che venne quasi com-pletamente ricostruito. Mia nipo-te, la volitiva principessa Elisa, nel 1807 ordinò l’abbattimento

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Carloforte, chiesetta dei Novelli Innocenti

dell’antica chiesa di San Pietro e come effetto di quella decisione ne conseguì che la vicina chie-sa di San Francesco e l’annesso convento dovettero accogliere il capitolo di San Pietro e assumere la doppia titolazione, diventando al contempo “chiesa abbaziale”. Pochi anni dopo, nel 1821, quan-do fu istituita la Diocesi di Mas-sa, la chiesa dei Santi Francesco e Pietro fu eretta a Cattedrale.

PisaLa tappa successiva del no-

stro viaggio ci porta in un luogo il cui nome può risuonare lugu-bre, ma che in realtà rappresenta uno dei monumenti più insigni e

ricchi di storia di Pisa, il Campo-santo. Venne fondato nel lonta-no 1277 per ospitare i sarcofagi di epoca romana, fino ad allora disseminati attorno alla Catte-drale e riutilizzati per accogliere le spoglie dei Pisani più illustri. Nei due secoli successivi le sue pareti vennero affrescate con im-portanti cicli pittorici (impossi-bile non citare almeno il Trionfo della Morte realizzato da Buona-mico Buffalmacco tra il 1336 e il 1341). Queste caratteristiche fe-cero sì che il Camposanto, anche in conseguenza delle soppressioni napoleoniche, divenisse al princi-pio dell’Ottocento uno dei primi musei pubblici d’Europa, ricco di

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straordinarie opere d’arte prove-nienti dalle chiese e dai monasteri soppressi.

Isola d’ElbaIl nome dell’Isola d’Elba è

indissolubilmente legato a quel-lo di mio nipote Napoleone che qui trascorse dieci mesi in esilio. I turisti visitano le sue due re-sidenze, ora Musei, ma non do-vrebbero tralasciare altri luoghi, come il Santuario della Madon-na del Monte a Marciana, il più antico e venerato dell’isola. Vi si arriva percorrendo un suggestivo sentiero segnato dalle 14 cappel-le della Via Crucis e al suo inter-no è custodita un’immagine della Madonna Assunta, dipinta su un blocco di granito murato nella parete, risalente al XIII-XIV se-colo, mentre dietro un altare in marmo del 1661 sono stati rin-venuti affreschi attribuiti a Gio-vanni Antonio Bazzi detto Il Sodoma. La tradizione vuole che Napoleone abbia scoperto il San-tuario in una delle sue escursioni a cavallo, rimanendo colpito dal-la bellezza del sito e dalla straor-dinaria vista che spazia fino alla Corsica. L’Imperatore vi si trat-tenne per un breve periodo, dal 23 agosto al 14 settembre 1814, proprio mentre la sua amante, la contessa Maria Walewska, sbar-cava all’Elba in compagnia del piccolo Alessandro, avuto da lui. Per qualche giorno i tre si unirono a formare una parvenza di fami-glia e l’Imperatore potè allonta-nare la tristezza per l’abbando-no dell’Imperatrice e soprattutto per la lontananza di suo figlio, il piccolo Napoleone II.

GrossetoPer raggiungere i suoi scopi

mio nipote Napoleone era pronto a tutto: diceva anzi di essere di-sposto senza problemi a baciare il fondoschiena di chiunque in quel momento gli servisse. Non ebbe scrupoli a far arrestare il papa, ma era perfettamente consapevole del ruolo rivestito dagli uomini di fede e sapeva come ingraziarseli quando ne aveva bisogno. Non le-sinava infatti doni “diplomatici” e alla sua personale generosità può forse essere ricondotto un calice in argento oggi conservato nel Museo Archeologico e d’Arte della Ma-remma di Grosseto. Fu realizzato a Parigi tra il 1811 e il 1813 e pre-senta un piede circolare zigrinato e tre cartelle con simboli dell’eu-caristia e della passione alternate a grappoli d’uva nel corpo, mentre nella coppa ci sono tre medaglioni con i simboli della passione e San Lorenzo, protettore di Grosseto, a cui è intitolata la Cattedrale; nel cavetto della patena, infine, è rap-presentata l’Ultima Cena. Si rac-conta che il calice sia stato donato personalmente da Napoleone Bo-naparte a Monsignor Fabrizio Sel-vi, vescovo di Grosseto (dal 1793 al 1835). L’argomento è oggetto di discussione. È certo però che Selvi appartenesse a un gruppo di prela-ti filo napoleonici (detti “rossi”) e che venne insignito dell’Ordre Im-perial dè la Rèunion (1814). Il ca-lice fu realizzato a Parigi dall’orafo J.-B. Famechon, attivo fra il 1789 e il 1820. Come uomo di Chiesa vedo in questo rovescio della for-tuna l’ennesima conferma che le opere degli uomini passano, men-tre quelle dello spirito restano.

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Grosseto, Museo Archeologico e d’Arte della Maremma. Calice in argento

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Una donna di polsoElisa Baciocchi

i chiamo Maria Anna, in ricordo

di due sorelle morte prematuramente, ma per tutti sono

Elisa. Nata ad Ajaccio nel 1777, la lasciai presto per

studiare in un convitto parigino. Dopo una breve ricon-

giunzione con i miei familiari a Marsiglia, tornai a Parigi

e nel 1797, nonostante il disappunto del mio esimio fra-

tello, sposai il Capitano Felice Baciocchi. Da poco Impe-

ratore, Napoleone, nel 1805 ci nominò principi di Lucca

e Piombino. Un anno dopo il nostro dominio si estese al

Ducato di Mantova ed al Marchesato di Carrara. Nel

1809 ero granduchessa di Toscana, inquilina di quel

Palazzo Pitti di Firenze da me in parte impreziosito.

