I luoghi di Lucio Fontana a Comabbio scheda · 2018-10-09 · I luoghi di Lucio Fontana a Comabbio...

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I luoghi di Lucio Fontana a Comabbio La casa Fontana L'antica casa Fontana, in realtà era in origine casa Campiglio, si trova ancor oggi ai margini dell'abitato, in posizione tranquilla e isolata. Era la casa della “matrigna” di Lucio, Anita Campiglio che aveva sposato il papà, Luigi Fontana. Qui i Fontana, nei vari soggiorni italiani al ritorno dall'Argentina, solevano trascorrere le vacanze e i periodi di riposo. Esiste una fotografia di Lucio ritratto in divisa militare nel cortile della casa alla fine della prima guerra mondiale alla quale partecipò riportando anche una ferita alla gamba. Ed è qui che veniva a trovare la zia Giuseppina negli anni Trenta e ancora ritornava in più occasioni a far visita alla "mamma" Anita quando, al suo ritorno definitivo dall'Argentina nel 1949, si stabilì con il figlio Zino. Dopo la morte di Anita Lucio decide nel 1965 di sistemare la vecchia casa di Comabbio, affidando l'incarico al cugino architetto Bruno Fontana e si sbizzarrisce disegnando alcuni mobili dell'arredo interno facendoli eseguire dal falegname del paese, Ernesto Ottilli. Nel 1967 viene ad abitarvi definitivamente e qui morirà il 7 settembre 1968. L'atelier di Comabbio Assieme alla casa Lucio fa sistemare dal cugino Bruno l'antico fienile sopra le stalle per trasformarlo nel suo studio. Inizialmente era solo un laboratorio estivo, poi, con il trasferimento dell'abitazione a Comabbio, Lucio decide di chiudere lo storico studio di corso Monforte a Milano e qui stabilire il suo atelier. Aiutato nella preparazione delle tele dal giovane Enos, inizia a far tagli, Attese e Concetti Spaziali guardando dalla finestra i dolci prati del Purà e sullo sfondo le calme acque del lago di Comabbio. Qui produce le ultime opere della sua intensa e fortunata vita artistica. La cappella Fontana nel cimitero di Comabbio Tra il 1947 e il 1951 il cugino di Lucio, l'architetto Bruno Fontana, progetta e realizza la cappella di famiglia, inizialmente per accogliere le spoglie del padre Luigi, morto a Rosario in Argentina nel 1946 e qui traslate nel 1948 con le spoglie del padre Domiziano e della madre della moglie Anita, Erminia Soldati. Successivamente accoglierà le spoglie di Anita Campiglio, dei figli Delfo, Tito e Geronzio, del figlio di Tito, Roberto e, nel 1968, di Lucio Fontana. Anche la moglie di Lucio, Teresita ora riposa nella cappella di famiglia. Alla morte di Lucio Teresita fece installare ai piedi del parallelepipedo monumento una Natura in bronzo (realizzata nel 1959-60), poi rubata negli anni successivi. La tomba Bestetti A fianco della cappella Fontana è un'opera giovanile di Lucio, la tomba Bestetti, realizzata nel 1934 per Teresa Lentati Bestetti (1881-1934) dall'essenziale forma geometrica. Giocata tutta sulla bipolarità, sia nell'uso dei materiali, marmo grigio e travertino, nel colore, nero e bianco, nel contrasto tra lucido e opaco, nelle forme, rettangolare della base e semisferica della parte superiore, è un elegante esperimento formale del giovane Fontana ormai votato all'astrattismo più puro. Fa da contrasto, sul lato destro, il busto marmoreo di Costantino Lentati (1846-1888), realizzato dal padre nel 1889, tipico monumento funerario di fine Ottocento, nelle forme del realismo verista al quale il padre Luigi era rigidamente legato. Lucio Fontana - Nota biografica Nasce a Rosario di Santa Fé, Argentina, il 19 febbraio 1899, figlio di Luigi, scultore, nato a Capolago di Varese, emigrato negli anni ‘90, e di Lucia Bottini. Lucio segue gli studi a Castiglione Olona, ospite dello zio, al collegio Torquato Tasso di Biumo e al collegio Ballerini di Seregno per poi concludere negli anni 1914-15 all’istituto tecnico Carlo Cattaneo di Milano. Partecipa come volontario alla Grande Guerra come sottotenente, è ferito sul Carso e viene decorato con una medaglia al valor militare. Ritornato in Argentina nel 1922 con la famiglia (il padre si era sposato a Rosario nel 1903 con Anita Campiglio, nativa di Comabbio), lavora nel laboratorio paterno per poi aprire nel 1924 un proprio studio di scultura a Rosario. Nel 1927 ritorna in Italia e si iscrive all’Accademia di Brera seguendo i corsi di scultura di Adolfo Wildt. La sua prima mostra personale la tiene nel 1934 alla Galleria del Milione, nel 1934 aderisce al “Abstraction-Création”, nel 1935 sottoscrive il manifesto della “Prima mostra collettiva d’Arte Astratta Italiana” con Ghiringhelli, Melotti, Veronesi e Licini. Tra il 1936 e il ’38 sviluppa la sua attività di ceramista, lavorando ad Albisola da Tullio Mazzotti e in Francia alla manifattura di Sèvres. Nel 1940 ritorna presso la famiglia in Argentina, continuando a lavorare come scultore fino al 1947 e insegnando a Buenos Aires; nel 1946 promuove il Manifiesto Blanco, sottoscritto dai suoi allievi. Dopo la morte del padre Luigi a Rosario nel 1946, rientra definitivamente in Italia nel marzo del 1947 e si stabilisce a Milano, diventando un punto di riferimento per gli artisti italiani d’avanguardia e sottoscrivendo i manifesti dello spazialismo; inizia a realizzare i primi “ambienti spaziali”. Nei primi anni Cinquanta le sue ipotesi artistiche spaziali trovano una personale espressione nei “buchi” e nei “tagli” delle tele, della carta e, più tardi, nelle lastre d’alluminio e di rame (i “concetti spaziali”). Nel 1951 partecipa al concorso per la quinta porta del Duomo di Milano, si sposa nel 1952 con Teresita Rasini (1909-1995), e nel 1953 allestisce due soffitti con perforazioni e luci al neon alla Fiera Campionaria di Milano. Nel 1958 la 29° Biennale di Venezia gli dedica una sala personale; nel 1959 realizza le Nature, sculture in terracotta, e nel 1964 i Teatrini. Nel 1966 alla 33° Biennale di Venezia, la sua sala, concepita come un Ambiente spaziale, riceve il Gran Premio. Nel 1967, per ragioni di salute, si ritira definitivamente nella sua casa di campagna a Comabbio (Varese), l’antica casa di famiglia che aveva restaurato negli anni Sessanta, dove apre il suo ultimo atelier. Qui si spegnerà il 7 settembre 1968 e da allora riposa nel piccolo cimitero del paese. Testi a cura di Marco Tamborini