M

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Fui una donna di polso, al punto che Napoleone, mi defi-

nì spesso “il migliore dei miei ministri!”. Ligia al suo stile

ed al suo metodo, regnai con severità e intraprendenza

mutando, in soli nove anni, il volto del mio piccolo Im-

pero e promulgando riforme come il “Codice rurale del

Principato di Piombino” del 24 marzo 1808 ed un nuovo

codice penale. Sempre al passo con la moda del tem-

po, sprigionavo femminilità, come ben denota il busto

conservato al Museo Fesch di Ajaccio che mi raffigura

con i capelli trattenuti da una fascia ornata di stelle da

cui sfuggono morbidi riccioli a contorno del viso. Le mie

armi? Eleganza, razionalità e saggio uso dell’architettu-

ra. I miei atti di “francesizzazione” spesso furono accolti

con diffidenza e fra il popolo mi guadagnai il nomignolo

di La Madame. Ma io non me ne curai.

La caduta di Napoleone ci costrinse a lasciare la Tosca-

na. Riparammo a Bologna e poi a Vienna ove fui anche

rinchiusa nello Spielberg. Trascorsi gli ultimi anni tra

Trieste e Bologna ove riposo nella Basilica di San Petro-

nio, dopo che, a soli 43 anni, prima dei fratelli Bonapar-

te, passai alla cosiddetta “miglior vita”.

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Da qui inizia il mio viaggio, se-guitemi!Un perimetro di mura cinque-centesche che cela l’armonia di strade e piazzette d’ impronta medievale, ariosi slarghi che si spalancano teatralmente al co-spetto di nobili residenze. È la beltà di Lucca, città che nei nove anni di mio governo, dal 1805 al 1814, reinterpretai con estro e determinazione, avviando tra gli altri anche il grande proget-to dell’acquedotto. E nei panni di vera sovrana, vorrei mostrarmi a voi dal dipinto che mi raffi gura con l’abito ed i monili indossati per l’Incoronazione di Napoleone nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, alla presenza di papa Pio VII. Un quadro che ben eviden-zia i simboli del potere Imperiale e che solo nel 1929 fu attribuito alla sua vera autrice, Marie – Guillemine Benoist, pittrice molto vicina allo stile di Gérard, artista per me insuperabile. È conservato alla Pinacoteca del Museo Nazio-nale di Palazzo Mansi, in via Galli

Tassi 43, che vanta i capolavori lasciati da Leopoldo II d’Asbur-go Lorena ed opere di donazioni private. Seguitemi ora a Palazzo Ducale dove aleggia ancora un lontano senso di magnifi cenza. Di grandeur, appunto.

ToscanaLuccaPiazza Napoleone e Palazzo Ducale

Finalmente sgombra dalle auto, Piazza Napoleone è tornata ad es-sere la piazza grande di un tem-po. L’idea di aprire uno spiazzo di stampo francese dinanzi alla mia regale dimora, scatenò le ire del popolo. Non tenni conto delle proteste e feci così abbattere pro-prietà private, l’Archivio, la Torre di Palazzo e i Magazzini del Sale. Nessuno scampo anche per la cin-quecentesca chiesa di San Pietro in Cortina, in cui si venerava una mi-racolosa immagine della Madonna dei Miracoli. Traslata nottetem-po l’effi gie della Vergine, la piaz-

Ajaccio

Grosseto

LivornoLucca

Pisa

Massa

MARLIGURE TOSCANA

Isolad’Elba

CORSICA

SARDEGNA

LIGURIAEMILIA ROMAGNA

PIEMONTE

LOMBARDIAVENETO

MARTIRRENO

Savona

Arno

Po

Arcipelago Toscano

AlbengaLa Spezia Carrara

Piombino

Roma

LAZIO

UMBRIA

ViareggioCapannori

CapannoliFirenze

Napoli

CAMPANIA

Bologna

FRIULIVENEZIA GIULIA

Trieste

TRENTINOALTO ADIGE

MARCHE

ABRUZZO

MOLISE

MARADRIATICO

Tevere

VALLED’AOSTA

Bagni di Lucca

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za potè così prendere forma. Fra indecisioni, rinvii, discussioni su come doveva essere il monumento celebrativo di Napoleone, non la vidi del tutto conclusa. La statua ad opera di Leopoldo Vannel-li fu consegnata solo dopo la mia partenza e per Lucca si prospet-tava un altro destino. Ed un’altra sovrana. Sul piedistallo vi saluta oggi Maria Luisa di Borbone, già regina d’Etruria, scolpita da Lo-renzo Bartolini.

Palazzo Ducale, ora sede del-la Provincia e della Prefettura, è permeato d’orgoglio lucchese. Sin dal 1316, quando su quest’area Castruccio Castracani eresse la fortezza Augusta. Il suo valore simbolico non sfuggì ai miei in-tenti di francesizzazione. Dato il via all’abbellimento della piazza, con Giovanni Lazzarini e Théo-dore Bienaimé pensai a riplasmare l’edificio che, lasciato incompleto da Bartolomeo Ammannati, nel primo ‘700 era stato rivisto dal geniale Filippo Juvarra. Nell’ala centrale, l’appartamento inverna-le degli Anziani lasciò spazio al Quartiere del Trono in cui vi invito ad ammirare le riproduzioni mo-derne dei parati in seta, realizzate in occasione del Giubileo del 2000 seguendo gli inventari dell’epo-ca. A me e Felice riservai stanze in puro stile Impero. Inutile dire che rinnovai gli arredi: raffinatis-simi mobili neoclassici all’opificio lucchese del francese J.B.G. Youf. Per dare visibilità al nuovo corso puntai soprattutto su tappezzerie e mobilia, di più veloce collocazione rispetto ad impegnative decora-zioni. Nel mio corredo figuravano

anche due diversi tipi di “tazze” o “chicchere” per servire la cioccola-ta, bevanda liquida del momento, e i “vasetti” dotati di manico, uti-lizzati per la mousse.Nel 1817 Maria Luisa di Borbone darà incarico a Lorenzo Nottoli-ni, Regio Architetto di Corte, di completare il cortile e ricostruire il ripido scalone di accesso al piano nobile.

Porta Elisa - Via ElisaVi invito, non senza un pizzico

d’orgoglio, ad entrare in città dal varco che reca il mio nome. Por-ta Elisa, come vi ha anticipato mio fratello Luciano, è l’urbano prolungamento della via Cassia. Un segnale che la città, con la riu-nione del Granducato, si apriva al mondo e a più distesi rapporti con Firenze. L’architetto Lazzarini, mi propose di rimodulare radicalmen-te un intero settore della città, ab-battendo chiese e varchi medieva-li. Viste però le limitate finanze la porta fu meno trionfale del previsto e provvidenziale fu il riutilizzo dei marmi della chiesa della Madonna. In linea con la porta, Via Elisa, ispirata alla parigina Rue de Rivo-li, era il trait d’union con Piazza Napoleone. Seppur realizzata solo in parte, denota le intenzioni ini-ziali. Grazie anche al porticato ne-oclassico che profila parzialmente il grandioso emiciclo e il rettilineo di Via Elisa. Fluidi elementi di raccordo, sono le sedi di rappre-sentanza dei due unici Alti funzio-nari di cui poteva disporre il Prin-cipato: Luigi Matteucci ministro della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri ; e il francese Jean-Baptiste Froussard, segretario di Stato e di

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Gabinetto. Rispettivamente al 40 e al 50 di Via Elisa, Palazzi Mat-teucci, già “delle Undici Arcate” (ora delle Religiose di Santa Maria e non visitabile) e Froussard (ora Sodini) hanno giocato un ruolo chiave nella riformulazione urba-nistica lucchese. Ben riconoscibili, presentano fattezze dell’inizio del XIX secolo impreziosite da grade-voli spazi verdi. Un affetto partico-lare mi lega al giardino di Palazzo Froussard. Allungato e vagamente triangolare, è noto come Giardino di Elisa. Per quanto modificato nella simmetria di aiuole, parterre e gradoni, custodisce gelosamente piante importanti a cui nel tempo si sono aggiunti un cedro del Li-bano, due magnolie, un leccio, ce-spugli e siepi.

Al di là dei muri di cinta degli alti palazzi che affacciano su Via Eli-sa, fra scorci di cielo e chiome di alberi secolari, si intuiscono spazi verdi a cui raramente si può ac-cedere. Fanno eccezione l’Orto Botanico di cui Luciano vi ha rifatto la storia e Villa Bottini, al civico 9, che ben si distacca dall’uniformità medievale di Luc-ca. Nota anche come Villa Buon-visi al Giardino, risale infatti alla seconda metà del XVI secolo Un vero gioiello, affrescato alla fine del ‘500 con scene mitologiche e allegoriche da Ventura Salimbeni, che Felice acquistò per 5000 fran-chi, nel dicembre1811. Durante la mia reggenza, le dipendenze del palazzo furono collocate nel vi-cino convento di San Micheletto. Restaurata e riaperta al pubblico è attuale sede dell’Ufficio Cultura e di un centro convegni.

Villa di MarliaGià nota nel XI secolo per le sue

terme, questo borgo adagiato nel verde delle prime alture a pochi chilometri dalle mura cittadine, stuzzicò la mia vanità femminile. Con il mio sostegno conquistò la fama di elegante luogo di villeggia-tura internazionale. Tutto ruotava attorno alle terme a Villa Reale di Marlia, che acquistammo dai conti Orsetti. Una simmetria di ambienti, scandita da ricorrenti elementi el-lenici tipici dei canoni neoclassici, e incorniciata da un bel loggiato e da una sequenza di aperture sul fronte posteriore. Al piano terreno aleggia l’eco dei balli dati nella grande sala affrescata da Stefano Tofanelli e Jean Baptiste Desmaires. Ac-quisiti terreni vicini, la dotai di un parco degno del suo ruolo, pren-dendo spunto dal giardino privato di Napoleone, a Malmaison. Il Tea-tro di roccia, d’acqua e di statue, il giardino dei limoni con la peschiera e le statue dell’Arno e del Serchio, che potete vedere nella parte alta del giardino, risalgono all’origina-rio disegno secentesco. Il mio gusto si avverte invece nella parte infe-riore del parco dove dilatai lo spa-zio prospettico antistante la Villa. Nella zona più bassa fu così creato un lago circondato da boschetti po-polati da daini, capre, pecore me-rinos e attraversati da ruscelli e da viottoli ombreggiati dafaggi, pini, lecci, querce, tigli, platani, ginkgo biloba, aceri, ippocastani. Di tali bellezze si beò poi Maria Luisa di Borbone che incaricò Lorenzo Not-tolini di costruire un osservatorio astronomico - la Specola. Dal 1923 la Villa e il parco sono proprietà dei conti Pecci Blunt.