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I luoghi di Lucio Fontana a Comabbio

La casa Fontana L'antica casa Fontana, in realtà era in origine casa Campiglio, si trova ancor oggi ai margini dell'abitato, in posizione tranquilla

e isolata. Era la casa della “matrigna” di Lucio, Anita Campiglio che aveva sposato il papà, Luigi Fontana. Qui i Fontana, nei vari

soggiorni italiani al ritorno dall'Argentina, solevano trascorrere le vacanze e i periodi di riposo. Esiste una fotografia di Lucio

ritratto in divisa militare nel cortile della casa alla fine della prima guerra mondiale alla quale partecipò riportando anche una

ferita alla gamba. Ed è qui che veniva a trovare la zia Giuseppina negli anni Trenta e ancora ritornava in più occasioni a far

visita alla "mamma" Anita quando, al suo ritorno definitivo dall'Argentina nel 1949, si stabilì con il figlio Zino. Dopo la morte di

Anita Lucio decide nel 1965 di sistemare la vecchia casa di Comabbio, affidando l'incarico al cugino architetto Bruno Fontana e

si sbizzarrisce disegnando alcuni mobili dell'arredo interno facendoli eseguire dal falegname del paese, Ernesto Ottilli. Nel

1967 viene ad abitarvi definitivamente e qui morirà il 7 settembre 1968.

L'atelier di Comabbio

Assieme alla casa Lucio fa sistemare dal cugino Bruno l'antico fienile sopra le stalle per trasformarlo nel suo studio.

Inizialmente era solo un laboratorio estivo, poi, con il trasferimento dell'abitazione a Comabbio, Lucio decide di chiudere lo

storico studio di corso Monforte a Milano e qui stabilire il suo atelier. Aiutato nella preparazione delle tele dal giovane Enos,

inizia a far tagli, Attese e Concetti Spaziali guardando dalla finestra i dolci prati del Purà e sullo sfondo le calme acque del lago

di Comabbio. Qui produce le ultime opere della sua intensa e fortunata vita artistica.