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Felice e Elisa Napoleona BaciocchiFelice Pasquale Baciocchi, quel marito che seppi imporre al mio

ostinato fratello e che mi diede sei figli, era un nobile Còrso d’ origine genovese. Una coppia di successo, immortalata dal lucchese Stefano Tofanelli, Maestro di disegno e di pittura dell’Università e primo pittore di Corte, in due ritratti conservati a Palazzo Orsetti, ora sede del Comune di Lucca. Io appaio con l’abito in seta bianca dall’ampia scollatura bordata in pizzo indossato per la cerimonia dell’incoronazione di Napoleone a Nôtre Dame di Parigi, il 2 dicembre 1804; mentre Felice mostra le insegne del Toson d’oro e della Legion d’onore sull’uniforme di generale di Divisione in velluto azzurro profilata da ricami in oro. Avviato giovanissimo alla vita militare, una volta capitano del Reggimento Reale, fu destituito dalla Rivoluzione e costretto a emigrare. L’innata vocazione al comando dei Bonaparte fece di me la vera sovrana. Felice mi fu accanto, da buon principe consorte. Lo lasciai ahimè presto, ed una volta vedovo visse a Bologna, dove morì nel 1841. Elisa Napoleona, la nostra secondogenita, fu la sola dei nostri figli a raggiungere la maggiore età. Nata nel Palazzo Ducale di Lucca nel 1806, crebbe a Trieste. Dedita a lunghe cavalcate e al tiro con la balestra, amava poco l’etichetta, e ben presto rivelò il cipiglio materno ed una energia degna del padrino di cui portava il nome. Non fatevi fuorviare dall’apparente mitezza di quella bimba dalla semplice tunichetta bianca, amorevolmente poggiata a me nel dipinto di Pietro Nocchi esposto al Museo Fesch. Un’opera che, ad essere sincera, non mi soddisfò: pose troppo lunghe per me sempre presa da mille impegni, ma che ben incarna l’ingenua bellezza di mia figlia. Dopo il naufragio del breve matrimonio con il conte Filippo Camerata-Passionei di Mazzoleni e la nascita di un figlio, tornò a Trieste ospite di mia sorella Carolina nella reggia un tempo da me abitata. Vani i suoi tentativi di portare sul trono di Francia, vacante dopo l’abdicazione di Carlo X, Napoleone Francesco, unico figlio dell’Imperatore, prigioniero degli Asburgo.Tornò in campo dopo la prematura scomparsa del giovane (1832), a sostegno dell’ascesa al potere di un altro cugino, il futuro Napoleone III. Dopo la perdita del figlio in circostanze misteriose, si allontanò da corte. Soggiornò in Veneto, e poi in Bretagna impegnata nella creazione di allevamenti di pesca e della tenuta agricola di Korn-er-Hoüet, dove si spense nel 1869.

Viareggio e Villa PaolinaLe influenze imperiali conqui-

starono anche la Versilia, ove si diffuse fra la nobiltà la moda dei bagni estivi. Paolina, la mia vez-zosa sorella non si astenne da tale

novità, e sul litorale di Viareggio, in Via Machiavelli, nel 1822 diede via al cantiere di una bellissima residenza, ora sede dei Musei Ci-vici, dove visse momenti di sincero amore con il suo amante Giovanni

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Lucca, Villa di Marlia, e la palazzina con l’orologio

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Pacini, musicista che a Viareggio possedeva una casa. Giovanni Lazzarini, la pensò esternamente compatta, quasi massiccia, ma in-ternamente aperta su un intimo ed appartato cortile. In questo picco-lo mondo lontano dall’etichetta di Parigi, e dai fasti romani di Palaz-zo Borghese, dove Paolina viveva con il consorte Camillo, l’idillio si nutriva della complicità del mare e delle inebrianti fragranze del ro-mantico giardino. Dalle camere da letto e dai salotti, ornati dal pit-tore Federico Marsili con richiami abituali del repertorio decorativo del tempo, la vista spaziava sul-la spiaggia che, nel 1823 Paolina ottenne di poter utilizzare per rea-lizzare una doppia alberata.Alla morte di Paolina, nel 1825, la villa passò a Carolina, la no-stra sorella più piccola. Salita sul trono del Regno di Napoli, nel 1808, insieme al marito Gioacchi-no Murat, si occupò di arti e se-guì personalmente una campagna di scavo nell’area archeologica di Pompei. Quando Murat fu caccia-to da Napoli, Carolina si trasferì a Venezia, poi a Trieste dove accolse anche mia figlia Elisa Napoleona, e a Pizzo Calabro dove si spense il marito. In Austria convolò a nuo-ve nozze con il generale Francesco Macdonald, ma nel 1830 si ritirò a Firenze nel Palazzo di Annalena, sfarzosamente restaurato. Anni in cui soggiornò più volte a Viareg-gio, in questa villa degli affetti che ristrutturò in ricordo di Paolina.

Massa Palazzo Ducale e Piazza Aranci

Nelle retrovie a nord della Ver-silia, le terre di Massa furono an-

nesse al mio governo nel 1806. Mi piacque l’idea di trasferirmi, con tutta la corte, in quel Palazzo Ducale che Alberico I Cybo Mala-spina iniziò nel 1567, ma che solo nel Settecento, sotto la guida della duchessa Teresa Pamphili prese una forma definitiva. Seguendo i consigli prima del Bargigli (che nella vicina Sarzana aveva anche firmato il Teatro degli Impavidi) e poi da Giovanni Lazzarini, lo adattai alle mie esigenze, ricavan-do l’appartamento reale, le stanze per le dame e i cortigiani, il gran salone degli ufficiali. Sede della Provincia e della Pre-fettura, nonchè centro congres-suale e di eventi, nulla vi vieta comunque di sbirciare nel cortile mosso da un bel loggiato. Una monumentale scala conduce al Salone degli Svizzeri, ornato con eleganti motivi decorativi, e al suggestivo Salone degli Specchi. Dalla corte si accede anche al Nin-feo dal ricco ornato barocco, posto tra la Biblioteca Ducale e il Palco reale del teatro. Davanti al Palaz-zo, non senza abbattere un’antica chiesa secondo una prassi oramai divenuta regola, creai la quadran-golare Piazza Aranci. Il via ai la-vori fu dato il 7 agosto 1807 e per ovviare l’attenzione dalla demoli-zione della chiesa, raccontano che feci aprire un banco per l’estrazio-ne del lotto nel cortile di Palazzo Ducale. Io però non mi ricordo di questi futili dettagli.

CarraraA Carrara, volli lasciare un tem-

pio dell’arte, quella Accademia di cui Lorenzo Bartolini, fu uno dei più valenti professori. Artefice di

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Pisa,Villa Baciocchi (facciata sul giardino)

molte opere a tema imperiale, or-ganizzò la produzione scultorea come una vera impresa commer-ciale. Sua la mia effigie ufficiale e il busto di mio marito Felice oggi al Museo Civico Rivoltella di Trieste. Il calco, ritrovato solo nel 1981, è una rarità della gipsoteca dell’Ac-cademia, uno dei pochi modelli del Bartolini sopravvissuti alla solleva-zione antinapoleonica avvenuta a Carrara nella primavera del 1814. Lo scultore, dopo il 1815, fu pra-ticamente messo all’indice e molte sue opere distrutte.

Pisa Palazzo Lanfranchi

Sul lungarno Galilei di Pisa vi posso far rivivere l’atmosfera del salotto di Sophie Caudeiron. Si trovava a Palazzo Lanfranchi, dal 2007 Museo della Grafica in cui è esposta una raccolta di gra-fica dell’Ottocento e del Novecen-to tra le più importanti d’Italia e

d’Europa sorta nel 1957 per ini-ziativa di Carlo Ludovico Rag-ghianti. Il nome è ancora quello della famiglia pisana che lo edi-ficò, a partire dal 1539, su un precedente nucleo di case-torri. Ai miei tempi era già proprietà dei Vaccà Berlinghieri: Andrea, mio personale geriatra ed attivo sostenitori dei Bonaparte, fonda-tore della cattedra di Chirurgia all’Università Imperiale di Pisa, e sua moglie Sophie Caudeiron. Originari di Massa ma legati a Montefoscoli, dove avevano una casa ora divenuta Museo, i Vaccà Berlinghieri sposarono la causa Imperiale. La bella dama francese fu protagonista della vita cultura-le e sociale pisana, e grazie a lei Palazzo Lanfranchi ospitò poeti, scrittori, politici, uomini di cultu-ra e nobili aristocratici. Tra que-sti, da ricordare i coniugi Shelley e, nel 1830, mio nipote Mario Fe-lice Francesco Giuseppe Bacioc-

Scuola Normale di PisaNel Palazzo detto anche

della Carovana ha sede la Scuola Normale Superiore. Istituita da Napoleone nel 1810 su modello delle scuole francesi e riorganizzata per volere di Leopolodo II di Lorena venne solennemente inaugurata nel 1847. Tra i ‘normalisti’ (ex allievi), tre premi Nobel: Giusuè Carducci, Enrico Fermi e Carlo Rubbia.

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chi, accompagnato dalla moglie Maria Teresa Pozzo di Borgo e dalla figlia neonata Anna.

Camposanto MonumentaleIn piazza dei Miracoli, il Campo-

santo Monumentale accoglie alcuni monumenti funebri di molti illustri scienziati e docenti dello Studio pisano. Fra questi, è il Cenotafio marmoreo di Andrea Vaccà Berlin-ghieri, che il danese Berthel Thor-valdsen nel 1830 ornò con episo-di biblici. L’Inconsolabile, effigie neoclassica di Lorenzo Bartolini, incarna invece un’ affranta Elena Mastiani Brunacci, moglie di Gio-van Francesco Mastiani, esponente di uno dei casati più ricchi e potenti di tutta Toscana. Sottoprefetto per volontà dello stesso Napoleone, ot-tenne il titolo di conte dell’Impero e la nomina a cavaliere dell’ordine imperiale de la Réunion. Nel 1809 fu lui ad accompagnarmi a Parigi

per le nozze di Napoleone con Ma-ria Luisa d’Austria.

Museo Villa Baciocchi Capannoli

Nei dintorni di Pisa, a Capan-noli, Villa Baciocchi porta ancora il nostro nome. Sorta sulle antiche rovine del castello di Capannoli, benchè sull’architrave della fac-ciata compaia il nostro stemma, in realtà fu acquistata dai Marchesi Baciocchi nel 1833, tredici anni dopo la mia morte. Oggi proprietà comunale, ospita il Museo Zoolo-gico ed un Centro di Documenta-zione Archeologica. Il giardino di gusto romantico è tutt’oggi carat-terizzato da una folta vegetazione ad alto fusto.

Piombino Palazzo Nuovo della Cittadella

Di Piombino e della Cittadella, dal 2001 Museo Archeologico del Territo-

Mode e modiTra me e Napoleone vi era una sottile intesa. La supremazia sul

campo e la forza delle armi, trovarono una salda alleanza nella mia arte del convivio e della diplomazia. Con “pugno di ferro e guanto di velluto” mi feci interprete del ruolo Imperiale costruendo ville, residenze, teatri un po’ in tutta la Toscana. Ovunque io fossi, i miei salotti ridondanti d’oro e di velluti erano teatro di accordi e strategie che davano smalto a tutta la famiglia. Lo stesso lusso lo manifestavo nel vestire, con gran rimprovero dell’abate Chelini. Da Parigi, città che presi a indiscusso modello, mi pervenivano i figurini del Journal des dames et des modes. In una continua ricerca del bello dettai i canoni della moda lucchese e di un agiato stile di vita, chiamando sarte e modiste per vestire me e tutto il mio seguito. A corte, nel 1719, giunse il cacao, il “cibo degli Dei” portato in Europa dai Conquistadores spagnoli e inizialmente utilizzato come medicinale. Una novità che conquistò subito le classi più abbienti e che divenne una dolce arma di seduzione anche nei convivi di Palazzo Ducale.