La cappella Fontana nel cimitero di Comabbio

Tra il 1947 e il 1951 il cugino di Lucio, l'architetto Bruno Fontana, progetta e realizza la cappella di famiglia, inizialmente per

accogliere le spoglie del padre Luigi, morto a Rosario in Argentina nel 1946 e qui traslate nel 1948 con le spoglie del padre

Domiziano e della madre della moglie Anita, Erminia Soldati. Successivamente accoglierà le spoglie di Anita Campiglio, dei figli

Delfo, Tito e Geronzio, del figlio di Tito, Roberto e, nel 1968, di Lucio Fontana. Anche la moglie di Lucio, Teresita ora riposa

nella cappella di famiglia. Alla morte di Lucio Teresita fece installare ai piedi del parallelepipedo monumento una Natura in

bronzo (realizzata nel 1959-60), poi rubata negli anni successivi.

La tomba Bestetti

A fianco della cappella Fontana è un'opera giovanile di Lucio, la tomba Bestetti, realizzata nel 1934 per Teresa Lentati Bestetti

(1881-1934) dall'essenziale forma geometrica. Giocata tutta sulla bipolarità, sia nell'uso dei materiali, marmo grigio e

travertino, nel colore, nero e bianco, nel contrasto tra lucido e opaco, nelle forme, rettangolare della base e semisferica della

parte superiore, è un elegante esperimento formale del giovane Fontana ormai votato all'astrattismo più puro. Fa da

contrasto, sul lato destro, il busto marmoreo di Costantino Lentati (1846-1888), realizzato dal padre nel 1889, tipico

monumento funerario di fine Ottocento, nelle forme del realismo verista al quale il padre Luigi era rigidamente legato.

Lucio Fontana - Nota biografica Nasce a Rosario di Santa Fé, Argentina, il 19 febbraio 1899, figlio di Luigi, scultore, nato a Capolago di Varese, emigrato negli anni ‘90, e di Lucia

Bottini. Lucio segue gli studi a Castiglione Olona, ospite dello zio, al collegio Torquato Tasso di Biumo e al collegio Ballerini di Seregno per poi

concludere negli anni 1914-15 all’istituto tecnico Carlo Cattaneo di Milano. Partecipa come volontario alla Grande Guerra come sottotenente, è

ferito sul Carso e viene decorato con una medaglia al valor militare. Ritornato in Argentina nel 1922 con la famiglia (il padre si era sposato a Rosario

nel 1903 con Anita Campiglio, nativa di Comabbio), lavora nel laboratorio paterno per poi aprire nel 1924 un proprio studio di scultura a Rosario. Nel

1927 ritorna in Italia e si iscrive all’Accademia di Brera seguendo i corsi di scultura di Adolfo Wildt. La sua prima mostra personale la tiene nel 1934

alla Galleria del Milione, nel 1934 aderisce al “Abstraction-Création”, nel 1935 sottoscrive il manifesto della “Prima mostra collettiva d’Arte Astratta

Italiana” con Ghiringhelli, Melotti, Veronesi e Licini. Tra il 1936 e il ’38 sviluppa la sua attività di ceramista, lavorando ad Albisola da Tullio Mazzotti e

in Francia alla manifattura di Sèvres. Nel 1940 ritorna presso la famiglia in Argentina, continuando a lavorare come scultore fino al 1947 e

insegnando a Buenos Aires; nel 1946 promuove il Manifiesto Blanco, sottoscritto dai suoi allievi. Dopo la morte del padre Luigi a Rosario nel 1946,

rientra definitivamente in Italia nel marzo del 1947 e si stabilisce a Milano, diventando un punto di riferimento per gli artisti italiani d’avanguardia e

sottoscrivendo i manifesti dello spazialismo; inizia a realizzare i primi “ambienti spaziali”. Nei primi anni Cinquanta le sue ipotesi artistiche spaziali

trovano una personale espressione nei “buchi” e nei “tagli” delle tele, della carta e, più tardi, nelle lastre d’alluminio e di rame (i “concetti spaziali”).

Nel 1951 partecipa al concorso per la quinta porta del Duomo di Milano, si sposa nel 1952 con Teresita Rasini (1909-1995), e nel 1953 allestisce due

soffitti con perforazioni e luci al neon alla Fiera Campionaria di Milano. Nel 1958 la 29° Biennale di Venezia gli dedica una sala personale; nel 1959

realizza le Nature, sculture in terracotta, e nel 1964 i Teatrini. Nel 1966 alla 33° Biennale di Venezia, la sua sala, concepita come un Ambiente

spaziale, riceve il Gran Premio. Nel 1967, per ragioni di salute, si ritira definitivamente nella sua casa di campagna a Comabbio (Varese), l’antica casa

di famiglia che aveva restaurato negli anni Sessanta, dove apre il suo ultimo atelier. Qui si spegnerà il 7 settembre 1968 e da allora riposa nel piccolo

cimitero del paese.

Testi a cura di Marco Tamborini