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Piombino Palazzo Nuovo della Cittadella ora sede del Museo Archeologico

rio di Populonia, vi ha già riferito mio fratello Luciano. Vi abitai tra il 1805 e il 1807, periodo in cui diedi al complesso una spiccata funzionalità. Le antiche scuderie furono adibi-te a locali di servizio - cucine, di-spense, lavatoi, forni - mentre al primo e al secondo piano furono allocate le camere per la corte e per il personale. Preservai invece, so che vi stupirà, la quattrocentesca Cappella - non a caso ribattezzata Cappella Impe-riale - e la Madonna con Bambi-no, terracotta policroma di Andrea della Robbia. Anzi, mi adoperai per dotarla di nuovi arredi sacri,

quadri e argenti così da conferirle un aspetto privato.

Contrariamente a mia madre e a Pao-lina, io non feci mai visita a Napoleone durante l’esilio elbano. Diciamo però che, dalla terraferma, contribuì a ren-dere più confortevole il suo soggiorno. Palazzina del Mulini, scelta come sede di rappresentanza, fu adeguata negli spazi e nei decori da architetti di mia fiducia, Paolo Bargigli e Luigi Betta-rini. Bargigli fu inoltre incaricato di dare una fisionomia più urbana alla rurale Villa San Marino. Sua anche la firma di quel Teatro dei Vigilanti di Portoferraio che Napoleone lasciò in segreto il 26 febbraio 1815.

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Indirizzi

ELENCO UFFICI TURISTICI DELLE CITTÀ COINVOLTE NEL PROGETTO

AjACCIOOffice de Tourisme 3 Boulevard du Roi Jérôme Tel. +33 (0)4 9551 53 03 www.ajaccio-tourisme.comPISA Aeroporto di Pisa (lato arrivi) Tel. +39 050 502518 [email protected] Vittorio Emanuele II 16 Tel. +39 050 42291 [email protected] Via Pietrasantina Tel. +39 050 830253 [email protected] ufficiale del turismo in provincia di Pisa www.pisaunicaterra.itSAN MINIATO (PI)Piazza del Popolo 1 Tel. +39 0571.42745 [email protected] (PI)Via della Stazione Vecchia 6 tel. +39 0587 53354 [email protected] LUCCAPiazzale Verdi Vecchia Porta San Donato Tel. +39 [email protected] www.luccaitinera.it www.comune.lucca.it/TurismoPiazza S. Maria 35 Tel. + 39 [email protected] www.turismo.provincia.lucca.it

BAGNI DI LUCCAVia Umberto I Tel. +39 0583.805745 Piazza Jean Varraud 1Tel. +39 [email protected] www.bagnidiluccaterme.infoCAPANNORIPiazza Aldo Moro 1 Tel. +39 [email protected] www.capannori-terraditoscana.org VIAREGGIOViale Carducci 10 Tel. +39 0584.962233Piazza Dante – c/o Stazione FS Tel. +39 0584 [email protected] www.turismo.provincia.lucca.it LIVORNOVia Pieroni 18/20 Tel. +39 0586 894236 [email protected] D’ELBAVia Carducci 150 - Portoferraio (LI) Tel. +39 0565 914671www.aptelba.itGROSSETO Provincia di Grosseto – Ufficio Turismo Viale Monterosa 206Tel. + 39 0564 462611www.turismoinmaremma.itMARINA DI MASSAUffico IAT Lungomare Vespucci 24Tel. +39 0585 240063 +39 0585 [email protected]

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AULLAUfficio IAT c/o Palazzo comunaleP.zza Gramsci 16Tel. +39 0187 [email protected] IATP.zza della RepubblicaTel. +39 0187 [email protected] SPEzIA Viale Italia 5 - Tel. +39 0187 770900 Fax +39 0187 023945 [email protected] c/o Stazione FF.SS Tel. +39 0187 718997 iat_speziastazione@provincia.sp.itwww.turismoprovincia.laspezia.itSARzANA (SP)P.zza San Giorgio Tel. +39 0187 620419 Fax +39 0187 634249 [email protected] (CI)Proloco associazione turistica Corso Tagliafico 1 Tel. +39 0781 854009 www.prolococarloforte.it www.consorzioturisticocarloforte.itSAVONAUfficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Savona Via Paleocapa 76r Tel. +39 019.8402321www.turismo.provincia.savona.itALBENGAUfficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Albenga Piazza del Popolo 11Tel. +39 0182 558444Fax +39 0182 558740BARDINETO apertura stagionaleUfficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Bardineto Via Roascio 5

Tel. +39 019 7907228Fax +39 019 7907228LOANOUfficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Loano Corso Europa 19Tel. +39 019 676007Fax +39 019 676818MILLESIMO apertura stagionaleUfficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Millesimo Piazza Italia 2 – Palazzo ComunaleTel. +39 019 564007Fax +39 019 564368TOIRANOUfficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di ToiranoPiazzale GrotteTel. +39 0182 989938Fax +39 0182 98463

ELENCO MONUMENTI/LUOGHI DEL PERCORSO

CORSICAAjACCIOMuseo Nazionale Maison Bonaparte Rue Saint-Charles 18 Tel +33 (0) 495214389www.musee-maisonbonaparte.frMuseo Salone Napoleonico Hôtel de Ville Place Foch Tel. +33 (0)4 95 51 52 53www.ajaccio.frPalazzo Fesch Museo delle Belle ArtiRue Cardinal Fesch 50-52 Tel. + 33 (0)4 95 26 26 26www.musee-fesch.comCappella Imperiale di Palazzo FeschRue Cardinal Fesch 50-52 Tel. + 33 (0)4 95 26 26 26 www.musee-fesch.com

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Tenuta I Milelli Route des Milelli Tel. +33 (0)4 95 51 52 53 www.ajaccio.frwww.napoleon.orgCattedrale di Santa Maria Assunta Rue Forcioli-Conti Tel. +33 (0)95 21 07 67Grotta di Casone Place d’Austerlitzwww.corsicanews.net

SARDEGNACARLOFORTE (CI)Chiesa dei Novelli Innocenti Via dei Novelli Innocenti Tel.+39 0781 855735 Oratorio della Madonna dello Schiavo Via XX Settembre Tel.+39 0781 855735

LIGURIASARzANA (SP)Casa Buonaparte Via Mazzini 26-28 www.sarzana.orgFortezza FirmafedeVia Cittadella Tel. 0187 614232 www.sarzana.orgFortezza di Sarzanello Via alla Fortezza Località Sarzanello Tel. +39 0187 6141 info line Fortezza Tel +39 339 [email protected] degli Impavidi Piazza Garibaldi www.sarzana.orgPORTOVENERE (SP)Forte della Castellana Località Le Grazie(non visitabile al pubblico)

SAVONA Archivio di Stato Via Quadra Superiore 7 Tel. +39 019 8335227www.archivi.beniculturali.itMonte Negino – luogo degli scontri della 1^ campagna d’ItaliaSantuario di N.S. Della Misericordia di Savona - luogo degli scontri della 1^ campagna d’ItaliaALBENGA (SV) Fortino – museo napoleonicoPiazza EuropaTOIRANO (SV) Certosa di Toirano Via Certosa – luogo di scontri della Battaglia di LoanoBALESTRINO (SV) Scuderie del Marchese di Balestrino museo catasto napoleonicoSantuario di Monte Croce – punto di osservazione dei territori teatro delle battaglie napoleonicheCASTELVECCHIO DI ROCCA BARBENA (SV)Osservatorio di Massena – punto di osservazione dei territori teatro delle battaglie napoleonichePian dei Prati punto di osservazione dei territori teatro delle battaglie napoleonicheColle dello Scravaion - trincee napoleonichezUCCARELLO (SV) Taverna dei tre diavoliluogo di incontro tra il Generale Massena ed i suoi ufficialiBARDINETO (SV) luogo di scontri della Battaglia di LoanoBOISSANO (SV)luogo di scontri della Battaglia di LoanoLOANO (SV) epilogo finale della ritirata delle truppe austro-piemontesi dalla piana di LoanoMAGLIOLO (SV) luogo di scontri della Battaglia di Loano

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RIALTO (SV) Santuario della Madonna della Neve – luogo di presidio e difesa dell’esercito francese durante la Battaglia di LoanoMALLARE (SV) luogo di scontri della Battaglia di LoanoALTARE (SV) - tappa itinerarioluogo di arrivo di Napoleone all’armata d’ItaliaQUILIANO (SV)Cadibona – luogo della memoria della 1^ campagna d’ItaliaCAIRO MONTENOTTE (SV)Parco dell’Adelasia – luogo degli scontri della 1^ campagna d’ItaliaDEGO (SV) luogo degli scontri della 1^ campagna d’ItaliaPalazzo Comunale - Via Municipio 10 Tel. +39 019 577792www.comune.dego.sv.it/storiaCOSSERIA (SV) - tappa itinerarioRuderi del castello Del Carretto Località Castello luogo degli scontri della 1^ campagna d’ItaliaMILLESIMO (SV) luogo degli scontri della 1^ campagna d’ItaliaPalazzo ComunalePiazza Italia 2 Tel. +39 019 564007www.comune.millesimo.sv.itMuseo Napoleonico di Villa ScarzellaVia Del Carretto 29 Tel. +39 019 564007www.itinerarionapoleonico.com

TOSCANAMASSA - CARRARAMASSA (MS)Palazzo Ducale Piazza Aranci Tel. +39 0585 816111 www.provincia.ms.it

Cattedrale dei Santi Francesco e Pietro Via Dante Tel +39 0585 42643 Castello MalaspinaVia del Forte Tel +39 058544774 www.istitutovalorizzazionecastelli.it CARRARA (MS)Accademia di Belle Arti di CarraraVia Roma 1 Tel. +39 0585 71658www.accademiacarrara.itCave dei Fantiscrittiwww.cavamuseo.comFIVIzzANO (MS)Palazzo Fantoni-Bononi Museo della StampaVia Labindo 6Tel. +39 0585 942128/52www.comune.fivizzano.ms.it Monumento sepolcrale a Giovanni Fantoni “Labindo”Chiesa di S.CarloChiesa delle CarceriVia Umberto ITel + 39 0585 942128/52www.comune.fivizzano.ms.it MULAzzO (MS)Archivio Museo dei MalaspinaPiazza Malaspinawww.archiwebmassacarrara.comBAGNONE (MS)Museo Archivio della MemoriaPalazzo della MemoriaPiazza Marconi 7www.archiwebmassacarrara.comPISAPalazzo RealeLungarno Pacinotti 46 Tel. +39 050 926539www.sbappsae-pi.beniculturali.itPalazzo Lanfranchi Museo della Grafica Lungarno Galilei 9Tel. +39 050 2216060www.museodellagrafica.unipi.it

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Cimitero Monumentale Piazza dei Miracoli Tel. +39 050 835011www.opapisa.itCAPANNOLI (PI)Villa Baciocchi Via del Castello 1 Tel. +39 0587 607035www.comune.capannoli.pisa.itMONTEFOSCOLI (PI)Casa Vaccà Berlinghieri Via A. Vaccà 47Tel. +39 0587 657072www.museomontefoscoli.itTempio di Minerva Medica Località Torricchio Tel. +39 0587 657135www.tempiodiminerva.comSAN MINIATOPalazzo Formichini a Collezione Cassa di Risparmio di San Miniato Via IV Novembre 45 Tel +39 0571-405295 Cattedrale di Santa Maria Assunta Piazza Prato del DuomoAccademia degli Euteleti Palazzo Migliorati Via XX Settembre 21 Tel +39 0571 42598 Sistema Museale San MiniatoTel. +39 0571-42598 www.comune.san-miniato.pi.itLUCCAPalazzo Ducale Cortile Carrara 1 Tel. +39 0583.4171www.palazzoducale.lucca.itVilla Bottini Via Elisa 9Tel. +39 0583.44214. Il giardino è visitabile tutti i giorni dalle ore 9 alle 18. Ingresso gratuito. www.comune.lucca.itOrto Botanico - Via del Giardino Botanico 14 Tel +39 0583.442160 www.ortobotanicodilucca.itMuseo e Pinacoteca Nazionale di Palazzo Mansi Via Galli Tassi 43

Tel. +39 0583 55570www.luccamuseinazionali.itPalazzo Matteucci (ora delle religiose di Santa Maria) - Via Elisa 40 Tel. +39 0583 491974 visibile solo dall’esterno.Palazzo Froussard (ora Sodini) Via Elisa 54. Visibile solo dall’esternoPalazzo Orsetti (ora Palazzo Comunale) Via Santa Giustina 6Tel +39 0583.4422www.comune.lucca.itBAGNI DI LUCCAPalazzo alla VillaVia Monache 1 www.bagnidiluccaterme.info CAPANNORIVilla e Parco Reale Viale Europa Loc. Marlia Tel. +39 0583.30108 Visitabile solo il parcowww.parcovillareale.it VIAREGGIOVilla Paolina (sede dei Musei Civici) Via Machiavelli 2 Tel. +39 0584.966342 - 966346www.comune.viareggio.lu.itLIVORNOMuseo Civico Giovanni Fattori Villa Mimbelli Piazza Sant’Jacopo in Acquaviva 65 Tel.+39 0586 [email protected] www.comune.livorno.itPIOMBINO (LI)Cappella della Madonna di Cittadella Piazza della CittadellaLa cappella è aperta in orario diurnoPalazzo Nuovo Piazza della Cittadella 8Abbazia con cattedrale di Sant’Antimo Via XX Settembre 15 Tel + 39 0565 32036 (Diocesi di Massa Marittima-Piombino)

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ISOLA D’ELBA(LI)Portoazzurro Forte San Giacomo o Forte Longone www.comune.portoazzurro.li.it PORTOFERRAIO - ELBA La Biscotteria (ora Palazzo Comunale)Via Garibaldi 7 Tel. +39 0565 937111Palazzina dei Mulini Piazzale Napoleone www.sbappsae-pi.beniculturali.itVilla San Martino Galleria Demidoff Località San Martino Tel. +39 0565 914688www.sbappsae-pi.beniculturali.itwww.infoelba.itMuseo Napoleonico della Venerabile Arciconfraternita della MisericordiaSalita Napoleone Tel. +39 0565 918 785Pinacoteca foresiana Centro Culturale De LaugierSalita NapoleoneTel. +39 0565/937380 - 917649 (Centro Culturale)www.comune.protoferraio.li.itMARCIANA – ELBASantuario della Madonna del Monte - Località Madonna del Monte Tel. +39 0565 901041 (Diocesi di Massa Marittima-Piombino). Il santuario è sempre aperto e l’ingresso è gratuitoGROSSETO Archivio di Stato Piazza Socci 3 Tel. +39 0564 421947 -24576 www.archivio.beniculturali.it Museo Archeologico e dell’arte della Maremma Piazza Baccarini 3

Tel. +39 0564/488750-760-752 www.museidimaremma.itFOLLONICA (GR)MAGMA Museo delle Arti in Ghisa della Maremma (apertura primavera 2013)Comprensorio ex Ilva - [email protected] www.comune.follonica.gr.it/museoVilla Granducale (attuale sede Corpo Forestale dello Stato)Via Bicocchi 2 Tel. +39 0566 40019

ALTRI LUOGHICANINO (VT)Collegiata di SS. Giovanni e Andrea Piazza Bonaparte www.canino.infoROMAVilla del Principe Borghese (sede del Museo e Galleria) Piazzale del Museo Borghese 5 Tel. +39 068413979 www.galleriaborghese.itFIRENzEPalazzo Pitti Piazza dei Pitti Tel. +39 055 294883 - 2388763 www.palazzopitti.itBOLOGNA Basilica San Petronio Piazza Maggiore 1 Tel. +39 051 231415www.basilicadisanpetronio.it

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Immagini: Archivi fotografici Provincia di Lucca, Provincia di Pisa, Provincia di Grosseto, ARTEmisia Servizi Culturali S.c.a r.l., Ufficio del Turismo Provincia di Massa Carrara, Circolo fotografico Sarzanese, Earth S.c.r.l., Giorgio Dagna, Massimiliano Nucci, Luigi Pellerano, Silvia Simi, Beatrice Speranza, Stefano Vannucchi, Enrico Zunino

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I luoghi di NapoleoneUn viaggio tra Liguria, Corsica, Sardegna e Toscana

www.napoleonsites.eu

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Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico

Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona